1
Università di Pisa
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
Tesi di laurea
La radicalizzazione nelle carceri: analisi e progetti
di prevenzione nel quadro nazionale ed europeo
Il Candidato Il Relatore
Carolina Martinelli Prof. Luca Bresciani
2
Indice
INTRODUZIONE………6
CAPITOLO I
Considerazioni preliminari
1. I concetti di “terrorismo”,
“fondamentalismo-radicalizzazione” e “proselitismo”.………9 2. La correlazione tra le condizioni carcerarie e la radicalizzazione………14 3. Lo Jihadismo quale distorsione della religione islamica..21
4. Parallelismo con l’esperienza degli anni di piombo….…23
5. La situazione italiana nel contesto europeo………..25
CAPITOLO II
La libertà di culto
1. Statistiche………..31 2. La libertà di culto nella costituzione………32 3. La legge dell’ordinamento penitenziario n. 354/1975 e il relativo regolamento esecutivo D.P.R. n. 431/1976…....37 4. Le fonti internazionali………...42
3
CAPITOLO III
La radicalizzazione nelle carceri
1. I soggetti influenzabili………..…49
2. L’influenza interna: gli imam autoproclamati……….51
3. Riconoscere il fenomeno: i ‘sintomi’ e le fasi della radicalizzazione in carcere………..54
CAPITOLO IV
Indicazioni dall’Europa e le esperienze dei Paesi membri
1. La raccomandazione del Comitato dei Ministri agli Stati membri del 10.10.2012 sui detenuti stranieri …………...63 2. La risoluzione del Parlamento Europeo del 25.11.2015.65 3. Il manuale per i servizi penitenziari ………69 4. Il fallimento del programma di de-radicalizzazione del governo francese………..76 5. Il programma sperimentale nelle carceri di Osny e
Fleury-Merogis, realizzato dall’associazione Dialogues
Citoyens……….79 6. I programmi mirati anti-radicalizzazione nelle carceri in Gran Bretagna………..85
7. Il progetto F.A.I.R. – Fight Against Inmate
4
CAPITOLO V
Gli strumenti italiani per la prevenzione della radicalizzazione ed i progetti in atto
1. La lettera circolare dell’ Amministrazione Penitenziaria n.
3619/6069 del 21/04/2009………..89
2. Il trattamento e il regime penitenziario nel circuito AS2...91
3. L’ ufficio per l’attività ispettiva e del controllo (sezione III - analisi e monitoraggi)………...95
4. C.A.S.A. , N.I.C. e la procedura di monitoraggio………..99
5. Il protocollo d’intesa con l’Unione delle Comunità Islamiche in Italia (UCOII)……….105
6. La formazione dei ministri di culto………108
7. Il piano annuale della formazione……….111
8. Il tavolo 7 degli Stati Generali sull’Esecuzione Penale..116
9. Schema di decreto legislativo recante riforma dell’ordinamento penitenziario……….130
10. La proposta di legge C.3558-A……….132
11. Il progetto “Conoscere e gestire il pluralismo religioso negli istituti di pena lombardi”………136
12. Il progetto “Diritti Doveri Solidarietà”………138
13. Gli ultimi progetti del DAP………..141
CONCLUSIONI………..144
6
INTRODUZIONE
Il presente elaborato intende fornire una visione - quanto più possibile - organica del fenomeno della radicalizzazione in carcere, fenomeno che desta sempre maggiore preoccupazione a causa della sua costante diffusione testimoniata, tra l’altro, dall’esultanza manifestata nelle carceri italiane da diversi detenuti dopo gli attentati di Bruxelles e Nizza1, indice di un
risentimento potenzialmente in grado di tradursi in propositi ostili alla fine del periodo di reclusione.2
La degenerazione della funzione del carcere è tutta racchiusa nella banale, ma significativa, espressione ormai corrente secondo cui il carcere sarebbe l’università del crimine: in un certo senso, si entra in carcere con il diploma di delinquente e si esce con il titolo di “specializzato”.
La trasformazione di soggetti comuni in terroristi di matrice
religiosa ha, quindi, le sue radici “nell’addestramento a
delinquere” che i giovani detenuti ricevono dai più anziani ed esperti, radicati inesorabilmente in una dimensione antisociale: questo è quanto riscontrato per la criminalità organizzata ed è quanto accaduto anche nei c.d. “anni di piombo” del terrorismo nazionale.
1 C. GAZZANNI, Terrorismo, l’allarme vero per l’Italia arriva dalle carceri, non dai
migranti, 25/05/2017, in linkiesta.it, http://www.linkiesta.it/it/article/2017/05/25/terrorismo-lallarme-vero-per-litalia-arriva-dalle-carceri-non-dai-migr/34373/: secondo quanto segnalato dalle strutture carcerarie al ministero della Giustizia, i casi di esultanza sono stati ben 163 dopo la strage del Bataclan (13 novembre 2015), 55 dopo gli attentati a Bruxelles (22 marzo 2016) e altri 55 dopo Nizza (14 luglio 2016).
2 Presidenza del Consiglio dei Ministri – sistema di informazione per la sicurezza della
Repubblica, Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza, 2016, pag. 32,
7
Non sorprende, quindi, che il proselitismo riguardi anche il fenomeno della radicalizzazione in carcere del terrorismo islamico.
In questo quadro va rilevato, inoltre, che la legge sull’ordinamento penitenziario è stata approvata in un momento storico in cui la presenza degli stranieri nelle carceri italiane non era così significativa da giustificare per loro un trattamento particolare ma, tra il 1975 e il 2015, tale presenza è cresciuta
percentualmente di circa sei volte3, facendo emergere la
necessità di inserire una disciplina ad hoc dedicata ai detenuti stranieri che ne specifichi bisogni e diritti riprendendo quanto previsto dalle indicazioni europee, per assicurare parità di trattamento tra le varie culture e religioni.
A fronte di quanto premesso, non resta che analizzare la via percorsa dal legislatore italiano nell’affrontare tali problematiche nonché le lacune ancora esistenti ed i progetti in atto, anche alla
luce della normativa, giurisprudenza e – più in generale – delle
indicazioni provenienti dalle istituzioni dell’Unione Europea.
3 Antigone, Conferenza stampa di presentazione del pre-rapporto 2017 sulle carceri
e delle proposte di Antigone per un nuovo ordinamento penitenziario, 27.07.2017, Camera dei Deputati.
8
CAPITOLO I
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
SOMMARIO: 1. I CONCETTI DI “TERRORISMO”,
“FONDAMENTALISMO - RADICALIZZAZIONE” E PROSELITISMO. 2. LA CORRELAZIONE TRA LE CONDIZIONI CARCERARIE E LA RADICALIZZAZIONE. 3. JIHADISMO QUALE DISTORSIONE DELLA RELIGIONE ISLAMICA 4. PARALLELISMO CON L’ESPERIENZA DEGLI ANNI DI PIOMBO. 5. LA SITUAZIONE ITALIANA NEL CONTESTO EUROPEO.
9
1. I CONCETTI DI “TERRORISMO”,
“FONDAMENTALISMO - RADICALIZZAZIONE” E PROSELITISMO.
Ai fini della presente disamina occorre, preliminarmente, chiarire il significato di alcuni concetti base.
