Anno Accademico 2017-2018
Università di Pisa
Corso di Laurea Specialistica in Medicina e ChirurgiaDipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia
Tesi di Laurea
Outcome ostetrici in pazienti precedentemente
sottoposte a LEEP
RELATORE:
Prof. Paolo Mannella
Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia
CANDIDATO
:
2
1 Sommario
2 IL CARCINOMA DELLA CERVICE UTERINA ... 6
2.1 EPIDEMIOLOGIA ... 6
2.2 FATTORI DI RISCHIO ... 7
2.3 IL RUOLO DI HPV ... 8
2.4 DIAGNOSI ... 13
2.4.1 Diagnosi precoce: screening ... 14
2.4.2 Citologia ... 18
2.4.3 HPV test ... 19
2.5 ANATOMIA PATOLOGICA DELLE LESIONI PRECANCEROSE ... 19
3 TERAPIA DELLE LESIONI PRECANCEROSE E CANCEROSE MICROINVASIVE DELLA CERVICE UTERINA ... 30
3.1 LEEP ... 32
3.2 CONIZZAZIONE CON LAMA FREDDA (CKC cold knife cone) ... 35
3.3 CRIOTERAPIA ... 35
4 LEEP E SUE CONSEGUENZE SULLA GRAVIDANZA ... 37
4.1 LEEP E PARTO PRETERMINE ... 38
4.2 LEEP E RISCHIO DI ABORTO ... 50
4.3 LEEP E STENOSI DEL CANALE CERVICALE ... 51
4.4 LEEP E PARTO CESAREO ... 52
5 OBIETTIVO DELLA TESI ... 53
6 MATERIALI E METODI ... 54
7 RISULTATI ... 58
7.1 ANALISI DEI PARTI SPONTANEI ... 58
7.1.1 Parti Spontanei: Primigravide ... 62
7.1.2 Parti Spontanei: Multipare ... 65
7.1.3 Volume del Cono ed effetti sul Travaglio di parto ... 67
7.2 ANALISI DEI PARTI INDOTTI... 74
3
7.4 ANALISI DEI PARTI CESAREI ... 80
7.5 MINACCIA DI PARTO PRETERMINE (MPP) ... 82
7.6 OUTCOME NEONATALI ... 85
7.7 REFERTI ISTOLOGICI ... 88
8 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ... 90
8.1 Età gestazionale e Parto Pretermine ... 90
8.2 Andamento del Travaglio nella popolazione dei Parti Spontanei ... 91
8.3 Induzioni e fallite induzioni ... 93
8.4 Minaccia di Parto Pretermine ... 93
8.5 Parti Cesarei ... 94
8.6 Peso neonatale ... 94
8.7 Diagnosi istologica ... 95
9 BIBLIOGRAFIA ... 97
4
6
2 IL CARCINOMA DELLA CERVICE
UTERINA
2.1 EPIDEMIOLOGIA
Il carcinoma della cervice uterina rappresenta nel mondo la seconda neoplasia per incidenza nel sesso femminile, si contano circa 500000 casi diagnosticati ogni anno, con un picco di incidenza massimo tra i 25 e i 35 anni. È stato stimato che il cervicocarcinoma causi più di 270.000 morti ogni anno in tutto il mondo, e di queste oltre l’85% riguardino paesi meno
sviluppati. Il carcinoma della cervice uterina, infatti, rappresenta un esempio di diseguaglianza sociale con 2/3 dell’incidenza e delle morti
localizzate nei paesi in via di sviluppo dove il test di screening (pap test) non è stato adottato. [1] In Italia esso rappresenta per frequenza il 9° tumore nel sesso femminile; i dati di letteratura più recenti indicano 1515 casi nel 2012 (contro i 3500 del 2006), con un’incidenza standardizzata
per età di 4 casi ogni 100.000 donne [2]. Il Ministero della Salute indica 2.300 nuovi casi nel 2017.
7
2.2 FATTORI DI RISCHIO
I fattori di rischio per lo sviluppo del carcinoma della cervice uterina sono numerosi e consistono prevalentemente in abitudini che favoriscono l’infezione da parte di HPV: primi rapporti sessuali in giovane età, l’aver
avuto multipli partner sessuali, una storia di infezioni sessualmente trasmesse. Le condizioni associate all’immunodepressione, quali l’utilizzo continuativo di corticosteroidi o l’infezione da herpes virus, sembrano inoltre contribuire allo sviluppo della malattia invasiva. L’uso
di contraccettivi orali sembra associato con un aumentato rischio di cervicocarcinoma soprattutto nella variante adenocarcinoma [3]; il fumo di sigaretta presenta al contrario una correlazione con l’istotipo squamoso
e il suo meccanismo d’azione sembra sia associato alla deplezione delle cellule di Langherans che presentano a livello locale un’azione di difesa
[4].
Importante è anche ricordare l’aumentata suscettibilità nella popolazione
immunocompromessa e in particolare nella popolazione HIV-positiva: il carcinoma della cervice uterina, insieme ad altri carcinomi virus-correlati/virus-indotti (sarcoma di Kaposi, linfoma di Burkitt, linfoma immunoblastico, linfoma primitivo cerebrale), rappresenta una delle patologie definenti lo stadio di AIDS [5].
8
2.3 IL RUOLO DI HPV
L’infezione persistente da parte del Papillomavirus umano (HPV) ha un
ruolo determinante per lo sviluppo della displasia e del cervicocarcinoma. Il tasso di prevalenza di HPV in queste pazienti supera il 99%.
La prevalenza dell’infezione ha un caratteristico andamento bimodale, con
un picco di incidenza nelle giovani donne di età inferiore ai 25 anni e un secondo picco intorno ai 55-60 anni.
La famiglia degli HPV è suddivisibile in sottotipi virali differenziabili sulla base del sequenziamento del DNA virale: si riconoscono ad oggi più di 200 sottotipi distinti di HPV, dei quali 40 possono essere trasmessi per via sessuale. Tra i vari sottotipi virali circa 30 possono essere considerati oncogeni per l’uomo: due di questi, HPV-16 e HPV-18, sono responsabili di più del 50% di tutte le lesioni precancerose della cervice uterine e causano oltre il 70% di carcinomi della cervice in tutto il mondo; essi hanno infatti un ruolo predominante nello sviluppo del cervicocarcinoma nelle due varianti istologiche più frequenti, squamoso e adenocarcinoma [6].
HPV è prevalentemente trasmesso per via sessuale, la maggior parte delle infezioni avviene durante i primi rapporti sessuali essendo questo virus
9
estremamente diffuso nella popolazione: nonostante l’alta prevalenza di HPV (prevalenza che supera l’80% nella popolazione generale), la
maggior parte delle infezioni va incontro a washout immunologico con una durata generalmente limitata a 6-18 mesi [7] [8]. L’infezione da HPV è quindi considerata una condizione necessaria ma non sufficiente allo svilippo del cervicocarcinoma: la presenza di cofattori quali immunodepressione, ulteriori malattie sessualmente trasmesse o la terapia con estroprogestinici crea una condizione per cui l’infezione da HPV può
divenire persistente, aumentando quindi il rischio di carcinoma della cervice [9]. Solo una minoranza di infezioni quindi persiste e progredisce a neoplasia cervicale intraepiteliale (CIN) e successivamente a carcinoma invasivo.
Il DNA virale di HPV-16 e di HPV-18 consta di sei geni: E1, E2, E4-E7, responsabili della replicazione virale, L1-L2 codificanti le proteine del capside virale. Nella maggioranza dei casi il DNA non si integra, mantenendo una forma episomale. In altri casi invece, come per la concomitanza di una serie di fattori di rischio, si verifica l’integrazione del DNA dell’HPV nel genoma umano. È proprio tale integrazione la responsabile dell’alterazione di alcuni meccanismi di protezione del
genoma stesso, determinando la perdita di inibizione mediata dalla proteina E2 nei confronti dei prodotti virali E6-E7. Questi ultimi
10
inattivano i geni oncosoppressori p52 e pRB, favorendo la trasformazione maligna.
