• Non ci sono risultati.

Sintesi e caratterizzazione rilassometrica di agenti di contrasto paramagnetici-superparamagnetici ibridi per Risonanza Magnetica

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Sintesi e caratterizzazione rilassometrica di agenti di contrasto paramagnetici-superparamagnetici ibridi per Risonanza Magnetica"

Copied!
136
0
0

Testo completo

(1)

1

Sommario

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO I... 5

RISONANZA MAGNETICA E IMAGING ... 5

Contrasto naturale... 6

Fisica dell’NMR: approccio semiclassico ... 9

Dinamica del momento magnetico di spin in campo magnetico ... 9

Misura dei tempi di rilassamento ... 14

Imaging: principi e tecniche di ricostruzione dell’immagine ... 19

Necessità del contrasto ... 23

Mezzi di contrasto ... 25

Proprietà magnetiche dei mezzi di contrasto ... 34

Sostanze paramagnetiche ... 34

Introduzione al superparamagnetismo: Ferromagnetismo ... 39

Superparamagnetismo ... 41

Modello di Brown ... 43

CAPITOLO II ... 46

TEORIA del RILASSAMENTO ... 46

Rilassamento Paramagnetico ... 46

Tempo di correlazione elettronico ... 61

Tempo di correlazione di scambio chimico ... 70

Outer sphere ... 73

Rilassamento dovuto a particelle superparamagnetiche ... 78

Rilassamento dovuto alla magnetizzazione media (“Spin di Curie”) ... 78

(2)

2

CAPITOLO III ... 88

REALIZZAZIONE DEL MEZZO DI CONTRASTO ... 88

Sintesi ... 88

Sintesi delle nanoparticelle ... 88

Scambio del coating ... 90

Materiali e metodi ... 94 Reagenti e solventi ... 94 Strumentazione sintetico-analitica ... 95 Procedure Sintetiche ... 95 Caratterizzazione ... 100 Risultati ... 101

Sintesi delle nanoparticelle (NP) ... 101

Caratterizzazione TEM (NP) ... 102

Caratterizzazione DLS (NP) ... 104

Misurazioni magnetiche (NP) ... 105

Scambio del coating ... 110

Caratterizzazione EELS ... 114 Caratterizzazione DLS ... 115 CAPITOLO IV ... 118 MISURE RILASSOMETRICHE ... 118 Misure rilassometriche ... 118 Risultati ... 122 Conclusioni e prospettive ... 130 BIBLIOGRAFIA ... 132

(3)

3

INTRODUZIONE

Quando si accede ad una struttura ospedaliera per effettuare un esame di risonanza magnetica, nella pressoché totalità dei casi, il pensiero non si sofferma sull’elevato grado di successo tecnologico e scientifico rappresentato da questa tecnica per lasciar posto alle pur giustificate preoccupazioni relative alla patologia per cui si è stati indotti a farlo. Tuttavia, come è ben chiaro a tutti i medici che se ne avvalgono per eseguire le proprie diagnosi, la tecnica permette di ottenere informazioni che senza di essa sarebbero impossibili da ricavare a meno di effettuare un intervento di tipo più invasivo sul paziente. Data la sua giovane età, le frontiere di tale tecnica non sono ancora state raggiunte e forse nemmeno avvicinate con un cammino da compiere dal punto di vista ingegneristico, fisico, chimico, biologico e medico ancora lungo. Tutte queste discipline rientrano infatti nell’ambito della ricerca sulla risonanza magnetica di imaging (RMI) e, attraverso esse, centinaia di ricercatori in tutto il mondo stanno cercando di migliorarne ulteriormente l’efficacia. Se infatti avanzamenti nell’elettronica permettono di avere macchinari più precisi, più veloci o meno ingombranti, avanzamenti nella sintesi di composti organici complessi o nella realizzazione di diversi tipi di nanoparticelle consentono di migliorare il funzionamento dei così detti “liquidi” o “mezzi di contrasto” che spesso si accompagnano agli esami di risonanza magnetica.

I mezzi di contrasto ora diffusi sono di due tipi: il primo è basato su ioni paramagnetici del gadolinio ed ha effetto sul tempo di rilassamento longitudinale dei protoni dell’acqua (T1), mentre il secondo è basato su nanoparticelle superparamagnetiche di magnetite avente maggior effetto sul tempo di rilassamento trasversale (T2). Il lavoro di tesi si pone in questo ultimo ambito e si propone di realizzare un mezzo di contrasto “nuovo” che presenta caratteristiche intermedie tra quelle dei mezzi di contrasto ora utilizzati.

La strategia adottata è stata quella della somma diretta dei due mezzi di contrasto: alle nanoparticelle magnetiche è stato legato il complessante per il gadolinio e si sono quindi studiate le proprietà rilassometriche del sistema complesso all’aumentare del gadolinio sulla superficie.

La sintesi delle nanoparticelle, i tentativi di coating e l’effettivo coating utilizzato oltre alla caratterizzazione dei campioni mediante tecniche TEM, FT-IR, DLS e di magnetometria è riportata nel capitolo III.

(4)

4

Il capitolo IV è dedicato invece all’analisi del comportamento rilassometrico dei mezzi di contrasto sintetizzati.

L’analisi precedente è stata possibile grazie alla teoria sviluppata nel capitolo II che si propone di esporre in modo completo e dettagliato la teoria rilassometrica secondo un unico formalismo. Nel capitolo I è invece illustrato il funzionamento dei mezzi di contrasto secondo un approccio più intuitivo con un occhio di riguardo agli aspetti medico-biologici degli stessi.

(5)

5

CAPITOLO I

Sono qui di seguito illustrati i concetti necessari a comprendere il meccanismo di funzionamento della risonanza magnetica di imaging e degli effetti dei mezzi di contrasto sulle immagini con essa ottenute.

Nella prima sezione, dopo un brevissimo inquadramento dell’utilizzo medico della MRI, si introducono i concetti necessari a comprendere l’esperimento NMR e la nozione di tempo di rilassamento. Si descrivono poi il meccanismo e le tecniche di costruzione delle immagini mettendo in evidenza la necessità di sviluppare mezzi di contrasto che modifichino i tempi di rilassamento dell’acqua.

Nella seconda sezione si dà un quadro dell’utilizzo e funzionamento dei mezzi di contrasto con alcuni cenni ai meccanismi biologici che influenzano l’efficacia degli stessi. Si introducono quindi i concetti di paramagnetismo e superparamagnetismo che caratterizzano le due classi di tali mezzi permettendo così la comprensione dei concetti teorici che verranno presentati nella sezione di teoria del rilassamento.

RISONANZA MAGNETICA E IMAGING

La tomografia a risonanza magnetica (o Magnetic-Resonance-Imaging MRI), detta anche Risonanza Magnetica (RM), è una tecnica diagnostica largamente diffusa in tutto il mondo. In particolare, negli ospedali italiani, già nel 2000 erano installati 283 strumenti RMN, ognuno dei quali erogava una media di 2700 prestazioni l’anno [1].

I vantaggi che hanno determinato il successo della RMN rispetto alle altre tecniche diagnostiche sono molteplici:

• Le immagini presentano un buon contrasto nei tessuti molli e una buona risoluzione spaziale.

• La RMN è una tecnica di imaging tomografica; permette cioè di acquisire più immagini corrispondenti ognuna ad uno specifico strato del paziente a differenza di altre, come per esempio la radiografia, che integrano il segnale di più strati .

• La RMN evita l’utilizzo di radiazioni ionizzanti con il relativo rischio per la salute del paziente e dell’operatore e, in condizioni di sicurezza, non presenta alcun pericolo conosciuto, anche per lunghi tempi di esposizione. Proprio questo fa spesso preferire la

(6)

6

RMN alla tomografia assistita al computer (TAC), la quale presenta anch’essa la possibilità di ottenere immagini tridimensionali ma implica un’esposizione relativamente elevata ai raggi X.

Per acquisire immagini RMN il paziente deve essere introdotto all’interno di un campo magnetico statico generato da un solenoide superconduttore. Tipici campi magnetici utilizzati per usi clinici sono 1.5 T e 3 T. In queste condizioni i protoni dei tessuti del paziente (principalmente protoni degli atomi di idrogeno dell’acqua) assumono complessivamente una magnetizzazione. Tale magnetizzazione, con opportune metodologie che verranno analizzate nei prossimi capitoli, viene utilizzata per originare un segnale elettrico all’interno di una bobina che verrà poi rielaborato al computer permettendo di ottenere immagini per la diagnostica. Generalmente le immagini acquisite si presentano come una mappa di voxel (ricordando che ciascuna immagine rappresenta uno strato di un certo spessore, invece del termine pixel si preferisce parlare di “voxel”) in scala di grigi.

