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7.1. Premessa

Le trasformazioni che hanno interessato il mercato del lavoro negli anni hanno messo a dura prova la capacità di tenuta di un modello occupazionale, quale quello italiano, tradizionalmente fondato sulla centralità del lavoro stan- dard e sulla solidità delle tutele per il lavoratore, portando, forse per la prima volta dal dopoguerra, al centro del dibattito la questione della qualità del la- voro. Con tale accezione s’intende non tanto e non solo l’insieme delle garan- zie connesse alla condizione lavorativa ma anche tutto quel complesso di ele- menti che contribuiscono a determinarne il valore intrinseco, ovvero sicurezza e salute nel luogo di lavoro, crescita professionale, organizzazione del lavoro, contenuti professionali1.

Per avere un’idea di quanto centrale sia oggi il tema della qualità del lavoro in Italia, basti ricordare che:

– l’Italia resta uno dei Paesi europei con la più alta incidenza di lavoro irre- golare, considerato che ogni 100 lavoratori, almeno 10 sono completamente in nero,

– l’elevata incidenza di morti e infortuni sul lavoro (solo nel 2006 si sono re- gistrate 927mila infortuni sul lavoro di cui 1.302 mortali), sebbene in signi- ficativa diminuzione negli ultimi anni, continua a rappresentare un’emer- genza per il Paese,

– circa l’11% dei lavoratori italiani, ma tra i giovani fino a 35 anni la percen-

1 Da questo punto di vista, anche l’orientamento emergente a livello europeo attribuisce sempre più rile- vanza al tema della crescita della qualità del lavoro e soprattutto del ruolo che la RSI può svolgere a sup- porto della crescita sostenibile dell’occupazione. In particolare, come indicato nella Comunicazione del marzo 2006, p. 6 «Le pratiche che si ispirano al concetto di RSI (…) non si sostituiscono all’azione dei pubblici poteri ma possono contribuire a realizzare una serie di obiettivi che essi perseguono, quali: mer- cati del lavoro più integrati e livelli di inclusione sociale più elevati (…); investimenti destinati a favo- rire lo sviluppo delle competenze, l’apprendimento permanente e l’occupabilità (…); miglioramenti nella salute pubblica; migliori prestazioni in fatto di innovazione (…); uno sfruttamento più razionale delle ri- sorse naturali e una diminuzione dei livelli di inquinamento (…); un’immagine più positiva delle imprese e degli imprenditori (…); un maggiore rispetto dei diritti umani, della tutela dell’ambiente e delle norme fondamentali del lavoro, in particolare nei Paesi in via di sviluppo; riduzione della povertà e progressi verso gli obiettivi di sviluppo del millennio».

C

APITOLO

VII

L

AVORO E RESPONSABILITÀ SOCIALE DELLE IMPRESE

tuale raddoppia, ha un contratto a termine o di collaborazione, a progetto od occasionale,

– il 18,7% dei lavoratori italiani è sottoccupato, dal momento che svolge un lavoro inadeguato rispetto al proprio livello di istruzione. I più penalizzati sono i laureati: il 31,9% ha un’occupazione per cui non è richiesto il diploma di laurea e tra i giovani tale percentuale sale al 48,8%.

Tali elementi che caratterizzano il mercato del lavoro italiano sono il portato della sedimentazione di condizioni e fattori – si pensi in particolare al lavoro sommerso o al problema della sottoccupazione – da ricondurre alle caratteristi- che stesse del sistema produttivo del Paese, le cui microdimensioni aziendali hanno fortemente penalizzato l’emersione del lavoro irregolare e soprattutto l’in- nalzamento della domanda di lavoro: nel 2006, stando all’ultima rilevazione del Rapporto Unioncamere Excelsior, “solo” l’8,5% delle assunzioni previste dalle aziende era destinato a laureati.

