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La percezione soggettiva della degenza del paziente in terapia intensiva

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Academic year: 2021

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INDICE

1. Introduzione...pag.1

2. Studio clinico………..pag.4

2.1 Scopo dello studio………pag.4 2.2 Materiali e metodi………pag.4 2.3 Risultati………pag.8 2.4 Discussione………. pag.13 2.5 Conclusioni………. pag.25 3. Epilogo………pag.26 4. Bibliografia……….pag.29

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1.INTRODUZIONE

La Terapia Intensiva è un ambiente in cui vengono ricoverati pazienti detti critici in quanto necessitano di cure continue e risorse ultra-specialistiche, sia umane che materiali. Il corretto trattamento del malato affetto da grave patologia richiede un monitoraggio continuo dei parametri vitali e l’utilizzo di strumentazioni all’avanguardia che, spesso, devono vicariare le funzioni insufficienti degli organi compromessi. I presidi avanzati usati sono preziosi per sostenere le funzioni vitali del paziente ma, contestualmente, determinano l’esposizione dello stesso ad un numero crescente di fattori stressanti. Con questo lavoro ho voluto dare uno sguardo alla percezione soggettiva di questi fattori stressanti nel paziente ricoverato in Rianimazione. Per fattore stressante si intende qui ogni motivo di disagio o sofferenza soggettiva quale sete, dolore, ansia, freddo e altri più avanti meglio precisati. I pazienti ricoverati in Rianimazione infatti, oltre alla loro complessa condizione clinica di partenza, si trovano a dover vivere (o sopravvivere?)1 in

un ambiente ostile, non familiare, circondati da rumori incessanti, odori inusuali, luce intensa – giorno e notte --, sottoposti a procedure invasive, accuditi da personale sanitario sconosciuto.

Il ricordo della degenza in Terapia Intensiva riveste, per i pazienti critici, un grande peso anche a distanza di tempo dalla dimissione e può influire profondamente sulla loro successiva visione della vita. L’effetto sull’equilibrio psichico della presenza e permanenza di ricordi pervasivi ed inquietanti, legati ad eventi sgradevoli vissuti, è stata diffusamente descritta in letteratura. Fra i più importanti residui mnesici sono spesso riportati i ricordi legati al dolore, alla privazione di sonno, alla sete, alla presenza di tubi nella bocca o nel naso, all’impossibilità di muoversi liberamente, all’incapacità di parlare e quindi di comunicare adeguatamente i propri bisogni, alla mancanza di persone care al

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letto del paziente. Alcuni di questi fattori stressanti sono potenzialmente prevenibili, evitabili e trattabili, per questo appare utile individuarli e porvi attenzione.

Questa tesi vuole offrire una fotografia di una realtà periferica italiana riguardo tale argomento.

Lo scopo dello studio, allora, è quello di valutare la percezione del paziente della pregressa degenza in Terapia Intensiva. Tale scopo è stato raggiunto somministrando a tutti i malati dimessi da una Rianimazione un questionario che indagava l’eventuale sofferenza provata. I dati ottenuti sono stati poi confrontati, in generale, con quelli riportati in letteratura scientifica sino ad oggi. Più in particolare, i risultati di questo lavoro sono stati paragonati con quelli riportati in uno studio clinico fatto nel 1999 nella stessa Rianimazione dove è stato completato questo lavoro.

L’intento del mio lavoro è stato quello di dare ascolto al paziente nel suo complesso, considerando aspetti della degenza che spesso vengono sottovalutati o trascurati ma che influiscono in maniera significativa sulla qualità della vita durante il decorso clinico e dopo.

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2. STUDIO CLINICO

2.1 SCOPO DELLO STUDIO

Lo studio, oggetto di questa tesi, ha come obiettivo quello di valutare, mediante un questionario sottoposto ai pazienti, la loro percezione soggettiva della pregressa degenza in Terapia Intensiva.

2. 2 MATERIALI E METODI Popolazione di studio

Sono stati reclutati tutti i pazienti consecutivi dimessi dalla Terapia Intensiva dell’Ospedale San Luca di Lucca nel periodo compreso tra il 15 giugno 2018 e il 25 luglio 2018 (40 giorni). Tale Rianimazione è dotata di dodici posti letto destinati sia a pazienti affetti da sola patologia medica che pazienti post-chirurgici (chirurgia addominale, ginecologia ed ostetricia, urologia, ortopedia e traumatologia, otorinolaringoiatria).