Stante la mancanza nella legislazione italiana di una definizione di terrorismo, il giurista non può che fare riferimento alle fonti internazionali ed europee, tra cui spiccano diverse convenzioni internazionali (settoriali), adottate in seno all’ ONU, rivolte a contrastare condotte criminali direttamente o indirettamente connesse al fenomeno terroristico, nonché fonti europee che hanno vincolato gli stati membri ad adeguare le rispettive normative.4
Nella comunità internazionale non esiste, quindi, una definizione precostituita del terrorismo, ma nel tempo hanno preso forma tutta una serie di convenzioni settoriali dalle quali emergono univoche considerazioni di natura empirica che possono aiutarci nel pervenire ad una descrizione del fenomeno.
Dalle esse emerge che il terrorismo è una manifestazione della conflittualità non convenzionale, in quanto esula sia dalla contesa democratica, civile ed ordinata, sia dal classico campo di battaglia regolamentato dal diritto internazionale di guerra, ed è caratterizzata da quattro elementi costitutivi: la violenza criminale, il fine politico / politico-religioso / politico-sociale, la clandestinità a livello di strutture e metodiche, nonché l’azione da parte di una o più aggregazioni non statali (senza, però, potersi
4 A.VALSECCHI, Il problema della definizione di terrorismo, Riv. it. dir. e proc. pen.,
10
escludere la natura di atto terroristico anche per quello compiuto da un singolo individuo).5
A livello europeo, una definizione di terrorismo fu data, per la prima volta, con la Decisione del Consiglio d’Europa del 13 giugno del 2002 per la lotta al terrorismo, obbligando gli stati membri ad adeguare i rispettivi codici penali entro la fine del 2002.
In tal senso, si intende per terrorismo un atto intenzionale, che può recare grave danno ad un paese o ad un’organizzazione internazionale, commesso al fine di intimidire la popolazione, costringere indebitamente i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un paese o un'organizzazione internazionale; sono elencati vari esempi di atti considerati come terroristici con l’inciso che anche la sola minaccia degli stessi è considerata tale. Esempi ne sono gliattentati alla vita di una persona che possono causarne il decesso; attentati gravi all'integrità fisica di una persona; sequestro di persona e cattura di ostaggi; distruzioni di vasta portata di strutture governative o pubbliche, sistemi di trasporto, infrastrutture, compresi i sistemi informatici, ecc..
L'undicesimo considerando introduttivo esclude, peraltro,
espressamente dall'applicabilità della decisione quadro l'attività delle forze armate in tempo di conflitto armato e l'attività delle forze armate di uno Stato nell'esercizio delle funzioni ufficiali. Nonostante la mancanza di una definizione universalmente condivisa del fenomeno, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha tentato di chiarire il concetto nel terzo paragrafo della
5 F. CASCINI, il fenomeno del proselitismo in carcere con riferimento ai detenuti
stranieri di culto islamico, in aa.vv., La radicalizzazione del terrorismo islamico,
11
Risoluzione 1566/2004 che è il frutto delle consultazioni avvenute nell’ambito del Consiglio di Sicurezza su un progetto predisposto da Francia, Germania, Romania, Federazione
Russa, Cina, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti, basandosi sul
capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite; in tal senso, per terrorismo si intende il mettere in atto <<azioni criminali, anche
contro i civili, commessi con l'intento di causarne la morte o gravi lesioni fisiche, o prendere persone in ostaggio, con lo scopo di provocare uno stato di terrore nella collettività o in un gruppo di persone o persone particolari, intimidire una popolazione o costringere un governo o un'organizzazione internazionale a fare o a astenersi dal fare qualsiasi atto, e tutti gli altri atti che costituiscono reati come definito nelle convenzioni e protocolli internazionali relativi al terrorismo>>6.
Tuttavia, alcuni autori hanno sostenuto la natura di compromesso politico più che di definizione tecnica aggiungendo come il Consiglio di Sicurezza non sia l’organo più adeguato per offrire una definizione giuridica di terrorismo internazionale, quanto piuttosto lo sarebbe l’Assemblea Generale; questa, dal canto suo, ha tentato di fornire una definizione7 di “atto
terroristico” nella Risoluzione 49/60 del 1994 intendendo in tal senso un atto criminale teso a provocare uno stato di terrore nella collettività, in un gruppo di persone o in persone specifiche, per
6 “Criminal acts, including against civilians, committed with the intent to cause death
or serious bodily injury, or taking hostages, with the purpose to provoke a state of terror in the general public or in a group of persons or particular persons, intimidate a population or compel a government or an international organization to do or to abstain from doing any act, and all other acts which constitute offences within the scope of ad as defined in the international conventions and protocols relating to terrorism, are under no circumstances justifiable”.
7 La dottrina si è divisa tra chi ha stimato tale definizione troppo generica e chi, come
12
fini politici8, aggiungendo come tali atti siano ingiustificabili a
prescindere da ogni circostanza.9
Le finalità dei gruppi terroristici possono essere le più varie e, infatti, radicalizzazioni violente si sono avute nel corso di conflitti sociali, etnici e religiosi.
Per quanto riguarda il terrorismo religioso, ad oggi i gruppi più visibili sono quelli legati al terrorismo religioso-fondamentalista, radicati, cioè, in una concezione rigorosa della religione stessa che ripudia ogni pensiero evolutivo.
Le forme più drammatiche di questo tipo di violenza si richiamano ad un’interpretazione radicale – e distorta - dell’islam, le cui azioni vengono presentate come espressione di una guerra santa contro i valori laici e occidentali, anche se non mancano episodi di attacchi terroristici di gruppi religiosi-fondamentalisti appartenenti ad altre religioni (basti pensare al fondamentalismo israeliano o a quello cristiano e ai suoi attacchi contro cliniche che effettuano interruzioni volontarie di gravidanza).
In merito all’evoluzione organizzativa, il primo profondo
cambiamento strutturale di Al-Qaeda10 è avvenuto già dopo gli
attentati di Madrid (11 marzo 2004) e Londra (7 luglio 2005), quando si è trasformata in una struttura reticolare, con un marchio, ovvero una sorta di copyright ideologico ai gruppi jihadisti disseminati nel mondo.
8 “criminal act intended or calculated to provoke a state of terror in the general
public, a group of persons or particolar persons for political purposes”
9 S. POLI, Nazioni Unite e foreign terrorist fighters, dipartimento di scienze politiche
e internazionali, tesi di laurea anno accademico 2014/2015, pagg. 53 ss.
10 J. BURKE, Al-Qaeda. La vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pagg. 21-23: <<E’ un
movimento paramilitare islamista, sunnita, terroristico. E’ nato nel 1989 ed è fautore di ideali riconducibili al fondamentalismo islamico. Le sue azioni sono di natura violenta e si oppongono a regimi islamici filo-occidentali definiti munafiqun (ipocriti), e al mondo occidentale in generale, definito sommariamente infedele. Osama Bin Laden lo ha guidato fino alla sua morte, nel 2011, avvalendosi della collaborazione del medico egiziano Ayman al Zawahiri>>.
13
Da allora, sul piano strettamente funzionale ed operativo, le cellule jihadiste non hanno avuto più la necessità di coordinarsi nella programmazione degli obbiettivi terroristici, in quanto, condividendo strategie e i principi ideologici unificanti, risultavano accomunate da un’unitaria rappresentazione del nemico.
Attualmente, l’organizzazione sembrerebbe essere entrata in una fase di spontaneismo armato e di diffusione molecolare, il che non significa che Al-Qaeda11 abbia rinunciato alla propria
vocazione strategica, operativa ed ideologica a livello centrale, quanto piuttosto che la base jihadista sta concentrando le proprie energie progettuali e la maggior parte delle azioni terroristiche all’interno di specifici contesti regionali, di particolare significato geopolitico.12
Per proselitismo si intende l’opera (che può essere lecita o illecita) volta ad attrarre nuovi seguaci di un’organizzazione, costituendo, quindi, la base per la sopravvivenza e l’ulteriore sviluppo della stessa.