Contrasto naturale

È intuitivo capire che quanto più le differenze di segnale NMR tra i vari tessuti sono elevate, tanto più il contrasto delle immagini risultanti sarà elevato e la diagnosi efficace. Proprio allo scopo di incrementare il contrasto delle immagini gli esperimenti fanno uso di sequenze di impulsi che portano il vettore magnetizzazione fuori dalla situazione di equilibrio; la magnetizzazione poi tornerà al valore di equilibrio in tempi diversi in base al tessuto corrispondente generando così il contrasto. I meccanismi alla base di questo fenomeno, detto rilassamento, sono principalmente due: • Rilassamento longitudinale (T1, spin reticolo, o ”spin-lattice” in Inglese): rilassamento della

componente z (longitudinale rispetto al campo esterno) della magnetizzazione, dovuto all’interazione dello spin del protone con l’intorno (lattice);

• Rilassamento trasversale (T2, spin-spin): rilassamento della componente xy (trasversale

rispetto al campo esterno) della magnetizzazione, dovuto all’interazione dello spin del protone con altri spin.

• Rilassamento trasversale di inomogeneità di campo magnetico (T2*): rilassamento della

componente xy (trasversale rispetto al campo esterno) della magnetizzazione, dovuto all’interazione di spin in posizioni differenti con diversi valori di campo magnetico.

Tali meccanismi verranno analizzati nel dettaglio nelle prossime sezioni.

Le immagini MRI possono essere “pesate” su uno dei due tempi di rilassamento sopra riportati, e permettono quindi di riconoscere gli organi sulla base di caratteristiche quali irrorazione sanguigna,

(7)

7

contenuto di grassi e di acqua che ne influenzano i tempi di rilassamento (contrasto naturale). Ad esempio il fegato contiene più grasso del liquido peritoneale e per questo i suoi protoni hanno un tempo di rilassamento inferiore rispetto al liquido stesso; di conseguenza è possibile ottenere immagini in cui fegato e liquido peritoneale hanno un’intensità di grigio diversa e sono ben distinguibili. Invece nel caso dei polmoni, che, contenendo aria, presentano una drastica riduzione del T2* e del T2 dei protoni, a causa delle numerose interfacce aria-tessuto, le immagini hanno un’intensità molto bassa rispetto ai tessuti circostanti.

Uno dei principali utilizzi della risonanza magnetica è quello di rilevare la presenza o seguire la crescita di strutture patologiche all’interno dell’organismo quali cisti, in alcuni casi tumori, ascessi, ematomi ecc. In generale i tessuti patologici hanno caratteristiche diverse da quelli normali, presentando tempi di rilassamento diversi. Quindi in presenza di una patologia la massa innaturale potrà essere diagnosticata mediante un’immagine

MRI nella quale potrebbe essere visualizzata con una tonalità di grigio diversa da quella dell’organo o della struttura che la contiene. A titolo di esempio in Figura I.2 [2] è riportata un’immagine MRI nella quale il fegato è intaccato dalla metastasi di un melanoma che può essere evidenziata da una sequenza pesata su T1. La presenza di melanina e metaemoglobina in questo tessuto (indicato dalla freccia in figura)

determina un tempo di rilassamento più corto rispetto a quello dei tessuti circostanti e risulta quindi più chiaro.

Nella Figura I.1 [2] invece, utilizzando una sequenza basata su T2, è possibile identificare la metastasi di un carcinoma della tiroide che ha intaccato il fegato e ha formato al suo interno una grossa massa di tessuto sostanzialmente diverso dal fegato stesso.

Le immagini che sono state riportate mostrano un contrasto naturale molto elevato e permettono di distinguere immediatamente i tessuti patologici dai tessuti sani. Spesso accade però che Figura I.1 Metastasi nel fegato di un calcinoma della tiroade indicata dalla freccia rilevato mediante una sequenza basata su T2

Figura I.2 Metastasi di un melanoma indicato dalla freccia, rilevato mediante una sequenza basata su T1

(8)

8

l’immagine risulti più confusa e il contrasto minore rendendo impossibile eseguire diagnosi accurate. Per ovviare a questo inconveniente sono state sviluppate diverse tecniche che, a livello strumentale, permettono di migliorare la qualità dell’immagine. Alcuni esempi sono le fat

suppression sequencies [3] o le water suppression sequencies [4] in cui si riesce ad annullare il

segnale del grasso e dell’acqua rispettivamente mettendo più in evidenza i tessuti che ne sono poveri. Tuttavia in alcuni casi nessun accorgimento di tipo strumentale permette di avere immagini con contrasto sufficiente e diviene necessario somministrare al paziente quelli che vengono comunemente detti “mezzi” o “liquidi di contrasto”.

Per descriverne il funzionamento è però ora necessario introdurre alcuni semplici concetti fisici che costituiscono la base per comprendere il meccanismo con cui tali mezzi di contrasto permettono di ottenere immagini migliori.

Si accennerà quindi in maniera intuitiva alla fisica della risonanza magnetica secondo un approccio semiclassico e si darà una semplice descrizione del principio di funzionamento della ricostruzione di immagini secondo questa tecnica.

(9)

9

Fisica dell’NMR: approccio semiclassico

Si dice approccio semiclassico perché i momenti magnetici di spin considerati possono assumere solo valori discreti come nella descrizione quantistica dei momenti ma la magnetizzazione risultante e l’interazione dei momenti con il campo magnetico vengono descritte classicamente.

Dinamica del momento magnetico di spin in campo magnetico

Un momento magnetico µ di spin (con numero quantico di spin s) ha modulo  = ħ( + 1). A causa del carattere quantistico dello spin la proiezione lungo z del momento magnetico può assumere 2s+1 valori; in particolare  = ħ con –  < < . Considerando classicamente il sistema si può supporre che, in presenza di un campo magnetico  lungo z, la componente residua  sul piano x,y del momento magnetico preceda su tale piano secondo la relazione classica 

  

 =

 × . La frequenza caratteristica di questa precessione viene detta frequenza di Larmor ed è pari 

a  = 

 =

 !

. Ponendosi in un sistema di riferimento ruotante con velocità angolare # e asse

lungo z è possibile riscrivere la relazione come  

 =  × ( + #). Scegliendo   = −%  =

−# cioè facendo ruotare il sistema di riferimento con la stessa frequenza della precessione, si può descrivere il vettore momento magnetico come un vettore costante nel sistema di riferimento ruotante (Figura I. 3 (a-b)). In un esperimento NMR la magnetizzazione di un campione è la somma dei contributi dei momenti magnetici degli spin presenti nel campione stesso, & = ∑ )(. Di conseguenza il vettore magnetizzazione giacerà anch’esso lungo l’asse z (Figura I. 3 (c-d)). Se oltre al campo magnetico lungo z nel sistema del laboratorio viene applicato un campo variabile in maniera sinusoidale lungo x, i momenti magnetici sono indotti a precedere anche intorno a questo campo variabile portando la magnetizzazione sul piano x,y. Decomponendo il campo lungo x come 

 = sin(%-) ./ = 0sin(%-) ./ + 12(%-)3/4 + 0sin(%-) ./ − 12(%-)3/4 =  + 5  6

si ha che nel sistema di riferimento ruotante una delle due componenti è ferma e costante lungo x’ mentre l’altra precede a frequenza doppia che nel sistema del laboratorio. Ponendosi nel sistema di riferimento ruotante si ha che la componente del campo  che giace lungo x’ tende a far precedere la magnetizzazione sul piano y’,z’ con velocità angolare % =  (Figura I. 3 (e-f)). Se il campo lungo x ha una durata limitata la magnetizzazione si troverà alla fine dell’impulso ad un angolo rispetto all’asse z pari a -. Nel sistema del laboratorio si avrà quindi una magnetizzazione precedente alla frequenza di Larmor sul piano x,y.

(10)

10

Figura I. 3. (a) Le popolazioni di spin precedono nel sistema del laboratorio. (b) Le popolazioni di spin sono statiche nel sistema ruotante (c) e (d) La magnetizzazione, media sulla popolazione degli spin, è sull’asse z per entrambi i sistemi. (e) La magnetizzazione si muove nello spazio mentre il campo B1 oscilla su x. (f) La magnetizzazione precede intorno a x’ nel sistema ruotante. (e) ed (f) rappresentano un impulso a 90° nei due sistemi.

(11)

11

Questo piccolo modello è la base fisica dell’NMR; infatti, mettendo il sistema di spin in un campo magnetico statico e irraggiandolo con un campo trasversale variabile alla frequenza di risonanza di adeguata intensità e durata, è possibile ruotare di 90° la magnetizzazione nel piano y’,z’. Spegnendo il campo variabile  e lasciando precedere la magnetizzazione attorno alla direzione del campo statico , si rileva all’interno del solenoide una corrente indotta che viene misurata determinando il segnale NMR.(Figura I. 4).

