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Aspetti clinici e genetici della displasia retinica del Labrador Retriever

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Aspetti clinici e genetici della displasia

retinica del Labrador Retriever

Relatore:

Candidato:

Dott. Giovanni Barsotti

Valeria Migliaccio

Correlatore:

Dott.ssa Francesca Cecchi

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"L'essentiel est invisible pour les yeux..." A voi, cari nonni, perché senza di voi tutto questo non ci sarebbe stato.... E a Matita, la prima di una lunga serie….

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Aspetti clinici e genetici della displasia retinica del Labrador Retriever Candidata: Valeria Migliaccio

Sommario

Lo scopo di questa tesi è stato quello di valutare gli aspetti clinici e studiare la trasmissione ereditaria della displasia retinica in un gruppo di cani di razza Labrador Retriever, sulla base di una valutazione retrospettiva effettuata su un periodo di 105 mesi (Gennaio 2007-Novembre 2016). Sono stati visitati 206 soggetti di cui 105 erano femmine (50,9%) e 101 maschi (49,1%). L’età media dei soggetti visitati è di 16,62 mesi (range 6-116 mesi). Sono risultati affetti da displasia retinica 33 soggetti (15,9%). La displasia retinica focale monolaterale è stata riscontrata nel 54,2% degli animali affetti, la displasia retinica focale bilaterale nel 2,8%, la displasia retinica multifocale monolaterale nel 14,3%, la displasia retinica multifocale bilaterale nel 20%, la displasia geografica monolaterale nel 5,7% e la displasia geografica bilaterale nel 2,8% dei casi. In base all'analisi genetica la trasmissione della displasia retinica focale/multifocale sembra essere autosomica recessiva. La displasia retinica geografica non sembra essere correlata genotipicamente alle altre forme.

Parole chiave: Labrador Retriever, displasia retinica, trasmissione autosomica recessiva, ereditarietà, fondo oculare.

Clinical and genetical features of retinal dysplasia in the Labrador Retriever Candidate: Valeria Migliaccio

Abstract

The aim of this thesis is to evaluate clinical aspects and to study the heritability of retinal dysplasia in a group of Labrador Retrievers, through a retrospective study performed over a 105-month period (January 2007-November 2016). Two hundred and six dogs were examined, 105 females (50.9%) and 101 males (49.1%). The average age of the dogs was 16,62 months (range 6-116 months). Thirty-three animals were found to be affected by retinal dysplasia (15.9%). Unilateral focal retinal dysplasia occurred in 54.2% affected dogs, bilateral retinal dysplasia in 2.8%, unilateral multifocal retinal dysplasia in 14.3%, bilateral multifocal retinal dysplasia in 20%, unilateral geographic retinal dysplasia in 5.7%. A bilateral geographic retinal dysplasia was observed in only 2.8% affected dogs. On the basis of genetic analysis, the transmission of focal/multi-focal retinal dysplasia seems to be autosomal recessive. Geographic retinal dysplasia seems not to be genotypically related to other forms.

Keywords: Labrador Retriever, retinal dysplasia, autosomal recessive transmission, heritability, ocular fundus.

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INDICE

Sommario……….………..………...………3

Abstract………...….………3

PARTE GENERALE………..……….………...………..7

CAPITOLO 1 – Anatomia e fisiologia della retina………..…...…….……..8

1.1 Embriologia e anatomia della retina………...………8

1.2 Anatomia funzionale della retina………..……….………...10

1.3 Fisiologia della retina………...17

CAPITOLO 2 – Esame del fondo oculare……….………...21

2.1 Fondo normale………...24

2.1.1 Area tappetale………..………25

2.1.2 Area non tappetale………..………...26

2.1.3 Zona di giunzione o intermedia………..………...27

2.1.4 Vasi retinici………….………..………...27

2.1.5 Papilla ottica………..………...28

2.2 Alterazioni del fondo oculare………...29

2.2.1 Alterazioni della trasparenza del fondo………...30

2.2.2 Alterazioni vascolari del fondo………..………...31

2.2.3 Alterazioni della papilla ottica………...32

2.2.4 Distacco retinico………..………32

CAPITOLO 3 – Ereditarietà genetica e patologie ereditarie………..…..34

3.1 Tipi di ereditarietà………...36

3.1.1 Ereditarietà semplice………..………...………...36

3.1.2 Trasmissione multipla (poligenica)………..………...38

3.2 Impatto delle malattie oculari ereditarie sulla salute dei cani di razza………...……….38

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3.3 Test genetici per le patologie oculari………...………….41

3.3.1 Mutation-detection Test – MDT………...………..…….41

3.3.2 Linked-based Test – LBT………..………...43

3.4 American College of Veterinary Ophthalmologists®……...43

3.4.1 Blue Book – ocular disorders presumed to be inherited in purebred dogs………..……….…………...44

3.5 European College of Veterinary Ophthalmologists………...45

CAPITOLO 4 – La displasia retinica……….………...47

4.1 Displasia retinica focale/multifocale – pieghe o rosette………...48

4.2 Displasia retinica geografica………49

4.3 Displasia retinica totale – distacco………...………50

4.4 Diagnosi di displasia retinica………50

4.5 Diagnosi differenziale con la displasia retinica………51

4.5.1 Retiniti-corioretiniti……….………52

4.5.2 Processi atrofico-degenerativi………..………...52

4.5.3 Distacco di retina……….………53

CAPITOLO 5 – Displasia retinica nel Labrador Retriever……….………..54

5.1 Displasia oculo-scheletrica (OSD)………...57

5.2 Ulteriori test del DNA per le patologie oculari nel Labrador Retriever……….60

5.3 Protocollo regolamentare per il controllo diagnostico delle patologie genetiche dei cani iscritti al libro genealogico del cane di razza………61

ESPERIENZA PERSONALE……….………..63

CAPITOLO 6 – Materiali e metodi……….……….64

CAPITOLO 7 – Risultati……….………..68

7.1 Cucciolate con entrambi i genitori visitati………72

7.2 Cucciolate con un genitore visitato………...………...75

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7.4 Analisi della modalità di trasmissione della displasia retinica……….82 7.4.1 Riproduttore 22………..……….82 7.4.2 Riproduttore 54………..……….83 7.4.3 Riproduttore 63………..……….85 7.4.4 Riproduttore 69………..……….87 CAPITOLO 8 – Discussione……….……….90 CAPITOLO 9 – Conclusioni………..………98 BIBLIOGRAFIA……….……….100 RINGRAZIAMENTI……….………..106

(7)

PARTE

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CAPITOLO 1 - Anatomia e fisiologia della

retina

1.1 Embriologia e anatomia della retina

L'occhio è un organo di senso pari posto nella regione anteriore della testa ed è alloggiato nella cavità orbitale che ha la funzione di contenimento e di protezione per l'occhio stesso. L'occhio origina da diversi tessuti embriologici: l'ectoderma, compreso il neuroectoderma e il mesoderma. La retina (sia la retina sensoriale sia l'epitelio pigmentato retinico) e anche il nervo ottico si sviluppano dal neuroectoderma. Il primo abbozzo dell'occhio consiste in due ispessimenti della parte anteriore del tubo neurale, che presto si trasformano in estroflessioni di tessuto neuroectodermico, dette vescicole ottiche. Le vescicole ottiche si accrescono in direzione latero-dorsale e si ripiegano all'interno a formare una coppa ottica caratterizzata da una doppia parete. La retina sensoriale o neuroretina origina dalla parete interna ossia dallo strato non pigmentato della coppa ottica mentre invece l'epitelio pigmentato origina dallo strato pigmentato esterno. Il pigmento compare nell'epitelio pigmentato nel momento in cui la fessura fetale inizia a chiudersi. Progredendo poi con lo sviluppo, lo spazio tra lo strato interno e lo strato esterno scompare, però i due strati non si fondono mai tra loro, rimanendo sempre ben distinti. Le estensioni delle cellule gangliari convergono fino al rivestimento interno del vicino peduncolo centrale dell'occhio e prendono contatto con il cervello diventando poi nervo ottico [1]. Dal tessuto mesenchimale invece originano i vasi della retina che generalmente proliferano più precocemente e poi si riducono; ad esempio l'arteria ialoidea che vascolarizza il vitreo embrionale poi nell'adulto si oblitera e scompare. I vasi retinici nei cani hanno una distribuzione olangiotica, cioè ci sono tre-quattro paia di arteriole e venule che si irradiano dal disco ottico e poi si ramificano e quindi i vasi

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si distribuiscono su tutta la superficie retinica e la maggior parte hanno un andamento a T. Nei cani le venule sono più facili da distinguere rispetto alle arteriole perché sono più ampie, più diritte e con sangue più scuro [2]. Le arteriole retiniche derivano dalle arterie ciliari posteriori e il loro numero varia nei singoli soggetti; nei cani, a differenza dell'uomo, manca un'arteria centrale della retina. Le arteriole si ramificano in vasi capillari e formano una ricca rete vascolare che si approfondisce nella retina fino agli strati più interni e consente il normale metabolismo della retina. Nel cane le arterie originano dal bordo della papilla, le vene invece passano più verso la zona centrale dove in parte contraggono anastomosi. Il tessuto mesenchimale circonda la coppa ottica e successivamente si fonde con l'uvea e la sclera circostante. Il tappeto lucido, strato che ha il compito di aumentare la quantità di luce che può essere catturata dalla retina e quindi aumenta la capacità visiva in condizione di bassa luminosità, si forma nella coroide tra la quinta e l'ottava settimana dopo la nascita.