Criteri di inclusione

Sono stati valutati tutti i soggetti di età maggiore di 18 anni, di ambo i sessi, ricoverati in Terapia Intensiva per almeno 24 ore per qualsiasi motivo e poi dimessi in altro reparto di degenza dello stesso ospedale, orientati e collaboranti.

Criteri di esclusione

I motivi di esclusione dei pazienti erano: - età minore di 18 anni,

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- stato confusionale o disorientamento al momento della somministrazione del questionario,

- soggetti con amnesia globale riguardo al periodo di ricovero in UTI.

Metodo

Un Anestesista-Rianimatore, non coinvolto in prima persona nel trattamento dei soggetti ricoverati, si è occupato di redigere un questionario, costituito da tredici domande, volte ad indagare la presenza di eventuali fattori che abbiano potuto arrecare disagio o sofferenza ai malati durante la permanenza in Terapia Intensiva (vedi Tabella 1). Lo stesso Medico che ha compilato il questionario si è occupato di somministrarlo verbalmente a tutti i pazienti (entro 72 ore dalla loro dimissione), recandosi per l’intervista nei reparti di degenza in cui erano stati inviati i pazienti per la prosecuzione delle cure. Il personale medico ed infermieristico della Rianimazione non era al corrente dello svolgimento dello studio: tale accorgimento si è reso necessario al fine di evitare possibili modificazioni comportamentali dei sanitari che avrebbero potuto influire sulla degenza dei pazienti e, conseguentemente, condurre a risultati non rispondenti alla realtà. Cioè per evitare che l’osservatore modifichi con l’osservazione l’oggetto stesso della sua osservazione.

Per tutti i pazienti reclutati sono stati registrati i seguenti dati: età, sesso, causa di ricovero e lunghezza della degenza in terapia intensiva.

I risultati ottenuti sono stati confrontati con quelli presenti in letteratura fino ad oggi.

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6 TABELLA 1 QUESTIONARIO Sheda Nr. … Nome e Cognome: ……….. Età: ………anni. Diagnosi: ………. Durata della degenza: ………giorni.

Reparto di destinazione: ……….

Paziente in grado di rispondere in maniera attendibile alle domande: SI NO Se non in grado di rispondere:

- deceduto,

- demente/soporoso/neuroleso, - altro (specificare).

Durante la Sua degenza in Terapia Intensiva, Lei ha avuto:

- Dolore, SI NO

Se sì ha ricevuto farmaci per controllarlo, SI NO

- Sete, SI NO

- Fame, SI NO

- Paura, SI NO

- Ansia, SI NO

- Isolamento o solitudine (assenza di persone care al capezzale,) SI NO

- Freddo , SI NO

- Caldo, SI NO

- Mancanza d’informazione circa condizioni di salute e procedure, SI NO

- Contenimento fisico, SI NO

- Insonnia, SI NO

- Rumore, SI NO

- Incapacità di distinguere il giorno dalla notte, Si NO

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Materiale

Nel questionario sottoposto ai pazienti dimessi si indagavano i seguenti fattori stressanti: dolore, sete, fame, paura, ansia, isolamento o solitudine (intesi come assenza di persone care al proprio capezzale), freddo, caldo, carenza di informazioni relative al proprio stato di salute, contenimento fisico, insonnia, disturbo arrecato dal rumore (allarmi dei monitor, telefoni, voci), incapacità di distinguere il giorno dalla notte.

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2.3 RISULTATI

Nel periodo compreso fra il 15 giugno ed il 25 luglio 2018, dalla Terapia Intensiva dell’ospedale San Luca di Lucca, sono stati dimessi 56 pazienti. Di questi, undici sono deceduti (20 %). Dei 45 dimessi vivi, quattro sono stati trasferiti in un altro nosocomio e altri quattro hanno lasciato il presidio prima di essere intervistati, per cui a questi otto pazienti non è stato possibile sottoporre il questionario. Dei 37 malati rimasti, cinque sono stati esclusi per le seguenti ragioni:

- presenza di grave patologia psichiatrica pregressa che rendeva il paziente non disponibile al colloquio (disturbo bipolare con tratti schizofrenici, sintomi di derealizzazione e depersonalizzazione) – un paziente,

- demenza avanzata (due pazienti)

- stato di disorientamento spazio-temporale e confusione (un paziente) - completa amnesia riguardo il periodo di degenza in terapia intensiva

(un paziente) 1

Per i motivi sopraccitati la nostra analisi si è concentrata su 32 malati di cui 15 maschi (47 %) e 17 femmine (53 %), di età media 68 anni (range: 20-88 anni). La durata media della degenza è stata di circa otto giorni [7 giorni e 17 ore], (range 1 – 60 giorni).