In particolare, la proteina E7 interagisce con la proteina pRB, inibendone la funzione. Questa proteina ha un importante ruolo di protezione evitando che le cellule con il DNA danneggiato procedano attraverso il ciclo cellulare in fase S, o in fase G1. RB lega e inibisce fattori di trascrizione della famiglia E2F. Il fattore di trascrizione E2F è un dimero formato da una proteina E2F e una DP. L’attivazione del complesso E2F-DP (e quindi
di conseguenza anche la serie di trascrizione di DNA in RNA) introduce la cellula nella fase S. Fintanto che il complesso E2F-DP è inattivato la cellula rimane in G1. Quando RB è legata a E2F, il complesso agisce come soppressore della crescita cellulare. Il complesso Rb-E2F/DP, inoltre, attira un enzima chiamato istone deacetilasi (HDAC) che con la sua azione sulla cromatina sopprime ulteriormente la sintesi di DNA (necessaria perché la cellula si duplichi).
L’altra importante proteina regolatoria è la p53. Essa interviene in molti
meccanismi: attiva la riparazione del DNA danneggiato (se il DNA è efficientemente riparabile), inducendo la trascrizione di geni riparatori del DNA come GADD45; in seguito a danno del DNA, p53 viene fosforilata da ATM e in tale forma agisce come fattore di trascrizione, legandosi a p21 e inducendone la trascrizione provocando il blocco del ciclo cellulare
11
inibendo il complesso cdk4-cdk6/ciclina D; può inoltre dare inizio all’apoptosi, inducendo la trascrizione di NoxA, nel caso il danno al DNA
sia irreparabile. Se il DNA viene riparato, p53 viene degradata da MDM2 e il ciclo cellulare può continuare.
Quando la proteina p53 viene legata dalla proteina E6 codificata dal virus, questo meccanismo di protezione viene annullato, interferendo con la riparazione del DNA e con l’innesco dell’apoptosi. La proteina E2 partecipa alla trascrizione del promoter di E6, attiva E1 (che consente la replicazione episomale, perché ha attività di elicasi) e possiede capacità transattivatrice. Nello specifico, la trascrizione di E2 inibisce E6 ed E7: quando il DNA di HPV si integra con il genoma umano si ha la rottura delle sequenze geniche di E2, con soppressione dell’inibizione nei
confronti di E6 ed E7.
L’associazione causale tra infezione cronica da HPV e
cercvicocarcinoma è una delle più forti mai osservate nella carcinogenesi umana [10] [11]. Questo importante rapporto di causalità ha incoraggiato lo sviluppo di alcuni vaccini rivolti contro i ceppi di HPV ad alto
potenziale oncogeno. Sono disponibili in Europa due tipi di vaccino comprendenti i ceppi virali più frequentemente coinvolti nella genesi del cervicocarcinoma, in particolare un vaccino bivalente (Cervarix®)
12
comprendente anche i sottotipi virali di HPV 6 e HPV 11 coinvolti nella genesi di circa il 90% dei condilomi acuminati. Dal 2017 è disponibile in Italia un terzo vaccino nona-valente (Gardasil®9), comprendente oltre ai già citati le proteine L1 di altri cinque sierotipi, 31, 33, 45, 52 e 58.
In Italia dal 2007 la vaccinazione per HPV è offerta a tutte le bambine al dodicesimo anno di vita, gratuitamente.
13
2.4 DIAGNOSI
Negli stadi iniziali il carcinoma della cervice uterina è solitamente asintomatico e il sospetto diagnostico viene posto in seguito ad un referto dubbio o positivo al pap test: lo screening precoce risulta fondamentale per identificare le pazienti interessate e rappresenta l’esame di I livello. Il
sintomo è rappresentato da un sanguinamento intermestruale che solitamente si verifica in seguito al rapporto sessuale. Il sanguinamento diviene più frequente e di maggior rilevanza con l’aumento di dimensioni
14
solitamente mal localizzabile. La disuria, l’ematuria e il sanguinamento
rettale incorrono in caso di invasione vescicale e rettale.
La diagnosi, oltre che a livello istologico, è effettuata mediante l’esame
fisico: la cervice e la vagina devono essere esplorate a livello palpatorio e ispettivo. Nelle donne con lesioni visibili, il sospetto diagnostico deve essere confermato da una biopsia della lesione. Le donne sintomatiche senza lesioni visibili e le donne che presentano soltanto un esame citologico alterato dovrebbero essere ulteriormente indagate con una biopsia eseguita in colposcopia e, se necessario, con una conizzazione a scopo diagnostico nel caso in cui la biopsia non sia sufficiente per definire l’invasività.
2.4.1 Diagnosi precoce: screening
L’introduzione dei programmi di screening del carcinoma della cervice
uterina ha portato a marcate riduzioni dell’incidenza di questa patologia. Il principale test di screening è rappresentato dal Pap test ovvero lo striscio colpo-citologico.
Nel 2012 l’American Society for Colposcopy and Cervical Pathology
(ASSCP) insieme alla American Cancer Society e alla American Society for Clinical Pathology ha pubblicato le nuove linee guida relative allo
15
screening, per ciò che riguarda l’età a cui iniziare il programma, il tempo
che deve intercorrere tra uno screening e quello successivo, e la tutela di gruppi selezionati di popolazione.
La lesione che precede il cervicocarcinoma, lungo la sua storia naturale, è rappresentata dalla neoplasia cervicale intraepiteliale (CIN), e i cambiamenti a cui va incontro il tessuto cervicale sono causati dall’azione di HPV. L’infezione da parte di HPV è molto comune, soprattutto nelle
ragazze in età adolescenziale e nelle giovani donne tra i 20 e i 25 anni. Approssimativamente un terzo delle donne con età compresa tra i 14 e i 24 anni è positiva al test per HPV [12].
Tuttavia, come già sottolineato precedentemente, solo una piccola porzione di donne con infezione di HPV presenterà una infezione persistente che porterà ad anormalità tissutali tali da porle a rischio di sviluppare il carcinoma, e questo in un lungo periodo di tempo, tra i 10 e i 15 anni. È proprio durante questo tempo che è necessario identificare quelle donne che presentano tale infezione.
Le raccomandazioni attuali indicano che non è necessario sottoporre al pap test le giovani donne di età inferiore ai 21 anni perché, come già detto, in questa popolazione l’esposizione al virus si risolve spontaneamente in
circa 8 mesi [12]: se HPV ha altresì causato alterazioni tali da determinare neoplasia in stadio iniziale, questa tipicamente si risolve se viene
16
eliminato il virus [13] [14] [15]. Ne consegue che se le donne di questa popolazione venissero sottoposte a screening ci sarebbe un alto numero di falsi positivi, e un alto rischio di intervento per lesioni che probabilmente si risolverebbero spontaneamente senza progredire a carcinoma. Il rischio di sviluppare un carcinoma invasivo dell-a cervice in questi soggetti, infatti, è molto basso, pari circa allo 0.1% dei casi [16].
In Italia, come da indicazione del Ministero della Salute, tutte le donne tra i 25 e i 64 anni devono effettuare uno screening colpo-citologico ogni 3 anni. Negli ultimi anni, tuttavia, numerosi studi hanno valutato la possibilità di utilizzare come test di screening l’HPV test, in donne di età
superiore ai 30 anni, poiché esso risulta essere più efficace rispetto alla citologia nel prevenire i tumori invasivi della cervice [17]. Il test di ricerca di HPV è maggiormente indicato perché in questi soggetti aumenta il tasso di passaggio da una lesione classificabile come CIN2 in una classificabile come CIN3 [15]. Inoltre, la presenza di HPV in queste pazienti è suggestiva di una infezione persistente che non si è risolta spontaneamente, e che quindi con certezza sarà responsabile di una progressione da lesioni di alto grado (HSIL) a cervicocarcinoma [18]. Il Piano Nazionale Prevenzione 2014-2018 ha pertanto dato indicazione a tutte le Regioni di introdurre il test HPV in sostituzione della citologia come test di primo livello nello screening cervicale entro il 2018, per le
17
donne di età compresa tra i 30 ai 64 anni. Tale test viene ripetuto ogni 5 anni. Se il test HPV risulta positivo la donna dovrà sottoporsi a un Pap-test e se anche questo risultasse positivo la donna dovrà sottoporsi ad una colposcopia.
