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Il volo di un razzo in un campo gravitazionale è descritto dalla seguente equazione di moto:

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Academic year: 2021

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1. LA PROPULSIONE ELETTRICA

1.1 Generalità sulla propulsione spaziale

In un motore a reazione la spinta è generata, in accordo con la terza legge di Newton, per mezzo dell’accelerazione di un fluido di lavoro nella direzione opposta alla spinta stessa.

Si definisce “endoreattore” un veicolo che porti al suo interno sia il fluido di lavoro che la fonte energetica utili ai fini propulsivi.

Il volo di un razzo in un campo gravitazionale è descritto dalla seguente equazione di moto:

e g

m v m u ⋅ = ⋅ +   F (1-1)

dove:

m

= massa del veicolo;

v

= accelerazione del veicolo;

m

= portata del propellente in uscita dal motore;

u = velocità della massa di propellente relativa al veicolo nella

e

direzione della spinta, nel caso in cui abbia solo tale componente, oppure una velocità media equivalente, nel caso in cui abbia diverse componenti;

F = forza gravitazionale.

g

Se il razzo opera a u

e

costante in una regione dove il campo gravitazionale

locale è trascurabile rispetto alla spinta, oppure se espelle il suo propellente

(2)

durante un intervallo di tempo breve (spinta impulsiva), l’equazione di moto si riduce alla seguente:

m v m u ⋅ = ⋅  

e

(1-2)

che, integrata tra l’istante iniziale (accensione del propulsore) e l’istante finale (spegnimento del propulsore), fornisce la ben nota “equazione di Tsiolkowsky”:

ln i

e

f

v u M

∆ = ⋅ M

(1-3)

in cui ∆v rappresenta la variazione di velocità del veicolo essendo espulsa una quantità di propellente pari a M

i

– M

f

.

Le operazioni spaziali sono usualmente definite in termini del ∆v necessario alla loro realizzazione. Missioni impegnative come i trasferimenti interplanetari richiedono valori elevati di ∆v e ciò comporta un rapporto tra la massa iniziale e finale del razzo necessariamente elevato. La ricerca di propulsori caratterizzati da velocità di scarico ue confrontabili con i ∆v richiesti è mirata al contenimento di tale rapporto. Tenendo basso il rapporto tra massa iniziale e finale è infatti possibile utilizzare una maggiore frazione della massa iniziale per il trasporto del carico pagante, con ovvi vantaggi economici.

Dai dati riportati in Tabella 1-1 sui valori caratteristici degli incrementi di

velocità per vari tipi di missione si osserva facilmente che si possono

raggiungere valori di ∆v dell'ordine di 10

4

m/s. Per quanto detto sopra si

deduce che per certe missioni devono essere sviluppati propulsori e

propellenti che forniscano valori di velocità di scarico dell’ordine di 10

4

m/s.

(3)

Tipo di missione v manovre (m/s) Terra – L.E.O. (270 km di quota) 7600

L.E.O. – G.E.O. (42227 km di raggio) 4200

L.E.O. – Fuga dalla terra 3200

L.E.O. – Orbita lunare (7 giorni) 3900

L.E.O. – Orbita polare 300

L.E.O. – Marte (0.7 anni) 5700

L.E.O. – Nettuno (29.9 anni) 13400 L.E.O. – Fuga dal sistema solare 87000 L.E.O. – Alpha Centauri (50 anni) 30 ⋅ 10

6

NSSK 50/anno

EWSK 2 ÷3/anno

Tabella 1-1 Valori dell’incremento di velocità ∆v tipici di alcune missioni di interesse

1.2 Classificazione dei propulsori

I criteri distintivi in base ai quali classificare i vari sistemi propulsivi ad uso spaziale sono il processo accelerativo utilizzato e il tipo di energia che viene trasformata in spinta.

I processi accelerativi utilizzati si possono distinguere in:

-

gasdinamico: con questo processo si accelera un gas, contenuto ad alta pressione e temperatura all'interno di una camera di reazione, per mezzo di una espansione in un condotto di forma opportuna (ugello);

-

elettrostatico: con questo processo si accelera per mezzo di un campo elettrico un fluido elettricamente carico;

-

elettromagnetico: con questo processo si accelera un fluido

ionizzato ma globalmente neutro (plasma), per mezzo di forze

elettromagnetiche derivanti dall'interazione, nel plasma in

movimento, di una corrente ed un campo magnetico a questa

perpendicolare (forza di Lorentz).

