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Caratterizzazione fenotipica di un modello murino della neuropatia ereditaria sensoriale e autonomica di tipo V

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA E CHIRURGIA

CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA DI UN MODELLO MURINO DELLA NEUROPATIA

EREDITARIA SENSORIALE E AUTONOMICA DI TIPO V

CANDIDATO: RELATORE:

STEFANIA DELLA VECCHIA

PROF. ANTONINO CATTANEO

(2)

2

INDICE 2

RIASSUNTO ANALITICO 5

PARTE 1: INTRODUZIONE

1 IL DOLORE E LA SUA MODULAZIONE 6

1.1 Definizione e tipologie di dolore 6

1.2 La nocicezione 8

1.3 Le vie ascendenti 13

1.4 Le aree centrali deputate al dolore 16

1.5 La modulazione del dolore 22

2 NGF E RECETTORI 26

2.1 La scoperta del fattore di crescita neuronale 26

2.2 I recettori del fattore di crescita neuronale 27

2.3 Funzioni di NGF nell’embriogenesi 28

2.4 Funzioni di NGF nell’adulto 30

2.5 NGF e il dolore 31

3 LA NEUROPATIA EREDITARIA SENSORIALE E AUTONOMICA DI TIPO V 35

3.1 Le neuropatie ereditarie sensoriali e autonomiche 35

3.2 Definizione dell’HSAN V 37

3.3 Genetica ed epidemiologia dell’HSAN V 37

3.4 Aspetti clinici della malattia 39

3.5 Differenze tra la famiglia Norbottiana e la famiglia Araba 43

3.6 Meccanismi della malattia 44

(3)

3

PARTE 2: SCOPO DELLA TESI 50

PARTE 3: MATERIALI E METODI 51

1. Animali 51

2. Trattamento dei tessuti per immunoistochimica 51

3. Immunoistochimica 52

3.1 Immunoistochimica anti-CAT 52

3.2 Immunoistochimica anti-IBA1 53

3.4 Immunoistochimica anti-GFAP 54

4. Microscopia 54

4.1 Microscopio confocale a scansione laser 54

4.2 Microscopio ottico a campo chiaro 55

5. Software per l’analisi delle immagini 55

5.1 Imaris 55

5.2 Imagej 56

6. Test comportamentali 56

6.1 Test di riconoscimento degli oggetti 56

6.2 Test della piastra calda 57

6.3 Test di induzione del dolore con la Capsaicina 57

6.4 Eleveted plus maze 58

(4)

4

PARTE 4: RISULTATI 60

1. Aspetti cognitivi e valutazione dei neuroni colinergici del proencefalo basale 60

2. Valutazione del lato emozionale 67

3. Valutazione della sensibilità dolorifica 69

4. Valutazione morfologica della glia 72

PARTE 5: DISCUSSIONE 83

PARTE 6: CONCLUSIONI 88

BIBLIOGRAFIA 89

(5)

5

RIASSUNTO ANALITICO

Il dolore è definito come un’esperienza sensoriale e emotiva spiacevole dovuta ad un

danno tissutale effettivo o potenziale, importante per proteggere l’individuo da

esperienze dannose ed evitare occorrenze simili in futuro. Siamo abituati a porre

l’attenzione sulla presenza del dolore e sulla sua potenziale inibizione, ma ci

soffermiamo poco sulle eventuali conseguenze della sua assenza. La neuropatia

ereditaria sensoriale e autonomica di tipo V è una malattia a trasmissione autosomica

recessiva caratterizzata da insensibilità al dolore. La scoperta della sua associazione

con mutazioni del gene NGF ha permesso di confermare che il fattore di crescita

neuronale non ha solo un ruolo trofico su varie popolazioni neuronali, tra cui i neuroni

sensitivi e simpatici del sistema nervoso periferico, ma ha anche importanti attività

pronocicettive. Lo scopo di questo lavoro di ricerca è stato quello di validare il topo

transgenico eterozigote per la mutazione R100W come modello per la neuropatia

ereditaria sensoriale e autonomica di tipo V, modello che offre la possibilità di

contribuire a definire il ruolo di NGF nell’esperienza dolorifica, di investigare le funzioni

di NGF e proNGF nel sistema nervoso centrale e periferico, e di confermare che l’NGF

mutato o “painless”, come dimostrato in precedenza, conservando le sue azioni

trofiche e perdendo quelle algiche, potrebbe essere un’efficace molecola terapeutica

nelle malattie neurodegenerative.

Con questo obiettivo ho analizzato topi transgenici eterozigoti per la mutazione

R100W e topi WT, tramite test comportamentali per valutare le funzioni cognitive e la

sensibilità dolorifica e analisi immunoistochimiche per testare gli effetti di NGF mutato

su varie popolazioni cellulari.

I risultati del lavoro dimostrano che l’NGF R100W non ha azione algica e mantiene le

funzioni trofiche, e che l’NGF potrebbe avere un ruolo importante anche su altre

popolazioni del SNC.

(6)

6

1 IL DOLORE E LA SUA MODULAZIONE

1.1

Definizione e tipologie di dolore

Il dolore è definito dall’Associazione internazionale per lo studio del dolore (IASP)

come “un’esperienza sensoriale e emotiva spiacevole dovuta ad un danno tissutale

effettivo o potenziale” [1]

,

importante per proteggere l’individuo da esperienze

dannose ed evitare occorrenze simili in futuro. A sottolineare l’importanza del dolore

nella sopravvivenza, l’American Pain Society (APS), nel 1996, ha indicato il dolore come

quinto segno vitale, dopo la pressione arteriosa, il polso arterioso, la frequenza

respiratoria e la temperatura corporea [2].

In base alla durata temporale, il dolore viene classificato come acuto e cronico. In

generale il dolore acuto è un meccanismo di difesa innescato da cause fisiche

specifiche, ha breve durata e termina nel momento in cui la lesione viene risolta o

l’agente nocicettivo viene allontanato [3]. Il dolore cronico è invece un dolore

persistente che dura più a lungo della lesione tissutale che lo causa [3].

Nel 2004 l’American college of physicians ha proposto una classificazione dei vari tipi di

dolore, definiti da Woolf [4], articolata in due categorie principali: il dolore come

risposta di tipo adattativo e come forma di tipo non adattativo.

Il dolore come risposta di tipo adattativo contribuisce alla sopravvivenza,

proteggendo l’organismo da fattori lesivi e promuovendo la guarigione quando una

lesione è comunque sopravvenuta. Si distingue in dolore nocicettivo e infiammatorio.

Il dolore nocicettivo [5] è un vero e proprio sistema d’allarme, che avverte della

presenza di stimoli o eventi in atto potenzialmente dannosi. Riguarda stimoli

provenienti sia dall’ambiente esterno (stimoli meccanici intensi, termici d’intensità

elevata, stimoli chimici da sostanze irritanti), sia dall’interno dell’organismo (trauma

osseo o articolare, spasmi viscerali, etc.). Si tratta in genere di un dolore acuto, di

breve durata, che viene immediatamente identificato per quello che riguarda la sede,

(7)

7

l’intensità e la tipologia dello stimolo doloroso in atto, innescando, inoltre, meccanismi

di sottrazione e di protezione.

Per quanto riguarda il dolore infiammatorio [5], in molti casi gli stimoli o gli eventi

nocivi producono un vero danno ai tessuti, che persiste per un certo tempo, come una

ferita, un’ustione, una frattura ossea. Quando la lesione rappresenta il primo passo

verso processi riparativi e immuno-protettivi, e che persisterà fino alla riparazione del

danno. L’infiammazione, a sua volta, genera una forma di dolore, più sordo e

prolungato rispetto a quello nocicettivo, il cui andamento procede di pari passo con

l’evoluzione dell’infiammazione stessa e scompare con la restitutio ad integrum dei

tessuti lesi.

Il dolore di tipo non adattativo non si associa a stimoli nocivi o a processi

infiammatori e riparativi. Non rappresenta un sistema d’allarme e non è un sintomo. È,

invece, espressione di processi patologici che s’instaurano a livello del sistema

nervoso, sia periferico sia centrale, e che sono in grado di determinare dolore. Tale

dolore è spesso grave, ripetitivo o cronico, privo di finalità, risponde male ai

trattamenti e diventa, a sua volta, una forma di malattia. Anche in questo caso è

possibile distinguere due categorie: si può parlare infatti di dolore neuropatico oppure

funzionale.