Dai 25 ai 30 anni l’esame di riferimento rimane il Pap-test, da eseguire
ogni 3 anni, per la già citata frequente risoluzione spontanea di quest’infezione.
Donne di età superiore a 65 anni non devono sottoporsi a screening se hanno una storia di multipli screening negativi, per il basso rischio di sviluppare CIN2 o cervicocarcinoma [19]. Le donne in questa fascia di età che invece presentino una storia di screening positivo per CIN o carcinoma della cervice, e che per questo sono state trattate, devono sottoporsi a screening per l’elevato rischio di recidiva, soprattutto nei 5 anni post trattamento [18].
Per le donne in gravidanza lo screening dovrebbe essere eseguito nel primo trimestre, se la donna non ha eseguito uno screening nei 3 anni precedenti.
Non ci sono linee guida definite a proposito della popolazione immunocompromessa: considerando però la diminuita capacità di
18
risoluzione spontanea delle infezioni, è opportuno effettuare screening con un intervallo di tempo più breve.
2.4.2 Citologia
La citologia cervicale, sinonimo di test di Papanicolaou, richiede lo striscio di un campione di cellule cervicali su di un vetrino per l’interpretazione da parte dell’anatomopatologo: si parla di Pap-test su
fase solida. Oltre a questo tipo di campione si può allestirne anche uno in fase liquida, in cui il prelievo viene trasferito in un liquido di lavaggio, si parla quindi di Pap-test in fase liquida, in cui sono filtrate le cellule che interessano specificamente, scartando le eventuali impurità (muco, sangue, detriti cellulari). Questa semplice procedura permette di leggere unicamente gli elementi cellulari “puliti” e filtrati, il che aumenta
ulteriormente la sensibilità e la specificità del test, con una drastica riduzione dei preparati non adeguati [20].
Il sistema di refertazione più utilizzato per lo striscio colpo-citologico è rappresentato dal Bethesda System (revisionato nel 2001).
19
2.4.3 HPV test
Ci sono vari tipi di test per la ricerca di HPV nel campione esaminato. Quando è effettuato lo screening mediante co-test, analisi citologica e test per HPV, è generalmente usato un tipo di test capace di riconoscere solo la presenza dei genotipi ad alto potenziale oncogeno: i genotipi di HPV-16 e di HPV-18 sono quelli più comunemente identificati [6] [13].
2.5 ANATOMIA PATOLOGICA DELLE LESIONI
PRECANCEROSE
La prima classificazione sistematica risale al 1967 ed è denominata CIN (Cervical Intraepithelial Neoplasia): le lesioni vengono suddivise in 3 gradi, CIN 1 o displasia lieve, CIN2 o displasia moderata, CIN3 e Cis o displasia grave. Questa suddivisione è su base semiquantitativa e valuta la progressiva perdita di maturazione morfologica delle cellule epiteliali.
L’epitelio pluristratificato esocervicale subisce modificazioni nella
cellularità, differenziazione, polarità, caratteristiche cellulari e attività mitotica. Le lesioni CIN1 sono caratterizzate da alterazioni cellulari precoci come dimensioni e morfologia nucleare. Tali alterazioni sono
20
indotte dall’effetto citopatico indotto dall’infezione di HPV. Le cellule
epiteliali sono caratterizzate da lieve atipia e l’organizzazione architetturale è sostanzialmente mantenuta. Possono essere presenti altre anomalie citologiche e architetturali come vacuolizzazione perinucleare (coilocitosi) in tutti gli strati epiteliali, aumento di volume dei nuclei, possibile perdita di polarità, lieve aumento delle mitosi e della cellularità dello strato basale.
La displasia moderata (CIN2), la displasia grave (CIN3) e il Carcinoma in situ (CIS), sono tutte da considerare lesioni di alto grado, per il loro specifico potenziale oncogeno, più elevato rispetto a CIN1. Rispetto a quest’ultima, sono presenti maggiori anomalie citologiche e maggiore
disorganizzazione architetturale: irregolarità nel volume e nella forma nucleare, nella distribuzione della cromatina e nel rapporto nucleo/citoplasma. Sono inoltre più frequenti figure mitotiche atipiche. Queste lesioni presentano una tendenza a invadere i tessuti più profondi, e per questo è giustificato il loro precoce trattamento.
CIN3 e CIS sono entrambe displasie severe: tutto l’epitelio mostra un’alta
cellularità, immaturità, orientamento verticale e attiva proliferazione. Alcune cellule possono presentare caratteri di malignità e per questo motivo tali lesioni si considerano precursori naturali della neoplasia cervicale invasiva.
21
La classificazione più recente è quella di Bethesda, concepita nel 1988 e poi modificata nel 2001: individua in dettaglio tutte le alterazioni citologiche potenzialmente riscontrabili in un Pap-test ed è per questo motivo estremamente fondamentale. Questa classificazione inoltre tiene conto anche dei possibili aspetti infiammatori e infettivi, oltre a quelli displastici e neoplastici.
Il Bethesda System fornisce informazioni sull’adeguatezza del preparato,
sulla normalità/anormalità del materiale raccolto, sulla presenza di infezioni o alterazioni di natura non neoplastica, sulla anormalità delle cellule epiteliali squamose, sulla anormalità delle cellule epiteliali ghiandolari.
Per quanto riguarda le anormalità delle cellule epiteliali squamose (ASC) possono essere identificate alcune specifiche categorie:
- Di significato indeterminato (ASC-US)
- Lesioni intraepiteliali squamose di basso grado (LSIL), includente
HPV/displasia lieve/CIN1
- Lesioni intraepiteliali squamose di alto grado (HSIL), includente
displasia moderata e grave/CIN2-CIN3/Cis
- Hsil in cui l’invasione non può essere escljusa
22
Anche per quanto riguarda le anormalità delle cellule epiteliali ghiandolari possono essere identificate alcune specifiche categorie:
- Cellule ghiandolari atipiche (AGC) endometriali, endocervicali o
NOS
- Cellule ghiandolari atipiche (AGC) suggestive di neoplasia
endometriali, endocervicali o NOS
- Adenocarcinoma endocervicale in situ (AIS)
La American Society for Colposcopy and Cervical Pathology (ASCCP) ha presentato nel 2012 le linee guide aggiornate per quanto riguarda la gestione della citologia cervicale anomala [21], citeremo solo le più importanti.
23
Le pazienti con diagnosi di ASC-US hanno una previsione di circa il 5-27% di presentare una diagnosi istologica di CIN2-CIN3. Le pazienti con ASC-H possono presentare una diagnosi istologica di carcinoma nel 24-94% dei casi. Le pazienti con diagnosi di ASC possono presentare una diagnosi istologica di carcinoma nel 0,2% dei casi [22].
La raccomandazione per queste pazienti è di inviarle ad esame colposcopico e conseguente biopsia. Se la diagnosi istologica identifica una lesione di tipo CIN1, si possono profilare due alternative, dipendenti dalla visibilità o meno della Giunzione Squamo-colonnare: se visibile, la paziente deve essere rivalutata dopo 6 mesi; se non visibile, si consiglia un trattamento escissionale. Il trattamento escissionale deve essere il più possibile conservativo, da effettuarsi quindi tramite l’impiego dell’ansa
diatermica o del laser.
Se la diagnosi istologica fosse invece CIN2/CIN3 si deve necessariamente procedere al trattamento.
Nel caso in cui infine l’esame colposcopico risulta essere negativo, si raccomanda di confermare la negatività ripetendo la colposcopia dopo sei mesi. Se ancora negativa, la paziente si rinvia a screening. Per le pazienti che dopo un primo controllo colposcopico negativo risultassero, dopo sei mesi, ancora positive all’esame citologico, in assenza di lesioni visibili, si
24
Per il solo rilievo di ASC-US è consigliabile inviare la paziente all’esecuzione del test per HPV candidando all’esame colposcopico il solo
gruppo di pazienti risultate positive al test per HPV.
Le pazienti con HPV-test negativo possono essere inviate a controllo citologico a 12 mesi; se risultano negative, ritornano a screening. Una nuova positività per ASC-US o più rinvia direttamente a colposcopia [23].