Le religioni soprannazionali tendono ad esercitare proselitismo partendo dalla convinzione di essere la ‘vera religione’, non legata ad un singolo popolo ma valida per tutti.
11 Al-Qaeda e Isis sono i due gruppi terroristici più importanti operanti nell’ universo
jihadista, entrambi sunniti, con l’obbiettivo comune di creare uno stato islamico a immagine e somiglianza di quello costruito a suo tempo dal profeta Maometto e dai califfi suoi successori, ma con molteplici differenze: non solo, alla base della dottrina dell’ISIS vi è la convinzione che le basi per la creazione del califfato siano già state poste e, dunque, a differenza di Al Qaeda, si ritiene che le azioni violente perpetrate ai danni dell’occidente abbiano l’obiettivo di difendere una comunità di fatto esistente, anziché quello di lottare per una sua edificazione; divergono anche nel modus operandi e, peraltro, in nome della strategia del terrore, l’ISIS ha inaugurato una metodologia d’attacco piuttosto estrema, chiamata “takfirismo”, che accetta il rischio di uccidere altri musulmani quando tale sacrificio è considerato utile alla causa. C. ROMBOLA’, Al Qaeda vs ISIS: le differenze tra i due gruppi terroristici, 22.07.2016 in liberopensiero.eu, https://www.liberopensiero.eu/2016/07/22/al-qaeda-isis-differenze/.
14
Ciò premesso, il proselitismo islamico, volto ad attrarre nuovi seguaci per compiere (anche) atti terroristici, viene effettuato, prevalentemente, tramite il web e nelle carceri; tuttavia, come spiega Gianluca Ansalone, esperto di strategia, sicurezza e intelligence, il ‘salto di qualità’ che conduce ad attentati sanguinari avviene prevalentemente nelle carceri, ricordando come la prima linea dei comandanti dell’Isis13 si siano formati
proprio in carcere.14
2. LA CORRELAZIONE TRA LE CONDIZIONI
CARCERARIE E LA RADICALIZZAZIONE
Nella lettera “Il sultano e san Francesco” di Tiziano Terzani, datata ottobre 2001, in risposta all’articolo “La rabbia e l’orgoglio” di Oriana Fallaci, che la scrittrice aveva pubblicato all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre, l’autore afferma: “Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi ma eliminando le ragioni che li rendono tali”.15
13 M. MOLINARI, Il Califfato del terrore. Perché lo Stato Islamico minaccia l’Occidente,
Rizzoli, Milano, 2015, pagg. 10-11: <<[Anche detto Is], è un progetto politico d lungo termine con confini mobili […]. Frutto delle idee di Abu Musab al-Zarqawi, proclamato “Califfato” il 29 giugno 2014 da Abu Bakr al-Baghdadi, ha ridisegnato la geografia del Medio Oriente cancellando i confini di Iraq e Siria prodotti dagli accordi di Sykes Picot del 1916. Si proietta contro gli stati postcoloniali che sorgono all’interno della mappa di “Bilad al Sham”, la leggendaria nazione araba del Levante che corrisponde agli attuali territori di Iraq, Siria, Giordania Libano, Israele e Autorità nazionale Palestinese>>.
14N. FRANCALACCI, Terrorismo: gli attentati vengono pianificati in carcere,
23/01/2015, in Panorama.it, http://www.panorama.it/news/cronaca/terrorismo-gli-attentati-vengono-pianificati-in-carcere/.
15
In questo passaggio il giornalista faceva riferimento ad una situazione molto più ampia e complessa di quella affrontata nella presente trattazione, andando ad indagare le ragioni del terrorismo islamico nel suo complesso; tuttavia, le sue parole risultano essere adeguate anche per quanto riguarda l’argomento -più ristretto- della correlazione tra le condizioni carcerarie e la radicalizzazione.
I dati provenienti dalla maggior parte dei paesi occidentali hanno mostrato quanto le carceri possano trasformarsi in terreni di coltura per i processi di radicalizzazione, luoghi in cui militanti dedicati possono associarsi a individui con idee simili – e in cui molti altri possono, per la prima volta, interfacciarsi con l’ideologia jihadista.
Approssimativamente un terzo (34%) degli attentatori è stato in carcere a un certo punto della propria vita; il periodo trascorso in prigione varia da un minimo di qualche giorno a un massimo di oltre un decennio; alcuni individui, inoltre, sono stati arrestati diverse volte prima di compiere l’attacco.
Nonostante le cifre siano significative, è difficile stabilire se la detenzione abbia realmente svolto un ruolo nel percorso di radicalizzazione; riscontri aneddotici – soprattutto in numerosi episodi francesi – suggerirebbero una risposta affermativa. La grande maggioranza dei terroristi in Europa e Nord America, comunque, non è stata in carcere per reati legati al terrorismo – bensì per questioni di droga, possesso di armi e violenza fisica, tra cui tentato omicidio, rapina e aggressione.16
Il carcere rappresenta un luogo di isolamento dalla società e, spesso, dalle famiglie.
16 E.ENTENMANN, F. MARONE, L. VIDINO, Jihadista della porta accanto.
16
Come scriveva il filosofo greco Aristotele nella sua Politica l’uomo è un “animale sociale” tendente, quindi, per sua natura, a cercare aggregazioni di cui sentirsi parte.
Se, oltre alla sua connotazione di istituto di detenzione per l’esecuzione di una pena, il carcere diviene anche teatro di violenze – fisiche o morali -, luogo in cui vengono negati i più basilari diritti umani che garantiscono all’individuo la dignità di cui necessità in quanto uomo, ecco che il detenuto non rifiuterà aggregazioni che possano alimentare il suo rancore nei confronti della società. 17
Situazioni di sovraffollamento18, mancanza di personale,
condizioni igieniche pessime, in un contesto in cui, nella maggior parte dei casi, non vi sono possibilità di intraprendere attività lavorative, scolastiche o ricreative19 (necessarie per un corretto
e proficuo programma rieducativo20, rieducazione come fine
della pena ai sensi della nostra carta costituzionale21),
amplificano, quindi, il rischio di radicalizzazioni.
17 D. De Robert, Autorità Garante dei diritti delle persone detenute o private della
libertà personale, durante la conferenza “Religione e radicalizzazione negli istituti di pena. Temi e strategie”, tenutasi a Bologna il 21/06/2017, ha affermato che il carcere è un luogo in cui la radicalizzazione verso l’estremismo violento trova terreno fertile, soprattutto nei confronti di soggetti con personalità deboli che risultano vulnerabili nei confronti di chi sembra potergli offrire un senso di appartenenza forte, rispetto alla situazione di abbandono e sofferenza in cui si trova il soggetto in questione in seguito, spesso, ad infrazioni che comportano anche pene medio-brevi.
18 Il tasso di sovraffollamento è al 113.2% e in alcune carceri si torna a scendere sotto
lo spazio minimo previsto di 3m2 per detenuto – ANTIGONE, pre-rapporto 2017 sulle
carceri, 27.07.2017, Roma, Camera dei Deputati, in http://www.antigone.it/upload2/uploads/docs/CartellaStampaPre2017.pdf.
19 Il 28,3% dei detenuti è alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, l’ 1,4%
alle dipendenze di altri soggetti; il 6,2% risulta coinvolto in corsi di formazione professionale, il 24,2% in corsi scolastici. Osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione http://www.antigone.it/osservatorio_detenzione/schede.