Il dolore neuropatico deriva da lesioni che affliggono direttamente il sistema nervoso,

periferico o centrale, includendo i nervi o i centri nervosi deputati al trasporto del

dolore. Per analogia, si può pensare a un cavo elettrico privato della guaina, con molti

filamenti di rame interrotti e sfilacciati, che trasporta un segnale ‘sporco’. In campo

clinico ne sono esempi la neuropatia diabetica, post-erpetica e la sciatalgia, per quanto

riguarda il sistema nervoso periferico, e le neuropatie successive all’ictus cerebrale, da

lesione del midollo spinale o da malattie neurologiche (come la sclerosi multipla),

relativamente a esiti di lesione del sistema nervoso centrale. Ne deriva un quadro di

dolore grave, che tende a cronicizzare indipendentemente dal danno nervoso iniziale,

con aspetti clinici particolari e specifici, caratterizzati da un dolore-bruciore, dalla

(8)

8

presenza di formicolii, di dolore ‘a scossa’ o ‘a pugnalata’, da iperalgesia (percezione di

uno stimolo in sé doloroso con intensità molto accentuata) e da allodinia (percezione

dolorosa di stimoli in sé non dolorosi). L’iperalgesia implica sia la sensibilizzazione delle

terminazioni nervose nocicettive periferiche sia la facilitazione della trasmissione

centrale. Questo fa si che stimoli di lieve entità diano luogo a risposte dolorose molto

intense. Un importante fenomeno che causa l’ipersensibilità è il “wind up”, ovvero la

persistenza del dolore, anche quando lo stimolo doloroso è cessato [6].

Per dolore funzionale si intende invece l’indipendenza dell’episodio doloroso da

qualsiasi tipo di lesione organica. La genesi spontanea dell’evento, in genere a livello

cerebrale, avviene per meccanismi fisiopatologici o biochimici, spesso geneticamente

determinati o condizionati. Si pensi a molte forme di cefalea, tra cui in particolare

l’emicrania. Queste forme non hanno alcun significato informativo o adattativo.

Il dolore somatoforme ha una forte componente psicologica. I pazienti con dolore

somatoforme lamentano dolore in una o più aree senza che sia presente una causa

medica rilevabile. Questa forma di dolore è spesso accompagnata da manifestazioni

ansiose e spesso ha ricadute sulla vita sociale del paziente [6] [7].

1.1

La nocicezione

La percezione del dolore origina dalla eccitazione dei nocicettori periferici da parte di

stimoli nocivi [8]. In verità non esiste uno stimolo doloroso di per sé, vale a dire uno

“stimolo specifico” responsabile del dolore. Tutti gli stimoli possono essere dolorosi se

sufficientemente intensi e quindi potenzialmente in grado di danneggiare i tessuti.

I nocicettori sono dei neuroni con i terminali liberi situati perifericamente sottocute e

negli organi interni. Si tratta di recettori a soglia elevata, attivati da stimoli di intensità

sufficiente a causare un danno tissutale. In genere nelle lesioni tissutali vengono

liberate delle sostanze endogene in grado di stimolare i nocicettori periferici (sostanza

P, bradichinina, serotonina, istamina).

(9)

9

Distinguiamo 3 principali tipi di nocicettori: nocicettori-termici, meccanici, e

polimodali.

I nocicettori termici sono attivati da temperature estreme (> 45 ° C o <5 ° C) e

sono fibre Aδ, mieliniche, a conduzione più veloce (5-30 m /s).

I nocicettori meccanici sono attivati da stimoli molto intensi (come un oggetto

appuntito) e sono sempre fibre Aδ mieliniche.

I nocicettori polimodali sono attivati da stimoli meccanici ad alta intensità,

stimoli chimici e stimoli termici (caldi e freddi). Questi nocicettori sono di

piccolo diametro, sono fibre C non mieliniche, che conducono l’impulso

lentamente, generalmente a velocità inferiori a 1,0 m / s.

Queste tre classi di nocicettori spesso lavorano insieme. Ad esempio, quando si

colpisce il pollice con un martello, si ha un "Primo dolore” forte e immediato,

trasportato dalle fibre Aδ, seguito da un “Secondo dolore”, più tardivo e più

prolungato, trasmesso dalle fibre C. Questo è stato dimostrato tramite esperimenti su

volontari umani in cui è stato visto che quando l'intensità dello stimolo è portata a un

livello che attiva il sottoinsieme di fibre Aδ, si ha una sensazione di dolore acuto, una

sensazione di formicolio; se l'intensità dello stimolo è aumentata ulteriormente, in

modo da attivare le fibre di piccolo calibro amieliniche C, che conducono l’impulso più

lentamente, si ha un dolore più vago, più duraturo. È anche possibile anestetizzare

selettivamente le fibre C e Aδ; questi esperimenti di blocco selettivo confermano che

le fibre Aδ sono responsabili del primo dolore, e che le fibre C sono responsabili del

secondo dolore (Fig. 1) [9] [10].

(10)

10 Figura 1: Il dolore può essere separato in una percezione iniziale di dolore acuto e una sensazione successiva di dolore vago, quasi bruciore (A). Il primo e il secondo dolore sono trasportati da fibre diverse. Come è illustrato in figura, il blocco selettivo delle fibre Aδ abolisce il primo dolore (B), e il blocco selettivo delle fibre C abolisce il secondo dolore (C).

(Modificata da Fields, 1987)

I nocicettori sono responsabili della nocicezione, diversa dalla percezione del dolore: il

termine nocicezione si riferisce alla raccolta periferica dello stimolo dolorifico

mediante l'attivazione dei nocicettori. I nocicettori trasportano poi lo stimolo dolorifico

in alto, fino alla corteccia cerebrale somatosensoriale ed è qui che viene generata la

percezione del dolore (Fig. 2) [11].

(11)

11 Figura 2: Questa figura schematizza le principali strutture neuroanatomiche che differenziano nocicezione e percezione del dolore. La nocicezione si riferisce al processo attraverso il quale le informazioni relative stimoli periferici sono trasmesse da nocicettori afferenti primari al midollo spinale, al tronco cerebrale, al talamo e alle strutture sottocorticali. La percezione del dolore è possibile solo se vi è l'attività delle reti talamo-corticali (rappresentate nella casella grigio scuro in cima) che elaborano le informazioni trasmesse dalla periferia. La figura illustra anche alcuni importanti preparati chirurgici utilizzati per studiare l'elaborazione nocicettiva in condizioni in cui le diverse parti del cervello sono scollegate dall’ input nocicettivo afferente. Sia nell’animale con interruzione del midollo, sia nell’animale decerebrato e decorticato, vi è assenza di dolore.

(da Charles Sherrington, 1906)

I nocicettori periferici Aδ e C del collo, del tronco e degli arti (nervi spinali) hanno il

corpo cellulare nei gangli delle radici dorsali (DRG), mentre i nocicettori craniofacciali

(nervi cranici) hanno il corpo cellulare nei gangli del trigemino. Le fibre Aδ e C,

attraverso le radici posteriori, si portano al midollo spinale, a livello delle corna dorsali

sensitive del midollo spinale: le fibre C terminano negli strati più superficiali a livello

della lamina I, II (sostanza gelatinosa del Rolando) e V, mentre le fibre di tipo Aδ

terminano nella lamina I (strato marginale) e nella lamina V (Fig. 3) [12].

I nocicettori sono attivati da una serie di stimoli come bradichinine, serotonina,

prostanoidi, istamina, neurotrofine (Tab. 1).

Raggiunti dallo stimolo, i nocicettori generano un segnale elettrico, un potenziale

d’azione, che viene trasportato fino al midollo, laddove i nocicettori rilasciano i loro

neurotrasmettitori, principalmente glutammato (Glu) e neuro-peptidi come la sostanza

(12)

12

P. Il glutammato e i neuro-peptidi sono rilasciati insieme dai terminali afferenti primari

e hanno azioni fisiologiche distinte sui neuroni postsinaptici: il glutammato agisce

eccitando i neuroni del midollo, mentre la sostanza P prolungando l’azione del

glutammato.