Per quanto riguarda la gestione della paziente con diagnosi citologica di SIL di basso grado (L-SIL) e ASC-H, è opportuno considerare che la la diagnosi citologica di L-SIL è correlata, secondo i dati della letteratura, con circa il 15-30% di diagnosi istologica finale di CIN2-CIN3 [22]. Con questa diagnosi al Pap test, la paziente deve essere inviata ad esame colposcopico. Se la diagnosi definitiva istologica è di carcinoma invasivo si deve procedere secondo il protocollo oncologico inerente lo stadio di quella neoplasia. Nel caso che la diagnosi istologica fosse quella di CIN2-3 occorre eseguire il trattamento. Nel caso alla biopsia si rilevi CIN1, si può attendere e rimandare ad un controllo a sei mesi oppure, in considerazione di quanto discusso con la paziente, si può considerare l’ipotesi del trattamento.
Come per l’ASC, anche per il L-SIL e ASC-H se dopo il primo controllo
colposcopico non si evidenziasse alcuna lesione, si rimanda ad un controllo colposcopico e citologico a sei mesi e poi, se si conferma la
25
negatività, la paziente ritorna a screening. Al contrario se al secondo controllo fosse positivo l’esame citologico, si procede ad un trattamento
escissionale diagnostico.
Le pazienti con diagnosi citologica di H-SIL o di carcinoma squamocellulare devono essere inviate ad esame colposcopico: se la diagnosi istologica conferma un carcinoma la gestione dovrà essere quella riferita al protocollo oncologico secondo lo stadio. Invece, se la diagnosi istologica è CIN2 o CIN3 si procede al trattamento. In caso di CIN1 all’istologia, si può rinviare la paziente ad un secondo controllo dopo tre
mesi, ma solo se la Giunzione Squamo-colonnare è visibile.
Se, al contrario, non è visibile, in considerazione della iniziale diagnosi citologica di H-SIL, si raccomanda un trattamento escissionale. Infine, se al primo controllo colposcopico non si rinviene alcuna lesione si rimanda ad un secondo controllo colposcopico e citologico a tre mesi. Anche in questo caso viene raccomandato un accurato studio del canale cervicale. Con Giunzione Squamo-colonnare non visibile, colposcopia negativa, ma Pap test ancora positivo, viene raccomandato un trattamento escissionale diagnostico.
Le pazienti con diagnosi citologica di AGC-AIS o adenocarcinoma presentano un rischio di diagnosi di CIN dal 9 al 54%; di un AIS dallo 0 all’8% e di carcinoma invasivo dall’1 al 9%. Per la paziente con questa
26
diagnosi citologica si raccomanda l’esame colposcopico. Ancor più che
per altre categorie, per questa è raccomandato un accurato esame dell’endocollo.
Se dopo il primo esame colposcopico non si evidenziano lesioni, si rimanda ad un secondo controllo, colposcopico e citologico, a 6 mesi e, se anche il terzo controllo fosse negativo, si rimanda la paziente a screening.
Se ad un controllo colposcopico negativo, l’esame citologico endocervicale si conferma positivo, si raccomanda un trattamento escissionale diagnostico. Se all’esame istologico risulta una diagnosi di
carcinoma squamoso o adenocarcinoma, si procede secondo i protocolli oncologici.
Se la diagnosi istologica è di CIN2-CIN3 o AIS si procede con un trattamento escissionale. Se la diagnosi istologica è di CIN1, con Giunzione Squamo-colonnare non visibile, si procede con un trattamento escissionale; se la GSC è visibile, e risultassero ancora positivi l’esame
citologico e/o istologico, si consiglia un trattamento escissionale diagnostico e/o terapeutico.
Occorre anche fare menzione del controllo post trattamento, inteso come controllo colposcopico e citologico.
27
Dopo il trattamento distruttivo o escissionale è opportuno eseguire un controllo ogni 6 mesi per 2 anni. Trascorso questo periodo si consiglia il ritorno a screening e, successivamente, ad un controllo citologico ogni 3 anni. Il Centro di riferimento può comunque ritenere opportuno un controllo annuale per altri 5 anni, considerando che la paziente trattata per CIN ha, anche dopo il trattamento, un rischio maggiore di sviluppare nuovamente una CIN o un carcinoma invasivo [24]. Infine, prima di 3 mesi dal trattamento, è sconsigliato un prelievo citologico perchè risulterebbe falsato dagli esiti del trattamento stesso.
Alla luce dei dati della letteratura è attualmente ritenuta valida anche un’altra strategia, oltre a quella sopra esposta, che prevede l’esecuzione di
colposcopia, citologia e HPV-test dopo 6 mesi:
- se negativi: controllo (Pap-test e HPV-Test) a 12 mesi e poi (se
negativi) ritorno a screening;
- se colposcopia e/o citologia fossero positivi: percorso secondo il
grado della lesione;
- se colposcopia e/o citologia fossero negativi, ma HPV positivo:
controllo a 6 mesi.
La paziente può poi essere reinserita nei programmi di screening dopo due controlli negativi consecutivi.
28
Tabella 1. Diagnosi citologica ASC-US
29
Tabella 3. Diagnosi citologica: SIL di alto grado/carcinoma squamocellulare
30
3 TERAPIA DELLE LESIONI
PRECANCEROSE E CANCEROSE
MICROINVASIVE DELLA CERVICE
UTERINA
Le donne con una lesione intraepiteliale della cervice uterina, che sia definibile LSIL, HSIL, CIN2 o CIN3, costituiscono una popolazione asintomatica che in quanto tale deve essere precocemente identificata tramite un opportuno programma di screening. Una volta individuate queste pazienti vengono proposti dei protocolli di gestione clinica finalizzati al follow up e all’eventuale trattamento chirurgico.
Il trattamento è indicato per le lesioni pretumorali di alto grado (CIN2 e +) mentre per le lesioni di minore entità è preferibile l’osservazione a
lungo termine, riservando eventualmente il trattamento a un tempo successivo.
Nella pratica clinica si sono susseguiti notevoli cambiamenti nella gestione delle lesioni pretumorali della cervice uterina con diversi e molteplici approcci chirurgici. Lo scopo di ognuno di questi è costituito dalla rimozione del tessuto preneoplastico con duplice finalità diagnostica e terapeutica.
31
I trattamenti chirurgici si dividono classicamente in terapie escissionali e terapie ablative. Le prime si realizzano nella conizzazione, a sua volta eseguibile attraverso varie metodiche (lama fredda, laser conizzazione, loop electrosurgical excision procedure LEEP). I trattamenti ablativi più comuni comprendono invece la ablazione laser (vaporizzazione), i trattamenti distruttivi a radiofrequenza e la crioterapia.
La conizzazione è una metodica chirurgica di tipo escissionale rivolta alla resezione dell’intera area oggetto di trasformazione e risulta essere il
trattamento di scelta per le lesioni cervicali di alto grado. In precedenza la conizzazione era eseguita con tecnica “a lama fredda”, quindi con un
bisturi al posto dello strumento cauterizzante che si usa nella LEEP. Questa differenza non è esclusivamente tecnica, infatti la CKC, cold knife cone, è una metodica gravata da notevoli complicanze: perdite ematiche, talora emorragiche, difficile visualizzazione della giunzione squamo-colonnare dopo intervento e implicazioni ostetriche nei confronti della continenza cervicale [25]. A causa di queste complicanze la metodica “a lama fredda” è stata progressivamente sostituita da nuove tecniche. Dalla
fine degli anni 90 è stata dapprima introdotta la variante chirurgica di conizzazione laser e, in seguito, la LEEP ovvero la rimozione tissutale a radiofrequenza.
32
Questo “nuovo” tipo di conizzazione ha il vantaggio di poter essere
condotto in regime ambulatoriale in anestesia locale, con minor sanguinamento e migliore visualizzazione post-chirurgica della neogiunzione squamo-colonnare con riduzione delle complicanze stenotiche.
In aggiunta, le metodiche di elettrochirurgia sono diventate il gold standard in questo settore di trattamento, in considerazione di una minor curva di apprendimento, di minori tempi di esecuzione intraoperatoria e di un costo decisamente inferiore [26].
