LA FUNZIONE SOCIALE DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE
DI IMPRESA IN AGRICOLTURA:
4.1. Premessa
Se un territorio produce materie prime agricole a buon mercato, in assenza di elementi di qualificazione, in condizioni sociali deplorevoli e senza tener conto delle questioni ambientali, le imprese che vi operano non possono essere definite né economicamente competitive né socialmente responsabili, nei termini che la letteratura economica assegna a questi concetti.
Un territorio diventa, invece, competitivo, quando è in grado di affrontare la concorrenza del mercato attraverso la capacità di fare sistema a livello locale con le istituzioni pubbliche, le associazioni agricole, le aziende e le industrie di trasformazione, garantendo, al tempo stesso, la sostenibilità ambientale, econo- mica, sociale e culturale. Perché ciò avvenga, tuttavia, non solo le imprese de- vono impegnarsi in percorsi di innovazione produttiva e di rafforzamento delle competenze imprenditoriali ma devono sussistere alcuni elementi, in particolare: – il rafforzamento del sentimento di attaccamento al territorio delle imprese, in
modo da incrementare le risorse che non possono essere delocalizzate; – il potenziamento del senso del bene comune;
– l’integrazione di tutte le risorse del territorio;
– la valorizzazione degli elementi comuni legati alla specificità del territorio, tradizioni, paesaggi, architettura, know-how, per differenziare i prodotti e creare nuove prospettive di mercato.
Un territorio economicamente competitivo produce materie prime agricole di qualità nel rispetto delle condizioni sociali e delle questioni ambientali ma è so- cialmente responsabile quando le imprese che operano in tale contesto oltre a essere competitive – nei termini classici di produttività, crescita e redditività – riescono a percepire i bisogni sociali, culturali, ambientali e economici locali e li traducono in obiettivi condivisi da realizzare.“L’integrazione su base volonta- ria dei problemi sociali e ambientali delle imprese nelle loro attività commer- ciali e nelle loro relazioni con le altre parti” (CE, 2001a), infatti, è la defini- zione di responsabilità sociale delle imprese per la Commissione europea. La RSI è, quindi, un approccio innovativo alla gestione d’impresa e alla gestione delle relazioni con gli stakeholder, attraverso un loro diretto coinvolgimento, in grado di assicurare un corretto bilanciamento tra dimensione sociale, economica
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ESPONSABILITÀ SOCIALE DI IMPRESA COME VALORIZZAZIONEe ambientale, in linea con lo sviluppo sostenibile1. Ma la RSI consente anche, da un lato, di conoscere le culture, le tradizioni e le relazioni del territorio e, dall’altro, di individuare obiettivi, risorse e strumenti degli attori coinvolti nel contesto di riferimento, al fine di orientare, monitorare e verificare le azioni utili e necessarie alle imprese per gestire un diverso modo di operare, finalizzato a un successo commerciale durevole ma equilibrato sul piano sociale.
Il concetto di fondo è che la RSI consenta di gestire e ridurre al minimo le conseguenze negative di tutte le attività di un’impresa. Nel momento in cui l’im- presa apre, per così dire, la “scatola nera” della governance interna agli attori della comunità locale, essa stessa diventa attore consapevole degli obblighi so- ciali (Bonomi, 2007) e acquisisce la necessità di una “cultura della qualifica- zione”. Al tempo stesso, la “cultura della qualificazione” rappresenta, in un mer- cato sempre più globale e concorrenziale, la leva più idonea ad assicurare svi- luppo e sostenibilità all’economia del territorio e alle imprese che vi operano; come si avrà modo di illustrare nelle pagine seguenti, tale leva, per il sistema agroalimentare, è mossa da più vettori: valorizzazione, promozione, tutela e cer- tificazione dei prodotti agroalimentari. mentre la chiave di comunicazione per aumentare l’impatto sui cittadini/consumatori è un insieme di valori salutistici, ambientali e sociali quali benessere fisico, piacere del gusto, tradizione, tipicità, genuinità, territorialità, naturalità ed ecologia.