La retina, quindi, tappezza la parte posteriore del globo oculare ed è formata da due strati, uno interno e uno esterno. Lo strato esterno (pars

cieca) è formato dall'epitelio pigmentato che si estende dalla papilla fino

al corpo ciliare e alla superficie posteriore dell'iride che riveste fino al bordo pupillare. La base delle cellule di questo strato è rivolta verso la coroide. Lo strato interno è la parte nervosa o sensitiva della retina (pars

optica) e si estende dalla giunzione con il corpo ciliare alla papilla ottica

e continua nel nervo ottico. La base delle cellule di questo strato interno è rivolta verso il vitreo. Nel cane, intorno al ventesimo giorno di gestazione, le cellule dello strato esterno diventano cuboidi e contengono i primi granuli di melanina dell'embrione; in seguito compare la loro membrana basale, detta membrana di Bruch, che separa quindi l'epitelio pigmentato dalla coroide; dopo il quarantacinquesimo giorno le cellule diventano esagonali e producono microvilli che si interdigitano con le proiezioni cellulari dello strato interno. Le cellule dello strato interno invece hanno uno sviluppo più complesso. Inizialmente si formano due

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strati, uno interno marginale e uno esterno nucleare; le cellule dello strato nucleare successivamente proliferano e formano altri due strati neuroblastici (interno ed esterno). Nell'esterno si formano le cellule di Müller, le cellule amacrine, le cellule orizzontali, le cellule bipolari ed i fotorecettori; nell'interno si formano le cellule gangliari, i cui assoni danno origine allo strato delle fibre [3]. A fine gestazione la retina del cane è costituita da uno strato neuroblastico esterno molto sviluppato e dagli strati plessiforme interno, delle cellule gangliari e delle fibre. La vascolarizzazione retinica compare nel cane nel terzo posteriore dell'occhio a 51 giorni, per poi svilupparsi nel terzo medio e infine nel terzo periferico, al dodicesimo giorno post partum [4].

1.2 Anatomia funzionale della retina

La retina è una sottile membrana nervosa che riveste internamente il globo oculare; è considerata parte del cervello e si collega a lui tramite il nervo ottico. È la struttura fondamentale per la funzione visiva poiché contiene i fotorecettori che trasducono la luce in potenziali elettrici inviati al cervello tramite il nervo ottico e le vie ottiche. La parola retina deriva dal latino rete per il riferimento ai molti vasi sanguigni che vi si intrecciano e per la sua particolare struttura. Questa struttura è mantenuta in situ dalla sua continuità con il nervo ottico, dagli stretti rapporti con l'epitelio ciliare a livello dell'ora serrata, dall'azione contenitiva esercitata dal vitreo e dai complessi rapporti tra segmenti esterni dei fotorecettori e i microvilli delle cellule dell'epitelio pigmentato [3]. La retina è costituita da dieci strati sovrapposti e il suo spessore diminuisce dal centro alla periferia e va da 240 a 100 micron.

Gli strati retinici, dall'interno all'esterno sono: - membrana limitante interna; - strato delle fibre del nervo ottico; - strato delle cellule gangliari;

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- strato plessiforme interno;

- strato nucleare interno o dei granuli interni; - strato plessiforme esterno;

- strato nucleare esterno (dei coni e dei bastoncelli) o dei granuli esterni;

- membrana limitante esterna; - strato dei fotorecettori;

- epitelio pigmentato della retina.

I primi nove strati formano la retina neurosensoriale e sono:  membrana limitante esterna

: la lamina basale separa la retina neurale dal corpo vitreo; questo strato è formato dalle estremità basali delle cellule di Müller che sono cellule allungate con il corpo cellulare a livello dello strato dei nuclei interni e costituiscono un'impalcatura di sostegno per i diversi elementi retinici; inoltre danno nutrimento a tutte le cellule circostanti poiché formano un plesso intorno ai vasi sanguigni intra-retinici.

strato delle fibre del nervo ottico

: contiene gli assoni delle cellule gangliari, sostenuti dalle cellule di Müller e dagli astrociti. Questo strato è più spesso vicino al nervo ottico e più sottile a livello dell'area centrale. La maggior parte delle fibre del nervo ottico arrivano a raggiungere il corpo genicolato laterale; a livello retinico queste fibre non sono rivestite di mielina e quindi appaiono del tutto trasparenti, nel punto di entrata del nervo ottico invece compare il rivestimento mielinico. Il trofismo è garantito dalla coroide attraverso l'epitelio pigmentato.

strato delle cellule gangliari: le cellule gangliari della retina sono distribuite in modo non uniforme in tutta la

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retina e il loro numero e la densità variano tra le specie diverse. Ci sono diversi tipi di cellule gangliari e possono essere classificate in base alla loro dimensione o alle loro proprietà fisiologiche; tutte queste cellule però hanno abbondante citoplasma che contiene sostanza Nissl o tigroide. Nel cane la densità di queste cellule è maggiore nella zona centrale della retina. In questo strato possono essere presenti anche un numero variabile di cellule amacrine.

 strato plessiforme interno

: comprende le sinapsi tra le cellule gangliari e i neuroni dello strato nucleare interno, ossia le cellule amacrine e le cellule bipolari. strato nucleare interno

: contiene i corpi cellulari di diversi tipi di cellule, tra cui le cellule di Müller. Comprende anche tre classi generali di neuroni che sono responsabili delle connessioni tra i fotorecettori e le cellule gangliari e sono: le cellule amacrine che costituiscono lo strato nucleare interno e hanno citoplasma molto abbondante; le cellule bipolari che si trovano nel mezzo di questo strato (insieme ai corpi cellulari di Müller) e le cellule orizzontali che formano la parte esterna dello strato nucleare interno e sono cellule grandi con singoli nucleoli.

strato plessiforme esterno

: comprende le sinapsi tra i fotorecettori e i dendriti delle cellule orizzontali e bipolari che si trovano nello strato nucleare interno. I terminali sinaptici dei coni sono costituiti da peduncoli ampi mentre quelli dei bastoncelli sono costituiti da piccole sfere. Questo strato è più sottile dello strato plessiforme interno.

strato nucleare esterno: contiene i nuclei dei fotorecettori (coni e bastoncelli). Il cane ha una retina

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molto ricca di bastoncelli e quindi ha questo strato molto spesso. Ovviamente sarà più sottile alla periferia della retina perché in quel punto la densità dei fotorecettori è più bassa. I nuclei dei coni sono leggermente più grandi dei nuclei dei bastoncelli e, di solito, sono posizionati vicino alla membrana limitante esterna.

 membrana limitante esterna

: non è un vero e proprio strato fisico ma comprende le giunzioni strette che collegano le membrane cellulari dei fotorecettori e le cellule di Müller. Le strette giunzioni della membrana limitante esterna insieme alle strette giunzioni con le cellule epiteliali retiniche delineano lo spazio sub-retinico, ossia uno spazio virtuale che contiene solamente sostanze secrete e la matrice inter-fotorecettoriale.

strato dei fotorecettori: questo strato è composto dai segmenti interni e dai segmenti esterni dei fotorecettori; questi segmenti sono collegati tra di loro da un piccolo peduncolo in cui si trova un filamento chiamato ciglio di connessione. Il citoplasma dei fotorecettori è ricco di mitocondri e di reticolo endoplasmatico rugoso poiché queste cellule sono le più metabolicamente attive del corpo sia in termini di consumo di ossigeno, sia per la produzione di proteine. I coni e i bastoncelli si distinguono tra loro per la forma del loro segmento interno. Il segmento interno e il nucleo dei coni sono più voluminosi di quelli dei bastoncelli. La parte del segmento esterno è la zona della fototrasduzione. Il segmento esterno dei bastoncelli ha forma cilindrica, mentre quello esterno dei coni ha forma di piramide tronca; strutturalmente però sono simili e sono costituiti