Figura I. 4. La magnetizzazione inizialmente parallela al campo magnetico viene portata sul piano perpendicolare dall’impulso applicato lungo x. La variazione del flusso di campo magnetico dovuta al precedere degli spin viene rilevata mediante il passaggio di corrente nel solenoide.

Per come è stato descritto il sistema fino ad ora la magnetizzazione longitudinale e la magnetizzazione trasversale dovrebbero rimanere costanti in assenza di un campo perpendicolare all’asse z. Tuttavia, come accade immergendo un magnete permanente all’interno di un campo magnetico che raggiunge uno stato di equilibrio non oscillante solo in presenza di attrito, si ha che in assenza di accoppiamento del sistema di spin con l’ambiente (in pratica in assenza della possibilità di scambiare energia) il sistema conserva il proprio stato di magnetizzazione mentre in presenza di un accoppiamento può rilassare verso una posizione di equilibrio in cui c’è una magnetizzazione permanente lungo z.

Nelle “equazioni del moto” dei momenti magnetici è quindi ragionevole aggiungere un termine che tenga conto di questo fatto. Sommando il contributo di ogni momento si ottiene per la magnetizzazione:

eq. I.1

& (-) =& − &7 (-)

 + 8& × 9

&:(-) =−&7:(-)

 + 8& × 9:

&;(-) =−&7;(-)

 + 8& × 9;

(12)

12

Il termine aggiuntivo può essere spiegato andando ad analizzare le popolazioni degli stati. Si noti che sono stati introdotti due tempi caratteristici 7 e 7 differenti per il rilassamento longitudinale e trasversale. In linea di principio essi dovrebbero essere differenti, come in effetti sono, in quanto il primo, come si vedrà a breve, riguarda processi con scambio di energia mentre il secondo non lo richiede.

Per comprendere il termine 7 è possibile seguire il ragionamento che segue. Supponendo per ora solo due stati (spin 1/2) si ha all’equilibrio, in presenza di meccanismi di rilassamento e ricordando che < = −ħ (con == rispenttivamente probabilità di transizione di salita e di discesa)

eq. I.2 @A

@B = C Aħ !

DE = =↓

=↑

Inoltre per le popolazioni dei due stati abbiamo

eq. I.3

F @B

F- = =↓@A− =↑@B F @A

F- = −=↓@A+ =↑@B E per la magnetizzazione lungo z, & = @B− @A

eq. I.4 F & F- = 2(=↓@A− =↑@B) = (−=↓@B+ =↓@A) + (=↓@A+ =↓@B) + (−=↑@B+ =↑@A) + (−=↑@A− =↑@B) = (@B+ @A)(=↓− =↑) − (@B− @A)(=↓+ =↑) =(&7− & )  con & = @(H(H↓AH↑) ↓BH↑) e  EI= (=↓+ =↑).

È importante notare che non si potrebbe avere rilassamento della magnetizzazione longitudinale senza la presenza di termini dissipativi (che nel caso degli spin possono essere interazioni di tipo elettromagnetico) in quanto il principio di conservazione dell’energia richiederebbe che per ogni spin che, interagendo con un altro, passa dallo stato “su” a quello “giù” quest’ultimo faccia la transizione inversa. Comunemente si dice che il sistema di spin interagisce con il reticolo (termine ereditato dallo studio di sistemi allo stato solido in cui questa interazione avveniva mediante la produzione o l’assorbimento di fononi) che assume quindi un’importanza fondamentale e che, come vedremo poi, sta alla base del rilassamento stimolato dai mezzi di contrato.

(13)

13

Anche per quanto riguarda il termine T2 è possibile dare una spiegazione classica del fenomeno, anche se le equazioni che ne derivano non sono risolubili analiticamente. Essa, tuttavia, permette di comprendere come il processo di decadimento della magnetizzazione trasversale non richieda necessariamente lo scambio di energia con una riserva (il reticolo), come nel caso del T1, ma possa avvenire attraverso interazioni magnetiche tra spin (da ciò deriva il termine rilassamento spin-spin, talvolta usato per indicare il T2).

Due dipoli precedenti sul piano x,y , interagendo, modificano vicendevolmente il moto di precessione provocando una perdita di coerenza delle loro fasi. Lo stesso fenomeno, riprodotto da tutte le coppie di spin presenti nel campione, porta ad una perdita netta di magnetizzazione trasversale pur conservando l’energia complessiva del sistema composto dagli spin. Poiché tale sfasamento è di tipo microscopico è impossibile recuperare la magnetizzazione perduta attraverso impulsi di campo magnetico. Anche in condizioni sperimentali ottimali si osserva sempre, quindi, una diminuzione della magnetizzazione trasversale in funzione del tempo. L’origine di questo sfasamento può essere ascritto al secondo principio della termodinamica. Gli spin che interagiscono si portano infatti in uno stato entropicamente favorito grazie al maggior numero di configurazioni accessibili rispetto alla singola configurazione con gli spin allineati. Il processo è quindi irreversibile essendo necessaria una diminuzione di entropia per tornare ad uno stato con tutti gli spin in fase.

Il decadimento di magnetizzazione secondo il tempo T2 non va però confuso con il decadimento di magnetizzazione trasversale che si ha dopo aver portato la magnetizzazione sul piano x,y a livello sperimentale. A causa delle inomogeneità del campo magnetico dello strumento si ha un fenomeno di perdita di coerenza simile a quello appena descritto. Tuttavia vi è la differenza fondamentale che con opportune sequenze di impulsi (vedi sezione successiva) è possibile recuperare la magnetizzazione annullando gli effetti della disomogeneità. Tale tempo viene detto T2* ed ha origine macroscopica-strumentale. Si noti che le disomogeneità, oltre a poter essere causate dall’apparato strumentale in sé (effetto particolarmente importante nel caso di utilizzo di elettromagneti) sono in parte originate dalla stessa presenza del campione che, magnetizzandosi leggermente, modifica l’intensità e la forma delle linee di campo che lo attraversano.

I tempi caratteristici che sono stati appena descritti sono correlati fra loro. In particolare T2*<T2<2T1. La prima disuguaglianza è già stata spiegata in quanto all’effetto dell’interazione spin-spin che determina il T2 si aggiunge anche l’effetto dello sfasamento che, insieme, determinano il T2*. La seconda disuguaglianza ha invece origine quantistica e si ricava dalle espressioni di T1 e T2 ricavate dalla teoria.

(14)

14

Misura dei tempi di rilassamento

I tempi T1 e T2 sono tempi caratteristici di un sistema di spin. Per determinarli esistono particolari sequenze di impulsi che permettono di ricavare tali valori alcune delle quali vengono presentate in questa sezione. Sequenze simili vengono effettivamente utilizzate negli esperimenti MRI secondo quanto verrà mostrato in seguito.

Inversion recovery

Per misurare il tempo di rilassamento T1 si utilizza solitamente la sequenza di impulsi comunemente nota come “Inversion recovery” (Figura I. 5).

Figura I. 5.(a) La magnetizzazione è allineata con il campo magnetico. (b) La magnetizzazione viene invertita mediante un impulso a 180° lungo x. (c) La magnetizzazione viene lasciata tornare all’equilibrio per un tempo τ variabile da esperimento ad esperimento (τ1 < τ2 in questo esempio). (d) La magnetizzazione viene portata sul piano x,y da un impulso lungo x e ne viene misurata l’intensità.

Il campione in uno stato di magnetizzazione di equilibrio o quasi-equilibrio è inizialmente sottoposto a un impulso lungo x tale da invertirne la magnetizzazione protonica (180°); il sistema viene quindi lasciato indisturbato per un tempo τ variabile e infine sottoposto ad un ulteriore

(15)

15

impulso lungo x che porta la magnetizzazione sul piano perpendicolare (90°) cosicché possa essere rilevata mediante la corrente indotta nelle bobine.

Interpretando il sistema secondo le equazioni di Bloch abbiamo che la magnetizzazione, inizialmente invertita dopo l’impulso a 180°, torna al valore iniziale secondo un’esponenziale con tempo caratteristico T1.

eq. I.5 &

(J) = &K1 − 2CA LEM

In particolare si ha che per τ ~ 0,69 T1 la magnetizzazione risulta azzerata e che per τ ~ 5 T1 essa può essere considerata tornata al valore iniziale.

