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Su alcuni modelli matematici per la malattia di Alzheimer

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Academic year: 2021

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(1)

SCUOLA DI SCIENZE

Corso di Laurea Magistrale in Matematica

SU ALCUNI MODELLI MATEMATICI

PER LA MALATTIA DI ALZHEIMER

Tesi di Laurea Magistrale in Analisi Matematica

Relatore:

Chiar.mo Prof.

Maria Carla Tesi

Presentata da:

Sara Giostra

II Sessione

(2)
(3)

Introduzione i 1 Strumenti matematici 1

1.1 Principi di massimo e applicazioni . . . 1

1.1.1 Equazioni ellittiche . . . 1

1.1.1.1 L’operatore di Laplace . . . 1

1.1.1.2 L’operatore ellittico del secondo ordine . . . 3

1.1.2 Equazioni paraboliche . . . 7

1.1.2.1 L’equazione del calore nel caso 1+1-dimensionale . . . . 7

1.1.2.2 L’operatore parabolico n+1-dimensionale . . . 10

1.2 Metodi per lo studio della stabilit`a . . . 20

1.2.1 Metodo di Liapunov . . . 22

1.2.2 Criterio di Routh-Hurwitz . . . 26

2 Modelli matematici per la malattia di Alzheimer 29 2.1 Background biologico . . . 29

2.2 Un modello microscopico per l’aggregazione della Aβ nella malattia di Alzheimer . . . 31

2.2.1 Equazione di Smoluchowski . . . 32

2.2.2 Descrizione del modello microscopico per la Aβ . . . 33

2.3 Un modello per l’interazione Aβ/PrPC nella malattia di Alzheimer . . . 38

3 Risultati analitici 43 3.1 Risultati per il modello microscopico Aβ . . . 43

(4)

3.1.1 Esistenza e positivit`a della soluzione . . . 43

3.1.2 Stime asintotiche . . . 53

3.2 Risultati per il modello Aβ/PrPC . . . . 59

3.2.1 Esistenza e unicit`a della soluzione globale . . . 62

3.2.2 Esistenza e stabilit`a dello stato stazionario . . . 63

4 Conclusioni 69

(5)

Negli ultimi decenni la matematica rivolta alla biologia `e diventata una vera e pro-pria scienza interdisciplinare. Infatti, per lo studio di molti fenomeni della biomedicina, quali per esempio la connettivit`a neuronale, la dinamica delle popolazioni e la crescita di tumori, vengono spesso costruiti modelli matematici che, essendo fortemente connessi a esperimenti e dati clinici, rappresentano un potente strumento di indagine scientifica. Il modello matematico non si pone l’obiettivo di prendere in considerazione ogni singolo aspetto del problema, n´e vuole sostituirsi a una sua spiegazione biologica. Piuttosto, il suo scopo `e quello di rappresentare nel modo pi`u fedele possibile un determinato fenome-no reale, cogliendone le principali cause concorrenti e promuovendone un’analisi critica. L’interesse di un modello risiede, in particolare, come sottolineato da Murray in [15], nel suo valore predittivo, che lo rende molto utile per la valutazione di possibili soluzio-ni e per fare previsiosoluzio-ni sull’evoluzione del fenomeno. Anche modelli molto semplificati possono essere sfruttati per testare nuove teorie, identificare rapidamente quali sono le ipotesi pi`u rilevanti in un processo e rigettare quelle che pi`u difficilmente porterebbero a scoperte significative, dimostrandosi cos`ı molto validi per economizzare tempi e costi.

In questa tesi vengono studiati in dettaglio due modelli matematici riguardanti la malattia di Alzheimer, introdotti rispettivamente in [1] e [10]. L’Alzheimer `e una malat-tia degenerativa del sistema nervoso centrale che provoca il declino progressivo e globale delle funzioni cognitive, nonch´e il deterioramento della personalit`a. A livello epidemiolo-gico, tranne che in rare forme genetiche con esordio giovanile, l’et`a costituisce il fattore maggiormente correlato all’incidenza della patologia, molto rara sotto i 65 anni e avente la diffusione pi`u significativa tra gli ultraottantenni. Stando ai dati riportati nel World Alzheimer Report 2016, nel mondo 47 milioni di persone sono affette da demenza, di cui

(6)

il 60-70% da Alzheimer. Considerando l’andamento demografico, l’aumento della spe-ranza di vita e il conseguente invecchiamento della popolazione, il problema `e purtroppo destinato a crescere, secondo le previsioni addirittura a triplicare entro il 2050. Questa ampia e crescente diffusione dell’Alzheimer, la limitata e, comunque, non risolutiva effi-cacia delle terapie disponibili e le enormi risorse necessarie per la sua gestione la rendono una delle patologie a pi`u grave impatto sociale nel mondo. Per questo motivo la lotta all’Alzheimer rappresenta da anni una grande sfida per la sanit`a mondiale, attorno alla quale si giocano anche temi economici, sociali ed etici di grande rilevanza.

Nello studio della malattia, agli approcci classici in vitro e in vivo, si `e affiancata a par-tire dagli anni ’90 una ricerca in silico, effettuata mediante modellizzazioni matematiche e simulazioni numeriche.

Il primo modello studiato nella tesi, inerente all’esordio dell’Alzheimer, studia la dif-fusione e l’aggregazione della β-amiloide, la proteina contenuta nelle placche senili tipiche delle malattie neurodegenerative la cui produzione anomala in forma di oligomeri solubili `e strettamente correlata al danneggiamento delle sinapsi ([22]). L’indagine sui mecca-nismi molecolari responsabili di questo effetto ha recentemente accertato un intervento della proteina prionica cellulare PrPC nella mediazione dell’azione patogena degli

oligo-meri di β-amiloide. In altre parole, la PrPC `e stata definita un recettore ad alta affinit`a

per gli oligomeri solubili, come esposto in [5] e [21]. Il ruolo che la proteina prionica riveste nella malattia di Alzheimer e il suo legame con la β-amiloide sono il focus del secondo lavoro analizzato nella tesi, che si pone l’obiettivo di studiare la progressione della patologia.

La tesi si divide in quattro capitoli. Nel primo capitolo vengono presentati gli stru-menti matematici utilizzati per l’analisi dei modelli, quali il principio di massimo, illu-strato per completezza sia nel caso ellittico sia nel caso parabolico, e i criteri di stabilit`a per l’equilibrio di sistemi lineari e non lineari.

Nel secondo capitolo, dopo una doverosa introduzione biologica riguardo la malattia di Alzheimer, si descrivono dettagliatamente i due modelli, denominati rispettivamente “modello microscopico Aβ” e “modello Aβ/PrPC”, sottolineando quali specifici fenomeni

saranno presi in considerazione.

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par-ticolare, per il modello microscopico Aβ si dimostrano l’esistenza, l’unicit`a e la positivit`a della soluzione del problema in esame, esistente per tutti i tempi positivi, e alcune stime asintotiche. I risultati analitici per il modello Aβ/PrPC, invece, riguardano il suo essere ben posto e lo studio di propriet`a di stabilit`a per il suo unico punto di equilibrio. Il quarto capitolo, infine, `e dedicato alle conclusioni, nelle quali si ripercorre quanto fatto nel lavoro di tesi e si accenna a generalizzazioni dei due modelli presentati.

(8)
(9)

Strumenti matematici

1.1

Principi di massimo e applicazioni

Il principio di massimo `e uno degli strumenti pi`u utili e conosciuti impiegati nello studio delle equazioni a derivate parziali. Essendoci spesso una naturale interpretazione fisica del principio di massimo, esso risulta valido in molte situazioni poich´e permette di applicare intuizioni fisiche a modelli matematici. Non solo offre informazioni riguar-do soluzioni di equazioni differenziali, ma pu`o anche essere sfruttato per calcolare loro approssimazioni, risultando cos`ı indispensabile a matematici, fisici, chimici, ingegneri ed economi interessati ad approssimazioni numeriche di soluzioni e alla determinazione di limiti per gli errori che queste contengono. In questa sezione presenteremo principi di massimo per operatori ellittici e per operatori parabolici, sottolineando le differenze tra i due casi.

1.1.1

Equazioni ellittiche

1.1.1.1 L’operatore di Laplace

L’operatore di Laplace o Laplaciano in Rn (con x = x1, ..., xn) `e definito come

∆ := ∂ 2 ∂x2 1 + ∂ 2 ∂x2 2 + ... + ∂ 2 ∂x2 n . 1

(10)

Se Ω ⊆ Rn`e aperto e u : Ω → R `e una funzione di classe C2, si dice che u `e armonica in

Ω se

∆u(x) = 0 ∀ x ∈ Ω.

Data u ∈ C2(Ω, R), se essa ha un massimo locale in un punto interno di Ω, sappiamo

che in questo punto devono valere ∂u ∂x1 = 0, ..., ∂u ∂xn = 0 e ∂2u ∂x2 1 ≤ 0, ..., ∂ 2u ∂x2 n ≤ 0.

Ci`o significa che, se in ogni punto di Ω u soddisfa la disuguaglianza stretta ∆u > 0,

allora u non pu`o raggiungere il suo massimo in un punto interno di Ω. Si noti che la conclusione `e la medesima nel caso in cui u sia soluzione della disequazione

∆u + b1 ∂u ∂x1 + ... + bn ∂u ∂xn > 0,

dove le bi(x1, ..., xn), per i = 1, ..., n, sono funzioni limitate definite in Ω.

Risulta ora importante formulare un principio di massimo per le funzioni che soddisfano disequazioni differenziali non strette, motivo per cui focalizziamo la nostra attenzione sulle funzioni armoniche.

Il principio di massimo nella versione debole afferma che una funzione armonica definita nella chiusura di un aperto limitato assume il suo massimo sul bordo. Si noti che, per questo risultato, l’ipotesi di limitatezza dell’insieme su cui la funzione `e definita non pu`o essere rimossa, come mostra il seguente esempio:

Esempio: Sia Ω = {(x, y) ∈ R2 | x ∈ R, 0 < y < 2π}. La funzione

u : R2 → R, u(x, y) = exseny

`e armonica in Ω e identicamente zero sul bordo ∂Ω. Ma u(x,π2) > 0, pertanto il massimo non `e assunto sul bordo.

(11)

Teorema 1.1.1. (Principio di massimo debole): Sia Ω un aperto limitato di Rn, u ∈ C2(Ω) ∩ C(Ω) e valga ∆u ≥ 0 in Ω. Allora max Ω u = max ∂Ω u.