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da un sistema di lamine sovrapposte chiuse ai bordi e con la forma di un disco. Nei bastoncelli ciascun disco è separato dall'altro mentre invece nei coni i dischi sono connessi tra di loro. I bastoncelli sono più sensibili alla luce ed al movimento e sono soprattutto importanti per la visione crepuscolare o scotopica. I coni sono meno sensibili alla luce e sono responsabili della discriminazione dei dettagli e della percezione dei colori, sono quindi responsabili della visione fotonica. I coni sono situati prevalentemente a livello dell'area centrale, in posizione temporale rispetto al disco ottico. Nel cane è stata confermata la capacità di distinguere i colori; i cani sembrano possedere una visione dicromatica dei colori con due fotopigmenti [1]. I mammiferi, quindi compreso il cane, hanno un'elevata densità dei bastoncelli e quindi rispetto ai primati hanno una migliore visione crepuscolare. La maggior parte dei bastoncelli sono situati nella zona esterna all'area centrale dove possono essere stimolati dalla luce quando la pupilla è ben dilatata in condizione di luce crepuscolare. All'interno della retina la distribuzione dei coni e dei bastoncelli non è uniforme. Nei segmenti esterni di queste cellule sono localizzati i pigmenti retinici, sostanze fotosensibili dotate di diversa proprietà di assorbimento delle radiazioni luminose di determinate lunghezze d'onda; nei bastoncelli si trova la rodopsina mentre invece nei coni si trovano vari pigmenti, il principale è la iodopsina. I segmenti interni sono considerati la fonte di energia poiché attraverso il ciclo rodopsina-retinina-vitamina A forniscono la rodopsina e altri pigmenti ai segmenti esterni. I segmenti esterni, in particolar modo quelli dei

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bastoncelli, si trovano inglobati nell'epitelio pigmentato che gli fornisce l'energia necessaria grazie al supporto trofico dei capillari e inoltre consente anche la dissoluzione e il riassorbimento dei dischi vecchi e degenerati [5].

L'ultimo strato retinico è l'epitelio pigmentato della retina, uno strato unico di cellule derivato dallo strato esterno del neuroepitelio della coppa ottica ed è in continuità con l'epitelio pigmentato esterno del corpo ciliare. I microvilli apicali delle cellule dell'epitelio pigmentato si insinuano e rivestono i segmenti esterni di coni e bastoncelli. Inoltre l'adesione tra fotorecettori e i microvilli è consentita dalla forza esercitata dal flusso di liquido che passa in continuazione dal vitreo alla coroide attraverso la neuroretina. I nuclei delle cellule dell'epitelio pigmentato hanno molti granuli di pigmento nella loro estremità interna e nei microvilli, mancano invece a livello della zona tappetale poiché perdono i loro melanosomi per un processo di autofagocitosi in concomitanza con lo sviluppo tappetale all'interno della coroide. L'insieme della membrana basale dell'epitelio pigmentato e la membrana basale della vicina coriocapillare formano una struttura definita come membrana di Bruch costituita da fibre collagene ed elastiche. L'epitelio pigmentato ha una serie di ruoli importanti nel mantenere l'integrità funzionale della retina neurosensoriale sovrastante: trasporta l'ossigeno e le sostanze nutritizie dalla coriocapillare della coroide; fagocita la porzione più esterna del segmento esterno del fotorecettore che viene ciclicamente rinnovato con un processo continuo; rigenera attraverso le sue cellule il retinolo che è un componente del pigmento visivo, per renderlo pronto per funzionare in un nuovo processo di trasduzione; la melanina contenuta nelle sue cellule assorbe la luce e quindi riduce l'abbagliamento e la diffusione intraoculare della luce; le giunzioni strette tra le sue cellule formano la barriera emato-retinica e delineano lo spazio sub-retinico, uno spazio virtuale, riempito da una matrice inter-fotorecettoriale costituita da mucopolisaccaridi acidi che agisce come un collante e consente gli

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scambi metabolici; limita il danno foto-ossidativo.

Come abbiamo visto precedentemente, la retina neurosensoriale comprende tre gruppi principali di cellule: i fotorecettori, le cellule bipolari e le cellule gangliari (o multipolari) [4]. Questi diversi tipi cellulari sono connessi tra di loro da sinapsi localizzate su due piani a livello dello strato plessiforme interno ed esterno. Le cellule orizzontali sono situate a livello dello strato plessiforme esterno e partecipano alle sinapsi tra fotorecettori e cellule bipolari; invece le cellule amacrine, che si trovano nello strato plessiforme interno, prendono contatto con le sinapsi tra le cellule bipolari e le cellule gangliari. Sia le cellule orizzontali che quelle amacrine, quindi, estendono le connessioni tra i principali tipi cellulari retinici e modulano la trasmissione degli impulsi. Nella retina esistono anche le cellule interplessiformi che mettono in comunicazione i due strati plessiformi, quello interno e quello esterno e hanno una funzione inibitrice per modulare gli impulsi che arrivano verso le cellule gangliari; le loro terminazioni hanno in prevalenza recettori dopaminergici [3].

La coroide è lo strato vascolare che si estende dalla papilla alla parte ciliare della retina; infatti in questo strato si trova una fitta rete vascolare con vasi sanguigni di diverso calibro, con grandezza che va a diminuire dall'esterno verso l'interno. Nello strato dei vasi di medio calibro, nei cani e gatti con fondo pigmentato si trova il tappeto lucido, struttura riflettente formata da più strati di cellule, nel cui citoplasma si trovano formazioni bastoncellari contenenti riboflavina e zinco, orientate in modo da riflettere la luce. Se il fondo oculare non è pigmentato, il tappeto manca e l'epitelio pigmentato è del tutto trasparente [3]. La coriocapillare, ossia lo strato interno della coroide ricco di capillari, provvede ai fabbisogni metabolici dei coni e dei bastoncelli attraverso l'epitelio pigmentato. I vasi sanguigni retinici hanno giunzioni molto strette e fanno parte della barriera emato-retinica. Nei carnivori i vasi hanno distribuzione olangiotica. Il tessuto interstiziale è di solito fortemente pigmentato e insieme all'epitelio pigmentato retinico contribuisce alla colorazione del

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tapetum nigrum o tappeto bruno (area non tappetale) che assorbe la luce diretta e diffusa che colpisce l'occhio. Il tappeto lucido (area tappetale) è una zona di forma più o meno triangolare situata nella zona dorsale dell'occhio. Nel cane e in tutti i carnivori il tappeto lucido contiene dei cristalli riflettenti che assorbono selettivamente la luce diffusa o riflessa generando una serie di colori dal giallo al verde-blu. In questa zona l'epitelio pigmentato della retina non contiene granuli di melanina quindi ciò permette alla struttura tappetale di riflettere senza interferenze [2].

1.3 Fisiologia della retina

La retina non è solo uno dei tessuti più attivi dell'organismo, vista la sua elevata attività metabolica, ma è anche uno dei tessuti più delicati e sensibili alle alterazioni metaboliche, alla carenza di ossigeno e alla comparsa in circolo di sostanze tossiche [4]. Proprio per questo motivo esiste una barriera emato-retinica, localizzata a due livelli: nei vasi retinici poiché a questo livello i capillari non sono fenestrati ma anzi hanno un rivestimento di cellule endoteliali con degli stretti apparati di giunzione e a livello dell'epitelio pigmentato. Grazie a questa barriera arrivano alla retina solo le sostanze utili per il suo nutrimento e non vengono fatte passare le sostanze tossiche e nocive. A livello del disco ottico si trova il punto in cui la barriera è più permeabile. L'epitelio pigmentato della retina oltre a costituire la barriera emato-retinica ha anche altre funzioni, tra cui quella di assorbire la luce, di rigenerare i pigmenti visivi, di stoccaggio per la vitamina A, ha attività di pompa per favorire il drenaggio di liquidi dal vitreo attraverso la retina nella coroide e inoltre ha funzione di fagocitosi in quanto ingloba e digerisce le porzioni apicali dei bastoncelli che vengono periodicamente eliminate. Il settore di maggiore interesse dal punto di vista della formazione degli stimoli visivi è quello dei fotorecettori e dell'epitelio pigmentato che con essi è in stretta correlazione. Tutte le rimanenti strutture retiniche rivestono un ruolo più o meno importante per la trasmissione