Figura I. 6 magnetizzazione durante un esperimento di inversion recovery

Per misurare il tempo di rilassamento si ripete quindi la sequenza di impulsi “Inversion Recovery” con tempi τ diversi in modo che dopo l’impulso a 90° si abbiano magnetizzazioni trasversali di intensità diversa in funzione del tempo atteso. Se si esegue l’esperimento un adeguato numero di volte è quindi possibile fittare i dati di magnetizzazione in funzione del tempo τ mediante l’eq. I.9 ottenendo un valore per il parametro T1.

Altri esperimenti per ricavare il T1 si possono eseguire per esempio con sequenze di Saturation

Recovery e Lock-Locker. Nel primo caso la magnetizzazione viene portata a 0 mediante un forte

impulso a radiofrequenza e quindi lasciata tornare per un certo tempo verso il valore di equilibrio; la magnetizzazione viene quindi abbattuta con un impulso a 90°. Come nel caso precedente la magnetizzazione trasversale è diversa in funzione del tempo atteso tra l’impulso saturante e l’impulso a 90°. Registrando l’intensità della magnetizzazione a vari valori di τ si ottiene il valore del parametro T1. Nella sequenza Look Looker invece la magnetizzazione, inizialmente invertita con un impulso a 180°, viene fatta precedere di pochi gradi a intervalli di tempo regolare mediante

(16)

16

un breve impulso in radiofrequenza. Il segnale ricavato dopo ogni breve impulso permette quindi di ricavare il tempo T1 mediante un’opportuna rielaborazione matematica.

Spin Echo

Per misurare il tempo di rilassamento T2 si utilizza invece la sequenza detta “Spin Echo”. Il tempo di rilassamento T2 corrisponde al tempo caratteristico con cui la magnetizzazione trasversale torna a zero (valore di equilibrio) dopo essere stata portata al suo valore massimo dall’impulso a 90°.

eq. I.6 &

:(J) = &CA LE

Tuttavia le inevitabili disomogeneità del campo nel campione portano i diversi spin a precedere a frequenze leggermente diverse gli uni dagli altri. Per questo motivo la magnetizzazione misurata, che può essere vista come la somma vettoriale delle magnetizzazioni microscopiche di ogni spin, si azzera molto più velocemente di quanto non farebbe in un campo uniforme. In particolare il segnale decade ancora una volta in maniera esponenziale secondo la costante caratteristica T2*. Per ovviare a questo problema è stata ideata una sequenza basata sul fenomeno detto “Spin Echo”. Sottoponendo al tempo τ il campione ad un impulso a 180°, dopo l’iniziale impulso a 90° a tempo 0, si osserva che la magnetizzazione torna a crescere fino ad un valore massimo che viene raggiunto al tempo 2τ per poi ridiscendere verso lo 0 con tempo caratteristico. Pensando a 3 momenti magnetici di spin posti in campi leggermente diversi (Figura I. 7), si ha che all’aumentare di τ gli spin si sfasano; tuttavia dopo l’impulso a 180° lo spin che era in un campo maggiore ed era preceduto più velocemente, precede ora in direzione inversa più velocemente, quello nel campo intermedio a velocità intermedia e così via. Accade quindi che la differenza di fase tra gli spin creatasi nella prima precessione viene annullata dopo un ulteriore tempo τ e i 3 spin si trovano nuovamente allineati con una magnetizzazione complessiva che localmente ha un massimo al tempo 2τ. Estendendo il ragionamento a tutti gli spin del campione si ha ancora un massimo e si può capire come il suo valore sia in realtà sottoposto a decadimento esponenziale dovuto al solo T2.

(17)

17

Figura I. 7 (a) La magnetizzazione viene portata sul piano x,y. (b) e (c) Gli spin precedono alla frequenza di Larmor. (d) Dopo un tempo τ gli spin sono preceduti con frequenze differenti. (e) Dopo l’impulso a 180° il loro ordine è invertito con quello che precede più lentamente “inseguito” dallo spin più veloce. (f) La fase e la coerenza degli spin è ristabilita ad un tempo 2τ.

Gli esperimenti di Inversion Recovery e Spin Echo presentano entrambi la necessità di essere ripetuti con tempi τ differenti in modo da poter misurare le costanti che determinano l’andamento dei decadimenti delle componenti longitudinale e trasversale della magnetizzazione. È chiaro che questo comporta un problema di tempi di misura in quanto è necessario riportare all’equilibrio il sistema per poter ripetere l’esperimento il che, in alcuni casi, potrebbe significare attendere per molto tempo se i tempi caratteristici hanno valori elevati.

Nel caso della misurazione del T2 è stata ideata una sequenza che riduce di almeno 2/3 il tempo necessario a raccogliere le coppie di valori τ, &:. Essa si basa sull’effetto spin echo e viene utilizzata per avere una determinazione del tempo di rilassamento T2 di un campione in un solo esperimento. Alla normale sequenza spin echo con tempo di attesa τ viene quindi aggiunto un treno di impulsi a 180° intervallati da un tempo di attesa 2τ. In questo modo per tempi 2nτ si ha un picco

(18)

18

di magnetizzazione trasversale la cui diminuzione in funzione del tempo è determinata dal solo tempo T2. Il sistema, appena avvenuto uno “spin echo”, si trova nella stessa situazione in cui era dopo l’impulso a 90° e di conseguenza è possibile pensare la sequenza come una serie di sequenze “spin echo” ripetute. La Figura I. 8 ([5]) mostra un esempio del segnale ottenuto in questo tipo di esperimento detto CPMG (dal nome degli ideatori Carr Purcell Meiboom Gill).

Figura I. 8 FID di un esperimento CPMG. Per τ = 0 si è avuto un impulso a 90° e in corrispondenza di ogni linea verticale si è avuto un impulso a 180°. Si noti il decadimento esponenziale dei massimi a tempi 2nτ.

Mediante questa sequenza in realtà si recuperano anche gli effetti della diffusione: durante una normale sequenza Spin Echo infatti si ha a causa della diffusione un recupero non totale della magnetizzazione trasversale per la diversa posizione degli spin tra il primo impulso a 90° e l’impulso a 180°. Ripetendo una sequenza di echi tale effetto viene però mediato e dopo un numero di echi sufficiente esso può essere ritenuto trascurabile [6].

(19)

19

Imaging: principi e tecniche di ricostruzione

dell’immagine

In un normale esperimento di risonanza magnetica la strumentazione registra le variazioni di corrente che vengono indotte nelle bobine a causa della precessione della magnetizzazione trasversale dei vari spin all’interno del campione. Normalmente, in presenza di un campo omogeneo, si utilizza l’esperimento NMR per determinare il tipo di molecola presente nel campione basandosi sul fatto che la diversa struttura elettronica intorno ad un nucleo varia leggermente il campo magnetico presente sul nucleo stesso con conseguente variazione della sua velocità di precessione (il cosiddetto Chemical Shift). Il segnale rilevato viene quindi scomposto secondo Fourier nelle sue componenti di frequenza, le cui intensità vengono riportate in grafico permettendo di riconoscere qualitativamente dalla posizione il tipo di gruppo in cui è presente il nucleo e dall’intensità del segnale la frequenza con cui esso è contenuto nella molecola. Nel caso della risonanza magnetica per immagini (Magnetic-Resonance-Imaging, MRI) si introducono gradienti di campo magnetico che generano frequenze di precessione diverse in zone diverse del campione, realizzando così un encoding della distribuzione spaziale degli spin nel dominio delle frequenze. Supponiamo per ora che nel campione vi sia un solo tipo di spin e che, dopo l’impulso a 90°,si applichi un gradiente di campo magnetico tale che la componente z del campo magnetico statico dipenda dalla posizione lungo l’asse x. Tutti gli spin che si trovano a valori piccoli di x precedono a frequenze minori di quelli che si trovano a x grandi secondo l’equazione:

eq. I.7 % = 

NO + P:.NO

di conseguenza nelle bobine si genera un insieme di segnali a frequenza diversa con una corrispondenza diretta tra frequenza del segnale e posizione lungo x della magnetizzazione di spin locale che lo ha indotto. Si noti che l’intensità del segnale è pari alla quantità di spin aventi quella x, cioè è l’integrale su y dei segnali dei voxel aventi la x data (Figura I. 9 (a)). In (Figura I. 9 (b) [7]) si mostra come applicando gradienti lungo direzioni differenti sul piano x,y sia possibile ottenere più spettri i cui segnali dipendono dalla posizione degli spin presenti nel campione. Le informazioni ottenute permettono di scrivere un sistema lineare che ha come termini noti le intensità rilevate in funzione di direzione e frequenza, come coefficienti le posizioni sul piano x,y dei voxel che contribuiscono all’intensità del segnale in frequenza e come variabili l’intensità del segnale del singolo voxel. Risolvendo il sistema ed ottenendo il valore delle variabili è possibile quindi ricavare l’intensità del segnale del voxel e di conseguenza ricomporre l’immagine.