Il principio di massimo forte per funzioni armoniche, conseguenza del fatto che queste ultime soddisfano le formule di media (per maggiori dettagli si veda [19]), afferma che, se u `e armonica e ammette il massimo in un punto interno di un aperto connesso Ω, allora u `e costante. Sottolineiamo in questo caso la crucialit`a dell’ipotesi di connessione dell’insieme: ad esempio, se prendessimo Ω costituito da due componenti connesse, la funzione u che vale 0 su una componente e 1 sull’altra `e armonica, ma, pur ammettendo massimo in un punto interno, non risulta costante. A differenza della versione debole, Ω non deve qui essere necessariamente limitato.

Vale il seguente teorema:

Teorema 1.1.2. (Principio di massimo forte) Sia Ω un aperto connesso di Rn,

u ∈ C2(Ω) ∩ C(Ω) e sia

∆u ≥ 0 in Ω. Supponiamo che esista x0 ∈ Ω tale che

u(x0) = max

Ω u,

ovvero che u raggiunga il suo massimo in un punto interno di Ω. Allora u ≡ u(x0) in Ω.

Osservazione 1. Se Ω `e un aperto limitato e connesso, il principio di massimo forte implica quello debole.

1.1.1.2 L’operatore ellittico del secondo ordine

D’ora in poi utilizzeremo il termine “dominio” per indicare un insieme aperto con-nesso.

(12)

Definizione 1.1. Sia Ω un dominio di Rn. L’operatore L := n X i,j=1 aij(x1, ..., xn) ∂2 ∂xi∂xj

`e ellittico nel punto x = (x1, ..., xn) se e solo se esiste µ(x) > 0 tale che, per ogni

ξ = (ξ1, ..., ξn) in Rn, si ha n X i,j=1 aij(x)ξiξj ≥ µ(x) n X i=1 ξi2. (1.1) L `e ellittico nel dominio Ω se `e ellittico in ogni punto di Ω. Utilizzando le matrici, la condizione di ellitticit`a dell’operatore L equivale alla richiesta che la matrice simmetrica

A(x) =        a11 a12 . . . a1n a21 a22 . . . a2n .. . ... ... ... an1 an2 . . . ann        sia definita positiva in ogni punto x di Ω.

L `e uniformemente ellittico in Ω se (1.1) vale per ogni punto di Ω ed esiste una costante positiva µ0 tale che µ(x) ≥ µ0 per ogni x in Ω.

Definizione 1.2. Definiamo ora l’operatore L := n X i,j=1 aij ∂2 ∂xi∂xj + n X i=1 bi ∂ ∂xi .

L `e ellittico in x se lo `e la sua parte principale, ovvero quella che contiene le derivate di ordine massimo. Osserviamo che la parte principale di L coincide con L.

L `e uniformemente ellittico in Ω se L `e uniformemente ellittico in Ω.

Osservazione 2. L’ellitticit`a e l’ellitticit`a uniforme di un operatore vengono preservate se si effettuano trasformazioni ortogonali delle coordinate. Inoltre, se L `e ellittico in un punto x, `e possibile trovare una trasformazione lineare delle coordinate tale che in x l’operatore L diventi il Laplaciano. Per ulteriori chiarimenti si veda [19].

(13)

Sia L un operatore ellittico in un dominio Ω. Consideriamo la disuguaglianza stretta L[u] = n X i,j=1 aij ∂2u ∂xi∂xj + n X i=1 bi ∂u ∂xi > 0 (1.2) e supponiamo che la funzione u abbia un massimo locale nel punto x = (x1, ..., xn).

Allora, per ogni n-pla di coordinate z1, ..., znottenute da x1, ..., xn mediante una

trasfor-mazione lineare, nel punto x valgono ∂u ∂zk = 0 e ∂ 2u ∂z2 k ≤ 0, k = 1, ..., n.

Per l’osservazione precedente, la parte principale di L, ovvero L, `e l’operatore di Laplace nelle coordinate z, da cui deduciamo che, se L `e ellittico, una funzione u che soddisfa (1.2) in un dominio Ω non pu`o avere un massimo in Ω.

Estendendo il principio di massimo al caso in cui u soddisfa la disugualianza non stretta, si ottiene il seguente teorema:

Teorema 1.1.3. Sia Ω un dominio di Rne sia L un operatore uniformemente ellittico in Ω, u ∈ C2(Ω)∩C(Ω). Supponiamo che la funzione u soddisfi la disequazione differenziale

L[u] = n X i,j=1 aij ∂2u ∂xi∂xj + n X i=1 bi ∂u ∂xi ≥ 0, (1.3) dove aij e bi sono funzioni uniformemente limitate su Ω. Se u ha un massimo in un

punto di Ω, allora u `e costante in Ω.

Sotto opportune condizioni, vale un risultato analogo per operatori della forma L + h: Teorema 1.1.4. Sia u ∈ C2(Ω) ∩ C(Ω) soluzione di

(L + h)[u] ≥ 0,

dove L `e uniformemente ellittico nel dominio Ω, h(x) ≤ 0 e i coefficienti di L e di h sono uniformemente limitati. Se u raggiunge un massimo non negativo M in un punto interno di Ω, allora u ≡ M in Ω.

(14)

`

E possibile dare informazioni addizionali riguardo ad una funzione u che soddisfa la disuguaglianza (1.3) in un dominio Ω il cui bordo ∂Ω `e regolare. Supponiamo che u sia continua e limitata su Ω ∪ ∂Ω e che ci sia un punto P ∈ ∂Ω nel quale u raggiunge il suo massimo. L’obiettivo `e quello di enunciare una importante propriet`a relativa alla derivata direzionale di u in P. Ai fini di una migliore comprensione, diamo innanzitutto le seguenti definizioni:

Definizione 1.3. Sia n = (η1, η2, ..., ηn) il vettore normale unitario in una direzione

esterna in un punto P del bordo del dominio regolare Ω. Diciamo che il vettore ν = (ν1, ..., νn) punta verso l’esterno di Ω nel punto P se

ν · n > 0.

Definizione 1.4. Definiamo la derivata direzionale di u nel punto del bordo P lungo la direzione ν come

∂u

∂ν(P ) := limx→P[ν · grad u(x)] = limx→P

 ν1 ∂u ∂x1 + ... + νn ∂u ∂xn  ,

se questo limite esiste. La derivata direzionale `e detta esterna se ν punta verso l’esterno di Ω.

Osservazione 3. Un’importante derivata direzionale esterna `e la derivata normale, nella quale ν = n.

Osservazione 4. Se u ha un massimo in P punto di bordo, si ha ∂u

∂ν ≥ 0 in P, ovvero la derivata direzionale di u in P lungo una qualsiasi direzione sul bordo che punta esternamente ad Ω non pu`o essere negativa. Infatti, se lo fosse, il valore della funzione u comincerebbe ad aumentare entrando nel dominio Ω in P e quindi il massimo non potrebbe essere raggiunto in P .

In [11] Hopf prov`o che la derivata normale al bordo non pu`o mai annullarsi in un punto in cui viene raggiunto il massimo. Nello specifico, vale il seguente risultato: Teorema 1.1.5 (Hopf). Sia Ω un dominio nel quale L `e un operatore uniformemente ellittico e sia u ∈ C2(Ω) ∩ C(Ω) soluzione della disequazione

L[u] = n X i,j=1 aij ∂2u ∂xi∂xj + n X i=1 bi ∂u ∂xi ≥ 0.

(15)

Supponiamo che u raggiunga il suo massimo M in un punto P del bordo e che u ≤ M in Ω. Ammettiamo inoltre che P si trovi sul bordo di una palla K contenuta in Ω. Se esiste una derivata direzionale esterna ∂u

∂ν in P, allora quest’ultima `e positiva in P, a meno che u non sia costante.

Teorema 1.1.6. La tesi del teorema precedente continua a valere se u `e soluzione della disequazione

(L + h)[u] ≥ 0,

dove h(x) ≤ 0, M ≥ 0 e le restanti ipotesi su L e u sono analoghe a quelle del teorema 1.1.5.

1.1.2

Equazioni paraboliche

1.1.2.1 L’equazione del calore nel caso 1+1-dimensionale

Consideriamo una sbarra di materiale omogeneo e di lunghezza L fissata, situata nell’intervallo (0, L) dell’asse x. Siamo interessati a studiare la distribuzione della tem-peratura in ogni punto della sbarra. Assumiamo che la temtem-peratura u sia funzione soltanto della posizione x e del tempo t, ovvero u=u(x,t). Sotto opportune condizioni l’equazione differenziale che modellizza l’andamento della temperatura in una regione dello spazio-tempo `e

∂2u

∂x2 −

∂u

∂t = f (x, t),

dove la funzione f rappresenta il tasso di rimozione del calore.

La funzione temperatura u(x,t) soddisfa un Principio di Massimo, seppur ben diverso da quello valido per le equazioni ellittiche.

Supponiamo che, in una regione rettangolare E del piano x,t cos`ı definita E = {0 < x < l, 0 < t ≤ T }, valga la disuguaglianza L[u] = ∂ 2u ∂x2 − ∂u ∂t > 0. (1.4) Allora la funzione u non pu`o raggiungere il suo massimo in un punto interno di E, poich´e in esso si avrebbero

∂2u

∂x2 ≤ 0 e

∂u ∂t = 0

(16)

e dunque (1.4) non sarebbe soddisfatta. Inoltre, il massimo di u non pu`o essere assunto nemmeno lungo il segmento aperto che costituisce la parte superiore del bordo, ovvero lungo 0 < x < l, t = T . La motivazione risiede nel fatto che, in un punto di massimo di questo tipo, varrebbero le disuguaglianze

∂2u

∂x2 ≤ 0 e

∂u ∂t ≥ 0.

Infatti, se la derivata di u rispetto al tempo fosse negativa, u sarebbe maggiore per tempi pi`u piccoli di T, da cui avremmo un assurdo.

Vogliamo ora enunciare un principio di massimo che sia valido per le soluzioni u della disuguaglianza L[u] ≥ 0 (disuguaglianza non stretta).

