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La responsabilità sociale per le imprese del settore agricolo e agroalimentare

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Academic year: 2021

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la responsabilità sociale

per le imprese del settore

agricolo e agroalimentare

a cura di lucia briamonte e luciano Hinna

collana stUdi e ricercHe

la responsabilit

à sociale per le imprese del sett

ore a gricol o e a gro aliment are 2012

responsabilità sociale di impresa è un termine entrato ormai nel vocabolario di tutti (aziende, cittadini, politici, sindacati, media, associazioni, enti pubblici e non profit) ma forse non è ancora nel “bagaglio culturale” di molti.

il presente volume intende rappresentare, insieme alle “linee guida” e ai “casi studio”, uno de-gli strumenti che l’inea mette a disposizione delle imprese che intendono avviare e strutturare in modo organico un percorso di responsabilità sociale nella propria realtà aziendale.

in particolare si vogliono gettare le basi per l’applicazione di tale concetto alle aziende e agli operatori del sistema agroalimentare, poiché tale settore presenta problematiche di primo pia-no sia a livello ambientale sia sul piapia-no sociale.

le emergenze verificatesi in questo settore, gli shock alimentari della “mucca pazza” o dei “polli alle diossina”, come pure questioni di scottante attualità, quali l’utilizzo di prodotti ogm o gli aumenti indiscriminati dei prezzi di vari generi di prima necessità, sono immediatamente divenuti dei problemi sociali rilevanti.

Visti dunque gli impatti che tale settore può avere sul benessere di produttori e consumatori e in considerazione della crescente richiesta di trasparenza in relazione alle caratteristiche dei prodotti e dei processi produttivi, quasi “a garanzia” della loro qualità e genuinità, una riflessio-ne organica e approfondita sulla responsabilità sociale del sistema agroalimentare divieriflessio-ne di primaria importanza.

ne consegue che il successo dell’agricoltura rispetto alle nuove attese della società risiede nella capacità dell’impresa agricola di produrre alimenti sani e genuini e concorrere allo stesso tempo alla protezione delle risorse naturali e allo sviluppo equilibrato del territorio, creando occupazione e riservando maggiore attenzione alla qualità del lavoro.

per tutte queste ragioni è estremamente importante approfondire, anche attraverso pubbli-cazioni come questa, le motivazioni, le modalità e gli strumenti con cui gli attori del sistema agroalimentare possono soddisfare queste nuove aspettative dei consumatori e degli altri sta-keholder circa gli impatti sociali e ambientali dei processi di produzione, trasformazione e com-mercializzazione dei prodotti agricoli e agroalimentari.

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I S T I T U T O N A Z I O N A L E D I E C O N O M I A A G R A R I A SEDE REGIONALE DELLA CALABRIA

LA RESPONSABILITÀ SOCIALE

PER LE IMPRESE DEL SETTORE

AGRICOLO E AGROALIMENTARE

a cura di

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BRIAMONTE, Lucia; HINNA, Luciano (a cura di)

La responsabilità sociale per le imprese del settore agricolo e agroalimentare Collana: Studi & Ricerche INEA

Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2008 pp. 240; 24 cm

ISBN 978-88-495-1757-6

Copyright © 2008 by Istituto Nazionale di Economia Agraria, Roma.

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

Il presente lavoro è stato elaborato nell’ambito del progetto “Responsabilità sociale: implicazioni ed applicazioni alle imprese del settore agroalimentare” realizzato dall’INEA e finanziato dal MIPAAF con D.M. 488/7303/2004.

Per l’impostazione e la progettazione dello studio ha operato il seguente gruppo di lavoro: Responsabile scientifico: Luciano Hinna; Coordinamento: Lucia Briamonte (Responsabile INEA), Paolo Biraschi, Ester Dini, Maria Assunta D’Oronzio, Barbara Luppi, Francesca Giarè, Sabrina Giuca, Fabio Monteduro, Raffaella Pergamo, Iuri Peri, Rachele Rossi, Saverio Scarpellino. I contributi al testo sono di:

Introduzione: Alberto Manelli Capitolo I: Luciano Hinna

Capitolo II: Maria Assunta D’Oronzio, Raffaella Pergamo, Lucia Briamonte Capitolo III: Fabio Monteduro

Capitolo IV: Sabrina Giuca Capitolo V: Iuri Peri

Capitolo VI: Saverio Scarpellino Capitolo VII: Ester Dini

Capitolo VIII: Francesco Zecca, Elisabetta Capocchi Capitolo IX: Paolo Biraschi

Capitolo X: Lucia Briamonte, Raffaella Pergamo, Maria Assunta D’Oronzio Capitolo XI: Barbara Luppi

Capitolo XII: Rachele Rossi

La consulenza editoriale è di Moira Rotondo

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PRESENTAZIONE 9

INTRODUZIONE 11

Parte prima - La responsabilità sociale di impresa nel settore agricolo e agroalimentare: percorsi e strumenti

CAPITOLO I - LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DI IMPRESA E LA SUA APPLICAZIONE AL SISTEMA AGROALIMENTARE

1.1. Premessa 17

1.2. La responsabilità sociale di impresa tra definizioni e concetti 18 1.3. La promozione della responsabilità sociale di impresa da parte

delle organizzazioni internazionali 22 1.4. La relatività della responsabilità sociale di impresa 24 1.5. La responsabilità sociale d’impresa un’occasione per il sistema

agroalimentare italiano 25

1.6. Conclusioni 27

CAPITOLO II - PERCORSI DI RESPONSABILITÀ SOCIALE PER LA FILIERA AGROALIMENTARE

2.1. Premessa 29

2.2. La filiera agroalimentare 31 2.3. Percorsi di responsabilità sociale per la filiera agroalimentare 38

2.4. Conclusioni 44

CAPITOLO III - GLI STRUMENTI DI RESPONSABILITÀ SOCIALE PER LE IMPRESE AGRICOLE E AGROALIMENTARI

3.1. Premessa 49

3.2. Gli strumenti come leva di attuazione delle strategie

social-mente responsabili 50

3.3. Conclusioni 78

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Parte seconda - La funzione sociale della responsabilità sociale di impresa in agricoltura: tradizione, ambiente, territorio

e cooperazione

CAPITOLO IV - RESPONSABILITÀ SOCIALE DI IMPRESA COME VALORIZZAZIONE DELLA TERRITORIALITÀ E DELLA TRADIZIONE AGROALIMENTARE

4.1. Premessa 81

4.2. Le specificità del territorio come cultura della qualificazione 82

4.3. Conclusioni 95

CAPITOLO V - RESPONSABILITÀ SOCIALE DI IMPRESA, AGRICOLTURA E AMBIENTE: IMPLICAZIONI E APPLICAZIONI

5.1. Premessa 99

5.2. Agricoltura e ambiente: disaccordi concettuali e differenze

in-terpretative 100

5.3. L’interdipendenza nel rapporto agricoltura ambiente 102

5.4. Conclusioni 106

CAPITOLO VI - RESPONSABILITÀ SOCIALE DI IMPRESA E COOPERAZIONE

6.1. Premessa 107

6.2. Mutualità VERSUS responsabilità sociale: i contenuti della

re-sponsabilità sociale cooperativa 108 6.3. La cooperazione nel sistema agroalimentare: i principali fattori

costitutivi dell’azione socialmente responsabile 112

6.4. Conclusioni 116

Parte terza - Lavoro e agricoltura non profit

CAPITOLO VII - LAVORO E RESPONSABILITÀ SOCIALE DELLE IMPRESE DEL COMPARTO AGROALIMENTARE

7.1. Premessa 121

7.2. La centralità della dimensione lavoro nell’azione di

respon-sabilità sociale di impresa 123 7.3. Aspetti e strumenti dell’organizzazione del lavoro

responsa-bile 125

7.4. Quale responsabilità possibile nel comparto agroalimentare? 129

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CAPITOLO VIII - AGRICOLTURA NON PROFIT: ASPETTI SOCIALI, ECONOMICI E NORMATIVI

8.1. Premessa 133

8.2. Il quadro di riferimento 133 8.3. L’affermazione delle organizzazioni non profit in agricoltura 137 8.4. La funzione sociale delle strutture operanti nel settore

agri-colo 139

8.5. Conclusioni 145

Parte quarta - Politiche pubbliche e private a sostegno della responsabilità sociale di impresa nel sistema agricolo e agroalimentare

CAPITOLO IX - LA STRATEGIA EUROPEA

PER LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DI IMPRESA: RICONCILIARE L’AGENDA DI LISBONA

E LA POLITICA AGRICOLA COMUNE

9.1. Premessa 149

9.2. La responsabilità sociale di impresa come strumento per

conci-liare la strategia di Lisbona e la politica agricola comunitaria 156

9.3. Conclusioni 161

CAPITOLO X - LE POLITICHE NAZIONALI IN TEMA DI RESPONSABILITÀ SOCIALE DI IMPRESA: STRUMENTI E FINALITÀ

10.1. Premessa 163

10.2. Esperienze e iniziative a livello nazionale 168 10.3. Le Regioni italiane e le politiche per la responsabilità sociale

di impresa 173

10.4. Conclusioni 177

CAPITOLO XI - LA FINANZA PRIVATA

NEL SISTEMA AGRICOLO E AGROALIMENTARE E LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DI IMPRESA

11.1. Premessa 181

11.2. Il rapporto banca-impresa nel settore agricolo e agroalimentare 181 11.3. Gli strumenti finanziari nel mondo agricolo 184 11.4. La responsabilità sociale di impresa nel mondo bancario: una

duplice prospettiva 189

11.5. Basilea II e il mondo agricolo 196

(7)

Parte quinta - Gli sviluppi futuri della responsabilità sociale di impresa in agricoltura e l’evoluzione del sistema

economico internazionale

CAPITOLO XII - RESPONSABILITÀ SOCIALE DI IMPRESA E GLOBALIZZAZIONE: UN’OPPORTUNITÀ DA SFRUTTARE?