(20)

20

Figura I. 9 Un gradiente di campo modifica la frequenza di risonanza in funzione della posizione. Applicando gradienti in direzioni diverse è possibile ricostruire le immagini dalle informazioni ottenute identificando la posizione della fonte di emissione del segnale mediante un apposito algoritmo.

Questo processo permette di identificare la posizione su x e y della magnetizzazione di spin ma non permette ancora di identificarne la posizione lungo z, necessaria, come già accennato nella prima parte dell’introduzione, alla definizione del voxel. Il processo che si utilizza per definire la posizione anche lungo l’asse z è molto semplice e si basa sull’applicazione di un gradiente di campo lungo z, durante l’impulso di abbattimento della magnetizzazione sul piano x,y. In queste condizioni solo una “fetta” di spin è in risonanza con la radiofrequenza utilizzata per avere l’impulso a 90° (si utilizza in realtà un impulso la cui trasformata di Fourier ha il profilo di un onda quadra che viene detto Sinc) e di conseguenza solo tale fetta viene eccitata dall’impulso.

La composizione dei due sistemi permette già di per sé di ottenere una localizzazione 3D della densità di spin presente in un campione.

Il metodo di ricomposizione delle immagini descritto, seppur istruttivo, non viene più utilizzato. Al giorno d’oggi si sfrutta la tecnologia sviluppata per l’NMR in due dimensioni come base per ottenere la ricostruzione delle immagini. Come negli esperimenti NMR-COSY (COrrelation

SpectroscopY), TOCSY (TOtal Correlation SpectroscopY) ecc. l’esperimento consiste in realtà in

una successione di esperimenti ripetuti in condizioni simili, ma non identiche, che, mediante l’applicazione della trasformata di Fourier in 2 dimensioni, permettono di ottenere un grafico 2D con vari segnali. Mentre nel COSY e nel TOCSY tali segnali hanno frequenze in x e y corrispondenti al chimical shift dei protoni che li generano, nel metodo MRI moderno le frequenze in x e y corrispondono alla posizione del protone che li genera grazie ad un meccanismo basato ancora una volta su gradienti di campo magnetico. La localizzazione in z ed in x viene eseguita come nel caso precedente mediante l’impulso Sinc in presenza di un gradiente lungo z e di un gradiente lungo x durante la rilevazione (Figura I. 10 (a-b)).

(21)

21

Figura I. 10 (a) Sequenza di impulsi e gradienti utilizzata per la ricostruzione di immagini. (b) selezione della fetta mediante impulso sinc in presenza di un gradiente lungo z; solo la magnetizzazione ad un dato intervallo di z viene abbattuta sul piano x,y.

La localizzazione lungo y avviene invece mediante codifica di fase: dopo l’impulso Sinc la magnetizzazione trasversale viene lasciata evolvere per un certo tempo in presenza di un gradiente (variabile da esperimento a esperimento) lungo y detto gradiente per la codifica di fase che viene quindi spento per lasciar posto al gradiente lungo x detto gradiente per la codifica di frequenza (Figura I. 10 (c-d) [7]).

Figura I. 10 (c) Il gradiente lungo y viene applicato in un primo momento e cambia la fase della magnetizzazione in funzione della posizione y. (d) Il gradiente lungo x esercitato durante la rilevazione del segnale varia la frequenza di risonanza della magnetizzazione in funzione della sua posizione lungo x.

(22)

22

Il segnale ricevuto in ogni sottoesperimento viene “accostato” a quello precedente fino a formare una tabella di dati in due dimensioni. La loro trasformata di Fourier va quindi a formare l’immagine MRI. Nella Figura I. 11 [7] viene presentato un esempio per un solo voxel occupato da spin la cui immagine viene ricostruita.

Figura I. 11 (a) Posizione dell’elemento di magnetizzazione. (b) Set di segnali registrati. (c) Segnale a cui è stata applicata la trasformata di Fourier rispetto al segnale modificato dal gradiente lungo x. (d) Al precedente grafico viene applicata anche la seconda trasformata e formazione dell’immagine.

(23)

23

Necessità del contrasto

Lo schema presentato nella sezione precedente permette di localizzare nello spazio un sistema di spin grazie al segnale NMR da esso emesso. Quando si esegue una scansione MRI del corpo umano si riceve il segnale dei protoni presenti nell’acqua dei tessuti il quale, ricostruito secondo il metodo precedente, fornisce una mappa della densità dell’acqua stessa all’interno del corpo (nell’ipotesi di non avere interferenze da parte dei protoni di zuccheri, grassi e proteine). Come è possibile vedere nella Tabella I. 1, nella quasi totalità dei tessuti del corpo l’acqua è una frazione intorno al 70-80%, di conseguenza, se si utilizzassero le sole sequenze appena descritte, il segnale visualizzato nei diversi

voxel avrebbe un’intensità simile per quasi

tutti i tessuti del corpo non permettendo di riconoscere e distinguere un organo dall’altro e soprattutto condizioni patologiche all’interno degli stessi. Vedi Tabella I. 1 [8]

Fortunatamente i vari tessuti dell’organismo presentano tempi di rilassamento T1 e T2 diversi da tessuto a tessuto rendendo così possibile ottenere immagini con contrasto superiore rispetto a quello che deriverebbe dalle sole differenze di densità protonica. Le sequenze di impulsi utilizzate sono quindi una composizione di quelle descritte nella seconda sezione dell’introduzione Spin Echo e

Inversion Recovery combinate con il meccanismo di ricostruzione delle immagini (Figura I. 12 [7]).

Figura I. 12 (a) Sequenza Spin Echo-MRI: la sequenza Spin Echo classica è ripercorsa cambiando l’impulso a 90° con un impulso sinc; all’aplicazione di ogni pulso sinc si applica un gradiente per la selezione della fetta; il gradiente per la codifica di fase è applicato normalmente mentre il gradiente per la codifica della frequenza viene applicato anche durante la fase in modo che dopo l’impulso sinc a 180° si possa avere un echo (gli spin devono precedere alla stessa frequenza prima e dopo l’impulso a 180°). (b) Sequenza Inversion Recovery-MRI: un impulso a 180° di tipo sinc viene applicato insieme al gradiente per la selezione della fetta all’inizio della sequenza che poi procede come uno spin echo. Questo permette di avere in segnale basato sul T1.

Tessuto Percentuale di acqua

Muscolo schelettrico 79.2 Cuore 80.2 Fegato 71.1 Reni 81.0 Materia bianca 84.0 Materia grigia 70.6 Fluido cerebrospinale 96

(24)

24

La sequenza Spin-Echo-MRI permette di pesare le immagini per il T2 dei tessuti. La magnetizzazione trasversale dei tessuti caratterizzati da un T2 più breve decade rapidamente, e il segnale associato sarà inferiore, risultando in una tonalità più scura quando si usi una scala di grigi per rappresentarne l’intensità. Al contrario, componenti con T2 lunghi risulteranno più chiare nell’immagine. Si noti inoltre che se si aspetta troppo per ottenere il segnale di Echo (se TE in Figura I. 12 (a) è troppo lungo) allora tutti i segnali risulteranno deboli e l’immagine poco contrastata.

Il tempo ottimale per ottenere il segnale più contrastato non è altro che il massimo della differenza dei due segnali (con QReQS densità di protoni nei tessuti a e b)

eq. I.8 F F 7< TQRCA EUEV− QSCA EUEWX = 0 7< =7272R72S R− 72Sln ( 72R 72S QS QR)

Per quanto riguarda invece le immagini basate su T1 si ha l’effetto contrario: tessuti con T1 molto corti riacquisiscono la loro magnetizzazione in tempi più brevi di tessuti con T1 lunghi e di conseguenza, se il tempo di echo (TE Figura I. 12 (b)) è ridotto il più possibile si ha che il segnale dipende solo da TI (Figura I. 12 (b)). È quindi possibile distinguere tessuti con T1 differente.

Figura I. 13 Per T1 più brevi la magnetizzazione torna al valore di equilibrio in maniera più rapida che per T1 lunghi. Se la magnetizzazione viene abbattuta a tempi opportuni (TI non troppo lunghi o corti) si ha la formazione di un’immagine contrastata.

(25)

25

Nel caso delle immagini basate su T1 il TI ottimale per il maggior contrasto ha anche in questo caso

eq. I.9 F F- TQRT1 − 2CA E[EVX − QS(1 − 2CA E[EW)X = 0 7\ =7171R71S R − 71Sln ( 71R 71S QS QR)

Si noti inoltre che in campioni con T1 breve il sistema torna all’equilibrio velocemente ed è quindi possibile ripetere l’esperimento con maggiore frequenza ottenendo immagini con segnale su rumore elevato in tempi più brevi (TR più breve in Figura I. 12). Tale effetto è valido sia per le sequenze basate sul T2 che sul T1.