Figura 3. L’immagine rappresenta le connessioni delle corna dorsali del midollo spinale, con gli input (neuroni sensitivi primari e vie discendenti) e gli output (vie ascendenti).

Sostanza P e Glutammato, attraversato l’intervallo sinaptico, si legano a specifici

recettori postsinaptici, alcuni dei quali, come i recettori AMPA

(α-Amino-3-hydroxy-5-Methyl-4-isoxazole-Propionic Acid) e kainato, a cui si lega il Glu, agiscono

immediatamente favorendo la depolarizzazione del secondo neurone e, di

conseguenza, il proseguimento dello stimolo da quel punto in avanti, in direzione dei

centri superiori. Gli altri recettori postsinaptici, recettore NK1, NeuroKinina 1, specifico

per la SP, e recettori NMDA, N-Methyl-D-Aspartate, e mGlur, ai quali si lega il Glu,

entrano in azione più tardivamente, in caso di dolore persistente, per mantenere o

(13)

13

potenziare a lungo la trasmissione dello stimolo, fino a produrre in determinati casi,

come a seguito di alcune neuropatie dolorose periferiche, uno stato eccitatorio

permanente del secondo neurone che prende il nome di sensibilizzazione centrale [8].

Tab.1 Esempi dei recettori delle afferenze primarie e delle corna dorsali e loro ligandi.

1.3

VIE ASCENDENTI DEL DOLORE

I neuroni sensitivi primari, arrivati nel midollo, sinaptano con i motoneuroni delle

corna anteriori del midollo spinale, per la genesi dei riflessi, e con i neuroni sensitivi

secondari siti nelle lamine del midollo spinale. Dai corpi cellulari dei neuroni delle

lamine midollari, che ricevono i neuroni sensitivi primari, originano le fibre ascendenti

(14)

14

destinate alla corteccia somato-sensoriale (SI) e non solo. L’informazione dolorifica

viene trasmessa dal midollo spinale al cervello attraverso diverse vie ascendenti [12]:

Il tratto spino-talamico è il percorso più importante, parte dalle lamine

midollari e ascende sfruttando i cordoni antero-laterali [13]. In esso possiamo

distinguere due tratti. Il neospinotalamico, filogeneticamente più recente,

riceve le fibre Aδ, si porta dal midollo, al talamo (nucleo

ventro-postero-laterale), sfruttando la parte laterale dei cordoni antero-laterali, alla corteccia

SI ed è responsabile del dolore epicritico, ben localizzato. Il paleospinotalamico,

filogeneticamente più antico, riceve le fibre C dal midollo, non ha nessuna

organizzazione somatotopica, ascende tramite la parte anteriore dei cordoni

antero-laterali, si interrompe già a livello reticolo-bulbo-pontino e trasporta un

dolore diffuso, sordo. Proietta ampiamente alla formazione reticolare a tutti i

livelli del tronco encefalico e ai nuclei intralaminari del talamo, che inviano

proiezioni in varie regioni corticali, tra cui la corteccia frontale, la corteccia

cingolata , e la corteccia insulare. Questo tratto ha due funzioni: è importante

per il mantenimento della veglia nel sistema nervoso centrale e per informare il

sistema limbico sulla natura dello stimolo, con la messa in atto di risposte

emotive piacevoli o avversive.

I nuclei talamici a cui si porta il tratto spino-talamico sono principalmente il

nucleo ventro-postero-laterale (che ha un’organizzazione somatotopica) e il

nucleo centro-laterale del complesso intralaminare. Accanto alla via

spinotalamica decorre il fascio spino-tettale che termina a livello del collicolo

superiore, il quale è connesso alle vie visive coinvolte nell’orientamento di

occhi, tronco e testa verso la sorgente dello stimolo sensitivo.

Il tratto spino-reticolare parte dalle lamine VII e VIII, ascende tramite i cordoni

antero-laterali, e si porta alla formazione reticolare, al talamo e alla corteccia

cingolata anteriore. La formazione reticolare è una formazione del tronco

cerebrale, che partecipa all’attenzione, ai riflessi motori, somatici e vegetativi e

(15)

15

agli aspetti emozionali del dolore. Viene divisa in 3 parti: la parte mediana è

formata da un gruppo di nuclei del rafe; la parte paramediana include i neuroni

magnocellulari e gigantocellulari, la parte laterale è formata da neuroni

parvocellulari e include il nucleo ceruleo [14]. Come vedremo in seguito, la

sostanza reticolare ha un ruolo importante nella modulazione del dolore.

Il tratto spino-mesencefalico: dalle lamine I e V del midollo si porta a diverse

strutture mesencefaliche, in particolare alla sostanza grigia periacqueduttale

(PAG), che ha un ruolo importante nella modulazione del dolore. La

stimolazione della PAG evoca risposte avversive e lesioni in questa regione

riducono le risposte nocicettive [15].

Il tratto cervico-talamico nasce dalle lamine III e IV e si porta al nucleo cervicale

laterale. E’ importante soprattutto per stimoli tattili, in parte anche per quelli

dolorifici.

Il tratto spino-ipotalamico origina dalle lamine I, V, e VIII e proietta

direttamente ai centri autonomici sovraspinali, per cui si pensa che attivi

risposte neuroendocrine e cardiovascolari complesse.

(16)

16 Figura. Tre delle principali vie ascendenti che trasmettono informazioni nocicettive dal midollo spinale ai centri superiori. Il tratto spinotalamico è il più importante percorso ascendente nocicettivo nel midollo spinale.

(Adattato da Willis 1985)

1.4

AREE CENTRALI DEPUTATE AL DOLORE

Il dolore è una submodalità della sensibilità somatosensitiva e non è da considerarsi

sinonimo di nocicezione in quanto l’elaborazione dei segnali dai nocicettori può essere

incosciente e non provocare dolore. La risposta agli stimoli nocicettivi è molto

complessa e infatti si parla di risposta globale al dolore, divisa in tre componenti:

Componente discriminativa-sensoriale, che localizza la sede dello stimolo e la

sua natura;

Componente affettiva-emozionale, che conferisce allo stimolo una natura

spiacevole;

Componente motoria, che crea le risposte meccaniche dell’organismo al

dolore, ad esempio retrazione o immobilizzazione.

(17)

17

Nel sistema nervoso centrale vi sarebbero aree distinte deputate rispettivamente al

riconoscimento delle componenti sensoriale-discriminativa, affettivo-motivazionale e

cognitivo-valutativa del dolore [16].

La corteccia somatoestesica primaria crea la base della sensazione dolorosa. Il sistema

limbico, dove la sensazione viene confrontata con i ricordi (inconsci), influisce sul

comportamento e sull'umore. La corteccia prefrontale fa si che la sensazione dolore

assuma sfumature comportamentali legate alla personalità.

Per quel che concerne il riconoscimento della componente sensoriale-discriminativa, a

livello corticale sono state identificate due aree chiamate somatosensoriali: l’area

somatosensoriale primaria (SI) e l’area somatosensoriale secondaria (SII).

La SI (aree 3, 1, 2 di Brodman) è la più estesa e la più importante area per il

riconoscimento della componente sensoriale-discriminativa del dolore [17]. Nella

scimmia essa risponde a stimoli tattili e nocicettivi [18] [19]. Si trova lungo il solco

centrale (circonvoluzione post-Rolandica) ed è suddivisa in 4 aree (3a, 3b, 1 e 2), delle

quali la 3b, posta nella circonvoluzione centrale del lobo parietale o solco

post-centrale, riceve le afferenze nocicettive. Quest’area si prolunga dalla superficie laterale

del lobo parietale a quella mediale ed è organizzata somatotopicamente: in essa il

ristretto campo recettoriale dei neuroni (ancora più piccolo di quello dei neuroni

nocicettivi spinali e talamici) consente di individuare con precisione la parte del corpo

dov’è applicato lo stimolo nocicettivo. In altre parole, vi sarebbe nella corteccia del

giro post-centrale una mappa delle varie regioni corporee, come già Marshall nel 1951

aveva osservato, vedendo che un circoscritto danno della corteccia parietale provoca

la perdita della capacità di riconoscere lo stimolo doloroso applicato nella regione

somatica corrispondente. Che una siffatta somatotopia esista nell’area SI è confermato

indirettamente da studi con la tomografia a emissione di positroni (PET) che hanno

evidenziato un’aumentata perfusione dell’area SI dopo la stimolazione termica

nocicettiva condotta su variabili aree somatiche puntiformi [23]: tale risposta manca

quando è stimolata allo stesso modo sempre la stessa area [Jones et al.1991], e anche

(18)

18

con studi di risonanza magnetica funzionale (fMRI), con cui sono state ottenute le

mappe somatotopiche delle dita umane [20].