12.1. Premessa 205

12.2. La crescita della competizione e la globalizzazione 205 12.3. L’internazionalizzazione tra principi etici universali e culture

locali 208

12.4. Una globalizzazione responsabile e sostenibile 217

12.5. Conclusioni 222

ACRONIMI 225

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Negli ultimi anni le questioni socio-ambientali sono diventate parte inte-grante degli obiettivi della politica agricola. La sempre crescente richiesta di qualità, salubrità e genuinità dei prodotti alimentari, gli shock climatici ed ener-getici e le problematiche sociali e ambientali riconducibili al tema dello svi-luppo sostenibile hanno contribuito ad accelerare questo processo.

Ci troviamo di fronte a un nuovo modello di sviluppo in cui la competitività dell’impresa agricola deriva anche dal suo impegno a garantire adeguati livelli di sostenibilità economica, sociale e ambientale nel contesto territoriale in cui opera.

Ne consegue che il successo dell’agricoltura rispetto alle nuove attese della società risiede nella capacità dell’impresa agricola di produrre alimenti sani e genuini e concorrere allo stesso tempo alla protezione delle risorse naturali e allo sviluppo equilibrato del territorio, creando occupazione e riservando mag-giore attenzione alla qualità del lavoro.

Oggi, il consumatore è sempre più attento e orientato verso acquisti consa-pevoli e include nel concetto di qualità dei prodotti agroalimentari anche valori quali la sostenibilità ambientale e sociale della produzione. L’agricoltura quindi riserva grande attenzione a temi trasversali quali: sicurezza alimentare, traccia-bilità delle produzioni, qualità dei prodotti, rispetto dell’ambiente e delle risorse umane. Tali aspetti hanno contribuito a declinare il concetto di produzione in una dimensione più ampia di filiera e di territorio, affiancata dalla promozione e dalla rintracciabilità delle produzioni agroalimentari e da forme di comunica-zione istituzionale volte a valorizzare e a dare riconoscibilità alla qualità dei pro-dotti agroalimentari italiani, a creare la consapevolezza dell’evoluzione dell’a-gricoltura tra tradizione e innovazione e a valorizzare il “made in Italy” quale stile di vita e di consumo.

Questi elementi hanno trovato ampia collocazione nel presente volume che sviluppa alcune tematiche proprie della responsabilità sociale nel settore con l’o-biettivo di approfondire e illustrare il contenuto del concetto di responsabilità sociale e di divulgare i risultati del lavoro INEA.

La volontà di analizzare e sviluppare il complesso di tematiche che ruota at-torno al concetto di responsabilità sociale è alla base del lavoro che l’INEA sta portando avanti con il progetto «Responsabilità sociale: implicazioni e

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zioni per le imprese del settore agroalimentare», finalizzato all’approfondi-mento, alla promozione e all’applicazione dei temi e delle metodologie di re-sponsabilità sociale.

L’Istituto, negli ultimi anni, partecipando al dibattito sulla responsabilità so-ciale di impresa, che costituisce un tema di interesse crescente da parte delle aziende, del mondo associativo, delle istituzioni, dei consumatori e della società civile, ha contribuito all’introduzione della RSI nel sistema agroalimentare.

Il presente volume, insieme alle “Linee guida” e ai “Casi studio”, rappre-senta uno degli strumenti che l’INEA mette a disposizione delle imprese che in-tendono avviare e strutturare in modo organico un percorso di responsabilità so-ciale nella propria realtà aziendale. Alcune imprese agricole e agroalimentari stanno manifestando, infatti, una crescente attenzione e disponibilità a conside-rare, nell’ambito delle proprie strategie e attività, anche pratiche di responsabi-lità sociale.

La responsabilità sociale però richiede un impegno continuo da parte di tutti gli stakeholder al fine di contribuire allo sviluppo economico del settore e non può tradursi semplicemente in uno standard di qualità da certificare. In tal senso, l’auspicio dell’INEA è quello di contribuire con la sua attività a promuovere una nuova forma mentis e un nuovo modo di fare impresa secondo un approc-cio integrato (triple bottom line) che tenga conto di aspetti economici, ambien-tali e sociali.

On. Lino Carlo Rava Presidente INEA

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Può la responsabilità sociale di impresa applicarsi e svilupparsi all’interno del mondo agricolo e dei settori in cui esso si declina? Oppure i due concetti sono antitetici e inconciliabili? Oppure, al contrario, il primo trova già com-prensione nel secondo e nella sua missione per così dire originaria, senza quindi alcuna necessità di specifica implementazione? Esiste nel nostro Paese una ade-guata elaborazione culturale di questi temi ed esperienze così consolidate da po-tersi considerare prodromiche alla definitiva affermazione degli obiettivi della RSI?

Il presente volume cerca di fare chiarezza su questi interrogativi, partendo però dalla constatazione che, sebbene l’argomento della RSI sia stato ampia-mente trattato in letteratura, poco o niente è stato detto con riferimento al si-stema agroalimentare. Eppure, il settore primario rappresenta un luogo privile-giato per favorire l’adozione di scelte e comportamenti con un fortissimo con-notato sociale. Risulta immeditato citare le numerose esperienze imprenditoriali che mostrano la fondatezza di questa affermazione: si pensi alla cooperazione sociale in agricoltura per favorire l’inserimento di soggetti svantaggiati oppure alle produzioni biologiche, ecc. Ma proprio questa “contiguità” tra agricoltura e temi sociali mette in evidenza la centralità della figura dell’imprenditore che, con la stessa facilità con cui può adottare scelte socialmente responsabili, rischia di essere esclusivamente rivolto all’interesse aziendale, pur rimanendo in uno stretto ambito di legittimità.

Proprio questa ultima riflessione mette in evidenza l’utilità di questo volume, laddove si occupa di analizzare e proporre all’imprenditore agricolo gli stru-menti più opportuni per sviluppare scelte strategiche e comportastru-menti operativi in linea con una finalità sociale. Dunque è di tutta evidenza l’intrinseca rile-vanza sociale del sistema agroalimentare, così come affermato nel testo, ma pro-prio questa condizione rappresenta insieme un’opportunità e un rischio da ge-stire.

Si pone a questo punto un ulteriore e più problematico quesito su quale sia il vero obiettivo di un’impresa e, nello specifico, di un’impresa agricola, per ca-pire se in questo trova cittadinanza stabile anche la responsabilità sociale. Su-perata oramai dalla letteratura e dalla pratica aziendale la massimizzazione del profitto come finalità principale di un’impresa, si può concordare con chi

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stiene che lo scopo ultimo di un’iniziativa imprenditoriale sia la creazione di valore, individuando però quest’ultima come una “grandezza vettoriale”, una grandezza cioè costituita da più variabili tutte egualmente importanti: il man-cato conseguimento anche di un solo sub-obiettivo rende inefficace l’intera vita aziendale. Tra le variabili che formano il vettore “creazione di valore” c’è si-curamente la responsabilità sociale, che anzi negli ultimi anni ha assunto un’im-portanza sempre crescente.

Identificare la creazione di valore come il vero obiettivo aziendale consente, da un lato, di riconoscere anche alla responsabilità sociale la dignità di finalità imprenditoriale e, dall’altro, di eliminare in via definitiva la convinzione che in-trodurre scelte manageriali socialmente responsabili sia incompatibile con l’ef-ficienza economica e con l’idea che l’impresa debba generare ricchezza per tutti gli stakeholder.

Nello specifico, quindi, creare valore comporta anche l’integrazione volon-taria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro opera-zioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate, così come l’U-nione europea definisce la RSI nel suo Libro Verde del luglio 2001.

Non basta però perseguire un’adesione teorica agli obiettivi sociali: occor-rono scelte strategiche consapevoli e atteggiamenti manageriali misurabili. In quest’ottica, il testo costituisce nel suo complesso una sorta di manuale a di-sposizione dell’imprenditore nel momento in cui decide di adottare consape-volmente scelte aziendali coerenti con la RSI.

In particolare, nel testo si fornisce un’interessante e puntuale disamina degli strumenti a disposizione delle imprese per realizzare le finalità sociali, facendo le necessarie e opportune distinzioni in relazione alle diversità che caratteriz-zano gli ambiti in cui si articola il mondo agricolo.

