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Regolazione di Neuropilina 1 mediata da miR-200c: una nuova strategia terapeutica nel carcinoma ovarico farmacoresistente

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SAPIENZA

UNIVERSITA’ DI ROMA

DOTTORATO DI RICERCA IN MEDICINA SPERIMENTALE

XXXI CICLO

“Regolazione di Neuropilina 1 mediata da miR-200c: una nuova strategia terapeutica nel carcinoma ovarico farmacoresistente”

DOTTORANDA

DOCENTE GUIDA

Enrica Vescarelli Prof.ssa Cinzia Marchese

COORDINATORE DEL DOTTORATO

Prof. Maurizio Sorice

(2)

II

INDICE

1. INTRODUZIONE

...

1 1.1 IL CARCINOMA OVARICO

...

1 1.1.1 Descrizione ... 1 1.1.2 Caratterizzazione istologica ... 3 1.1.3 Vie di diffusione ... 8 1.1.4 Stadiazione ... 8 1.1.5 Epidemiologia ... 11

1.1.6 Eziologia, fattori di rischio e fattori protettivi ... 13

1.1.7 Segni e sintomi ... 17

1.1.8 Diagnosi ... 18

1.1.9 Trattamento ... 18

1.1.10 Prognosi ... 19

1.1.11 Screening ... 19

1.2 LA GENETICA DEL CARCINOMA OVARICO ... 21

1.2.1Struttura della proteina BRCA1 ... 23

1.2.2Struttura della proteina BRCA2 ... 25

1.2.3Funzione delle proteine BRCA1/BRCA2 ... 26

1.2.4 I geni brca1/brca2 e il carcinoma ovarico ... 30

1.3 LE POLI ADP-RIBOSIO POLIMERASI (PARP) ... 32

1.3.1 Struttura e funzione di PARP ... 32

1.3.2 Gli inibitori di PARP ... 35

1.4 NEUROPILINA 1 ... 39

1.4.1 Struttura e funzione di Neuropilina 1 nel carcinoma ovarico ... 39

1.5 ImicroRNA ... 42

1.5.1 MicroRNA struttura e funzione ... 42

1.5.2 Ruolo dei miRNA nel carcinoma ovarico ... 44

1.5.3 La famiglia dei miR200 nel carcinoma ovarico ... 47

2. SCOPO DELLA TESI ... 50

3. MATERIALI E METODI ... 52 3.1 Colture cellulari ... 52 3.2 Saggio di proliferazione (MTT) ... 53 3.3 Immunofluorescenza ... 54 3.4 Citofluorimetria a flusso ... 55 3.5 Saggio clonogenico ... 55

(3)

III

3.7 Estrazione RNA e Real-Time PCR quantitativa ... 58

3.8 Silenziamento di NRP1 mediante siRNA specifico ... 61

3.9 Trasfezione stabile con miR200c ... 55

3.10 Metodi statistici ... 62

4. RISULTATI

...

63

4.1 Effetto citotossico dell’Olaparib in diverse linee di carcinoma ovarico.. 63

4.2 Effetto dell’Olaparib sul danno al DNA e sul ciclo cellulare in diverse linee cellulari di CO ... 65

4.3 Effetto dell’Olaparib sul ciclo cellulare ... 68

4.4 Effetto dell’Olaparib sulla capacità clonogenica in diverse linee di CO . 70 4.5 L’efficacia del trattamento con Olaparib sulle linee di CO dipende dall’attivazione dell’apoptosi ... 71

4.6 Il trattamento con Olaparib modula l'espressione di NRP1 nelle cellule UWB e UWB-BRCA. ... 75

4.7 Il silenziamento di NRP1 ripristina la sensibilità al trattamento con Olaparib in cellule CO resistenti ... 77

4.8 L'espressione di NRP1 nelle linee cellulari di CO è regolata dal miR-200c……….80

4.9 miR200c sensibilizza le cellule SKOV3 resistenti a Olaparib attivando l'apoptosi ... 83

5. DISCUSSIONE ... 88

(4)

1

1. INTRODUZIONE

1.1 Il carcinoma ovarico

1.1.1 Descrizione

Le ovaie (o gonadi femminili) sono due ghiandole a forma di mandorla, di dimensioni variabili da 2.5 a 5 cm a seconda della fase del ciclo ovarico, e con un peso oscillante tra i 5 e i 10 grammi. Posizionate ai due lati dell'utero, le ovaie sono connesse mediante legamenti all'utero e alle tube, pur conservando una certa autonomia nella mobilità (Fig. 1).

Figura 1. Rappresentazione schematica dell’apparato riproduttivo femminile.

Uterus'

Ovary'

Fallopian'tube'

Cervix'

(5)

2 Ciascuna delle ovaie presenta due poli: uno superiore (tubarico), che è unito all’infundibolo della tuba uterina; uno inferiore (uterino), più sottile, unito all’utero dal legamento utero-ovarico. L’ovaio è composto da una regione centrale, detta midollare, ricca di tessuto connettivo denso e di vasi sanguigni per l'irrorazione e il nutrimento dell'organo, e una più esterna, detta corticale, che occupa circa due terzi di tutta la ghiandola. Nella regione corticale avviene la maturazione dei follicoli, contenenti ciascuno una cellula uovo.

Le ovaie svolgono un duplice ruolo: oltre a produrre gli ovuli, elementi indispensabili per la riproduzione (funzione gametogenica), secernono anche gli ormoni sessuali (estrogeni, progesterone e una piccola quantità di androgeni) che regolano tutte le fasi della vita riproduttiva femminile (funzione endocrina).

Il ciclo ovarico e quello mestruale sono due entità differenti ma strettamente interconnesse. L’insieme dei meccanismi ormonali che li regolano costituisce una complessa rete di interazioni stimolatorie e inibitorie, per il cui corretto funzionamento è richiesta una completa sincronizzazione di tutte le componenti coinvolte.

La proliferazione incontrollata delle cellule dell’organo può dare origine a una formazione neoplastica (Fig. 2). Sebbene anche le cellule germinali e stromali possano essere all'origine di una forma tumorale, i tumori maligni dell’ovaio derivano nel 90% dei casi dalla trasformazione delle cellule epiteliali che ricoprono la superficie delle ovaie stesse (carcinomi dell’ovaio). Per questo motivo i tumori non epiteliali saranno descritti brevemente, ma in generale in questo lavoro di tesi l’attenzione sarà rivolta al carcinoma ovarico.

(6)

3 Uterus' Ovary' Fallopian'tube' Cervix' Vagina' Uterus' Normal'ovary' Fallopian'tube' Vagina' Cancer'

Figura 2. Rappresentazione schematica del cancro dell’ovaio.

1.1.2 Caratterizzazione istologica

L’ovaio costituisce la sede di un’ampia varietà di tumori, sia primitivi sia secondari. La classificazione attualmente in uso, formulata nel 1999 dal WHO (World Health Organization) e approvata dall’International Society of Gynecological Pathologists, si basa su principi di istogenesi e sull’istotipo differenziativo (1, 2).

Tumori epiteliali

Costituiscono il 75% di tutte le neoplasie ovariche primitive e più del 90% delle neoplasie ovariche maligne, da qui la definizione di “tumori ovarici comuni” nella classificazione WHO. I carcinomi dell’ovaio rappresentano in realtà un insieme di tumori tra loro eterogenei. Tale eterogeneità, che si pensava in origine dovuta alla capacità dell’epitelio celomatico che riveste superficialmente l’ovaio di differenziare verso altri tipi di epitelio, attualmente è invece attribuita al fatto che i carcinomi

(7)

4 ovarici possono derivare non solo dalle cellule epiteliali della superficie dell’ovaio (OSE), ma anche dall’epitelio delle tube di Fallopio (3) o di altri tessuti limitrofi (4). I carcinomi sono a loro volta suddivisi in tumori sierosi, endometrioidi, mucinosi, a cellule chiare e a cellule di transizione(5, 6) (Fig. 3).

! Figura 3. Istotipi maggiormente rappresentativi del carcinoma dell’ovaio.

Le neoplasie sierose ad alto grado differiscono da tutti gli altri carcinomi ovarici in termini di sviluppo, prognosi e caratteristiche istologiche. Gli studi sui profili di espressione hanno mostrato differenze anche a livello genetico e molecolare (7, 8), che hanno portato all’introduzione di un modello dualistico per la patogenesi del carcinoma ovarico (9-11), in base al quale è possibile classificare ulteriormente i carcinomi ovarici in:

• Carcinomi di tipo I, a lenta progressione, che comprendono il carcinoma sieroso ed endometriode di basso grado, il carcinoma mucinoso e un sottogruppo di carcinomi a cellule chiare. Hanno in genere un decorso clinico

(8)

5 indolente, presentano raramente mutazioni del gene p53 e sono geneticamente stabili. Ogni variante istologica ha un distinto profilo molecolare, con mutazioni di diversi geni coinvolti in differenti vie di trasduzione del segnale, quali KRAS, BRAF, CTNNB1/b-catenina, PTEN (12-18).

