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Attività Fisica Adattata nell'autismo: l'esperienza di Elena

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Academic year: 2021

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Pagina | 1 INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1: Definizioni di attività fisica adattata e di autismo 1.1 Attività Fisica Adattata

1.2 AFA A e AFA B, differenze e linee guida 1.3 Autismo

1.4 AFA e Autismo

CAPITOLO 2: Linee guida dell’attività fisica adattata nell’autismo 2.1 Capacità motorie nella disabilità

2.2 I principi della ginnastica nella disabilità 2.3 Gli obiettivi della ginnastica nella disabilità 2.4 I contenuti della ginnastica nella disabilità 2.5 Le metodologie della ginnastica nella disabilità

2.6 Le difficoltà di apprendimento motorio del bambino autistico 2.7 Educazione motoria e integrazione dei bambini autistici 2.8 Ritardo mentale e difficoltà motorie

2.9 Ruolo e funzione dell’attività motoria per il bambino autistico 2.10 Problematiche fisiche e relazionali

2.11 Strategie di lavoro

CAPITOLO 3: L’esperienza di Elena

3.1 Una criticità: la valutazione nell’autismo 3.2 Storia di Elena

3.3 Esame morfologico e funzionale 3.4 Obiettivi generali e specifici

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Pagina | 2 3.5 Metodologie 3.6 Mezzi e strumenti 3.7 Verifiche e valutazioni 3.8 Considerazioni personali CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA RINGRAZIAMENTI

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Pagina | 3 INTRODUZIONE

Intraprendendo questo percorso ho scoperto l’insegnamento nelle scuole, con bambini e ragazzi e ho capito qual è la strada che voglio percorrere da grande: quella del professore di Scienze Motorie.

Dato il crescente aumento di casi presenti nelle scuole, penso sia necessario conoscere l’autismo in tutte le sue componenti per poterlo affrontare al meglio. Ragione per cui ho deciso di approfondire l’argomento dell’attività fisica adattata nell’autismo.

Nel primo capitolo vengono spiegate e analizzate le definizioni di attività fisica adattata e di autismo.

Nel secondo capitolo vengono esaminate le linee guida dell’attività fisica adattata nell’autismo, l’approccio metodologico e le problematiche motorie e relazionali.

Il terzo capitolo è interamente dedicato a colei che ha ispirato la mia tesi: Elena. Vengono descritte la sua storia, i suoi disturbi e l’attività motoria che abbiamo svolto insieme, partendo dagli obiettivi preposti, passando per i contenuti e gli strumenti utilizzati, fino ad arrivare alle verifiche e alle valutazioni finali.

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Pagina | 4 CAPITOLO I: DEFINIZIONI DI ATTIVITÁ FISICA ADATTATA E AUTISMO

Attività fisica adattata

L’Attività Fisica Adattata1 è un ramo delle Scienze Motorie e dell’Educazione Fisica che si occupa di programmi di attività fisica e motoria rivolti a soggetti diversamente abili.

Dunque è incluso ogni movimento, ogni attività fisica, ogni sport che può essere praticato da individui limitati nelle loro capacità da deficit fisici, psicologici, mentali o da alterazioni di alcune grandi funzioni.

L’Attività Fisica Adattata acquisisce perciò una dimensione multi sistemica, in quanto individua un’area interdisciplinare di saperi, includendo le attività di educazione fisica e di sport, per individui con impedimenti, lungo tutto il ciclo della vita.

L’Attività Fisica Adattata integra informazioni e risultati di ricerche di sottodiscipline dello sport e scienze del movimento (es. biomeccanica, pedagogia dello sport), come anche di altre aree della scienza (es. medicina, scienze della riabilitazione, psicologia) che si occupano dell’attività fisica e dello sport, in relazione alle persone aventi bisogni speciali, in particolare individui con disabilità.

L’Attività Fisica Adattata acquisisce una dimensione sempre di più multidisciplinare, arrivando ad essere un corpo interdisciplinare di conoscenze volte verso l’identificazione e soluzione delle personali differenze nell’attività fisica. È un servizio che supporta l’attitudine ad accettare le differenze individuali, sostenere l’accesso ad uno stile di vita sano e attivo, promuovere innovazione ed erogare programmi di servizio cooperativo e un sistema di acquisizione dell’autonomia.

Il nuovo orizzonte dell’Attività Fisica Adattata è sempre più orientato verso le esigenze del soggetto e le differenze dall’infanzia e lungo tutto l'arco della vita.

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Pagina | 5 L’Attività Fisica Adattata si basa su due cardini fondamentali2:

 ADATTAMENTO: modificazioni previste nel processo di insegnamento-apprendimento, che possono riguardare gli obiettivi (aggiuntivi, semplificati, alternativi), le strategie di insegnamento e i contesti in cui avviene l’insegnamento (luogo, tempo, soggetti)

 INDIVIDUALIZZAZIONE: intervento progettato su misura di ogni individuo rispetto alla propria situazione, che tenga di conto delle potenzialità e dei fattori che originano o mantengono la difficoltà. La “specialità” diviene “normalità”, non negando la propria identità, ma elevando le singole differenze e specificità come opportunità di crescita per tutta la comunità. Da questo punto di vista la diversità cambia connotazione: non è più un elemento negativo, patologico, ma diviene elemento strutturale del sistema sociale e motore di cambiamenti positivi e di crescita di tutte le componenti della società

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Pagina | 6 AFA A e AFA B, differenze e linee guida

L’Attività Fisica Adattata3 è consigliata a persone che presentano:

 condizioni dolorose ricorrenti quali sindrome algica da ipomobilità o da osteoporosi, rachialgia cronicizzante (basso livello di disabilità – AFA A)

 riduzione delle capacità funzionali a causa di esiti invalidanti da malattie quali Parkinson, esiti di ictus, malattie reumatiche o neurologiche (alto livello di disabilità – AFA B)

L'AFA è salute orientata, non malattia orientata: è, cioè, riconosciuta come una delle azioni di prevenzione più efficaci nel promuovere l’adozione di corretti stili di vita.

L’AFA non essendo un'attività sanitaria non rientra nei Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria e pertanto non è a carico del Servizio Sanitario Regionale.

I programmi di esercizio AFA sono proposti dalle autorità sanitarie sulla base di evidenze scientifiche pubblicate; sono condivisi con gli istruttori e applicati omogeneamente in tutte le strutture territoriali.

Ciascun programma AFA ha caratteristiche e intensità adeguate alle condizioni funzionali dei partecipanti. Le sedute di esercizio, della durata di un'ora e con una frequenza di 2 o 3 volte la settimana, sono svolte in gruppi, la cui numerosità dipende dalla gravità della disabilità motoria e dalle dimensioni degli ambienti.

Sono previste visite di verifica sia sull’adeguatezza dei locali, sia sull’applicazione dei protocolli di esercizi.

Sono previsti protocolli standardizzati da linee guida Usl, che però possono essere personalizzati e adattati a seconda della patologia affrontata e dei soggetti con cui si ha a che fare.