20 Corte Cost., sent. 2 luglio 1990 n. 313, in www.cortecostituzionale.it: la
rieducazione è un risultato auspicato ma non assicurato dal sistema penale.
21Art. 27 Cost.: La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato
colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.
17
Se tutto ciò è vero per i detenuti italiani, tanto più risulta intensificato per quanto riguarda gli immigrati: l’immigrato corre dei rischi dal punto di vista della sua salute psichica nella misura in cui la separazione, la partenza, il viaggio, l’arrivo, quasi sempre in clandestinità, creano situazioni di grande dolore. Si fa riferimento in tal senso a particolari aspetti di vulnerabilità psichica, relative alle aspettative individuali, del nucleo di riferimento e del progetto migratorio stesso.
Per i detenuti extracomunitari la psicopatologia prende forma dai fattori socioculturali, influenzati dalla separazione, dalla perdita del sostegno della propria cultura e della famiglia di origine, dall’isolamento sociale, dalla marginalizzazione, dalle relazioni che divengono impersonali e dal cambiamento di ruolo.
La scelta della separazione rispetto al contesto familiare, affettivo, sociale e culturale originario, provoca una rottura dell’equilibrio presente nella vita della persona che decide di emigrare.
L’extracomunitario si trova di fronte alla sfida di dover ridefinire il proprio progetto di vita, deve elaborare il lutto della separazione dal gruppo originario, dai legami costruiti durante l’infanzia e interiorizzati nella sua costruzione psico-affettiva.
Gli aspetti di sofferenza, di disadattamento, di deprivazione sociale e psicologica e di emarginazione, caratteristici di una persona che lascia il proprio paese, si amplificano all’interno del carcere, e alla sofferenza psicopatologica connessa al disagio della migrazione, si aggiungono le problematiche stesse della detenzione.
L’impatto con la quotidianità del carcere aliena il senso del tempo, spersonalizzando i soggetti.
L’ effetto principale delle istituzioni totali sugli individui è il c.d. processo di istituzionalizzazione: i reclusi sono sottoposti ad un
18
processo di spoliazione del sé, separati dal loro ambiente originario e da ogni altro elemento costitutivo della loro identità, condizione che può comportare l’insorgere di sintomi depressivi. Contemporaneamente si verifica un processo di manipolazione, consistente nell’adattamento alla micro-realtà interna e all’assorbimento del sistema di valori in esso vigente.
<<L’adesione ad una religiosità di rottura può derivare dal rifiuto di una vita intesa come semplice occupazione del tempo>>22 e,
nell’ambito dell’istituzione penitenziaria, tale processo di adattamento-istituzionalizzazione è globale, senza spazi alternativi e discrezionali.
Donald Clemmer assume il termine prisonizzazione, inteso come assunzione delle abitudini, degli usi, dei costumi e della cultura prevalente della prigione; il processo di prisonizzazione, implica profonde modificazioni degli schemi cognitivi, dei vissuti emotivi e delle motivazioni dei ristretti, e incide pesantemente sugli equilibri psicologici del detenuto provocando inevitabilmente elevati tassi di alienazione e dissociazione.
Tutto ciò genera conflitto e tensioni e, di conseguenza, il profondo senso di solitudine e di angoscia aumentano.
Il tempo della detenzione diventa luogo di bilancio e riflessione dolorosa sul progetto migratorio ed i suoi risultati, la nostalgia verso il passato e il legame con la famiglia riaffiora in modo acuto e straziante e la legge di separazione sociale vissuta fuori dall'immigrato si accentua e si esaspera dentro.
L’extracomunitario anche in carcere vive l’emarginazione, l’indifferenza, il sospetto, il disprezzo e l’odio; la sua condizione di inferiorità sociale e di minoranza culturale lo mette all’angolo. Solitudine, esclusione sociale, assenza di una rete familiare di supporto creano così un vuoto affettivo.
19
Questo processo psico-sociale diventa un processo alienante che crea tensione, sofferenza e spesso anche patologia.
Ad aggravare il quadro concorrono altri fattori: lo straniero immigrato non conosce la lingua e i codici comportamentali e culturali, spesso non capisce perché è stato condannato, non ha speranze o prospettive future, soprattutto chi vive una situazione di clandestinità.23
Quindi, proprio perché il proselitismo si fa strada tra sentimenti di odio ed esclusione, il primo passo per ridurre detto rischio è quello di migliorare le condizioni carcerarie con conseguente innalzamento del – basso – tenore di vita dei detenuti.
Tutto ciò è confermato dal parlamento europeo che, con una recente risoluzione24, ha manifestato la preoccupazione che il
sovraffollamento delle prigioni possa favorire la radicalizzazione, chiedendo, al contempo, alle autorità nazionali di optare, quanto possibile, per pene alternative alla reclusione: si afferma che gli Stati membri dovrebbero migliorare le condizioni nelle carceri in modo da proteggere la salute e il benessere dei detenuti e del personale, favorire la riabilitazione e ridurre il rischio di radicalizzazione.
Il Parlamento raccomanda, inoltre, delle misure da adottare per prevenire il pericolo della radicalizzazione25; secondo i deputati
la detenzione e in particolare la carcerazione preventiva dovrebbero essere un'opzione di ultima istanza, da utilizzare solo in casi legalmente giustificati e particolarmente inadatta per alcune persone vulnerabili come i minori, gli anziani, le gestanti
23 G. CAPUTO, D. DI MASE, Lo straniero in carcere. Dispense ISSP n.2, settembre 2013,
in Ministero della Giustizia, https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.page?facetNode_1=4_15&contentI d=SPS957019&previsiousPage=mg_1_12#ra7.
24 Risoluzione del Parlamento europeo del 5 ottobre 2017 sui sistemi carcerari e le
condizioni di detenzione (2015/2062(INI)).
20
e le persone che soffrono di gravi malattie o invalidità mentali e fisiche. 26
A tutto ciò si aggiunga, inoltre, che nella religione islamica non vi è una netta distinzione tra reato e peccato, come non vi è una netta separazione tra legge e religione, invadendo, quest’ultima, tutti i campi della vita individuale, sociale e politica del credente27,
ragion per cui il detenuto tenderà a cercare anche una redenzione religiosa, perfino se questa dovesse passare per la via terroristica (come erroneamente insognatogli dagli imam autoproclamati in carcere28: se tu commetti un reato sei un
infedele ed è una cosa molto grave dal punto di vista religioso. L’unica cosa che può salvarti è la scelta di mettere quel reato al servizio del Jihad, della “guerra santa”29).
“La sofferenza per la privazione della libertà, l’emarginazione sociale, l’insoddisfazione nei confronti del sistema giuridico e/o carcerario, a cui può aggiungersi la pressione o violenza (fisica psicologica) del gruppo, l’influenza di soggetti radicalizzati, sono tutti elementi che possono acuire il sentimento di profondo isolamento e di emarginazione dei soggetti più deboli, generando un desiderio di appartenenza, di identità di gruppo, di tutela e guida religiosa, che possono costituire i prodromi di una radicalizzazione.
26 Risoluzione del Parlamento europeo del 5 ottobre 2017 sui sistemi carcerari e le
condizioni di detenzione (2015/2062(INI) in http://www.europarl.europa.eu
27 A. BAUSANI, L’Islam – una religione, un’etica, una prassi politica, Milano, Garzanti,
2015, pag. 37: “la legge positiva (saria) disciplina l’attività umana in quanto esplicata nel mondo esterno, prescindendo da quella fede e da quelle credenze di cui, nel foro interno, è giudice Dio solo. Ma essa disciplina tutta l’attività umana. … questa unitarietà deriva soprattutto dal concetto islamico di Dio. Dio, se, come vero, esiste, è sempre attivissimamente onnipresente e regola direttamente e personalmente tutto. …per il musulmano la legge non è altro se non la diretta e persona volontà di Dio, espressa in chiare lettere al Profeta. Le fonti della legge sono praticamente le stesse della teologia: il Corano, la sunna, l’igma e il ragionamento analogico.”