Per quanto riguarda la diagnosi di ammissione in Rianimazione: - 20 pazienti erano post-chirurgici (62 %),

1 Paziente maschio di 52 anni, con diagnosi di intossicazione acuta da eroina e cocaina in poli-dipendenza

cronica (benzodiazepine cocaina, eroina, non alcol), tabagismo. Il soggetto, durante il ricovero in TI, ha manifestato crisi convulsive subentranti. Dimesso nel reparto di psichiatria e successivamente intervistato, riferiva amnesia globale completa riguardo la degenza in Terapia Intensiva.

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- 12 pazienti presentavano condizioni mediche per cui si era reso necessario un trattamento intensivo (38%).

Di seguito riportiamo le caratteristiche, schematizzate, della popolazione studiata (Tabelle 2, 3 e 4).

TABELLA 2

Sesso Nr. di pazienti Percentuale

Maschi 15 47 %

Femmine 17 53 %

Totale 32 100 %

TABELLA 3

Età, durata degenza Media Range

Età 68 anni 20-88 anni

Durata degenza 7 giorni 17 h 1-60 giorni

TABELLA 4

Diagnosi ammissione Nr. di pazienti Percentuale

Post-chirurgici 20 62 %

Medici 12 38 %

I risultati ottenuti, dopo la somministrazione del questionario ai 32 pazienti indagati, sono riassunti nella tabella seguente (tabella 5).

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10 TABELLA 4 n sì/n tot PERCENTUALE ANSIA 24/32 75% SETE 21/32 66% PAURA 20/32 63% DOLORE

- Se sì farmaci per controllarlo - Se sì miglioramento sintomo 19/32 17/19 12/17 59% 89% 70% INSONNIA 15/32 47% RUMORE 11/32 34% FREDDO 8/32 25% INCAPACITA’DISTINZIONE GIORNO/NOTTE 8/32 25% MANCANZA DI INFORMAZIONI 7/32 22% CONTENIMENTO FISICO 6/32 19% FAME 4/32 13% SOLITUDINE 2/32 6,25% CALDO 1/32 3,1%

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I pazienti studiati erano, per la maggior parte, circa due terzi, post-chirurgici (63%).

I fattori stressanti che sono stati maggiormente riferiti, in ordine decrescente, erano: ansia (75%), sete (66%), paura (63%) e dolore (59%). Significativi si sono rivelati anche la presenza di insonnia: quasi un malato su due (47%), il fastidio dovuto ai rumori (34%), il freddo (25%), l’incapacità di distinguere il giorno dalla notte (25%) e la mancanza di informazioni riguardo il proprio stato di salute (22%).

Dei sette pazienti che hanno riferito di aver ricevuto poche o punte notizie sulle proprie condizioni di salute, tre pazienti (43 %), hanno riferito che le notizie anziché essere date a loro erano state date ai loro familiari, in momenti in cui sarebbero stati in grado di recepire queste informazioni.

Il questionario prevedeva anche di riferire il peggior ricordo associato alla degenza. Di seguito riportiamo le risposte ottenute.

Peggior ricordo (totale 32 ricordi, uno per ogni paziente, il suo peggior ricordo):

- sete/arsura/bocca asciutta: 9 pazienti su 32 (28%),

- dolore: 5/32 (16%),

- non lo sa/ non ha un ricordo peggiore: 4/32 (13%), - paura (di morire,

di non avere il controllo della situazione): 4/32 (13%), - senso di alienazione/difficoltà distinguere realtà/sogno: 3/32 (9%), - senso di costrizione/immobilità 3/32 (9%),

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- claustrofobia: 1/32 (3%),

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2.5 DISCUSSIONE

L’intento dello studio da me fatto presso l’Ospedale San Luca di Lucca nell’estate del 2018 è stato quello di valutare l’impatto dei fattori stressanti presenti in Terapia Intensiva sul confort complessivo del paziente ivi ricoverato. L’indagine è stata effettuata in un ospedale periferico (non universitario) con lo scopo di rappresentare ciò che potrebbe avvenire in una comune realtà italiana. Non vi è motivo per credere che i dati ottenuti non abbiano ampia applicabilità nelle Rianimazioni italiane.

La letteratura scientifica evidenzia come le percezioni del soggetto degente in Terapia Intensiva possano influire negativamente sulla sua qualità di vita sia al momento del ricovero che dopo la dimissione. Le esperienze vissute possono essere così sconvolgenti e negative da portare allo sviluppo di un vero e proprio disturbo post-traumatico da stress.