• Carcinomi di tipo II, a rapida progressione, che comprendono il carcinoma sieroso di alto grado, il carcinoma endometrioide di alto grado, il carcinoma indifferenziato e il carcinosarcoma. Rappresentano il 75% dei casi, sono geneticamente instabili, hanno un comportamento biologico molto aggressivo e sono spesso diagnosticati in stadio avanzato. Nell’80% dei casi presentano una mutazione del gene p53, un “tumor-suppressor” cruciale che è in grado di rispondere a vari segnali di stress orchestrando specifiche risposte cellulari, che includono il transiente arresto del ciclo cellulare, la senescenza e l’apoptosi, tutti processi associati alla soppressione tumorale (6). Non di rado queste neoplasie, anche se sporadiche e non ereditarie, presentano un deficit dei meccanismi di ricombinazione omologa (HR), essenziali per la riparazione del DNA. In particolare, è frequente una disfunzione dei geni

BRCA1 e BRCA2 (19-21).

In conclusione, i carcinomi di tipo I sono un gruppo di neoplasie geneticamente più stabili, con distinti pattern di mutazioni geniche per ogni specifica variante istologica. Viceversa, i carcinomi di tipo II hanno una maggior omogeneità morfologica e molecolare, sono geneticamente instabili e sono caratterizzati da elevata frequenza di mutazioni del gene p53 (Fig. 4).

(9)

6

Figura 4. Caratteristiche chiave dei carcinomi di tipo I e II.

Tumori Germinali

Sono relativamente frequenti nella loro controparte benigna (circa ¼ dei tumori ovarici), mentre costituiscono solo il 3-7% delle forme maligne. Originano dalla cellula germinale o dai tessuti embrionali e extraembrionali. Sono differenziabili, in parte, in base alla determinazione dell’alfafetoproteina e della gonadrotropina corionica. Spesso si tratta di tumori misti, pressoché esclusivi dell’infanzia e dell’adolescenza, la cui prognosi è strettamente correlata ai caratteri istologici. Questa categoria comprende disgerminomi, tumori del sacco vitellino, carcinomi embrionali e, più rari, coriocarcinomi e teratomi.

Tumori stromali e dei cordoni sessuali

Rappresentano circa l’8% di tutti i tumori ovarici e il 7% delle forma maligne. Derivano dalla componente stromale e dai cordoni sessuali della gonade in fase di sviluppo. Questa categoria di tumori può contenere uno o più tipi cellulari: cellule

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7 della granulosa, tecali, luteiniche, di Sertoli, di Leydig e fibroblasti. La loro classificazione avviene in base al tipo di cellula di origine.

Tumori secondari

In alcuni casi, la lesione ovarica può essere la prima manifestazione clinica di una neoplasia insorta in altra sede. I tumori metastatici dell’ovaio costituiscono il 6-7% dei tumori ovarici. Tutti i tumori possono metastatizzare all’ovaio, ma i più frequenti sono quelli intestinali, gastrici, mammari ed endometriali. Le vie di diffusione sono molteplici, ma la via linfatica e quella ematogena sono le più frequenti. L’estensione diretta è molto comune per i tumori insorti in sedi adiacenti, mentre la via transtubarica è seguita dai tumori endometriali; altri tumori, infine, possono raggiungere l’ovaio diffondendosi attraverso il peritoneo. I tumori ovarici metastatici sono bilaterali nel 70% dei casi e tendono a presentarsi come masse solide o cistiche o solido-cistiche, con superficie irregolare. Al taglio, contengono multiple aree di necrosi e di emorragia. All’esame microscopico mostrano alcuni aspetti molto simili ai tumori primari e pertanto possono essere facilmente confusi: le neoplasie del colon-retto, ad esempio, tendono a simulare un carcinoma ovarico primitivo di tipo mucinoso o endometrioide, perché possono alternare aree borderline e aree maligne (22); alcune neoplasie metastatiche possono anche formare strutture come tubuli e follicoli, e simulare perciò tumori ovarici primitivi di tipo stromale e dei cordoni sessuali. La corretta diagnosi dipende quindi dalla conoscenza della storia clinica, dal riconoscimento di peculiari aspetti macroscopici e microscopici, dalla ricerca di un eventuale tumore primitivo, anche intra-operatoriamente, nei casi in cui l’esame

(11)

8 estemporaneo abbia suggerito la possibilità di una metastasi e, eventualmente, dall’individuazione di specifici profili immunoistochimici (23, 24).

1.1.3 Vie di diffusione

La via intraperitoneale costituisce il modo di diffusione principale. Le cellule tumorali sfaldatesi dalla neoplasia e cadute in cavità intraperitoneale possono infatti impiantarsi sul peritoneo, sull’omento e sulla superficie peritoneale del diaframma. I linfonodi regionali sono gli iliaci esterni, comuni e para-aortici. I linfonodi inguinali possono essere interessati per via retrograda. La via ematica è generalmente meno importante.

All’esame autoptico la sede più comune di metastasi è il peritoneo (90%). Le metastasi ossee e cerebrali si riscontrano in meno dell’1%, quelle polmonari nel 5% e quelle epatiche parenchimali nel 5-10%.

1.1.4 Stadiazione

La stadiazione è il complesso delle indagini diagnostiche volte a stabilire, con la maggiore precisione possibile, l'estensione anatomica di un tumore, sia nella sua localizzazione primitiva sia negli eventuali siti metastatici. L'importanza della stadiazione è cruciale per definire il piano terapeutico complessivo, per formulare un giudizio prognostico e per valutare la risposta a metodiche sperimentali di cura. L'estensione anatomica della malattia è standardizzata in campo internazionale mediante il sistema di classificazione TNM. I tre parametri presi in considerazione

(12)

9 sono: le dimensioni del tumore primitivo (T), il coinvolgimento dei linfonodi regionali (N) e la presenza di metastasi a distanza (M).

Nel complesso una neoplasia è considerata tanto più avanzata quanto più è voluminosa ed estesa al di fuori dell'organo interessato (ai linfonodi o all'intero organismo). Nell’ambito del tumore dell’ovaio, alla stadiazione secondo il sistema TNM si affianca operativamente una classificazione anatomo-chirurgica definita dalla Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia (FIGO) (25), che a tutt’oggi rappresenta il più importante fattore prognostico per il tumore ovarico (Tabella 1).

STADIO   TNM  

CRITERI   STADIO  

FIGO  

T1   Tumore  limitato  alle  ovaie   I  

T1a   Tumore  limitato  a  un  ovaio.  Non  tumore  sulla  superficie  esterna.  Capsula   integra.  Non  cellule  maligne  nell’ascite  o  nel  lavaggio  peritoneale   IA  

T1b   Tumore  a  entrambe  le  ovaie.  Non  tumore  sulla  superficie  esterna.  Capsula   integra.  Non  cellule  maligne  nell’ascite  o  nel  lavaggio  peritoneale   IB  

T1c   Tumore  a  una  o  a  entrambe  le  ovaie.  Presenza  di  tumore  sulla  superficie   esterna  e/o  rottura  capsulare  e/o  cellule  maligne  nell’ascite  o  nel  lavaggio   peritoneale  

IC  

T2   Tumore  a  una  o  a  entrambe  le  ovaie  con  estensione  alla  pelvi   II   T2a   Tumore  con  estensione  e/o  metastasi  all’utero  e/o  ad  una  o  a  entrambe  le  

tube.  Non  cellule  maligne  nell’ascite  o  nel  lavaggio  peritoneale  

IIA  

T2b   Tumore   con   estensione   ad   altri   tessuti   pelvici.   Non   cellule   maligne   nell’ascite  o  nel  lavaggio  peritoneale   IIB  

T2c   Tumore  con  estensione  all’utero  e/o  alle  tube  e/o  ad  altri  tessuti  pelvici.   Presenza  di  cellule  maligne  nell’ascite  o  nel  lavaggio  peritoneale  

IIC  

T3  e/o  N1   Metastasi  peritoneali  extrapelviche  e/o  metastasi  nei  linfonodi  regionali     III  

T3a   Metastasi  peritoneali  microscopiche   IIIA  

T3b   Metastasi  peritoneali  macroscopiche    ≤  2  cm   IIIB  

T3  N1   Metastasi  peritoneali  >  2  cm  e/o  metastasi  nei  linfonodi  regionali   IIIC  

M1   Metastasi  a  distanza  (escluse  quelle  peritoneali)   IV  

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10 Questa classificazione riflette la storia naturale della malattia e trova spiegazione nei rapporti anatomici che l’ovaio contrae in termini topografici e di drenaggio emolinfatico (Fig. 5).