(4)

I tipi di energie messi a disposizione ed utilizzate sono:

-

energia chimica: questo tipo di energia è liberata in seguito ad una qualsiasi reazione chimica esotermica;

-

energia nucleare: energia liberata in seguito a fissione o fusione nucleare;

-

energia elettrica: utile per generare i campi elettrici e/o magnetici necessari per ionizzare e/o accelerare il propellente.

Il parametro caratteristico comunemente utilizzato per quantificare le prestazioni di un sistema propulsivo spaziale, è l’ impulso specifico (Is) definito come il rapporto tra la spinta e la portata in peso utilizzata:

0 0

s e

T u

I = m g = g

 (1-4)

dove T è la spinta,

m

la portata massica , g

0

l’accelerazione di gravità al livello del mare e u

e

la velocità efficace di scarico.

L’impulso specifico è strettamente legato alla velocità efficace di scarico ma, essendo espresso in secondi, ha il notevole vantaggio di essere immediatamente interpretabile indipendentemente dal sistema di unità di misura adottato.

Nella seguente Tabella 1-2 si riporta la classificazione dei propulsori secondo

i criteri già illustrati e si indicano inoltre dei valori tipici per gli impulsi

specifici e, nel caso dei propulsori elettrici, anche la potenza richiesta per

unità di spinta prodotta.

(5)

Energia utilizzata Processo

accelerativo

impiegato Chimica Elettrica Nucleare

Prop. liquidi I

S

=300-450 sec

Resistogetti I

S

=300-400 sec

P'=5 kW/N Gasdinamico

Prop. solidi I

S

=180-250 sec

Arcogetti I

S

=1000 sec P'=10-15 kW/N

A Fissione I

S

=1000 sec

Motori a ioni I

S

=3-5 10

3

sec

P'=30 kW/N RIT I

S

=3-4.5 10

3

sec P'=25-30 kW/N Elettrostatico

FEEP I

S

=6000 sec P'=55 kW/N

Elettromagnetico

MPD I

S

=2-3 10

3

sec P'=30-40 kW/N

A Fusione I

S

=3000 sec

Tabella 1-2 Classificazione dei propulsori più comuni

1.3 La propulsione chimica e nucleare

Nel campo spaziale i propulsori di gran lunga più utilizzati sono quelli chimici con processo accelerativo gasdinamico. Questo tipo di propulsori può essere ulteriormente suddiviso in due categorie in base allo stato di aggregazione del propellente utilizzato che può essere solido o liquido. Gli I

s

caratteristici (Tabella 1-3) sono nell'intervallo 180 – 250 sec per i propellenti

solidi e nell'intervallo 300 – 450 sec nel caso dei propellenti liquidi.

(6)

Il meccanismo fondamentale su cui si basa la propulsione chimica è legato allo sviluppo di calore in camera di combustione in seguito a reazioni chimiche esotermiche ed alla successiva espansione ed accelerazione in un ugello dei prodotti della reazione ad alto contenuto entalpico.

L’energia utilizzata in questo tipo di propulsori è contenuta nei propellenti stessi sotto forma di legami chimici a livello molecolare. Non c'è quindi una vera e propria sorgente o sottosistema atto a rendere disponibile questa energia, ma sono le stesse reazioni chimiche che trasformano l'energia chimica del fluido di lavoro in entalpia.

Esistono comunque delle problematiche che limitano le prestazioni dei propulsori chimici:

-

l'energia resa disponibile dalle reazioni chimiche esotermiche è limitata dalla presenza di prodotti di reazione indesiderati;

-

una quota di energia non può essere sfruttata sia perché resta

"congelata" nei moti propri vibrazionali delle molecole del flusso d'uscita (frozen-flow losses), sia a causa delle perdite radiative imputabili al flusso;

-

elevati carichi termici e fenomeni di corrosione riguardanti le zone calde del propulsore inducono limiti tecnologici di realizzazione.

Tipo di motore Propellente I

S

(sec)

Liquido

O

2

– H

2

O

2

– RP-1 N

2

O

4

– MMH F – H

2

F

2

– N

2

H

4

450 350 300-340

410 425

Solido

Nitrato d'Ammonio − Resine Perclorato d'Ammonio − Resine Perclorato d'Ammonio − Alluminio

192 262 266

Tabella 1-3 Valori dell'Impulso specifico per propulsori chimici

L'utilizzo di una fonte di energia alternativa, come quella nucleare,

abbinata ancora ad un'accelerazione gasdinamica, permetterebbe di

raggiungere una soglia più elevata di energia disponibile per unità di massa di

propellente con incrementi dell' impulso specifico fino a 800÷1000 sec.

(7)

In questo caso la fonte di energia sarebbe costituita da una reazione di fissione nucleare.