Mezzi di contrasto

In alcuni casi tuttavia il contrasto naturale non è sufficiente a generare immagini che permettano di distinguere con sufficiente precisione la natura del tessuto che si vorrebbe analizzare. Per esempio, anche nel caso di stati patologici è possibile che il tessuto affetto presenti T1 e T2 paragonabili a quello dei tessuti circostanti e per questo è possibile che passi inosservato o non sia ben identificabile nelle normali immagini. Tenendo conto che errori nella fase di diagnosi possono essere cruciali, ad esempio perché la terapia di cura dei tumori solidi prevede spesso la rimozione mediante operazioni chirurgiche invasive, è facile comprendere come sia necessario cercare di ottenere immagini con un contrasto migliorato artificialmente. Si utilizzano quindi particolari liquidi detti “liquidi di contrasto” che vengono iniettati nel sistema circolatorio del paziente e hanno la proprietà di andare a modificare le proprietà magnetiche dei protoni dell’acqua libera che con essi interagiscono diminuendone in particolare il T1 e/o il T2. I mezzi di contrasto si dividono in due categorie, in base al meccanismo di rilassamento sul quale intervengono:

a) mezzi di contrasto T1 o “positivi”, basati su ioni paramagnetici: agiscono sul rilassamento longitudinale della magnetizzazione rendendo più chiare le zone in cui si trovano nelle immagini pesate in T1;

b) mezzi di contrasto T2 o “negativi” , basati su nanoparticelle superparamagnetiche: agiscono sul rilassamento trasversale della magnetizzazione rendendo più scure le zone in cui si trovano nelle immagini pesate in T2.

(26)

26

A titolo di esempio, la Figura I. 14(a) e (b) ([9]) mostra l’efficacia degli agenti di contrasto negativi nella diagnosi di una metastasi nel fegato mediante immagini RMN basate su T2.

La penetrazione di nanoparticelle superparamagnetiche all’interno del fegato provoca un cambio di tonalità verso lo scuro del tessuto del fegato mettendo in evidenza la metastasi, non raggiunta dall’agente di contrasto.

La Figura I. 15 (a) e (b) ([2]) mostra invece una metastasi al fegato mediante immagini MRI basate su T1 di un’altra metastasi al fegato. In questo caso l’agente paramagnetico si accumula in maggior abbondanza all’interno della metastasi mettendola in evidenza grazie al cambio di tonalità verso il chiaro da essa provocato.

Ad oggi, circa il 30 % delle scansioni RMN richiedono l’utilizzo di mezzi di contrasto e il loro largo utilizzo ha generato un ampio mercato.

Lo sviluppo di nuovi mezzi di contrasto che permettano di migliorare la sensibilità e specificità della diagnosi mediante MRI e, in alcuni casi, di monitorare la risposta a trattamenti farmacologici, è una delle frontiere della ricerca.

Figura I. 14 Immagine pesata su T2 di una metastasi nel fegato (indicata dalla freccia)in un caso di cancro al colon prima (a) e dopo (b) l’iniezione di un agente di contrasto negativo.

Figura I. 15 Immagine pesata su T1di una metastasi nel fegato (indicata dalla freccia) in un caso di carcinoma del seno prima (a) e dopo (b) l’iniezione di un agente di contrasto positivo.

(27)

27

Analizzeremo nel prossimo capitolo le caratteristiche chimiche e biologiche che caratterizzano i mezzi di contrasto finora sviluppati per poi introdurre brevemente le loro proprietà magnetiche. Si definisce però ora il concetto di rilassività longitudinale ] e trasversale ] che corrisponde alla variazione indotta su T1 e su T2 dell’acqua per unità di concentrazione del mezzo di contrasto stesso eq. I.10 ^71_1 `a` b..c.= ^ 1 71_def+ ]0 . F. 1. 4 ^72_1 `a` b..c.= ^ 1 72_def+ ]0 . F. 1. 4

Come sarà chiarito in seguito la rilassività dipende fortemente dal valore del campo magnetico a cui si trova il mezzo di contrasto oltre che da altri parametri quali la diffusione, la velocità di rotazione e le caratteristiche elettroniche del mezzo di contrasto stesso. La discussione e le equazioni che permettono di prevedere le rilassività dei diversi mezzi di contrasto vengono rimandate al prossimo capitolo.

Agenti di contrasto positivi

I mezzi di contrasto che agiscono sul T1 sono, nella maggior parte dei casi, basati su ioni gadolinio complessati in vario modo. La specificità del gadolinio è quella di avere 7 elettroni spaiati nella forma ionica più stabile, cioè la forma 3+, con conseguente forte effetto magnetico sulle molecole che lo circondano. Altri ioni studiati a questo scopo il Mn2+ e Fe3+, tuttavia le prospettive applicative in questo caso sono più limitate.

Lo ione Gd3+ libero, tuttavia, è fortemente tossico: la dose letale 50 di GdCl3·6 H2O nel ratto è di

soli 0.2-0.5mmol/kg [10]. La tossicità è dovuta principalmente all’interferenza nei canali del calcio, date le dimensioni molto simili di Ca2+ e Gd3+, con conseguenti problemi neurologici e cardiovascolari [11]. Lo ione Gd3+, una volta iniettato si accumula nel fegato, nella milza, nei linfonodi e nelle ossa [12] , quindi viene espulso ad una velocità inferiore all’ 1% al giorno [13], velocità molto bassa che permette allo ione di danneggiare irreversibilmente i tessuti in cui è depositato.

Per questo, lo ione gadolinio non viene iniettato come tale, ma sottoforma di complessi a base di leganti “chelanti”, in maniera tale da diminuire drasticamente la sua tossicità. I complessi di gadolinio hanno dimensioni notevolmente diverse da quelle dello ione libero, pertanto non vanno più ad interferire con lo ione Ca++, inoltre in questa forma il gadolinio viene più facilmente espulso attraverso le reni e la via biliare. Ad esempio, la dose letale del complesso Gd-DTPA nel ratto è di

(28)

10 mmol/kg [14] e per Gd-DOTA è di

importante è la capacità del chelante di legare fortemente lo ione di gadolinio. Tanto più questo legame è forte e il complesso è

conseguenze indesiderate per l’organismo. È per questo che molti dei complessi utilizzati a livello clinico legano il gadolinio per 8 dei suoi 9 siti di

coordinazione diminuisce l’efficacia del comple

complesso potrà coordinare ed interagire soltanto con una molecola di acqua per volta. In Tabella I. 2 sono riportate alcune

relativi nomi commerciali

DOTA - DotaDotarem®

DTPA-BMA - Omniscan

EOB-DTPA - Eovist

28

DOTA è di 12.6 mmol/kg[15]). Un parametro

è la capacità del chelante di legare fortemente lo ione di gadolinio. Tanto più questo stabile, tanto meno ione gadolinio si libera nel

conseguenze indesiderate per l’organismo. È per questo che molti dei complessi utilizzati a livello clinico legano il gadolinio per 8 dei suoi 9 siti di coordinazione. Purtroppo l’occupazione dei siti di coordinazione diminuisce l’efficacia del complesso come agente di contrasto T1, poiché ciascun complesso potrà coordinare ed interagire soltanto con una molecola di acqua per volta.

alcune delle strutture più comuni di complessi d

DotaDotarem® DTPA - Magnevist®

Omniscan® DTPA-BMEA - OptiMARK®

Eovist® Hp-Do3a - ProHance

Un parametro che gioca un ruolo è la capacità del chelante di legare fortemente lo ione di gadolinio. Tanto più questo tanto meno ione gadolinio si libera nel sangue, evitando conseguenze indesiderate per l’organismo. È per questo che molti dei complessi utilizzati a livello Purtroppo l’occupazione dei siti di sso come agente di contrasto T1, poiché ciascun complesso potrà coordinare ed interagire soltanto con una molecola di acqua per volta.

delle strutture più comuni di complessi del gadolinio con i

Magnevist®

OptiMARK®

(29)

BT-DO3A - Gadovist

Tabella I. 2 Strutture dei principali agenti di contrasto positivi basati sullo ione gadolinio, con nome del legante e nome commerciale dell’agente.

Come già detto precedentemente, circa un terzo delle scansioni MRI richiede un mezzo di contrasto; di solito la maggior parte delle analisi avviene con i mezzi di contrasto positivi a causa della minore difficoltà di interpretazione e di training degli operatori sanitari. Se consideriamo quindi l’elevato numero di dosi somministrat

subito intendere come l’interesse non solo medico tipo di molecole sia molto elevato.