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dell'impulso e per la sua elaborazione, ma la loro attività è subordinata al buon funzionamento di coni e bastoncelli [4]. I coni e i bastoncelli sono i fotorecettori che trasformano la luce in stimolo nervoso, sono diversi in rapporto alla funzione visiva, alla morfologia e alla distribuzione nella retina. I coni sono presenti maggiormente al centro della retina e sono caratterizzati da alte capacità di risoluzione per i dettagli più fini, dalla percezione dei colori, da una rapida risposta allo stimolo e da una scarsa sensibilità alle lievi variazioni dello stimolo luminoso [3]. I bastoncelli invece si trovano più numerosi in periferia, hanno scarsa capacità di risoluzione e non percepiscono i colori ma sono molto sensibili alle minime variazioni di intensità luminosa e ai movimenti. Per queste caratteristiche i coni sono finalizzati alla visione diurna e i bastoncelli a quella in luce attenuata e notturna [3]. I fotorecettori retinici ricevono un rinforzo di stimolo dalla luce riflessa dal tappeto lucido. Il processo visivo inizia con l'interazione iniziale tra i fotoni che attraversano la retina e i pigmenti retinici presenti nei dischi posti nel segmento esterno dei fotorecettori e che hanno diverse proprietà spettrali. I pigmenti sono formati dalla combinazione dell'aldeide della vitamina A con varie proteine e si distinguono per le proprietà spettrali [4]. Il pigmento presente nei bastoncelli è la rodopsina, indispensabile per la visione scotopica. Nei coni sono presenti pigmenti responsabili della visione diurna e dei colori (visione fotopica). Nell'uomo sono stati individuati tre differenti pigmenti visivi (coni lunghi o gialli, coni medi o verdi e coni corti o blu), invece in molti animali questi tre pigmenti non sono stati localizzati, ed è proprio per questo motivo che è stato dedotto che gli animali non possono percepire i colori o che li percepiscono solo parzialmente poiché è proprio la presenza di tutti e tre questi pigmenti che ci permette di distinguere i vari colori tra loro. I cani presentano due popolazioni di coni, una assorbe la luce nello spettro blu-violetto (picco di assorbimento: 423nm) e la seconda popolazione assorbe la luce dello spettro giallo (picco di assorbimento: 555nm) [6]. I cani a differenza dell’uomo possiedono molti meno coni per cui si può presumere che la

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visione dei colori in questa specie animale non sia così definita come nell'uomo. È stato ipotizzato che durante l'evoluzione il numero dei coni nella retina delle specie notturne sia andata incontro ad una diminuzione per consentire un aumento numerico dei bastoncelli, per avere così una visione crepuscolare più sensibile e dettagliata. I due tipi di fotorecettori differiscono sia per il decorso temporale della loro risposta ad una stimolazione luminosa, più lenta nei bastoncelli, sia per il tipo di connessione che stabiliscono con le altre cellule della retina. I fotorecettori, come tutte le cellule altamente specializzate, non sono in grado di moltiplicarsi, però il loro segmento esterno può rigenerarsi [3]. I dischi dei bastoncelli vengono eliminati e si riformano in continuazione; l'eliminazione avviene a livello dell'apice del segmento esterno, mentre la formazione di nuovi dischi avviene alla base. Le porzioni eliminate vengono assorbite dalle cellule dell'epitelio pigmentato che provvedono alla loro distruzione. I coni non hanno un analogo processo di rinnovamento e la loro differenziazione dai bastoncelli, per quel che riguarda questo processo, è poco chiara [4]. Nonostante le differenze nella cinetica, le risposte di coni e bastoncelli sono simili per quando riguarda la polarità. I fotorecettori si iperpolarizzano quando sono stimolati dalla luce; si parla di iperpolarizzazione e non di depolarizzazione come avviene nel caso della maggior parte dei recettori sensoriali. I fotorecettori stimolati vanno conseguentemente a stimolare le terminazioni delle cellule retiniche degli strati più interni e quindi innescano il meccanismo della visione [4]. Dalla stimolazione di milioni di fotorecettori lo stimolo passa attraverso un numero inferiore di fibre che vanno a costituire il nervo ottico; per cui si verifica la sommazione dello stimolo luminoso e la sua amplificazione però a scapito delle capacità di discriminazione dei particolari. La massima capacità di discriminazione visiva si verifica quando un singolo fotorecettore, di norma un cono, è collegato con una cellula bipolare, a sua volta in rapporto con una cellula gangliare; questo si verifica in aree specializzate della retina dei primati e in alcuni animali provvisti di macula. I coni

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sono sensibili a lunghezze d'onda maggiori e quindi per questo motivo sono responsabili dell'acutezza visiva [4]. I bastoncelli sono invece sensibili a lunghezze d'onda minori e permettono una visione d'insieme essendo collegati a gruppi con singole cellule bipolari. Le cellule bipolari ricevono le loro afferenze principali dai fotorecettori e inviano delle proiezioni sia sulle cellule amacrine sia sulle ganglionari, sono cellule di trasmissione. Esistono differenti tipi morfologici e funzionali di cellule bipolari nella retina, in particolare riguardo all’organizzazione delle connessioni sinaptiche. Nei mammiferi le afferenze provenienti da coni e bastoncelli si separano su differenti cellule bipolari. Gli assoni dei fotorecettori confluiscono ventralmente al polo caudale del globo nella papilla o disco ottico che sporge leggermente nel vitreo per poi continuare nel nervo e nel tratto ottico. La papilla ottica ha forma triangolare, talvolta irregolare e il colore è biancastro. Intorno al nervo ottico è presente del tessuto connettivo, estensione della dura madre, che continua intorno all'occhio nella sclera. Lo stimolo visivo è trasportato attraverso i nervi ottici e il chiasma ottico ( in cui decussano la maggior parte delle fibre nervose) ai corpi genicolati laterali del talamo e da qui fino alla corteccia cerebrale caudale [1].

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CAPITOLO 2 – Esame del fondo oculare

L’occhio è l’unica struttura dell’organismo che può essere esaminata e valutata in vivo senza ricorrere a tecniche invasive e dolorose grazie alla sua normale trasparenza; inoltre è anche l’unica parte del sistema nervoso che possiamo osservare e valutare direttamente. L'esame del fondo oculare è un esame oculistico diagnostico per studiare le strutture presenti nella porzione posteriore dell'occhio, ossia corpo vitreo, retina e papilla ottica; quest’ultima è il punto di inizio del nervo ottico. Solitamente la valutazione del fondo viene richiesta o durante una visita per l’esclusione dalle patologie oculari ereditarie, oppure quando il proprietario sospetta di avere un cane ipovedente o cieco e vuole andare ad indagarne le cause. Prima di effettuare l’esame del fondo bisogna valutare il comportamento del cane e per valutare la visione del soggetto si costruisce un piccolo percorso con alcuni ostacoli messi in una stanza sconosciuta al cane per valutare la sua reazione visiva. Il cane va testato sia con la luce diurna sia in condizione di penombra per valutare sia la visione fotopica sia quella scotopica. Grazie all’esame del fondo possiamo quindi osservare e valutare i vasi retinici, la condizione del nervo ottico per individuare la presenza di patologie locali o sistemiche (ad esempio malattie sistemiche come l’ipertensione arteriosa possono danneggiare questo nervo) e tutte le strutture retiniche, in particolar modo lo strato più esterno ossia l’epitelio pigmentato che essendo l’unico strato contenente pigmento non è trasparente. Per quanto riguarda i vasi bisogna ricordarsi che durante la visita oftalmica si evidenziano solo quelli di grande e medio calibro ma non si evidenzia l’estesa rete capillare. L'esecuzione di questo esame richiede molto spesso la dilatazione della pupilla, che si ottiene instillando nel fornice congiuntivale appositi colliri con effetto midriatico quindici-venti minuti prima dell'esecuzione dell'esame; come collirio solitamente si utilizza la tropicamide allo 0,5 % o 1% [7]. L'effetto midriatico poi scompare completamente nel giro di quattro-sei ore. Questo esame va eseguito in

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una stanza buia o comunque con scarsa illuminazione. La valutazione è possibile anche senza l’utilizzo del collirio midriatico, ma si ritiene che la midriasi consenta una valutazione più efficace. Per l'esecuzione dell'esame del fondo è necessario utilizzare uno strumento denominato oftalmoscopio che può essere diretto o indiretto; di solito per fare una valutazione completa entrambe le tecniche andrebbero usate insieme. L'oftalmoscopio è un semplice sistema illuminante che permette di rilevare un'immagine diretta o indiretta del fondo oculare in base al tipo di oftalmoscopio che viene utilizzato. Sia con l’oftalmoscopio diretto sia con quello indiretto, l’ingrandimento laterale varia inversamente con la lunghezza focale dell’occhio e l’ingrandimento assiale varia con l’inverso del quadrato della lunghezza focale, ma le dimensione del campo lineare variano direttamente con la lunghezza focale dell’occhio [7]. Il principio di Helmholtz, su cui si basano i moderni oftalmoscopi, ha tre punti fondamentali: la sorgente luminosa e l'occhio dell'osservatore devono essere sullo stesso asse; l'osservatore guarda l'occhio del paziente attraverso un foro che si trova nel centro di uno specchio concavo, che illumina l'occhio osservato con la sua luce riflessa; i raggi luminosi che provengono dalla retina del paziente escono paralleli da essa e arrivano paralleli alla retina dell'osservatore su cui si trovano a fuoco. I moderni oftalmoscopi, a differenza del primo oftalmoscopio creato da Helmholtz, si differenziano poiché essi incorporano anche la sorgente di luce [8].