4.2. Le specificità del territorio come cultura della qualificazione La valorizzazione degli elementi di specificità del territorio può conferire un vantaggio competitivo all’impresa locale agricola e agroalimentare che si tra- duce in un successo commerciale sostenibile perché consente di:
– esaltare la componente sociale, con la presa di coscienza e il riconoscimento, da parte degli operatori locali, degli aspetti caratteristici del loro territorio e della cultura locale che suscitano l’interesse dei consumatori;
– sviluppare una capacità di rinnovamento, di “modernizzazione” e di adegua- mento costante dei prodotti e dei servizi verso la qualità;
– coinvolgere la popolazione locale e gli attori della filiera – produttori, ope-
1 La necessità di rendere compatibili le esigenze dell’economia con le ragioni dell’ambiente è alla base del concetto di sviluppo sostenibile, che deve essere pensato e implementato con la partecipazione locale al fine di “rispondere alle esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie (CE, 2001B)”; il suo perseguimento pone sfide importanti per tutti gli Stati mem- bri: cambiamenti climatici ed energie pulite; trasporti sostenibili; consumi e produzione sostenibili; con- servazione e gestione delle risorse naturali; sanità; inclusione sociale; demografia, migrazioni e povertà globale (Ce, 2005; Consiglio europeo, 2006).
ratori e consumatori – anch’essi cittadini del territorio, utilizzando una serie di strumenti, tra cui i marchi territoriali, le carte di qualità, le strade a tema, gli itinerari dei sapori, per consolidare gli elementi delle attività locali che non possono essere delocalizzati;
– promuovere forme innovative di contatto e/o compravendita tra aziende e con- sumatori in un’ottica di filiera corta che, conciliando la redditività di chi pro- duce con le capacità economiche dei consumatori, si traducono in un esempio di produzione agricola e agro-alimentare ad alta valenza economico-sociale. Se, ad esempio, le piccole o piccolissime aziende produttrici di un’area de- cidono di aggregarsi e adottare un marchio collettivo (Cfr. paragrafo 4.2.2, box 8) per aumentare la massa critica, ridurre i costi e condividere know-how e servizi, potenziando così la capacità di penetrazione nel mercato e la loro com- petitività, possono decidere di fare non solo delle scelte di marketing, ma di porre in essere comportamenti legati all’etica e alla responsabilità personale. A tal fine, queste imprese, oltre a costruire le politiche di marketing con riferimento al mo- dello classico delle 4P delle imprese commerciali2 possono scegliere di:
– vendere solo prodotti agricoli locali e promuovere la memoria storica e le tradizioni agro-alimentari dell’area;
– rendere trasparenti i costi di produzione e i meccanismi di formazione del prezzo, applicando il giusto prezzo finale ai propri prodotti;
– inserirsi in un contesto di filiera corta nell’ambito di iniziative e programmi di sviluppo locale;
– adottare percorsi certificati di tracciabilità e qualità dei processi produttivi e/o inserirsi in un contesto di filiera regionale con obiettivi di trasparenza, tracciabilità e qualità;
– condividere i comportamenti di consumo responsabile – dove sono fonda- mentali le valutazioni di ordine etico e l’attenzione alla qualità sociale del prodotto o del servizio – costruendo un contatto diretto con i consumatori, ad esempio:
a) proponendo prodotti locali di cooperative sociali3e/o imprese femminili;
2 Le politiche del modello classico delle 4P incidono: 1) sul prodotto, con le decisioni sul mix assorti- mento/servizi/formula distributiva che l’impresa intende offrire; 2) sul prezzo, con le decisioni sul livello dei prezzi (e sul margine lordo globale) per ogni mix assortimento/servizi/formula; 3) sulla promozione, con le decisioni sul mix dei fattori di comunicazione per la promozione dell’attività economica dell’im- presa; 4) sul punto di vendita (PDV), con le decisioni sulla logistica e sulle scelte ubicazionali dei PDV (Cuomo, 1984).
3 I prodotti cooperativi presentano caratteri con una forte valenza etica, quali la responsabilizzazione del socio produttore, la solidarietà imprenditoriale, la valorizzazione mutualistica del lavoro e dei prodotti conferiti dai soci, il forte radicamento territoriale e il controllo dell’intera filiera. Per approfondimenti si veda il capitolo VIII.
b) instaurando rapporti economici stabili con uno o più Gruppi di Acquisto Solidale (Gas)4;
c) organizzando e coordinando la fase commerciale con la partecipazione e la condivisione dei fini e delle modalità tra produttori e consumatori; d) promuovendo visite guidate e degustazione presso le aziende per esaltare
le metodiche di lavorazione.
Nel settore dei prodotti tipici l’interfaccia tra produzione e distribuzione è resa complessa dai limiti strutturali di imprese spesso a carattere semi-artigia- nale e, nel caso di un bacino territoriale di produzione del tipico, diventa indi- spensabile l’implementazione di strategie logistiche a costi variabili e la gestione collettiva degli operatori a livello territoriale; ciò incide sulla crescita del valore creato e della redditività complessiva delle filiere agroalimentari e artigianali dell’area.