Figura 5. Rappresentazione schematica degli stadi di tumore ovarico secondo il sistema FIGO.

Per quanto riguarda la gradazione del tumore, a differenza di quanto avviene in altri tumori ginecologici, come quello dell’endometrio, la sua rilevanza prognostica nella patologia ovarica non è ancora ben definita. Ciò dipende soprattutto dalla mancanza di un sistema istopatologico di gradazione universalmente accettato, e da problemi di riproducibilità. Il sistema attualmente in uso, applicabile a tutti gli istotipi, considera

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11 un punteggio relativo al grado mitotico (0-3), un punteggio attribuito al grado di atipie nucleari (0-3) e un punteggio relativo al tipo architettonico, basato sul pattern predominante (ghiandolare=1, papillare=2, solido=3).

In generale, comunque, a un grado G1 corrisponde un tumore ben differenziato, a un grado G2 un tumore moderatamente differenziato e a un grado G3 un tumore scarsamente differenziato (Tabella 2). Solitamente, i tumori a basso grado derivano da precursori, come tumori benigni o borderline, a causa di una progressiva instabilità genetica, mentre le neoplasie ad alto grado sono rappresentate per lo più da fenomeni di carcinogenesi de novo (26).

GRADO   DESCRIZIONE  

G1   Ben  differenziato  

G2   Moderatamente   differenziato,   mediamente   differenziato,   a   differenziazione  intermedia  

G3   Scarsamente  differenziato  

Tabella 2. Grading del tumore dell’ovaio.

1.1.5 Epidemiologia

Il tumore ovarico rappresenta la principale causa di morte per tumore ginecologico e la quarta per tumore nella popolazione di sesso femminile nei paesi sviluppati (Fig. 6). Rappresenta il 2.6% di tutte le neoplasie femminili, collocandosi tra il nono (in Italia) e il dodicesimo (in USA) posto tra i più frequenti tumori nella popolazione

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12 femminile, e al secondo tra quelli ginecologici, dopo quello dell’utero. Ogni anno negli Stati Uniti si registrano circa 21.000 nuovi casi di cancro ovarico e più di 14.000 decessi (27). In Italia sono 4.800 i nuovi casi registrati (28).

La probabilità di sviluppare un carcinoma ovarico nella vita è dell’1,3%, corri-spondente a 1 donna su 76. Per quanto riguarda la mortalità, in Italia il carcinoma ovarico rientra tra le prime 5 cause di morte per tumore tra le donne in età inferiore a 50 anni (quarto posto, 6% del totale dei decessi oncologici) e tra le donne con 50-69 anni d’età (quinto posto, 7% del totale dei decessi) (28).

Figura 6. Elenco dei dieci principali tipi di tumori, per incidenza e mortalità, relativi all’anno 2015 negli Stati Uniti.

L’incidenza del tumore ovarico è più elevata nei Paesi occidentali, come Stati Uniti ed Europa occidentale, e da tre a cinque volte inferiore in Asia, Africa e America Latina. La razza caucasica è tre volte più colpita della razza nera. L’incidenza aumenta in particolare a partire dai 40 anni d’età, con un picco massimo intorno ai 60

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13 anni. In Italia, la proporzione maggiore di casi si osserva nella fascia di età 60-74 anni (326/100.000) (28), mentre secondo i dati dell’Annual Report n. 26 della Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia (FIGO) (25), il 26,3% dei casi insorge nella fascia di età tra 50 e 59 anni, il 24,3% in quella tra 60 e 69 e solo il 7,2% sotto i 40 anni, solitamente tumori ereditari che insorgono una decina d’anni prima (29). Meno dell’1% delle neoplasie dell’ovaio compaiono prima dei 20 anni, la maggior parte delle quali sono tumori germinali (30).

1.1.6 Eziologia, fattori di rischio e fattori protettivi

L’eziopatogenesi del tumore ovarico non è tuttora completamente nota. Nel corso degli anni sono state proposte numerose teorie, ma nessuna di esse spiega in modo esaustivo i fattori di rischio associati con la neoplasia. È possibile tuttavia delineare alcuni fattori che sono stati associati a un aumento o a una diminuzione del rischio di carcinoma ovarico (Fig. 7).

Figura 7. Elenco dei principali fattori che possono indurre un aumento o una diminuzione del rischio di carcinoma ovarico.

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14 Farmaci stimolanti l’ovulazione

La stimolazione ovarica per mezzo di farmaci contro la sterilità sembra essere correlata con un aumento del rischio di cancro ovarico, sebbene non statisticamente significativo. Molti studi hanno evidenziato un aumento di rischio solo in donne nullipare e, in mancanza di dati riferiti anche a donne con figli, si è portati a supporre possibili errori dovuti a meccanismi di selezione delle donne (31). Comunque, un possibile ruolo per tali farmaci è sostenuto dalla teoria dell’ovulazione incessante, che afferma che la continua distruzione e successiva riparazione dell’epitelio di superficie ovarica potrebbe determinare un aumentato rischio di mutazioni spontanee, favorendo l’insorgenza del tumore (32).

Familiarità e fattori genetici

Un aumento di rischio è stato riscontrato nelle donne con storia familiare di cancro ovarico o della mammella. L’anamnesi positiva per cancro dell’ovaio rappresenta il più importante fattore di rischio e pertanto le donne con storia familiare di cancro ovarico nelle parenti di primo grado sono da considerare ad alto rischio (RR>3). Il rischio raddoppia con due o più parenti di primo grado con cancro ovarico (33). Il tumore ovarico familiare può essere causato da una sindrome ereditaria in cui è presente una mutazione nei geni BRCA1/2, coinvolti nel riparo del DNA, ed è caratterizzato da casi multipli di tumore al seno e alle ovaie in generazioni successive, con età di insorgenza più bassa. La trasmissione della mutazione è autosomica dominante, ma fortunatamente la frequenza di tale mutazione è molto ridotta, pertanto la proporzione di casi attribuita a tale mutazione è inferiore al 5% (34). Un’aumentata incidenza di cancro ovarico è stata anche riscontrata nella

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15 sindrome di Lynch II, una sindrome autosomica dominante che determina un aumento del rischio di carcinoma colorettale non poliposico e dei carcinomi dell’endometrio, della mammella e dell’ovaio.

Età

L’incidenza di carcinoma ovarico aumenta con l’età. E’ virtualmente nulla al di sotto dei 20 anni, anche tra le portatrici di mutazioni dei geni BRCA1/2, rimane molto bassa fino ai 30 anni, cresce linearmente fino ai 50 anni e poi con una velocità minore fino all’ottava decade di vita, quando si registra il tasso più alto. Il tasso di incidenza passa da 15.7 su 100.000 a 40 anni a 54 su 100.000 a 75 anni, e più di un terzo dei carcinomi ovarici vengono diagnosticati in donne di età superiore ai 65 anni (35).

Gravidanza, allattamento e uso di contraccettivi

La gravidanza e l’uso di contraccettivi orali, riducendo il numero di eventi ovulatori e di cisti inclusionali, esercitano un effetto protettivo sulla carcinogenesi ovarica (36). La protezione da parte dei contraccettivi aumenta del 5% per ogni anno di utilizzo, sino a una protezione superiore al 50% per una durata di assunzione superiore a 10 anni (37, 38). Numerosi studi hanno evidenziato un effetto protettivo anche per l’allattamento, tuttavia i risultati non sono statisticamente significativi (39).

Attività fisica

Diversi studi hanno evidenziato una relazione inversa tra attività fisica e rischio di cancro ovarico. Si ipotizza che tale attività possa abbassare il rischio di carcinoma

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16 ovarico attraverso la riduzione dei livelli di estrogeni e del numero di ovulazioni (40).

Dieta

La dieta è stata messa in relazione con il cancro dell’ovaio per la sua potenziale influenza sul processo di carcinogenesi; tuttavia, una quantificazione puntuale del rischio non è al momento disponibile (41). Numerosi studi, sia prospettici sia retrospettivi, hanno evidenziato un effetto protettivo di una dieta ricca di vegetali e pesce. Viceversa, una dieta ricca di carne rossa e grassi sembra direttamente correlata con il cancro dell’ovaio (42). Per quanto riguarda i micronutrienti, alcuni studi hanno evidenziato una relazione inversa con la vitamina A, in particolare con il suo precursore beta-carotene. L’associazione di alto consumo di calcio e di vitamina D si è dimostrata avere un effetto protettivo statisticamente significativo (43).