Al contrario, nei primati, la corteccia somatosensoriale secondaria (SII) [21], localizzata

nella parte superiore del solco laterale (Scissura laterale di Silvio) sembra meno

importante nel riconoscimento della componente sensoriale-discriminativa del dolore

[22], e mostra risposte più complesse [23]. Si pensa che essa sia coinvolta nel

riconoscimento, apprendimento e memoria degli eventi dolorosi [22] [24] [17].

Per quel che concerne la componente affettivo-emozionale del dolore (responsabile

della “sofferenza” e inducente i meccanismi di evitamento dello stimolo causale),

sarebbero responsabili di questo aspetto gli stimoli che percorrono la via

paleo-spinotalamica e, a livello centrale, la corteccia anteriore del cingolo [25], l’insula e

l’amigdala, componenti del sistema limbico.

Il sistema limbico è una rete di neuroni

che formano anse intorno alla parte interna dell'encefalo, mettendo in connessione

l'ipotalamo con la corteccia cerebrale e con altre strutture. A partire dal talamo, per

mezzo delle vie centrali talamo-limbiche, i segnali algogeni raggiungono il sistema

limbico, dove vengono elaborati come elementi emotivi e inconsci. Le più importanti

stazioni per l'elaborazione dei segnali algogeni sono: l'ippocampo, che ha un ruolo

centrale nella formazione e nell'elaborazione della memoria a breve termine,

l'ipotalamo, che controlla fra l'altro l'ipofisi e quindi lo stato ormonale dell'organismo,

la corteccia anteriore del cingolo, l’insula e l'amigdala. La proiezione dei segnali

algogeni al sistema limbico è la base per l'effetto che ha il dolore sullo stato d'animo (il

dolore rende irrequieti e tristi). Tuttavia, il sistema limbico influenza anche la

percezione cosciente del dolore (chi è euforico o sotto choc non sente dolore) e

viceversa (chi è ipocondriaco o ansioso sente in modo accentuato anche minimi

dolori).

La corteccia insulare riceve proiezioni dirette dal nucleo del talamo mediale e dal

nucleo del talamo mediale ventrale e posteriore. La corteccia insulare da informazioni

sullo stato interno del corpo, contribuendo alla componente autonoma della risposta

(19)

19

globale al dolore (impulsività, vasocostrizione, sudorazione). I pazienti con lesioni della

corteccia insulare mostrano una condizione nota come “asimbolia”: essi percepiscono

stimoli nocivi come dolorosi e possono distinguere il dolore acuto da quello sordo, ma

non hanno adeguate risposte emotive al dolore.

La corteccia anteriore del cingolo (ACC), parte del sistema limbico [25], è nota per

ricevere numerose afferenze dalle aree somatosensoriali, e da numerose altre aree

come la corteccia insulare [26] [27] [28]. La corteccia anteriore cingolo sembra avere

numerose funzioni cognitive, emozionali, nocicettive [29]. Lesioni della ACC producono

una serie di sintomi, come apatia, disattenzione, disregolazione delle funzioni

autonomiche, mutismo acinetico e instabilità emotiva [30]. Che la corteccia anteriore

del cingolo sia coinvolta nella componente affettiva del dolore è chiaramente

dimostrato dall’effetto che si ottiene dalla cingolotomia e dalla cingolectomia, come

metodo di trattamento del dolore cronico. I pazienti raccontano che in seguito al

trattamento chirurgico, l’intensità del dolore rimane la stessa, ma il dolore perde la sua

aggressività.

L’ACC e la amigdala hanno probabilmente un ruolo importante anche nella sofferenza

e nella paura che si prova nell’osservare l’altrui dolore. Studi di imaging sul cervello

umano mostrano cambiamenti nell’attività neuronale della ACC e della amigdala

durante l’osservazione di espressioni di paura altrui [31]. I topi (topi osservatori)

reagiscono con paura e congelamento osservando altri topi che soffrono. Le risposte di

paura sono maggiori quando i topi sofferenti sono fratelli o partner di accoppiamento

dei topi osservatori. L’inattivazione della corteccia cingolata anteriore (ACC) riduce

sostanzialmente questa paura osservazionale [32].

L’amigdala è un complesso nucleare a forma di mandorla, situata nel lobo temporale

dei mammiferi ed identificata da Burdach all'inizio del 19 ° secolo [33]. Si tratta di una

struttura eterogenea, raggruppata in 4 gruppi: superficiali, basolaterale, centrale e

mediale [34]. I primi due gruppi costituiscono l'amigdala corticobasale che mostra

caratteristiche simili alla corteccia [35]. I suoi principali nuclei, il laterale e i nuclei

(20)

20

basolaterale, sono noti come amigdala basolaterale (BLA) e per lo più contengono

neuroni di proiezione di tipo piramidale, che sintetizzano glutammato. Il BLA è

reciprocamente connesso alla corteccia e invia proiezioni allo striato, soprattutto allo

striato ventrale [36]. Il BLA innerva densamente anche i nuclei centrali e mediali

dell'amigdala. Questi ultimi due gruppi (centrale e mediale) mostrano

un'organizzazione che è simile a quella dei gangli della base, con neuroni

morfologicamente simili a quelli dello striato-pallido [37]. Inoltre, i gruppi centrali e

mediali ricevono informazioni dalla corteccia cerebrale, ma non inviano alcuna

proiezione diretta ad essa. Oltre a questi quattro gruppi, alcuni nuclei dell'amigdala

non sono stati classificati, tra i quali le isole paracapsulari intercalate, costituite da

piccoli gruppi di neuroni GABAergici, con recettori dopamminergici e oppioidi. Questi

neuroni sembrano avere un ruolo importante nel controllare il traffico di impulsi nel

complesso amigdaloideo, in particolare nell’inibire i neuroni del BLA. In questo modo

sembrano avere un ruolo importante nella modulazione dell’ansia e della paura [38].

Nei nuclei laterali della amigdala arrivano le afferenze, in particolare quelle di tipo

nocicettivo dalla formazione reticolare mesencefalica e dalle area somatosensoriali

associative. Le efferenze originano dalla parte centrale e proiettano a: grigio

periacqueduttale (modulazione dolore, freezing), neuroni bulbari noradrenergici

(tachicardia), ipotalamo e nucleo del vago (bradicardia svenimento), nucleo

parabrachiale bulbare (iperventilazione). E’ noto che l’amigdala ha un ruolo critico nel

controllo delle emozioni [39]. Si pensa che essa arricchisca le informazioni sensoriali

con emozioni positive o negative, determinando in tal modo risposte comportamentali

e affettive e contribuendo alla memoria emotiva. Questo ruolo è stato particolarmente

studiato nel paradigma della paura condizionata [40]. In questo modo l’amigdala può

avviare risposte comportamentali diverse a seconda della circostanza, come risposte di

fuga. Inoltre, questa struttura cerebrale partecipa alla previsione del pericolo

potenziale, sulla base di segnali sensoriali salienti (suoni, immagini, odori), e in queste

(21)

21

circostanze avvia le stesse risposte che avvierebbe in presenza del pericolo concreto

[41].

Una quantità impressionante di studi indicano che l'amigdala svolge un importante

ruolo nella paura condizionata e, probabilmente, nell'ansia. Molti nuclei amigdaloidei

proiettano a aree criticamente coinvolte nell’elaborazione di segni specifici che

vengono utilizzati per misurare la paura e l'ansia. La stimolazione elettrica

dell'amigdala suscita dei comportamenti che imitano comportamenti di paura. Le

lesioni dell’amigdala o l’infusione di farmaci nell’amigdala provocano effetti ansiolitici

in numerosi test comportamentali [42].