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Pagina | 7 Si possono perciò stabilire alcune linee guida valevoli per ogni tipo di protocollo:

 per eseguire il programma sono richiesti sia uno spazio ampio che possa garantire una buona agibilità per gli esercizi della deambulazione in gruppo ma allo stesso tempo fornisca la giusta sicurezza, quindi sia privo di ostacoli non previsti e abbia degli appoggi distribuiti lungo il percorso stesso, sia di sedie o sgabelli, che bastoni;

 gli esercizi di stretching devono essere svolti, mantenendo la posizione di allungamento fino a 20-30 secondi. La posizione di allungamento deve dare una sensazione di tensione muscolare ma non dolore;

 la garanzia della sicurezza è un imperativo assoluto. Per gli esercizi in piedi è necessario avere vicino un punto di appoggio sicuro in caso di perdita di equilibrio (esempio corrimano). In generale per tutti quei soggetti con bassa funzione e scarso equilibrio, è necessario far eseguire gli esercizi in posizione sicura, cioè seduti oppure in piedi con appoggio della schiena alla parete o con sostegno degli arti superiori;

 gli esercizi non devono essere eseguiti seguendo l’ordine indicato dal numero. Si deve iniziare con una attività di riscaldamento, ad esempio cammino o marcia sul posto, e alternare attività in piedi e da seduto per evitare un eccessivo affaticamento;

 gli esercizi devono possibilmente ricalcare le attività funzionali della vita quotidiana, con lo scopo di “motivare” il soggetto a proseguire determinate attività anche al proprio domicilio;

 le proposte devono essere trainanti e coinvolgenti al fine di ottenere una risposta attiva e partecipe da parte dei soggetti;

 la conduzione di tutta l’attività motoria e lo svolgimento di ogni lezione dipendono dall’insegnante;

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Pagina | 8  il dolore è un segnale d’allarme, evitare qualsiasi movimento che

tende a provocarlo o accentuarlo;

 il ruolo del Chinesiologo è complesso perché comprende sia la figura del “tecnico competente” e professionalmente preparato, sia la figura dell’”animatore” ricco di carica vitale e di entusiasmo, capace di coinvolgere il soggetto in tutte le strategie motorie proposte anche quando l’individuo non si sente propriamente adeguato. Attento al singolo e al gruppo, deve ricercare un rapporto empatico e deve dare attenzione alla ricezione dei feed-back. E’ meglio parlare a voce alta e ben scandita usando una terminologia facile ma corretta. Occorre spiegare le finalità degli esercizi stimolando l’autocorrezione.

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Pagina | 9 Autismo

Il termine fu utilizzato per la prima volta nel 1911 dallo psichiatra Eugen Bleuer per indicare uno dei sintomi più comuni della schizofrenia nell’adulto.

Una delle caratteristiche riscontrabili nei soggetti schizofrenici era infatti un’alterazione della relazione reciproca fra mondo interno e mondo esterno, per cui la vita interiore assumeva una preponderanza patologica, definita appunto autismo.

Nel 1943 lo psichiatra americano Leo Kanner descrisse per la prima volta la sindrome autistica, distinguendola dalla generica categoria del ritardo mentale in cui era stata inquadrata prima di allora. Il medico infatti espose i casi di undici bambini, di età compresa tra i due e i dieci anni che, già dal primo anno di vita, mostravano i segni di un comportamento atipico: alterazione dei rapporti interpersonali, indifferenza all’ambiente circostante e tendenza all’isolamento, tendenza a mantenere invariate le abitudini quotidiane, comportamenti ripetitivi, stereotipie, anormalità del linguaggio ed ecolalia.

Parallelamente agli studi di Kanner, Hans Asperger pubblicava nel 1944 i suoi studi su alcuni casi di soggetti che riteneva avessero fin dalla nascita disturbi caratteristici.

Negli anni successivi molti studiosi tentarono di indagare le cause della sindrome.

Lo psicanalista austriaco Bruno Bettelheim nel 1967 ipotizzò che una delle cause principali del disturbo autistico fosse da attribuire alla freddezza emotiva delle madri. Lo studioso parlò infatti di “madri frigorifero”, indicando l’incapacità di alcune donne di stabilire una relazione efficace con il proprio bambino.

La psicanalista britannica Frances Tustin avanzò l’ipotesi che i fenomeni di “depressione post partum” non fossero tipici solo delle madri, ma che potessero verificarsi anche nei bambini; questi ultimi, secondo la studiosa, tentano di difendersi dalla sensazione di aver perduto, con il distacco dalla madre, una parte vitale del proprio corpo, generando così i sintomi tipici dell’autismo.

Il neurologo statunitense Bernard Rimland rovesciò la teoria convenzionale della “madre frigorifero” affermando che alla base del disturbo pareva esserci un problema di natura biochimica nella formazione reticolare del

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Pagina | 10 tronco cerebrale, per cui classificò l’autismo come deviazione genetica inibente.

Negli anni ’70 lo psicologo statunitense Delacato oltre ad abbracciare l’ipotesi di natura genetica del problema, si rese conto che gli atteggiamenti dei bambini autistici erano identici a quelli manifestati da soggetti che presentavano lesioni cerebrali. Ciò presupponeva dunque che i bambini autistici non dovessero essere considerati psicotici, ma soggetti che, a causa di danni cerebrali, presentavano gravi problemi sensoriali.

Dalla metà degli anni ’80, Alain Leslie, Simon Baron Cohen e Uta Frith ipotizzarono che all’origine dell’autismo ci fosse l’assenza di una “teoria della mente”, ovvero la capacità di orientarsi nel mondo interpersonale attraverso la spontanea attribuzione al comportamento degli altri stati mentali, intenzionali, punti di vista. Dunque una sorta di cecità mentale che rende incapace il soggetto autistico di mentalizzare, ovvero di attribuire agli altri degli stati mentali.

L’ipotesi che ne derivò fu quella che il bambino autistico si trovasse come in una sorta di “agnosia” degli stati intenzionali, almeno di quelli complessi, che toglierebbe al soggetto autistico la capacità di orientarsi nell’universo delle relazioni sociali e di acquisire quelle abilità che consentono di interagire con gli altri, mediante la capacità di immaginare cosa gli altri pensino, desiderino e provino a livello emotivo.

Il dibattito sull’eziologia dell’autismo è ancora oggi molto acceso. Attualmente sembrano dominare le ipotesi eziologiche di tipo neurobiologico.

Alcuni studiosi hanno inoltre proposto la tesi di un “iperfunzionamento percettivo” nei soggetti autistici, per cui questi ultimi non presenterebbero nessun deficit di immagazzinamento semantico, ma un’iperdiscriminazione visiva ed uditiva. Ciò spiegherebbe per cui molti autistici mostrano picchi di abilità sia sul piano cognitivo che in alcune aree della memoria.

Le principali manifestazioni cliniche sono:  deficit comunicativo;

 deficit sociale;

 deficit di immaginazione;

 altre manifestazioni (ansia, anomalie sensoriali, deficit delle funzioni esecutive, anomalie dell’attenzione).

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Pagina | 11 Deficit comunicativo

Si manifesta con:

 difficoltà con la pragmatica della comunicazione, ovvero nell’uso del linguaggio nel contesto di un’interazione sociale;

 ecolalia;

 articolazione atipica del linguaggio;

 mancata varianza del registro: il volume della voce non viene variato per dare intonazioni e significati particolari alle frasi;

 mancato uso della gestualità;

 mancata comprensione del linguaggio.

Deficit sociale Si manifesta con:

 difficoltà nel riconoscimento delle interazioni sociali;  difficoltà nell’interpretazione di tali interazioni;  risposte inadeguate;

 mancata motivazione a rispondere;

 anomalie nell’orientamento e nell’attenzione verso gli altri (“comportamento visivo” anomalo, mancanza di atteggiamenti “pro-sociali”);

 anomalie nella capacità di leggere il comportamento altrui (problemi nel fare attenzione agli altri, difficoltà nel capire cosa fanno gli altri).

Deficit di immaginazione: Si manifesta con:

 resistenza al cambiamento;  ristretto numero di interessi;

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Pagina | 12 Altre manifestazioni:

Si manifestano con:

 difficoltà nel riconoscere le emozioni altrui;

 difficoltà ad adattare il comportamento alle circostanze;  difficoltà nella pianificazione del proprio comportamento;  tempi di attenzione brevi;

 preferenza verso i dettagli.

Per diagnosticare4 la presenza o meno di una forma di autismo, secondo l’American Academy Of Neurology, tutti i bambini dalla nascita in poi dovrebbero essere esaminati anche per segnali d’autismo durante le visite dal pediatra.

Il primo test da tener presente consiste nel valutare a fondo le “tappe fondamentali” della crescita.

In particolare:

 se il bimbo si esprime con versi o gesti intorno ai 12 mesi;  se pronuncia almeno una parola quando raggiunge i 16 mesi;

 se riesce a costruire una frase di almeno due parole intorno ai due anni;

 se, in qualunque momento della crescita, perde qualche abilità linguistica o sociale.