Obesità

Una ricerca del National Cancer Institute su un campione di donne sovrappeso di età compresa tra 50 e 71 anni ha messo in evidenza come le probabilità che queste sviluppino un tumore maligno alle ovaie sia sensibilmente più alta rispetto alle donne in peso forma (44). Tutttavia, attualmente la correlazione tra carcinoma ovarico e obesità è ancora dibattuta, sebbene anche altri studi abbiano indicato un rischio incrementato di circa il 30% in donne obese rispetto a donne con un BMI normale (45, 46).

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1.1.7 Segni e sintomi

Il tumore ovarico è tra le patologie oncologiche di più difficile approccio poiché, non evidenziando sintomatologie specifiche, viene nella maggioranza dei casi scoperto quando le possibilità di guarigione sono ormai compromesse.

Nella maggior parte dei casi infatti il carcinoma dell’ovaio nelle fasi iniziali è asintomatico. Talvolta può dare sintomi aspecifici come dispepsia, meteorismo, dolenzie addomino-pelviche e senso di pesantezza/tensione addominale, perdita di appetito, perdita o aumento di peso, che tuttavia possono essere sottovalutati o attribuiti ad altra causa. In fase avanzata, la sintomatologia è rappresentata generalmente da un aumento di volume della parte inferiore dell’addome, con o senza dolore, sia per la massa neoplastica che per l’ascite che spesso si sviluppa per l’ostruzione dei vasi linfatici diaframmatici da parte delle cellule neoplastiche. Altri sintomi sono quelli da compressione sugli organi circostanti, soprattutto disturbi intestinali (stipsi, occlusione, subocclusione) e meno frequentemente urinari (pollachiuria, disuria, episodi di ematuria e ritenzione urinaria). In fasi molto avanzate, per l’elevata richiesta metabolica da parte della neoplasia, si può avere un rapido decadimento delle condizioni generali fino alla cachessia (47, 48). La diagnosi di solito avviene entro tre mesi dall’inizio dei sintomi, ma a volte la loro genericità trae in inganno, protraendo il tempo fino a sei mesi.

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18

1.1.8 Diagnosi

Attualmente, la diagnosi di carcinoma ovarico primario è basata principalmente sulla visita ginecologica, sul dosaggio di marcatori tumorali sierici specifici e su tecniche di imaging radiologico. Il dosaggio dei markers tumorali può dare un’indicazione sull’origine germinale o epiteliale del tumore, ma è soprattutto utile nel follow-up dopo trattamento chirurgico e chemioterapico. Il CA-125 è il marcatore sierico più attendibile per il carcinoma ovarico (49), sebbene la sua specificità sia piuttosto bassa. La valutazione del CA-19.9 e del CEA (antigene carcino-embrionario) può essere utile nelle pazienti con CA-125 preoperatorio negativo, e soprattutto negli istotipi mucinosi (49).

Tuttavia, nonostante l’evoluzione della diagnostica per immagini e di laboratorio, nel tumore ovarico l’esame istologico rappresenta il gold standard per la formulazione di una diagnosi dettagliata e precisa, per l’individuazione di fattori prognostici e predittivi e quindi per la scelta della migliore strategia terapeutica (50).

1.1.9 Trattamento

La gestione ottimale di una donna con una massa pelvica resta una sfida clinica per ostetrici, ginecologici e altri specialisti della salute delle donne. L’approccio chirurgico iniziale riveste un ruolo fondamentale in caso di neoplasia ovarica sospetta sia ai fini diagnostici, permettendo l’accertamento istopatologico della natura della massa, sia ai fini terapeutici, consentendo la sua rimozione e la valutazione dell’estensione anatomica della malattia. Dopo la valutazione chirurgica

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19 molte di queste masse risultano alla fine di natura benigna. In caso di lesione maligna si rende necessaria la consulenza di un ginecologo oncologo per una possibile ulteriore stadiazione chirurgica e per la valutazione di un’eventuale terapia adiuvante. La chemioterapia post-operatoria viene somministrata nelle pazienti a rischio di recidiva quando la diagnosi è precoce, mentre negli stadi avanzati rappresenta un completamento terapeutico indispensabile (51).

1.1.10 Prognosi

La prognosi del carcinoma ovarico è molto infausta, a causa dell’aggressività e della diagnosi spesso tardiva. Infatti, in circa il 90% dei casi, il carcinoma ovarico è diagnosticato in fase di diffusione extra-pelvica (stadio FIGO III e IV) e la percentuale di sopravvivenza a 5 anni, nonostante il miglioramento delle tecniche chirurgiche e delle terapie mediche adiuvanti, non supera il 40%. Al contrario, quando la malattia è diagnosticata in fase iniziale, limitata all’ovaio (stadio FIGO I), la sopravvivenza a 5 anni è di circa il 90% (28).

Altri fattori che condizionano la prognosi del carcinoma ovarico sono il grado istologico, l’istotipo e la presenza di malattia residua dopo chirurgia.

1.1.11 Screening

Ad oggi, il percorso di screening è fondato sulla determinazione del CA-125 e sull’ecografia transvaginale/pelvica. E’ noto però quanto sia limitato il valore

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20 predittivo di queste indagini: il valore predittivo positivo del CA-125 è solo del 10%, e diventa del 20% quando vi si associa la valutazione ecografica delle pelvi. Per tale ragione, nessuna società scientifica raccomanda ancora oggi lo screening del carcinoma ovarico nella popolazione generale (51).

(24)

21

1.2 La genetica del carcinoma ovarico

1.2.1 Geni oncosoppressori

Gli oncosoppressori sono geni che codificano per prodotti che agiscono negativamente sulla progressione del ciclo cellulare, proteggendo in tal modo la cellula dall'accumulo di mutazioni potenzialmente tumorigeniche. Gli oncosoppressori, quindi, favoriscono la differenziazione cellulare o l'apoptosi in caso di danno irreparabile al DNA. Quando tali geni sono assenti o inattivati, ad esempio in seguito all'insorgenza di una mutazione, la cellula può progredire verso la trasformazione in cellula cancerosa, solitamente in presenza di altre modificazioni genetiche. A differenza degli oncogeni, solitamente gli oncosoppressori seguono la “two-hit hypothesis”, elaborata nel 1971 da Alfred George Knudson (52), che implica che entrambi gli alleli di un determinato gene siano mutati perché si manifesti un effetto. Ciò è dovuto al fatto che, qualora un solo allele sia danneggiato, il secondo resterebbe in ogni caso in grado di generare una proteina corretta. In altre parole, le mutazioni dei geni oncosoppressori sono solitamente recessive, mentre quelle degli oncogeni sono comunemente dominanti.

I geni oncosoppressori, o più precisamente le proteine da essi codificate, assolvono a una grande varietà di funzioni, generalmente in contrasto con le funzionalità espresse dagli oncogeni. Se gli oncogeni, infatti, nella maggioranza dei casi, presiedono a tutti i meccanismi di accrescimento e proliferazione cellulare, gli oncosoppressori si

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22 pongono come limite a tali funzioni. Più nel dettaglio, le funzioni degli oncosoppressori sono:

§ Repressione di geni essenziali per la prosecuzione del ciclo cellulare: se tali geni non sono espressi, la cellula non sarà in grado di progredire verso la mitosi;

§ Interruzione del ciclo cellulare in caso di DNA danneggiato: finché in una cellula è presente DNA danneggiato non riparato, essa non è in grado di dividersi. Solo se il DNA viene riparato, la cellula può proseguire con il ciclo;

§ Induzione dell'apoptosi: se il danno non può essere riparato, nella cellula viene avviata l'apoptosi, un processo di morte cellulare programmata che rimuove il rischio che tale cellula possa nuocere all'organismo;

§ Soppressione di metastasi: diverse proteine coinvolte nell'adesione cellulare sono in grado di impedire alle cellule tumorali di disseminarsi nell'organismo e di ripristinare l'inibizione da contatto.

I geni BRCA1 e BRCA2, che producono proteine capaci di riparare il DNA danneggiato e rappresentano quindi dei sistemi di controllo che si attivano quando rivelano un'anomalia nel DNA cellulare, sono esempi di geni oncosoppressori.

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23

1.2.2 Struttura della proteina BRCA1

Il gene BRCA1 (Breast Related Cancer Antigen 1) è situato sul cromosoma 17 (Fig. 8) e codifica per la proteina di suscettibilità al cancro della mammella BRCA1 (53).

Figura 8. Localizzazione del gene BRCA1 sul cromosoma 17q12-21.