Di seguito prenderemo in considerazione ciascun fattore singolarmente confrontando i nostri dati con quelli già presenti in letteratura.

Sonno

Il sonno in Terapia Intensiva

Le alterazioni del ritmo sonno-veglia sono estremamente comuni nei pazienti ricoverati in terapia intensiva e spesso vengono sottovalutate2.

In questi soggetti il riposo appare disturbato, frammentato, superficiale e quindi, nel complesso, si rivela essere qualitativamente insoddisfacente. In uno studio effettuato nel 2013 da Elliot R. e altri, 57 pazienti critici sono stati sottoposti a monitoraggio polisonnografico per 24 ore; in tale occasione sono state registrate numerose alterazioni dell’architettura del sonno: i soggetti

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dormivano prevalentemente nelle ore diurne (inversione del ritmo circadiano) ed in maniera superficiale (prevalenza degli stadi 1 e 2 della fase non-REM), mentre di notte presentavano frequenti risvegli.3 Un lavoro di Franck e altri

del 2011 ha evidenziato inoltre che una buona percentuale di pazienti ricoverati in Rianimazione ha presentato disturbi del sonno durante la degenza, ha mantenuto alterazioni simili anche dopo la dimissione.4

Un dato interessante da osservare è che, nonostante il trascorrere degli anni, non si noti una differenza significativa in termini di miglioramento della qualità del sonno per questi pazienti. Uno studio effettuato nel 1985 che prevedeva l’osservazione elettroencefalografica di nove soggetti ricoverati per monitoraggio post-operatorio dopo chirurgia non cardiaca, evidenziava infatti una grave o completa soppressione della fase REM e degli stadi del sonno non-REM più profondi,5 analogamente ai dati presentati dalle pubblicazioni più

recenti sopraccitate.

Cause di privazione del sonno in terapia intensiva

Vi sono numerosi fattori che possono inficiare la qualità del riposo nei pazienti critici: componenti ambientali come l’eccesso di rumore e d’illuminazione, le attività di cura e la ventilazione meccanica, i farmaci che vengono somministrati quotidianamente, ma anche la malattia acuta stessa, il dolore e la presenza di patologie d’organo pregresse od acquisite.

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Rumore

Il rumore in Terapia Intensiva

Il rumore è uno dei principali fattori disturbanti il sonno.6 E’ stato dimostrato

che l’intensità del rumore in Terapia Intensiva è compresa fra 50 e 75 dB con picchi di 85 dB.7 Una tale intensità di rumore è paragonabile a quella di una

fabbrica (80 dB) o di un ufficio affollato (70dB), molto più del rumore misurato in una tipica stanza da letto (40 dB).8 Fra le specifiche fonti di rumore il 26%

risulta provenire dalle conversazioni tra medici o infermieri, e questa sembra essere, assieme agli allarmi dei monitor e delle pompe di infusione dei farmaci, la sorgente più frequentemente associata a risvegli ed interruzione del sonno. Anche quando soggetti sani hanno dormito in camere singole di Terapia Intensiva, ci sono stati cambiamenti nell’architettura del sonno e una frammentazione dello stesso, nonostante bassi livelli di picco dei suoni. Una possibile spiegazione è che l’interruzione del sonno sia causata prevalentemente da variazioni nel livello di rumore, piuttosto che da rumori intensi ma relativamente costanti.

La frequente manipolazione dei pazienti addormentati continua ad essere la norma nelle unità di Terapia Intensiva. Alcuni studi hanno documentato una media di 40-60 contatti diretti con il paziente durante la notte per attività quali medicazioni, somministrazione di farmaci e altre attività assistenziali. Di fatto, circa il 10% dei risvegli nel corso di 24 ore sembrano essere dovuti alla cura del paziente. In alcuni casi l’interazione col paziente è così frequente che il sonno non disturbato dura dalle due alle tre ore.9

Anche le patologie pregresse del soggetto possono essere correlate a riduzione della qualità del sonno: basti pensare a pazienti affetti dalla sindrome delle apnee notturne o alla presenza di disturbi neurocognitivi.