Qualora il bambino non sia in pari con i traguardi citati nei primi tre punti, e manifesta i segnali evidenziati nel quarto, dovrà essere valutato con un secondo test più specifico in grado di determinare se è capace di contatto visico, di verbalizzare o almeno di comunicare senza parole.

Un altro test che può rivelarsi utile per il riconoscimento della patologia, è quello tratto da Autism Checklist della Autism Society Of America, secondo il quale i soggetti con autismo mostrano spesso i sintomi elencati qua sotto, con intensità che varia da media a grave:

 difficoltà a stare insieme agli altri bambini;  insistenza sulla costanza;

 resistenza al cambiamento;

 manifestazioni di riso inappropriato;  mancanza di reale paura dei pericoli;  contatto oculare scarso o assente;

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Pagina | 13  gioco bizzarro sostenuto nel tempo;

 apparente insensibilità al dolore;

 ecolalia (ripetizione di parole o frasi al posto del linguaggio normale);

 preferenza a rimanere isolato;  mancata reciprocità nelle “coccole”;  ruotare gli oggetti in modo ossessivo;

 mancata risposta alle indicazioni verbali, può sembrare sordo;  attaccamento inappropriato agli oggetti;

 difficoltà ad esprimere bisogni: uso di gesti e indicazione al posto delle parole;

 evidente eccesso o estrema scarsezza di attività fisica;  episodi di ansia-collera senza apparente motivo;

 mancata risposta ai normali sistemi educativi;

 abilità grosso motorie e fini motorie incongrue (es. non giocare a palla ma riuscire nelle costruzioni).

Se sono presenti almeno sette di queste caratteristiche, è opportuno un controllo diagnostico.

Con un intervento motorio è possibile ottenere diversi miglioramenti:  schemi motori di base;

 coordinazione segmentaria e grossolana;  postura;  interazione sociale;  autonomia personale;  capacità comunicative;  apprendimento;  limitazione dell’aggressività;  incalanamento dell’iperattività;  attenzione.

Data la repulsione verso gli altri e la tendenza all’isolamento, è importante, soprattutto nelle prime fasi di lavoro, attuare un protocollo di lavoro in cui l’approccio sia il più personalizzato possibile, dove il rapporto 1:1 nella lezione possa venire incontro alle esigenze del bambino.

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Pagina | 14 L’autismo è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo, biologicamente determinato, con esordio nei primi 3 anni di vita. Le aree prevalentemente interessate da uno sviluppo alterato sono quelle relative alla comunicazione sociale, alla interazione sociale reciproca e al gioco funzionale e simbolico5.

In termini più semplici e descrittivi, i bambini con autismo:

 hanno compromissioni qualitative del linguaggio anche molto gravi, fino ad una totale assenza dello stesso;

 manifestano incapacità o importanti difficoltà a sviluppare una reciprocità emotiva, sia con gli adulti che con i coetanei, che si evidenzia attraverso comportamenti, atteggiamenti e modalità comunicative anche non verbali non adeguate all’età, al contesto o allo sviluppo mentale raggiunto;

 presentano interessi ristretti e comportamenti stereotipati e ripetitivi.

Tutti questi aspetti possono accompagnarsi anche a ritardo mentale, che si può presentare in forma lieve, moderata o grave. Esistono quadri atipici di autismo con un interessamento più disomogeneo delle aree caratteristicamente coinvolte o con sintomi comportamentali meno gravi o variabili, a volte accompagnati da uno sviluppo intellettivo normale. Le caratteristiche di spiccata disomogeneità fenomenica suggeriscono che il quadro clinico osservabile sia riconducibile ad una “famiglia” di disturbi con caratteristiche simili, al cui interno si distinguono quadri “tipici” (ossia con tutte le caratteristiche proprie del disturbo a diversa gravità di espressione clinica), e quadri “atipici” (alcune caratteristiche sono più sfumate o addirittura assenti, sempre con una gravità fenomenica variabile). Tutte queste tipologie di disturbi sono raggruppabili all’interno della definizione di “disturbi dello spettro autistico” (sindrome di Asperger, autismo, autismo atipico, disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato).

Questi disturbi, identificati dall’avere in comune le anomalie qualitative nucleari che identificano l’autismo, conferiscono al soggetto caratteristiche

5 Ministero della salute, “Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli

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Pagina | 15 di “funzionamento autistico” che lo accompagnano durante tutto il ciclo vitale, anche se le modalità con le quali si manifestano, specie per quanto riguarda il deficit sociale, assumono un’espressività variabile nel tempo. Conseguenza comune è comunque la disabilità che ne deriva e che si manifesta durante tutto l’arco della vita, anche se con gravità variabile da soggetto a soggetto.

L’autismo non sembra presentare prevalenze geografiche e/o etniche, in quanto è stato descritto in tutte le popolazioni del mondo, di ogni razza o ambiente sociale; presenta, viceversa, una prevalenza di sesso, in quanto colpisce i maschi in misura da 3 a 4 volte superiore rispetto alle femmine. Le cause dell’autismo sono a tutt’oggi sconosciute. La natura del disturbo, infatti, coinvolgendo i complessi rapporti mente-cervello, non rende possibile il riferimento al modello sequenziale eziopatogenetico. Va inoltre considerato che l’autismo, quale sindrome definita in termini esclusivamente comportamentali, si configura come la via finale comune di situazioni patologiche di svariata natura e probabilmente con diversa eziologia.

Sono comunque presenti riscontri derivanti da studi sperimentali, che distinguono6:

 alterazioni strutturali e funzionali del Sistema Nervoso Centrale: attraverso le tecniche di neuroimaging vengono segnalate alterazioni morfologiche non specifiche, quali dilatazioni uni o bilaterali dei ventricoli laterali e del quarto ventricolo; anomalie dell’Ippocampo e dell’Amigdala, che presentano neuroni di dimensioni inferiori ed eccessivamente densi rispetto al normale e un’ipoplasia del Cervelletto;

 fattori genetici: ritenuti maggiormente implicati nell’eziologia dell’autismo infantile, in quanto la sua incidenza si riscontra con una frequenza dalle 50 alle 100 volte più elevata nei fratelli di bambini con autismo infantile, in confronto alla popolazione generale. Anche la maggiore incidenza del disturbo nei maschi potrebbe essere attribuito ad anomalie dei cromosomi sessuali;

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Pagina | 16  evidenze biochimiche: alcuni studi sostengono che l’autismo sarebbe

associato alla carenza di dopamina, dovuta all’incapacità delle cellule nervose di produrre dopamina, con conseguenti disfunzioni sulle funzioni percettive, comunicative, motorie e comportamentali; una serie di studi ipotizza che un’iperproduzione di oppioidi endogeni possa influire tutti i tipi di percezione, l’apprendimento, l’umore e le emozioni; infine sono state documentate alterazioni del metabolismo della serotonina e in particolare un aumento dei livelli di serotonina nel sangue di alcuni soggetti autistici.

Gli studi analizzati finora mettono in evidenza come l’autismo infantile non sia legato ad un’unica causa, ma abbia sicuramente un’eziologia multifattoriale.

Si parla perciò di “catena causale” che presenta tre stadi: quello del rischio, dell’attacco e del danno.

Il rischio può essere determinato da fattori genetici, lesionali, biochimici. Ciascuna di queste condizioni patologiche è in grado di “sferrare un attacco” alla maturazione del Sistema Nervoso Centrale e provocare danni nello sviluppo di specifici sistemi cerebrali relativi ai processi mentali superiori.

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Pagina | 17 AFA e autismo

Nei casi di autismo, complici le difficoltà spiegate nel capitolo successivo, è preferibile lavorare inizialmente in rapporto 1:1 per evitare possibili complicazioni. Successivamente, se il soggetto non è affetto da un grado di autismo grave, è possibile creare un gruppo di lavoro per facilitare e stimolare la cooperazione, l’integrazione, l’attenzione e la comunicazione degli stessi.