In Tabella I. 3 sono riassunte brevemente le caratteri positivi attualmente in commercio o in fase clinica

29 AngioMARK®

Gadovist® BOPTA - MultiHance

Strutture dei principali agenti di contrasto positivi basati sullo ione gadolinio, con nome del legante e

Come già detto precedentemente, circa un terzo delle scansioni MRI richiede un mezzo di contrasto; di solito la maggior parte delle analisi avviene con i mezzi di contrasto positivi a causa della minore difficoltà di interpretazione e di training degli operatori sanitari. Se consideriamo

i dosi somministrate annualmente per esami di risonanza magnetica subito intendere come l’interesse non solo medico-scientifico ma anche commerciale tipo di molecole sia molto elevato.

sono riassunte brevemente le caratteristiche chimico fisiche dei 9 agenti di contrasto in commercio o in fase clinica[16-23]

MultiHance®

Strutture dei principali agenti di contrasto positivi basati sullo ione gadolinio, con nome del legante e

Come già detto precedentemente, circa un terzo delle scansioni MRI richiede un mezzo di contrasto; di solito la maggior parte delle analisi avviene con i mezzi di contrasto positivi a causa della minore difficoltà di interpretazione e di training degli operatori sanitari. Se consideriamo per esami di risonanza magnetica si può scientifico ma anche commerciale verso questo

(30)

30 Gado terate meglumi ne Gado pentetate dimeglum ine Gado diamid e Gado verset amide Gado xetate disodiu m Gado teridol Gadobut rol Gado benate dimeglu mine Gado fosveset Sigla DOTA DTPA

DTPA-BMA DTPA-BMEA EOB-DTPA Hp- DO3A

BT-DO3A BOPTA assente

Brand Dotarem Magne vist Omni scan Opti MARK Eovist Pro Hance Gado vist Multi Hance Angio MARK Conc. (mol/L) 0.5 0.5 0.5 0.5 0.25 0.5 1.0 0.5 0.25 Strutt. e carica Ciclica

ionica Lin. ionica

Lin. non ionica Lin. non ionica Lin. ionica Ciclica non ionica Ciclica non ionica Lin. ionica Lin. ionica pKeq term. 25.8 22.1 16.9 16.6 23.5 23.8 21.8 22.6 22.1 pKeq cond. pH 7.4 18.8 18.1 14.9 15.0 18.7 17.1 n.t 18.4 18.9 R1 (37°C - 1.5 T) s-1 mmol-1 3.6 4.1 4.3 4.7 6.9 4.1 4.7 8.3 n.t. R1 (37°C - 3.0 T) s-1 mmol-1 3.5 3.7 4.0 4.5 n.t 3.7 3.6 6.2 n.t Metallo chelato (mg/ml) 278.3 469 287 330.9 n.t 279.3 605 334 n.t Eccesso chelato (mg/ml) 0 0.4 12 28.4 1.0 0.23 0.5 0 0.27 Dose mmol/kg 0.1 0.1 0.1 0.1 0.025 0.1 0.1 0.1 0.03 Escrez. Renale Renale Renale Renale

Renale e biliare Renale Renale Renale e biliare (4%) Renale e biliare (4.7%)

Tabella I. 3. Dati di interesse dei principali mezzi di contrasto basati sul gadolinio.

E’ evidente che le proprietà chimico fisiche di questi composti sono molto simili. La costante termodinamica di associazione è più alta per i composti ciclici, come è ragionevole aspettarsi per l’effetto macrociclico, in corrispondenza con una costante cinetica di dissociazione più piccola di 2 ordini di grandezza per gli stessi (non sono state determinate le costanti di tempo quantitativamente per tutti i composti considerati, tuttavia i composti lineari hanno costanti cinetiche di dissociazione intorno ai 10-2-10-3s-1 mentre i composti ciclici si assestano sui 10-5s-1 ). È riportata in tabella anche la più significativa costante di stabilità condizionale definita come

eq. I.11 gc`h = gRii

1 + gR0jB4 + gRgR0jB4+ …

La costante di stabilità condizionale permette di considerare la reale stabilità del complesso sotto l’interferenza del pH (a pH bassi il protone entra in competizione con il metallo nella formazione del legame con l’azoto del legante). Uno studio più accurato della stabilità richiederebbe di

(31)

31

analizzare anche l’interferenza di altri cationi quali rame, zinco, ecc. che fanno parte del metabolismo e potrebbero spostare il gadolinio grazie alla loro affinità per il legante stesso. Per evitare questo effetto molto spesso le case farmaceutiche preparano i liquidi di contrasto con un eccesso di chelante, il quale sequestra tali ioni dal circolo sanguigno prima che interferiscano con lo ione Gd3+ complessato.

Una differenza importante tra i vari chelanti è la rilassività specifica, un parametro che permette di valutare l’efficacia di un agente di contrasto. Come possiamo notare, i complessi Eovist e Multi Hance riportati in tabella I.3 presentano una rilassività sensibilmente più alta degli altri 6. Questo effetto è stato attribuito ai sostituenti idrofobici dei 2 complessi (uno o più fenili) che permettono l’interazione del complesso stesso con le proteine (l’albumina per esempio). Questo provoca un rallentamento del moto del complesso che, come vedremo nel capitolo successivo, determina un aumento della rilassività. Un altro aspetto interessante dovuto alla presenza di sostituenti idrofobici nel complesso è l’eliminazione per la via epato-biliare, che implica una concentrazione preferenziale del complesso stesso in queste zone con conseguente possibilità di utilizzo specifico per il contrasto del fegato e dell’intestino. Da qui è facile comprendere come l’eventuale coniugazione di uno di questi complessi con proteine, leganti, anticorpi o qualsiasi altro genere di molecole che sono preferenzialmente trasportate in una sezione specifica del corpo permetta l’enhancement del segnale di quella zona. La specificità degli agenti di contrasto è un aspetto che negli ultimi anni sta riscuotendo una grande attenzione da parte della comunità scientifica che si occupa di agenti di contrasto per MRI [24, 25].

In Tabella I. 3 sono riportate le concentrazioni delle varie soluzioni; la concentrazione è direttamente collegata alla viscosità della soluzione stessa che, se troppo elevata potrebbe arrecare problemi alla circolazione dopo l’iniezione (si noti che il Gadovist è l’unica soluzione iniettabile a concentrazione 1M, grazie al relativamente basso grado di viscosità del complesso in soluzione acquosa).

Agenti di contrasto negativi

I mezzi di contrasto negativi sono tali perché agiscono fortemente sul T2 e hanno quindi l’effetto di scurire la parte di immagine che corrisponde ad una loro maggiore concentrazione. Nella maggior parte dei casi tali mezzi di contrasto sono basati su nanoparticelle di magnetite (Fe3O4) o di

maghemite (Fe2O3) le quali, in presenza di un campo magnetico, si magnetizzano fortemente

secondo un comportamento detto superparamagnetico. L’effetto su T2 è dovuto al campo magnetico generato dalle nanoparticelle stesse che, modificando il valore del campo statico nel loro intorno, provoca una differenziazione della velocità di precessione dei protoni dell’acqua e uno

(32)

32

sfasamento del segnale che, di conseguenza, diminuisce drasticamente. Utilizzando quindi le sequenze indicate nelle sezioni precedenti per le immagini basate su T2 si ottiene un segnale che decade velocemente nelle regioni dove sono presenti le particelle con conseguente scurimento del

voxel corrispondente.

Le nanoparticelle di magnetite o maghemite sono di per sé insolubili e, per essere disperse in acqua o nel sangue, necessitano di essere ricoperte con molecole organiche idrofile. Tale ricoprimento viene chiamato, similmente a quanto accade con altre nanoparticelle, coating. Il sistema finito consiste quindi in un core inorganico, che ne determina le proprietà magnetiche, e da un ricoprimento organico che ne governa invece le proprietà chimiche, la differente biocompatibilità, le dimensioni del sistema particella-coating e la distribuzione nell’organismo. Si tenga conto che il

coating può avere un effetto anche sulle proprietà rilassometriche, infatti quando il suo spessore

diventa importante può ostacolare l’effetto magnetico del core sull’ambiente circostante. Sono invece rari i casi in cui il coating sia in grado di influenzare le proprietà magnetiche del core.