Vengono individuate due categorie generali di strumenti per l’adozione e l’implementazione di strategie di RSI: strumenti di gestione socialmente re-sponsabili e strumenti per il consumo socialmente responsabile.

Il testo, insomma, delinea in modo chiaro il percorso per l’adozione di com-portamenti socialmente responsabili: obiettivi e strategie, programmi e standard di misurazione, analisi finale e bilancio.

Non va poi dimenticato come, alla stregua del rapporto impresa agricola e territorio, anche l’adozione di scelte socialmente responsabili accentui l’enfasi sulla territorialità e sulla qualità dei prodotti, favorendo quel radicamento nella realtà locale ormai irrinunciabile per dialogare con il mercato, specie quello in-ternazionale: è il ben noto paradosso della globalizzazione (globale-locale) che se da un lato accresce l’importanza di marchi “spendibili” allo stesso modo in ogni parte del mondo, dall’altro richiede, soprattutto per il sistema agroalimen-tare, di rintracciare nei prodotti la loro identità territoriale.

(12)

In un’ottica di gestione socialmente responsabile, inoltre, viene analizzato il rapporto tra impresa agricola e ambiente. Si tratta di un tema che appassiona da anni gli studiosi e gli operatori del settore (si pensi ad esempio a tutti i dibat-titi sulla multifunzionalità dell’impresa agricola), ma che in questo caso viene affrontato analizzando le esternalità ambientali positive e negative derivanti dalle innovazioni introdotte nei processi produttivi aziendali e le conseguenti implicazioni sociali. È di tutta evidenza l’implicazione economica derivante da scelte socialmente responsabili in termini di maggiori costi ma è altrettanto chiaro che la RSI deve rappresentare una leva per accrescere la visibilità del-l’impresa sul proprio mercato di sbocco.

Di grande interesse è l’approfondimento riservato alla cooperazione, come modello privilegiato di impresa socialmente responsabile. Che la mutualità e la solidarietà – che sono i princìpi fondanti della società cooperativa – favoriscano un approccio sociale alla gestione è indiscutibile ma proprio nel settore agri-colo, dove il modello cooperativo prevalente è quello della cooperativa di con-ferimento, esistono rischi notevoli di snaturamento delle scelte di gestione so-cialmente responsabile (quali la ricerca spasmodica di una crescita dimensionale eccessiva con la conseguente perdita della natura mutualistica, oppure il perse-guimento di posizioni oligopolistiche sul mercato che penalizzano i consuma-tori e i soci di piccole dimensioni), soprattutto nella tutela delle economie indi-viduali dei singoli produttori conferenti, riconoscendo loro il giusto prezzo, e nel rispetto delle qualità dei prodotti. Anche in questo caso le opportune indi-cazioni “manualistiche” provenienti dal testo indicano all’imprenditore, pur nella forma collettiva della società cooperativa, il percorso più adatto per individuare gli obiettivi aziendali compatibili con risultati socialmente responsabili: presi-dio degli equilibri naturali, difesa dell’identità e della vocazione produttiva del territorio, animazione sociale, ricerca del carattere intergenerazionale della base sociale, ecc.

Il modello cooperativo evoca immediatamente l’altro elemento centrale nella RSI adeguatamente evidenziato nel testo: il lavoro, la sua qualità e i nuovi si-gnificati attribuitigli dal contesto sociale. Inutile qui richiamare le tante questioni oggi sul tappeto rispetto alle profonde trasformazioni che stanno interessando non sono in Italia, ma in tutto il mondo, il mercato del lavoro e le sue regole. È certo però che mai come adesso, sia a livello di politiche attive del lavoro sia a livello di singola impresa, occorre trovare un linguaggio comune, superando se necessario anche il mero dettato legislativo e promuovendo idonei meccani-smi di governance del mercato del lavoro. Le richieste dalla collettività sono sempre più articolate: aumentare i livelli di occupazione, favorire gli investi-menti in capitale umano, garantire un’adeguata remunerazione, facilitare l’in-gresso dei giovani nel mondo del lavoro, realizzare una maggiore inclusione

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so-ciale, incentivare le innovazioni di processo, ecc. La RSI non può essere la pa-nacea di tutti i mali né può avere effetti taumaturgici ma è altrettanto vero che nell’adozione di strategie socialmente responsabili quelle problematiche ven-gono evidenziate e possono essere affrontate in modo sistematico.

Occorre un cambiamento culturale: non si può, infatti, pensare di affidare tutte le soluzioni a norme e/o regolamenti, che per quanto evoluti, non potranno mai identificare tutti i possibili comportamenti da evitare e quelli da incentivare. È l’imprenditore che assume un ruolo determinante. È lui che va formato e aiu-tato a capire che la RSI è un vero e proprio investimento aziendale, consenten-dogli di misurarne i rendimenti economici diretti e indiretti.

Il volume che ho l’onore di introdurre va proprio in questa direzione, raffor-zando la speranza che esistano le condizioni per un’affermazione definitiva di pratiche imprenditoriali socialmente responsabili, se è vero, come è vero, che anche i mercati finanziari, all’apparenza i più insensibili alle tematiche sociali e nel contempo i più orientati al profitto, hanno ritenuto opportuno misurare le aziende quotate anche sotto la dimensione sociale, attraverso opportuni indici borsistici (come ad esempio il Dow Jones sociale della borsa di New York).

Si tratta di una scelta certamente adottata per ragioni di convenienza ma an-che a seguito delle sollecitazioni provenienti dai risparmiatori e ciò dimostra an-che sta emergendo e si sta affermando una sensibilità nuova sui temi della respon-sabilità sociale di impresa.

Prof. Alberto Manelli Direttore Generale INEA

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PARTE PRIMA

L

A RESPONSABILITÀ SOCIALE DI IMPRESA

NEL SETTORE AGRICOLO E AGROALIMENTARE

:

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(16)

1.1. Premessa

In Italia il settore agroalimentare incide in misura rilevante sulla formazione del Prodotto Interno Lordo. È un settore con numeri importanti, caratterizzato da aziende di dimensioni e caratteristiche diverse ma che operano a stretto con-tatto con i problemi ambientali, etici, di sostenibilità e di interrelazione con i cittadini e con i consumatori.

Una delle caratteristiche del sistema agroalimentare italiano, che si è andata affermando con evidenza negli ultimi decenni, è la sua complessità. Essa deriva innanzitutto dal forte processo di integrazione che si è sviluppato fra le diverse componenti del sistema, dall’agricoltura, all’industria di trasformazione alimen-tare, alla grande distribuzione, fino ai nuovi rapporti con il consumo finale e la sicurezza alimentare, ma anche dall’affermarsi di collegamenti sempre più stretti con gli altri Paesi, in particolare quelli europei, con un aumento notevole degli scambi di beni agricoli e alimentari, che hanno reso la realtà italiana sempre più aperta verso l’esterno.

Si tratta di argomenti che offrono l’occasione per introdurre un tema inevi-tabile in questo contesto economico e sociale: quello della Responsabilità So-ciale di Impresa (RSI) o Corporate Social Responsibility (CSR), come viene de-finita a livello internazionale.

Responsabilità sociale di impresa è un termine entrato ormai nel vocabola-rio di tutti (imprese, cittadini, politici, sindacati, media, associazioni, enti pub-blici e non profit) ma forse non è ancora nel “bagaglio culturale” di molti.

L’obiettivo del presente contributo è quello di introdurlo e di gettare le basi per l’applicazione di tale concetto alle aziende e agli operatori del sistema agroa-limentare, poiché tale settore presenta problematiche di primo piano sia a livello ambientale sia sul piano sociale.

Emergenze verificatesi nel settore dell’agroalimentare, i cosiddetti shock ali-mentari della “mucca pazza” o dei “polli alla diossina”, come pure questioni di scottante attualità, quali l’utilizzo di prodotti OGM o gli aumenti indiscriminati dei prezzi di vari generi agricoli, sono immediatamente divenuti dei problemi sociali rilevanti.

Visti dunque gli impatti che tale settore può avere sul benessere di

produt-C

APITOLO I

L

A RESPONSABILITÀ SOCIALE DI IMPRESA

(17)

tori e consumatori e in considerazione della crescente richiesta di trasparenza in relazione alle caratteristiche dei prodotti e dei processi produttivi, quasi “a ga-ranzia” della loro qualità e genuinità, una riflessione organica e approfondita sulla responsabilità sociale del sistema agroalimentare diviene di primaria im-portanza.

1.2. La responsabilità sociale di impresa tra definizioni e concetti Recentemente uno studioso norvegese ha censito circa quaranta definizioni di responsabilità sociale d’impresa1. La moltitudine di definizioni esistenti evi-denzia certo l’attualità del tema ma sottende anche l’esistenza di concezioni e interpretazioni diverse. Queste diversità vanno colte, comprese, dominate. Si dice che gli eschimesi abbiano oltre venti espressioni diverse per definire la neve, a seconda della sua consistenza e del livello di aggregazione2. Nel conte-sto ambientale, culturale e sociale degli eschimesi è di fondamentale importanza definire in modo preciso e differenziato un fenomeno – la neve appunto – che in altre culture è indifferenziato e uniforme. La ragione è che se due eschimesi non si intendono sulla diversa consistenza della neve – che debbono attraver-sare o con la quale debbono costruire un riparo – ne va della loro vita.