Sulla triade di sintomi relativi alla relazione con gli altri, alla comunicazione ed al comportamento si incentrano anche le principali classificazioni internazionali attualmente disponibili: il DSM IV e l’ICD10. Per motivi di spazio, in questa sede prendo in considerazione soltanto il DSM IV, il quale consente comunque di definire i criteri diagnostici di riferimento e, conseguentemente, di inquadrare con maggiore precisione le caratteristiche dell’autismo infantile. Va fatto risaltare che sia il DSM IV che l'ICD10 non trattano le cause del disturbo: essi forniscono semplicemente delle griglie di osservazione che gli specialisti possono seguire per la definizione della sindrome. Il DSM IV è una classificazione diagnostica e statistica curata dall’American Psychiatric Association (1994), giunta alla sua quarta edizione, che riguarda soprattutto i disturbi mentali dell'adulto e ha una parte dedicata a quelli che insorgono nell'infanzia e nell'adolescenza.

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Pagina | 18 I criteri diagnostici per il Disturbo autistico, secondo il DSM IV, sono quelli di seguito indicati7:

1) compromissione qualitativa dell’interazione sociale (per la diagnosi di autismo devono essere presenti almeno due elementi fra quelli seguenti):

a) marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee e i gesti che regolano l’interazione sociale;

b) incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei e con gli adulti adeguate al livello di sviluppo;

c) mancanza di ricerca spontanea nella condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone (ad esempio: non mostrare, portare, né richiamare l’attenzione su oggetti di proprio interesse);

d) mancanza di reciprocità sociale ed emotiva.

2) compromissione qualitativa della comunicazione sociale (per la diagnosi di autismo deve essere presente almeno un elemento fra quelli seguenti):

a) ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica);

b) in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri;

c) uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico; d) mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;

3) modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati (per la diagnosi di autismo deve essere presente almeno un elemento fra quelli seguenti):

a) dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione;

b) sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici; c) manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo);

d) persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti.

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Pagina | 19 Fra le difficoltà riscontrate, ci sono alterazioni della motricità fine nelle mani, anomalie posturali, alterazioni dell’equilibrio sia statico che dinamico, deficit di coordinazione motoria fra gli arti superiori ed inferiori. Inoltre, è stata rilevata ipotonia nelle mani e nei piedi ed ipertonia nei muscoli delle gambe e delle braccia. Un’altra caratteristica osservata è la difficoltà nell’esecuzione di azioni che richiedono capacità di coordinamento motorio. Questa problematicità sarebbe presumibilmente imputabile ad un deficit nella pianificazione, che si riscontra nei soggetti affetti da autismo.

In conclusione, da questi segni accertati si può ipotizzare che nei disturbi dello spettro autistico ci sia una scarsa regolazione del tono posturale e della coordinazione motoria, responsabile di un danneggiamento globale di tutte le funzioni motorie.

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Pagina | 20 CAPITOLO II: L’ATTIVITÁ FISICA ADATTATA NELL’AUTISMO

Capacità motorie nella disabilità8

Parlando delle capacità motorie, è necessario porre l’attenzione sulle caratteristiche peculiari del contesto AFA:

 nelle capacità condizionali è doveroso tener di conto dei deficit di forza spesso collegati ad un ipotono, e dovrà essere interessata soprattutto la forza resistente, quella maggiormente utilizzata nella vita quotidiana;

 nelle capacità coordinative è importante soffermarsi su quelle capacità utili per la massima autonomia personale, come l’equilibrio, l’organizzazione spazio-temporale, la ritmizzazione, la coordinazione oculo-manuale e oculo-podalica ed infine la capacità di reazione;

 per quanto riguarda la mobilità articolare è importante combattere le rigidità e le retrazioni spesso presenti in soggetti con ridotta motricità, avendo l’accortezza di non forzare le articolazioni per non provocare dolore e ulteriori irrigidimenti;

 per mantenere l’efficienza delle capacità senso-percettive verranno utilizzate stimolazioni tattili, visive e uditive.

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Pagina | 21 I principi della ginnastica nella disabilità9

I principi della ginnastica nella disabilità sono importanti concetti da tenere sempre in considerazione per formulare un ottimale protocollo di lavoro:

 dare opportunità di movimento, favorire al massimo la motricità volontaria, tenuto conto che la ginnastica va a lavorare con soggetti che spesso stanno fermi tutto il giorno in carrozzina;

 compensare la mancanza di movimento naturale, con un’appropriata Attività Fisica Adattata;

 prevenire le deformità e trattare quelle esistenti, le deformazioni generano dolore e con il movimento si attenua il dolore articolare e muscolare.

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Pagina | 22 Gli obiettivi della ginnastica nella disabilità10

È fondamentale distinguere due tipologie di obiettivi nella ginnastica e nella disabilità:

 mantenimento dello stato di buona salute, raggiungere/mantenere un buon grado di autonomia personale;

 sviluppo/miglioramento/consolidamento/mantenimento degli schemi motori di base e miglioramento delle capacità psicomotorie.

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Pagina | 23 I contenuti della ginnastica nella disabilità11

È fondamentale sintetizzare un protocollo di lavoro generico per le varie disabilità:

 studio capacità motorie residue, facendo partire il soggetto da cosa è in grado di fare;

 applicazione sistematica schemi motori di base, facendo eseguire le varie andature al soggetto, come lo striscio, la camminata carponi, rotolamenti, salti, etc..;

 esercizi di mobilizzazione e allungamento attivi/passivi, per tutte le articolazioni, ma in particolare per le articolazioni anca-ginocchio-caviglia-dita dei piedi, ovvero per quelle articolazioni che più frequentemente tendono ad irrigidirsi o, come nel caso di soggetti in carrozzina, non vengono mai utilizzate;

 ginnastica respiratoria intrinseca, tutti gli esercizi del soffiare con il naso e la bocca, apnee inspiratoria ed espiratoria, respirazione a tempi controllati;

 studio posizioni di equilibrio statico-dinamico, partendo dalle posizioni seduta, in ginocchio fronte alla spalliera, in piedi, etc..;  studio rilassamento volontario, iniziando dal rilassamento

segmentario di un arto, secondo le tecniche del training autogeno. È comunque estremamente difficile ottenere un buon grado di rilassamento in soggetti diversamente abili.

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Pagina | 24 Le metodologie della ginnastica nelle disabilità12

Che metodo di lavoro si utilizza con un soggetto diversamente abile? Dipende dal soggetto con cui si lavora.

Esistono due metodi specifici di cui ci si può avvalere:

 metodo analitico (si parte da un’azione motoria e la si scompone in più movimenti, es. si spiega l’andatura carponi focalizzando l’attenzione inizialmente solo sulla flesso-estensione della coscia) quando si lavora in presenza di persone con ridotta motricità ma buon livello cognitivo;

 metodo globale (interessa l’azione nella sua globalità, per riprendere l’esempio di prima si fa eseguire l’andatura carponi così come viene, è sufficiente che sia fatto l’esercizio) se si è in presenza di una sufficiente motricità ma non altrettanto sul versante cognitivo. Ovviamente con il procedere dell’allenamento si passerà dal globale all’analitico, così come dal facile al difficile. Inoltre si utilizzeranno programmi il più possibile individualizzati, con lezione così detta frontale e partecipata, ovvero con un basso rapporto docente-allievo (in alcuni casi 1:1) e con programmi che coinvolgano emotivamente il soggetto, che lo rendano protagonista del momento. Inoltre è importante lavorare, ove possibile, nel piccolo gruppo per evitare caos e ambiente dispersivo e favorire la concentrazione.

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Pagina | 25 Le difficoltà di apprendimento motorio riscontrate dal bambino autistico Gli allievi con ritardo mentale possono andare incontro a tutta una serie di problematiche nell’apprendimento motorio dovute a deficit nei vari processi messi in evidenza in questa parte.