Tale proteina è costituita da (Fig. 9):

§ Un dominio N-terminale, caratterizzato dalla presenza di un RING-domain che possiede attività ubiquitina-ligasica (54) e media le interazioni con altre proteine. A livello del RING-domain, BRCA1 forma un eterodimero con la proteina BARD1;

§ Un dominio centrale, che contiene il sito di legame per un macrocomplesso proteico detto BASC (BRCA1-Associated genome Surveillance Complex) che comprende numerose proteine, tra cui le più importanti sono RAD50,

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24 MRE11 e NBS1, note per il loro ruolo nel metabolismo e nel riparo dei danni al DNA (55, 56)

§ Un dominio C-terminale, caratterizzato dalla presenza di due domini BRCT (BRCA1 C-Terminus), costituiti ciascuno da circa 85-95 amminoacidi, per lo più idrofobici e organizzati in gruppi ripetuti (57). A questo dominio è riconosciuto il legame di varie proteine, tra cui BRCA2, RHA (RNA elicasi A), RNA polimerasi II, p53, HDAC (Istone Deacetilasi) (57, 58).

(28)

25

1.2.3 Struttura della proteina BRCA2

BRCA2 è un gene oncosoppressore situato sul cromosoma 13 (Fig. 10) e codifica per

una proteina di suscettibilità al cancro della mammella denominata BRCA2.

Figura 10. Localizzazione del gene BRCA2 sul cromosoma 13q12-13.

Tale proteina è costituita da (Fig. 11):

§ Un dominio centrale definito “BRC”, essenziale per il ruolo di riparazione del DNA e per il legame con RAD51;

§ Un dominio C-terminale, che presenta un sito d’interazione con BRCA1 e anche un sito di legame per DSS1, una piccola proteina che regola l’attività di riparazione del DNA, funzionando come cofattore di BRCA1.

(29)

26

Figura 11. Domini funzionali della proteina BRCA2.

1.2.4 Funzione delle proteine BRCA1/BRCA2

BRCA1 e BRCA2 sono considerati geni oncosoppressori caretaker, poiché le proteine

da essi codificate sono coinvolte:

§ Nella riparazione del DNA tramite ricombinazione omologa (HR); § Nella regolazione della trascrizione;

§ Nel controllo del ciclo cellulare.

Riparazione del DNA

Per quanto riguarda la ricombinazione omologa, la letteratura suggerisce che le proteine BRCA1 e BRCA2 abbiano ruoli diversi, nonostante si localizzino all’interno di un unico complesso macromolecolare. Infatti, è stato dimostrato che, mentre BRCA1 svolge un ruolo più generale, fungendo da tramite tra i segnali di rottura del DNA e gli effettori della riparazione, BRCA2 lega e controlla l’attività della proteina RAD51. Come conseguenza di una lesione alla doppia elica del DNA, si ha l’immediata marcatura del sito danneggiato grazie alla fosforilazione dell’istone

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27 H2A-X. BRCA1 viene fosforilata e di conseguenza attivata. Nella forma attiva questa migra a livello delle forche di replicazione del DNA, dove si associa a complessi proteici specifici per la riparazione (59), tra cui il complesso macromolecolare MRE11/RAD50/NSB1. La nucleasi MRE11 è responsabile della formazione di tratti di DNA a singola elica (ssDNA), che saranno poi legati da RAD51. Inibendo l’attività nucleasica di MRE11, BRCA1 può regolare la lunghezza e la quantità dei tratti di ssDNA che si vanno a formare, fungendo così da coordinatore della risposta al danno genetico (60). BRCA1 interagisce inoltre con il complesso SWI/SWF, responsabile del rimodellamento della cromatina che permette un più libero accesso al DNA danneggiato da parte dei fattori coinvolti nella riparazione. BRCA2 agisce invece in modo più diretto, legando direttamente a livello dei domini BCR e della coda C-terminale la proteina RAD51, che si lega all’ ssDNA formando un filamento nucleo proteico, che va ad appaiarsi con la sua regione omologa nel DNA a doppio filamento del cromatidio fratello e promuove lo scambio dei filamenti giustapposti (61). L’interazione BRCA2-RAD51 prevede la presenza di uno stato inattivo in cui RAD51 non può legare il DNA, e di uno stato attivo nel quale RAD51 effettua la ricombinazione. Il mantenimento dello stato inattivo è necessario per prevenire un’attivazione non richiesta della ricombinazione durante la replicazione del DNA; il passaggio fra lo stato inattivo a quello attivo è dato da modificazioni post-traduzionali quali la fosforilazione/defosforilazione di una o entrambe le proteine, in risposta a lesioni del DNA.

(31)

28 Regolazione della trascrizione

BRCA1 regola la trascrizione di numerosi geni coinvolti nei meccanismi di riparo del DNA. In associazione con ZBRK1 e KRAB, BRCA1 è in grado di inibire la trascrizione del gene oncosoppressore GAD45, un bersaglio a valle della via di p53 (62, 63). BRCA1 è in grado di interagire con l’apparato trascrizionale della cellula, complessandosi con l’RNA polimerasi II attraverso l’interazione con l’elicasi. E’stato dimostrato che le cellule in cui BRCA1 viene inattivato sono deficitarie nella riparazione del DNA associata alla trascrizione (64, 65). Inoltre, BRCA1 sembra essere coinvolto nel controllo del processamento dell’RNA in seguito al danno al DNA, grazie alla formazione del complesso BRCA1/BARD. Gli mRNA nascenti, prima di essere poliadenilati, devono essere tagliati al 3’ da una endonucleasi. Questa reazione può essere inibita dal complesso BRCA1/BARD in caso il DNA abbia subito un danno. Infine, BRCA1 controlla in maniera indiretta la trascrizione attraverso l’interazione con l’istone deacetilasi, rendendo la cromatina più o meno accessibile ai fattori di trascrizione.

Controllo del ciclo cellulare

Il ciclo cellulare, ovvero l’insieme degli eventi molecolari che portano una cellula a dividersi in due cellule figlie geneticamente identiche, è un processo altamente controllato, costituito da una serie di eventi coordinati e correlati tra loro dai quali dipende la corretta crescita e proliferazione delle cellule eucariotiche. Gli eventi molecolari che controllano il ciclo cellulare sono ordinati e direzionali: ogni processo è la diretta conseguenza dell'evento precedente ed è la causa di quello successivo. Vi sono due momenti chiave nel controllo del ciclo:

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29 § Il passaggio dalla fase G1 alla fase S (checkpoint G1/S)

§ Il passaggio dalla fase G2 alla mitosi (checkpoint G2/M)

I checkpoint sono essenziali per la sopravvivenza della cellula, poiché impediscono la propagazione del DNA danneggiato. BRCA1 svolge la sua funzione di controllo a livello dei checkpoint come parte del complesso BASC. In particolare, alcuni studi hanno dimostrato che BRCA1 è richiesta nella fase S e nel checkpoint G2/M; ciò suggerisce che BRCA1 sia indispensabile per la risposta ai danni del DNA che avvengono solitamente in questa fase (66). Altri lavori hanno indicato come essenziale per questa fase l’attivazione, da parte di BRCA1, della chinasi Chk1 (67). Si è scoperto, inoltre, che BRCA1, in presenza di rotture del DNA a doppio filamento (Double Strand Breaks, DSBs), funge da coattivatore di p53 (68), contribuendo ad arrestare il ciclo cellulare nella fase S, impedendo l’inizio della duplicazione del DNA. Non è ancora chiaro, invece, il ruolo di BRCA2 nel processo di regolazione del ciclo cellulare. Un modello proposto è quello in cui la sua interazione con BRAF35 (BRCA2-Associated Factor 35) controlli il checkpoint G2/M. Tale ruolo dipenderebbe dalla capacità del complesso di legarsi alla cromatina fortemente condensata, ovvero ai cromosomi in via di formazione.

(33)

30

1.2.5 I geni BRCA1/BRCA2 e il carcinoma ovarico

I geni oncosoppressori BRCA1/BRCA2 assicurano che la duplicazione del DNA avvenga correttamente e che non si accumulino errori nelle cellule figlie. Quando sono mutati, la perdita della loro funzione determina l’incapacità di impedire la crescita di cellule anomale che possono dare origine al tumore. Le mutazioni a carico dei geni BRCA1/BRCA2 possono essere:

§ Di tipo somatico, in cui la mutazione è localizzata soltanto all'interno delle cellule tumorali e non, per esempio, nel sangue o nelle cellule epiteliali;

§ Di tipo germinale, in cui ogni cellula contiene la mutazione.