Fortunatamente nel nostro caso la questione non è così drammatica, ma cer-tamente se non ci si intende sul significato della RSI si rischia di non com-prenderne la portata, sottostimandone o sovrastimandone le potenzialità e le pos-sibilità applicative.

Particolarmente utile si può rivelare un’analisi sintetica e ragionata dei prin-cipali contributi proposti sul tema dagli studiosi e dalle istituzioni che più hanno dedicato energie e risorse all’approfondimento del concetto della RSI.

Nel corso degli ultimi cinquanta anni la definizione di RSI ha subito nume-rosi adattamenti e rivisitazioni. Il punto di arrivo di tale evoluzione è la defini-zione di responsabilità sociale di impresa formulata dalla Commissione europea nell’ormai celebre Libro Verde: «L’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate» (Commissione europea, 2001a).

Tale definizione riassume, in maniera sintetica e semplice, molti dei conte-nuti che nel tempo si sono stratificati in letteratura.

Alla fine dell’Ottocento, nella letteratura di matrice anglosassone, si sviluppò

1 Sul punto cfr. Hinna, 2005.

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un intenso dibattito sul tema della RSI. Inizialmente questa è sovrapposta al con-cetto di filantropia e, infatti, numerosi sono gli studi che affrontano la questione dell’influenza delle istanze religiose sull’attività imprenditoriale3. Tali formula-zioni trovano una più corposa articolazione in H. Bowen che nel 1953, defini-sce la RSI come «Industry’s obligation to pursue those policies, to make those decisions, or to follow those lines of actions which are desirable in terms of objectives and values of society» (Bowen, 1953).

Nel pensiero di Bowen si rispecchia un filone di studi e di prassi che inter-preta la RSI come la responsabilità degli imprenditori di servire la società in modo proattivo. Esempi concreti di tale approccio imprenditoriale sono rinve-nibili nell’esperienza di Arthur Page, il vice presidente dell’American Telecom-munications Company AT&T, il quale già nel 1927 sosteneva che tutte le atti-vità economiche nascono per mezzo di autorizzazioni pubbliche e si sviluppano grazie all’approvazione dell’opinione pubblica.

Nello stesso periodo Oliver Sheldon, manager di un’azienda inglese produt-trice di cioccolato (Rowntree & Company) scrive diversi volumi (tra cui il più noto The Philosophy of Management del 1923), in cui pone l’accento sulla ne-cessità di adottare alcuni principi fondamentali nella direzione d’impresa tra cui il “benessere della comunità” (community well-being) e gli ideali della giusti-zia sociale: «The social responsibility of management is to carve out the path of cooperation in service, so that the economic service of the community may produce not only material wealth but spiritual well-being» (Sheldon, 1923).

Questi pensieri vengono ripresi solo più tardi, nel 1979, da A. Carroll, che propone un modello di RSI basato su quattro categorie di responsabilità sociale: – economica, relativa alla produzione e vendita di beni e servizi, richiesti dalla

società, in cambio di un profitto;

– legale, riferita all’obbligo di adempiere non solo a un tacito contratto sociale ma a un contratto formale con la società, ossia rispettare le leggi e le regole previste dallo Stato;

– etica, quale soddisfacimento delle aspettative economiche della società, in termini valoriali, al di là dei requisiti base di legge;

– discrezionale, quale elargizione, adempimento ulteriore che va oltre le aspet-tative della società e i requisiti previsti.

Il modello prendeva in considerazione alcuni degli effetti sociali (ad esem-pio, il consumismo, l’ambiente, le discriminazioni, la sicurezza dei prodotti, la sicurezza del lavoro) e, a seconda di come venivano declinati rispetto alle

quat-3 Si ricorda a tal proposito Andrew Carnegie con la sua opera The Gospel of Wealth, dove si focalizza l’at-tenzione sulla figura dell’imprenditore, il cosiddetto businessman, che deve considerarsi depositario e ga-rante degli interessi della comunità

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tro categorie, si valutava la responsabilità sociale in modo reazionario, difen-sivo, accomodante o proattivo.

Un altro approccio molto importante è quello che si ricollega alla formula-zione della c.d. teoria degli stakeholder. Teorizzata da E. Freeman nella sua opera del 19844, tale teoria, piuttosto che ipotizzare livelli diversi e piramidali di responsabilità, individua un’unica responsabilità verso l’insieme degli stakeholder, identificati come qualsiasi gruppo o individuo che può influenzare o essere influenzato dagli obiettivi di un’impresa. Secondo questo orientamento teorico l’impresa non ha dei doveri soltanto nei confronti degli azionisti ma verso tutti gli interlocutori con cui, direttamente o indirettamente, si trova a in-teragire. Usando le parole dello stesso Freeman «ciascun gruppo di stakeholder ha diritto a non essere trattato come mezzo orientato a qualche fine ma deve partecipare alla determinazione dell’indirizzo futuro dell’impresa» (Evan, Free-man, 1988, p. 101). Da questa affermazione emerge una più ampia estensione di responsabilità sociale, in quanto non più limitata agli azionisti e quindi alla sola idea di “aumentare i profitti”, ma orientata a tutelare i diritti di tutti gli stakeholder, riconoscendo una responsabilità verso la comunità tutta. La società, apportando le risorse necessarie all’attività d’impresa, ha diritto a ricevere i be-nefici di questa attività e a partecipare alla determinazione dell’indirizzo futuro dell’impresa stessa. Da ciò discende che «l’autentico fine dell’impresa è quello di operare come veicolo per coordinare gli interessi degli stakeholder» (Ibid.). Al management è allora attribuita un’attività di bilanciamento di tutti gli inte-ressi in gioco: «il management è portatore di una relazione fiduciaria che lo lega tanto agli stakeholder quanto all’impresa come entità astratta. Esso è tenuto ad agire nell’interesse degli stakeholder come se fosse un loro agente e deve agire nell’interesse dell’azienda per garantire la sua sopravvivenza, salvaguardando le quote di lungo periodo per ciascun gruppo» (Ibidem).

Finora sono stati esaminati i lavori di coloro che hanno contribuito a rendere più articolato il concetto di RSI. In Milton Friedman si può ritrovare, invece, l’opposizione più tenace a questa visione “allargata” della responsabilità d’im-presa. Per Friedman l’unica responsabilità dell’impresa è quella di creare pro-fitto per i suoi azionisti e per l’impresa stessa, nel rispetto delle regole del gioco. Per Friedman, l’impresa, in modo onesto, legale ed etico, deve raggiungere il suo obiettivo, ovvero massimizzare il profitto. Secondo questo autore, l’altrui-smo auspicato da Bowen rientra semmai nelle responsabilità del governo, del sistema sociale di welfare e dei singoli individui ma non costituisce parte inte-grante del finalismo dell’impresa.

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Tra queste visioni in antitesi oggi si tende a privilegiare una posizione in-termedia che colloca la responsabilità sociale di impresa a livello strategico. La RSI è una lungimirante strategia di impresa che, facendo leva su una corretta relazione con gli stakeholder, consente di creare valore nel medio-lungo periodo a favore della molteplicità di stakeholder che intrattengono relazioni fiduciarie con l’impresa stessa.

Dalle definizioni riportate e dalle considerazioni proposte emerge che la RSI è strettamente connessa ad alcuni concetti distinti:

– la sostenibilità, poiché le imprese nello svolgimento delle loro attività de-vono tenere conto dello sviluppo sostenibile e quindi delle ripercussioni non solo economiche ma anche sociali e ambientali, in una visione sempre meno provinciale e sempre più planetaria;

– la volontarietà, che attiene alla scelta operata dall’impresa di comportarsi re-sponsabilmente verso la società, senza rischiare tuttavia di cadere nell’auto-referenzialità. La RSI è infatti volontaria ma per essere credibile ed efficace deve essere misurata e valutata. La valutazione delle prestazioni di RSI aiuta le imprese a migliorare le procedure e i comportamenti poiché facilita una misurazione efficace e credibile del loro “rendimento” a livello sociale e am-bientale;

– la consapevolezza dell’azienda circa i riflessi che la sua gestione provoca nel contesto economico e sociale. Corporate Social Responsibility o CSR, viene tradotta in italiano Responsabilità Sociale dell’Impresa. Sarebbe forse più op-portuno interpretarla come “sensibilità” o “consapevolezza” sociale dell’im-presa, in quanto la parola responsabilità assume in italiano immediatamente una valenza negativa, con accezione giuridica – essere responsabile di qual-che cosa – mentre il termine consapevolezza offre più l’idea di un’opzione etica e di una presa di coscienza.