3.1 LEEP
LEEP sta per "Loop Electrosurgical Exicision Procedure", che tradotto significa procedura di escissione elettrochirurgica ad ansa. Molti altri acronimi (LLETZ - Large Loop Excision of the Transformation Zone, LLEC - Large Loop Excision of the Cervix, conizzazione ad ansa) vengono usati per descrivere questa metodica. La LEEP utilizza un generatore di energia elettrica ad alta frequenza, attaccato ad un sottile filo ad ansa che, quando stimolato, funziona come un bisturi preciso e rapido.
33
anomalo a scopo diagnostico e/o terapeutico. Viene eseguita sotto visione colposcopica, in quanto l'ingrandimento garantisce una migliore visualizzazione delle aree anomale presenti sul collo dell'utero. Il tessuto prelevato viene inviato all’esame istologico che fornirà informazioni dettagliate circa le anomalie cellulari e l’estensione di patologia, in
particolare per quanto riguarda i margini di resezione.
Per l’esecuzione della LEEP viene dapprima inserito in vagina uno
speculum, allo scopo di allontanare fra loro le pareti vaginali e di consentire così la visualizzazione dell'interno della vagina e del collo dell'utero. Il colposcopio viene quindi posizionato all'ingresso della vagina in modo che il ginecologo, guardando attraverso il microscopio, abbia una visione ingrandita della superficie della vagina e del collo dell'utero. Le superfici da esaminare vengono quindi delicatamente tamponate con un batuffolo di cotone imbevuto di acido acetico e, talvolta, di una soluzione iodata (soluzione di Lugol). Queste sostanze, applicate sulle mucose in esame, hanno infatti la capacità di mettere in risalto le aree anomale presenti.
Una volta identificate le aree anomale, l'operatore inietta nella cervice una piccola quantità di anestetico locale per poi effettuare il taglio elettrochirurgico.
34
Dopo l'asportazione della porzione di cervice uterina, l'operatore può coagulare i vasi sanguigni sul collo dell'utero, prevenendone o fermandone il sanguinamento. Talora, per ridurre ulteriormente il rischio di sanguinamento, il ginecologo può ritenere utile l'applicazione di soluzioni antiemorragiche.
Infine, lo speculum che è stato introdotto nella vagina viene rimosso e la procedura è completata. Nel complesso, la procedura dura da 10 a 15 minuti a partire dal momento dell'anestesia locale.
Subito dopo la procedura è normale che la donna presenti perdite ematiche di colore marrone scuro. La quantità e la durata di queste perdite è estremamente variabile; in genere si tratta di un sanguinamento contenuto che solo raramente si protrae per più di 15 giorni. Il dolore non è un sintomo frequentemente riportato. Al massimo le pazienti riferiscono episodi di dolore nel giorno successivo alla procedura. Il lavoro e le normali attività quotidiane possono essere riprese il giorno stesso in cui è stata effettuata la procedura.
35
3.2 CONIZZAZIONE CON LAMA FREDDA (CKC cold
knife cone)
Metodica simile alla LEEP in quanto anch’essa rimuove un cono di
cervice nella sua porzione distale. Diversamente dalla LEEP la CKC utilizza un bisturi. L’utilizzo del bisturi da una parte migliora l’interpretazione dei margini per l’anatomopatologo ma allo stesso tempo
è responsabile di maggiori perdite ematiche durante la procedura. In considerazione di questo ultimo aspetto, è opportuno eseguire tale metodica in sala operatoria.
3.3 CRIOTERAPIA
Tale metodica costituisce una buona alternativa alle procedure escissionali nel caso in cui sia documentata l’assenza di malattia invasiva. Se però la
colposcopia non ha dato certezze su questo aspetto, è inaccettabile proporre la crioterapia come metodica. A maggior ragione, occorre propendere per le metodiche escissionali in caso di lesioni ricorrenti [21].
L’OMS raccomanda il ricorso alla crioterapia unicamente se non è
37
4 LEEP E SUE CONSEGUENZE SULLA
GRAVIDANZA
Lo screening per la ricerca della presenza di lesioni preneoplastiche è rivolto a una popolazione composta da giovani donne. Metodiche sempre più raffinate hanno permesso la diagnosi di un numero progressivamente più elevato di lesioni preneoplastiche in fasce di età sempre più giovani con conseguente rischio di overtreatment.
Parallelamente, l’età a cui viene più frequentemente eseguita la LEEP è
quella compresa tra i 20 e i 35 anni, età in cui la donna è fertile. La gestione delle pazienti in questa fascia di età prevede quindi importanti implicazioni che da un lato riguardano l’esigenza di rimozione del tessuto preneoplastico e dall’altro la preservazione della fertilità.
Negli anni la letteratura scientifica si è interrogata a più riprese sulla correlazione tra il precedente trattamento delle lesioni precancerose ed eventuali esiti gravidici avversi.
38
4.1 LEEP E PARTO PRETERMINE
Per parto pretermine si intende un parto che si verifica prima delle 37 settimane di gestazione. Può essere ulteriormente effettuata una suddivisione che comprende: pretermine tardivo (Late Preterm): 34-36.6 settimane, pretermine moderato (Moderate Preterm): 32-33.6 settimane, basso pretermine (Low Preterm): 28-31.6 settimane, estremamente basso pretermine (Very-Low Preterm): < 28 settimane.
In letteratura ci sono numerosi studi che indagano il rischio di parto pretermine nelle pazienti con lesioni cervicali precancerose e principalmente sono stati eseguiti andando a confrontare pazienti gravide sottoposte a una procedura ablativa/escissionale rispetto a pazienti gravide senza alcuna patologia cervicale, oppure confrontando tali pazienti con una popolazione costituita da donne affette da lesioni cervicali precancerose che non sono state sottoposte a trattamento (quindi una comparazione trattate/non trattate).
Dopo un primo studio condotto da Leiman nel 1980 in cui veniva dimostrata una correlazione tra altezza del cono e tasso di parti pretermine [27], negli anni lavori simili si sono moltiplicati, dando risultati discordanti. Nel 2002 e nel 2004 ad esempio due importanti studi
39
concludevano che la conizzazione non era correlata al parto pretermine [28] [29].
Nel 2006 una metanalisi condotta da Kyrgiou et al su 10 studi ha dimostrato che le donne con una LEEP precedente hanno avuto un modesto aumento del rischio di parto pretermine (RR, 1.7; 95% IC 1.24-2.35), PROM (RR, 2.69; 95% IC 1.62-4.46) e basso peso alla nascita (RR, 1.82; 95% IC 1.09-3.06). In questo studio è stata valutata anche l’associazione tra le dimensioni del cono e il rischio di parto pretermine
concludendo che esiste un aumento significativo di parto pretermine se l’altezza del cono è maggiore di 10 mm (RR = 2.6; 95% IC 1.3-5.3), mentre non c’è una significativa differenza se l’altezza del cono è minore
di 10 mm (RR 1.5; 95% IC 0.6-3.9). [30]
Nel 2008 Arbyn et al hanno condotto una metanalisi in cui hanno esaminato i dati di 7 studi con 3600 donne trattate con LEEP prima della gravidanza e non hanno riportato alcun aumento del rischio di parto pretermine in epoca gestazionale inferiore a 32 o 34 settimane di gestazione (RR 1.2; IC 95%, 0.5-2.9) o del tasso di mortalità perinatale (RR, 1.17; 95% IC, 0.74-1.87), ma hanno notato un aumento di tale rischio nelle donne trattate con conizzazione a lama fredda.
40
Entrambe queste meta-analisi, quindi, confermano che le procedure ablative (crioterapia o ablazione laser) sono più sicure in termini di outcome gravidici [31].
Da una più recente meta-analisi del 2011 emerge che anche i trattamenti ablativi sono associati a un piccolo ma significativo rischio di parto pretermine anche se inferiore a quello associato ai trattamenti escissionali. In particolare, si rileva come la elettrocoagulazione diatermica, se responsabile di una distruzione di più di 1 cm³ di tessuto, è associata a aumentata mortalità perinatale, grave parto pretermine e severo basso peso alla nascita, cioè le stesse complicanze che si ritrovano in seguito alla conizzazione a lama fredda [32].