28 Vedi cap. III.2
2929 A. CALANDRO, L’Islam nel circuito AS2: regime e trattamento penitenziario. Il
ruolo della donna quale operatrice penitenziaria al comandante di reparto, cit., pag.
21
L’impatto con il carcere, unito al sentimento di fallimento esistenziale e la relativa mortificazione, può determinare, in alcuni soggetti, un ritorno alla pratica religiosa o una conversione ad un altro credo.
In vari paesi europei si è assistito, infatti, ad un aumento delle conversioni di individui fragili, che cercano nell’islam una tregua da un passato inquieto.”30
3. JIHADISMO QUALE DISTORSIONE DELLA
RELIGIONE ISLAMICA
Troppo spesso, oggigiorno, viene impiegato il termine “Jihadismo” come equivalente della religione islamica, errore che lungi dall’essere vicino alla verità.
Jihadismo è un neologismo utilizzato per descrivere azioni violente e di matrice terroristica perpetrate da gruppi armati che ne rivendicano la legittimità e l’efficacia sulla base di una personale interpretazione del contenuto teologico dell’islam. 31
<<[Il concetto] risale ai costumi guerrieri degli antichi arabi preislamici. Tali costumi comprendevano combattimenti rituali che vedevano regolarmente contrapporsi le tribù […]. I primi combattimenti dei seguaci di Maometto, a Medina, furono razzie contro carovane meccane, che consentirono di guadagnarsi l’indipendenza economica […]. Dopo la morte del Profeta, l
30 A. ZACCARIELLO, Il fenomeno della radicalizzazione violenta e del proselitismo in
carcere (parte II), Sito online SICUREZZA E GIUSTIZIA, https://www.sicurezzaegiustizia.com/il-fenomeno-della-radicalizzazione-violenta-e-del-proselitismo-in-carcere-ii-parte/.
31 P. MAGGIOLINI, in aa.vv., Jihad e terrorismo. Da Al-qa’ida all’isis: storia di un
22
guerre tribali si trasformarono in conquiste, miranti a diffondere la nuova religione e ad ampliare l’impero>>32.
Ma la parola “jihad” non significa “guerra santa”, come comunemente si crede, bensì “sforzo”, uno sforzo interiore, lotta per raggiungere un determinato obbiettivo, di norma spirituale (jihad maggiore); sforzo serio e sincero che il credente è chiamato a fare per conformarsi al volere di Dio e per rimuovere l’ingiustizia e l’oppressione dalla società.
Il Corano nomina la parola jihad 33 volte con significati differenti (fede, pentimento, azioni buone, emigrazione per la causa di Dio); solo nel caso di guerra difensiva jihad indica un dovere religioso e sociale, chiamata che incombe su tutta la società (jihad minore): “Combattete per la causa di Dio contro coloro che vi combattono, ma senza eccessi, ché Dio non ama coloro che
eccedono” (Corano, Surah al-Baqara, 2:190).
Non si fa cenno, quindi, ad una guerra di aggressione ma solamente difensiva e, inoltre, Dio incita i musulmani ad essere forti e preparati ad una eventuale guerra, aggiungendo: “ma se essi (i nemici) inclinano alla pace, inclina anche tu ad essa e riponi la tua fiducia in Dio” (Corano, Surah al-Anfal, 8:61).
Dal X secolo, però, l’approccio concettuale a questa forma di jihad cambiò radicalmente, diventando lo strumento con il quale giustificare l’azione offensiva della ‘umma’ (intera comunità islamica) contro altri popoli. 33
L’Islam, quindi, è una religione pacifica34 che, se interpretata,
prima, e praticata, poi, in maniera distorta, utilizzando frasi al di fuori del proprio contesto, conduce all’estremismo islamico.
32 S. MERVIN, L’Islam, Mondadori, Milano 2001, pagg. 146-147. 33 F. Cascini, il fenomeno del proselitismo in carcere, cit., pag. 21
34 “Chiunque uccida un uomo, sarà come se avesse ucciso l’umanità intera. E chi ne
23
“Di’: «O miscredenti! Io non adoro quel che voi adorate e voi non siete adoratori di quel che io adoro. Io non sono adoratore di quel che voi avete adorato e voi non siete adoratori di quel che io adoro: a voi la vostra religione, a me la mia».” (Corano, Surah al-Kafirun, 109:1-6).
4. PARALLELISMO CON L’ESPERIENZA DEGLI ANNI DI
PIOMBO
In ambito penitenziario i soggetti detenuti per motivi terroristici sono sempre stati oggetto di un’attenzione particolare; emblematico in tal senso fu l’istituzione delle carceri speciali durante il periodo dei cosiddetti “anni di piombo”.
Negli anni ’70 la situazione carceraria era caotica, caratterizzata da disordini e rivolte fomentate anche dai detenuti appartenenti ad organizzazioni criminose ad ispirazione ideologico-politica che rifiutavano le proposte trattamentali e si dedicavano a fare proselitismo nelle carceri stesse.
Proprio per questa situazione, divenuta incontrollabile, si decise di affidare al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, alto ufficiale dei carabinieri, la gestione di alcune carceri; il generale decise di creare, con d.m. 450/1977, le carceri di massima sicurezza, strutture rafforzate sia architettonicamente che per quanto riguarda le regole, maggiormente stringenti rispetto al regime ordinario, tanto da poterlo definire un regime “pre-riforma”35.
35 La riforma di cui trattasi si riferisce alla l. 354/1975, il cui nodo centrale è
24
La sorveglianza esterna, nonché, l’individuazione e la gestione dei detenuti “pericolosi” venne affidata all’Arma dei carabinieri.
Si venne, così, a creare, il carcere ‘benthamiano’, con detenuti
sorvegliati a vista all’interno ed isolati dall’esterno.
Questo regime, derogatorio rispetto alla riforma del ’75, si fondava – più o meno legittimamente – sull’art. 90 della legge 354/1975 (abrogato con la legge Gozzini 663/1986) anche se, originariamente, non era stato concepito per una situazione diffusa ma per situazioni del tutto eccezionali.36
Le differenze tra il terrorismo regionale degli anni di piombo e quello odierno – internazionale-, sono molteplici ed evidenti37;
tuttavia, l’esperienza carceraria sembra avere una base comune: i terroristi approfittano delle condizioni disagiate dei detenuti per fare proselitismo ed inculcare le proprie idee a soggetti deboli, per alimentare la propria causa e far crescere la propria capacità bellica.
Così, come il generale Dalla Chiesa creò un sistema di rigida sorveglianza per contrastare questo fenomeno, ad oggi il sistema italiano non diverge poi tanto in tal senso, con sezioni di
36 L’art. 90 della l. 354/1975 afferma: “Quando ricorrono gravi ed eccezionali motivi
di ordine e sicurezza, il Ministro per la Grazia e Giustizia ha facoltà di sospendere, in tutto o in parte, l’applicazione in uno o più stabilimenti penitenziari, per un periodo determinato, strettamente necessario, delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza”.