Con l'oftalmoscopia diretta si osserva il fondo senza alcun mezzo intermediario, solo con l'ausilio di un'illuminazione coassiale [4]. Si ottiene un'immagine dritta del fondo oculare, con un notevole ingrandimento di circa 15x e una buona risoluzione dei dettagli poiché il potere di risoluzione è di 70 micron. Si definisce diretta poiché non viene interposta alcuna lente tra l’oftalmoscopio e l’occhio del paziente [1]. Il limite però sta nel campo di osservazione che risulta limitato al centro e non c’è percezione della profondità poiché l’esaminatore utilizza un solo Oftalmoscopio diretto

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occhio. L’immagine che si visualizza è dritta e con lati non invertiti, quindi non abbiamo inversione né verticale né orizzontale. Lo strumento utilizzato è di piccole dimensioni, simile ad una torcia elettrica, dotato di una sorgente luminosa incorporata nella testina, un foro situato sull’asse visivo del paziente e un sistema di lenti idonee a correggere eventuali difetti di refrazione del paziente o dell’esaminatore. L’oftalmoscopio diretto solitamente è utilizzato per esaminare le parti centrali del fondo oculare, in particolare la regione della testa del nervo ottico, però è considerato insufficiente per valutare il fondo periferico degli animali domestici [7].

Con l'oftalmoscopia indiretta si ottiene un'immagine virtuale [4]; questa immagine retinica è molto più ampia, può raggiungere zone più periferiche ed è meno condizionata da eventuali opacità del sistema diottrico; però sarà invertita e poco ingrandita. L'oftalmoscopio indiretto è attualmente il più usato e permette di vedere ed apprezzare il fondo oculare indirettamente tramite delle lenti positive di grande diametro con poteri variabili da +13 a +30 che vanno poste davanti all’occhio del paziente esaminato. Con una lente da 30 diottrie, il campo esaminato è molto ampio, ma l'ingrandimento è scarso; invece con una lente da 20 diottrie il campo è più ristretto ma migliora l'ingrandimento [4]. Inoltre è necessario avere un’apparecchiatura che va posta sul capo dell’esaminatore mediante un supporto provvista di illuminazione coassiale e di una lente biconvessa. In questo caso l’esaminatore utilizza entrambi gli occhi riuscendo così a percepire anche la profondità, questa caratteristica è di ausilio soprattutto quando vanno apprezzate in maniera ottimale le caratteristiche della retina, ad esempio se presente distacco retinico, colobomi o edema della papilla. Inoltre l’uso dell’oftalmoscopio indiretto è preferibile quando il fondo oculare è in parte oscurato, come in corso di cataratta.

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Il Clerarview® è una camera per l’esame del fondo dell’occhio che cattura automaticamente le immagini della retina in formato digitale e le proietta sullo schermo del computer per un esame del fondo più dettagliato e approfondito. La sua telecamera real-time funziona in modo continuo permettendo di catturare le immagini migliori.

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2.1 Fondo normale

Tra le diverse razze di cani, ma anche tra i singoli soggetti della stessa razza, l’aspetto fisiologico del fondo varia notevolmente; alcune volte è possibile repertare delle differenze tra un occhio e l’altro dello stesso individuo [1], ad esempio un occhio può avere un fondo subalbinotico e l’altro invece può avere un fondo normale, tipico di alcune razze come il Siberian Husky o il Collie [7]. Quindi si può affermare che ogni fondo oculare è unico e le caratteristiche fisiologiche variano in rapporto alla razza, all’età e ad altre variabili che possono essere la pigmentazione e il colore del pelo [9]. Il fondo non è completamente maturo né alla nascita né quando il cucciolo apre gli occhi; il colore predominante del fondo durante lo sviluppo è blu-lilla. Le differenze tra il fondo oculare immaturo di un cucciolo e quello di un cane adulto sono notevoli. Il processo di sviluppo comprende sia una serie successiva di eventi morfologici sia la maturazione funzionale della retina. È impossibile esaminare il fondo oculare in cuccioli di età inferiore alle due settimane, perché le palpebre rimangono chiuse; appena si aprono le palpebre e diventa quindi possibile effettuare un esame oftalmoscopico, non si vede differenza tra l’area tappetale e quella non tappetale; oftalmoscopicamente il fondo in questa fase ci apparirà opaco, uniforme e di colore grigio-marrone [9]. In questa fase il fondo oculare ha colore grigio scuro e la papilla ottica è piccola e piatta per la mielinizzazione immatura mentre i vasi retinici sono facilmente identificabili ed appaiono relativamente grandi di dimensioni. Quando il

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cucciolo ha tre-quattro mesi di età il fondo raggiunge il suo completo sviluppo e acquisisce la sua colorazione fisiologica definitiva. In alcuni cani è possibile trovare fisiologicamente assenza di tappeto lucido o dei fondi granulosi visibili oftalmoscopicamente come numerose macchie brunastre diffuse su tutta la superficie. Bisogna sapere e conoscere bene le variazioni fisiologiche del fondo oculare prima di fare la diagnosi di una qualsiasi alterazione patologica di questa struttura; questo è estremamente importante in corso di visite del fondo per l’esclusione dalle patologie ereditarie. Nella maggior parte dei soggetti il fondo può essere suddiviso in un’area tappetale con il tappeto lucido, ossia la struttura riflettente della coroide e un’area non tappetale dove manca il tappeto e le cellule solitamente contengono pigmento [10]; l’area tappetale occasionalmente può essere assente nel cane [7]. Oltre a queste due aree, nel fondo oculare, troviamo anche una zona intermedia o di giunzione tra le due aree, con caratteristiche molto variabili da soggetto a soggetto, i vasi retinici (arteriole e venule) e la papilla ottica, ossia il punto di inizio del nervo ottico [4].

2.1.1 Area tappetale

Corrisponde al quadrante centro-dorsale del fondo oculare e grossolanamente ha forma triangolare a base orizzontale. È il settore del fondo dell’occhio dove troviamo il tappeto lucido [10]. Questa zona è intensamente colorata per la presenza di cristalli di guanina e di guanidina o di altre strutture riflettenti a livello della coroide; in questa zona la retina è del tutto trasparente [4]. Nel settore in cui è presente il tappeto lucido, l'epitelio pigmentato della retina non presenta pigmentazione e, quindi, anche lui è trasparente. Inoltre a questo livello la membrana di Bruch è praticamente inesistente, essendo ridotta alle sole lamine basali delle cellule endoteliali della coriocapillare e delle cellule dell'epitelio pigmentato [4]. L'area tappetale la osserviamo nei soggetti pigmentati mentre è assente nei soggetti albini in cui il fondo

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assume una colorazione rossa. Nei soggetti subalbinotici o nei cani con un colore merle del mantello (ad esempio Border Collie, Shetland Sheepdogs o razze affini [7]) l’area tappetale può essere presente, ma solitamente il tappeto lucido è poco sviluppato [9]. In quest’area è molto più facile evidenziare i vasi retinici con l’oftalmoscopio rispetto all’area non tappetale. Possiamo osservare in questa zona molte variazioni in base alla razza e all’età. Il tappeto lucido, come detto in precedenza, manca nei neonati e si forma solo dopo la nascita. Dopo circa cinque - sette settimane comincia a manifestarsi la colorazione blu-lilla e poi gradualmente raggiunge l’aspetto e il colore normale dell’adulto, terminando il suo sviluppo completo dopo i cinque mesi di età [10]. Il colore nell’adulto può assumere diverse tonalità, potrà essere giallo, verde, arancio o una combinazione tra questi colori. diventando un carattere distintivo di ogni singolo soggetto; raro trovare questa zona colorata di grigio. Nei Retriever [11] comunemente si trova un’area tappetale di colore giallo-arancio con una zona di transizione verde-bluastra.

2.1.2 Area non tappetale

Occupa la parte più ventrale del fondo dell’occhio e si estende intorno al tappeto lucido [10], è la zona più estesa del fondo oculare nel cane. Questa zona viene chiamata anche tappeto bruno ed è fortemente pigmentata per la presenza di melanina nell'epitelio pigmentato della retina e nella coroide, in cui mancano i cristalli di guanina e le altre strutture riflettenti [4]. Il colore dipende quindi dal pigmento all’interno delle cellule dell’epitelio pigmentato e anche dal pigmento che si trova nella sottostante coroide e può variare da marrone–nerastro a grigio scuro, non è riflettente e spesso ha aspetto striato. Se la melanina manca solo nell'epitelio pigmentato, si potrà intravedere la rete vasale della coroide; la presenza in essa di numerosi melanociti, conferirà alla parte un aspetto tigroide [4]. Negli albini mancano il pigmento sia nell'epitelio

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pigmentato sia nella coroide, quindi, tutte le strutture presenti sono trasparenti e all’esame del fondo dell’occhio si evidenziano solo i vasi retinici e coroideali di maggior calibro che spiccano sullo sfondo bianco dato dalla sclera [10]. L’assenza del pigmento in tutta l’area non tappetale è comune ad esempio nei soggetti merle [12]. Le variazioni del colore del fondo oculare sono essenzialmente legate al colore del mantello, ad esempio nei cani con mantello color cioccolato o fegato e con un’iride marrone chiara, quest’area è poco pigmentata e apparirà di colore marrone chiaro o bruna-rossastra [7].