Tuttavia, anche le piccole o piccolissime imprese non consorziate possono migliorare la propria competitività e al contempo adottare comportamenti so- cialmente responsabili calibrandoli alla propria dimensione5; le esperienze di filiera corta, programmate con il coinvolgimento di tutti gli attori e caratteriz- zate dal “dialogo” a tutti i livelli – produttori, trasformatori, dettaglianti e con- sumatori – si configurano come uno strumento nei processi di sviluppo rurale all’interno di strategie di promozione del territorio e rappresentano, proprio per i piccoli produttori in particolare, un’opportunità per migliorare il loro posi- zionamento strategico e, al tempo stesso, ne facilitano l’inserimento nelle reti socio-istituzionali, ad esempio per la fornitura al sistema della ristorazione lo- cale di qualità e delle mense pubbliche. Queste esperienze e tutte le forme di vendita diretta in una logica di recupero, valorizzazione e gestione del territo- rio all’insegna della creazione di circuiti “corti” di produzione/consumo o di produzione/trasformazione/consumo, sono basati su un rapporto stretto con i consumatori6 e rientrano a pieno titolo nella RSI, diventando parte della “cul-
4 I GAS sono gruppi di acquisto che non si configurano come un mero strumento di risparmio ma, par- tendo da un approccio critico al consumo, applicano il principio di equità e solidarietà ai propri acquisti, scegliendo i fornitori sulla base della qualità del prodotto e dell’impatto ambientale totale (prodotti lo- cali, alimenti da agricoltura biologica o integrata, imballaggi a rendere, ecc). Per approfondimenti: http://www.retegas.org.
5 Comportamenti socialmente responsabili impossibili per le imprese artigiane sono invece alla portata delle grandi imprese commerciali come, ad esempio, contribuire a ridurre gli sprechi alimentari attraverso il recupero degli alimenti non più commercializzabili ma perfettamente commestibili per sostenere il vo- lontariato cittadino impegnato nella lotta alla povertà.
6 Tra queste si citano: la vendita diretta in azienda; la vendita a negozi specializzati, a spacci aziendali, a comunità, a ristoranti «tipici»; la vendita nei “mercati contadini” da parte delle imprese aderenti alle or- ganizzazioni del biologico o ad associazioni di piccoli produttori; outlet di prodotti agricoli gestiti in forma diretta o associata in specifici ambiti territoriali; vendita on-line; vendita su catalogo.
tura della qualificazione” del territorio e delle imprese artigiane che vi operano e creando nuove sinergie tra agricoltori, ristoratori, commercianti e consuma- tori organizzati.
4.2.1. Valorizzare la tipicità dei prodotti e le tradizioni del territorio è respon- sabilità sociale
Nei Paesi industrializzati si assiste a una crescente delocalizzazione produt- tiva, veicolata dalla grande distribuzione transnazionale e fortemente condizio- nata dal profitto, con il risultato che gli alimenti, prima di arrivare sulle tavole dei consumatori o, paradossalmente, ritornare addirittura nel luogo in cui sono stati coltivati, percorrono migliaia di chilometri, consumano energia, inquinano l’ambiente e sono sottoposti a manipolazioni e trattamenti per evitare il natu- rale deterioramento (Franci, 2007).
Allo stesso tempo, i requisiti di natura merceologico-mercantile e igienico- sanitaria, a cui un tempo era legata la qualità degli alimenti, sono diventati or- mai imprescindibili per il consumatore, sempre più esigente e attento ai prodotti che mangia, alla loro provenienza, ai metodi di coltivazione, alle caratteristiche specifiche e alle proprietà nutrizionali. Il cibo oggi riveste un ruolo primario nel rapporto con l’ambiente in cui il consumatore/cittadino si trova a vivere e sulla spinta emozionale degli scandali alimentari e delle crisi sanitarie che hanno in- vestito il sistema agro-alimentare negli ultimi anni si assiste a una maggiore pro- pensione verso i prodotti tipici7, lavorati con sapienza artigianale, in grado di restituire al consumatore una certa tranquillità a tutela della salute (box 6). La voglia di riscoprire i prodotti autentici e genuini del territorio (le “buone cose di una volta”), di guardare alle origini culturali eno-gastronomiche o, più sem- plicemente, il desiderio di nuove esperienze di gusto, stanno alimentando sagre, fiere, mercatini e tutte quelle iniziative dedicate ai prodotti tipici locali, confer- mando i legami intersettoriali esistenti con le attività turistiche, con il patrimo- nio artistico-culturale e con quello ambientale-naturalistico. In questo processo, ogni elemento aggiuntivo può essere percepito come un plus dal cliente-consu- matore viene da questi incluso nel concetto stesso di qualità dei prodotti agroa- limentari, accrescendone il valore aggiunto in termini di genuinità, bontà e sa- lubrità (box 7).