Le mutazioni somatiche dei geni BRCA sono più rare, e rappresentano solo il 10% delle anomalie genetiche. Al contrario, invece, le mutazioni germinali

BRCA1/BRCA2 costituiscono la causa più importante di insorgenza di neoplasie

ereditarie dell’ovaio e della mammella. Inoltre, è noto dalla letteratura che la maggioranza delle mutazioni a carico dei geni BRCA1/BRCA2 consiste in inserzioni/delezioni o cambi di singole basi, che possono determinare la formazione di una proteina troncata o malfunzionante, oppure causare instabilità dell’RNA messaggero, con un impatto significativo sulla funzione proteica finale e sui pathway in cui le proteine BRCA1/2 sono coinvolte. Per quanto concerne il carcinoma ovarico, le donne con entrambi i geni mutati presentano un rischio del 44% di sviluppare il tumore nel corso della loro vita (69) mentre per le donne portatrici di

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31 uno solo dei due geni mutati, il rischio di sviluppare la neoplasia entro i 70 anni è del 39% per BRCA1 e dell’11-17% per BRCA2 (70).

Inoltre, i dati di letteratura hanno evidenziato che l’istotipo tumorale sieroso di alto grado è più frequentemente mutato rispetto ad altri istotipi.

La presenza di una mutazione BRCA1/BRCA2 determina un aumentato rischio di sviluppare determinate tipologie di cancro, oltre quello ovarico, tra cui melanoma e carcinomi della mammella, sia maschile che femminile, della prostata e del pancreas. In questo caso è importante seguire un programma di controlli regolari.

(35)

32

1.3 Le poli ADP-ribosio polimerasi (PARP)

1.3.1 Struttura e funzione di PARP

Le poli (ADP-ribosio) polimerasi (PARP) sono enzimi che catalizzano il trasferimento di catene di poli (ADP-ribosio) dal suo precursore NAD ai gruppi carbossilici delle proteine. La famiglia delle proteine PARP è costituita da 17 membri (10 dei quali putativi) che hanno strutture e funzioni cellulari diverse tra loro: PARP1, PARP2, PARP3, VPARP (PARP4), PARP5a (TNKS) e PARP5b (TNKS2), PARP6, TIPARP (PARP7), PARP8, PARP9, PARP10, PARP11, PARP12, PARP14, PARP15 ed infine PARP16. Questi enzimi hanno la capacità di ottenere un polimero di ADP-ribosio (PAR) a partire da una molecola di nicotinamide adenin-dinucleotide (NAD), e di legarlo ad alcune proteine. PAR viene degradato da enzimi specializzati chiamati PARG (poly-(ADP-ribose)glycohycrolase). La famiglia PARP è coinvolta nella regolazione di importanti processi nucleari come riparazione e ricombinazione del DNA, differenziamento cellulare ed apoptosi. La principale funzione degli enzimi PARP consiste nella riparazione di tagli a singolo filamento del DNA (Single Strand Breaks, SSBs) (71-73). L’enzima PARP agisce legando il filamento tagliato attraverso la sua porzione N-terminale contenente il motivo zinc-finger, e procede al reclutamento di XRCC1, DNA-ligasi III, DNA-polimerasi-beta e chinasi. Questo processo prende il nome di riparo per escissione di base (Base Excision Repair, BER) (74).

(36)

33 Il membro più studiato della famiglia PARP è PARP1 (Fig. 12), caratterizzato da:

§ Un dominio N-terminale, formato da due motivi zinc finger che riconoscono e legano il danno a carico del filamento di DNA;

§ Un dominio centrale di automodificazione, molto ricco di residui di acido glutammico, che rappresentano i siti di legame per i polimeri di ADP ribosio, e contenente un motivo leucin-zipper e un motivo identificato con la porzione C terminale del gene del cancro alla mammella (BReast cancer C-Terminus, BRCT), responsabili delle interazioni proteina-proteina, come quelle che si instaurano tra le molecole di PARP e proteine accettrici con lo stesso motivo strutturale.

§ Un dominio catalitico, che lega il NAD responsabile della sintesi di polimeri. Tale dominio è evolutivamente conservato ed è presente in altre isoforme enzimatiche, che vanno a definire una super-famiglia le cui componenti presentano localizzazione, struttura e funzioni diverse.

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34 Il ruolo di PARP1 è quello di individuare e segnalare le rotture a singolo filamento del DNA (SSBs) all'apparato enzimatico coinvolto nella riparazione (75, 76).

Il meccanismo di riparo mediato da PARP1 (Fig. 13) prevede i seguenti punti:

§ Riconoscimento del danno al DNA, trasformazione e amplificazione del segnale di danno;

§ Rilassamento della struttura cromatinica e accesso degli enzimi di riparo al sito del danno;

§ Reclutamento di XRCC1 al sito del danno e assemblaggio del complesso di riparo;

§ Conversione delle estremità libere del DNA inciso a 5’-fosfato e 3’-OH ad opera della chinasi polinucleotidica, che è stimolata da XRCC1;

§ Riempimento delle lacune mediante la DNA polimerasi, stimolata da PARP1; § Riparo del DNA mediato della DNA ligasi III.

PARP1, in presenza di un danno lieve al DNA, permette il riparo favorendo la sopravvivenza cellulare. In caso di danno esteso, invece, PARP1 viene inattivato mediante digestione enzimatica da parte delle caspasi, e la cellula va incontro ad apoptosi.

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35

Figura 13. Meccanismo d’azione di PARP-1.

1.3.2 Gli inibitori di PARP

Le opzioni terapeutiche per il tumore ovarico, fino a poco tempo fa, erano limitate all’utilizzo di due soli farmaci tradizionalmente più efficaci, il carboplatino e il paclitaxel. Partendo però dall’osservazione che le proteine della famiglia PARP sono fondamentali per riparare i danni al DNA, in particolare nelle cellule con mutazioni di BRCA, che hanno un’inattivazione del sistema di ricombinazione omologa (HR), e che le cellule che non sono in grado di riparare il DNA vanno in apoptosi a causa di un sovraccarico di errori a livello del DNA, negli ultimi anni sono stati sviluppati i PARP-inibitori (PARPi), farmaci capaci di inibire l’azione delle proteine PARP. La loro azione si basa dunque sull’annullamento del meccanismo di riparazione del

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36 DNA dipendente da PARP, che nelle cellule neoplastiche, già mancanti del meccanismo di HR, determina la morte per apoptosi (77). Tra i PARPi impiegati nel trattamento del carcinoma ovarico, il principale è l’Olaparib (AZD-2281, nome commerciale Lynparza) (Fig. 14), approvato dall’FDA (79) e dall’ EMA (80) nel 2014, e attualmente disponibile anche per le pazienti italiane.

Figura 14. Struttura dell’Olaparib

Nello specifico, Olaparib è indicato come monoterapia per il trattamento di mantenimento di pazienti adulte con recidiva platino-sensibile di carcinoma ovarico epiteliale sieroso di alto grado, BRCA-mutato (mutazione nella linea germinale e/o mutazione somatica), che rispondono (risposta completa o risposta parziale) alla chemioterapia a base di platino (81-83).

Il meccanismo di azione di Olaparib è di seguito descritto (Fig. 15). Come è noto, PARP1 è necessario per riparare efficientemente le rotture dei singoli filamenti di DNA (SSBs). Un aspetto importante della riparazione indotta da PARP1 implica che, in seguito alla modificazione della cromatina, PARP1 si automodifichi e si dissoci dal DNA per facilitare l’accesso agli enzimi del sistema di riparo per escissione di

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37 base (BER). Olaparib, legandosi al sito attivo di PARP1 quando questo è associato al DNA, ne impedisce la scissione e lo intrappola sul DNA, bloccando in tale modo il processo di riparazione. Nelle cellule replicanti, ciò determina la rottura dei doppi filamenti di DNA (DSBs) quando le forche di replicazione incontrano l’addotto PARP1/DNA.

Figura 15. Meccanismo di azione dell’Olaparib

Nelle cellule normali, cioè che non presentano mutazioni di BRCA, la riparazione delle rotture dei doppi filamenti di DNA per ricombinazione omologa (HR), avviene in maniera semplice ed efficace tramite le proteine BRCA1 e BRCA2. In assenza di BRCA1 o BRCA2 funzionali, le rotture dei doppi filamenti di DNA non possono essere riparate tramite HR. Per contro, vengono anche attivate vie alternative di riparazione, fra cui la via di unione non

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38 omologa delle terminazioni (Non Homologous End Joining, NHEJ). Tale via, però, essendo soggetta a errori, determina una maggiore instabilità genomica. Dopo diversi cicli di replicazione, l’instabilità genomica può raggiungere livelli insostenibili e causare la morte delle cellule tumorali, dato che queste cellule hanno una frequenza più elevata di danni al DNA rispetto alle cellule sane. Olaparib si è dimostrato essere in grado di inibire la crescita di linee cellulari tumorali selezionate in vitro, impiegato sia in monoterapia (81, 82) che in associazione con regimi chemioterapici noti. In modelli in vivo BRCA-deficitari, il trattamento combinato Olaparib + platino determina un rallentamento della progressione tumorale e un aumento della sopravvivenza globale, in confronto alla monoterapia con solo platino.