37 Le esperienze del terrorismo degli anni di piombo, sia in Italia che in Germania,
hanno presentato un giovane di elevata cultura, ateo, con un solido equilibrio psicologico pur avendo alle spalle una famiglia difficile, in cui erano deficitarie le figure parentali di riferimento; i terroristi del mondo islamico, hanno invece evidenziato un livello di cultura medio-basso, una famiglia molto solida ed unita e la pericolosa tendenza al fanatismo religioso; in tutti si è osservato che più si chiudevano ed isolavano rispetto alla società, più diminuiva il loro senso di realtà, alimentando così dichiarazioni sempre più farneticanti da rendere ogni loro delirio come giusto e possibile. Tratto da F. Cascini, Il fenomeno del proselitismo il carcere, cit., pag. 24.
25
alta sicurezza e il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo per quanto riguarda il monitoraggio.38
5. LA SITUAZIONE ITALIANA NEL CONTESTO
EUROPEO
Negli ultimi tre anni (giugno 2014 – giugno 2017) i militanti jihadisti hanno compiuto 51 attacchi terroristici in Europa e Nord America. Nessuno di questi episodi ha toccato l’Italia.
I 51 attacchi si sono concentrati in un numero relativamente limitato di paesi (8). Il paese che ha subito il maggior numero di attacchi è la Francia (17), seguito da Stati Uniti (16), Germania (6), Regno Unito (4), Belgio (3), Canada (3), Danimarca (1) e Svezia (1). Pertanto, in Europa sono stati perpetrati 32 attacchi (il 63%), mentre i restanti 19 sono stati eseguiti in Nord America (il 37%).
I 51 attacchi hanno provocato 395 vittime e almeno 1549 feriti, escludendo gli attentatori. La Francia è il paese con il maggior numero di vittime (239), seguita dagli Stati Uniti (76).
In generale, nel caso italiano i fenomeni della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista hanno tratti e portata differenti rispetto a quelli della maggior parte dei paesi europei e occidentali. In primo luogo, la scena jihadista appare, in proporzione meno consistente e meno strutturata. Se, per esempio, si considera come indicatore il numero dei foreign fighters39 partiti per la Siria
38 Vedi capitolo V
39G.CUSCITO, Chi sono e da dove vengono i foreign fighters, 10.03.2015 in
http://www.limesonline.com/chi-sono-e-da-dove-vengono-i-foreign-fighters/76298:
[sono] i combattenti stranieri che si recano in Siria e in Iraq per arruolarsi nelle fila dell’Is. Come dimostrano gli attacchi di matrice di jihadista compiuti in Occidente tra
26
e l’Iraq, il gap appare evidente. Secondo dati recenti, i combattenti stranieri legati all’Italia sono 122; di questi soltanto un’esigua minoranza ha cittadinanza italiana.
A ben vedere, si tratta di un numero relativamente ridotto, a confronto di quelli di altri grandi paesi europei come la Francia (1700 individui), il Regno Unito e la Germania (circa mille in entrambi i paesi), ma anche rispetto a paesi meno popolosi, come il Belgio (470), l’Austria (300), la Svezia (300) e i Paesi Bassi (250).
Nel contesto dell’Europa occidentale, il numero dei foreign fighters legati all’Italia può essere considerato medio/basso in valori assoluti e addirittura molto basso in relazione alla popolazione generale (circa 2 foreign fighters per milione di abitanti, contro gli oltre 40 del Belgio).
Le ragioni di questo divario sono probabilmente molteplici tra cui sicuramente il fatto che l’immigrazione dai paesi a maggioranza musulmana è un fenomeno relativamente recente in Italia e, quindi, gli immigrati di seconda generazione sono entrati nell’età adulta soltanto da poco tempo e l’evidenza empirica mostra che i militanti jihadisti sono spesso figli di immigrati (seconde o terze generazioni che sono quelli con complessi problemi di identità e di riconoscimento a causa del contrasto della cultura di origine con la cultura del paese in cui vivono).
Dall’altro lato, le autorità nazionali hanno conseguito notevoli risultati nella lotta al terrorismo, servendosi anche di strumenti originali nel contesto europeo, come l’uso massiccio di espulsioni
il 2014 e il 2015, il cui apice è rappresentato da quelli di Parigi, il pericolo è che questi una volta addestrati alla guerriglia conducano attentati nei paesi d’origine […] I foreign fighters dell’Is sarebbero in totale circa 20 mila. Questi provengono soprattutto da paesi nordafricani e mediorientali, tremila dalla sola Tunisia. E almeno tremila, secondo la Relazione annuale sulla politica della sicurezza realizzata dall’intelligence italiana,sarebbero i combattenti partiti dall’Europa. I principali paesi di origine sarebbero Regno Unito, Francia, Belgio e Germania. A questi si aggiunge la Russia, che conta circa 800 combattenti stranieri>>.
27
amministrative di cittadini stranieri per motivi di sicurezza dello stato.
Tuttavia, di fronte alla minaccia del terrorismo internazionale di matrice jihadista nemmeno in Italia il rischio è pari a zero. Nella propaganda estremista, per esempio, i riferimenti al nostro paese, solitamente generici, si sono fatti più frequenti negli ultimi anni.40
In Europa è presente una rete di cellule islamiste che non possono ritenersi strutturate rigidamente in un’unica organizzazione gerarchica con un’unica denominazione.
Al contrario, i gruppi conservano la loro identità etnico-nazionale, così distinguendosi, ma restando in contatto, collaborando e specializzandosi: per esempio in Italia nella fabbricazione di documenti falsi, in Germania nel traffico di armi, configurandosi, dunque, una confederazione informale di cellule, ognuna con un referente chiamato “sceicco”.
Il ruolo delle cellule islamiche in Italia è stato prevalentemente di natura logistica, specializzate, come detto, nella fabbricazione di documenti falsi.
I terroristici islamici operanti in Italia, provengono soprattutto dall’area nord africana, anche se vi è traccia di presenze pakistane in aumento che destano una certa preoccupazione. All’inizio degli anni Novanta si stabiliscono in Italia gruppi terroristici algerini appartenenti al Gia (Gruppo Islamico Armato), che si occupano prevalentemente di fare proselitismo.
Si tratta di gruppi isolati che sfruttano i flussi migratori e si innestano nelle comunità etniche per mimetizzarsi meglio, si radicano attorno ai luoghi di culto, moschee e centri islamici.
40 L. VIDINO, F. MARONE, Jihadista della porta accanto. Radicalizzazione e attacchi
28
Nel tempo è stata rilevata la presenza di altri gruppi, quali egiziani Takfit w-Higra (Anatema ed Esilio), Jihad e al-Gamà al-Islamia ed i marocchini, nonché numerosi integralisti tunisini, oppositori del regime di Ben Ali, ben radicati a Milano aderenti alla sigla del Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento.
Le indagini della Procura di Milano hanno dimostrato che l’attività del procacciamento e della circolazione di documenti falsi di buona fattura rappresenta una delle attività fondamentali per lo svolgimento, non solo ordinario, dell’attività terroristica: avere la disponibilità di buoni documenti consente ai leader terroristici (che devono mantenere continui contatti con le cellule periferiche), ovvero agli esecutori di possibili attentati, di girare per il mondo con pochi rischi.