(22)

22

1.5

Modulazione del dolore

Il cervello non è un ricevitore passivo di messaggi sensoriali, ma un centro che li

interpreta e formula continui aggiustamenti di conseguenza. Ad esempio, il modo in

cui si percepisce il dolore sarà influenzato dal fatto che ci si concentra su di esso o si

pensa a qualcos'altro. Ciò che ci interessa capire è proprio come le persone riescono a

controllare ed attenuare la loro percezione del dolore. I meccanismi di controllo del

dolore hanno segnato la fine della concezione del dolore come sistema di allarme

semplice, primitivo. La trasmissione del dolore può essere modulata a più livelli.

La teoria del cancello: formulata per la prima volta nel 1965 da Ronald Melzack

e Patrick Wall [43], si basa sull'interazione e sulla modulazione reciproca tra le fibre

nervose nocicettive di tipo Aδ e C e le fibre non nocicettive di tipo Aβ, di maggior

calibro delle precedenti e responsabili della percezione degli stimoli tattili e pressori. In

sintesi, la teoria stabilisce che se prevale l'attività lungo le fibre di grosso calibro (cioè

le Aβ), la percezione del dolore sarà smorzata, mentre se a prevalere sono le scariche

delle fibre di piccolo calibro (cioè le Aδ e le C), il dolore verrà percepito in maniera più

acuta. Per attuare questo meccanismo, l'organismo si avvale di interneuroni,

intercalati tra le fibre periferiche e i neuroni midollari. Gli interneuroni sono localizzati

nella sostanza gelatinosa del Rolando e utilizzano come neurotrasmettitore un

oppioide endogeno, detto encefalina, che viene veicolato dall'interneurone fino al

neurone midollare. Tutte le fibre che prendono contatto con il neurone midollare (cioè

sia le Aβ che le Aδ e le C) rilasciano, prima della sinapsi con il neurone stesso, un

collaterale assonico che prende sinapsi con l'interneurone encefalinergico, con effetti

diversi: le fibre Aβ infatti ne stimolano l'attività, mentre le fibre di piccolo calibro lo

inibiscono. In questo modo, si possono configurare due situazioni diverse:

se la fibra Aβ è attivata per uno stimolo non dolorifico, essa andrà ad attivare

l'interneurone inibitorio, che quindi bloccherà la trasmissione di eventuali

segnali dolorifici fino al cervello. In questa configurazione, il cancello è chiuso e

non si percepisce dolore (Fig. 4B);

(23)

23

viceversa, se la fibra Aδ o C trasmette uno stimolo dolorifico, essa va

contemporaneamente ad inibire l'azione dell'interneurone encefalinergico, per

cui quest'ultimo non potrà inibire a sua volta la trasmissione dell'impulso

doloroso al cervello. In questa configurazione, il cancello è aperto e il dolore

viene percepito (Fig. 4A).

Ciò comporta che, se uno stimolo dolorifico e uno stimolo meccanico vengono

trasmessi simultaneamente (ad esempio, se si picchia la testa e si strofina la parte

lesa), la trasmissione dello stimolo dolorifico sarà attenuata per via dell'azione

eccitatoria svolta dalla fibra Aβ sull'interneurone encefalinergico [43].

Figura 4. La modulazione del dolore localizzato può essere spiegata dall'ipotesi del controllo del cancello. Questa ipotesi si concentra sulla interazione di 4 classi di neuroni: neuroni afferenti non mielinici nocicettivi (fibre C), neuroni afferenti mielinizzati non-nocicettivi (fibre Ab), neuroni sensitivi secondari delle lamine midollari e interneuroni inibitori. Se viene stimolato un neurone nocicettivo, l’interneurone inibitorio viene inibito e il dolore viene trasmesso (A). Se viene stimolato un neurone non nocicettivo, l’interneurone inibitorio viene eccitati e il dolore viene attenuato (B).

(da Kandel “Principles of Neural Science”, 2000)

Vie discendenti: già a metà degli anni Settanta del 20° sec., David J. Mayer e

Donald D. Price [44] scoprirono l’esistenza di un ‘sistema discendente’ che, a partire da

diverse strutture, come la corteccia, la sostanza grigia periacqueduttale, il tronco

dell’encefalo, proietta sul midollo spinale per connettersi ai secondi neuroni afferenti

che trasportano il dolore.

(24)

24

Numerosi studi hanno ormai attribuito alla sostanza grigia periacqueduttale (PAG),

quella porzione di materia grigia che circonda l'acquedotto cerebrale di Silvio, situato

nel mesencefalo, un ruolo cruciale nella modulazione discendente del dolore: la

stimolazione elettrica della PAG è capace di indurre una analgesia pari a quella

provocata da una dose di 10mg/Kg di morfina [45]; la PAG riceve numerose afferenze

da corteccia, ipotalamo e sistema limbico ed è connessa con strutture da cui partono le

proiezioni spinali [46]; la sostanza grigia periacqueduttale è attivata anche attraverso

la visualizzazione di immagini a forte impatto associate al dolore. [47].

La PAG non è l’unica struttura importante, ma ce ne sono altre con cui essa interagisce,

in particolare i nuclei del locus coeruleus [48] e i nuclei serotoninergici (raphe magno,

gigantocellulare), importanti punti di contatto tra vie ascendenti e discendenti [46]. È

ormai noto che la PAG invia proiezioni che scendono verso il midollo spinale, ma anche

proiezioni ascendenti al talamo e ai lobi frontali. Si ritiene, pertanto, che la sostanza

grigia periacqueduttale possa modulare il dolore sia a livello centrale che nel midollo

spinale.

Le vie discendenti più importanti sono due:

la prima origina dal locus coeruleus: i neuroni del locus scaricano

noradrenalina a livello delle corna dorsali del midollo, noradrenalina che

inibisce la liberazione della sostanza P, riducendo la trasmissione del

dolore.

la seconda origina dalla PAG: la stimolazione della sostanza grigia

periacqueduttale del mesencefalo attiva i neuroni di rilascio

dell'encefalina che proiettano ai nuclei del rafe nel tronco encefalico,

determinando l'eccitazione del nucleo magno del rafe. Questi ultimi

rilasciano serotonina nel corno dorsale del midollo spinale, dove essa

attiva gli interneuroni encefalinergici inibitori che si trovano nella

lamina II del grigio midollare (o sostanza gelatinosa del Rolando).

Quando vengono attivati, questi interneuroni liberano sia encefalina che

(25)

25

dinorfina (neurotrasmettitori oppioidi endogeni), che si legano ai

recettori degli oppioidi μ sugli assoni delle fibre C/Aδ che trasportano

segnali di dolore dalla periferia. L’attivazione dei recettori μ-oppioidi

inibisce il rilascio di sostanza P dai neuroni di primo ordine in arrivo che,

a loro volta, inibiscono l'attivazione del neurone di secondo ordine che è

responsabile della trasmissione del dolore.

Sono stati identificati tre tipi di recettori per gli oppioidi: mu (μ), kappa (κ) e δ (δ). I

farmaci oppiacei sintetici e i derivati degli oppiacei attivano questi recettori (talvolta

agendo direttamente sul PAG, dove questi recettori sono fortemente presenti) per

produrre analgesia.

Figura 5. Rappresentazione delle vie discendenti che modulano

il dolore. Uno dei percorsi parte dalla sostanza grigia periacqueduttale del mesencefalo e proietta ai nuclei del Rafe serotoninergici, i quali scaricano serotonina sulle corna dorsali del midollo spinale attraverso il funicolo dorsolaterale. L’altro percorso parte dai gruppi di cellule noradrenergiche del Locus Coeruleus, che riceve anche input dalla sostanza grigia periacqueduttale e scarica noradrenalina sulle corna dorsali del midollo spinale. Nel midollo spinale queste vie discendenti inibiscono i neuroni nocicettivi primari e di proiezione, attraverso connessioni dirette nonché attraverso inter-neuroni.