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39

1.4 Neuropilina 1

1.4.1 Struttura e funzione

La Neuropilina 1 (NRP1), insieme alla NRP2, appartiene a una famiglia di recettori per le semaforina di classe III (Sema3) e per il fattore di crescita VEGF (84). Strutturalmente, NRP1 presenta (Fig. 16):

§ Una porzione extracellulare, composta da 5 domini (a1, a2, b1, b2, c). I domini a1, a2 e b1 legano le semaforine, mentre i domini b1 e b2 legano i fattori della famiglia VEGF. Il dominio c (Meprin o MAM) è responsabile della dimerizzazione del recettore, insieme al dominio transmembrana;

§ Un dominio transmembrana, essenziale per l'attività di co-recettore di NRP1 perchè coinvolto, insieme al dominio Meprin (localizzato nella porzione extracellulare) nella dimerizzazione;

§ Un dominio citoplasmatico intracellulare, PDZ, il quale interagisce con proteine contenenti il motivo PDZ, tra cui le proteine della catena pesante della miosina, Mhy-9 e Mhy-10, le proteine di adesione focale (FA) come Filamina-A (FlnA), importante nell'attività pro-angiogenica di NRP1, e proteine come GIPC e Sinectina, importanti nella formazione del complesso del segnale e nel mantenimento dell'integrità strutturale di NRP1 e di altre proteine transmembrana.

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Figura 16. Struttura di NRP1

NRP1 ha un ruolo fondamentale nello sviluppo del sistema nervoso e vascolare, in quanto è in grado di regolare la migrazione cellulare (85, 86). NRP1 è in grado di interagire non solo con le Sema3 e il VEGF, ma anche con altri fattori di crescita come gli FGF (FGF1, FGF2, FGF4 e KGF), HGF, PDGF e PDGF (87-90), con un diverso sito di legame che mima quello presente sull’eparina.

NRP1 è espressa in un’ampia varietà di cellule, tra cui le cellule endoteliali, neuroni, cellule pancreatiche, epatociti, melanociti, osteoblasti (91), e in cellule epiteliali di diversi organi (92).

La principale funzione di NRP1 è quella di agire da co-recettore, mediando l’attivazione di un recettore da parte dello specifico ligando attraverso l’interazione contemporanea con entrambe le proteine. È stato ipotizzato che NRP1 concentri i ligandi solubili sulla membrana delle cellule, aumentando così la loro disponibilità per l’interazione con i rispettivi recettori. Un’ipotesi alternativa suggerisce, invece,

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41 che NRP1 contribuisca all’endocitosi del complesso recettore/ligando, che in alcuni casi stimola la trasduzione del segnale (93, 94).

NRP1 è in grado di legare anche se stessa (dimerizzazione), e questo è molto importante per diverse interazioni intercellulari (95).

L’espressione di NRP1 è stata dimostrata in diversi tumori, evidenziando quindi un ruolo di questa proteina nella cancerogenesi. NRP1 risulta infatti essere up-regolata nei tumori della prostata, della mammella e del pancreas (96).

Anche nel carcinoma ovarico è stata osservata l’espressione di NRP1, che risulta invece assente nelle cellule della superfice epiteliale ovarica (OSE), da cui si ritiene abbia origine il tumore. Di conseguenza, la sua espressione suggerisce un ruolo nella trasformazione in senso oncogenico delle OSE e nella progressione del tumore ovarico. Alcuni studi hanno suggerito che l’espressione di NRP1 nelle cellule ovariche possa essere determinante per la capacità di evadere l’inibizione da contatto. Infatti, riducendo l’espressione di questa proteina in una linea cellulare di adenocarcinoma ovarico, SKOV3, si evidenzia una riduzione della crescita e della capacità invasiva (97). L'espressione di NRP1 risulta inoltre aumentata nei tessuti tumorali in stadio avanzato, con metastasi linfonodali e con metastasi a distanza, rispetto ai tessuti tumorali in cui non sono presenti metastasi e non c’è compromissione linfonodale. Inoltre, livelli elevati di NRP1 sembrano correlare con un tempo di sopravvivenza più breve (98).

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42

1.5 I microRNA

1.5.1 Struttura e funzione

I microRNA (miRNA) sono piccole molecole di RNA non codificante a singolo filamento, lunghe circa 20-22 nucleotidi, codificate dal DNA nucleare, che agiscono sulla regolazione dell'espressione genica a livello dell’RNA messaggero, tramite la repressione della traduzione o la degradazione della molecola bersaglio. I miRNA sono generati dall’enzima Dicer a partire da una molecola di RNA a doppia catena, ed il loro principale meccanismo d’azione è quello di inibire a livello post-trascrizionale RNA messaggeri (mRNA) riconosciuti sulla base di omologia di sequenza (Fig. 17).

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43 La scoperta dei miRNA ha stabilito l’esistenza di nuovi meccanismi molecolari implicati nella difesa contro elementi genetici mobili, nella stabilità del genoma e nella regolazione dell’espressione di geni codificanti per proteine. La loro espressione è solitamente temporale, e può essere regolata da segnali extracellulari. In cellule di mammifero è stata ad esempio dimostrata la modulazione dell’espressione dei miRNA durante il differenziamento delle cellule HL60 in cellule monocitarie/macrofagiche, in seguito a trattamento con TPA (99).

Questi risultati suggeriscono come i miRNA abbiano un ruolo rilevante nello sviluppo e nel differenziamento cellulare di diversi tessuti, dai nematodi ai mammiferi. Nell’uomo e nel topo, poi, l’espressione dei miRNA è anche tessuto-specifica (100). Ad esempio, miR-1b, miR-7-1 e miR-99b sono espressi preferenzialmente nel cervello, miR-18 nell’ovaio, miR-21 nelle cellule ematopoietiche, testicoli e ovaio, miR-28 nei soli linfociti B, e miR-133a e b nel tessuto muscolare scheletrico o cardiaco. L’espressione tessuto-specifica di determinati miRNA contribuisce quindi a determinare il profilo di espressione proteica caratteristico di ciascun tessuto.

I meccanismi che regolano l’espressione dei miRNA non sono del tutto chiari, e le loro funzioni biologiche, dipendenti in gran parte dal riconoscimento dei geni bersaglio, sono oggetto di numerosi studi.

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1.5.2 Ruolo dei miRNA nel cancro

I miRNA sono coinvolti non solo in processi fisiologici, ma anche in processi patologici. In particolare, un’espressione aberrante di tali molecole è stata descritta in diversi tumori umani, suggerendo un potenziale ruolo nel processo di tumorigenesi. Negli ultimi anni, in pratica, la scoperta dei miRNA e della loro funzione di controllo sull'espressione di geni coinvolti nella tumorigenesi ha rivoluzionato la ricerca oncologica. Un numero crescente di studi ha infatti dimostrato l’esistenza di miRNA che modulano l'espressione di oncogeni, definiti come TS-miR (Tumor Suppressor), e di altri che modulano l’espressione di geni oncosoppressori, noti come oncomiR (101). Pertanto, alterazioni del tipo "perdita di funzione" di TS-miR o "guadagno di funzione" di oncomiR si traducono rispettivamente in una sovraregolazione degli oncogeni o in una inibizione dei geni oncosoppressori (Fig. 18). I miR possono essere coinvolti nella regolazione di vari processi connessi alla tumorigenesi, tra cui l’autosufficienza nei segnali di crescita (famiglia let-7, miR-21), l’evasione dall'apoptosi (34a, 185, 15/16), l’angiogenesi (210, miR-26, miR-15b, miR-155), l’invasività (miR-10b, miR-31, famiglia miR-200, miR-21, miR-15b).

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Figura 18. Ruolo dei microRNA nel cancro

Per quanto riguarda nello specifico il carcinoma ovarico, numerosi studi hanno dimostrato l’esistenza di differenti profili di espressione dei miRNA nel tumore ovarico rispetto al tessuto sano, evidenziandone anche la correzione con la prognosi (102-104).