Occorre considerare però che le tecniche ablative sono in genere riservate al trattamento di piccole aree o a displasie non severe mentre le tecniche escissionali sono utilizzate in presenza di lesioni avanzate o estese, in presenza di zone di trasformazione che si estendono in profondità nel canale endocervicale, e anche nel sospetto di invasione, ed è forse per questo che è possibile associare più facilmente i trattamenti escissionali con eventi ostetrici avversi [33].
Nel 2009 un lavoro di Jakobsson et al ha riportato un rischio simile studiando una coorte di 624 donne finlandesi che hanno partorito dopo la LEEP (RR, 2.61; 95% IC 2.02-3.2), ed hanno aggiunto un sottogruppo di
41
controllo di 258 donne che hanno partorito prima e dopo una LEEP: il tasso di nascita pretermine è stato del 6.5% prima della LEEP e del 12% dopo la LEEP. [34]
Ancora, uno studio del 2009 condotto in Danimarca da Noehr et al ha dimostrato un’associazione tra la profondità del cono rimosso mediante
LEEP e rischio di parto pretermine in 566 donne con gravidanza avvenuta dopo la procedura, correggendo i risultati ottenuti in modo da eliminare i fattori confondenti che includono l’età, il fumo e lo status
socio-economico delle pazienti. I risultati hanno evidenziato una correlazione tra l’altezza del cono cervicale asportato e il rischio di parto prematuro: in
particolare, il rischio aumentava del 6% per ogni millimetro di tessuto cervicale escisso (OR 1.06; IC 1.03-1.09) e la stima dell’OR per parto prematuro dopo un cono di 10 mm risultava di 1.46 (95% IC 1.11-1.92); successivamente all’asportazione di 20 mm di tessuto cervicale l’OR
aumentava fino a 2.85 (95% IC 2.15-1.92). Inoltre la probabilità di parto pretermine aumentava di quasi 4 volte nelle donne sottoposte a 2 o più LEEP rispetto alla popolazione generale con un OR di 3.78 (IC 95% 2.58-5.53) e di circa 2 volte se paragonate alle donne sottoposte a una sola procedura cervicale prima della gravidanza con un OR di 1.88 (IC 95% 1.27-2.78). Lo stesso studio ha negato la possibile corrispondenza tra stadio della diagnosi istologica sul cono cervicale e l’outcome ostetrico
42
sfavorevole e tra il tempo intercorso tra la procedura e la gravidanza successiva. [35]
Nel 2010 Andìa et al hanno condotto uno studio caso-controllo multicentrico e retrospettivo valutando gli outcomes ostetrici in termini di età gestazionale al parto, modalità del parto stesso, indice di Apgar alla nascita ed emogas-analisi del sangue cordonale in tre gruppi di donne (Gruppo A, gravidanza dopo Large Loop Excision Transformation Zone, LLETZ; Gruppo B, gravidanza prima della LLETZ, Gruppo C di controllo con anamnesi negativa per chirurgia cervicale sia prima che dopo la gravidanza). Hanno evidenziato una differenza statisticamente significativa (p<0.05) nel rischio di parto pretermine prima delle 35 settimane gestazionali (maggiore nel Gruppo A rispetto al Gruppo C) e nel peso alla nascita che risultava in media minore nei neonati di donne sottoposte a conizzazione rispetto alla popolazione generale. Non sono state osservate differenze statisticamente significative tra il Gruppo A e il Gruppo B. Per quanto riguarda le altre variabili prese in considerazione, non sussistevano differenze statisticamente significative tra i tre gruppi presi in esame. [36]
Uno studio retrospettivo del 2010 ha valutato gli esiti ostetrici dopo conizzazione confrontando 34 donne trattate con un gruppo di controllo di gravide di pari numero: questo confronto ha mostrato una correlazione tra
43
conizzazione e outcome neonatali con un aumentato rischio di parto pretermine e basso peso alla nascita [37].
Anche un successivo studio retrospettivo caso-controllo confrontando un gruppo di pazienti sottoposte a conizzazione con la popolazione generale, ha rilevato come l’appartenenza alla popolazione che ha ricevuto
trattamento rappresenti un fattore di rischio indipendente per parto pretermine (in questo caso prima delle 34 settimane) e per peso alla nascita decisamente più basso (tenuto conto anche della correlazione con la minore età gestionale) [38].
In contrapposizione a tali dati, altri studi non hanno dimostrato un aumento degli outcome ostetrici sfavorevoli dopo LEEP. Acharya et al in uno studio retrospettivo caso-controllo condotto su 89 donne successivamente alla LEEP hanno confrontato i dati ottenuti con un gruppo di 158 donne di controllo concludendo che non esiste alcuna differenza significativa tra i due gruppi in termini di peso alla nascita o di incidenza di parto prematuro. Tuttavia è stato notato un aumento di quattro volte del rischio di parto pretermine (OR 4.0; IC 95 %, 1.0-16; p=0.05) e basso peso alla nascita (OR 14.0; 95% IC, 1.7-114; p=0.01) nel sottogruppo di donne con un’altezza del cono maggiore di 25 mm. [39]
In uno studio retrospettivo del 2010 Werner et al su un campione di 241701 donne che avevano partorito tra il 1992 e il 2008 in un singolo
44
centro, e tra queste 511 erano state sottoposte a LEEP nello stesso ospedale prima della gravidanza e 842 erano state sottoposte a LEEP dopo la gravidanza, non rilevano alcuna differenza nell’incidenza di parto
prematuro tra la popolazione generale e le donne sottoposte a LEEP prima o dopo la gravidanza, tenendo conto di fattori di confondimento quali l’età, l’etnia e la nulliparità. Addirittura è emerso che l’unica differenza
significativa fosse di natura opposta: il rischio di parto prematuro tra le 34 e le 36 settimane di gestazione era ridotto nelle donne sottoposte a LEEP. [40]
Uno studio del 2018, infine, afferma come la correlazione tra conizzazione e parto pretermine non sia significativa se si prende in esame una popolazione costituita da donne che ha effettuato un unico intervento di LEEP, ma che viceversa diventa importante se si considera una popolazione che ha eseguito due o più LEEP [41].
Ci sono dunque in letteratura significative evidenze che da un lato supportano decisamente e dall’altro negano l’associazione tra
conizzazione e parto prematuro. Il rapporto tra trattamento delle lesioni precancerose e parto pretermine rimane quindi poco chiaro. Questo è a nostro parere in gran parte dovuto alle cause multifattoriali e poco determinabili che portano all’evento “parto pretermine”.
45
A livello speculativo si può ipotizzare che una delle cause di parto pretermine può essere rappresentata dall’alterazione dell’ambiente
microbico cercicovaginale caratteristico delle infezioni croniche da HPV che, a sua volta, potrebbe favorire la colonizzazione del tratto genitale superiore per via infettiva ascendente. Sappiamo bene, infatti, come le infezioni del tratto genitale superiore, innescando l’attivazione del sistema
immunitario con la conseguente cascata infiammatoria, contribuiscano alla genesi del parto pretermine attraverso diversi meccanismi, tra cui la rottura delle membrane [42].
Per sostenere questa tesi dell’“ambiente cervicovaginale modificato”
occorre confrontare il gruppo affetto con un gruppo di controllo appropriato, cioè donne trattate con procedure escissionali con donne che presentano displasia cervicale non trattate. Un importante studio ha mostrato come il rischio di parto pretermine sia più alto in generale nelle donne con diagnosi di displasia, a prescindere dal fatto di aver eseguito o meno il trattamento, rispetto alla popolazione generale. [43]
Anche un altro studio non ha riportato alcun aumento di parti pretermine dopo conizzazione rispetto alle donne con displasia cervicale non sottoposte a trattamento, suggerendo quindi fattori di rischio comuni a tutte le donne affette da neoplasie cervicali intraepiteliali (forse comportamentali sessuali). Ad esempio le vaginosi batteriche associate a
46
rottura prematura e pretermine delle membrane sono state riscontrate più di frequente nelle donne con CIN rispetto alla popolazione generale [44] [45].