(26)

26

2

IL FATTORE DI CRESCITA NEURONALE (NGF)

2.1

La scoperta del fattore di crescita neuronale

Il fattore di crescita neuronale (NGF) [49], scoperto da Rita Montalcini, Viktor

Hamburger, e Stanley Cohen, appartiene alla famiglia delle neurotrofine, insieme al

fattore di crescita di derivazione cerebrale (BDNF), alla neurotrofina 3 (NT3) e alla

neurotrofina 4 (NT4), ed è stata la prima neurotrofina ad essere caratterizzata dal

punto di vista biochimico e funzionale.

La chiave per la scoperta dell’NGF fu un lavoro di Viktor Hamburger in cui egli osservò

che la rimozione chirurgica degli abbozzi delle ali di un embrione di pollo riduceva il

numero finale di motoneuroni nel midollo spinale e dei neuroni sensoriali nei gangli

delle radici dorsali (DRG), a livello delle zone deputate all’innervazione del tessuto

bersaglio mancante. [50]. Hamburger imputò il fatto all’incapacità di sviluppare le ali a

causa della perdita dell’abbozzo. La Levi Montalcini, invece, ipotizzò che questo fosse

dovuto al fatto che nei tessuti bersaglio c’era qualcosa che induceva la differenziazione

e la sopravvivenza dei neuroni deputati a innervare il target. Successivamente Rita

Levi-Montalcini e Hamburger provarono a fare la stessa innestando cellule di sarcoma

murino nell’embrione di pollo e osservando che il tessuto estraneo era raggiunto da

una florida innervazione a partenza dai gangli vicini. Dimostrarono così che lo sviluppo

dei neuroni era mediato da una sostanza diffusibile. Questa sostanza prodotta dalle

cellule di sarcoma murino (S-180 e S-37) suscitava una vasta crescita dei neuroni

nell’embrione di pollo [51].

Questa sostanza diffusibile era l’NGF.

Per l’identificazione della molecola Levi Montalcini fu affiancata da Cohen, che

identificò una frazione nucleo-proteica tumorale in grado di stimolare la crescita

nervosa, che venne chiamata NGF. Un uso fortuito del veleno di serpente nella

purificazione di questo fattore, portò Cohen a scoprire che NGF era presente anche nel

veleno di cobra e, usando l’NGF purificato dal veleno di serpente, vide che esso

promuoveva la crescita dei neuroni sensitivi e simpatici, in vitro e in vivo [52].

(27)

27

Poco dopo Cohen isolò l’NGF dalle ghiandole salivari del topo e produsse un antisiero

che, iniettato in colture cellulari comportava una inibizione della crescita neuronale, e

iniettato, con iniezione sottocutanea, nel topo, comportava atrofia e distruzione dei

neuroni simpatici [53].

2.2

I recettori del fattore di crescita neuronale

NGF, come le altre neurotrofine, viene sintetizzato come prepro-proteina [54]. La

prepro-proteina viene scissa nel reticolo endoplasmatico in pro-proteina e poi,

nell’apparato di Golgi è ulteriormente clivata dall’enzima furina, con conseguente

produzione di NGF maturo, di 26-kDa, che viene secreto nello spazio extracellulare

[55][56][57]. Anche il pro-peptide può essere secreto e clivato successivamente a NGF

maturo dalla furina e altre proteasi che si trovano nell’ambiente extra-cellulare come

la plasmina e le metalloproteasi della matrice [58][59].

Gli effetti di NGF sono mediati dal suo legame a due classi di recettori: il recettore

Tropomiosina-chinasi (TrkA) e il recettore p75 (p75NTR), membro della famiglia dei

Tumor Necrosis Factors (TNF) [52] [53] [54].

TrkA media la trasduzione di segnali di sopravvivenza e differenziativi, mentre p75NTR

modula l'affinità e la selettività dell'attivazione di TrkA [60].

Il proNGF lega il p75NTR e il co-recettore sortilina [61] e avvia segnali che si traducono

nella neurodegenerazione e nella morte cellulare [62], in particolare attraverso

l’attivazione della cascata di c-jun.

Tuttavia le cose sono più complesse, in quanto è stato dimostrato che il corecettore

sortilina può anche associarsi a TrkA. Questa interazione faciliterebbe il trasporto

assonale anterogrado di TrkA e la sua esposizione sulla membrana plasmatica, con il

risultato di aumentare il segnale di maturazione indotto da NGF [63].

L’azione biologica dell’NGF si esplica attraverso il flusso retrogrado assonale, mediante

il quale l’NGF, captato dalle terminazioni nervose, raggiunge il corpo cellulare

muovendosi con una velocità di 2,5 mm/ora lungo l’assone [64]. Attraverso questo

(28)

28

trasporto retrogrado assonale, l’NGF raggiunge il soma delle cellule bersaglio,

dove innesca una serie di processi metabolici e sintetici [65][66].

2.3

Funzioni di NGF nell’embriogenesi

Durante l’embriogenesi, come identificato fin dall’inizio, NGF ha un ruolo importante

[67][49] come fattore neurotrofico: esso promuove la sopravvivenza, lo sviluppo e la

differenziazione delle diverse popolazioni di neuroni che esprimono TrkA e p75NTR:

nel sistema nervoso periferico (SNP), neuroni sensitivi e simpatici [68][69] [70]e nel

sistema nervoso centrale (SNC), neuroni colinergici del proencefalo basale e neuroni

striatali [71]. L'importanza di tali rapporti è evidente dai risultati degli esperimenti in

cui sono stati interrotti i geni per NGF o per i suoi recettori.

Per quanto riguarda i neuroni sensitivi e simpatici, topi con delezione di NGF hanno

mostrato la perdita dei piccoli neuroni nocicettivi dei gangli della radice dorsale (DRG)

e dei neuroni simpatici del sistema nervoso periferico [72].

Per quanto riguarda i neuroni colinergici del proencefalo basale, in topi in cui è

inattivato uno dei due alleli di NGF (ngf+/-), è stato osservato un calo dei livelli

dell’mRNA di NGF e della proteina nell’ippocampo, un deficit nell’acquisizione della

memoria al test del labirinto acquatico di Morris

1

e una chiara riduzione del numero di

neuroni colinergici del proencefalo basale con riduzione dell’innervazione colinergica

dell'ippocampo. La somministrazione di NGF ha migliorato l’atrofia dei neuroni

colinergici del proencefalo basale e i deficit comportamentali [73]. Topi knock-out per

TrkA hanno permesso di capire l’importanza del signalling NGF/TrkA per i neuroni

colinergici del proencefalo basale: essi mostrano degenerazione dei neuroni colinergici

del proencefalo basale e deficit cognitivi simili a quelli presenti nella malattia

d’Alzheimer precoce [74].

1

Il labirinto acquatico di Morris è uno strumento usato negli esperimenti psicologici e in particolare in psicobiologia al fine di studiare la memoria spaziale. Tipicamente vengono impiegati topi o ratti. È stato sviluppato dal neuroscienziato Richard G. Morris nel 1981, che lo ha utilizzato per dimostrare che le lesioni all'ippocampo compromettono la memoria spaziale.

(29)

29

Per quanto riguarda i neuroni colinergici striatali, anche essi sono ridotti in numero e

dimensioni in animali Knock-out per il gene di TrkA [75].

Anche il segnale NGF/p75NTR sembra essere importante per il SNC e il SNP.

Anzitutto p75 è importante per la selettività del legame TrkA/p75: in topi in cui è stato

interrotto il gene per p75NTR, è stata osservata una crescita dei neuroni simpatici,

probabilmente legata all’assenza di p75 (che potrebbe agire come un freno sullo

sviluppo dei neuroni simpatici), ma anche all’attivazione del signaling NT-3 /TrkA che

pruomuove lo sviluppo dei neuroni simpatici. La sostituzione di NGF con NT3

suggerisce che p75 ha un ruolo nella selettività di TrkA [67].