Sia u(x,t) nota sui tre lati

S1 : {x = 0, 0 ≤ t ≤ T }, S2 : {0 ≤ x ≤ l, t = 0}, S3 : {x = l, 0 ≤ t ≤ T }

rappresentati in figura:

Teorema 1.1.7. (Principio del Massimo debole): Supponiamo che, nella regione rettangolare E precedentemente definita, u ∈ C2,1(E) ∩ C(E) soddisfi la disuguaglianza

L[u] ≡ ∂ 2u ∂x2 − ∂u ∂t ≥ 0. (1.5) Allora max E u = max S1∪S2∪S3 u (1.6)

(17)

Osservazione 5. Assumendo che il massimo di u su S1 ∪ S2 ∪ S3 sia uguale a M, il

teorema afferma che non esistono punti di E in cui u ha un valore M1 > M . In altre

parole, non possiamo avere un massimo stretto nei punti interni di E e nei punti (x, t) del bordo tali che 0 < x < l e t=T, fatta eccezione per le estremit`a dell’asta. Questo `e ovvio da un punto di vista fisico: se la temperatura di un corpo alle estremit`a e all’istante iniziale non supera il valore M e se non ci sono sorgenti esterne, allora all’interno del corpo non verr`a mai superata la temperatura M.

Il principio di massimo esposto nel teorema 1.1.7 `e in forma debole, poich´e permette che la funzione u assuma il suo massimo sia sul bordo sia in punti interni. Con il principio del massimo forte mostreremo che, se il massimo di u viene raggiunto in E, allora la soluzione deve essere costante in una certa regione.

Teorema 1.1.8. (Principio del Massimo forte): Sia u ∈ C2,1(E) ∩ C(E) una soluzione della disuguaglianza

L[u] = ∂

2u

∂x2 −

∂u ∂t ≥ 0

nella regione rettangolare E. Se il massimo di u `e assunto in un punto interno (x0, t0) di

E, allora u `e costante in

Et0 = {0 ≤ x ≤ l, 0 ≤ t ≤ t0}.

Osservazione 6. A differenza di quanto visto nel caso ellittico, `e possibile, per una soluzione u della disequazione parabolica L[u] ≥ 0, raggiungere il massimo in un punto interno di un dominio senza essere identicamente costante. Consideriamo, ad esempio, la funzione u(x, t) =    0 per t ≤ 0, −(1 t) 1 2exp(−x 2 4t) per t > 0

sul sottinsieme aperto connesso di R2

Ω = {(x, t) ∈ R2|x > 0}. Questa funzione u soddisfa

∂2u ∂x2 −

∂u ∂t = 0,

(18)

ovvero `e tale che L[u] = 0, raggiunge il suo massimo in ogni punto (x, t) ∈ Ω con t ≤ 0 ma non `e costante in Ω.

Per studiare l’equazione del calore nel caso tridimensionale, la regione d’interesse diventa il cilindro finito E = D × (0, T ], dove D `e un dominio di R2. In questo caso,

analogamente a quanto visto per il problema in due dimensioni, il Principio di Massimo afferma che quest’ultimo su E dovr`a essere raggiunto sulla porzione del bordo situata alla base di E o lungo ∂D × [0, T ].

1.1.2.2 L’operatore parabolico n+1-dimensionale Consideriamo l’operatore L[u] = n X i,j=1 ai,j(x, t) ∂2u ∂xi∂xj + n X i=1 bi(x, t) ∂u ∂xi − ∂u ∂t (1.7) in un dominio cilindrico ΩT = Ω × (0, T ], dove Ω `e un dominio aperto e limitato di Rn e

T > 0.

Esempio: Nel caso tridimensionale ΩT pu`o essere cos`ı rappresentato:

Definizione 1.5. Diciamo che L `e parabolico nel punto (x,t) ≡ (x1, ..., xn, t) se, per

ogni vettore reale ξ = (ξ1, ..., ξn), esiste λ > 0 tale che n X i,j=1 ai,j(x, t)ξiξj ≥ λ|ξ|2, (1.8) dove |ξ| = (Pn i=1ξ 2 i)1/2.

Questo significa che L `e parabolico in (x, t) se, per t fissato, l’operatore costituito dalla prima sommatoria che compare in L `e ellittico in (x, t).

(19)

L’operatore L `e uniformemente parabolico in ΩT se (1.8) `e verificata con lo stesso

λ > 0 per ogni (x, t) ∈ ΩT.

Notazione: Definiamo lo spazio

C2,1(ΩT) = {u : ΩT → R | u, ∂u ∂t, ∂u ∂xi , ∂ 2u ∂xi∂xj ∈ C(ΩT)}

contenente le funzioni continue per le quali esistono e sono continue la derivata prima e la derivata seconda rispetto alla variabile spaziale x e la derivata prima rispetto alla variabile temporale t.

Definizione 1.6. Chiamiamo frontiera parabolica di ΩT il sottinsieme di ∂ΩT

∂∗ΩT := ∂ΩT \ {(x, T )|x ∈ Ω}

costituito dalla base inferiore e dalla superficie laterale del cilindro che si ottiene dalla chiusura di ΩT.

Enunciamo ora il Principio del massimo debole per operatori parabolici del secondo ordine, la cui trattazione viene effettuata da Mauro Picone in [18].

Teorema 1.1.9. (Principio del massimo debole): Sia L un operatore uniformemente parabolico in ΩT i cui coefficienti sono funzioni limitate. Se u ∈ C2,1(ΩT) ∩ C(ΩT) `e una

funzione che soddisfa la disequazione differenziale L[u] ≥ 0, allora il massimo di u viene raggiunto sulla frontiera parabolica, cio`e

max ΩT u = max ∂∗ T u.

In particolare, se u ≤ 0 sulla frontiera, essa `e ≤ 0 in tutto ΩT.

Il Principio del Massimo forte per soluzioni di equazioni e disequazioni paraboliche del secondo ordine `e enunciato e dimostrato nel 1953 da Louis Nirenberg in [16]. Egli inizialmente considera funzioni u di n + m variabili, x1, ..., xn, t1, ..., tm, definite in un

dominio (n + m)-dimensionale Ω e lavora con l’operatore differenziale Lgen[u] = n X i,j=1 ai,j(x, t) ∂2u ∂xi∂xj + m X α,β=1 bα,β(x, t) ∂2u ∂tα∂tβ + n X i=1 ai ∂u ∂xi + m X α=1 bα ∂u ∂tα . (1.9)

(20)

L’operatore (1.9) viene assunto ellittico nelle variabili x e parabolico nelle variabili t, ovvero la forma quadratica

n

X

i,j=1

ai,jλiλj con λ1, ..., λn∈ R

`e definita positiva ovunque, mentre la forma quadratica

m

X

α,β=1

bα,βξαξβ con ξ1, ..., ξm ∈ R

`e semidefinita positiva.

I coefficienti dell’operatore Lgensono funzioni continue in Ω e u ammette derivate seconde

continue in Ω.

Niremberg dimostra anzitutto un Principio di Massimo forte per funzioni u soluzioni della disequazione Lgen[u] ≥ 0, dal quale dedurr`a poi quello per le funzioni u soddisfacenti

L[u] ≥ 0.

Notazione: Denotiamo con C(P ) la componente in Ω dell’iperpiano ti = costante (dove

i = 1, ..., m) passante per il punto P di Ω.

Teorema 1.1.10. Sia u ∈ C2,1(Ω) ∩ C(Ω) soluzione della disequazione differenziale

Lgen[u] ≥ 0 in Ω. Se u assume il suo massimo su Ω in un punto P0 interno ad Ω, allora

u ≡ u(P0) in C(P0).

Da questo Principio di Massimo se ne pu`o derivare uno per le soluzioni u dell’equa-zione

Lgen[u] + hu = 0, (1.10)

dove Lgen[u] `e dato da (1.9) e h `e una funzione continua in Ω non positiva. Vale infatti

il seguente teorema:

Teorema 1.1.11. Sia h ≤ 0 in Ω e sia u ∈ C2,1(Ω) ∩ C(Ω) soluzione di (1.10). Se u ha un massimo non negativo in un punto P0 di Ω, allora u ≡ u(P0) in C(P0).

Restringendosi poi al caso m = 1 e ponendo il coefficiente di ∂u

∂t uguale a -1, Nirenberg dimostra il Principio di Massimo per operatori differenziali della forma L[u] dati da (1.7). Applicando il teorema 1.1.10 a funzioni che soddisfano la disequazione L[u] ≥ 0 in Ω,

(21)

sappiamo che, se P0 `e un punto di massimo di u, allora u ≡ u(P0) nell’insieme C(P0).

Ma con le assunzioni fatte si pu`o dimostrare un risultato ancora pi`u forte: u, in tal caso, `e infatti costante in un insieme pi`u grande di C(P0), come illustrato di seguito.

Notazione: Sia Ω un dominio (n + 1)-dimensionale. Per ogni punto P0 = (x0, t0) in

Ω, denotiamo con S(P0) l’insieme di tutti i punti Q in Ω raggiungibili da P0 mediante

traiettorie contenute in Ω lungo le quali la coordinata t `e non decrescente da Q a P0.

S(P0) viene detto insieme di propagazione.

Denotiamo con C(P0) la componente, in t = t0, di Ω ∩ {t = t0} che contiene P0.

Esempi: 1) Nel caso di domini cilindrici, `e facile determinare l’insieme di propagazione:

2) Mostriamo, per n = 1, un esempio di dominio limitato da due curve in cui `e stato evidenziato l’insieme di propagazione S(P0):

Osservazione 7. Vale l’inclusione C(P0) ⊂ S(P0). Infatti, per ogni punto P0 di Ω,

l’insieme S(P0) `e composto da C(P0) pi`u un insieme aperto di Ω. In particolare, P0 si

(22)

Teorema 1.1.12. Sia L l’ operatore uniformemente parabolico in Ω definito in (1.7) i cui coefficienti sono funzioni limitate. Prendiamo u ∈ C2,1(Ω) ∩ C(Ω). Se L[u] ≥ 0 in Ω e u assume il suo massimo in un punto P0 di Ω, allora

u(P ) = u(P0) ∀ P ∈ S(P0).

Utilizzando delle ipotesi meno restrittive, si pu`o enunciare un ulteriore risultato:

Principio del Massimo forte (Nirenberg): Sia L come nel teorema precedente. Sia u ∈ C2,1(Ω) ∩ C(Ω) che, per un certo punto P

0 di Ω, raggiunge il massimo sull’insieme

S(P0) nel punto P0. Allora, se L[u] ≥ 0 in S(P0), si ha u ≡ u(P0) in S(P0).