Alle già penalizzanti caratteristiche di sistema negli ultimi anni si sono ag- giunti dei fenomeni in larga parte nuovi, che hanno accelerato quel processo di progressivo abbassamento della soglia di qualità del lavoro in Italia, e in parti- colare:

– la crescita di comparti produttivi ad alta densità di lavoro irregolare e a forte rischio infortunistico – si pensi all’edilizia ma anche e soprattutto al lavoro di cura e di assistenza domestico – che se da un lato ha contribuito non poco alla contrazione dei livelli di disoccupazione, dall’altro, ha prodotto un ine- vitabile deterioramento delle condizioni complessive di lavoro;

– l’aumentato livello di incertezza connesso alla condizione lavorativa, legato all’ampia diffusione di contratti flessibili, a termine e di collaborazione. L’in- troduzione di queste tipologie contrattuali ha consentito di dare nuovo ossi- geno a un mercato del lavoro sempre più asfittico ma ha anche “congelato” i processi di crescita professionale di quote sempre più larghe di lavoratori, penalizzandone fortemente la condizione lavorativa;

– l’accesso sempre più numeroso al lavoro degli immigrati, che ha determi- nato, in molti comparti, l’abbassamento della soglia di regolarità del lavoro, e soprattutto una diminuzione del livello di consapevolezza dei lavoratori ri- spetto ai propri diritti.

Va sottolineato inoltre come, negli ultimi anni, lo stesso significato del la- voro sia andato profondamente e progressivamente modificandosi, cambiando le attese che le persone hanno rispetto a questa dimensione della propria vita. Una dimensione che se, da un lato, risulta sempre meno centrale, perché sempre meno “tributaria” di identità sociale dall’altro, rappresenta oggi qualcosa di più di un modo per “guadagnarsi da vivere”, ovvero un insieme di motivazioni di carattere espressivo – come la volontà di raggiungere particolari obiettivi per-

sonali e ottenere risultati soddisfacenti nel proprio percorso professionale – che assumono un valore sempre più rilevante da un punto di vista personale e so- ciale, anche se non economicamente quantificabile2.

7.2. La centralità della dimensione lavoro nell’azione di responsabi- lità sociale di impresa

La dimensione del lavoro rappresenta un aspetto relativamente poco esplo- rato dal dibattito sulla responsabilità sociale delle imprese, quanto meno rispetto alla centralità che le risorse umane rivestono nella vita delle aziende e all’im- patto che una strategia d’impresa anche orientata alla promozione della qualità del lavoro e del benessere dei propri addetti può avere, non solo in termini eco- nomici, ma anche e soprattutto sociali.

Tale tendenza a “spogliare” il concetto di responsabilità sociale delle imprese da quello che ne rappresenta l’elemento più costitutivo risente evidentemente della minore attenzione che le stesse imprese impegnate in tema di responsabi- lità sociale dedicano a questo aspetto, dato che l’impegno nei confronti delle ri- sorse umane viene considerato dalle imprese “attive” sul fronte della RSI come l’aspetto più residuale (“solo” il 4,5% dichiara di essere impegnata in tal senso), prediligendo al contrario strategie di responsabilità sociale più orientate verso le rispettive comunità di riferimento dell’azienda, oppure verso gli azionisti, o l’impegno nei confronti dell’ambiente3.

Tuttavia c’è più di una ragione per ritenere che il binomio lavoro-responsa- bilità sociale rappresenti oggi un tema sempre più centrale per il nostro Paese, sia rispetto alla crescita della qualità complessiva del lavoro in Italia sia rispetto agli effetti che questa può produrre da un punto di vista sociale e di sistema – in termini di inclusione e integrazione soprattutto – contribuendo fattivamente alla realizzazione, sia a livello micro che macro, di uno sviluppo socialmente sempre più sostenibile.

A livello macro, la connessione tra la dimensione del lavoro e della respon- sabilità sociale di impresa rappresenta un tema di grande interesse e rilievo per chi ha responsabilità nelle politiche attive del lavoro, perché può costituire uno strumento valido di risposta alle domande di un territorio che è chiamato oggi a confrontarsi con nuove sfide: il tortuoso ingresso dei giovani nel mercato oc- cupazionale, il rischio di fuoriuscita dal lavoro che colpisce quote crescenti di

2 Sull’evoluzione del significato del lavoro si veda Wilson, 2004. 3 Per approfondimenti si veda Unioncamere, 2006.

popolazione adulta, la propensione all’inattività che continua a interessare molte giovani donne, anche a elevata scolarità, la tendenza di molti lavoratori a re- stare in attività oltre l’età di pensionamento, le uscite volontarie dal lavoro an- che in giovane età. Da questo punto di vista, il connubio lavoro-responsabilità sociale delle imprese risulta centrale da almeno due punti di vista:

– nell’improntare le politiche territoriali a logiche di coesione e di intervento che partano dal basso, tramite il coinvolgimento attivo dei soggetti che nel territorio operano quotidianamente,

– nel promuovere meccanismi di governance dei mercati locali del lavoro, che tengano conto delle potenzialità della RSI e conseguentemente del ruolo proattivo che le imprese possono giocare nell’innalzamento dei livelli di oc- cupazione e soprattutto della qualità del lavoro.