Le cellule si autofinanziano, svolgendo a volte anche attività di micro delinquenza (piccolo spaccio di droga, piccoli furti, etc.). al contrario, non ci sono prove di sostanziali finanziamenti provenienti dal “vertice” per lo svolgimento dell’attività quotidiana degli appartenenti a queste cellule o provenienti dal grande traffico di stupefacenti (ma non vuol dire che non esistano centrali di finanziamento dell’attività del gruppo terroristico unitariamente considerato).41
Per quanto riguarda i dati attinenti alla situazione carceraria
italiana, i soggetti attualmente sottoposti a specifico
“monitoraggio” sono complessivamente 165, a cui si aggiungono 76 detenuti “attenzionati” e 124 “segnalati”42, per un totale di 365
individui. I detenuti ristretti per reati di terrorismo internazionale43,
41 F. Cascini, La radicalizzazione del terrorismo islamico in carcere, cit., pag. 27 ss. 42 Vedi cap. V
43 articolo n.270 bis - associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di
eversione dell’ordine democratico: “chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico (3) è punito con la
29
che rientrano nel novero dei monitorati, sono 44 (separati dagli altri detenuti per evitare il proselitismo e l’indottrinamento ideologico).44
reclusione da sette a quindici anni. Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo [270-sexies] ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego [270-septies].
Articolo n.270 sexies - condotte con finalità di terrorismo: “sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia [270-bis3,
270-septies].
44 Relazione del Ministero, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, sull’
amministrazione della giustizia del 2016 (inaugurazione anno giudiziario 2017), in https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/anno_giudiziario_2017_dap.pd f.
30
CAPITOLO II
LA LIBERTà DI CULTO
SOMMARIO: 1. STATISTICHE. 2. LA LIBERTA’ DI CULTO
NELLA COSTITUZIONE. 3. LA LEGGE DELL’ORDINAMENTO PENITENZIARIO N.354/1975 E IL RELATIVO REGOLAMENTO
ESECUTIVO D.P.R. N. 431/1976. 4. LE FONTI
INTERNAZIONALI. 5. LA PROPOSTA DELL’ASSOCIAZIONE
31
1. STATISTICHE
La società italiana che un tempo era caratterizzata da un'omogeneità culturale che prevedeva il “regime di monopolio religioso del cattolicesimo”, oggi si contraddistingue per il multiculturalismo e pluralismo religioso sempre crescenti, dovuti all'aumento degli stranieri insediatisi sul territorio nazionale, tant’è che nella maggior parte degli istituti penitenziari nazionali l'attuale composizione della popolazione detenuta risulta caratterizzata da un'elevata presenza di stranieri.
Questa variegata e multietnica composizione comporta anche il moltiplicarsi delle credenze religiose a cui i singoli appartengono e pone il problema dell’adeguatezza dei servizi di assistenza religiosa nonché dell’eguale rispetto dovuto agli appartenenti alle diverse confessioni religiose che si trovino privati della libertà personale.
Al 30 novembre 2017 i detenuti presenti nelle carceri italiane sono 58.115 (per una capienza regolamentare di 50.511), di cui 19.903 stranieri. Le nazionalità più rappresentate sono Marocco (18,8%), Romania (13,4%), Albania (13,0%), Tunisia (10,7%),
Nigeria (5,6%), Egitto (3,3%), Senegal (2,4%) e Algeria (2,3%).45
Con riferimento alla situazione presente al 31/12/2015, il maggior numero di detenuti che ha dichiarato la propria appartenenza religiosa è cattolico, con una netta prevalenza di italiani.
Oltre 5.000 sono i detenuti di fede islamica (di cui 119 italiani), poco più di 2.000 gli ortodossi.46
45Giustizia.it
https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?facetNode_1=3_1_6&conten tId=SST67744&previsiousPage=mg_1_14. Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio del Capo del Dipartimento - Sezione Statistica.
46 ANTIGONE, Diritti religiosi in carcere – una risposta razionale alla radicalizzazione,
32
2. LA LIBERTA’ DI CULTO NELLA COSTITUZIONE
Nel quadro della presente trattazione il tema della libertà di culto è il nodo cruciale che delimita ciò che è lecito (e doveroso) nei confronti – anche – dei detenuti, da ciò che non si può fare o impedire loro di fare.
Vedremo, infatti, più avanti, come questo diritto, inviolabile, sia sfruttato dagli jihadisti nel loro modus operandi durante il percorso in carcere che porta alla radicalizzazione dei detenuti.47
Dove può e dovrebbe spingersi lo stato per tutelare il bene della sicurezza pubblica?
È vero che le carceri sono luoghi in cui può strutturarsi una visione estremista dell’Islam con capacità di proselitismo, ma è altrettanto vero che l’esigenza di reprimere il fenomeno della radicalizzazione non può svilire i diritti connessi alla libertà di culto.
La libertà religiosa in Italia è garantita dalla legge fondamentale dello Stato, la Costituzione, sulla quale poggia l’intera normativa vigente in materia e alla salvaguardia dei diritti in essa contenuti sono ispirate le modalità attraverso cui lo Stato regola i propri rapporti con le diverse confessioni religiose presenti sul territorio italiano.
Gli articoli della Costituzione che si occupano direttamente della libertà religiosa sono gli articoli 3, 7, 8, 19, 20; le disposizioni in essi contenute sanciscono: il principio di non discriminazione su base religiosa (articolo 3)48, l’uguaglianza di tutte le confessioni
http://www.associazioneantigone.it/upload2/uploads/docs/CartellaStampaDirittiR eligiosi.pdf.
47 Vedi cap. III
48 Art. 3 cost.: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
33
di fronte alla legge (articolo 8)49, la libertà di professare il proprio
credo, sia individualmente che collettivamente, di promuoverne la diffusione e di celebrarne il culto in pubblico o in privato a meno che i riti non siano contrari al buon costume (articolo 19)50, ed
infine la proibizione di ogni forma di discriminazione o l’imposizione di speciali oneri fiscali nei confronti di associazioni o istituzioni religiose basate sull’appartenenza confessionale (articolo 20)51.
Accanto a questi articoli, ve ne sono altri che interessano indirettamente la libertà religiosa; in particolare, essi sono: l’articolo 2 che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (fra cui rientra quindi la libertà religiosa e di credo)52 e gli articoli
17, 18 e 21 che garantiscono la libertà riunione53, di
espressione54 e la libertà di organizzare associazioni religiose55.
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
49 Art. 8 cost.: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla
legge.Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.”
50 Art. 19 cost.: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa
in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.”
51 Art. 20 Cost.: “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una
associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.”
52 Art. 2 Cost.: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia
come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
53Art. 17 Cost.: “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi.
Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.
Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.”
54 Art. 21 Cost.: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero
con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure…”
55Art. 18 Cost.: “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza
autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.
Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.”
34
Inoltre la Costituzione tratta anche di specifici aspetti della libertà religiosa, come nel caso dell’articolo 7, ove si sancisce che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani e che i loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi, e dell’articolo 8, terzo comma, che prevede lo strumento dell’intesa per la disciplina dei rapporti con le confessioni religiose diverse dalla cattolica. Infine, un’ultima disposizione di rilievo è contenuta nell’articolo 117, secondo comma, lettera c), il quale riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la materia dei rapporti con le confessioni religiose.56
Tornando allo strumento previsto dall’art. 8, terzo comma, le richieste di intesa vengono preventivamente sottoposte al parere del Ministero dell'Interno, Direzione Generale Affari dei Culti; la competenza ad avviare le trattative, in vista della stipula di una intesa, spetta al Governo.
Le Confessioni interessate si devono rivolgere quindi, tramite istanza, al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale affida l'incarico di condurre le trattative con le rappresentanze delle Confessioni religiose al Sottosegretario-Segretario del Consiglio dei Ministri.
Le trattative vengono avviate solo con le Confessioni che abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica ai sensi della legge n. 1159 del 24 giugno 1929, su parere favorevole del Consiglio di Stato.