Il segnale di p75 sembra aumentare la sensibilità dei neuroni a NGF: topi con mutazioni

annullanti di p75NGFR mostrano una riduzione della sensibilità [76]. Usando neuroni

trigeminali estratti da embrioni normali e embrioni con la mutazione annullante di p75,

è stato visto che i secondi avevano bisogno di una dose di NGF maggiore per

sopravvivere rispetto ai wild-type, cosa che ha portato a concludere che il recettore

p75 aumenta la sensibilità dei neuroni sensitivi cutanei a [77].

Il segnale di p75, inoltre, in particolare in seguito al legame al proNGF e al co-recettore

sortilina [78], può indurre apoptosi in vari tipi di cellule, neuronali e gliali [79].

E’ stato dimostrato che p75 può indurre l’apoptosi di numerose cellule: neuroni

sensitivi [78][79], neuroni simpatici [80], neuroni colinergici del proencefalo basale

[84][85], cellule della retina, oligodendrociti [82] [83], e su altre linee cellulari [80].

Questi risultati indicano che un complesso ambiente neurotrofico guida lo sviluppo del

sistema nervoso. Il ruolo per TrkA è ben consolidato e sembra essere il principale

attore responsabile della sopravvivenza e della differenziazione. Per quanto riguarda

p75 è evidente che esso ha un ruolo importante nella modulazione di TrkA, ma può

anche regolare autonomamente la sopravvivenza cellulare.

(30)

30

2.4

Funzioni di NGF nell’ adulto

Una volta maturi, la maggior parte dei neuroni perdono la dipendenza dai fattori di

crescita per la sopravvivenza in acuto. Negli adulti, i neuroni colinergici e i neuroni

sensitivi non muoiono per molti mesi dopo la deprivazione di NGF [81][82].

Anche i neuroni simpatici dell’adulto non muoiono acutamente dopo il blocco

immunologico di NGF, ma subiscono una morte graduale di circa il 25% dopo un mese

e il 40% dopo 3 mesi [83]. Anche se questi neuroni maturi diventano indipendenti da

NGF per la sopravvivenza acuta, tutti subiscono modifiche atrofiche se sottoposti per

lunghi periodi a deprivazione di NGF.

Nell’adulto, invece, NGF ha azioni pleiotropiche su varie cellule neuronali e non:

Ruolo nel mantenimento del fenotipo dei neuroni colinergici del prosencefalo

basale: la somministrazione di NGF è in grado di ridurre la degenerazione dei neuroni

colinergici del prosencefalo basale, indotta da sezione delle fibre setto-ippocampali in

ratti adulti [84]. Per testare gli effetti dell’NGF sui neuroni del prosencefalo basale, è

stato esaminato l'effetto di NGF sulla attività dell’enzima acetilcolina-trasferasi (CHAT),

marcatore selettivo dei neuroni colinergici. Iniezioni di NGF intraventricolari hanno

provocato un aumento significativo dell’attività della chat nel prosencefalo basale di

ratti neonati, in particolare nel setto e nei neuroni del nucleo basale, nonché

nell'ippocampo e nella neocorteccia, regioni che ricevono terminali dei neuroni del

proencefalo basale. In analogia con la risposta dei neuroni periferici, l'effetto di NGF ha

dimostrato di essere selettivo per le cellule del proencefalo basale e dose-dipendente.

Queste osservazioni suggeriscono che NGF endogeno svolge un ruolo nello sviluppo

dei neuroni del proencefalo basale [85]. Topi omozigoti per la perdita di funzione di

NGF, muoiono dopo pochi giorni dalla nascita, mentre topi eterozigoti mostrano

atrofia dei neuroni colinergici del proencefalo basale con severe alterazioni della

memoria [73].

Ruolo nella modulazione funzionale dei neuroni sensitivi [86][87][88] (vedi

paragrafo NGF e dolore).

(31)

31

Ruolo nella modulazione della plasticità dei neuroni NGF-responsivi, che è

particolarmente documentato per i neuroni nocicettivi maturi [89].

Ruolo nella neuroprotezione: evidenze suggeriscono che NGF agisce per

proteggere i neuroni da eventi tossici endogeni generati durante la risposta al danno

tissutale e che il segnale di NGF facilita la ricrescita e la riparazione del danno [90] [91].

E’ stata riportata anche la protezione indotta da NGF nel danno da eccitotossicità da

glutammato [92] e nel danno da anossia e deprivazione di glucosio [93].

Ruolo immunitario e infiammatorio: NGF ha numerosi effetti sul sistema

immunitario e sulle cellule infiammatorie, in particolare esso induce l’attivazione di

queste cellule [94][95]. NGF aumenta il numero dei mastociti, ne induce la

degranulazione e aumenta l'espressione della ciclo-ossigenasi e della interleuchina-6

(vedi nel paragrafo NGF e dolore).

2.5

Il fattore di crescita neuronale e il dolore

Le connessioni tra il fattore di crescita neuronale e il dolore ci vengono da numerose

evidenze e prove sperimentali.

La prima osservazione che ci porta a pensare a un ruolo di NGF nel dolore è la

sua presenza nel veleno di diversi serpenti, serpenti a sonagli, vipere, cobra, serpenti

che si sono evoluti in modo indipendente, in almeno 4 momenti diversi, ma che hanno

conservato tutti un’elevata concentrazione di NGF nelle proprie ghiandole salivari [96].

E’ ragionevole ipotizzare che la selezione positiva di NGF derivi dalla capacità di NGF

suscitare dolore: i serpenti velenosi usano il loro veleno per immobilizzare la preda, ma

questo effetto è troppo lento per indurre i predatori a scoraggiarsi, mentre il dolore,

indotto dalla presenza di NGF nel veleno stesso, può essere una specializzazione per

scoraggiare i predatori all’aggressione.

Il fattore di crescita neuronale è importante per lo sviluppo del sistema

nocicettivo durante l’embriogenesi e nel periodo neonatale. L’importanza di NGF in

questo senso è stata dimostrata somministrando anticorpi anti NGF nel ratto neonato

(32)

32

e nel ratto adulto: mentre nel ratto neonato è stata osservata una riduzione dei

nocicettori Aδ, nel ratto adulto no [88]. Topi knockout per NGF, invece, mostrano una

perdita di neuroni sensitivi e simpatici e una riduzione delle risposte nocicettive, in

particolare una lunga latenza di risposta al Flick-test [72]. Questi risultati mostrano

chiaramente che NGF è essenziale nello sviluppo dei nocicettori.

La validità di queste osservazioni è stata poi confermata con la scoperta che pazienti

con insensibilità congenita al dolore con anidrosi (CIPA), avevano un’alterazione del

gene di TrkA [97] e che mutazioni nel gene dell’NGF causano la neuropatia ereditaria

sensoriale e autonomica di tipo V, caratterizzata da una ridotta sensibilità al dolore

[98].

Negli animali adulti, invece, NGF non è più necessario per la sopravvivenza dei neuroni

sensoriali, ma funziona come un sensibilizzatore dei nocicettori.

La somministrazione di NGF esogeno induce dolore e iperalgesia: la

somministrazione di NGF esogeno induce dolore negli animali [99][100], e negli uomini

induce allodinia, iperalgesia prolungata, dolore profondo e diffuso [101][102][103]. Al

contrario la somministrazione di anticorpi anti-TrkA è in grado di alleviare l’iperalgesia

[104][105]. La stessa somministrazione di NGF in soggetti con polineuropatia diabetica

e Alzheimer ha dimostrato avere una bassa efficienza clinica proprio per il fatto che

bisognava usare una bassa dose di NGF dal momento in cui questo era causa di dolore

dolore [106][107][108].

Si pensa che un ruolo preponderante nel dolore e nell’iperalgesia causati dalla

somministrazione di NGF esogeno sia svolto da entrambe i recettori di NGF e, in

particolare le cascate importanti sembrano essere per TrKA l’attivazione di Erk e

PLC−γ1 e per p75NTR l’attivazione di c-jun, le quali determinano l’apertura dei canali

TRPV1 [86][109][110][111]. TRPV1 è un canale cationico non selettivo,

ligando-dipendente, che risponde a stimoli meccanici, termici e chimici, come gli agonisti

vanilloidi, tra cui la capsaicina, derivati da fonti sia intracellulari che extracellulari. In

(33)

33

seguito a questi stimoli, il canale si apre e attiva canali del Ca2+ e del Na+ che

innescano la generazione di un potenziale d’azione nel neurone nocicettivo [112].