L’opportuna analisi degli stimoli ambientali è resa spesso difficoltosa nell’allievo in situazione di handicap mentale da deficit a livello attentivo. Tali problematiche possono riguardare sia la focalizzazione (in molti casi l’allievo dà attenzione a stimoli irrilevanti ai fini del compito di apprendimento), che la stabilità dell’attenzione (alcuni allievi si caratterizzano per uno spostamento continuo dell’attenzione da un aspetto all’altro della situazione con gravi ripercussioni sulla qualità dell’apprendimento).

Sono molte numerose le sperimentazioni che mettono in risalto consistenti deficit anche a livello della memoria di lavoro negli allievi con ritardo mentale. Questi deficit interessano sia gli aspetti di memoria visiva e uditiva sequenziale che, soprattutto, l’utilizzo spontaneo delle strategie di memoria. In questo contesto anche la memoria motoria viene compromessa, la necessità di ripetere spesso e consolidare quanto acquisito è di grande importanza.

Gli allievi con ritardo mentale incontrano grande difficoltà nella fase di adattamento degli schemi motori alle esigenze della situazione. Questo è dovuto a fattori che riguardano sia la carenza di schemi memorizzati a cui fare riferimento, che le problematiche di richiamo e caricamento di tali schemi dalla memoria a lungo termine. Oltre ciò è sempre presente un consistente deficit nella strutturazione delle componenti psicomotorie del movimento (denominate anche prerequisiti funzionali o capacità coordinative), per cui vengono a mancare riferimenti relativi al proprio corpo e alle caratteristiche spazio-temporali dell’azione che si deve andare ad effettuare.

Per quello che riguarda l’esecuzione del movimento possono manifestarsi difficoltà a causa di alcune limitazioni strutturali a volte associate alle varie sindromi: è il caso, ad esempio, della ipotonia muscolare e della lassità legamentosa associate alla sindrome di Down o degli esiti di lesioni

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Pagina | 26 cerebrali che hanno interessato anche la componente motoria oltre quella cognitiva.

Relativamente al controllo motorio, infine, si registrano carenze connesse sia alla trasmissione dell’impulso nervoso afferente (a volte reso difficoltoso da specifiche patologie associate al sistema nervoso centrale), che alla sua decodifica. L’allievo in situazione di handicap mentale risulta molto più dipendente dell’allievo normodotato da input esterocettivi, proprio per la difficoltà di interpretare feedback.

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Pagina | 27 Educazione motoria e integrazione dei bambini autistici

Il dibattito e la riflessione che attualmente si stanno conducendo a livello pedagogico, riguardano le modalità attraverso le quali dare sempre più significato all’integrazione dell’allievo affetto da autismo in una scuola in cambiamento, difendendo allo stesso tempo le conquiste acquisite da alcuni tentativi, più o meno celati, di ritorno indietro verso istituzioni separate.

La scuola, come ambiente nel quale vengono ricercati degli apprendimenti, è diventata sempre più inclusiva nel corso degli anni, mano a mano che sono stati individuati programmi specifici che hanno dato significato alla presenza dell’allievo affetto da autismo nelle classi comuni. Intorno agli anni ottanta il dibattito sull’integrazione è stato condizionato da una contrapposizione forzata fra socializzazione e apprendimento che ha determinato non pochi fraintendimenti.

La socializzazione è stata intesa come semplice presenza fisica e non come una delle finalità del processo di integrazione, condizione essenziale per sperimentare concrete esperienze di apprendimento.

In seguito la contrapposizione ha lasciato il posto a posizioni più mature che hanno individuato nelle dinamiche relazionali un momento importante del processo educativo e la condizione prerequisiziale necessaria per consentire all’allievo di raggiungere il massimo livello consentitogli di padronanza motoria, del linguaggio, nell’acquisizione dei concetti, delle abilità curriculari ecc., perché sono queste le abilità che la società richiede a tutti e quindi anche alla persona in situazione di handicap.

L’educazione motoria, a questo livello, può giocare un ruolo molto importante per favorire, da un lato, lo sviluppo di competenze funzionali e, dall’altro, la promozione di reali esperienze interattive e di condivisione di obiettivi (si pensi ai giochi motori e sportivi).

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Pagina | 28 Ritardo mentale e difficoltà motorie

Va sottolineato, innanzitutto, che con la dizione di ritardo mentale non si indica un’entità clinica ben definita, ma solo il sintomo predominante e comune di varie situazioni patologiche che differiscono fra loro per eziologia, caratteristiche e gravità.

Per quanto riguarda l’area motoria va messo in risalto come i bambini autistici presentino sistematicamente ritardi e carenze.

Alcune ricerche hanno cercato di valutare qualitativamente in profilo motorio dei bambini con ritardo mentale, mettendo in evidenza ritardi generalizzati in tutte le componenti: da quelle grosso-motorie (equilibrio, capacità posturale, corsa ecc.), a quelle fini-motorie (coordinazione delle mani, controllo visuo-motorio ecc.).

Il bambino autistico presenta anche serie difficoltà nell’elaborazione dello schema corporeo e delle relazioni spazio-temporali, per cui manifesta l’incapacità di programmare il movimento in corrette sequenze da svilupparsi nello spazio e nel tempo.

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Pagina | 29 Ruolo e funzione dell’attività motoria per il bambino autistico

Gli studi e le ricerche relative a questo ambito, hanno messo in evidenza come, pur nella estrema variabilità costituita da ogni allievo autistico con la sua storia, un fattore comune di disturbo è rappresentato dalla problematica coscienza, conoscenza e utilizzo del corpo. Sulla base di questa evidenza, è già possibile attribuire un ruolo importante all’educazione motoria nel processo di sviluppo del bambino artistico, soprattutto nei primi periodi evolutivi (periodo prescolare, periodo della scuola materna e della scuola elementare).

In stretta connessione a quanto descritto è necessario dare importanza ad un’altra considerazione relativa alla necessità di privilegiare, con gli allievi affetti da autismo, una didattica operativa, centrata principalmente sul fare, sull’operare, sullo sperimentare concretamente tramite un approccio di tipo motorio, manipolativo, soprattutto se con una connotazione ludica, è possibile facilitare nell’allievo lo sviluppo di abilità e competenze e guidarlo alla corretta valutazione delle proprie capacità e dei propri limiti. Al contrario, un insegnamento di tipo esclusivamente verbalistico e astratto poco si addice all’allievo autistico. Infatti, la viscosità intellettiva che contraddistingue la personalità di questi allievi fa sì che procedimenti didattici di tipo tradizionale portino spesso all’accentuazione delle note carenti, all’abbassamento dell’autostima, alla riduzione o al rifiuto di esperienze.

Altro contenuto dell’educazione motoria di grande significato per determinare una motivazione all’apprendimento da parte dell’allievo affetto da autismo è rappresentato dal gioco.

Quando il deficit di questi allievi è consistente, l’attività di gioco non compare spontaneamente e richiede programmi educativi specifici. Insegnare attraverso il gioco e insegnare anche a giocare significa offrire all’allievo l’opportunità di esercitare funzioni motorie e cognitive e, conseguentemente, facilitare i processi di sviluppo della personalità e di integrazione.

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Pagina | 30 Problematiche fisiche e relazionali13

L’iperstimolazione sensoriale causa sofferenza ai bambini autistici: I bambini autistici possono manifestare alcune difficoltà per affrontare i programmi di attività fisica a causa della loro difficoltà/impossibilità di coordinare la varietà degli stimoli sensoriali che sono presenti in uno spazio aperto (o in una palestra) ed anche dalla ipersensibilità agli stimoli stessi.

Il bambino può assumere diversi comportamenti che indicano questa difficoltà e che vanno correttamente interpretati: ad esempio può coprirsi le orecchie o gli occhi, tentare di scappare, cercare un luogo nel quale nascondersi, ecc.

Carenza di motivazione spontanea ai rapporti sociali: I bambini con autismo inoltre non sono spontaneamente interessati o motivati come gli altri bambini a partecipare ai giochi di gruppo ed alle gare.