Lo sviluppo di questa tecnologia è comunque tutt’oggi lento e difficoltoso a causa dei notevoli problemi di sicurezza e di peso ad essa connessi.

1.4 La propulsione elettrica

Nelle applicazioni spaziali si definisce propulsione elettrica :

“l’accelerazione di un gas per la propulsione mediante riscaldamento elettrico e/o per mezzo di forze di massa elettriche e/o magnetiche”(Jahn).

La propulsione elettrica, nell’arco degli ultimi dieci anni, si è affermata come una valida alternativa alla propulsione chimica in molti campi di applicazione, in particolar modo nelle missioni a bassa spinta. Una delle maggiori ragioni di questo successo è sicuramente il ridotto consumo di propellente di cui sono capaci questi propulsori.

1.4.1 Classificazione

Una semplice classificazione dei propulsori elettrici può essere fatta in base al processo accelerativo utilizzato; si ottengono così le seguenti tre categorie di propulsori elettrici:

-

elettrotermici;

-

elettrostatici;

-

elettromagnetici.

I propulsori elettrotermici sfruttano l’energia elettrica per riscaldare il gas che viene poi accelerato con un processo gasdinamico (espansione in un ugello). Di questa categoria fanno parte:

-

resistogetti (Figura 1-1): il propellente acquista energia fluendo a

contatto con una superficie riscaldata per effetto Joule, da cui

assorbe calore per convezione, e viene successivamente accelerato

in un ugello fino ad ottenere I

S

dell'ordine di 200-400 sec;

(8)

-

arcogetti (Figura 1-2): un arco elettrico riscalda direttamente il flusso di propellente che lo investe, essendo l'arco a temperature molto elevate; la scarica elettrica si estende, a forma di ombrello, dalla punta di un catodo centrale fino alla parete dell'ugello coassiale al catodo, subito a valle della sezione ristretta; l'I

S

è dell'ordine di 450-1000 sec.

Figura 1-1 Schema di un resistogetto.

Figura 1-2 Foto e particolare schematico di un arcogetto.

(9)

Ben diversi sono i propulsori elettrostatici che impiegano energia elettrica e processo accelerativo elettrostatico; tra questi si fa in particolare riferimento a:

-

propulsori ad emissione ad effetto di campo (FEEP) (Figura 1-3):

piccole quantità di propellente liquido sono portate, per capillarità, verso regioni dove un intenso campo elettrico strappa gli ioni dalla superficie del liquido, secondo un meccanismo detto dei coni di Taylor, e quindi li accelera fino ad ottenere un I

S

di circa 4000÷6000 sec.

-

propulsori a bombardamento elettronico (Figura 1-4): ioni positivi sono ottenuti dal bombardamento di un gas propellente, come Xenon o Mercurio, da parte di elettroni emessi per effetto termoionico da catodi incandescenti; tali ioni sono successivamente accelerati da un campo di forza elettrostatico generando la spinta;

per l'I

S

si hanno valori di 3000÷4500 sec;

Accelerator Emitter

Propellant reservoir

Slit

Neutralizer

Ve Va Vn

M+

e-

Figura 1-3 Schema di un propulsore FEEP.

(10)

Figura 1-4 Schema di un propulsore a bombardamento ionico.

La propulsione elettromagnetica è utilizzata, infine, da quei motori che usano energia elettrica e processo accelerativo elettromagnetico sfruttando la forza di Lorentz; si distinguono in:

-

propulsori MPD (Magneto-Plasma-Dinamici) senza campo magnetico applicato (fig. 1.5): il propellente fluisce nello spazio tra gli elettrodi e viene ionizzato dalla scarica di corrente presente tra anodo e catodo; l'interazione tra la corrente che attraversa il fluido ed il campo magnetico autoindotto dalla corrente stessa produce una forza di massa che accelera il fluido fornendo la spinta; una ulteriore distinzione si ha in base al funzionamento stazionario o pulsato; l'I

S

raggiunge i 2000÷6000 sec;

-

propulsori MPD con campo magnetico applicato (Figura 1-5): si differenziano dai precedenti per la presenza di un magnete esterno al propulsore che introduce un campo magnetico esterno per aumentare la corrente di Hall azimutale e migliorare la spinta;

-

propulsori SPT (Stationary Plasma Thruster) (Figura 1-6): il

propellente viene ionizzato da una forte corrente azimutale di

elettroni generata dall'interazione di un campo elettrico

longitudinale ed un campo magnetico radiale prodotto da un

circuito magnetico esterno al propulsore; il campo elettrico accelera

(11)

il propellente ionizzato grazie anche alla ridotta mobilità assiale degli elettroni vincolati al moto azimutale; i valori dell'I

S

sono dell'ordine di 2500÷3500 sec;

- propulsori TAL (Thruster with Anode Layer) (Figura 1-7): si basano sullo stesso principio di funzionamento degli SPT (effetto Hall), ma a differenza di questi ultimi non possiedono una camera di scarico ceramica ed i processi di ionizzazione e di accelerazione avvengono fuori dal motore tra i due elettrodi. Rispetto agli SPT questi motori hanno il vantaggio di non avere problemi di erosione della camera di accelerazione (che è uno dei fattori critici per la vita operativa di un SPT), però hanno una divergenza del fascio maggiore e sono più complessi da regolare.