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Inoltre anche la patologia acuta per la quale il paziente si trova ad essere ricoverato può influire in maniera significativa su questo aspetto. Per esempio alcuni studi hanno dimostrato come procedure chirurgiche portino ad una riduzione o addirittura alla scomparsa del sonno REM, con possibile effetto

rebound nei giorni successivi all’intervento.10

Infine c’è da sottolineare che molti farmaci comunemente utilizzati in terapia intensiva interferiscono in maniera significativa con la qualità del riposo. Alcuni dei principi attivi somministrati infatti riescono ad attraversare la barriera ematoencefalica ed agire direttamente sui neurotrasmettitori implicati nella regolazione del sonno (benzodiazepine, oppioidi, ma anche beta-bloccanti o beta2 agonisti). Sfortunatamente, nei pazienti critici è difficile accertare la modificazione delle proprietà del sonno indotte da un solo farmaco. Inoltre la farmacocinetica può essere alterata in seguito a variazioni del volume di distribuzione o a compromissione della clearance renale o epatica, e può esservi un effetto confondente legato alla componente adrenergica indotta dallo stress acuto. Per queste ragioni gli effetti specifici di molti farmaci sul sonno dei pazienti critici restano ancora oggi poco chiari.11

Circa la metà dei pazienti da noi osservati, il 47%, ha sostenuto di aver avuto disturbi del sonno durante la degenza. In accordo con i dati riportati in letteratura molti dei soggetti da noi intervistati riferivano frequenti risvegli notturni e/o incapacità di addormentarsi. L’alterazione del ritmo sonno-veglia e l’impossibilità di poter godere di un sonno qualitativamente e quantitativamente efficace hanno un impatto negativo sull’outcome del paziente. La privazione di sonno infatti ha conseguenze sia sulle funzioni neurocognitive (aumento dei livelli di irritabilità ed ansia) che organiche

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(incremento delle citochine pro-infiammatorie, instabilità della pressione arteriosa sistemica, aumentato rischio di infarto miocardico, alterazione della risposta immunitaria, ridotta tolleranza glucidica).12

Come si può intervenire? Una review recentemente pubblicata sul Journal of

the Intensive Care Society ha evidenziato che basterebbe ridurre l’esposizione

dei pazienti alla luce ed ai rumori per migliorare la qualità del loro sonno. Semplici accorgimenti precauzionali sarebbero risultati essere sufficienti a favorire il riposo dei malati: l’utilizzo di tappi per le orecchie e mascherine sugli occhi che oscurano il campo visivo durante la notte, la diminuzione dei suoni degli allarmi dei monitor, dei telefoni e delle pompe di infusione dei farmaci e l’educazione del personale sanitario ad abbassare il tono di voce durante le conversazioni.13

Dolore

Il dolore, secondo la definizione della International Association for the Study

of Pain (IASP): è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata

a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno. (IASP, 1979). In realtà esso non può essere rappresentato solamente come un fenomeno sensoriale, ma viene visto come l’integrazione di una parte percettiva (la nocicezione), e di una parte esperienziale individuata dallo stato psichico collegato alla percezione di una sensazione spiacevole.14 L’esperienza

del dolore rappresenta quindi la risultante delle dimensioni affettiva e cognitiva, dei ricordi passati ad essa correlati, della struttura psichica e dei fattori socio-culturali di appartenenza dell’individuo.

Il dolore è pertanto un’esperienza soggettiva e l’auto-accertamento deve essere considerato il gold standard per la sua misurazione (il dolore come fenomeno soggettivo può essere solo valutato dal soggetto stesso), inoltre la

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valutazione dall’esterno spesso sottostima il sintomo. Esistono in letteratura diverse scale di valutazione del dolore nei pazienti coscienti. Quelli più frequentemente utilizzate sono la Visual Analog Scale (VAS) e la Numerical

Rating Scale (NRS).

VAS: è la rappresentazione visiva dell’ampiezza del dolore che il malato soggettivamente avverte. La scala vera e propria è rappresentata da un segmento lungo dieci cm (nella versione originale validata), con o senza tacche in corrispondenza di ciascun centimetro. Un’estremità indica l’assenza del dolore e corrisponde a zero, l’altra estremità indica il peggiore dolore immaginabile e corrisponde a dieci. La scala è compilata manualmente dal malato al quale è chiesto di tracciare sul segmento un segno che rappresenti il dolore percepito. La distanza misurata a partire dall’estremità zero corrisponde alla misura soggettiva del dolore.

NRS: si tratta di una scala numerica unidimensionale quantitativa di valutazione del dolore a undici punti; la scala prevede che l’operatore chieda al malato di selezionare il numero che meglio descrive l’intensità del suo dolore, da zero a dieci, in quel preciso momento. “Se zero significa nessun dolore e dieci indica il peggiore dolore possibile, qual è il dolore che prova ora?” Ha la caratteristica di eliminare la necessità della coordinazione visiva e motoria quindi ha maggior possibilità di completamento.