Tuttavia, al di là delle disquisizioni sui concetti e sulle parole, essere re-sponsabili socialmente è diventata una necessità per quelle imprese che non vo-gliono correre il rischio di essere escluse dal mercato per una caduta di con-senso da parte dell’opinione pubblica5. Questo rischio è vecchio quanto sono vecchie le imprese ma la novità qui consiste in un fattore nuovo di esclusione: non è il prezzo, non è la concorrenza, non è la qualità del prodotto ma è la “qua-lità dell’impresa stessa”. Elemento questo sempre più difficile da percepire in un mercato finanziario e in una economia sempre più globalizzata e caratteriz-zata da fenomeni di delocalizzazione della produzione6.

5 Cfr. Campiglio, 2004.

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La responsabilità sociale delle imprese e la reputazione ad essa collegata erano facilmente percepibili quando il mercato non era ancora “mondiale” ma oggi la visibilità della responsabilità si perde e la reputazione si frantuma.

Da qui la necessità di declinare e rendicontare tale responsabilità per ricom-pattare il consenso della società e del mercato in cui l’azienda opera.

1.3. La promozione della responsabilità sociale di impresa da parte delle organizzazioni internazionali

La RSI si colloca nello spazio etico delle imprese e quindi nello spazio che non è regolato da norme precise e stringenti. Tuttavia governi e istituzioni so-vranazionali si sono più volte interessati al tema della responsabilità sociale del-l’impresa emanando documenti per discussione, inviti e raccomandazioni, pro-ponendo una visione della RSI dall’orbita istituzionale.

Gli interventi governativi o sovranazionali sopraggiungono dopo che il tema RSI è divenuto in qualche misura dominio prima del dibattito sociale e poi della politica.

La Commissione europea, ad esempio, assumendo il ruolo di mediatore in una discussione che da molti anni veniva portata avanti in Europa, ha definito in modo più chiaro e strategico il ruolo della RSI. Essa, recuperando precedenti filoni di pensiero, ha presentato la responsabilità sociale delle imprese come uno strumento strategico, da utilizzare nella relazione con gli stakeholder a tutti i “livelli”, poiché ha una diretta ricaduta sui profitti aziendali.

In altre parole, orientarsi alla responsabilità sociale consente alle imprese di meglio raggiungere gli obiettivi aziendali e incrementare i profitti: una relazione forte con gli stakeholder di riferimento non è solo importante per realizzare una società più giusta e uno sviluppo economico conciliabili con i problemi della tutela ambientale e dei diritti umani, ma conviene anche alle stesse aziende.

Come accennato, l’intervento dell’Unione europea giunge dopo una serie di iniziative sovranazionali che avevano a più riprese toccato il tema della re-sponsabilità sociale.

Il primo evento importante si registra nel 1992, quando a Rio De Janeiro, si apre un Summit globale durante il quale vengono affrontati i problemi ambientali del pianeta e i loro legami con i problemi dello sviluppo sociale ed economico. A conclusione si giunse all’approvazione della dichiarazione di Rio per migliorare gli standard di vita di tutti e per consentire uno sviluppo sostenibile del pianeta.

Nel 1993 il Presidente della Commissione europea, Jacques Delors, invita le imprese europee a partecipare alla lotta contro l’esclusione sociale, e, nel 1995, si giunge alla firma del “Manifesto delle imprese contro l’esclusione sociale”,

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documento che segna una svolta importante del dibattito intorno alla responsa-bilità sociale, in quanto evidenzia tra i principi fondamentali della cittadinanza europea il valore della solidarietà e il rispetto dei diritti umani.

Dal 1994 al 1999 il Parlamento europeo raggiunge notevoli risultati in ma-teria di responsabilità sociale: dalla trasparenza delle delocalizzazioni e delle ri-strutturazioni all’introduzione di clausole sociali negli accordi internazionali; dai diritti umani nel mondo al commercio equo e solidale.

Contemporaneamente, dal 1998 al 2000, si lavora per giungere alla dichia-razione dell’ILO sui principi e diritti fondamentali del lavoro, mentre le Nazioni Unite si assumono il compito, con un’iniziativa volontaria, definita Global Compact, di fornire un quadro generale entro il quale muoversi per promuovere la crescita sostenibile e il senso di cittadinanza per le imprese.

La svolta più significativa nell’evoluzione dell’impegno sulla responsabilità sociale di impresa si ha però nel 2000, con il Consiglio europeo di Lisbona, du-rante il quale viene definito l’obiettivo strategico dell’Unione europea per il 2010: «divenire l’economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita economica sostenibile accompagnata da un mi-glioramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione e da una maggiore coe-sione sociale». È ovvio che tale ambizioso obiettivo non può essere raggiunto senza fare appello al senso di responsabilità sociale delle imprese affinché col-laborino al raggiungimento di questo obiettivo.

Si tiene nello stesso anno il Consiglio europeo di Nizza per sollecitare la Commissione a integrare le imprese in una partnership che includa parti sociali, ONG, autorità locali e organismi che gestiscono servizi sociali, in modo da rafforzare la responsabilità sociale.

La OECD (Organization for Economic Cooperation and Development), sem-pre nel 2000, elabora le linee guida dirette alle multinazionali, che contengono i principali capisaldi della RSI e che coinvolgono le parti sociali e i governi na-zionali con l’obiettivo di operare in armonia con le politiche e le aspettative so-ciali e ambientali.

Nel 2001 si tiene il Consiglio europeo di Göteborg, durante il quale viene illustrata la Comunicazione della Commissione sullo sviluppo sostenibile e viene rimarcata l’importanza che le imprese integrino gli aspetti ambientali e sociali nelle loro attività.

Nel 2001 la Commissione europea pubblica il più volte citato Libro Verde, una sorta di “milestone” della RSI per “promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese”, documento attraverso cui si intende sti-molare la riflessione sul tema e lanciare la consultazione a livello europeo sul concetto di responsabilità sociale affinché diventi uno degli elementi fonda-mentali della cultura imprenditoriale.

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Fa seguito, l’anno successivo, la pubblicazione, da parte della Commissione, della Comunicazione «Responsabilità sociale: un contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile», contenente la sintesi della consultazione in merito al Li-bro Verde sulla RSI e i principi proposti per un’azione comunitaria nel campo della responsabilità sociale; viene inoltre istituito il Multi-stakeholder Forum al fine di promuovere la trasparenza e la convergenza delle prassi e degli strumenti socialmente responsabili.

Nel 2002 durante il Forum di Parigi, la Banca Mondiale prende posizione a favore dell’Agenda 21 e del Global Compact, sostenendo che tutte le aziende devono perseguire quattro obiettivi:

– economico (non in perdita);

– ambientale (minimizzando effetti negativi);

– sociale (rispetto standard lavoro e impatto sulla comunità in cui si inserisce); – trasparenza di gestione.

Sempre nel 2002 a Johannesburg ha luogo il Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile per fare il punto sul raggiungimento degli obiettivi in agenda defi-niti alla Conferenza di Rio e per attivare nuove iniziative attraverso una serie di misure volte a ridurre la povertà e a proteggere l’ambiente.

Tutte queste azioni hanno notevolmente contribuito a diffondere la cono-scenza e la sensibilità sul tema. Tuttavia man mano che la RSI è divenuta un tema globalmente noto, si è posta l’esigenza di tradurne i principi in termini realmente applicabili a realtà imprenditoriali che possono essere notevolmente diverse per dimensione (piccole o grandi imprese) per ambito di azione (locale o globale) per comparto di attività (agricolo o industriale), ecc.

1.4. La relatività della responsabilità sociale di impresa

La RSI si coniuga in maniera differente a seconda che sia riferita a imprese grandi o piccole e medie. Nelle prime, che hanno la possibilità di mettere in campo direttamente risorse specifiche e competenze avanzate, la RSI può quasi naturalmente collocarsi al livello di orientamento strategico di fondo ed essere interpretata come un “investimento” che consente all’azienda la salvaguardia e il miglioramento della performance economica nel medio lungo periodo tramite una migliore interazione con le parti interessate. Nel caso delle piccole e medie imprese, a fronte della minore disponibilità di risorse finanziarie e umane si ri-scontra un più immediato contatto con gli stakeholder. Ne consegue che, so-prattutto per queste realtà, la RSI non può prescindere dalla realizzazione di un percorso integrato con le altre realtà dello stesso segmento produttivo o con quelle a monte e a valle della catena del valore, nonché da un raccordo con le

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azioni di promozione delle istituzioni e il supporto della comunità locale. È a questo livello che si genera il cosiddetto “capitale sociale” e che si alimenta il rapporto fiduciario impresa-stakeholder, elementi basilari nella moderna econo-mia. La dimensione aziendale quindi, non è un fattore limitante della RSI, ma piuttosto un punto di forza dato dal forte legame e radicamento sul territorio e con le comunità locali reso possibile proprio dalle piccole dimensioni delle im-prese che, se si collocano in un logica di sistema, possono addirittura trovarsi in una posizione di “vantaggio” rispetto alle grandi realtà per intraprendere un percorso di responsabilità sociale.