7 Non solo verso quelli che hanno ottenuto un riconoscimento giuridico – prodotti con marchio di origine (DOP, IGP, IGT, DOC, DOCG), con marchio collettivo e prodotti agroalimentari tradizionali inseriti nel- l’elenco nazionale del MIIPAAF – ma anche verso quelli ritenuti caratteristici di un’area per opinione diffusa e condivisa sulla base di specifici elementi (Cfr. box 8).
Box 6 - Elementi che conferiscono tipicità a un prodotto agroalimentare
Localizzazione geografica: le condizioni ambientali dell’area di coltivazione o allevamento imprimono al pro-
dotto caratteristiche non riproducibili.
Metodiche di lavorazione: sono tradizionali e artigianali con l’utilizzo di materie prime locali.
Memoria storica: il prodotto è direttamente collegabile alla storia e alle tradizioni del luogo di produzione. Qualità organolettiche e nutrizionali del prodotto: strettamente connesse ai criteri precedenti conferiscono gu-
sto, genuinità e unicità al prodotto.
Le imprese agricole e agroalimentari si trovano, quindi, a dover garantire prodotti di qualità certificata e di provenienza certa per posizionarsi sul mercato ed essere competitive ma, allo stesso tempo, possono acquisire un maggiore van- taggio competitivo aprendosi a concezioni diverse del produrre e del consumare, basate su valori, principi, significati e obiettivi – come quelli ambientali, cultu- rali ed etici – sostanzialmente diversi rispetto a valori e obiettivi puramente eco- nomici. In particolare, i processi di valorizzazione locale dei circuiti di produ- zione e consumo vedono convergere obiettivi e interessi dei consumatori e dei produttori per raggiungere condizioni di sostenibilità delle produzioni agroali- mentari a beneficio delle collettività rurali; la dinamica di questi processi, in- fatti, tende a soddisfare i nuovi bisogni percepiti dai consumatori – non solo qualità organolettica, sicurezza e naturalità ma anche valenza ecologica, aspetti culturali e contenuto etico delle produzioni – e allo stesso tempo offre oppor- tunità di qualificazione e di posizionamento ai produttori, in uno scenario di mercato in cui le pressioni provenienti dai meccanismi della competizione – na- Box 7 - Elementi che conferiscono qualità a un prodotto agroalimentare
Pre-requisiti
(imprescindibili per il consumatore)
Requisiti merceologici-mercantili: ad esempio fre-
schezza, gusto, aroma, colore;
Requisiti igienico-sanitari: oltre al condizionamento
e all’imballaggio, devono garantire l’assenza di resi- dui e la risoluzione di problemi di carattere fitosani- tario, nell’ottica più ampia della sicurezza alimentare e delle norme cogenti sull’etichettatura e la rintrac- ciabilità di alimenti, mangimi e loro ingredienti (pos- sibilità di risalire all’origine del prodotto attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione).
Elementi aggiuntivi (plus per il consumatore)
Zona geografica d’origine del prodotto: richiama ele-
menti quali la tipicità, la tradizione, la genuinità
Contenuti nutrizionali e salutistici: specificità intrin-
seche dei prodotti anche di natura sensoriale; assenza di organismi geneticamente modificati;
Fattori etico-sociali: ad esempio produzione rispet-
tosa dell’ambiente; benessere degli animali; sicurezza dei lavoratori; commercio equo;
Marchio: (industriale, commerciale, private label) e i
servizi incorporati (conservabilità, facilità d’uso, tipo di confezionamento/packaging);
Qualità certificata da terzi: dei sistemi, dei prodotti,
dei processi (rintracciabilità di filiera) e dei metodi di produzione.
zionale e internazionale – sono destinate a crescere. La valorizzazione della pro- duzione locale rappresenta, infatti, una strategia per la salvaguardia del tessuto agricolo locale e del patrimonio di produzioni di qualità, finalizzata a sostenere il “made in Italy” e la reputazione di cui godono le nostre produzioni agroali- mentari all’estero.
Ma se, da un lato, le produzioni tipiche hanno un’identità ben specifica che trae origine dalla forte caratterizzazione del “sistema locale” in cui nascono (ter- ritorio, risorse naturali, cultura, aziende e organizzazione degli operatori, cono- scenze e competenze specifiche), rappresentando un patrimonio storico-culturale e un “sapere” che si è tramandato nel tempo, dall’altro esse sono spesso il ri- sultato di attività svolte in aree meno favorite, esterne ai poli dell’agro-industria intensiva. La loro valorizzazione presuppone azioni finalizzate a vari livelli e, per molti dei prodotti tradizionali, risulta strettamente correlata al miglioramento del contesto complessivo in cui sono inserite, allo sviluppo del turismo rurale, al rafforzamento delle tendenze in atto che vedono, come accennato, il consu- matore sempre più informato, attento ed esigente in fatto di qualità e salubrità degli alimenti.