Il Sottosegretario si avvale della Commissione interministeriale per le intese con le Confessioni religiose affinché essa predisponga la bozza di intesa unitamente alle delegazioni delle
56 I. MUCCICONI, A. NARDINI, presidenza del consiglio dei ministri ufficio del
segretario generale - Ufficio Studi e Rapporti Istituzionali, l’esercizio della libertà
religiosa in Italia, 2013, pag. 6, in http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/Esercizio_liberta_religiosa_italia.pdf .
35
Confessioni religiose richiedenti. Su tale bozza di intesa esprime il proprio preliminare parere la Commissione consultiva per la libertà religiosa.
Dopo la conclusione delle trattative, le intese, siglate dal Sottosegretario e dal rappresentante della confessione religiosa, sono sottoposte all'esame del Consiglio dei Ministri ai fini dell'autorizzazione alla firma da parte del Presidente del Consiglio: dopo la firma del Presidente del Consiglio e del Presidente della Confessione religiosa le intese sono trasmesse
al Parlamento per la loro approvazione con legge.57
Ciò premesso, i soggetti di religione islamica, alla pari di tutti, godono pienamente dei diritti assicurati dall'art. 19 della Costituzione, in quanto non può esservi dubbio sul carattere di religione dell'Islam.
Tuttavia, manca, ad oggi, un’intesa con la comunità islamica, intesa concepita dai costituenti, per dare la stessa od almeno un'analoga libertà e dignità alle confessioni religiose esistenti in Italia.
L’intesa è strumento per dare effettiva attuazione alla libertà religiosa e per disciplinarne le concrete modalità (anche in ambito penitenziario).
Probabilmente, le ragioni di questa cautela del governo italiano risiedono nel problema della compatibilità della cultura islamica
con quella occidentale, nonché nel problema della
rappresentanza dell’Islam, diviso in più riti e gruppi, ove manca una gerarchia ed una struttura che lo possa unitariamente
57 Governo italiano – Presidenza del Consiglio dei Ministri, Procedura per la stipula di
un’intesa con lo stato italiano, in servizio per i rapporti con le confessioni religiose e
per le relazioni istituzionali, http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/intese_indice.html.
36
rappresentare, come succede invece per le grandi chiese cristiane e prima di tutto per la Chiesa cattolica. 58
Per ovviare al problema, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con la circolare 535554 del 6 maggio 1997, stabiliva “con il Ministero dell’interno una procedura che prevede l’individuazione da parte della direzione dell’Istituto del ministro di culto, la comunicazione delle sue generalità all’Ufficio Centrale Detenuti e Trattamento, l’acquisizione dal Ministero dell’interno del parere di rito per rilasciare l’autorizzazione all’accesso”. Circolare confermata dalla successiva n.508110 del 2 gennaio 2002, che chiedeva inoltre di “specificare anche la moschea o la comunità di appartenenza dell’Imàm e di comunicare alla Direzione Generale i nominativi di tutti i rappresentanti di fede Islamica autorizzati all’ingresso nelle carceri, anche ai sensi dell’art.17 O.P.14”.59
Comunque, nel febbraio 2010 viene costituito, presso il ministero dell’Interno, con l'allora ministro R. Maroni, un Comitato per l'Islam italiano, quale "organismo consultivo di carattere collegiale con funzioni consultive sui temi dell'immigrazione, con lo scopo di migliorare l’inserimento sociale e l’integrazione delle comunità musulmane nella società italiana", ma dobbiamo attendere gennaio 2016, per avere un nuovo Consiglio per le relazioni con l’Islam, con l'allora ministro A. Alfano, che porta alla stipula del "Patto nazionale per un Islam italiano" nel febbraio 2017, passo che potrebbe porre le basi per la futura stipulazione di un’intesa.
58 L. MUSSELLI, Libertà religiosa ed islam nell’ordinamento italiano, Dir. eccl., fasc.2,
1995, pag. 444.
59 A. CALANDRO, L’Islam nel circuito AS2: regime e trattamento penitenziario. Il
ruolo della donna quale operatrice penitenziaria: dall’Educatore al Comandante di Reparto, cit., pag. 53.
37
Il Patto, richiamando e ribadendo i valori fondanti e inalienabili della nostra Costituzione in termini di libertà di culto, si prefigge di "creare un islam italiano legittimo, civilizzato", prevedendo un'adeguata formazione degli imām (e sarà compito del ministero dell’Interno accompagnare questa formazione e i nomi degli imām dovranno essere pubblici, per scongiurare il pericolo di imam “fai da te”)60, anche grazie al contributo delle università
statali, l’uso dell’italiano nei sermoni, le occasioni di incontro con le comunità territoriali, le istituzioni e le altre religioni rappresentate laddove i musulmani vivono. Dovrà, inoltre, essere garantito l’accesso a non-musulmani ai luoghi di preghiera.
Principio cardine di questo nuovo documento è quello di «ripudiare qualsiasi forma di violenza e terrorismo» come pre-requisito base su cui fondare una «forte integrazione» per una società «più sicura» .61
3. LA LEGGE DELL’ORDINAMENTO PENITENZIARIO N.
354/1975 E IL RELATIVO REGOLAMENTO
ESECUTIVO D.P.R. N. 431/1976
La libertà religiosa e di culto, all’interno degli istituti di prevenzione e di pena è essenzialmente regolato dalla
60 Vedi cap. III
61A. M. SCALABRIN, Il nuovo Islam italiano al Viminale Il "Patto nazionale per un
Islam italiano" - Le nuove basi per un'intesa fra Stato italiano e Islām? Il min. dell'Interno Minniti incontra al Viminale il Consiglio per le relazioni con l’Islam italiano, 27/02/2017, in islamitalia.it, http://www.islamitalia.it/islamologia/consiglio_islam.html.
38
legislazione statale unilaterale, in particolare dalla legge n. 345 del 1975 - Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, e dal D.p.r. n. 230 del 2000 - Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà, che disciplinano l'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà per i condannati e gli internati.
Già l'art. 1, secondo comma, ord. pen., prevede che il trattamento dei detenuti sia “improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e credenze religiose” e, sempre in linea generale, che la religione sia ricompresa tra gli elementi utili alla rieducazione del detenuto, insieme ad altri fattori quali il lavoro, l’istruzione, le attività culturali, ricreative e sportive (art. 15 ord. pen.)62.
Tuttavia sono l‘art. 2663 ord. pen. e l’art. 59 reg. esec. che fissano
i cardini del nuovo sistema di relazioni tra la realtà carceraria e la religione: secondo il dettato dell’art. 26 ord. pen., nell'ottica di garantire la piena assistenza spirituale in sede carceraria, lo Stato deve tutelare il fattore religioso in tre direzioni: libertà di professare la propria fede; libertà di istruirsi nella propria religione; libertà di praticare il culto. Il secondo comma della norma aggiunge poi, oltre all’assicurata celebrazione del culto cattolico, l’assistenza che i ministri del culto possono fornire ai
62 Art. 15, comma 1, legge n. 345 del 1975: “Il trattamento del condannato e
dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia”
63 Art. 26, legge n. 354 del 1975: “I detenuti e gli internati hanno libertà di professare
la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto. Negli istituti è assicurata la celebrazione dei riti del culto cattolico. A ciascun istituto è addetto almeno un cappellano. Gli appartenenti a religione diversa dalla cattolica hanno diritto di ricevere, su loro richiesta, l'assistenza dei ministri del proprio culto e di celebrarne i riti”.