Osservazione 8. In quest’ultima formulazione, al contrario di quanto richiesto nelle ipotesi del teorema 1.1.12, il punto P0 non deve necessariamente essere un massimo

locale di u in Ω, il che vuol dire che u pu`o aumentare se ci spostiamo da P0 lungo una

direzione in cui t `e crescente. Inoltre, ci possono essere punti in ogni intorno di P0 in cui

vale la disuguaglianza L[u] < 0.

Si noti che, se P0 ∈ S(P ), allora S(P0) ⊂ S(P ). In particolare, se P0 ∈ C(P ), allora

S(P0) e S(P ) coincidono. Questo fatto suggerisce che il Principio di massimo forte pu`o essere equivalentemente enunciato nel seguente modo:

Teorema 1.1.13. Sia u ∈ C2,1(Ω) ∩ C(Ω) Ammettiamo che per un punto P

0 il massimo

di u in S(P0) sia raggiunto in un punto P00. Se L[u] ≥ 0 in S(P 0

0), allora u ≡ u(P 0 0) in

S(P00).

Diamo ora un risultato analogo a quello del teorema 1.1.11, ora relativo all’operatore L:

Teorema 1.1.14. La tesi del Principio del Massimo forte continua a valere per soluzioni u della disequazione differenziale (L + h)[u] ≥ 0 nel caso in cui h(x, t) ≤ 0 e il massimo di u sia non negativo.

Lo studio di Hopf relativo alla positivit`a della derivata normale al bordo in un punto in cui viene assunto il massimo fu esteso da Avner Friedmann in [7] e [8] al caso di ope-ratori parabolici. Sotto opportune condizioni, anche la soluzione u di una disequazione

(23)

parabolica ha la propriet`a che la sua derivata normale al bordo non pu`o annullarsi in un punto in cui si raggiunge il massimo.

Il seguente risultato mostra sotto quali ipotesi vale la disuguaglianza stretta ∂u ∂ν > 0: Teorema 1.1.15. Sia u ∈ C2,1(Ω) ∩ C(Ω) soluzione di L[u] ≥ 0, dove i coefficienti

di L sono funzioni limitate nel dominio Ω. Supponiamo che u raggiunga il massimo in un punto P del bordo ∂Ω e che sia possibile costruire una sfera passante per P il cui interno sia completamente contenuto in Ω e nel quale u < M . Assumiamo inoltre che la direzione radiale dal centro della sfera al punto P non sia parallela all’asse t. Allora, se

∂ν indica una qualsiasi derivata direzionale esterna, abbiamo ∂u

∂ν > 0 in P.

Dimostrazione. Riportiamo la dimostrazione del caso di L operatore parabolico 1+1-dimensionale, ovvero L[u] = a∂ 2u ∂x2 + b ∂u ∂x − ∂u ∂t.

Costruiamo un disco K di raggio R tangente a ∂Ω nel punto P. Denotiamo con (x0, t0)

le coordinate di P e con (x1, t1) quelle del centro della circonferenza ∂K. Costruiamo

un ulteriore disco K1 di centro P e raggio < |x1− x0|. Chiamiamo C0 la parte del bordo

∂K1 contenuta in K, estremi compresi, in modo tale da avere un arco chiuso. Indichiamo

poi con C00 l’arco aperto di ∂K che si trova in K1. C0∪ C00 delimita una regione D, come

(24)

Scegliendo eventualmente la circonferenza ∂K pi`u piccola se necessario, possiamo far s`ı che u < M su ∂K eccetto che in P. Allora u < M sull’intero arco chiuso C0 e valgono le seguenti affermazioni:

1. u < M su C00 fatta eccezione per il punto P, 2. u = M in P,

3. esiste η > 0 sufficientemente piccolo tale che

u ≤ M − η su C0. (1.11) Introduciamo adesso la funzione ausiliaria h, cos`ı definita:

h(x, t) = e−α[(x−x1)2+(t−t1)2]− e−αR2.

Calcoliamo ora le derivate che ci occorrono per esprimere L[h]: • ∂h ∂x = −2α(x − x1)e −α[(x−x1)2+(t−t1)2], • ∂ 2h ∂x2 = −2αe −α[(x−x1)2+(t−t1)2]+ 4α2(x − x 1)2e−α[(x−x1) 2+(t−t 1)2], • ∂h ∂t = −2α(t − t1)e −α[(x−x1)2+(t−t1)2]. Pertanto si ha L[h] = a∂ 2h ∂x2 + b ∂h ∂x − ∂h ∂t = 2αe −α[(x−x1)2+(t−t1)2][2αa(x − x 1)2− a − b(x − x1) + t − t1].

Per α sufficientemente grande, L[h] > 0 per (x, t) ∈ D ∪ ∂D. Costruiamo adesso la funzione

w = u + εh. Essendo L[u] ≥ 0 per ipotesi, per ogni ε > 0 si ha

L[w] = L[u] + εL[h] > 0 in D. Da (1.11), scegliendo ε opportunamente piccolo, abbiamo

(25)

Inoltre, essendo (x − x1)2+ (t − t1)2 = R2 l’equazione di ∂K, abbiamo che h = 0 su ∂K.

Utilizzando allora le affermazioni 1 e 2, deduciamo che

w < M su C00 eccetto che in P e w(P ) = M.

Soffermandoci sulla regione D e applicando il principio di massimo, concludiamo che w raggiunge il suo massimo su D ∪ ∂D nell’unico punto P, nel quale, per l’osservazione 4, vale la disuguaglianza ∂w ∂ν = ∂u ∂ν + ε ∂h ∂ν ≥ 0. (1.12) Mostriamo ora che ∂h

∂ν < 0. Passando in coordinate polari, si ha: ∂h

∂ν = ν · n ∂h

∂r = −2ν · nαRe

−αR2

e questa quantit`a `e effettivamente negativa, poich´e ν · n > 0, α > 0, R > 0 e e−αR2 > 0. Dovendo valere (1.12), segue la tesi relativa alla positivit`a della derivata direzionale della funzione u e la prova `e conclusa.

La tesi di questo teorema si pu`o generalizzare al caso di un operatore della forma L+h, con h ≤ 0. Vale infatti il seguente risultato (si veda [19], teorema 7, pag. 174): Teorema 1.1.16. L’enunciato del teorema precedente si pu`o estendere a soluzioni u della disuguaglianza (L + h)[u] ≥ 0, dove h ≤ 0 e il massimo di u `e non negativo. Osservazione 9. L’ipotesi secondo la quale la direzione radiale dal centro della sfera al punto P non deve essere essere parallela all’asse t `e cruciale. Infatti, se cos`ı non fosse, il risultato del teorema 1.1.15 potrebbe non valere. Facciamo un esempio nel caso di L operatore parabolico uno-dimensionale. Sia u una funzione che assume il suo massimo M nella regione evidenziata in figura:

(26)

Restringiamo adesso u alla regione E∗. La funzione avr`a il suo massimo lungo la linea l, ma su quest’ultima la derivata normale `e nulla. Infatti, la normale nei punti di massimo, ovvero lungo l, `e parallela all’asse t, e dunque la derivata normale coincide con la derivata parziale ∂u

∂t, che su l `e zero.

Utilizzando il principio del massimo `e possibile caratterizzare la soluzione di equazioni differenziali alle derivate parziali e dedurre, ad esempio, importanti risultati sull’unicit`a e sul segno per soluzioni di problemi a valori al contorno. Da quanto visto finora, si ricava in particolare un importante teorema del confronto, che utilizzeremo nel capitolo 3 per studiare la positivit`a della soluzione di un problema di reazione-diffusione governato dall’equazione

∂u

∂t = a∆u + F (x, t, u),

dove a rappresenta il coefficiente di diffusione e u ed F sono funzioni a valori scalari. Teorema 1.1.17. Sia F : (x, t, u) ∈ Ω × [0, T ] × R → F (x, t, u) ∈ R una funzione continua sul suo dominio con ∂F

∂u anch’essa continua. Se le funzioni u, v ∈ C

2,1 (Ω ×

[0, T ], R) soddisfano le seguenti disuguaglianze:

u(x, 0) ≤ v(x, 0) ∀ x ∈ Ω; (1.13) ∂u ∂ν(x, t) ≤ ∂v ∂ν(x, t) ∀ x ∈ ∂Ω, t ∈ (0, T ); (1.14) ∂u ∂t − a∆u − F (x, t, u) ≤ ∂v ∂t − a∆v − F (x, t, v) ∀ x ∈ Ω, t ∈ (0, T ); (1.15) allora u ≡ v oppure u(x, t) < v(x, t) in Ω × (0, T ].

(27)

Dimostrazione. Fissati (x, t) ∈ Ω × [0, T ], essendo F una funzione lipschitziana nell’ulti-mo argomento, esister´a K ∈ (0, ∞) tale che

F (x, t, u) − F (x, t, v) u − v ≤ K, da cui F (x, t, u) − F (x, t, v) u − v − K ≤ 0. Poniamo F (x, t, u) − F (x, t, v) u − v − K = −C(x, t),

dove C : (x, t) ∈ Ω × [0, T ] → C(x, t) ∈ [0, ∞) `e una funzione continua di x e t. Allora F (x, t, u) − F (x, t, v)

u − v = K − C(x, t), ovvero

F (x, t, u) − F (x, t, v) = (K − C(x, t))(u − v). Definiamo la funzione w : (x, t) ∈ Ω × [0, T ] → w(x, t) ∈ R come segue:

w(x, t) = e−Kt(u(x, t) − v(x, t)). Allora per (1.13) w(x, 0) ≤ 0 ∀ x ∈ Ω (1.16) e per (1.14) ∂w ∂ν(x, t) ≤ 0 ∀ x ∈ ∂Ω, t ∈ (0, T ). (1.17) Inoltre, utilizzando (1.15), si ha ∂w ∂t−a∆w+Cw = −Ke −Kt (u−v)+e−Kt ∂u ∂t − ∂v ∂t 

−ae−Kt(∆u−∆v)+Ce−Kt(u−v) = e−Kt  (C − K)(u − v) + ∂u ∂t − ∂v ∂t − a(∆u − ∆v)  = e−Kt  F (x, t, v) − F (x, t, u) +∂u ∂t − ∂v ∂t − a(∆u − ∆v)  ≤ 0 ∀x ∈ Ω, t ∈ (0, T ).

(28)

Definiamo M :=max{w(x, t)/(x, t) ∈ Ω × [0, T ]}.