Sul fronte giuridico, la normativa comunitaria che regolamenta le produzioni di origine (Cfr. paragrafo 4.2.2) ha come obiettivo la tutela dei prodotti attra- verso norme (disciplinari di produzione, standard di qualità, ecc.) il cui rispetto garantisce la qualità dei prodotti, ma non necessariamente la loro tipicità in senso tradizionale. Ne consegue che anche quelli che, per denominazione rego- lamentata, vengono definiti prodotti tipici, sono spesso sottoposti a una stan- dardizzazione della produzione e dei gusti, e restano legati ad un’area di pro- duzione più per una questione puramente geografica che per un vero radica- mento nella storia socio-culturale di un territorio. Dunque, i regolamenti comu- nitari sulle denominazioni d’origine rappresentano il quadro normativo di rife- rimento essenziale per la valorizzazione dei grandi prodotti tipici italiani e per supportare politiche di espansione delle esportazioni, mentre le produzioni tipi- che e in particolare quelle tradizionali (Cfr. paragrafo 4.2.2, box 8), non sem- pre possono rientrare negli schemi segnati dalla regolamentazione comunitaria a causa della ridotta scala produttiva, dell’eterogeneità delle produzioni e della frammentazione delle aziende produttrici, difficilmente organizzabili in con- sorzi. Ma la componente culturale e sociale è fortemente presente in tutto il co- siddetto “giacimento delle nicchie” in cui rientra un numero elevato di prodotti nazionali con caratteristiche molto distinte ma con dimensioni di scala molto ri- dotte, tra cui alcuni prodotti DOP e IGP, i prodotti tradizionali, i prodotti a mar- chio collettivo contraddistinti da una forte specializzazione tanto delle materie prime quanto della localizzazione della trasformazione; alcuni di questi prodotti, inoltre, sono a “filiera chiusa”, ovvero consumati pressoché integralmente nel-
l’ambito della ristretta area di produzione oppure sono prodotti di eccellenza, perché conosciuti e consumati da una fascia “elitaria” di estimatori nazionali e internazionali. Spesso i prodotti di nicchia vengono lavorati solo a livello arti- gianale in condizioni organizzative non consone alle richieste del mercato (eti- chettatura, rintracciabilità), con conseguente difficile – se non impossibile – im- missione su canali commerciali significativi, oppure raccolgono una domanda potenziale molto superiore all’offerta che, proprio a causa delle limitazioni im- poste dai ristretti confini dell’area di approvvigionamento delle materie prime, non riesce ad essere completamente soddisfatta.
Tali prodotti, però, assumono valenza proprio perché si caratterizzano come “arte del particolare” e possono contribuire allo sviluppo di determinate aree ru- rali. Se, pertanto, la loro valorizzazione avviene in sede locale attraverso i circuiti dell’agriturismo e del turismo rurale o attraverso i canali della vendita diretta e della ristorazione, strategie di commercializzazione mirate sul consumatore e in un’ottica di sistema possono conferire valore aggiunto a questi prodotti, perfino a quelli con caratteristiche di commodity (pasta, pane, conserve di pomodoro) le- gati, però, a territori di eccellenza paesaggistica e artistica, in grado di esprimere valori materiali e immateriali riconoscibili dal consumatore8; in questo ambito gioca un ruolo chiave esaltarne la componente culturale, etica e sociale.
Sul lato opposto, il marchio collettivo istituito con legge regionale o nato come oggetto di accordo di programma9, in cui ricadono anche prodotti a deno- minazione di origine che risultano strutturati dal punto di vista del modello pro- duttivo e di commercializzazione, rappresenta un progetto multidimensionale di più ampio respiro, in cui l’agricoltura e le attività economiche connesse, la di- fesa e la valorizzazione dell’ambiente e del territorio convergono; tale progetto ha una valenza etica non solo in quanto elemento distintivo della qualità agroa- limentare di un particolare territorio ma perché ha tra le sue finalità quella di mi- gliorare le filiere anche in chiave di sviluppo rurale e di opportunità di crescita dell’occupazione nel settore della produzione, rintracciabilità e diffusione dei pro- dotti. Nelle aree rurali, in particolare, e nelle aree a forte valenza ambientale (è