A livello micro, se è indubbio che non possa essere demandata all’iniziativa e alla capacità propositiva delle singole imprese la soluzione delle nuove que- stioni che oggi interessano la condizione di lavoro, è altrettanto evidente che esse sono i soggetti chiamati in prima persona a svolgere uno sforzo in più per contribuire a migliorare la qualità complessiva del lavoro nel nostro Paese. Uno sforzo che evidentemente non può che vederle impegnate in una pluralità di di- rettrici: che se, da un lato, attengono anche al perseguimento degli obiettivi che possono essere considerati di sistema – sicurezza in primis ma anche innalza- mento della qualificazione dei profili richiesti – dall’altro, rimandano alla ca- pacità di attivarsi anche in dimensioni nuove, e soprattutto di:

– arricchire la complessità della dimensione aziendale di nuovi modelli di ge- stione che siano in grado di stimolare in modo continuato i processi di inte- grazione delle risorse umane nell’impresa, nella consapevolezza che carriera e competenze stanno crescendo insieme a benessere, stile delle relazioni e cultura, che cominciano a rappresentare elementi importanti nel pacchetto di offerta di politiche aziendali al pari degli altri;

– stimolare un positivo clima aziendale, promuovendo quel complesso insieme di elementi sottesi alle performance e alla produttività del lavoro, fatto di motivazioni, di sviluppo di relazioni per gruppi, di informalità, di investi- mento personale nelle vicende di impresa, di fiducia che sembra cambiare secondo logiche autonome rispetto alle altre dinamiche interne;

– far crescere le competenze professionali, che sono attualmente il vero mo- tore del cambiamento aziendale e della sua implementazione, soprattutto se correlate a posizioni di responsabilità e/o di esposizione diretta del lavora- tore rispetto al mercato.

Obiettivi questi che chiamano in causa, oltre alle medie e grandi imprese, anche le piccole, che, per le loro dimensioni e caratteristiche organizzative, po- trebbero sentirsi spinte a sottrarsi alle proprie responsabilità. Anzi, proprio la ca-

pacità che queste hanno dimostrato in questi ultimi anni di sapere attivare logi- che nuove di proiezione sui mercati rende per loro necessario compiere un passo in avanti anche rispetto alle modalità di gestione delle proprie risorse interne.

7.3. Aspetti e strumenti dell’organizzazione del lavoro responsabile Se il ruolo delle politiche per l’occupazione va assumendo sempre più una rilevanza strategica alla luce dei nuovi scenari competitivi, internazionali e na- zionali, che pongono le risorse umane al centro dei processi di sviluppo e di competitività delle aziende e se, al tempo stesso la qualità, da intendersi nelle sue plurime accezioni – regolarità del lavoro, sicurezza del lavoro, soddisfazione del lavoratore, crescita professionale, condizioni di lavoro sostenibili – va sem- pre più affermandosi come driver delle politiche del lavoro, occorre analizzare in che modo le aziende possono effettivamente contribuire a tale sviluppo e quali sono conseguentemente gli aspetti entro cui si declina l’azione di responsabilità sociale delle imprese.

Premesso che molteplici sono i fattori che influenzano la capacità e la di- mensione di responsabilità sociale delle aziende, può essere utile, ai fini di un chiarimento concettuale, distinguere gli ambiti entro cui si estrinseca e si svi- luppa l’azione di responsabilità sociale dell’azienda e gli strumenti da mettere in campo, che possono essere diversificati a seconda delle finalità da raggiungere.

Tuttavia se le sfere di interesse dell’azione di responsabilità sociale delle im- prese possono essere plurime, queste non possono prescindere dal rispetto delle regole che disciplinano il corretto funzionamento del mercato del lavoro e che tutelano il lavoratore.

Regolarità del contratto di lavoro e delle modalità di occupazione, rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori, tutela della salute e della sicurezza nel luogo di lavoro sono pertanto gli elementi “di base”, la cui presenza, pur necessaria allo sviluppo di azioni orientate a criteri di responsabilità sociale da parte del- l’impresa, non risulta tuttavia di per sé indicativa di un orientamento in tal senso4.