Figura 1-5 Schema di un propulsore MPD.

(12)

Figura 1-6 Schema di un propulsore SPT.

Figura 1-7 Confronto tra un motore SPT (a sinistra) e un propulsoe TAL (a destra).

(13)

1.4.2 Caratteristiche generali

In un sistema propulsivo elettrico la sorgente di energia ed il propellente sono distinti ed è quindi necessario ricorrere all’utilizzo di un preciso sottosistema che fornisca l'energia elettrica: un generatore.

La presenza dell'ulteriore massa dovuta al generatore porta ad individuare un impulso specifico ottimale in funzione di ciascun sistema propulsivo elettrico e della missione.

Definita una missione ed un tempo ∆t per il suo compimento, in condizioni di spinta e portata di propellente costante si può calcolare la quantità di propellente necessaria:

0

e s

T t T t

m m t

u I g

⋅ ∆ ⋅ ∆

∆ = ⋅ ∆ = =

 ⋅ (1-5)

Ipotizzando che la massa del generatore di potenza (m

p

) sia in qualche modo proporzionale alla massima potenza erogata dal generatore stesso, si può scrivere:

0

2 2

e s

p

T u g T I

m α P α α

η η

⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅

= ⋅ = =

⋅ ⋅ (1-6)

dove η è il rendimento di spinta espresso come rapporto tra la potenza di spinta T·u

e

/2 e la potenza P in ingresso nel propulsore:

2 0

2 2 2

e e s

T u m u g T I

P P P

η = = = ⋅ ⋅

⋅ ⋅ ⋅

 (1-7)

Dalle equazioni appena viste si può notare come, all'aumentare dell'I

S

, si abbia una diminuzione della massa di propellente necessario da un lato ed un contemporaneo aumento della massa necessaria per la generazione d'energia dall’altro.

Questo implica l’esistenza di una condizione di ottimo per l’I

S

, per cui la

somma della massa di propellente e della massa di generazione d'energia

risulta minima: tale somma è riportata in funzione dell'impulso specifico nel

(14)

grafico di Figura 1-8. Il minimo sul grafico individua l’impulso specifico ottimale che può essere espresso anche analiticamente come:

0

1 2

s ott

I t

g

η α

⋅ ⋅ ∆

= ⋅ (1-8)

Se I

S

supera il valore di ottimo il contributo alla massa totale dovuto al generatore diventa sempre più gravoso. L'espressione dell'impulso specifico ottimo evidenzia come la situazione per i propulsori ad alto impulso specifico diventi tanto più vantaggiosa quanto più è basso il valore della massa specifica del generatore e quanto più è elevato il rendimento di spinta. E' chiaro, quindi, che l'utilizzo futuro di elevati impulsi specifici è vincolato alla capacità tecnologica di poter rendere disponibili generatori che forniscano elevata potenza per unità di massa.

E' altresì opportuno sottolineare come un generatore di energia elettrica possa essere utilizzato anche per far funzionare impianti di bordo, ascrivendo così parte della sua massa a carico utile.

Figura 1-8 Ricerca dell’impulso specifico ottimale.

(15)

L'elevato impulso specifico caratteristico dei propulsori elettrici ne rende vantaggioso l'impiego rispetto ai propulsori chimici convenzionali, soprattutto per missioni di lunga durata, consentendo un minor consumo di propellente e quindi una maggior frazione di massa disponibile per il carico utile.

Nota negativa dei propulsori elettrici è che non sono facilmente scalabili: le prestazioni ottenute da ciascun propulsore non sono facilmente riottenibili da altri propulsori semplicemente scalando le dimensioni e le potenze d'ingresso.

In Figura 1-9 e Figura 1-10 è mostrato lo stato attuale delle prestazioni sperimentali raggiunte dai propulsori elettrici.

Figura 1-9 Potenza richiesta in funzione dell’impulso specifico.

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Figura 1-10 Efficienza in funzione dell’impulso specifico.

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