L’aumento di NGF dopo trauma o infiammazione colpisce la funzione di TRPV1 in due

modi:

il legame NGF/TrkA attiva la fosfolipasi C che porta alla sensibilizzazione del

TRPV1, riducendo la soglia alla quale esso si apre, dunque la soglia del dolore

[113];

NGF aumenta l'espressione di TRPV1 [114] e il suo traffico sulla membrana

plasmatica [115][116].

Entrambi gli effetti tendono a ridurre la soglia dei nocicettori e quindi del dolore.

Il ruolo del recettore p75NTR nella nocicezione è controverso. [117] [118].

Inoltre non sappiamo nella via nocicettiva quale sia il contributo di NGF e di proNGF.

NGF svolge un ruolo importante nel dolore infiammatorio: il segnale NGF/TrkA

è noto per essere un potente mediatore del dolore [86]. NGF è prodotto durante i

danni tissutali in cui svolge un’azione di mediatore dell’infiammazione [86]. NGF agisce

direttamente sulle fibre nocicettive peptidergiche di tipo C, che esprimono tutti e due i

recettori di NGF, sia TrkA che p75 (p75NTR) [87][119]. Oltre alla sua azione sulla

sensibilizzazione e sull’ipereccitabilità dei neuroni sensitivi, NGF esercita una attività

chemotattica, TrkA dipendente, sui mastociti e sui basofili [68], attirandoli nel sito di

infiammazione e inducendo la loro degranulazione con rilascio di fattori

pro-infiammatori[69][70]. Per questa ragione il segnale NGF/TrkA può essere considerato

importante per l’instaurarsi di risposte dolorifiche infiammatorie croniche.

L’aumento di NGF tissutale è stato dimostrato in un certo numero condizioni

infiammatorie sperimentali tra cui l'infiammazione indotta da carragenina [72][120], e

trementina [121] (Oddiah et al. 1998) e non sperimentali: un aumento di NGF è stato

ritrovato nel liquido sinoviale di soggetti con osteoartrosi e artrite reumatoide [122]

[123]. Un aumento dell’mRNA di NGF e di TrkA è stato osservato nelle cellule

(34)

34

infiammatorie, in particolare polimorfonucleati, del Morbo di Crohn e della colite

ulcerosa [124].

Il ruolo di NGF nel dolore neuropatico è controverso dal momento in cui

sappiamo che la sua somministrazione può avere una azione neurotrofica nella

riparazione del danno nervoso [107], ma una suo antagonismo, esercitato ad esempio

usando Ac anti-NGF, in modelli murini con dolore neuropatico da lesione del nervo

sciatico dopo costrizione cronica (CCI), producono un recupero della soglia del dolore

[125].

Il ruolo di NGF nel dolore è stato poi messo in evidenza dall’esistenza di

malattie genetiche che causano insensibilità al dolore: la neuropatia sensoriale e

autonomica di tipo V e di tipo IV, causate, rispettivamente, da mutazioni nei geni che

codificano per NGF [98][126] e per TrkA [97].

Le sostanziali evidenze che abbiamo sull’importante ruolo di NGF nella

mediazione e nel potenziamento del dolore, hanno portato a sviluppare antagonisti di

NGF da usare come analgesico e anti-iperalgesia [127]. Un modo per antagonizzare

NGF è quello di usare anticorpi

anti-NGF, in modo da sequestrare NGF e bloccare il segnale di dolore. La

somministrazione di Ac anti-NGF ha mostrato un effetto analgesico in molti modelli

murini di patologie umane, come dolore artritico [128], dolore da frattura di femore

[129], dolore neoplastico [130] e dolore pancreatico [131]. A oggi, ci sono diversi trial

clinici focalizzati sull’uso di Ac anti-NGF, come l’Ac Tanezumab, sviluppato dalla Pfizer

[127][132].

(35)

35

3 LA NEUROPATIA EREDITARIA SENSORIALE E AUTONOMICA DI TIPO V

3.1

Le HSAN

Le neuropatie ereditarie sensoriali e autonomiche (HSAN) sono condizioni

neurodegenerative del sistema nervoso periferico, caratterizzate da disfunzioni

sensoriali e autonomiche di vario tipo [133], come marcata perdita della sensibilità al

dolore [134], fino a gravi ulcere e mutilazioni [135].

Sulla base della modalità di trasmissione, dell’età di insorgeneza e delle caratteristiche

cliniche, le HSANs sono state classificate in 5 tipi [136], ai quali, recentemente, ne è

stato aggiunto un altro che è il tipo VI [137].

I geni e le mutazioni responsabili delle HSANs sono stati identificati [134] [137] [138]:

HSAN I: è causata, nella maggior parte dei casi, da mutazioni del gene SPTLC1

(OMIM 605712) localizzato sul cromosoma 9q22.31, che codifica per una

subunità dell’enzima serina-palmitoil-trasferasi (SPT), enzima coinvolto nella

produzione degli sfingolipidi. E’ una malattia autosomica dominante,

lentamente progressiva, con esordio tra il secondo e il quarto decennio di vita,

caratterizzata da una progressiva degenerazione dei gangli della radice dorsale

[139][140][141].

HSAN II: è causata da mutazioni del gene FAM134B (OMIM 605232), localizzato

sul cromosoma 12p13.33. E’ una malattia autosomica recessiva e si manifesta

nell'infanzia con alterazioni autonomiche e alterata sensibilità che porta a

ulcerazioni. La conduzione nervosa sensitiva è alterata e la biopsia del nervo

surale mostra una grave perdita di fibre mieliniche con relativa salvaguardia di

quelle amieliniche [142][143][144].

HSAN III: è causata da mutazioni del gene IKBKAP (OMIM 603722) localizzato

sul cromosoma 9q31.3. E’ una malattia autosomica recessiva, con esordio

nell’infanzia, caratterizzata da alterazioni autonomiche e perdita di sensibilità al

dolore e alla temperatura. [145][146]

(36)

36

HSAN IV: è causata da mutazioni del gene NTKR1 (OMIM 256800), localizzato

sul cromosoma 1q23.1, che codifica per il recettore TrkA, recettore

tropomiosina Kinasi A, legante il fattore di crescita neuronale NGF [97]. E’ una

malattia autosomica recessiva, caratterizzata da congenita insensibilità al

dolore con anidrosi, episodi ricorrenti di febbre, assenza di reazioni agli stimoli

dolorosi con automutilazioni, ustioni, fratture multiple indolore [147]. La

velocità di conduzione nervosa è normale, ma la risposta cutanea simpatica

(SSR) è assente [148] [149]. La biopsia dei nervi mostra l'assenza di fibre

amieliniche e una riduzione delle piccole fibre mieliniche. Non c'è innervazione

delle ghiandole sudoripare [150] [151].

HSAN V: è causata dalla mutazione del gene NGF (OMIM 608654), localizzato

sul cromosoma 1p13.2.

HSAN VI: è causata da mutazioni del gene DST (OMIM 113810) localizzato sul

cromosoma 6p12.1 [152].

I geni mutati nei diversi tipi di HSAN codificano per proteine che svolgono funzioni

diverse, con la sola eccezione di HSAN IV e HSAN V: nella prima abbiamo mutazione del

gene che codifica per il recettore di NGF (TrkA) [153][97][154], nella seconda abbiamo

mutazioni di NGF stesso [98]. È interessante notare che HSAN IV è caratterizzata non

solo dalla mancanza di reazione agli stimoli dolorosi, ma anche da anidrosi e ritardo

mentale. Questi sintomi sono assenti in pazienti con HSAN V. Svelare i meccanismi che

sono alla base delle differenze tra HSAN IV e V potrebbe contribuire a una migliore

comprensione della biologia di NGF.

Le HSAN testimoniano come nella percezione del dolore sia importante l’assetto

genetico del soggetto. Sono stati individuati più di 358 geni associati al dolore [155],

ma solo alcuni di questi sono importanti per il meccanismo del dolore. Questi geni

sono altamente conservati nell’evoluzione, perché il dolore è necessario per la

sopravvivenza [156].

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