Questi strumenti si possono usare anche con persone che non sanno leggere, come i bambini piccoli e alcuni anziani tuttavia richiedono che i pazienti siano vigili e collaboranti.

La valutazione del dolore nelle terapie intensive mediante queste scale non è sempre possibile, principalmente perché i pazienti sono spesso in uno stato di incoscienza o coma (farmacologico e non). Payen e collaboratori (2001),

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sostenevano che almeno il 63% delle persone assistite in un’unità di terapia intensiva provassero dolore di intensità tra alta e media.15 Nel 2006 Chanques

e colleghi suggerivano che un accertamento sistematico del dolore potesse ridurre la durata della ventilazione meccanica e la probabilità di sviluppare infezioni ospedaliere. 16 E’ facilmente comprensibile quindi come sia di

fondamentale importanza sperimentare metodi e strumenti che consentano una pronta e precisa rilevazione del dolore in questi pazienti. A questo scopo Chanques e colleghi hanno creato la “Behavioural Pain Scale“ (BPS) che ha il fine di valutare l'intensità del dolore nei pazienti in terapia intensiva sedati non tetraplegici, senza terapia curarizzante. 17 (Tabella 6)

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La BPS include tre item (espressione facciale, movimenti degli arti superiori, adattamento alla ventilazione). La somma di tutti i punteggi fornisce un risultato finale che definisce la presenza o assenza di dolore nel paziente. I punteggi vanno da 3 (nessun dolore) a 12 (massimo dolore possibile). Un limite di questo strumento è il suo campo di applicazione: la BPS infatti non può essere utilizzata per tutte le persone sedate o incoscienti: esclude infatti le persone che non sono sottoposte a ventilazione meccanica, tetraplegiche, curarizzate o con neuropatie periferiche.

Il Critical-Care Pain Observation Tool (Tabella 7) è il secondo strumento trovato in letteratura. Si tratta di una scala ideata nel 2006 da Gelinas e colleghi18 che prende in considerazione quattro tipologie di comportamenti

associati alla presenza di dolore: le espressioni facciali, i movimenti del corpo e la tensione muscolare. Il quarto punto considerato si differenzia per le persone intubate e non intubate: nel primo caso viene valutata la compliance con la ventilazione meccanica e nel secondo caso la vocalizzazione, cioè se la persona parla con un tono di voce normale, se piange o singhiozza (nel caso di persone coscienti) oppure se geme, emette o non emette suoni (per persone incoscienti). Ogni sezione prevede un punteggio che varia da 0 a 2, per un punteggio totale possibile compreso fra 0 e 8, dove 0 rappresenta l’assenza di dolore e 8 è il massimo dolore possibile. Questa scala è stata ideata per essere utilizzata nelle UTI come strumento di valutazione del dolore in persone intubate o non intubate e con diversi livelli di coscienza, ma non può essere utilizzata per persone tetraplegiche o a cui sono stati somministrati farmaci curarizzanti.

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TABELLA 7

Nonostante l’esistenza di questi strumenti, nelle linee guida su dolore, agitazione e delirium pubblicate nel 2013, si fa riferimento ad elevata incidenza di dolore nei pazienti ricoverati in terapia intensiva in condizioni di riposo, fino al 50%. Questa quota raggiunge l’80% quando vengono messe in atto le comuni procedure di cura ed assistenza19.

Il nostro studio ha confermato i dati della letteratura riportati sopra. Il 59% dei pazienti intervistati ha infatti dichiarato di aver avuto dolore durante la degenza in terapia intensiva. Attualmente nella maggior parte delle Rianimazioni le scale per la valutazione del dolore nel malato critico non vengono utilizzate. E’ possibile che questo porti ad una sottostima del sintomo dolore che, quindi, non viene trattato con l’accuratezza che meriterebbe predisponendo il soggetto oltre che ad una sofferenza soggettiva evitabile, allo sviluppo di complicanze a breve ed a lungo termine (polmoniti, infezioni, trombosi venose profonde, aumento del rischio cardiovascolare, depressione

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psichica, comparsa di dolore cronico) che, nel complesso, peggiorano la prognosi20.