Difficoltà con i sistemi propriocettivo e vestibolare: Va inoltre tenuto presente che i bambini autistici possono avere problemi anche con il sistema propriocettivo e vestibolare, quindi a valutare e a controllare la posizione del corpo nello spazio e l’equilibrio statico e dinamico. Possono avere difficoltà a comprendere quanta forza applicare per sollevare un peso, per lanciare una palla, per afferrare un oggetto.

Incapacità di chiedere aiuto e di comprendere il pericolo: E’ importante ricordare che le persone autistiche non sviluppano spontaneamente la percezione del pericolo, la capacità di chiedere aiuto, che spesso si allontanano e non sono capaci di ritrovare la strada, e così via.

Quindi molta attenzione dovrà essere posta nella strutturazione degli ambienti in cui avviene l’insegnamento e alle attrezzature che si pensa di usare.

Problemi di salute che possono coesistere con l’autismo: Informazioni precise dovranno essere assunte tramite la famiglia in ordine ad eventuali allergie, a possibili effetti di farmaci e soprattutto alla presenza o meno di epilessia che spesso si presenta associata all’autismo.

In questo caso i servizi sanitari che hanno in carico l’allievo dovranno fornire ogni utile informazione alla scuola su attività che possano essere

13 Ufficio scolastico regionale per l’Emilia Romagna, “Suggerimenti operativi per’educazione motoria

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Pagina | 31 considerate “a rischio” e quindi da evitare e su come comportarsi in caso di insorgenza di problemi.

È perciò necessario:

Insegnare a stare nel contesto: l’insegnante all’inizio non deve focalizzarsi troppo sui comportamenti inappropriati, che potrebbero anche incrementarsi a causa delle difficoltà dei bambini autistici ad affrontare il nuovo ambiente e le diverse routine.

Inizialmente il beneficio del partecipare all’attività fisica sta nell’imparare a rimanere nel contesto, poi si può intervenire sui comportamenti.

Essere creativi e saper inventare strategie: l’insegnante deve usare tecniche creative per aumentare la partecipazione dei bambini autistici all’attività fisica. Deve cambiare attività di frequente perché i tempi di attenzione di bambini autistici sono brevi ma nello stesso tempo ogni cambio deve essere attentamente pianificato e predisposto e il bambino deve aspettarselo e deve essere preparato ad affrontarlo.

Usare un solo canale sensoriale alla volta: particolare attenzione deve essere fatta nell’usare un canale sensoriale alla volta, privilegiando il canale sensoriale più favorevole per ciascun bambino (in genere quello visivo) ma potenziando anche gli altri.

Bisogna presentare uno stimolo alla volta per essere sicuri che il bambino possa focalizzarlo e non perdersi parte della lezione.

Variare il compito: per aiutare i bambini ad acquisire nuove abilità sviluppando quelle precedenti, deve essere utilizzato il metodo della variazione del compito. Questo metodo sostiene che le nuove capacità e quelle precedenti debbano essere”mischiate” tra loro passando da una all’altra ogni due o tre minuti. Ad esempio se il bambino ha imparato a palleggiare e deve imparare a correre a slalom si attiva un percorso misto nel quale ci sono dei birilli tra i quali passare ma anche delle “stazioni” in cui c’è una palla e lì il bambino deve fermarsi per palleggiare per un tempo definito da un timer posizionato nella stessa postazione.

Insegnare a gestire i comportamenti: in alcuni programmi specifici per bambini autistici, si usano delle vigorose attività fisiche per ridurre i comportamenti problematici. Infatti tali attività, unite ad interventi specifici di gestione dei comportamenti problema hanno dimostrato di essere molto utili a ridurre tali comportamenti.

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Pagina | 32 Ogni programma di esercizi per bambini autistici dovrebbe essere sviluppato non soltanto con l’obiettivo di incrementarne l’attività fisica ma anche e soprattutto con lo scopo di insegnargli a gestire i propri comportamenti in modo corretto, aiutandolo a ridurre le stereotipie, i dondolamenti, le reazioni violente in caso di disagio, ecc.

Necessità di supporto da parte di insegnanti specificatamente preparati: per gli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria che devono coinvolgere un bambino autistico nell’attività fisica della classe è necessaria la consulenza di un insegnante di Scienze Motorie specializzato, sia per sviluppare il programma specifico, sia per comprendere quali materiali possono essere più utili e per sapere come utilizzarli (mini trampolini, tricicli, biciclette, corde per saltare).

Gli insegnanti di Scienze Motorie debbono inserire nella loro preparazione anche questo specifico campo e giungere a considerarsi risorse per il territorio in cui lavorano ed anche per gli altri ordini di scuola; di conseguenza è necessario che la scuola ed il territorio imparino a considerarli risorse da utilizzare al meglio.

Partire dalle attività fondamentali: l’attività fisica deve includere tutte le attività ritmiche dei muscoli ampi che sono continue in natura (correre, saltare, andare in bicicletta o in triciclo, ecc.).

I livelli di attività ed il conseguente aumento nelle performance dipendono dal livello iniziale dello stato fisico del bambino e dalle sue capacità. Ci sono bambini autistici che saltano come grilli e corrono come lepri ma non sono capaci di farlo a comando o nei contesti predisposti, di iniziare quando devono, di finire al momento giusto, ecc.

Utilizzare attività giocose in cui i compagni possano essere inseriti sia come partecipanti sia come modelli da imitare: occorre costruire un repertorio di attività gioco che possono insegnare ai bambini autistici il modo corretto di stare dentro le situazioni traendone beneficio fisico, relazionale e cognitivo, quali ad esempio il tiro all’orso (colpire con una palla un bersaglio che si muove più o meno lontano, più o meno velocemente), camminare o muoversi come gli animali (saltare a piedi uniti come il canguro, camminare dondolando destra/sinistra come una scimmia, ecc.), giocare ad essere l’ombra di qualcuno (cioè imitarne tutti i movimenti, cosa importantissima per i bambini autistici che non imitano spontaneamente), muoversi velocemente o lentamente seguendo un ritmo

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Pagina | 33 sonoro (dal battito di un tamburo ad una canzoncina ritmata), partecipare al girotondo in tutte le sue innumerevoli varianti, ecc.

Uso della musica e del ritmo: se il bambino segue volentieri un ritmo musicale (e in molti bambini autistici ciò si verifica) ci sono molte risorse sonore e musicali, anche in commercio, che possono fornire un supporto sonoro alle attività fisiche.

Se il bambino usa le cuffie, ciò può aiutarlo a non dare rilevanza agli altri stimoli sonori dell’ambiente (la palestra che rimbomba o all’aperto le auto che passano o gli altri bambini che gridano). Valutare l’uso dei tappi per le orecchie o dei “filtri” auricolari.

Uso dei video con esercizi da imitare: videoregistrazioni che mostrino gli esercizi in ogni singola tappa possono essere fondamentali perché il bambino autistico possa imparare ad imitarli. Il bambino autistico può avere bisogno di innumerevoli ripetizioni di ogni singolo movimento per impararlo e poi imparare a concatenarlo con quello precedente e successivo. Avere un video in cui l’esercizio viene mostrato può essere di grande sollievo per l’insegnante e di grande utilità per il bambino che può riguardarlo in autonomia tutte le volte che ne ha bisogno.

I video non si stancano, non si innervosiscono e sono sempre uguali ogni volta che vengono rivisti (cosa difficile per un umano; i bambini autistici possono riuscire a cogliere differenze che passano inosservate agli altri bambini e poiché non sono capaci di generalizzare possono non comprendere che il movimento è sempre quello).

Corsa all’aria aperta: la corsa è un vero e proprio strumento terapeutico, permette al bambino di ricevere informazioni sia propriocettive (es. il piede che appoggia su superfici instabili, il continuo adattamento e controllo posturale) che esterocettive (es. le informazioni dall’apparato visivo ed uditivo, le situazioni ambientali che cambiano continuamente, i fenomeni atmosferici, l’aria che si respira). Dunque permette una stimolazione a 360°, e queste informazioni che arrivano contemporaneamente al SNC attivano e stimolano tutte le aree del cervello, aspetto fondamentale per il bambino autistico.