2.1.3 Zona di giunzione o intermedia

È il settore di confine non netto tra l’area tappetale e la non tappetale. Nella maggior parte dei casi si osserva una lieve pigmentazione che si estende verso l’area tappetale [10]. Questa zona ha caratteristiche molto variabili da soggetto a soggetto; di solito nelle razze a pelo lungo come il Golden Retriever, il passaggio tra area tappetale e area non tappetale è graduale e non nettamente delimitato [9].

2.1.4 Vasi retinici

La vascolarizzazione retinica è costituita da arteriole e venule che decorrono sulla superficie della retina. I vasi di calibro maggiore sono le venule ed hanno decorso quasi rettilineo e sangue più scuro. Nel cane si evidenziano solitamente da due a cinque venule di maggior calibro con andamento rettilineo e le ritroviamo in posizione dorsale, ventro-mediale e ventro-laterale rispetto alla papilla ottica; la loro disposizione è a Y rovesciata, ma sono frequenti le variazioni di disposizione [4]. Sulla superficie della papilla le venule si ricongiungono e formano un anello ma non sempre è completo. I vasi si riuniscono poi per passare, assieme, attraverso la lamina cribrosa [4]. Le arteriole invece hanno calibro minore e sono più serpiginose, a volte specialmente in alcune razze sono

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molto tortuose, come ad esempio nei Boxer e nei Collie in cui sono proprio una caratteristica fisiologica. Le arteriole sono molto più numerose, di solito sono quindici–venti [9], e fuoriescono dalla papilla andando a irrorare i vari distretti del fondo oculare; il loro diametro diminuisce all’aumentare della distanza dalla papilla ottica. Originano soprattutto dall’arteria oftalmica esterna, che deriva dalla mascellare esterna; nel cane il contributo dell’arteria oftalmica interna è minimo [10]. Con l’oftalmoscopio non si riconoscono differenze tra le arteriole e le vene più piccole [9]. Nei cuccioli i vasi sanguigni appaiono più grandi rispetto a quelli di un soggetto adulto. In cani con fondo poco pigmentato o subalbinotico sono facilmente visibili i vasi sanguigni della coroide; sono di colore rosso mattone e si irradiano dalla papilla ottica con un pattern regolare a raggiera [7].

2.1.5 Papilla ottica

È costituita dall’insieme degli assoni delle cellule gangliari che sono posti nello strato più interno della retina [10]. Nel cane la papilla ottica ha forma triangolare, trilobata o irregolare e il colore è bianco-rosato poiché all’interno della papilla le fibre sono rivestite di mielina. Si può verificare la mielinizzazione precoce delle fibre prima dell’entrata nella papilla ottica. Le fibre sono circa 145.000-165.000 [10]. La maggior parte delle volte osserviamo la papilla nella zona di giunzione o intermedia, ma nei cani di grossa taglia (come ad esempio nel Labrador Retriever) la ritroviamo solitamente nell’area tappetale, invece nei cani di piccola taglia è più frequente osservarla nell’area non tappetale. La sua posizione nelle diverse aree può influenzare la percezione del suo colore. Le dimensioni della papilla ottica possono essere variabili [9] e non c’è uno stretto rapporto tra la sua dimensione e la taglia del cane. Il disco ottico può essere circondato da un anello pigmentato più o meno sviluppato, a volte incompleto; si tratta del pigmento presente nelle cellule dell'epitelio pigmentato di questo settore circoscritto. In altri casi

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esiste un alone peripapillare di colore verde intenso che indica il minore spessore del tappeto nelle zone circostanti il nervo ottico [4]. Nei cuccioli le sue dimensioni sono ridotte poiché la mielinizzazione è incompleta [7]. La superficie anteriore della papilla ottica nei cani adulti è elevata rispetto alla superficie della retina circostante; tale differenza è invece difficile da rilevare nei cuccioli, sempre a causa della ridotta mielinizzazione. Frequentemente si può osservare una macchia scura al centro della papilla ottica che corrisponde all’infossamento dato dall’atrofizzazione dell’arteria ialoidea embrionaria.

2.2 Alterazioni del fondo oculare

Fisiologicamente, osservando il fondo dell'occhio, non si è in grado di osservare la maggior parte delle strutture retiniche, poiché la retina risulta essere trasparente [4]. Si evidenziano i vasi retinici di maggior calibro, la papilla ottica e, nei soggetti pigmentati, l'epitelio pigmentato a livello della zona non tappetale dove è provvisto di pigmento; a livello della zona tappetale invece tutte le strutture sono trasparenti. Se il fondo non è pigmentato tutte le strutture sono trasparenti, compreso l'epitelio pigmentato; quindi nei soggetti non pigmentati fisiologicamente rileveremo la papilla ottica, i vasi retinici di maggior calibro, la vascolarizzazione della coroide e, in alcuni casi, la sclera sottostante che appare bianca. I vasi retinici si evidenziano sovrapposti ai vasi della coroide, ed appaiono più larghi e con decorso rettilineo [4].

Se il fondo dell’occhio è colpito da modificazioni patologiche si può arrivare ad avere cecità unilaterale o bilaterale nell’animale affetto. Le alterazioni del fondo raramente causano dolore e disagio per cui è molto difficile per il proprietario capire da quanto tempo perdura la condizione di cecità del proprio animale, se è stata improvvisa o graduale e se il disturbo visivo è evidente con la luce o con il buio. La retina risponde alle diverse noxae patogene in maniera del tutto similare agli altri tessuti dell’organismo, manifestando le varie fasi dei processi infiammatori, i

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fatti riparativi conseguenti e fenomeni degenerativi primari o secondari [4]. Possiamo distinguere le alterazioni del fondo oculare in alterazioni della trasparenza, alterazioni vascolari, alterazioni della papilla ottica e distacco retinico.

2.2.1 Alterazioni della trasparenza del fondo

All'esame oftalmoscopico è possibile repertare delle macchie patologiche di diverso tipo:

- Macchie di pigmento: macchie a livello del tappeto lucido, dello stesso colore del tappeto bruno circostante, solitamente non costituiscono una patologia, soprattutto se localizzate nella zona di transizione tra le due aree. Se la macchia ha un'area iper-riflettente periferica e presenta un piccolo vaso all'interno è probabile che sia una cicatrice di una pregressa corioretinite focale. Possono apparire anche come macchie di pigmento anche forme focali di corioretinite granulomatosa.

- Macchie giallo-marroni: questo tipo di macchie diffuse nell'area tappetale solitamente rappresentano accumuli di detriti dei segmenti esterni dei coni atrofizzati. Si ritrovano nella distrofia dell'epitelio pigmentato.

- Macchie nettamente delineate con area centrale non a fuoco: possono indicare un difetto di chiusura (coloboma).

- Macchie grigiastre poco definite: solitamente sono l'espressione di edemi ed essudazione conseguenti a retinite, uveite posteriore o patologie associate a flogosi quali ipertensione o neoplasie.

- Macchie chiare nell'area non tappetale: sono osservabili negli stati avanzati di degenerazione retinica.

- Macchie bianco-grigiastre, lineari o rotondeggianti: indicano displasia retinica o essudazione con distacco retinico localizzato.

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Oltre a questi diversi tipi di macchie è possibile trovare delle aree in cui il riflesso è aumentato. L'aumentato riflesso indica atrofia circoscritta e completa della retina; la luce non viene assorbita ed è quindi totalmente riflessa. Se è presente un'area ovalare, peripapillare e iper-riflettente può essere indice di degenerazione retinica con iniziale interessamento dei coni. Un aumento generalizzato del riflesso è indicativo di un'atrofia che coinvolge primariamente i bastoncelli [4]. Il riflesso tappetale sarà invece ridotto quando la retina subisce un ispessimento, ad esempio dovuto ad essudati intra-retinici o a distacchi della retina.

2.2.2 Alterazioni vascolari del fondo

In rapporto alle diverse situazioni patologiche i vasi retinici possono presentare alterazioni di calibro, decorso e colorazione [1]. L'assenza completa dei vasi retinici indica aplasia o degenerazione completa. Se invece osserviamo vasi molto sottili può essere indice di degenerazione retinica in fase avanzata. Se i vasi retinici non sono visibili sul fondo ma li possiamo repertare in camera vitreale associata ad una struttura grigio-blu, è possibile ci sia un distacco retinico. Vasi scuri, sottili o ingrossati localmente possono essere riferiti a fenomeni di ischemia e possibile embolismo [4]. Vasi molto tortuosi con fondo integro ci indicano solitamente un’anomalia congenita tipica dei Collie [10]. Vasi di forma e dimensione anomale con contorni spesso indefiniti sono spesso rilevabili in corso di neoplasie [2]. Inoltre è possibile riscontrare patologicamente a livello del fondo oculare anche delle emorragie che possono conseguire a processi infiammatori e degenerativi, ma anche ad anomalie congenite a carico dei vasi, traumi, intossicazioni, difetti di coagulazione, neoplasie e fenomeni ipertensivi sistemici. Se un vaso retinico è offuscato dall'emorragia è probabile che si tratti di una localizzazione pre-retinica. Se invece l'emorragia è osservabile sullo sfondo di un vaso retinico è probabile che si sia verificata un'emorragia retinica o sub-retinica a carico della

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coriocapillare [4]. Le emorragie localizzate in profondità appaiono come piccole lesioni rotondeggianti che tendono a sollevare leggermente la retina.