Inoltre, la responsabilità sociale si coniuga in maniera diversa a seconda delle peculiarità del settore di riferimento. Il sistema agroalimentare da sempre rive-ste un ruolo centrale per la collettività, rispondendo a fabbisogni primari del-l’individuo e, quindi, assolvendo a una funzione essenziale nella vita di cia-scuno. Se, da un lato, la liberalizzazione dei mercati internazionali e la diffu-sione capillare della tecnologia dell’informazione hanno reso possibile una mag-giore circolazione delle informazioni e delle merci, ampliando in modo espo-nenziale la possibilità di scelta dei consumatori, dall’altro, hanno comportato la crescita della interdipendenza tra mercati difficilmente controllabili, con conse-guenti riflessi sulla qualità e sicurezza degli alimenti.

1.5. La responsabilità sociale d’impresa un’occasione per il sistema agroalimentare italiano

I problemi sanitari legati all’alimentazione hanno determinato un mutamento nel rapporto tra consumatore e sistema agroalimentare. Eventi congiunturali come la BSE e la febbre aviaria hanno prodotto negli anni significative crisi di fiducia nei consumatori, con l’effetto di accrescere l’attenzione dell’opinione pubblica verso le politiche agricole. In particolare, il consumatore ha sviluppato una sempre maggiore sensibilità non solo verso tematiche come la sicurezza ali-mentare, l’ambiente, il benessere animale e la biodiversità ma anche verso i va-lori etici del consumo e il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori.

Per le imprese agricole e agroalimentari la responsabilità sociale rappresenta quasi una “vocazione naturale” perché esse assolvono ormai, più o meno con-sapevolmente, a funzioni di salvaguardia e presidio del territorio, dell’ambiente, delle tradizioni locali, ecc. Il sistema agroalimentare è oggi, infatti, una sintesi di più funzioni: accanto alla tradizionale funzione economico-produttiva, sem-pre determinante, si pongono ulteriori funzioni di valenza territoriale e ambien-tale che caratterizzano il settore e il quadro delle relazioni che ad esso fanno capo.

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Il sistema agroalimentare è oggi un motore dello sviluppo economico e so-ciale, oltre che uno strumento di salvaguardia e valorizzazione ambientale es-sendo chiamato a dare risposte ad alcune grandi questioni: gli spazi rurali, il bi-sogno di sicurezza alimentare, la qualità dei prodotti, la sostenibilità ambientale e la valorizzazione del territorio.

Il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari è ormai globale e il feno-meno dell’importazione di prodotti ottenuti con norme e regole assai diverse dalle nostre è molto frequente. Infatti, non è difficile trovare nei mercati, ac-canto ai prodotti italiani, quelli prodotti in altri Paesi senza che si conoscano i sistemi di conservazione, i criteri di produzione, la sicurezza sul lavoro, il ri-spetto dell’ambiente, ecc. Se è vero che la produzione agricola italiana è in con-correnza con quella estera, un orientamento alla responsabilità sociale delle no-stre imprese, e, soprattutto, la comunicazione ai consumatori e all’opinione pub-blica dei principi etici assunti nella gestione e nella produzione può diventare un elemento di qualificazione e distinzione dagli altri attori del mercato che ope-rano con standard etici inadeguati.

Il sistema agroalimentare può dunque giocare una carta importante proprio evidenziando il “come produce”, dal momento che l’acquisto di un prodotto ali-mentare è legato a valori quali la salute, l’ambiente, la tradizione, la cultura, il benessere e la qualità. In sintesi è legato alla fiducia.

Esempi in altri comparti non mancano. Ci sono dati nazionali e interna-zionali che dimostrano come le aziende che si sono orientate alla RSI regi-strano performance aziendali migliori delle altre imprese, e questo anche in cicli di congiuntura negativa, confermando il fatto che la RSI è un elemento positivo della gestione, una “strategia di ascolto del mercato” che consente di anticipare la gestione delle criticità legate a situazioni di crisi e a contraccolpi dei mercati.

Indagini di mercato, inoltre, hanno dimostrato che i consumatori sono di-sposti a pagare, a parità di qualità, fino al 30% in più se quel prodotto garanti-sce anche altri valori (rispetto dell’ambiente, sicurezza e condizioni di lavoro, diritti umani, campagne di solidarietà sociale, ecc). Ciò implica che quando si compra un prodotto con esso si comprano anche i valori che ne sono alla base. L’acquisto diventa un atteggiamento politico oltre che un negozio giuridico ed economico: un voto alle imprese. Se il sistema agroalimentare coglie a pieno questo aspetto non potrà che avvantaggiarsene.

La strategia di ascolto costringe le aziende a fare i conti con il consenso della gente, un elemento intangibile della gestione, un elemento che, come direbbe Einstein, “conta, ma non si conta”. Gli strumenti della RSI permettono all’a-zienda di “gestire” questa fiducia e inserirla a pieno titolo tra le attività intan-gibili che danno valore all’impresa.

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1.6. Conclusioni

Un suggerimento che si può proporre all’operatore del settore agroalimen-tare è di fare molta attenzione al rispetto delle norme, soprattutto in tema di la-voro e ambiente. È noto che il fenomeno del lala-voro nero in agricoltura è molto diffuso e in certe regioni più che in altre. Stessa cosa dicasi per pesticidi e con-cimi. Ebbene, il primo sforzo da compiere è quello di porsi dentro le norme, nell’alveo della legge e solo dopo cercare eventualmente lo spazio etico della responsabilità sociale. Rispettare le leggi, condivise o meno, non è un compor-tamento etico nei confronti dell’opinione pubblica, è semplicemente un dovere e un obbligo nei confronti dello Stato di cui si fa parte.

Gli strumenti utilizzabili, come si vedrà, sono diversi, ma ciò che conta non è il numero, ciascun operatore adotterà quelli che ritiene più opportuni in fun-zione della propria storia, dimensione, tipologia di produfun-zione, posizionamento del mercato, ecc. Ciò che è importante è che gli strumenti che adotta siano tra loro coordinati e messi a sistema e non solo a sommatoria.

L’integrazione è importante. È quella che fa la differenza tra sommatoria e sistema, tra musica e rumore: in una orchestra sinfonica quando i professori di conservatorio con grande esperienza suonano una partitura eccezionale con stru-menti fantastici ottengono risultati diversi a seconda che ciascuno suoni per pro-prio conto o a tempo con gli altri.

A volte è meglio e più facile fare poco, ma in maniera armoniosa, che fare tanto e in maniera scoordinata: nel contesto della RSI quindi conviene utilizzare bene pochi strumenti piuttosto che tanti male. Questo è il suggerimento che si propone.

Non c’è scritto da nessuna parte che si debba fare per forza tutto e subito, fortunatamente non c’è un obbligo di legge. Tutto dipende dagli orologi di ma-turazione interna delle imprese e dalle spinte esterne dei mercati. E queste non sono mai uguali.

L’altra considerazione riguarda le filiere: tutti i soggetti delle filiere sono stakeholder rispetto all’impresa e ciascun soggetto è stakeholder dell’altro. Ciò implica che, anche se con ritardo, il settore agricolo una volta orientatosi alla RSI può registrare un’accelerazione violenta che premia certamente le avan-guardie ma che rischia di spazzare via dal mercato chi invece ritiene che la RSI sia un fenomeno di moda.

Da tutto questo si intuisce come l’orientamento alla responsabilità sociale sia un’idea, una tendenza, un’intenzione, un atto di libertà affidato alla sensibilità e alle esigenze dell’azienda, che si colloca nello spazio etico del non esigibile per norma. L’orientamento alla responsabilità sociale, pertanto, è un percorso li-bero, originale, esclusivo ed è lo stile di direzione dei vertici che deve declinare

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la maturità e sensibilità della gente che opera in azienda con le aspettative della società civile intesa come mercato e opinione pubblica.

Non esistono processi di orientamento migliori di altri, ma solo risultati di-versi raggiungibili attraverso percorsi didi-versi. La responsabilità sociale non è quella che l’azienda ritiene di adottare ma è quella che l’opinione pubblica ri-conosce.

Dalla sommatoria dei comportamenti delle imprese e degli individui dipende la qualità del mondo dove i nostri figli e nipoti vivranno ma la qualità di quel mondo dipende anche dal livello di indifferenza o di attenzione di tutti gli stakeholder, tutti noi, gente senza volto che “vota” con i portafogli. Stakehol-der, “una nuova potenza mondiale” come li ha definiti un noto opinionista ame-ricano, gente che è disponibile ad aggregarsi su un valore e un tema con la ve-locità e l’irruenza di un fiume in piena ma che può cambiare idea con la velo-cità di un cavallo quando scarta un ostacolo, “disarcionando” imprese, prodotti e intermediari culturali.

Stakeholder siamo tutti, individui e aziende, anche senza sapere “di chi”. Tutti, anche senza averne coscienza, teniamo in una mano un’arma potente che usiamo ancora poco, l’infamia e il dissenso, e offriamo invece con l’altra la perla delle perle: la fiducia.

Anche le imprese sono stakeholder, di altre imprese e di individui e tutti in-sieme siamo stakeholder di sistemi, comunità, nazioni e Stati.