Inoltre uno studio14 del 2011 condotto da Oriel, George, Peckus e Semon dimostra come l’esercizio aerobico, effettuato prima della lezione in classe,

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Pagina | 34 possa migliorare le capacità di apprendimento nei bambini con disturbo dello spettro autistico.

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Pagina | 35 Linee guida15

Se l’ambiente e le istruzioni sono abbastanza strutturati, il ragazzo autistico può comprenderli, essere tranquillo, cogliere le informazioni rilevanti, essere autonomo, comportarsi in modo appropriato, generalizzare il comportamento estendendolo ad altre situazioni simili. Strutturazione dello spazio: i ragazzi autistici soffrono gli ambienti grandi, destrutturati e risuonanti come sono in genere le palestre. Potrebbe essere addirittura impossibile far entrare un ragazzo autistico in una palestra piena di altri ragazzi che tirano palloni di qua e di là.

Quindi il ragazzo autistico deve essere prima preparato alla palestra quando non c’è nessuno, usando strutturazioni fisiche dell’ambiente (potrebbe essere necessario “disegnargli” un percorso con dei blocchi oppure con delle clavette perché non si sgomenti e si perda nell’ambiente grande); quando riesce ad affrontare la palestra con i compagni questi devono essere attenti a fare il meno chiasso possibile e potrebbe essere necessario proteggere il ragazzo autistico con delle cuffie da walkman o dei tappi per le orecchie (se li sopporta).

Oppure il ragazzo autistico potrebbe entrare in palestra quando il riscaldamento libero è finito e si comincia con il lavoro regolare. I posti per mettersi in fila devono essere segnati in modo permanente e il ragazzo autistico deve sapere qual è il suo (magari segnato con un colore diverso). E’ meglio che, all’inizio, al ragazzo autistico non venga chiesto di affrontare tutto lo spazio della palestra ma che gli venga “delimitato” uno spazio suo, con dei confini chiari (e via via sfumati – dai blocchi di legno a un leggero segno sul pavimento) e in posto vicino alla porta.

Non inserirlo nel gruppo dei pari finché non si è sicuri che può sopportarlo. Lo stesso problema si presenta con gli ambienti aperti se si fa ginnastica in giardino o nel parco: il bambino autistico non riesce a distinguere in un ambiente pieno di stimoli a quale fare attenzione e viene “coperto” di stimolazioni che possono anche essere per lui dolorose (i segnali sono che si copre le orecchie, grida, cerca di fuggire, di nascondersi).

Strutturazione del tempo: tutte le attività devono essere programmate: quando il ragazzo autistico va in palestra deve essere preparato e sapere quali attività farà: si possono usare delle schede plastificate per ciascuna

15 Ufficio scolastico regionale per l’Emilia Romagna, “Suggerimenti operativi per’educazione motoria

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Pagina | 36 attività, che vengono variamente composte per ciascuna lezione: ad esempio una scheda con la foto di un ragazzo che palleggia, una con la corda per arrampicarsi, una con l’asse di equilibrio, ecc.

Se viene presentato al ragazzo autistico un pacchetto di schede in ordine in cui la prima rappresenta il ragazzo che palleggia, la seconda l’asse di equilibrio, vuol dire che questo sarà l’ordine in cui si susseguono le attività.

E’ utile che le schede vengano raccolte con anelli in modo da poter agevolmente girare la scheda ad ogni passaggio di attività senza che tutto cada per terra. Un’altra soluzione è quella di avere le schede su cartone rigido con il velcro in modo da poterle montare in palestra su un’altra striscia di velcro. Così il ragazzo autistico, entrando in palestra prima degli altri, può chiaramente vedere cosa deve fare in quale sequenza e familiarizzarsi con il compito. Man mano che un esercizio è finito, la scheda viene staccata dal velcro e riposta così il ragazzo sa quanto gli resta da fare; quando non ci sono più schede sul velcro, il lavoro è finito. Questo è anche utile per le attività che il ragazzo può scegliere da solo (che funziona anche come “premio”): sceglie la scheda/le schede di quello che vuole fare e le appende, esegue gli esercizi per il tempo che gli è stato concesso o assegnato (usare timer, clessidre, marcatempo quanto più possibile analogici e non digitali per aiutare a vedere scorrere il tempo). I materiali della palestra vanno tenuti in ordine in contenitori e in posti ben definiti. Ai ragazzi autistici in genere piace mettere le cose a posto quando sanno dove metterle. Quindi un compito positivo potrebbe essere quello di rimettere tutte le clavette nei loro supporti, tutte le corde ben arrotolate nella loro scatola, i tappetini ben ammucchiati nel loro angolo, ecc. Ogni posto e/o contenitore deve avere la foto ben visibile di cosa ci va e di come va messo

Organizzazione delle attività: le routine vanno definite, rispettate ma anche variate. Il ragazzo autistico detesta i cambiamenti ma la “ripetizione dell’identico” è la morte del cervello umano.

Quindi sempre si deve modificare qualcosa ma ogni piccolissima modifica va preparata accuratamente in modo che non sia una sorpresa.

L’inizio e la fine di ogni attività e il passaggio da una attività all’altra devono essere chiaramente segnalati e strutturati (attenzione al trillo del

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Pagina | 37 fischietto: un ragazzo iperuditivo può soffrire atrocemente se esposto ad un fischio potente in un ambiente risuonante).

Per ogni tipo di esercizio il ragazzo autistico deve avere nella sua area le istruzioni visive (schede degli esercizi) che gli rammentino i passaggi e come si fa a fare una certa cosa (come si affronta l’asse di equilibrio, ad esempio: si sale come, si cammina come, si scende come, ecc.).

Le foto sono un ottimo strumento; si può fotografare un altro ragazzo e poi, man mano che l’alunno autistico riesce, mettere le sue foto. Indicare i materiali che occorrono (ad esempio se per costruire un percorso il compito dell’alunno autistico è quello di andare a prendere tre clavette e metterle in un certo punto, ci deve essere la foto della 3 clavette, e per terra disegnati i tre posti in cui deve metterle).

Quale esercizio si deve fare, come si capisce quando si deve iniziare, quante volte o per quanto tempo si deve fare, come si capisce quando è finito: negli spogliatoi ci deve essere la foto dell’esatta sequenza per cambiarsi entrando in palestra, per uscirne, come riordinare la borsa e cosa metterci dentro, il posto chiaramente segnato in cui sedersi e lasciare la borsa, ecc.

Accertarsi che i ragazzi con autismo possano avere modo di segnalare quando sono stanchi, quando hanno bisogno di una pausa, quando non capiscono, quando hanno sete, quando hanno bisogno del bagno, ecc. Per i ragazzi che hanno adeguate capacità espressive orali, accertarsi che conoscano la parola o la breve frase convenuta, (stop, stanco, pausa, bagno).

Per gli allievi che non hanno adeguate capacità espressive orali nella palestra devono essere disponibili i cartelli che indicano e spiegano concetti (lo stop del codice della strada – il disegno o la foto del gesto con cui si chiede una pausa nella pallacanestro).

Questi segnali devono essere gli stessi per tutte le attività del ragazzo e quindi vanno concordati prima sia tra tutti gli insegnanti e gli educatori sia con la famiglia.

Graduare le attività: i comportamenti vanno insegnati uno alla volta e spesso occorre saper inventare le giuste strategie. Ad esempio: un ragazzo autistico può saltare come un grillo quando gli pare ma non essere capace di farlo a richiesta.

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Pagina | 38 Può essere necessario usare un oggetto che gli piace, appeso in alto, per convincerlo a saltare quando sente il comando “salta”.

Lo stesso per tutti gli altri aspetti.

Iniziare a insegnare per prime le abilità più generali, come gli schemi motori di base, quindi quelle che sono coinvolte in più sequenze e che sono più utili nella vita quotidiana, come le capacità coordinative.

Dare sempre il modo di familiarizzarsi con gli attrezzi, capire come si usano, dove si prendono, dove si ripongono. Alcuni bambini autistici possono avere problemi nel sentirsi accaldati o sudati e per questo rifiutano determinate attività: scegliere attività meno riscaldanti e concedere pause.