4 A tal fine si è scelto di adottare un concetto di responsabilità sociale dell’impresa più ristretto rispetto al- l’orientamento spesso adottato in materia, considerando il principio di legalità come elemento distintivo tra cosa non rientra nell’ambito della responsabilità sociale delle imprese (quello ovvero che le imprese sono tenute a “fare” per legge) e quello che, al contrario, non vi rientra (quello che le imprese non sono tenute a fare). Da questo punto di vista, tuttavia, non si può non segnalare come anche sul versante nor- mativo ci sia stata una spinta forte in questi ultimi anni a connotare sempre più in una prospettiva di re- sponsabilità sociale, i confini dell’attività imprenditoriale. Si pensi in particolare agli ultimi provvedi- menti adottati in materia di lavoro irregolare e soprattutto di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (L. 123/2007), che hanno innalzato notevolmente (ampliando l’ambito di applicazione ai lavoratori auto- nomi, parasubordinati e alle categorie prima eluse) la soglia di tutela per i lavoratori.

È invece da individuare nell’insieme di azioni che le imprese mettono in campo a vantaggio dei propri lavoratori, oltre che nel semplice rispetto del prin- cipio di legalità, ossia di quanto sono tenute a fare per legge, l’esistenza di un approccio “socialmente responsabile” verso le proprie risorse, che si sostanzia tendenzialmente:

– nella promozione professionale del lavoratore, ovvero l’insieme di inter- venti finalizzati alla crescita professionale, alla costituzione di un patri- monio di competenze e conoscenze funzionale alle esigenze di crescita professionale del lavoratore, al riconoscimento e alla valorizzazione delle competenze del lavoratore, alla soddisfazione delle aspirazioni professio- nali;

– nella tutela del benessere individuale dentro e fuori l’azienda, da intendersi come l’insieme delle misure finalizzate ad accrescere il livello di soddisfa- zione del lavoratore e che attengono alla motivazione, al coinvolgimento, alla qualità delle relazioni umane presenti nell’ambiente di lavoro, al coinvolgi- mento rispetto alla mission aziendale, all’equilibrio tra la dimensione di vita lavorativa e la dimensione di vita privata, all’inserimento e all’integrazione nel contesto sociale di riferimento.

«All’impresa socialmente responsabile non si chiede di diventare altruista bensì di coltivare un egoismo intelligente dietro la promessa che se si aprirà ai più ampi orizzonti evocati dalla RSI, potrà svolgere ancora meglio la sua mis- sione di creatrice di ricchezza» (Del Punta, 2006, p. 7). Per fare ciò occorre par- tire dall’esigenza di valorizzare il capitale umano, in quanto risorsa chiave per la produttività e la competitività dell’impresa e del sistema nel suo complesso. In questo quadro le leve che le imprese possono attivare sono molteplici e ar- ticolate.

La principale è rappresentata dall’organizzazione del lavoro, una variabile che risulta centrale, nelle grandi, come nelle piccolissime aziende, per favo- rire quei percorsi di crescita di qualità del lavoro, e indirettamente innalzare i livelli di produttività e competitività delle aziende. Considerando l’impatto che l’organizzazione aziendale può avere in termini di responsabilità sociale delle imprese, diverse sono le modalità per stimolare l’insieme di asset in- tangibili, legati alla motivazione individuale e alla soddisfazione, che costi- tuiscono quel valore aziendale invisibile ma sempre più cruciale nel determi- narne il successo. In particolare, gli ambiti in cui l’impresa può intervenire in termini di RSI sono:

– l’organizzazione del processo lavorativo, attraverso l’adozione di soluzioni organizzative che favoriscano i processi di responsabilizzazione e motiva- zione del personale rispetto agli obiettivi, tramite meccanismi chiari e tra- sparenti di valutazione del lavoro svolto, modelli organizzativi ispirati a lo-

giche di orizzontalità piuttosto che di verticalità, team work laddove le di- mensioni lo consentano5;