Sete

La sete è una percezione che provoca l’urgenza di bere liquidi. Il meccanismo che sottende l’assunzione di fluidi è dovuto ad un complesso sistema, coinvolgente segnali ionici e neurormonali, che regola il bilancio di sodio ed acqua nell’organismo. Il sodio è il principale soluto presente nel liquido extracellulare ed il maggior responsabile del mantenimento dell’osmolarità plasmatica. Quando l’osmolarità del liquido extracellulare aumenta, per deficit di acqua oppure per aumento di tonicità, alcune cellule nervose specializzate (cellule osmocettrici) del nucleo sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo anteriore si eccitano ed inviano impulsi, tramite il tratto ipostalamo-ipofisario, all’ipofisi posteriore. I potenziali di azione che giungono in questa sede stimolano il rilascio di ormone antidiuretico (ADH) che, immesso in circolo, raggiunge i reni e qui determina un aumento di riassorbimento di acqua in corrispondenza dei segmenti distali del nefrone. In questo modo i soluti del liquido extracellulare vengono diluiti, correggendo la concentrazione iniziale eccessivamente elevata. Se questo meccanismo non è sufficiente a far rientrare l’osmolarità nel range prestabilito interviene la sensazione di sete che promuove l’assunzione di liquidi per os.

La sete è un sintomo spesso associato a xerostomia che, quando particolarmente intenso, provoca disagio e stress. Nonostante sia un fenomeno pervasivo, sgradevole e debilitante, è scarsamente riconosciuto e quindi poco trattato in terapia intensiva. Oltre il 70 % dei pazienti oncologici ricoverati in una Rianimazione infatti riportano sete anche molto intensa. 21

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Nella nostra indagine la sete è risultata essere presente nel 66% dei casi, cioè

due pazienti su tre. Tra i peggiori ricordi della Rianimazione, il più

frequentemente riportato è stato la sete.

Perché ai pazienti in Rianimazione non viene dato da bere più spesso?

I malati in Rianimazione vengono strettamente controllati dal punto di vista del bilancio idrico ed elettrolitico, ma gli aggiustamenti volemici ed elettrolitici vengono effettuati principalmente per via endovenosa. La somministrazione endovenosa di liquidi non influisce minimamente sulla sensazione soggettiva di sete. L’unico modo per togliere la sete a una persona è dare liquidi per bocca. Uno studio effettuato da Figaro MK e colleghi nel 199722 è esplicativo

in tal senso: un gruppo di giovani volontari sani è stato sottoposto ad idratazione per os oppure mediante sondino nasogastrico. Gli autori hanno osservato che i soggetti che assumevano acqua per bocca avevano una riduzione della sensazione di sete molto maggiore rispetto a coloro che la introducevano tramite sondino nasogastrico, inoltre osservarono che questa diminuzione della sensazione di sete si registrava ancora prima della variazione di osmolarità plasmatica. Questo indica che è necessario stimolare i recettori orofaringei per eliminare la sensazione di sete. L’idratazione parenterale e quella enterale appaiono quindi inutili al fine di evitare che i pazienti abbiano sete.

Perché alla maggior parte dei pazienti in Rianimazione non è permesso di bere anche in assenza di una chiara contro-indicazione medica? In letteratura sono presenti articoli che evidenziano come la via endovenosa, utile per mantenere l’osmolarità plasmatica nella normalità, non sia clinicamente efficace come quella orale per ridurre il senso di sete e di xerostomia23. Da ciò si evince che

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l’unico modo per far smettere ai pazienti ricoverati in terapia intensiva di provare il forte disagio della sete è farli bere.

Paura ed ansia

Il ricovero in terapia intensiva è un momento particolarmente traumatico per la vita emozionale di un individuo. Gli sforzi dei sanitari nei confronti di un malato critico sono principalmente indirizzati alla risoluzione delle patologie organiche; la sfera psicoaffettiva del paziente, per quanto rappresenti una componente fondamentale anche nel processo di guarigione, viene scarsamente considerata, se non totalmente ignorata.

Dal nostro studio è emerso che dei pazienti ricoverati in terapia intensiva il

75% provava ansia ed il 63% paura. L’ansia e la paura erano anche legati ai

peggiori ricordi riguardo la degenza. Molti soggetti, come peggior ricordo, riferivano di aver avuto paura di morire, di essere stati in ansia per le proprie condizioni di salute e di sentirsi angosciati per non avere il controllo della situazione e del proprio corpo.