Essendo w soluzione della disequazione (L − C)[w] ≥ 0, dove L `e l’operatore parabolico 1+1-dimensionale e −C(x, t) < 0, essa assume il massimo M sul bordo parabolico, ovvero

M = max{w(x, t)|(x, t) ∈ Ω × {0} ∪ ∂Ω × [0, T ]}. Se M <0 la tesi u(x, t) < v(x, t) ∀x ∈ Ω, t ∈ (0, T ] `e banalmente soddisfatta. Applicando i teoremi 1.1.14 e 1.1.16 , si ha w(x, t) ≡ M ∀ x ∈ Ω, t ∈ [0, T ], (1.18) oppure w(x, t) < M ∀ x ∈ Ω r ∂Ω, t ∈ (0, T ] (1.19) e w(x, t) = M per qualche y ∈ ∂Ω, t ∈ (0, T ] ⇒ ∂w ∂ν(y, t) > 0. (1.20) Ma (1.20) `e in disaccordo con (1.17), pertanto il massimo non pu`o essere raggiunto in ∂Ω × (0, T ]. Esso, quindi, dovendosi trovare sul bordo parabolico, sar`a ottenuto per t=0. Da (1.16), M ≤ 0. Assumendo M =0, da (1.18) si ha u ≡ v.

1.2

Metodi per lo studio della stabilit`

a

L’analisi della stabilit`a interna di un sistema `e di grande importanza nello studio dei fenomeni naturali. Consideriamo un sistema autonomo del tipo

˙

y = f (y) (1.21) che modellizza l’evoluzione nel tempo di un determinato fenomeno, con f : Ω → Rn

localmente lipschitziana in un aperto Ω di Rn. Al sistema sono in genere associate ulteriori informazioni, quali dati iniziali o ai limiti.

Una variazione dei dati genera una variazione nella soluzione. Il concetto di stabilit`a `e una sorta di continuit`a di questa corrispondenza: un piccolo cambiamento sui dati

(29)

produce un cambiamento piccolo sulla soluzione.

Particolarmente importante `e lo studio della stabilit`a dei punti di equilibrio (o stati stazionari) del sistema.

Definizione 1.7. Sia Ω ⊆ Rn. y ∈ Ω `e un punto di equilibrio o punto critico o punto stazionario per il sistema (1.21) se f (y) = 0.

Definizione 1.8. Il punto di equilibrio y `e detto stabile (secondo Liapunov) se, per ogni intorno U di y, esiste un intorno V ⊂ U tale che le soluzioni che partono da punti interni a V rimangono dentro U per ogni t > 0. Esplicitamente, indicando con ϕ(t, y0)

una soluzione del sistema (1.21) di punto iniziale y0, y ∈ Ω `e stabile se per ogni  > 0

esiste δ> 0 tale che, se ||y0− y|| < δ, si ha

• ϕ(t, y0) `e definita ∀ t ≥ 0,

• ||ϕ(t, y0) − y|| <  ∀ t ≥ 0.

Osservazione 10. Intuitivamente il punto di equilibrio y `e stabile se ogni soluzione che parte sufficientemente vicino ad esso rimane per tutto il tempo vicino a y.

Definizione 1.9. Il punto di equilibrio y si dice asintoticamente stabile se `e stabile e

lim

t→+∞ϕ(t, y0) = y. (1.22)

Osservazione 11. Nel caso di stabilit`a asintotica, non solo si rimane vicino al punto stazionario, ma la distanza da esso tende a zero all’infinito.

Definizione 1.10. Se il punto di equilibrio y `e asintoticamente stabile, si definisce bacino di attrazione di y l’insieme dei punti y0 di Ω tali per cui vale (1.22). Se il

bacino di attrazione coincide con Ω, allora il punto y si dice globalmente asintoticamente stabile.

Definizione 1.11. Il punto y si dice instabile se non `e stabile, ovvero esiste almeno una soluzione che parte sufficientemente vicino a y ma non resta vicino ad esso.

Con la traslazione di coordinate z(t) = y(t) − y0, il sistema (1.21) si trasforma in

(30)

pertanto alla soluzione y(t) = y0del sistema di partenza corrisponde la soluzione z(t) = 0

del nuovo sistema e viceversa. Questo ci permette, d’ora in poi, di riferirci all’origine come punto d’equilibrio d’interesse.

Per un sistema lineare autonomo

˙ y = Ay

con A matrice di ordine n a elementi in C costanti, la stabilit`a dell’origine `e completa-mente risolta dal seguente teorema:

Teorema 1.2.1. Siano λj, j = 1, ..., k, gli autovalori di A. Allora l’origine `e

• un punto di equilibrio globalmente asintoticamente stabile se e solo se la parte reale di ogni autovalore `e negativa, ovvero Reλj < 0 per j = 1, ..., k,

• un punto di equilibrio stabile, ma non asintoticamente, se e solo se Reλj ≤ 0

e tutti gli autovalori con parte reale nulla sono regolari, ovvero la dimensione dell’autospazio `e pari alla molteplicit`a dell’autovalore,

• un punto di equilibrio instabile in tutti gli altri casi. Per la dimostrazione si rimanda a [17].

1.2.1

Metodo di Liapunov

Per determinare la stabilit`a dell’origine nel caso non lineare `e possibile utilizzare il metodo di Liapunov, in cui il ruolo fondamentale `e svolto da una particolare funzione, detta appunto funzione di Liapunov. Alla definizione di quest’ultima premettiamo quelle di orbita e di derivata lungo una traiettoria del sistema:

Definizione 1.12. Data ϕ = ϕ(t) una curva soluzione del sistema (1.21) chiameremo orbita o traiettoria l’immagine di ϕ.

Date E ∈ C1(Ω, R) e ϕ soluzione di (1.21), si ha

˙

E(ϕ(t)) =< ∇E(ϕ(t)), ˙ϕ(t) >=< ∇E(ϕ(t)), f (ϕ(t)) > . Risulta quindi ben posta la seguente definizione:

(31)

Definizione 1.13. Sia E : Ω → R, Ω aperto in Rn, E ∈ C1(Ω). La derivata di E lungo

le traiettorie del sistema (1.21) `e definita dalla formula ˙

E(y) :=< ∇E(y), f (y) >, y ∈ Ω, dove y = ϕ(t) con ϕ soluzione di (1.21).

Definizione 1.14. Sia V : A → R, V ∈ C1(A) con A ⊆ Rn aperto che contiene l’origine

0. V si dice funzione di Liapunov per (1.21) se:

1. V `e definita positiva, ovvero V (0) = 0 e V (y) > 0 ∀y ∈ A, y 6= 0, 2. ˙V `e semidefinita negativa, ovvero ˙V (y) ≤ 0 ∀y ∈ A.

Teorema 1.2.2. Si consideri il sistema (1.21), con f localmente lipschitziana in un aperto Ω ⊆ Rn per cui l’origine 0 `e un punto di equilibrio. Allora

• se in un intorno A ⊆ Ω dell’origine esiste una funzione V di Liapunov per il sistema, 0 `e stabile,

• se ˙V < 0 in A \ {0}, 0 `e asintoticamente stabile.

Per svolgere la dimostrazione del teorema risultano utili i seguenti tre lemmi:

Lemma 1.2.3. Sia Γ un aperto limitato di Rn tale che Γ ⊂ A ⊆ Ω e ξ ∈ Γ. Dato

a ∈ R+, sia V (ξ) < a e V (y) ≥ a per ogni y ∈ ∂Γ. Allora la soluzione ϕ(t, ξ) di (1.21)

esiste per t ≥ 0 e ϕ(t, ξ) ∈ Γ per ogni t ≥ 0.

Dimostrazione. La prova si svolge per assurdo. Supponiamo dunque che la soluzione ϕ(t, ξ) esca da Γ. Possiamo allora definire il primo tempo di uscita da Γ

t∗ = inf{t ≥ 0 : ϕ(t) /∈ Γ}.

(32)

Ponendo φ(t) := V (ϕ(t)), si ha

φ(0) = V (ϕ(0)) = V (ξ) < a, ˙φ(t) = ˙V (ϕ(t)) ≤ 0 e

φ(t∗) = V (ϕ(t∗)) ≥ a.

Questo costituisce una contraddizione, da cui deduciamo che ϕ non pu`o uscire da Γ. Essendo la soluzione contenuta in un compatto, essa `e limitata su qualunque intervallo e quindi prolungabile a +∞, ovvero esiste per ogni t ≥ 0.

Lemma 1.2.4. Sia Γ un insieme aperto limitato tale che Γ ⊂ A ⊆ Ω. Dati a, b ∈ R+, supponiamo che V (y) ≥ a e ˙V (y) ≤ −b < 0 per ogni y ∈ Γ. Se ξ ∈ Γ e ϕ(t, ξ) `e definita per t ≥ 0, allora ϕ(t, ξ) esce da Γ.

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che ϕ non esca da Γ, cio`e ϕ(t, ξ) ∈ Γ per ogni t ≥ 0. Allora a ≤ V (ϕ(t)) = Z t 0 ˙ V (ϕ(s))ds + V (ξ) ≤ −bt + V (ξ). Ma −bt + V (ξ) → −∞ per t → +∞, da cui si ha una contraddizione.

Lemma 1.2.5. Sia Γ0 un aperto limitato contenente l’origine 0, con Γ0 ⊂ A ⊆ Ω. Sia

V una funzione di Liapunov tale che ˙V < 0 in A \ {0}. Se ξ ∈ Γ0 e ϕ(t, ξ) ∈ Γ0 per

(33)

Dimostrazione. Poich´e ˙V < 0 in A \ {0}, φ(t) = V (ϕ(t)) `e strettamente decrescente. Dimostriamo che φ(t) → 0 per t → +∞. Supponiamo per assurdo che ci`o non avvenga, pertanto φ(t) → µ > 0 per t → +∞ e, per la decrescenza stretta di φ, φ(t) ≥ µ per t ≥ 0. Essendo V una funzione di Liapunov, V (0) = 0, da cui esiste un intorno Bδ(0)

tale che V (y) ≤ µ2 per y ∈ Bδ(0). Notiamo allora che ξ ∈ Γ0\ Bδ(0). Poniamo ora

a = min Γ0\Bδ(0) V > 0 e − b = max Γ0\Bδ(0) ˙ V < 0.

Utilizzando il lemma precedente, si pu`o affermare che ϕ(t, ξ) deve uscire da Γ0 \ Bδ(0).