Il potere degli stakeholder, però, è potenziale; per diventare reale necessita di due detonatori: il livello culturale della gente e il sistema di informazione, dove il secondo influenza anche il primo. La vera democrazia, infatti, consiste nell’offrire alla gente gli strumenti culturali perché ciascuno possa scegliere in autonomia e libertà. In questa ottica, il livello culturale di un Paese, inteso come sensibilità e reattività, diventa il vero indicatore della democrazia economica.

Al di là dei modelli giuridici, delle convinzioni religiose, delle idee politiche, dei livelli economici e delle conoscenze di ciascuno di noi, è necessario che tutti insieme ci riconosciamo, ci aggreghiamo e ci attiviamo intorno a un valore nuovo: “essere responsabile socialmente e pretendere che anche gli altri lo siano”. La responsabilità sociale di impresa è nel “dna culturale” delle aziende agri-cole. L’etica fa parte della sua tradizione e la dimostrazione è semplice: la pa-rola stakeholder ha origine nella cultura contadina scozzese. Il suo significato let-terale è “proprietario del paletto” che segna il confine del campo. Tenere in con-siderazione gli interessi dello stakeholder significa tenere conto degli interessi del contadino confinante. Nel proprio terreno si ha diritto a fare ciò che si vuole, ma c’è sempre un vicino che, ai confini delle nostre azioni, è portatore di semplici interessi e che può essere tutelato solo dai nostri comportamenti. In cambio of-fre consenso, quello che serve per vivere in armonia nella stessa comunità.

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2.1. Premessa

Le relazioni esistenti tra le imprese agricole e quelle alimentari risultano ben visibili in un processo di integrazione verticale noto in letteratura con il termine di filiera.

Negli anni, numerosi studi sono stati rivolti al sistema agroalimentare e con la nozione di filiera si definisce la successione di stadi sequenzialmente ravvi-cinati, da un punto di vista tecnico e tecnologico, necessari per trasformare la materia prima in prodotto finito, pronto per essere acquistato dal consumatore finale. Lungo il percorso di filiera i prodotti agroalimentari, quindi, subiscono le trasformazioni fisiche, i trattamenti e i condizionamenti necessari per essere preparati alla vendita finale. Nella filiera si è in presenza di relazioni strutturate e le fasi che la caratterizzano sono: la produzione, la trasformazione e la distri-buzione. Gli attori coinvolti nel processo di filiera (produttori agricoli, interme-diari, grossisti, industrie alimentari, dettaglianti, ecc.) sono molteplici e sono chiamati ad affrontare le sfide del mercato globale e i nuovi bisogni dei consu-matori che vogliono riscoprire prodotti autentici e genuini. La figura che segue rappresenta la nozione di filiera e i legami intersettoriali esistenti al suo interno. È chiaro che il sistema agroalimentare è inserito in un contesto economico molto mutevole e complesso, in cui aspetti come la struttura dei mercati, l’in-ternazionalizzazione, l’aumento dei prezzi delle materie prime scaturita dalla crisi energetica e la concorrenza da parte di Paesi emergenti rendono difficile la definizione di aspetti di dettaglio caratterizzanti il sistema stesso. Al contempo,

* Il lavoro è frutto dell’impegno comune di L. Briamonte, M.A. D’Oronzio e di R. Pergamo. Tuttavia, le singole parti vanno così attribuite: Maria Assunta D’Oronzio, paragrafi 2.1 e 2.4; Raffaella Pergamo, pa-ragrafo 2.2; Lucia Briamonte, papa-ragrafo 2.3.

C

APITOLO

II

P

ERCORSI DI RESPONSABILITÀ SOCIALE

PER LA FILIERA AGROALIMENTARE

*

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però, l’adattabilità del sistema agroalimentare allo scenario di riferimento sug-gerisce di analizzare le interdipendenze esistenti tra i vari aspetti, integrandole in un processo logico di filiera che evidenzi la vitalità delle modalità organiz-zative, l’identità dei soggetti e la natura dei processi. In questo contesto dina-mico e mutevole il sistema agricolo ha finito col perdere la sua specificità ri-spetto al resto della filiera e si è inserito nell’ambito di complessi agroalimen-tari integrati (Iacoponi, 1994). I legami con la trasformazione e la commercia-lizzazione sono diventati via via più stretti e le singole strategie aziendali sono state rielaborate e orientate in una logica di integrazione interaziendale, in senso verticale e orizzontale e, in taluni casi sono sorte forme organizzative partico-lari in ambiti territoriali ben delimitati. Elevati livelli di efficienza e competiti-vità, ottenuti grazie alla presenza di prodotti tipici e di qualità di beni, hanno caratterizzato alcune di queste realtà territoriali. Studi e rilievi empirici hanno evidenziato una realtà agroalimentare locale sempre più articolata e complessa caratterizzata non solo da elementi di natura materiale ma anche relazionale1 (Storper, 1997).

In linea generale, nonostante tali mutamenti, l’anello debole del sistema ri-mane l’agricoltura, che nel confronto con la trasformazione agroalimentare e con la distribuzione, non governa appieno le relazioni, non controlla i meccanismi organizzativi anche se, allo stesso tempo, solo l’appartenenza al territorio e la tipicità delle produzioni conferma alla fase agricola quel ruolo primario strate-gico nei confronti degli altri operatori economici. Nell’ultimo periodo, l’appli-cazione della riforma della PAC rende più vulnerabile il ruolo dell’imprendito-rialità agricola, concedendo aiuti non riferiti alla produzione e contribuendo a determinare il conseguente abbandono delle superfici coltivate che inficia ulte-riormente il sistema dell’integrazione verticale. La trasformazione alimentare si caratterizza per le dimensioni medio-piccole, definite di “nanismo strutturale” (Banca d’Italia, 2007) che però concentrano discreti volumi di capitale. In que-sto segmento si colgono tuttavia elementi di debolezza legati soprattutto alle condizioni infrastrutturali e alla logistica anche se vi è una capacità generaliz-zata di penetrazione di nuovi mercati e un approccio alle relazioni di tipo ma-nageriale. L’industria alimentare, nel complesso, si è modificata a seguito dei processi di specializzazione produttiva e di concentrazione territoriale nonché per le evoluzioni intercorse nei rapporti contrattuali tra gli operatori. Alla luce di questo percorso, è sempre più efficace evidenziare le peculiarità di un pro-dotto in relazione alla sua provenienza, ai meccanismi e alle regole della filiera

1 Nella produzione si inseriscono numerose relazioni: accordi tra imprese e partner, tra imprese e pubbli-che istituzioni, etc.

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di appartenenza piuttosto che al sistema nel suo complesso, poiché le analisi ag-gregate spesso non restituiscono quegli elementi chiarificatori sulle tendenze in atto e le motivazioni che vi sottendono. Allo stesso modo, il territorio che ospita i sistemi locali di imprese garantisce a questi ultimi un vantaggio competitivo per quelle particolari variabili ambientali – le economi esterne – che consentono una riduzione dei costi di produzione e il miglioramento qualitativo dei prodotti offerti. La distribuzione, infine, è quella fase della filiera che ha avuto i mag-giori mutamenti sia per l’evoluzione degli stili di vita sia per le nuove esigenze manifestate dalle imprese di trasformazione: i soggetti concentrati in questo segmento sono eterogenei per dimensione e per localizzazione, passando dagli esercizi al dettaglio, fisso e ambulante presenti soprattutto nei piccoli centri, agli intermediari commerciali e alla distribuzione organizzata diffusi nei centri ur-banizzati. Dagli inizi degli anni ottanta è stato posto l’accento, in maniera sem-pre più forte sul ruolo che svolge il consumatore nel processo di organizzazione dell’offerta. Partendo da tale assunto è inevitabile rivedere gli accordi, a monte e a valle, dell’impresa di produzione. Infatti, un prodotto alimentare per giun-gere al consumatore finale segue un percorso che coinvolge un concatenamento di stadi e in ognuno di questi il prodotto subisce una trasformazione e/o viene aggiunto allo stesso un servizio.

Profonde modifiche hanno interessato il sistema agroalimentare, e il sistema economico nel suo complesso, e i percorsi strategici che possono essere adot-tati dai singoli imprenditori per affrontare questo nuovo contesto produttivo de-vono tenere conto dei fattori chiave, strettamente interrelati fra loro, interni al-l’azienda (prodotto e risorse umane) ed esterni (territorio ed ambiente). In que-sto ambito la RSI costituisce “la strategia di differenziazione” capace di far di-ventare l’impresa unica nel proprio settore con particolari caratteristiche rico-nosciute e richieste dal consumatore (prodotti ottenuti con modalità rispettose dell’ambiente e delle risorse umane).

2.2. La filiera agroalimentare

Nel presente capitolo si analizzano le principali caratteristiche dei comparti produttivi agricoli italiani al fine di individuare i possibili percorsi di RSI.