Dal punto di vista biologico le particelle di magnetite-maghemite presentano tossicità non critiche. In letteratura sono riportati numerosi studi chimico-fisici che dimostrano la maggior efficacia di altri materiali nanostrutturati come agenti di contrasto negativi (es. ferriti di manganese o di cobalto [26]), tuttavia proprio la tossicità di questi materiali ha fatto sì che l’attenzione della comunità scientifica si sia rivolta principalmente a magnetite e maghemite. Infatti gli ossidi di ferro sono inerti rispetto all’attività enzimatica, anche se sembrano risultare instabili a condizioni debolmente acide (pH ~5) in presenza di acidi complessanti come l’acido citrico [27], il che fa supporre una solubilizzazione del ferro in esse contenute a livello degli endosomi e conseguente trasferimento nei lisosomi; ad ogni modo il ferro, rilasciato fino a concentrazioni pari a 5 mMol [28] non sembra indurre risposte infiammatorie nelle cellule. Si noti inoltre che il coating oltre ad avere la funzione di rendere le particelle solubili in acqua è utile a rendere le nanoparticelle più inerti alla degradazione e meno riconoscibili dal sistema immunitario, migliorandone la biodistribuzione ed il tempo di emivita all’interno dell’organismo [29, 30]. Nella fattispecie se si utilizzano coating non ottimali il tempo di emivita delle particelle nel circolo sanguineo può essere anche solo di alcuni minuti [31], rendendo impossibile l’acquisizione dell’immagine contrastata.

Lo sviluppo commerciale dei mezzi di contrasto negativi sta avvenendo in questi ultimi anni. Molti mezzi di contrasto sono ora in fase III, alcuni sono stati già commercializzati e in alcuni casi anche già ritirati dal mercato; è comunque ragionevole aspettarsi un notevole sviluppo del mercato di questi mezzi di contrasto grazie alle nuove possibilità diagnostiche che essi presentano. Ad ora l’utilizzo è comunque molto limitato principalmente a causa della difficoltà di lettura delle

(33)

33

immagini da parte di operatori non adeguatamente formati. In Tabella I. 4 sono riportati alcuni tra i principali mezzi di contrasto basati su nanoparticelle magnetiche, con relative proprietà chimico-fisiche e rilassometriche [27-29, 32-38].

ferumoxide ferucarbotran feruglose Ferumoxsil

Brand Endorem Sinerem Resovist Supravist Clariscan Lumirem

Coating destrano carbossidestrano amido pegilato

[N-(2-amminoetil)-3-aminopropil] silossano Diametro core 4-6 4-6 5 5 6,3 10 Diametro idrodinamico 80-150 15-40 60 21 20 300 R1 (37°C -1.5 T) s-1 mmol-1 9.95 19.5 9.7 10.7 24 3 R2 (37°C -1.5 T) s-1 mmol-1 158 87.6 189 38 50 74 T1/2(h) 2 24-36 2.4-3.6 6 6 Uso orale

Tabella I. 4 Dati di interesse dei principali mezzi di contrasto basati sul gadolinio.

Si noti come per tutti questi mezzi di contrasto l’effetto su T2 sia più pronunciato che su T1 seppure, per le particelle più piccole, l’effetto su T1 possa essere comunque considerato rilevante. L’effetto più pronunciato su T2 è dovuto alla natura superparamagnetica delle nanoparticelle e alle loro dimensioni; si rimanda però la spiegazione fisica di questo fenomeno alle sezioni successive. Nel caso del ferumoxide e del ferucarbotran si hanno due brand e due utilizzi clinici diversi, pur trattandosi delle medesime particelle con lo stesso ricoprimento. Nel caso dell’Endorem e del Sinerem la differenza consiste nel fatto che mentre nel secondo caso le nanoparticelle si trovano in soluzione singolarmente, nel primo esse si trovano solitamente in forma di “bead”, una struttura composta da più nanoparticelle vicine avvolte nello stesso coating di destrano che non permette l’accesso dell’acqua al suo interno [28]. Nel caso di Resovist e Supravist invece si ha semplicemente una differente dimensione del coating. Si noti come le stesse particelle con coating di dimensioni più ridotte possano essere utilizzate per la diagnostica del circolo sanguineo, di zone tessuti infiammati o tumori mentre quelle con dimensioni maggiori sono più impiegate per l’imaging del fegato a causa del veloce e specifico meccanismo di escrezione epatica che le caratterizza. Le piccole dimensioni e l’idrofilicità del coating rendono infatti le particelle più difficilmente rilevabili da parte dalle cellule del sistema reticoloendoteliale con conseguente possibilità di diffusione e localizzazione prolungata in varie parti del corpo. Al contrario, particelle più grandi o parzialmente idrofobiche vengono subito riconosciute a causa del ricoprimento con proteine presenti nel plasma[30]) e portate velocemente nel fegato, milza e midollo osseo dove vengono distrutte per ottenere ferro utile alla sintesi del gruppo eme (come rilevabile attraverso

(34)

34

misure di radioattività su campioni di sangue di soggetti precedentemente trattati con nanoparticelle sintetizzate con l’isotopo radioattivo 59Fe[27]).

Attualmente la ricerca su mezzi di contrasto superparamagnetici si sta sviluppando su più fronti: diversi materiali, diversi coating organici, strutture core-shell [39, 40], biocompatibilità e targeting specifico [41, 42] sono solo alcuni dei temi ora caldi della ricerca.

Si procede ora ad una descrizione fisica dei mezzi di contrasto illustrandone le caratteristiche e dando ragione delle loro proprietà rilassometriche.

Proprietà magnetiche dei mezzi di contrasto

Nelle sezioni precedenti sono stati introdotti i mezzi di contrasto con maggiori effetti su T1 basati sullo ione Gd3+ aventi caratteristiche paramagnetiche e mezzi di contrasto con maggiori effetti su T2 basati su nanoparticelle di magnetite o maghemite di tipo superparamagnetico. Per comprendere le cause fisiche dei diversi effetti di questi mezzi di contrasto è necessario comprendere in cosa consiste la differente natura magnetica degli stessi.

A livello macroscopico sono facilmente distinguibili 3 principali tipi di materiali detti rispettivamente diamagnetici, paramagnetici e ferromagnetici. Essi si differenziano in primo luogo per la risposta del materiale al campo magnetico e per la magnetizzazione residua del materiale una volta che il campo magnetico venga rimosso. I materiali diamagnetici sono caratterizzati da una risposta “negativa” al campo magnetico, cioè da una tendenza del materiale a diminuire il campo al loro interno; i materiali paramagnetici invece hanno una risposta “positiva” al campo, tendendo ad aumentarlo quando vi sono sottoposti, ma non presentano una magnetizzazione permanente quando il campo viene rimosso. Al contrario i materiali ferromagnetici, aventi anch’essi una risposta “positiva” di intensità superiore a quella dei materiali paramagnetici, conservano un campo al loro interno anche quando il campo esterno viene rimosso.

Si analizzano ora brevemente le caratteristiche delle sostanze paramagnetiche e ferromagnetiche e quindi si presenta il fenomeno del superparamagnetismo possibile soltanto in sistemi di livello nanometrico che rappresenta, in un certo senso, il punto di congiungimento tra i due comportamenti.

Sostanze paramagnetiche

La trattazione delle proprietà magnetiche dei materiali richiede una brevissima definizione della terminologia utilizzata per caratterizzarli. Definita  la permeabilità magnetica del vuoto e bR la

Figura

Figura  I.  5.(a)  La  magnetizzazione  è  allineata  con  il  campo  magnetico.  (b)  La  magnetizzazione  viene  invertita  mediante un impulso a 180° lungo x
Figura  I.  7  (a)  La  magnetizzazione  viene  portata  sul  piano  x,y.  (b)  e  (c)  Gli  spin  precedono  alla  frequenza  di  Larmor
Figura I. 10 (c) Il gradiente lungo y viene applicato in un primo momento e cambia la fase della magnetizzazione  in  funzione  della  posizione  y
Figura I. 11 (a) Posizione dell’elemento di magnetizzazione. (b) Set di segnali registrati
+7

Riferimenti

Documenti correlati

Most analyses therefore have several inherent assumptions: 1) The only combinatorial background is from particles correlated with the reaction plane due to hydrodynamical flow in

Costante di tempo T2 o rilassamento spin spin- -spin spin: : le interazioni tra gli spin agendo sulla velocità dei protoni tendono a sfasarne il moto di precessione con

norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o in- ternati per i delitti

Kwaa-sing-bit (跨性別人士) individual is a Chinese word that can be loosely translated to mean a transgender or gender variant individual. Western writings have documented

Nella seconda sezione del capitolo, l’attenzione è stata incentrata sulla vita delle giovani donne istruite nella Cina urbana, figlie della prima generazione di genitori che

Per quantificare questi processi si può ricorrere a misure magnetiche, dalla conoscenza del campo magnetico, a misure calorimetriche, attraverso la misura della

In the last few years many efforts have been spent to extract information contained in text doc- uments, and a large number of resources have been developed that allow exploring

To showcase the capabilities of our proposal, we selected the three aforementioned fundamental image processing algorithms: connected components labeling, image skele-