Ora, per ipotesi ϕ(t, ξ) non esce attraverso ∂Γ0. Non pu`o uscire nemmeno attraverso

∂Bδ(0), in quanto, se ϕ ∈ Bδ(0), V (ϕ(t)) ≤ µ2. Questo costituisce un assurdo, da cui

V (ϕ(t)) → 0 per t → +∞, che implica ϕ(t) → 0 per t → +∞.

Dimostrazione teorema 1.2.2. Sia ε > 0 tale che Bε(0) ⊂ A. Poniamo Γ = Bε(0) e

sia V ≥ a su ∂Γ. Essendo V una funzione di Liapunov, quindi in particolare continua e definita positiva, ed essendo ∂Γ un compatto, per il teorema di Weierstrass a `e ben definito e, per la positivit`a di V, anch’esso positivo. Poich´e V (0)= 0, esiste Bδ(0) tale

che, per ogni y ∈ Bδ(0), V (y) ≤ a2. Dal lemma 1.2.3, per ogni ξ ∈ Bδ(0), ϕ(t, ξ) esiste

per t ≥ 0 e non esce da Bε(0). Questo significa che 0 `e stabile.

Per provare il secondo punto concernente l’asintotica stabilit`a nel caso in cui ˙V < 0 in A \ {0}, basta utilizzare il lemma 1.2.5 in cui si prende Γ0 = Bε(0).

La stabilit`a asintotica `e un concetto locale. Nello studio della stabilit`a di un sistema, sapere soltanto che esso `e asintoticamente stabile senza avere informazioni sulla grandezza della regione di asintotica stabilit`a non risulta particolarmente soddisfacente. Il seguente risultato, formulato in [13] dal matematico Joseph Pierre Lasalle, estende il metodo di Liapunov e rappresenta un utile strumento per determinare la stabilit`a asintotica globale di un sistema:

Teorema 1.2.6. Sia Ω = Rn e sia 0 l’unico punto di equilibrio per il sistema (1.21). Sia V una funzione di Liapunov per (1.21). Se ˙V (y) < 0 in Rn\ {0} e V (y) → +∞ per ||y|| → +∞, allora l’origine `e globalmente asintoticamente stabile.

Dimostrazione. Sia ξ un punto qualsiasi di Rn diverso dall’origine e tale che V (ξ) =

(34)

||y|| → +∞, pertanto esiste una sfera Br(0) di raggio r sufficientemente grande tale che

V (y) ≥ 2a per y ∈ Rn\ Br(0). In particolare V (y) ≥ 2a su ∂Br(0). Possiamo allora

utilizzare il lemma 1.2.3 e affermare che ϕ(t, ξ) esiste per t ≥ 0 e non esce dalla sfera Br(0). Essendo ˙V < 0 in Rn\ {0}, `e possibile sfruttare il lemma 1.2.5, per il quale

ϕ(t, ξ) → 0. Dall’arbitrariet`a del punto ξ, segue che il bacino di attrazione di 0 `e tutto Rn, ovvero l’origine `e globalmente asintoticamente stabile.

1.2.2

Criterio di Routh-Hurwitz

Il criterio di Routh-Hurwitz, di cui `e possibile trovare una trattazione in [2], per-mette di studiare il segno della parte reale delle radici di un polinomio senza che risulti necessario il loro esplicito calcolo. Presentiamo di seguito l’enunciato del criterio: Teorema 1.2.7 (Criterio di Routh-Hurwitz). Dato il polinomio

P (λ) = λn+ a1λn−1+ ... + an−1λ + an

con ai ∈ R per i = 1, ..., n, definiamo le n matrici di Hurwitz

H1 = (a1), H2 = a1 1 a3 a2 ! , H3 =     a1 1 0 a3 a2 a1 a5 a4 a3     , Hn=          a1 1 0 0 · · · 0 a3 a2 a1 1 · · · 0 a5 a4 a3 a2 · · · 0 .. . ... ... ... · · · ... 0 0 0 0 · · · an          ,

dove aj = 0 se j > n. Tutte le radici del polinomio P (λ) sono negative o hanno parte

reale negativa se e solo se i determinanti di tutte le matrici di Hurwitz sono positivi, ovvero

(35)

Osservazione 12. Se n = 2 per il criterio di Routh-Hurwitz le radici del polinomio sono negative o hanno parte reale negativa se e solo se detH1 = a1 > 0 e

detH2 = det a1 1 0 a2 ! = a1a2 > 0, ovvero a1 > 0 e a2 > 0.

Se n = 3 le radici del polinomio caratteristico sono negative o hanno parte reale negativa se e solo se

detH1 = a1 > 0, detH2 = a1a2 > 0 e detH3 = det

    a1 1 0 a3 a2 a1 0 0 a3     = a1a2a3 − a23 > 0, ovvero a1 > 0, a3 > 0 e a1a2 > a3.

Se n = 4 le radici del polinomio caratteristico sono negative o hanno parte reale negativa se e solo se detH1 = a1 > 0, detH2 = a1a2 > 0 ,

detH3 = det     a1 1 0 a3 a2 a1 0 a4 a3     = a1(a2a3− a1a4) − a23 > 0 e detH4 = det       a1 1 0 0 a3 a2 a1 1 0 a4 a3 a2 0 0 0 a4       = a4[(a1a2a3− a21a4) − a23] > 0, ovvero a1 > 0, a3 > 0, a4 > 0 e a1a2a3 > a21a4+ a23.

Il criterio di Routh-Hurwitz viene utilizzato per dimostrare la stabilit`a asintotica di sistemi. Infatti, come enunciato nel teorema 1.2.1, il criterio di stabilit`a per sistemi lineari si basa sul segno degli autovalori della matrice Jacobiana calcolata nel punto stazionario, che non sono altro che le radici dell’equazione caratteristica.

Nel caso di un sistema non lineare `e possibile studiare il sistema linearizzato e trasferire le informazioni ottenute al problema di partenza. Occorrer`a a tal proposito ricordare che l’approssimazione `e efficace generalmente solo nell’intorno del punto di equilibrio e

(36)

perci`o, anche se le propriet`a del sistema lineare hanno carattere globale, la loro validit`a in riferimento al sistema originale `e per lo pi`u locale. Vale infatti il seguente teorema: Teorema 1.2.8. Supponiamo che

dX

dt = F (X)

sia un sistema non lineare autonomo del primo ordine, con X = (x1, ..., xn), F (X) =

(f1(x1, ..., xn), ..., fn(x1, ..., xn)) e X punto di equilibrio. Indichiamo con J (X) la matrice

Jacobiana di F calcolata in X. Se l’equazione caratteristica di J (X), λn+ a1λn−1+ ... + an−1λ + an = 0,

soddisfa le condizioni del criterio di Routh-Hurwitz, ovvero i determinanti delle matrici di Hurwitz Hj sono tutti positivi per j = 1, ..., n, allora il punto di equilibrio X `e localmente

(37)

Modelli matematici per la malattia

di Alzheimer

2.1

Background biologico

Per garantire al lettore una migliore comprensione dei modelli che verranno analizzati in questa tesi, `e opportuno e doveroso premettere alla loro presentazione una descrizione della malattia che essi si pongono l’obiettivo di approfondire: l’Alzheimer. Sottolineiamo che la trattazione svolta in questa sezione si focalizza sui soli aspetti che vengono presi in considerazione nel nostro studio, tralasciando quindi tutti gli altri fattori che concorrono all’insorgenza di questa complessa malattia, la cui patogenesi risulta ancora oscura. Il morbo di Alzheimer `e la forma pi`u comune di demenza, un termine generale che si ri-ferisce al declino progressivo e globale delle funzioni intellettive e al deterioramento della personalit`a e della vita di relazione. Descritta per la prima volta dallo psichiatra e neu-ropatologo tedesco Alois Alzheimer nel 1906, `e una patologia degenerativa e irreversibile che colpisce il sistema nervoso centrale, a esordio tipicamente senile. La malattia, i cui sintomi sono rappresentati dalla perdita progressiva della memoria e da deficit cognitivi delle funzioni del linguaggio, dei movimenti e del riconoscimento di oggetti e persone, porta ad un inesorabile deterioramento generale delle condizioni di salute e ad un forte indebolimento del sistema immunitario, fino ad arrivare alla morte.

I cambiamenti patologici a livello microscopico che avvengono nel cervello di una perso-29

(38)

na affetta da Alzheimer includono il danneggiamento delle sinapsi, la perdita di neuroni, l’accumulo di grovigli neurofibrillari di proteina tau all’interno delle cellule cerebrali e la formazione, al loro esterno, di placche senili di β-amiloide (Aβ). Quest’ultimo `e un peptide avente origine dall’APP (Amyloid Precursor Protein), una proteina di membra-na che pu`o essere tagliata in frammenti da enzimi proteolitici, detti α-, β- e γ-secretasi. La β-secretasi opera un taglio che, in seguito al successivo intervento da parte della γ-secretasi, porta alla produzione di peptidi di lunghezza compresa tra i 36 e i 43 ammi-noacidi, chiamati β-amiloide.

Nei cervelli sani i meccanismi di eliminazione (clearance) della β-amiloide fanno s`ı che questa non crei accumuli e depositi. Secondo l’ipotesi amiloidogenica, di cui Selkoe in [22] svolge una dettagliata trattazione, nei malati di Alzheimer viene proprio a mancare questo equilibrio tra la produzione e l’eliminazione del peptide, con conseguente aumento nel cervello della quantit`a di Aβ, che non riesce pi`u ad essere degradata. I peptidi Aβ, in questo caso, tendono ad assemblarsi, formando piccoli oligomeri solubili o strutture pi`u grandi, quali protofibrille, fibrille e placche. All’interno di queste ultime, il peptide Aβ maggiormente presente `e quello costituito da 42 amminoacidi, che, a causa della sua natura idrofobica, ha una maggiore propensione a creare legami, dimostrandosi il pi`u tossico per i neuroni.

La β-amiloide in forma monomerica `e un fattore naturale e protettivo che potenzia la plasticit`a sinaptica: come affermato in [12], infatti, la β-amiloide come monomero svolge un ruolo fisiologico nella regolazione del calcio neuronale e dei canali di potassio, risultan-do dunque non tossica e presente anche nei cervelli sani. La neurotossicit`a delle placche, invece, appare limitata dalla loro insolubilit`a. Dopo un lungo dibattito, sembra che gli oligomeri solubili siano i maggiori responsabili delle disfunzioni sinaptiche riscontrate nei malati di Alzheimer: numerosi studi hanno infatti confermato che la correlazione tra le forme intermedie di Aβ e i danni funzionali `e nettamente pi`u forte dell’influenza che le placche e la totale concentrazione di monomeri esercitano sulla degenerazione neuronale, come ribadito in [9].