È importante considerare che se da una parte l’alterazione dell’ambiente
microbico cervicovaginale può essere la causa di infezioni ascendenti e di parto pretermine è anche vero che la cervice ricopre un ruolo fondamentale in termini di barriera nei confronti delle infezioni di natura ascendente durante la gravidanza. Questa difesa cervicale si realizza tramite un duplice effetto, meccanico e antimicrobico, esercitato dal tappo di muco cervicale che ricopre quindi il ruolo di confine isolante il tratto genitale superiore dall’inferiore [46].
Il tappo mucoso cervicale è composto da svariate sostanze, alcune di natura antimicrobica quali defensine, lisozima, lattoferrina e inibitori secretori delle leucoproteasi. Queste proteine svolgono un importante ruolo nell’immunità innata e rappresentano una prima e fondamentale
linea di difesa nei confronti degli agenti patogeni. Il muco cervicale contiene anche immunoglobuline, quindi effettori dell’immunità
adattativa, svolgendo il ruolo di opsonizzazione dei batteri con conseguente attivazione dei macrofagi.
Dopo una procedura escissionale la cervice guarisce mediante una rigenerazione principalmente svolta da parte delle componenti cellulari
47
esocervicali con formazione di tessuto cicatriziale, mentre la rigenerazione delle ghiandole endocervicali responsabili della produzione di muco resta spesso limitata. Si può quindi ipotizzare che tutto ciò porti a una minore produzione di muco cervicale con conseguenti ricadute sulla risposta immunitaria e una maggiore predisposizione alle infezioni del tratto genitale superiore. Un lavoro del 2010 dimostra come le modificazioni strutturali della cervice in seguito a parziale distruzione delle ghiandole endocervicali siano associate a cambiamenti nella quantità e nella composizione biochimica del muco (41).
Lavori successivi hanno mostrato come le capacità rigenerative della cervice uterina debbano essere messe in relazione con la quantità di tessuto escisso: meno tessuto cervicale viene rimosso maggiore è la rigenerazione della cervice, in particolare il volume cervicale rimanente immediatamente dopo la LEEP dovrebbe essere almeno pari al 86% del valore iniziale (42). Da queste considerazioni è nata l’importante
consapevolezza che per la valutazione delle complicanze ostetriche sia importante la correlazione di queste con la quota di tessuto cervicale asportato.
Altri studi riferiscono che l’età gestazionale media al parto era 0.6
settimane più bassa nei casi in cui la dimensione del cono era di 15 mm, e due settimane inferiore quando l’altezza del cono era di 25 mm [39].
48
In uno studio del 2012 vengono valutati gli esiti di 106 gravidanze insorte dopo conizzazione (entro un tempo mediano di 24 mesi) rispetto a una popolazione di controllo (rapporto 1:2) appaiata per età al parto, storia gestazionale, parità, fumo di sigaretta e positività all’HIV. L’altezza media del cono era di 1.4 cm (+/-4.9 mm) e le pazienti sottoposte a conizzazione mostravano un rischio significativamente più alto di rottura prematura delle membrane, di travaglio pretermine e di ospedalizzazione prenatale. Nel gruppo di studio circa il 18% erano stati parti pretermine di cui il 6% prima delle 34 settimane, il che era notevolmente superiore rispetto al gruppo di controllo dove non si era verificato alcun parto prima delle 34 settimane. Non veniva inoltre riscontrata alcuna differenza nella modalità del parto, se spontaneo o cesareo. Inoltre i neonati delle madri sottoposte a chirurgia erano significativamente più piccoli in termini di lunghezza e di peso rispetto al gruppo di controllo [47].
Altri studi hanno valutato la profondità del cono e il rischio di parto pretermine, alcuni riportando un aumento del 6% del rischio per ogni millimetro di cono escisso [35], altri rilevando un rischio di rottura prematura delle membrane più alto se l’altezza del campione è superiore
a 17 mm (con un RR: 3.0), raccomandando quindi un atteggiamento chirurgico conservativo nelle donne in età riproduttiva [48].
49
Uno studio del 2011 condotto su 1558 donne sottoposte a LEEP per HSIL ha concluso che coni di profondità inferiore a 10 mm dovrebbero essere l’obiettivo per le donne in età riproduttiva (<35 anni) per evitare i
potenziali effetti avversi nelle future gravidanze e questo senza peraltro temere di incrementare il rischio di ricorrenza di malattia in questo gruppo di donne poiché il trattamento con conizzazioni più ampie non riduce il tasso di ricorrenza (pari al 4.3% vs 3.4%). Allo stesso tempo, per le donne di età superiore ai 35 anni la profondità del cono dovrebbe essere di almeno 10 mm per ritenersi adeguata e ridurre il rischio di recidive. È importante questo aspetto età-dipendente perché l’anatomia cervicale subisce una modificazione per quanto riguarda la giunzione squamo-colonnare: nelle giovani donne si trova più frequentemente una cervice di tipo 1 o 2, cioè una morfologia cervicale che comprende l’intera giunzione squamo-colonnare visibile alla colposcopia, mentre nelle donne più anziane si assiste a uno spostamento della giunzione all’interno del canale
cervicale che rende la stessa non interamente visibile alla colposcopia [49].
Un’altra ipotesi sull’associazione causale tra procedure escissionali e il parto pretermine riconosce l’importanza svolta dal tessuto connettivo
cervicale, immaginando una debolezza e una riduzione della capacità di sostegno da parte di questa struttura durante la progressione della
50
gravidanza. Per questo alle donne sottoposte a conizzazione dovrebbe essere consigliata l’attesa di almeno 2-3 mesi prima di una gravidanza perché il concepimento durante questo periodo di tempo potrebbe essere associato a un aumentato rischio di parto pretermine. Tuttavia non è stata ancora ben definita la finestra temporale ideale tra LEEP e concepimento [50].
4.2 LEEP E RISCHIO DI ABORTO
Non c’è unanimità per quanto riguarda questo aspetto. Citeremo solo due
studi simili ma con conclusioni opposte. Un lavoro del 2013 riporta un tasso di abortività superiore nelle donne che hanno concepito entro 12 mesi dalla LEEP rispetto alle pazienti con gravidanza ottenuta dopo 12
51
mesi dalla procedura. Il tasso globale di abortività non sembra essere influenzato dalle tecniche escissionali. Il rischio di abortività tardivo sembra invece essere aumentato nelle donne sottoposte a conizzazione [51].
Una meta-analisi dell’anno successivo, al contrario, prendendo in esame il tasso di abortività totale nelle pazienti sottoposte a trattamento rispetto alle non trattate, non evidenzia differenze statisticamente significative nei due gruppi, a prescindere dalla tecnica utilizzata. Secondo questo studio le procedure escissionali sembrano d’altra parte influenzare il rischio di abortività tardiva [52].
4.3 LEEP E STENOSI DEL CANALE CERVICALE
Le stenosi del canale cervicale oltre a determinare l’impossibilità di
eseguire un accurato follow-up citologico e colposcopico, possono comportare problemi alla fertilità delle donne trattate. Possono essere inoltre fonte di ematometra e di dismenorrea secondaria.
La percentuale di stenosi dipende dalla metodica utilizzata e dalla capacità dell’operatore, oltre che dalla geometria della lesione. La frequenza di stenosi sembra soprattutto correlata all’altezza del cono oltre che, nelle
52
La conizzazione laser e la LEEP presentano una frequenza di stenosi post chirurgica molto più bassa della conizzazione a lama fredda , e a sua volta la LEEP presenterebbe un rischio minore di stenosi rispetto alla conizzazione laser con CO2 [53] .
Va tenuto presente che all’esecuzione di resezioni “top hat”, che asportano
una quantità maggiore di tessuto, consegue una frequenza di stenosi notevolmente superiore rispetto alla tecnica convenzionale [54].