2.2.1. Il comparto zootecnico e lattiero-caseario

Il settore della zootecnia da carne ha mostrato evidenti segnali di cambia-mento poiché si è manifestata una progressiva diminuzione degli allevamenti bovini e un aumento di aziende dedite all’allevamento di capi bufalini con un

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consistente incremento del numero stesso dei capi, soprattutto nelle regioni cen-tro-meridionali (Pergamo, 2005).

Il comparto suino presenta, negli ultimi anni, una certa contrazione nel nu-mero di aziende dedicate. L’allevamento dei suini pesanti, destinati alla produ-zione di prosciutti, è concentrato soprattutto al Nord della penisola ed è orga-nizzato da aziende che detengono un elevato numero di capi. Nel comparto sono presenti molte produzioni tipiche a marchio territoriale (19 DOP e 7 IGP) che danno luogo a circa 180mila tonnellate di carne così come si stanno diffondendo molti prodotti senza marchio nelle stesse aree di produzione certificata.

Nell’ambito dell’industria agroalimentare nazionale, la macellazione e lavo-razione delle carni è un comparto di indiscussa prevalenza economica e in cui, un segmento di sicuro rilievo è costituito dalla macellazione delle carni. L’in-dustria di macellazione è riuscita, nell’ultimo decennio, a sfruttare pienamente le sue capacità produttive, sottoponendosi a un processo di razionalizzazione delle attività e di riorganizzazione strutturale, che ha avuto come risultato una crescita complessiva del volume prodotto e una riallocazione territoriale del-l’offerta da Nord a Sud.

Da un’analisi sintetica delle principali problematiche rinvenibili nel comparto carni bufaline e bovine, emerge che nel segmento della macellazione e lavora-zione delle carni, la diminulavora-zione della consistenza del patrimonio bovino farà verificare, nel breve periodo, una minore disponibilità di capi da macello e una conseguente eliminazione dal mercato di imprese di trasformazione. Queste ul-time hanno anche risentito dello squilibrio esistente nelle condizioni contrattuali con il comparto grande distribuzione, poiché, fino all’entrata in vigore nel 2002 del decreto legislativo che ha fissato i termini di pagamento nelle transazioni commerciali, tali operatori non potevano riferirsi ad alcun termine legale entro cui riscuotere i pagamenti, con degli innumerevoli ritardi da parte degli acqui-renti che hanno aggravato notevolmente una non proprio rosea situazione di cassa.

Per quanto riguarda le carni suine, si ha una localizzazione delle strutture di macellazione nelle regioni a maggiore vocazione suinicola e quelle più grandi sono in stretta connessione con le strutture di lavorazione mentre è quasi inesi-stente l’integrazione dell’industria di macellazione con la fase agricola; nel comparto, in generale, si riscontrano criticità sia per la valutazione del prezzo sia per l’omogeneità delle forniture.

La produzione di carne risulta, inoltre, condizionata dall’applicazione e dalle evoluzioni della normativa in materia di igiene e benessere degli animali non-ché da quella avente ad oggetto la sicurezza alimentare; si profilano, inoltre, al-tri adempimenti da eseguire con l’applicazione delle direttive sulla rintracciabi-lità ed etichettatura. Il regolamento (CE) n. 1760/00, infatti, ha istituito per i

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capi bovini un sistema di identificazione e di registrazione nonché l’adozione di un sistema di etichettatura delle carni e dei prodotti a base di carne, per i quali i rivenditori al dettaglio e la GDO hanno inserito in ogni etichetta da apporre sul singolo pezzo di carne venduta informazioni relative al numero di identifi-cazione del singolo capo, al numero di approvazione del macello presso cui è stata effettuata la macellazione e al numero di approvazione del laboratorio dove è stata sezionata la carcassa. Dal 2002, inoltre, obbligatoriamente le stesse eti-chette sono state implementate con informazioni riguardanti lo Stato di nascita del capo, lo Stato in cui è avvenuto l’ingrasso e lo Stato in cui è avvenuta la macellazione.

Il sistema distributivo nazionale dei prodotti alimentari ha subìto una forte evoluzione negli ultimi anni con la creazione di grandi strutture di vendita e la concentrazione delle imprese per realizzare massa critica nei confronti dei grandi operatori stranieri. D’altra parte, la presenza di forme distributive diverse, dal-l’ipermercato al discount, dalle superette ai supermercati oltre a rappresentare un tangibile rinnovamento dei formati distributivi che rispondono meglio alle esigenze di qualità dei consumatori, ha comportato dei crescenti investimenti volti a fidelizzare la clientela mediante l’adozione di marchi e la distribuzione di prodotti tipici e biologici nonché con una mirata presentazione di prodotti au-toctoni nelle diverse sedi distributive.

Il prodotto carne in Italia non è, però, pienamente interessato da questa in-novazione del sistema distributivo. Esso, infatti, è rimasto più legato, rispetto ad altri prodotti alimentari, al negozio specializzato e, quindi, nonostante la po-litica accorta svolta dalla GDO che ha inserito al suo interno degli specialisti del banco di vendita, e in taluni casi, ha istituito delle vere e proprie botteghe della carne in cui il consumatore viene informato sui tagli e sulle preparazioni come se fosse dal macellaio di fiducia, sussiste ancora oggi un radicamento delle abitudini di acquisto che assimilano il prodotto carne alla macelleria tradizio-nale.

Il comparto lattiero-caseario è suddiviso in tre sub-comparti: latte bovino, bufalino e ovicaprino. La filiera lattiero-casearia di latte bovino e ovicaprino presenta numerosi elementi di omogeneità: in essa prevalgono le piccole aziende, mentre i grandi allevatori sono sempre meno numerosi; l’attività di tra-sformazione è condotta senza marchio o a marchio proprio mentre pochi ope-ratori presentano un “private label”. Le aziende di maggiori dimensioni hanno prospettive di mercato legate al prodotto di qualità, alla tutela del “made in Italy” e all’apertura di nuovi canali. I piccoli trasformatori, invece, non perse-guono alcuna strategia di differenziazione laddove i disciplinari di produzione impongono dei vincoli abbastanza limitanti. Il prodotto trasformato di latte bo-vino e ovicaprino è venduto prevalentemente tramite grossisti e grande

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distri-buzione mentre solo un 10% della produzione è richiesta dal dettaglio tradizio-nale. Poco significative sono le quote veicolate tramite produttori e ristorazione. La filiera da latte bufalino presenta una localizzazione geografica limitata alle regioni centro- meridionali anche se negli ultimi anni la domanda di moz-zarella al Nord ha indotto una conseguente diffusione di allevamenti bufalini an-che in queste zone. Gli allevamenti si presentano consistenti con una produzione annuale media elevata e di buona qualità anche se a partire dal 2005, la reddi-tività degli stessi risulta in calo rispetto al quinquennio precedente e ciò fa pre-sagire una battuta di arresto del latte conferito ai trasformatori. Anche il seg-mento della trasformazione è concentrato territorialmente con una rete com-merciale moderna che ha consentito la diffusione del prodotto nei circuiti della grande distribuzione e, in alcuni casi, fuori dai confini nazionali.

Nel comparto lattiero-caseario si è riscontrata una discreta sensibilità all’uso delle certificazioni di qualità e all’adesione alle denominazioni di origine men-tre non sono numerosi i riscontri di marchi collettivi o l’adesione alla produ-zione con metodo biologico. Il livello di conoscenza sui sistemi di certificaprodu-zione è medio-alto anche se il maggior numero di aziende non prevede l’adesione per la mancanza di vantaggi diretti, per l’onerosità dei costi e per la presenza di vin-coli produttivi come nel caso del biologico. La scelta di certificarsi o di aderire alla DOP deriva spesso dalla necessità di eliminare le barriere poste da alcuni mercati, per ottenere il riconoscimento da parte dei clienti e per acquisire un maggiore potere contrattuale nei confronti dei compratori (ISMEA, 2006).

2.2.2. Il comparto ortofrutticolo

L’attività ortofrutticola è articolata per subcomparti e di conseguenza rias-sume al suo interno mini-filiere differenziate sia per la numerosità di soggetti coinvolti sia per le prospettive di integrazione e di sviluppo esistenti. Nel seg-mento della produzione le aziende si presentano piccolissime, a carattere fami-liare e altamente specializzate per cui si presume che nel prossimo futuro si con-soliderà la posizione di chi potrà confrontarsi con il mercato ed essere compe-titivo.

Per i prodotti orticoli freschi sfusi la destinazione geografica prevalente è quella regionale mentre, con le operazioni di condizionamento, i legumi e gli ortaggi in coltura protetta arrivano sui mercati nazionali.

La vendita del prodotto orticolo fresco avviene al Nord, prevalentemente tra-mite organismi associativi, tuttavia è consistente anche il flusso di prodotto che si avvia alla vendita diretta. Il prodotto condizionato, invece, è venduto sia tra-mite intermediari commerciali sia tratra-mite grande distribuzione. Nel comparto frutta, il prodotto è venduto prevalentemente fresco e solo pochi operatori ne

Figura

Figura 1 - Le fasi identificative della filiera produttiva
Figura 2 - I possibili percorsi di RSI
Figura 8 - Risultati del Fondo di Riassicurazione (periodo 2004-2006)

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