I meccanismi attraverso i quali gli oligomeri solubili danneggiano le funzioni cognitive e sinaptiche non sono ancora del tutto chiari. A riguardo, dagli studi di Strittmatter e dei suoi collaboratori (si veda [21]), emerge un legame tra la β-amiloide e la

(39)

protei-na prionica cellulare PrPC. La PrPC `e una glicoproteina di membrana conservata nei

mammiferi ed espressa abbondantemente nei neuroni, la cui funzione fisiologica, ancora discussa, potrebbe favorire ad esempio l’adesione cellulare e la trasduzione del segnale. La proteina prionica diviene pericolosa quando, a seguito di un processo di cambiamen-to conformazionale, si converte nell’isoforma pacambiamen-tologica PrPSc che costituisce i prioni,

agenti infettivi di natura proteica che causano malattie letali come il morbo della mucca pazza nei bovini e quello di Creutzfeldt-Jakob negli esseri umani. Stando alle funzioni protettive della PrPC che sono state ipotizzate, si potrebbe pensare che questa proteina sia in grado di difendere i neuroni contro la β-amiloide, ma, sorprendentemente, un nu-mero crescente di ricerche ha prodotto il risultato opposto (si vedano ad esempio [5] e [21]). La PrPC, oltre a non apparire neuroprotettiva contro la Aβ, potrebbe addirittura

essere il principale recettore per gli oligomeri solubili, svolgendo cos`ı un ruolo cruciale nella mediazione dei deficit sinaptici indotti dagli aggregati intermedi di β-amiloide. L’aggregazione dell’Aβ e la possibile influenza della proteina prionica nella tossicit`a del-l’amiloide in forma oligomerica sono gli aspetti biologici della malattia di Alzheimer studiati nei due modelli matematici che ci apprestiamo a descrivere.

2.2

Un modello microscopico per l’aggregazione

del-la Aβ neldel-la madel-lattia di Alzheimer

Nel modello che vado ad illustrare, trattato nel lavoro [1], si `e interessati a studiare lo stadio iniziale della malattia di Alzheimer, in cui piccoli agglomerati di amiloide so-no liberi di muoversi e unirsi tra loro. In questo meccanismo di assemblaggio dell’Aβ, soprattutto quando sono coinvolti oligomeri di piccola taglia, risulta secondario il feno-meno della frammentazione, che, pertanto, non viene preso in considerazione in questo modello.

Il fenomeno di aggregazione verr`a rappresentato tramite l’equazione di Smoluchowski, di cui svolgo una trattazione nella sottosezione seguente.

(40)

2.2.1

Equazione di Smoluchowski

Nel 1917 Smoluchowski applica la teoria dei moti browniani al problema statistico della collisione di sfere dure non interagenti termicamente agitate in un continuo. Egli focalizza la sua attenzione sull’aggregazione delle molecole di aerosol, un tipo di colloide in cui un liquido o un solido sono dispersi in un gas. Questa sua analisi ha determinato il tasso di coagulazione rapida degli aerosol in un mezzo di dispersione statico in cui avvengono soltanto collisioni binarie, producendo un’equazione utilizzata poi sovente per descrivere in vari ambiti fenomeni di aggregazione. In [23] Smoluchowski introduce un sistema di infinite equazioni differenziali discrete, senza per`o includere il fenomeno di diffusione, che sar`a invece centrale nel modello studiato. Indicando con ui il numero di

particelle di lunghezza i per unit`a di volume, l’equazione di Smoluchowski `e ∂ui ∂t = −ui ∞ X j=1 ai,juj + 1 2 i−1 X j=1 aj,i−jujui−j, (2.1)

dove i = 1, 2, 3, ..., le ui al tempo iniziale sono nulle eccetto che per i = 1 e ai,j sono

coefficienti costanti non negativi e simmetrici.

La teoria di Smoluchowski `e stata poi estesa per poter essere applicata ad un maggior numero di situazioni, relative alla chimica, all’astrofisica, alla fisica statistica e cos`ı via. Per una approfondita trattazione storica si veda [6].

Nel modello microscopico Aβ per la malattia di Alzheimer l’aggregazione della β-amiloide viene modellizzata mediante l’equazione di Smoluchowski. Quest’ultima offre, infatti, un modo per tradurre in termini matematici il fenomeno della coalescenza: se due polimeri vengono a trovarsi sufficientemente vicini, c’`e la possibilit`a che coagulino, formando un unico polimero la cui dimensione `e pari alla somma delle dimensioni dei singoli polimeri che hanno preso parte alla reazione. Formalmente, indicando con Pk un polimero di

lunghezza k, ovvero un insieme di k particelle identiche dette monomeri, possiamo scrivere Pk+ Pj → Pk+j.

Questo tipo di coagulazione, ovvero la binaria, `e l’unica possibile. Non sono previste coagulazioni multiple. Assumendo che l’avvicinamento di due agglomerati sia il risul-tato soltanto di moti browniani e della diffusione, le equazioni discrete di coagulazione

(41)

diventeranno nel nostro caso ∂ui

∂t = di∆xui(x, t) + Qi(u), (2.2) dove

Qi(u) = Qg,i(u) − Ql,i(u).

Qg,i(u) `e il termine di guadagno dato da

Qg,i(u) = 1 2 i−1 X j=1 aj,i−jujui−j,

mentre Ql,i(u) `e il termine di perdita, con

Ql,i(u) = ui N

X

j=1

ai,juj.

Si noti che (2.2) `e l’equivalente, nel caso finito, di (2.1), con l’aggiunta del termine di diffusione. Come illustro di seguito, infatti, in [1] ci si restringe a studiare un sistema discreto di equazioni di Smoluchowski con diffusione, che risulta finito poich´e si terranno in considerazione soltanto tre tipi di particelle.

2.2.2

Descrizione del modello microscopico per la Aβ

Per produrre un modello matematico si ha bisogno anzitutto di una scala spaziale. Si `e scelto di considerare una porzione dell’ippocampo o della corteccia cerebrale, la cui dimensione `e paragonabile a un multiplo della grandezza di un neurone. Per fissare le idee, possiamo pensare che il diametro del dominio che considereremo sia dell’ordine di 10 µm. Nella descrizione del comportamento delle fibrille di Aβ gioca un ruolo centrale il fenomeno di diffusione, poich´e, agli inizi della malattia, le fibrille sono relativamente pic-cole. Studiando dunque una piccola porzione di tessuto cerebrale, `e ragionevole assumere che la diffusione sia uniforme e, di conseguenza, modellizzarla mediante un’equazione di diffusione di Fourier lineare. Quest’ultima non sarebbe stata adeguata, invece, se si fosse lavorato su una grande regione del tessuto cerebrale: in tal caso, infatti, si `e provato che la diffusione dell’amiloide `e influenzata dall’attivit`a metabolica e pu`o dunque variare da una zona all’altra.

(42)

Per quanto concerne la scelta della scala temporale, rappresentiamo con un intervallo unitario un periodo di poche ore, tempo che impiega una placca a formarsi. Il tempo di osservazione dello stadio iniziale della malattia, della durata di qualche settimana, corrisponde cos`ı ad un intervallo matematico lungo.

Per motivazioni legate ad aspetti tecnici del modello e coerenti con i dati sperimentali, si assume inoltre che i grandi agglomerati non si aggreghino tra loro.

Nel modello si tratter`a soltanto l’evoluzione della β-amiloide, analizzandone diffusione e aggregazione. Non si terr`a conto n´e di fenomeni intracellulari n´e del ruolo della micro-glia, principale mezzo di difesa del sistema nervoso centrale.

La porzione di tessuto cerebrale considerata `e rappresentata da una regione limitata re-golare Ω0 ⊂ R2 che supponiamo connessa, mentre i neuroni sono rappresentati da una

famiglia di regioni regolari Ωj, j = 1, ..., M , con le seguenti propriet`a:

1. Ωj = Ωj ∪ ∂Ωj ⊂ Ω0 per j = 1, ..., M ,

2. Ωi ∩ Ωj = ∅ se i 6= j.

I neuroni vengono quindi modellizzati con dei buchi interni a Ω0, che non toccano il

bordo di quest’ultimo e non si intersecano tra loro. Definiamo Ω := Ω0\ M [ j=1 Ωj

la regione in cui la β-amiloide `e libera di muoversi. Riportiamo di seguito una schematica rappresentazione della porzione di cervello, dove i buchi Ωj con j = 1, ..., 5 rappresentano

i neuroni, la regione gialla `e Ω e Ω0 = Ω ∪

S5

j=1Ωj:

Per descrivere l’evoluzione della β-amiloide in Ω si considera la funzione u = (u1, ..., uN),

dove N ∈ N e uj = uj(x, t) con x ∈ Ω variabile spaziale e t ∈ R , t ≥ 0 variabile

(43)

• Se 1 ≤ j ≤ N − 1, uj(x, t) `e la concentrazione molare al tempo t nel punto x di

polimeri di β-amiloide di lunghezza j,

• uN rappresenta gli aggregati di pi`u di N − 1 monomeri. Agglomerati di oligomeri

di lunghezza ≥ N possono essere visti come placche.

Scriveremo tre problemi di Cauchy-Neumann: il primo sar`a il problema per u1, ovvero

per i monomeri, il secondo sar`a relativo a um, con 1 < m ≤ N − 1 e il terzo riguarder`a

uN. D’ora in poi indicheremo con

∂ν la derivata normale.

Avremo un sistema discreto finito, poich´e il modello si riduce allo studio di tre tipi di particelle soltanto, aventi propriet`a biofisiche completamente diverse: i monomeri, gli oligomeri solubili e le lunghe fibrille.