2.2.3 Alterazioni della papilla ottica

È possibile riscontrare edema della papilla che può svilupparsi senza ulteriori segni di infiammazione oppure può essere associato ai segni della flogosi. Se non sono presenti segni di infiammazione la papilla è rosata, ha contorno ben definito, aggetta nel vitreo e i vasi sono inginocchiati. Può essere presente anche emorragia. Spesso è difficile differenziare il papilledema dalla papillite. La papilla può anche essere ipoplastica o atrofica e quindi non funzionante . Nei casi di micropapilla o ipoplasia, il nervo ottico non è sviluppato e mancano gli assoni; istologicamente si può rilevare una diminuzione delle cellule gangliari [4]. Queste alterazioni possono manifestarsi in associazione ad altre patologie displastiche. Se l'ipoplasia è bilaterale, il paziente affetto è cieco; invece una micropapilla o una papilla ipoplastica unilaterale in genere sono reperti occasionali.

2.2.4 Distacco retinico

Quando è presente questa alterazione si verifica la separazione tra lo strato interno della retina e lo strato esterno, ossia l'epitelio pigmentato. Ai fotorecettori non arriva più il rifornimento delle sostanze nutritive e perdono, quindi, la loro funzionalità. Se tale condizione persiste essi degenerano completamente e l'animale diventa cieco. La separazione di questi due strati può avvenire per accumulo di essudato, per la crescita di tessuti posteriormente alla retina, per la trazione in seguito a traumi perforanti o a lussazione della lente, per infiltrazioni di vitreo attraverso fori nella retina o per liquefazione del vitreo [4]. Un

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distacco retinico circoscritto è osservabile come una formazione cistica grigio-blu dai contorni non ben definiti a livello della retina. I distacchi di entità maggiore assumono un aspetto a cupola di colore variabile dal grigio-blu al rosso nel quale sono individuabili i vasi retinici [4]. Se il distacco coinvolge tutto il fondo oculare, la retina fluttua nel vitreo e osserveremo riduzione della riflettività [1].

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CAPITOLO 3 - Ereditarietà genetica e

patologie ereditarie

La popolazione mondiale del cane domestico è attualmente suddivisa in più di 350 razze riconosciute da organismi certificatori nazionali o internazionali. Ogni razza è caratterizzata da un fenotipo ben definito, prodotto dalla selezione dell’uomo. La selezione di un fenotipo desiderato avviene attraverso l’utilizzo di un numero ristretto di riproduttori di partenza e comporta una ridotta variabilità genetica all’interno di ogni razza. Questa pratica ha però portato ad avere anche una selezione di caratteri indesiderati, ossia di patologie, che in certe razze sono più frequenti rispetto ad altre e ciò consegue, appunto, ad un processo di selezione ad opera dell’uomo[13].

Una patologia in una determinata razza è considerata ereditaria quando: la frequenza è maggiore rispetto alle altre razze; quando ha sede di comparsa e posizione caratteristici per quella patologia; quando insorge a una determinata età; quando la progressione della patologia è prevedibile e quando è comparabile ad una patologia che è stata già studiata ed è risultata ereditaria in un'altra razza [14]; quando è stata studiata la mutazione che determina quella determinata patologia. La maggior parte delle patologie oculari che si pensa siano ereditarie di una razza non sono state adeguatamente documentate poiché gli studi genetici necessitano un grande numero di soggetti imparentati tra loro per poter caratterizzare la patologia (età di comparsa, segni clinici e la sua progressione) e per definire le modalità di trasmissione (recessiva, dominante); infatti per la maggior parte delle patologie si parla di presunta ereditarietà.

La genetica è la scienza che studia i geni, l’ereditarietà e la variabilità genetica degli organismi. Le anomalie ereditarie monofattoriali sono solitamente causate dalla mutazione di uno o più geni nel patrimonio ereditario (genotipo) dell’animale. Questi geni sono spesso modulati o soppressi dai restanti geni dell’animale. Le malattie polifattoriali sono

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invece determinate non soltanto dai geni ma anche da fattori ambientali esterni, come ad esempio l’alimentazione. L’insieme dei geni e l’ambiente definiscono l’aspetto definitivo dell’individuo, ossia il fenotipo. I cani sono organismi diploidi a riproduzione sessuata con cromosomi riconoscibili e possiedono due copie di ciascun cromosoma ad eccezione dei due cromosomi sessuali; il maschio è portatore dei cromosomi XY e la femmina dei cromosomi XX. I cromosomi non sessuali sono definiti autosomi e sono organizzati in coppie omologhe che possono contenere gli stessi geni in forma identica o no; le forme alternative di un gene prendono il nome di alleli o varianti alleliche. Se un organismo ha due alleli identici di un gene si dice che è omozigote per quel gene, se le forme alleliche sono diverse, l’organismo è eterozigote per quel gene. La variante allelica che porta all’espressione di una funzione o di una struttura è detta dominante. I caratteri codificati dai cromosomi non autosomici mostrano una ereditarietà legata al sesso finendo per manifestarsi o no, indipendentemente dalla loro dominanza, ma in ragione solo della loro esistenza nel cromosoma X o Y nel soggetto eterogamico [15]. Il numero dei geni mutati e il modo con cui essi vengono trasmessi determinano il tipo di ereditarietà. La maggior parte delle volte un gene non funziona da solo, ma il suo effetto dipende dall’azione concomitante di altri geni, e può anche dipendere dall’ambiente. In campo zootecnico è frequente il caso in cui più geni agiscono su un solo carattere e in questo caso il loro effetto può semplicemente sommarsi e produrre un fenotipo che presenta diverse intensità [16]. Se è noto il meccanismo di trasmissione di una determinata malattia, spesso possiamo programmare un piano di eradicazione. Rimane comunque difficile, soprattutto nelle razze numericamente poco diffuse, stabilire se un individuo è affetto da una patologia ereditaria, soprattutto nei casi in cui la sua discendenza non ne è affetta. A volte si può esaminare i cromosomi e individuare il gene responsabile del difetto a livello del DNA oppure usando tratti di DNA specificamente correlati alla malattia [2]. Il genoma canino è stato

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completamente sequenziato nel 2005, e ciò rappresenta una straordinaria opportunità per indagare la base genetica di molte malattie [13].

3.1 Tipi di ereditarietà

Le anomalie ereditarie sono causate da una mutazione di uno o più geni che vengono definiti geni aberranti. Queste mutazioni si classificano in: geniche, se riguardano i singoli geni, cromosomiche, se causano un'alterazione strutturale dei cromosomi e genomiche, se causano una variazione nel numero dei cromosomi. Il numero dei geni mutati e le modalità con cui essi vengono trasmessi caratterizzano il tipo di ereditarietà.

3.1.1 Ereditarietà semplice

In questo caso la trasmissione della malattia è determinata da un solo gene che può essere espresso in numerosi modi.

- Dominanza semplice o trasmissione autosomica dominante: la malattia è causata da un gene (D) che sopprime o domina il corrispondente gene che codifica per il carattere corretto, che viene detto recessivo (d). Se l’animale da entrambi i genitori riceve il gene dominante D, il suo genotipo sarà DD ed il soggetto manifesterà la malattia, sarà quindi classificabile come malato. Se l’animale invece riceve un gene dominante D da un genitore e un gene recessivo d dall’altro genitore, il suo genotipo sarà Dd e anche questo soggetto manifesterà la malattia. Se invece l’animale eredita entrambi i geni recessivi dai genitori, avrà genotipo dd e non erediterà l’anomalia. La prevenzione da queste patologie è molto semplificata in quanto i portatori sono direttamente riconoscibili.