Probabilmente anche la mancanza di informazioni date direttamente agli interessati (i pazienti stessi) potrebbe aver contribuito a creare una percezione di sé e dell’ambiente circostante instabile e poco chiara. In effetti il 22% degli intervistati ha riferito di non essere stato adeguatamente ragguagliato riguardo il motivo del ricovero, il decorso e la prognosi. I pazienti lamentavano il fatto che le informazioni fossero riferite preferenzialmente ai loro familiari piuttosto che a loro. Il non coinvolgere il paziente nel percorso di diagnosi e cura ma al contrario escluderlo da esso, conduce il malato verso un processo di depersonalizzazione che lo predispone, insieme agli altri fattori stressanti a cui è sottoposto in rianimazione, a sviluppare disturbi dello

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spettro di ansia e panico. Le sensazioni angoscianti vissute in terapia intensiva possono essere così importanti da far sì che si sviluppi un vero e proprio disturbo post-traumatico da stress come ha evidenziato uno studio pubblicato nel 2018 da KK Wu24. E’ importante quindi non sottovalutare il disagio

interiore di cui potrebbe essere vittima il paziente.

Una ultima parola sulla fame in Rianimazione. Non stupisce la bassa incidenza di appetito o di fame nel malato critico. Come ebbe a osservare il padre della nostra Medicina, Ippocrate di Coo, il malato non ha appetito. Pertanto neanche il malato grave, come quello ricoverato in una Rianimazione, ha appetito. Però che dire di quella piccola percentuale di pazienti che riferiscono aver avuto fame in Rianimazione? Non erano affetti da patologia grave?

2.6 CONCLUSIONE

Le mie considerazioni vorrebbero stimolare il personale sanitario ad occuparsi del malato non soltanto da un punto di vista fisico obbiettivo ma anche soggettivo.

La rianimazione non deve essere solo un posto dove i pazienti sopravvivono, bensì dove vivono.1

(26)

26 EPILOGO

Oltre al confronto, fatto sopra, con la letteratura pubblicata in generale sulla percezione soggettiva dei pazienti in Terapia Intensiva, mi è interessato in particolare un paragone con lo studio clinico che mi ha dato lo spunto per questo lavoro, cioè il lavoro pubblicato su The Lancet quasi venti anni fa, nel 1999.25

All’epoca emergeva già che una percentuale elevata dei pazienti intervistati riferiva aver accusato una serie di motivi di disagio durante la permanenza in terapia intensiva.

Tra i peggiori ricordi riferiti vi erano la sete, la solitudine o l’abbandono, i rumori incessanti, la presenza di sonde tracheali e gastriche, il dolore, il contenimento fisico, il vedere o sentire altri pazienti soffrire e morire, l’insonnia, la mancanza di finestre e luce diurna, la paura o il terrore, l’essere sveglio e paralizzato (sic), la presenza di personale non gentile, la luce negli occhi, la tosse, il caldo, la mancanza di informazioni sulle proprie condizioni. Colpiti dai numeri della sofferenza in terapia intensiva nel 1999, ho replicato, con una metodologia simile, l’indagine sulla percezione dei pazienti della loro degenza in rianimazione. Sono passati venti anni, la medicina in generale e la rianimazione in particolare ha visto un costante progresso. Ma vi è stato progresso anche per quanto riguarda l’attenzione alla soggettività del paziente in rianimazione?

Purtroppo il presente studio dimostra l’ancora elevata prevalenza di sofferenza soggettiva nel paziente ricoverato in terapia intensiva.

In tabella 8 un confronto tra i risultati del presente studio clinico e quello di

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27 TABELLA 8 B. Simini (1999) I. Marchini (2018) Ansia 62% 75% Sete 63% 66% Paura 62% 63% Dolore 43% 59% Insonnia 61% 47% Rumore - 34% Freddo 37% 25% Incapacità distinz. giorno/notte - 25% Mancanza informaz. 25% 22% Contenimento fisico - 19% Fame 13% 13% Solitudine 46% 6% Caldo 28% 3%

Dai dati sopra riportati si evince la sostanziale sovrapponibilità dei risultati, salvo per la minor prevalenza della solitudine (scesa al 6 %) e per il caldo (sceso

(28)

28

al 3%). La minor prevalenza di solitudine riflette l’adozione di un regime aperto per i visitatori in Rianimazione. Tale provvedimento è forse il primo che ha preso in considerazione le esigenze soggettive del paziente fino ad oggi troppo spesso dimenticate.

Non è chiaro il motivo della minor percezione del caldo oggi rispetto a vent’anni fa.

Nonostante siano stati fatti alcuni piccoli passi, purtroppo in rianimazione, nel complesso, i pazienti soffrono.

Che fare?

Evidentemente non basta la pubblicazione di lavori sull’argomento. Cosa ci vuole? Una ricerca di G. Bertolini,26 del Gruppo italiano Valutazione interventi

in Terapia Intensiva (GiViTI) dimostra che solo il coinvolgimento del personale

(29)

29

B I B L I O G R A F I A

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Riferimenti

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