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Figura 19. miRNA nel carcinoma ovarico

Confrontando i livelli di espressione dei miRNA nel cancro ovarico e in tessuto ovarico normale, Iorio et al. (105) hanno osservato come l'espressione di alcuni miRNA, come miR-199a e miR-200, fosse significativamente più alta nel tumore rispetto ai tessuti normali, suggerendo per tali molecole un ruolo oncogenico, mentre ad esempio miR-140, miR-145, miR-125b1, miR-15, miR-16 e miR-31 mostravano un livello di espressione più basso nel tessuto tumorale, ad indicare un loro ruolo come potenziali oncosoppressori (106, 107). In considerazione della variegata espressione dei miRNA nel carcinoma ovarico, gli studi più recenti si sono focalizzati nell’identificazione di categorie di miRNA che possono essere utilizzati

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47 per diversi scopi. L’espressione dei miRNA varia ad esempio in base ai diversi istotipi, come suggerito da Calura et al, che hanno rilevato nel carcinoma a cellule chiare un'alta espressione di miR-30a-5p e miR-30a-3p, e alti livelli di miR-192 e miR194 nel carcinoma mucinoso (108), suggerendo una potenziale utilità dei miRNA nella classificazione istologica. Inoltre, nel carcinoma sieroso ad alto grado sono stati identificati 11 miRNA upregolati rispetto al tessuto sano, tra cui miR141, miR200a, miR200b e miR200c, e 12 downregolati tra cui 10b, 26a e miR-145 (109), il che evidenzia il ruolo di alcuni miRNA come potenziali marcatori per la diagnosi precoce del carcinoma. Anche dal punto di vista dell’utilità prognostica, va sottolineato come alcuni miRNA siano stati associati a network regolatori che correlano con la prognosi del sottotipo mesenchimale. In particolare, è stato osservato che miR-25, miR-29c, miR-101, miR-128, miR-141, miR-182, miR-200° e miR-506 correlano con una prognosi peggiore (110).

1.5.3 La famiglia miR-200 nel carcinoma ovarico

Di particolare rilievo nel carcinoma ovarico è il ruolo della famiglia miR-200, i cui membri (miR-200a, miR-200b, miR-200c, miR-429 e miR-141) sono espressi in modo significativamente elevato nel carcinoma ovarico sieroso rispetto al tessuto ovarico normale (111). Questi miRNA rappresentano importanti regolatori del processo di tumorigenesi nell’ovaio, in quanto presentano come target diversi geni correlati al cancro. La famiglia miR-200 è ad esempio coinvolta nel processo di metastatizzazione. I miRNA di questa famiglia sono infatti in grado di promuove la

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48 trasformazione delle cellule mesenchimali in cellule epiteliali, inibendo l'espressione di ZEB1 e ZEB2 e aumentando l'espressione di E-caderina. Il 3'UTR di ZEB1 e l'mRNA di ZEB2 contengono potenziali siti di legame per miR-200a e miR-141, ed è stato dimostrato che la down-regolazione di miR-200a nelle cellule tumorali comporta l’aumento dei livelli di ZEB1/ZEB2, che inibiscono la E-caderina, inducendo il fenomeno di transizione epitelio-mesenchima (EMT), e favorendo di conseguenza l'invasione e la metastatizzazione; l'upregolazione di miR-200a, al contrario, risultava in grado di bloccare l'EMT e inibire l'invasione delle cellule tumorali (112). Un altro membro della famiglia, il miR-429, se transfettato nelle cellule determina cambiamenti morfologici con trasformazione da cellule mesenchimali a cellule epiteliali, a dimostrazione di un suo ruolo chiave nella regolazione dell'EMT nel carcinoma ovarico (113, 114). Negli ultimi anni è emerso inoltre un valore prognostico dei miRNA appartenenti a questa famiglia (115). Proprio nel tumore ovarico è stata segnalata una correlazione tra prognosi ed espressione del miR-200c, che risultava downregolato nelle pazienti con prognosi peggiore (116).

L’espressione di miR-200a, miR-200b e miR-200c è correlata anche ad altri processi tumorali, come il rinnovo delle cellule staminali, il differenziamento cellulare, la divisione cellulare, l’apoptosi e la chemioresistenza (117, 118).

A tal proposito, Jue Liu et al hanno suggerito che l’upregolazione di miR-200b e miR-200c potrebbe mediare la repressione di DNMT1 e DNMT3A/DNMT3B contribuendo alla sensibilità del carcinoma ovarico al cisplatino attraverso la promozione dell’apoptosi (119). Questo suggerisce una possibile applicazione di

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49 questi miRNA come nuove strategie terapeutiche per superare i fenomeni di resistenza legati al cisplatino. Di particolare interesse in tal senso risultano anche gli studi che dimostrano un effetto inibitorio di miR-200c sull’angiogenesi, svolto mediante downregolazione di VEGF in cellule endometriali e placentari (120), e mediante legame diretto all’mRNA del recettore VEGFR2 nel cancro del polmone (121). Tale evidenza suggerisce che anche NRP1, nota come co-recettore del VEGF, potrebbe rappresentare un target del miR-200c. Inoltre, è stato precedentemente dimostrato che i membri della famiglia miR-200 legano direttamente NRP1 attraverso specifiche sequenze di omologia all'interno del 3’UTR di NRP1 nelle cellule staminali embrionali di topo, dove contribuiscono all'inibizione del differenziamento cellulare (122).

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2. SCOPO DELLA TESI

Il carcinoma ovarico rappresenta la più importante causa di morte per neoplasia ginecologica, con una mortalità stimata nella popolazione mondiale di oltre 140.000 pazienti/anno. La sopravvivenza globale si aggira intorno al 50%, principalmente perchè in più del 70% dei casi la diagnosi viene fatta in uno stadio già avanzato (FIGO III-IV), mentre solo il 25% in fase precoce (FIGO I).

La farmacoresistenza nel carcinoma ovarico rappresenta, ancora oggi, una delle principali sfide cliniche. Per tale motivo diventa sempre più importante analizzare i meccanismi molecolari alla base dei fenomeni di resistenza, identificare nuovi marker che permettano di selezionare le pazienti da sottoporre a terapia e introdurre nuove strategie terapeutiche.

In ragione della frequente comparsa di fenomeni di resistenza, legati al trattamento a lungo termine con i comuni chemioterapici, è stato approvato l’utilizzo degli inibitori di PARP, una classe di farmaci che agisce inibendo PARP, un enzima coinvolto nel riparo al danno al DNA. Il principale PARPi approvato è l’Olaparib il cui utilizzo si basa sul concetto di medicina personalizzata, una medicina basata su un profilo genico e molecolare delle pazienti in modo da selezionare una terapia mirata. L’Olaparib, infatti, viene impiegato esclusivamente nelle pazienti con mutazione nei geni BRCA1/BRCA2, che si sono mostrate più sensibili al trattamento. Purtroppo, anche nel trattamento con Olaparib sono stati descritti casi di resistenza, per questo è necessario concentrarsi sullo studio dei meccanismi molecolari che possono fornire

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51 informazioni utili sul tipo di strategia terapeutica da impiegare, e quindi consentire di personalizzare la terapia sul profilo del singolo paziente.

Partendo da questi presupposti, lo scopo della presente tesi è stato quello di indagare i meccanismi molecolari coinvolti nella resistenza all’Olaparib nel trattamento del carcinoma ovarico, focalizzando l’attenzione sul ruolo di NRP1, proteina notoriamente coinvolta nella farmacoresistenza e in grado di indurre proliferazione delle cellule tumorali.

Lo studio è stato condotto su diverse linee di carcinoma ovarico, che sono state sottoposte al trattamento con Olaparib per indagare i suoi effetti in termini di capacità proliferativa, danno al DNA, alterazioni del ciclo cellulare e attivazione del processo apoptotico. Successivamente, sono stati valutati i livelli di NRP1 prima e dopo trattamento con Olaparib, per evidenziare un possibile coinvolgimento di questo co-recettore nella resistenza al PARPi. Il ruolo di NRP1 è stato quindi dimostrato mediante esperimenti di silenziamento con RNA interferente. Inoltre, è stato approfondito il possibile coinvolgimento dei miRNA come mediatori nella regolazione dell’espressione di NRP1. L’identificazione di questi meccanismi costituisce un elemento utile per chiarire il fenomeno della resistenza, ma soprattutto per mettere a punto trattamenti combinati che possano migliorare l’efficacia clinica dei PARPi e aprire la strada a nuove strategie terapeutiche per il carcinoma ovarico farmacoresistente.

Figura

Figura 1. Rappresentazione schematica dell’apparato riproduttivo femminile.
Figura 2. Rappresentazione schematica del cancro dell’ovaio.
Figura 4. Caratteristiche chiave dei carcinomi di tipo I e II.
Figura 5. Rappresentazione schematica degli stadi di tumore ovarico secondo il sistema FIGO
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