Organizzazione dei rapporti con i compagni: i bambini autistici non hanno una socialità spontanea e, in genere, non sono capaci di comprendere il punto di vista di un altro; non imitano; non colgono le infinite regole che governano i rapporti interumani nei diversi contesti. Tutti questi aspetti sono obiettivi dell’intervento educativo, cui devono essere specificamente preparati attraverso un insegnamento mirato e consapevole. Valgono quindi per l’educazione motoria tutte le indicazioni valide per l’educazione generale di questi bambini. Particolare attenzione è rivolta alla capacità di imitazione, quindi è bene appena possibile affiancare il ragazzo autistico con qualcuno che gli mostri il “cosa” e il “come” fare.

Per i ragazzi più grandi il compagno da imitare potrebbe diventare un compagno-tutor che possa incaricarsi di andare a prendere il ragazzo autistico in classe, ricordargli i vari passaggi per cambiarsi correttamente, mostrargli gli esercizi, ricordargli le regole, tranquillizzarlo se si spaventa, spiegargli le situazioni, ecc.

Usare le abilità più sviluppate per attività in comune con gli altri. Sviluppare le aree di difficoltà in sedute separate o con pochi compagni (costruire le competenze più complesse in set separati e poi in modo graduale imparare a spenderle in set sociali quanto più possibile “normali”).

Rispetto delle regole: le regole del comportamento in palestra devono essere esposte chiaramente e con illustrazioni (che il bambino deve imparare prima di affrontare la palestra). Le regole vanno sempre fatte rispettare per tutti, anche per il ragazzo autistico. Quindi piuttosto

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Pagina | 39 metterne poche ma essere certi di avere la forza di imporle a tutti e sempre.

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Pagina | 40 CAPITOLO III: L’ESPERIENZA DI ELENA

Una criticità: la valutazione nell’autismo

La valutazione del soggetto autistico è particolarmente difficile e impegnativa a causa delle caratteristiche comportamentali:

 mancanza di attenzione;

 difficoltà a comprendere le consegne del compito;  difficoltà di comprensione del linguaggio;

 mancanza di motivazione;

 atteggiamento rigido, ordinato e ritualistico;

 ambiente percepito come minaccioso e incomprensibile.

Di conseguenza la valutazione funzionale e morfologica diventano problematiche e realizzabile solo in parte, appunto a causa della resistenza offerta.

In particolare Elena non parla, ma attua l’ecolalia; difficilmente presta attenzione quando le parlo e inizialmente mostrava parecchia diffidenza sia verso di me che verso l’ambiente circostante, infatti solo col passare delle lezioni è riuscita ad aprirsi e ad ammorbidire il suo comportamento. Perciò è stato opportuno prima stabilire una relazione con lei, cercando di creare un rapporto di fiducia reciproca, ed in itinere effettuare una valutazione la più completa possibile.

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Pagina | 41 Storia di Elena

Viene riportato un riassunto di Carolina, mamma di Elena, sulla storia di sua figlia: “Elena è nata nell’aprile 2004 da prima gravidanza con parto cesareo alla 38° settimana perché si presentava in posizione podalica. La gravidanza ha avuto un decorso normale ed Elena non ha avuto nessuna sofferenza né al momento del parto (a testimonianza di ciò era presente in sala operatoria la zia di Elena che è medico) né nella fase neonatale.

Elena ha iniziato a camminare a 15 mesi (i genitori hanno camminato entrambi a 16 mesi) ed è stata allattata con latte materno fino a 15 mesi, dopodiché Elena ha smesso spontaneamente di attaccarsi al seno, mangiando ormai le pappe dall’età di circa sei mesi.

Il sospetto che qualcosa non andava ci è venuto quando Elena aveva circa un anno e mezzo, perché non parlava e si dondolava sfarfallando con le mani, era inoltre assente con lo sguardo e molto irascibile. Tuttavia non era sempre stata così, anche se il linguaggio verbale non era mai stato fino ad allora acquisito.

Abbiamo pensato agli effetti collaterali di qualche vaccino (esavalente? MPR?) ma non abbiamo mai voluto sottoporla a prelievi e ad accertamenti medici invasivi per stabilire se questo cambiamento era da imputare ad un vaccino. Semplicemente non gliene abbiamo somministrati altri se non il richiamo dell’antitetanica.

Alla fine i principali vaccini obbligatori con i loro richiami Elena, nel bene e nel male, ormai li aveva fatti.

Su suggerimento della zia di Elena (la dottoressa sopra menzionata) ci siamo rivolti per una consulenza privata ad una neuropsichiatra infantile dell’Istituto “Stella Maris” di Calambrone, (PI) e abbiamo subito capito dalle domande che ci faceva e da come osservava Elena che prima o poi ci avrebbero detto che Elena era autistica.

La diagnosi di autismo ci è stata data infatti da questa neuropsichiatra della Stella Maris quando Elena aveva appena compiuto due anni, dopo una serie di osservazioni pedagogiche ed esami diagnostici che non hanno comunque mai rilevato alcuna anomalia da un punto di vista clinico (RM, EEG, prelievi ematici per la determinazione del X fragile e la Sindrome di Rett, tutti negativi).

Elena è stata sottoposta a vari EEG tra il 2006 e il 2008 a causa di ripetuti episodi di convulsioni febbrili (trattate al bisogno con Micropam e Rivotril)

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Pagina | 42 che si sono verificati tra i 3 e i 4 anni di vita e che si verificavano in presenza di febbri frequenti dovute alle tonsille. Per questo Elena è stata sottoposta a tonsillectomia a 4 anni e una volta rimosse le tonsille ha avuto un paio di volte sole episodi di febbre alta ma senza più convulsioni febbrili (e senza somministrazione di alcun farmaco antiepilettico).

Tuttavia nei tre EEG a cui è stata sottoposta (uno alla Stella Maris, uno in pediatria al S.Chiara a Pisa, e uno in pediatria all’ospedale di Pistoia) pur non essendo stato possibile effettuarli nel sonno se non il primo, non sono risultate anomalie di rilievo.

Nonostante tutto per i neurologi sia della Stella Maris che della pediatria di Pisa, Elena avrebbe dovuto essere curata come un paziente epilettico. Io e mio marito abbiamo rifiutato subito questa soluzione e abbiamo chiesto il parere di un altro neurologo dell’ospedale di Pistoia, il quale ci ha consigliato appunto come già accennato, di togliere le tonsille a Elena in quanto essendo quelle il fattore scatenante delle febbri alte, probabilmente senza più le tonsille e andando avanti nella crescita, Elena non avrebbe più sofferto di convulsioni febbrili, e così è stato.

In effetti, erroneamente a quanto comunemente si pensa, le convulsioni febbrili non sono la stessa cosa dell’epilessia perché si verificano di solito in età prescolare e si risolvono spontaneamente intorno ai sei anni, man mano che il sistema nervoso si sviluppa, così almeno ci fu detto all’epoca e ora che Elena ha 13 anni devo dire che avevano ragione. Non ci sono state più le convulsioni ed Elena non ha mai più preso farmaci a riguardo.

Elena è stata presa in carico dalla Stella Maris dal 2006 al 2012 e all’epoca in cui rifiutammo di somministrarle dei farmaci antiepilettici ci fu chiesto di firmare dei fogli a riguardo. Li firmerei altre cento volte.

Oltre all’aspetto clinico Elena ha effettuato anche un trattamento riabilitativo per lo più con scarsi risultati, anche perché non ci venivano mai date linee guida su come operare a casa. Per questo abbiamo pensato di avvalerci privatamente di terapiste domiciliari di nostra scelta.

Quindi Elena è stata seguita in passato ed è seguita tuttora da una/due terapiste domiciliari che lavorano sia sull’aspetto cognitivo che sull’autonomia personale. Ha raggiunto il controllo sfinterico intorno ai dieci anni ed è sviluppata a 13 anni, accettando il ciclo senza troppi problemi.

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