Per u1 si ha il seguente problema di Cauchy-Neumann:

                       ∂u1 ∂t = d1∆xu1− u1 N X j=1 a1,juj ∂u1 ∂ν = ψ0 ≡ 0 su ∂Ω0 ∂u1 ∂ν = ψj su ∂Ωj, j = 1, ..., M u1(x, 0) = U1(x) ≥ 0. (2.3)

Come si pu`o notare, la produzione della β-amiloide in forma monomerica a livello delle membrane neuronali `e modellizzata con una condizione di Neumann non omogenea sul bordo ∂Ωj di tutti i neuroni, quindi per j = 1, ..., M . 0 ≤ ψj ≤ 1 `e una funzione regolare

per j = 1, ..., M non costante, in quanto la produzione di β-amiloide non `e uniforme-mente distribuita sulla membrana del neurone, ma `e ad esempio maggiore nei punti in cui parte l’assone. Nel modello questa propriet`a si traduce prendendo le ψj

identica-mente uguali a zero eccetto che per una piccola porzione del bordo ∂Ωj. In particolare,

assumiamo ψj 6≡ 0 per j = 1, ..., M , in quanto, volendo tener conto solo dei neuroni

affetti dalla malattia, la produzione di β-amiloide risulta necessaria. Si utilizza invece una condizione di Neumann omogenea sul bordo di Ω0, corrispondente a una richiesta

di adiabaticit`a che isola la nostra porzione di tessuto cerebrale dal resto dell’ambiente. In letteratura erano gi`a stati considerati sistemi di diffusione-aggregazione come il (2.3)

(44)

ma con condizioni al bordo di Neumann omogenee ([3]). La condizione di boundary non omogenea in (2.3) impedisce la conservazione della massa; per cui alcune stime note in letteratura per il caso omogeneo non funzionano e si `e dovuto nella situazione presente basarsi sull’uso ripetuto del principio di massimo parabolico classico.

Infine, osserviamo che all’istante iniziale c’`e una certa quantit`a U1 di β-amiloide in forma

monomerica presente nel cervello. U1 `e assunta regolare, precisamente U1 ∈ C2+α con

α ∈ (0, 1).

Notazione: U1 ∈ C2+αsignifica che U1`e una funzione C2 con derivate seconde H¨

olderia-ne di ordiolderia-ne α, ovvero tali che esiste una costante positiva C per cui, per ogni multi-indice β, |β| = 2, si ha

|DβU

1(x) − DβU1(y)| ≤ C|x − y|α ∀ x, y ∈ Ω.

Inoltre si assume ∂U1

∂ν = ψj su ∂Ωj per j = 1, ..., M . Per 1 < m < N abbiamo                        ∂um ∂t = dm∆xum− um N X j=1 am,juj + 1 2 m−1 X j=1 aj,m−jum−j ∂um ∂ν = 0 su ∂Ω0 ∂um ∂ν = 0 su ∂Ωj, j = 1, ..., M um(x, 0) = 0. (2.4)

Si noti che in questo caso, nell’equazione di diffusione-aggregazione, come suggerito dal-l’equazione di Smoluchowski, perdiamo gli um che si sono attaccati formando oggetti pi`u

lunghi, ma ne acquistiamo di nuovi, perch´e una catena lunga j, aggregandosi ad una catena lunga m − j, ne forma una di lunghezza m. Sul bordo dei neuroni si ha una condizione di Neumann omogenea, cos`ı come accade nel problema per uN, riportato di

(45)

                     ∂uN ∂t = dN∆xuN + 1 2 X j+k≥N,k<N,j<N aj,kujuk ∂uN ∂ν = 0 su ∂Ω0 ∂uN ∂ν = 0 su ∂Ωj, j = 1, ..., M uN(x, 0) = 0. (2.5) In definitiva, sul bordo dei neuroni nasce soltanto β-amiloide in forma monomerica e all’istante iniziale si produce solo u1.

I dj per j = 1, ..., M sono quantit`a positive che rappresentano i coefficienti di diffusione,

assunti piccoli per j grande, in accordo col fatto che grandi aggregati faticano maggior-mente a muoversi.

Gli ai,j = aj,i sono invece i coefficienti di aggregazione. Si suppone aN,N = 0, ovvero i

grandi oligomeri non coagulano. Nelle simulazioni numeriche (per il lettore interessato si veda [1]) ai,j = α 1 ij, dove α ∈ R + .

Pertanto due oggetti lunghi hanno un coefficiente di aggregazione pi`u basso, in quanto la loro capacit`a di movimento `e nettamente ridotta.

Notiamo che in (2.4) la prima equazione coincide con (2.2). Lo stesso accade per l’equa-zione di evolul’equa-zione presente in (2.3), in cui ovviamente il termine di guadagno `e nullo. La condizione j, k < N in (2.5) deve invece essere giustificata. Come abbiamo sotto-lineato sopra, uN ha un significato diverso da uj con j = 1, ..., N − 1, in quanto non

considera soltanto gli agglomerati di N monomeri, ma tiene anche conto di quelli con lunghezza maggiore di N . Per provare che l’equazione di evoluzione per uN corrisponde

all’equazione di Smoluchowski, dimostriamo allora che 1 2 X j+k≥N,k<N,j<N aj,kujuk = 1 2 X j+k≥N aj,kujuk− uN N X j=1 aN,juj. (2.6)

Sapendo che uN deve descrivere la somma delle densit`a di tutti gli agglomerati pi`u

lunghi di N , possiamo supporre che questi ultimi siano tutti caratterizzati dalle medesime propriet`a di diffusione e che non coaugulino tra loro. Questo significa che

(46)

• ai,j = aN,j per i ≥ N . In particolare, se i, j ≥ N , abbiamo

ai,j = aN,j = aN,N = 0.

Pertanto, se i ≥ N , l’equazione di Smoluchowski (2.2) diventa ∂ui ∂t = dN∆xui− ui N −1 X j=1 aN,juj + 1 2 i−1 X j=1 aj,i−jujui−j.

Applichiamo ora a entrambi i membri la sommatoria per i ≥ N . Ponendo v :=P

i≥Nui, otteniamo ∂v ∂t = dN∆xv − v N −1 X j=1 aN,juj+ 1 2 X i≥N i−1 X j=1 aj,i−jujui−j := dN∆xv − A + 1 2B.

Essendo aN,N = 0, A `e esattamente il secondo termine del secondo membro di (2.6).

Ponendo i = j + k, 1

2B `e uguale al primo termine. Dunque, ponendo uN = v, abbiamo provato la validit`a di (2.6).

2.3

Un modello per l’interazione Aβ/PrP

C

nella

ma-lattia di Alzheimer

Nel modello esaminato nel lavoro [10], denotato d’ora in poi Aβ/PrPC, si studia l’e-voluzione della malattia di Alzheimer mediata dalla proteina prionica PrPC. Nel modello ci si concentra sulla dinamica degli oligomeri di Aβ e sulla loro interazione con fibrille di Aβ e proteina prionica PrPC. Non si tengono in considerazione fenomeni di

depolarizza-zione e di dinamiche interne dei polimeri, quali ad esempio frammentadepolarizza-zione e possibile coagulazione. Inoltre si assume che ci sia soltanto una forma stabile per gli oligomeri, che `e l’unica che interagisce con la PrPC ed `e in grado di formare placche critiche. Si considereranno quindi le seguenti quantit`a:

• f (x, t) ≥ 0: densit`a delle placche insolubili di β-amiloide di taglia x al tempo t, • u(t) ≥ 0: concentrazione degli oligomeri solubili di β-amiloide al tempo t,

(47)

• p(t) ≥ 0: concentrazione della proteina prionica solubile PrPC al tempo t,

• b(t) ≥ 0: concentrazione del complesso formato da un oligomero di β-amiloide che si lega a una proteina PrPC.

Le placche si formano dal raggruppamento di oligomeri di β-amiloide. La variabile astratta x rappresenta la dimensione dell’aggregato e appartiene all’intervallo (x0, +∞),

dove x0 indica la dimensione critica sotto la quale le placche non possono formarsi. Nel

lavoro gli aggregati vengono visti come fibrille che si allungano in una dimensione. La velocit`a di aggregazione dipende dalla concentrazione di oligomeri solubili e dalle dimensioni degli agglomerati. Nel modello si indicher`a con ρ(x) la velocit`a di conversione degli oligomeri in placche. La dimensione x della placca sta pertanto ad indicare la massa degli oligomeri di β-amiloide che costituiscono il polimero. Assumiamo infatti che la massa di un oligomero sia data da un parametro ε > 0 sufficientemente piccolo. Allora il numero di oligomeri in una placca di massa x > 0 `e dato da x

ε e la soglia critica x0 `e pari a εn, dove n `e il numero di oligomeri contenuti in una placca di dimensione critica. Le placche di amiloide si degradano ad una velocit`a non negativa µ, eventualmente dipendente dalla dimensione x della placca stessa.

Riportiamo nella seguente tabella tutti i parametri e le variabili che vengono utilizzati nel modello in merito agli oligomeri di β-amiloide, alla PrPC e alle placche:

Parametro/variabile Definizione t Tempo

x Dimensione delle placche di β-amiloide x0 Dimensione critica delle placche di β-amiloide

n Numero di oligomeri in una placca di dimensione x0

ε Massa di un oligomero

λu Fonte di oligomeri di β-amiloide

γu Velocit`a di degradazione degli oligomeri di β-amiloide

λp Fonte di PrPC

γp Velocit`a di degradazione della PrPC

τ Velocit`a di legame tra oligomeri di β-amiloide e PrPC

σ Velocit`a di scissione di Aβ-×-PrPC

δ Velocit`a di degradazione di Aβ-×-PrPC

ρ(x) Velocit`a di conversione degli oligomeri in placca µ(x) Velocit`a di degradazione di una placca

(48)

Le concentrazioni totali di placche, oligomeri di β-amiloide, proteina prionica e complesso Aβ-×-PrPC evolvono nel tempo secondo le velocit`a definite nella tabella. Rappresentia-mo di seguito in maniera schematica questi processi:

Scriviamo ora le equazioni di evoluzione per le quattro quantit`a elencate sopra: ∂ ∂tf (x, t) + u(t) ∂ ∂x[ρ(x)f (x, t)] = −µ(x)f (x, t) su (x0, +∞) × (0, +∞) (2.7) ˙u = λu− γuu − τ up + σb − nN (u) − u ε Z +∞ x0 ρ(x)f (x, t)dx su (0, +∞) (2.8) ˙ p = λp− γpp − τ up + σb su (0, +∞), (2.9) ˙b = τup − σb − δb (0, +∞). (2.10) In (2.8) il termine N rappresenta la velocit`a di formazione di una nuova placca di di-mensione x0 ottenuta da oligomeri di β-amiloide. Al fine di equilibrare questo termine,

aggiungiamo la condizione al bordo

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