– l’adozione di meccanismi di flessibilità che consentano di venire incontro alle esigenze di conciliazione tra vita privata e vita professionale, espresse sia dalle donne che dagli uomini, tramite la flessibilità negli orari di entrata e uscita giornaliera. L’istituzione della banca delle ore o di meccanismi si- milari che consentano di “sottrarre” le ore di straordinario dal monte ore an- nuo o mensile, in modo da consentire una più agevole organizzazione dei tempi da parte del lavoratore oppure la concessione dell’anno sabbatico per consentire al lavoratore di assecondare anche i propri interessi di formazione e apprendimento “fuori dal lavoro” rappresentano degli esempi concreti; – l’utilizzo di sistemi di incentivazione, tramite l’adozione di meccanismi pre-

miali retributivi, a valere sui risultati aziendali e individuali, profit sharing, ovvero la partecipazione dei lavoratori all’attività di impresa tramite la ri- partizione dei profitti, oppure fringe benefits, vacanze premio, o altro tipo di gratificazione che sia in grado di accrescere il livello di soddisfazione indi- viduale del lavoratore e il coinvolgimento rispetto agli obiettivi aziendali; – l’adozione di un sistema informativo trasparente, che consenta una trasmis-

sione chiara e completa delle informazioni aziendali ai diversi livelli del- l’organizzazione, in modo da migliorare le relazioni all’interno dell’ambiente di lavoro;

– il coinvolgimento dei lavoratori nella vita aziendale, attraverso una serie di iniziative che possano contribuire ad accrescere il senso di appartenenza al- l’azienda: dall’auditing interno, all’analisi di clima, da iniziative aziendali esterne al luogo di lavoro, alla partecipazione diretta dei lavoratori, anche tramite i propri rappresentanti, a decisioni fondamentali per l’azienda, a tutti i meccanismi di responsabilizzazione individuale, come la creazione di spi- rito di squadra, riconosciuto come un asset sempre più strategico nell’orga- nizzazione di impresa;

– la formazione dei lavoratori, da intendersi come quell’insieme di pratiche, anche non formalizzate, finalizzate alla crescita di competenze e conoscenze da parte del lavoratore, il quale ha diritto di non rimanere “ostaggio” del- l’impresa, ma di costruirsi un proprio patrimonio professionale, eventual- mente spendibile altrove sul mercato del lavoro. Rientrano in tale logica non solo le attività informative o formative realizzate all’interno dell’azienda o su iniziativa di quest’ultima ma anche, e soprattutto, il sostegno a progetti

5 Per un’analisi dettagliata delle modalità di innovazione dell’organizzazione del lavoro utilizzate sia in Ita- lia sia nei Paesi dell’UE, si rimanda all’interessante studio promosso dalla rete europea Ewon-European Work Organization Network, 2002.

formativi dei singoli lavoratori, non sponsorizzati o funzionali a uno speci- fico interesse dell’azienda.

Oltre agli aspetti elencati, che attengono più strettamente alla dimensione or- ganizzativa del lavoro interna alle aziende, è da sottolineare come spesso le azioni di RSI tendano a rivestire ambiti completamente esterni alla sfera pro- fessionale di diretto interesse del lavoratore. Sono pertanto inquadrabili tra le azioni di responsabilità sociale tutti gli interventi o servizi finalizzati a dare ri- sposta a specifiche domande dei dipendenti o a migliorarne le condizioni e la qualità di vita. Tra questi, si segnalano a titolo esemplificativo:

– l’erogazione di specifici servizi per le famiglie dei lavoratori, come la crea- zione di asili nido interni, scuole estive/sportive per i figli dei dipendenti e delle famiglie, agevolazioni/convenzioni con strutture/esercizi commerciali, creazione di fondi/borse di studio per sostenere il percorso di studi dei figli dei dipendenti, ecc.

– il sostegno attivo a categorie che presentano specifiche problematiche di in- serimento e di integrazione lavorativa e sociale, come gli immigrati o i la- voratori disabili. In particolare per i primi, gli interventi che l’azienda può porre in essere sono molteplici: dal fornire un alloggio all’assistenza nella soluzione di specifici problemi abitativi, dall’organizzazione di corsi di lin- gua alla rimodulazione degli orari di lavoro, laddove possibile, anche sulla base di specifiche esigenze espresse.

Al di là delle singole leve che possono essere di volta in volta attivate dalle aziende, negli ultimi anni l’organizzazione del lavoro nel suo complesso è stata profondamente contaminata dai nuovi orientamenti in materia di RSI, e le teo- rie organizzative risultano oggi tutte orientate in tal senso. Se un tempo infatti

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