4.4 LEEP E PARTO CESAREO
Per quanto riguarda il Taglio Cesareo, uno studio secondario condotto da Frey et al di uno studio di coorte retrospettivo multicentrico ha valutato un aumentato ricorso al taglio cesareo nel gruppo di 598 donne sottoposte a LEEP prima della gravidanza (Gruppo A) rispetto al gruppo di 588 donne che avevano effettuato solo lo screening citologico (Gruppo B) e al gruppo di 552 donne che avevano effettuato una biopsia cervicale prima della gravidanza (Gruppo C). Sono emersi tassi simili di taglio cesareo sia dopo il confronto tra il gruppo A e il gruppo B (31.6% vs 29.3%, OR 1.06, IC 95% 0.79-1.41) sia dopo il confronto tra il gruppo A e il gruppo C (31.6% vs 29.0%, OR aggiustato 0.99, IC 95% 0.74-1.33). [55]
53
5 OBIETTIVO DELLA TESI
Ci siamo proposti di studiare gli outcome ostetrici di una popolazione di donne che ha effettuato una conizzazione LEEP prima del parto, valutando diverse variabili riguardanti le caratteristiche del cono asportato, l’andamento della gravidanza in termini di minaccia di parto pretermine,
le modalità del parto, se spontaneo, indotto o cesareo, le tempistiche del travaglio, della fase dilatativa, della fase espulsiva, il benessere neonatale.
54
6 MATERIALI E METODI
Per costruire la nostra popolazione di pazienti abbiamo utilizzato due sistemi di raccolta dati: il database degli interventi chirurgici (Ormaweb) ginecologici utilizzato per identificare donne di età inferiore ai 47 anni che avessero effettuato una conizzazione presso l’“Unità Operativa di Ginecologia e Ostetricia 1 Universitaria” e presso l’“Unità Operativa di Ginecologia e Ostetricia 2 Ospedaliera”, e il database dei parti (Ormaweb
parti) per confrontare quali delle pazienti trovate con precedente LEEP avessero successivamente partorito.
È stata inoltre eseguita una ricerca sulle cartelle cartacee di donne ricoverate presso il Reparto di Ostetricia delle due Unità Operative nell’ultimo anno per l’espletamento del parto, ricercando quelle pazienti
che avessero in anamnesi una conizzazione eseguita in altra sede.
Tale ricerca ha permesso di reclutate in totale 101 pazienti.
Di queste, 86 pazienti (85,1%) sono state valutate per ciò che riguarda l’analisi dell’andamento del travaglio, oltre che per il decorso in toto della
gravidanza per valutare eventuali situazioni patologiche quali la minaccia di parto pretermine. I criteri di inclusione erano:
55
- gravidanza singola
- presentazione cefalica
Le rimanenti 15 pazienti (14,9%) sono state escluse dalla valutazione dell’andamento del travaglio poiché non rientravano nei criteri di
inclusione o poiché sottoposte a taglio cesareo in elezione/urgenza per altri motivi. Questa fetta di donne è stata inclusa tuttavia nella valutazione complessiva dell’andamento della gravidanza per poter contare su una
popolazione più ampia ed eterogenea.
Le informazioni cliniche relative alle pazienti sono state accuratamente studiate mediante analisi diretta delle singole cartelle cliniche custodite presso gli archivi della struttura.
Occorre precisare che per quanto riguarda alcuni dati, in particolare quelli relativi al referto della LEEP contenente dimensioni del cono asportato ed esame istologico correlato, non è stato possibile reperire le informazioni necessarie per tutte le pazienti: la maggior parte dei referti è stato acquisito dal Database del reparto di Anatomia Patologica dell’ospedale Santa
Chiara. Per i referti mancanti sono state contattate telefonicamente le pazienti, che in parte hanno fornito le informazioni mancanti.
Le variabili prese in esame sono: età materna, comorbidità materne, data della LEEP, indicazione alla LEEP, dimensioni del cono ed esame
56
istologico definitivo, tempo trascorso tra la LEEP e la gravidanza, parità, minaccia di parto pretermine con eventuale utilizzo di tocolisi o pessario di Arabin, ulteriori condizioni patologiche riscontrate in gravidanza, indicazione al taglio cesareo se eseguito fuori travaglio o per indicazioni non ostetriche.
Per ciò che riguarda il sottogruppo di pazienti in cui abbiamo valutato l’andamento del travaglio (86 pazienti), è stato necessario eseguire una
suddivisione in:
• Pazienti con travaglio spontaneo, ulteriormente suddivise in nullipare e pluripare
• Pazienti sottoposte a induzione di travaglio di parto
In questo sottogruppo di pazienti, oltre alle variabili precedentemente menzionate abbiamo analizzato: età gestazionale al parto, modalità di espletamento del parto ed indicazione in caso di parto operativo o taglio ceareo, somministrazione di prostaglandine/ossitocina, anestesia peridurale, durata complessiva del travaglio, durata della fase dilatante e della fase espulsiva, presenza di lacerazioni cervicali, presenza di lacerazioni vagino-perineali, apgar neonatale, peso neonatale e pH arterioso del neonato.
57
I dati ottenuti sono stati confrontati con i dati della letteratura e con uno studio condotto presso il reparto di Ginecologia e Ostetricia di Pisa per quanto riguarda le induzioni al parto. Ogni volta che si è ottenuto una previsione probabilistica per un certo evento è stato fornito il relativo Intervallo di Confidenza al 95% applicando il test T di Student con il coefficiente relativo al campione in esame.
58
7 RISULTATI
7.1 ANALISI DEI PARTI SPONTANEI
I parti spontanei totali sono 58, di cui il 65% da paziente nullipara, il 35% da paziente multipara. La media dell’età al momento del parto è di 34 anni.
La quasi totalità del campione, 57 donne, aveva effettuato una LEEP precedente. Una sola ne aveva effettuate due; la media degli anni trascorsi dalla LEEP al parto è di poco superiore a 4.
In 56 donne su 58 la gravidanza è stata concepita spontaneamente, in 2 casi la gravidanza è insorta successivamente a metodiche di fecondazione assistita.
La percentuale di Minaccia di Parto Pretermine in questa popolazione è pari al 13,8%, essendosi verificata in 8 donne su 58.
L’età gestazionale media al momento del parto è di 39,27 settimane. La
durata media del travaglio è di 6,19 ore, e volendo studiare più approfonditamente la durata delle fasi del travaglio si evince come la media della fase dilatante è di 3,3 ore e la media della fase espulsiva è di 1,12 ore.
59
Abbiamo valutato separatamente questi valori per le sole pazienti nullipare e per le sole pazienti multipare.
Parti Spontanei con LEEP precedente (N = 58) Incidenza Dev. Standard Campionaria Differenza in probabilità al 95% di IC Previsione al 95% di IC Incidenza nella Popolazione Minaccia Parto Pretermine 13.8% 4,5% 8,8% Tra 5 e 22,6% 5-10% Parti Spontanei con LEEP precedente (N = 58)
Media Dev. Standard
Campionaria Differenza per le medie al 95% di IC Previsione al 95% di IC Media nella popolazion e generale (nullipare + multipare) Durata Travaglio (ore) 6,19 3,65 0,94 Tra 5,93 e 7.81 6,75
Fase dilatante (ore) 3,3 2,39 6,14 Tra 3,75 e 8,53 3,75 Fase Espulsiva( ore) 1,12 0,89 2,28 Tra e 0 e 3,17 0,75
60 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 0 1 0 2 0 3 0 4 0 P A R T I S P O N T A N E I : d i s t r i b u z i o n e E t à G e s t a z i o n a l e a l p a r t o S e t t i m a n e d i g e s t a z i o n e P e r c e n t u a le % F r e q u e n z a I l g r a f i c o m o s t r a l a d i s t r i b u z i o n e d e l l e s e t t i m a n e d i g e s t a z i o n e a l p a r t o n e l c a m p i o n e d e i p a r t i s p o n t a n e i . 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 0 5 1 0 1 5 2 0 2 5 P A R T I S P O N T A N E I : d i s t r i b u z i o n e D u r a t a T r a v a g l i o ( o r e ) D u r a t a T r a v a g l i o ( O R E ) P e r c e n t u a le % F r e q u e n z a I l g r a f i c o m o s t r a l a d i s t r i b u z i o n e d e l l a d u r a t a d e l t r a v a g l i o n e l c a m p i o n e d e i p a r t i s p o n t a n e i t o t a l i .