- Recessività semplice o trasmissione autosomica recessiva: la malattia è causata da un gene che viene espresso solo se è in

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omozigosi, ossia solo quando entrambi i genitori trasmettono ai figli lo stesso gene, in media al 25% dei figli indipendentemente dal loro sesso. In questo tipo di ereditarietà entrano in gioco i portatori, ossia animali che hanno genotipo Rr e in cui l’espressione della patologia è soppressa. Animali RR saranno considerati sani, mentre animali con genotipo rr sono considerati malati. Quindi il fenotipo rr avrà solo un genotipo associato rr. Gli animali portatori sono riconosciuti raramente e si riconoscono poiché o sono figli di un animale malato o perché hanno una discendenza che presenta la malattia. Per l’eliminazione di malattie con questo tipo di trasmissione ci risultano molto utili i test genetici sul DNA, presenti solo per alcune patologie in cui è conosciuta la mutazione che le causa. - Ereditarietà legata al sesso: il gene aberrante è localizzato su uno

o su entrambi i cromosomi X oppure sul cromosoma Y. Nel caso di trasmissione ereditaria recessiva legata al cromosoma X i maschi risultano malati mentre le femmine manifesteranno la malattia solo se in omozigosi. Nel caso, invece, di trasmissione ereditaria dominante legata al cromosoma X le femmine saranno fenotipicamente malate.

- Recessività, dominanza o penetranza incompleta: la malattia può essere trasmessa da un gene dominante o recessivo ma il genotipo rimanente determina una soppressione del gene stesso oppure questo non possiede penetranza completa. In questo tipo di trasmissione due alleli diversi di un gene esprimono contemporaneamente il loro effetto sul fenotipo ma nessuno dei due domina sull'altro. Questi casi di ereditarietà sono più complessi ma molto più frequenti. Classificato il tipo di ereditarietà si possono individuare i malati ed i portatori.

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3.1.2 Trasmissione multipla (poligenica)

In questa ereditarietà sono coinvolti più geni con effetto additivo. Molte volte alcuni fattori esterni sono così determinanti che le modalità di trasmissione ereditaria sono difficilmente identificabili. Per questi motivi risulta difficile eliminare questo tipo di malattie.

3.2 Impatto delle malattie oculari ereditarie sulla

salute dei cani di razza

Le razze canine si possono definire geneticamente isolate; per questo motivo si nota una prevalenza molto alta delle anomalie ereditarie e, tra queste, le più frequenti sono le forme recessive. Nel cane le malattie ereditarie possono essere razza-specifiche, tra queste le patologie oculari sono ampiamente diffuse. Quando si sospetta una malattia ereditaria bisogna valutare se è descritta in quella specie animale e in particolare in quella determinata razza [14]; successivamente bisogna visitare attentamente i genitori e tutti i collaterali più stretti per riscontrare l’eventuale presenza della stessa alterazione. Si definiscono malattie ereditarie vere e proprie quelle in cui è stata evidenziata la mutazione che causa quell’alterazione e quando sono conosciute le modalità di trasmissione. Quindi è possibile che ci sia un test genetico per svelare la presenza di quell’alterazione nel genotipo dell’animale. Invece le malattie presunte ereditarie sono quelle in cui la mutazione genica non è stata evidenziata ma si presume che abbiano trasmissione ereditaria perché sono affetti da quella patologia più soggetti all’interno della stessa razza o, ancora meglio, della stessa famiglia e le manifestazioni cliniche tra i diversi soggetti sono simili come tempo di comparsa, tipo della lesione e andamento della malattia; si indica anche una malattia come presunta ereditaria quando per una razza è già stato studiato il tipo di trasmissione ed eventualmente anche la mutazione

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genica che la causa, ma non per la razza in oggetto, però le manifestazioni cliniche tra queste due razze sono compatibili. Il controllo dei soggetti di razza e l’utilizzo dei test del DNA, ove possibile, possono consentire l’individuazione dei soggetti affetti e portatori. L’eliminazione dei soggetti affetti, e eventualmente dei portatori, dalla riproduzione è l’unica vera soluzione ai problemi trasmessi ereditariamente. Purtroppo non esistono test genetici disponibili per tutte le alterazioni oculari, per cui la profilassi rimane piuttosto complessa. Le patologie oftalmiche del cane si distinguono in congenite, ossia già presenti alla nascita, e non congenite, che compaiono dopo un periodo più o meno lontano dalla nascita. Nella tabella che segue sono riportate le forme più importanti di patologie oftalmiche segnalate nella specie canina.

OCULOPATIE CONGENITE OCULOPATIE NON CONGENITE

Displasia retinica (RD) Lussazione primaria della lente (PLL)

Anomalia dell’occhio del Collie (CEA)

Atrofia progressiva della retina (PRA)

Persistenza della membrana pupillare (PPM)

Cataratta non congenita (HC)

Persistenza del vitreo primario iperplastico (PHPV)

Distrofia dell’epitelio pigmentato della retina (RPED) Cataratta congenita (HC)

Glaucoma

primario/Goniodisgenesia

Tabella 1 [17]

Un esame oftalmoscopico per l’esclusione dalle oculopatie ereditarie prevede una valutazione dei riflessi oculari e delle reazioni visive dell’animale, in questa fase il soggetto non deve essere stato trattato con farmaci. Successivamente si esegue prima un esame con biomicroscopio sul segmento anteriore e sulla lente e in seguito con un oftalmoscopio indiretto si esegue un esame completo del fondo oculare; prima della valutazione del fondo è necessario provvedere all’instillazione di alcune

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gocce di collirio midriatico per dilatare la pupilla. La tonometria, il test di Schirmer, l’elettroretinografia e altri test non vengono eseguiti di routine. Le diagnosi ottenute durante un esame oftalmico si riferiscono solo al fenotipo, ossia all’aspetto clinico, di un animale. I limiti delle visite oculistiche dipendono dalla competenza e dall’esperienza del medico veterinario che le esegue, dalla corretta applicazione del protocollo di visita previsto dagli standard internazionali, dalla collaborazione del cane e dal fatto che sono diagnosticabili, come detto in precedenza, solo le malattie che hanno già indotto la comparsa di alterazioni clinicamente rilevabili; solo con la visita oculistica i portatori sani vengono dichiarati esenti. L’animale va riesaminato con cadenza annuale fino all’età di sei anni per escludere lo sviluppo di patologie ereditarie che si manifestano più tardivamente nella vita dell’animale.

A prescindere dalla razza, un’ulteriore suddivisione divide le oculopatie di probabile origine ereditaria in due gruppi:

- Patologie che alterano lo stato di benessere dell’animale e comportano una sua esclusione dalla riproduzione;

- Patologie che non alterano lo stato di benessere e/o sono curabili senza gravi rischi, per cui la scelta di far riprodurre quel soggetto è lasciata all’allevatore che andrà a considerare anche altri importanti parametri riferiti alla morfologia e al carattere [18]. In base a questa ulteriore suddivisione, una volta diagnosticata una patologia oftalmica ereditaria in un soggetto, è molto importante conoscere la modalità di trasmissione di tale patologia per sapere se escludere dalla riproduzione solo il soggetto affetto, oppure anche i suoi genitori e i soggetti consanguinei. La prevenzione delle malattie oculari ereditarie deve essere finalizzata, quindi, al mantenimento dello stato di benessere dell’animale. Le numerose modificazioni che non alterano lo stato di benessere o sono curabili devono comunque essere diagnosticate e segnalate, ma senza necessariamente comportare l’obbligo di esclusione dalla riproduzione di soggetti che l’allevatore ritiene di pregio [18].

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3.3 Test genetici per le patologie oculari

Per la prevenzione delle malattie oculari ereditarie nei cani di razza si possono effettuare dei test sul DNA presso centri specializzati. I test genetici disponibili per le patologie oculari sono molto più numerosi rispetto ai test genetici per le altre patologie [19]. Ciascun test del DNA è specifico per una sola mutazione e quindi non può prescindere dall'effettuare visite approfondite e controlli periodici per evidenziare lo sviluppo di eventuali patologie concomitanti. I test del DNA svelano o la mutazione che si verifica nel corso di una patologia, oppure il marker localizzato sul cromosoma difettoso, ma comunque rimane difficile sapere quante mutazioni o quanti marker esistano per una specifica malattia oculare nei cani di una razza e, man mano che si accumulano i dati dei test sul DNA, si possono scoprire variazioni prima sconosciute [18]. I test sul DNA vengono svolti secondo procedure standard, caratterizzate da diverse fasi: raccolta dei campioni (sangue, cellule della cavità orale o ciuffi di pelo con bulbo); estrazione del DNA dalle cellule; analisi dei geni mediante il test genetico [17].

3.3.1 Mutation-detection Test – MDT

Il test MDT riconosce la mutazione genica che si è verificata in un singolo gene, per cui identifica solo quella determinata mutazione. È un test sicuro al 100%. Se ci sono diverse mutazioni o altri geni che possono causare lo stesso quadro patologico il limite di questo test è che non li rileva. Alcune malattie oculari sono sicuramente riferibili a più geni e a più mutazioni, per cui nuove alterazioni possono sempre comparire e si dovrebbero fare test per ciascuna mutazione e ciascun gene [18]. In questo test la sequenza di DNA implicata viene isolata e amplificata con la PCR (Polymerase Chain Reaction, ossia reazione a catena della polimerasi), poi viene confrontata con quella di soggetti sani e ciò ci consente successivamente di testare altri cani per quella determinata

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