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Disabilità e lavoro nella sclerosi multipla.

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE 4

CAPITOLO PRIMO: SFONDO TEORICO E CONCETTUALE 1.1 L'emergere del problema 5

1.2 Definizione di sclerosi multipla 8

1.3 Brevi cenni sulla storia della malattia 10

1.4 Da Parsons ai correlazionisti. Come il pensiero sociologico sviluppa il concetto di Disablement 13

1.5 Dal modello I.C.I.D.H. al pieno riconoscimento del Disablement 30

CAPITOLO SECONDO: DISABILITA' E LAVORO 2.1La cornice del problema 55

2.2 Rilevanza della sclerosi multipla in Italia 58

2.3 Tutele e diritti previsti per il portatore di sclerosi multipla 63

2.4 Disabilità e crisi del sistema 71

2.5 Partecipazione attiva e autorealizzazione attraverso il lavoro 82

2.6 Il modello teorico di una società inclusiva 90

CONCLUSIONI 96

APPENDICE 1 Testimonianza di Maria e Antonio 101

APPENDICE 2: Intervista a Stefania. Consigliera, portavoce dell'associazione Isola Attiva 104

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APPENDICE 3: intervista all'Assessore per le politiche

sociali della provincia di Cagliari 108

APPENDICE 4: testimonianza di Anna, portatrice di sclerosi multipla 110

APPENDICE 5: intervista a Paolo Kalb, segretario

dell'Associazione Vosm 114 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 116

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3 INTRODUZIONE

L’idea del progetto nasce dalla volontà di descrivere una realtà, quella del malato di sclerosi multipla, che ancora attende delle risposte dalla società, che si dimostra attenta ma non concretamente attiva nei confronti dello specifico caso e dei particolari bisogni d’aiuto. La persona che viene colpita da questa patologia, perde la sua abilità progressivamente in relazione alla particolare forma di sclerosi multipla. Ma cosa significa perdere l’abilità? Usando il termine abilità non viene indicato un individuo in grado di compiere azioni da solo e per la sua stessa persona, ma un soggetto che abbia assunto il controllo della propria esistenza e che possa scegliere il modo in cui regolarla.

Il malato di sclerosi multipla risulta disabilitato poiché il decorso della patologia crea delle limitazioni alle capacità di compiere una attività nel mondo, delle criticità nella realizzazione dei compiti e nell’espressione dei comportamenti per ciò che sarebbe normalmente atteso. Si attiva un processo nel quale, il malato di sclerosi multipla, rischia di perdere la propria autonomia e risulta essere più disabile nel provvedere da sé alla realizzazione delle proprie aspettative, limitando per giunta la sua partecipazione attiva in alcuni ambiti nella società. In uno scenario del genere la società ha il compito di contrastare questo rischio attivando degli strumenti che promuovono o sostengono le capacità dei soggetti di affrontare le problematiche della vita.

Il ventesimo secolo si è caratterizzato per un insieme di concettualizzazioni sulla disabilità, che hanno avuto come punto di arrivo la visione della disabilità come processo piuttosto che come attributo della persona. La disabilità è da intendere come una complessa interazione di condizioni, molte delle quali create dall'ambiente sociale. Ne consegue che la gestione del problema richiede azioni sociali ed è responsabilità collettiva della società nel suo complesso implementare le modifiche ambientali

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necessarie per la piena partecipazione delle persone con disabilità in tutte le aree della vita sociale. La questione riguarda gli atteggiamenti e le ideologie e richiede cambiamenti sociali, cosa che a livello politico diventa un problema di diritti umani. Il “non essere in grado”, secondo l'approccio al quale si fa riferimento, non risiede nella disabilità quanto piuttosto nell'operare degli apparati della società.

In Europa, la riflessione sulla disabilità prende spunto dalla constatazione del legame che si era creato tra presenza di patologie e situazioni di estrema povertà. L'associazione tra patologie e riduzioni di capacità lavorativa e funzionali era stato motivo di esclusione di quelle persone considerate disabili. É a partire dagli anni '60 che il fenomeno della disabilità risulta inevitabilmente legato alle problematiche relative al lavoro. Quest'ultimo è da considerarsi come un'esperienza di tipo inclusivo, nella quale la persona con disabilità, in questo specifico caso il malato di sclerosi multipla, si trova in una situazione di piena integrazione sociale e relazionale e vi sono dei benefici reciproci nell'interazione tra la persona con disabilità e gli altri lavoratori.

È a partire da queste premesse storiche e concettuali che si sono analizzate le difficoltà sociali alle quali, tuttora, una persona colpita da sclerosi multipla può andare incontro. La sclerosi multipla è una patologia cronico-degenerativa molto complessa nella quale alle caratteristiche di irreversibilità si aggiungono l’imprevedibilità del decorso e dei sintomi, l’incertezza sulle cause e la non risolutività dei trattamenti.

Il lavoro vuole mettere l’accento sulla dimensione sociale del fenomeno sclerosi multipla e quindi raccontare il rapporto, forse eccessivamente trascurato, tra persona non più abile come prima, poiché affetta da sclerosi multipla, e società. Per fare questo è necessario pensare la malattia non solo come un mero stato patologico causato da un’alterazione della funzionalità dell’organismo, ma come uno svantaggio, un meno che si frappone tra la persona e la società. Una persona affetta da sclerosi multipla ha il diritto, ma anche il dovere, di poter partecipare attivamente allo

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sviluppo della società e la società deve poter garantire, alla persona colpita dalla patologia, uguale possibilità di partecipazione e autorealizzazione.

Purtroppo il welfare state, nel caso italiano, tutela il malato attraverso un sistema di protezioni considerato ormai troppo debole sia perché non tiene conto della specificità dei bisogni espressi dai malati e sia perché non riesce a rispondere alla totalità dei bisogni oggigiorno più estesi che nel passato. Infatti, l'elevata incidenza della sclerosi multipla in Italia determina non pochi problemi in termini di costi sociali per tre diverse ragioni: perché colpisce la popolazione giovane-adulta, quella normalmente più produttiva, perché le persone con sclerosi multipla sviluppano una disabilità di vario grado e progressiva e perché la malattia dura in media 40 anni.

Il welfare state attuale non sembra promuovere la partecipazione del malato alla società, ma anzi utilizza degli strumenti di tutela che sembrano remare nella direzione opposta. In questo scenario si ipotizza che al generale sistema dei trasferimenti monetari previsti si sostituisca o magari si affianchino dei progetti di inserimento o reinserimento lavorativo e sociale della persona con disabilità.

Il fenomeno dell'associazionismo rappresenta una possibile alternativa al problema trattato. Il privato sociale sembra restituire visibilità a quelle persone che si vedono escluse sia perché non beneficiano di sostegno da parte dello stato (collocamento mirato) e sia perché non sembrano poter competere in un sistema caratterizzato dalle logiche di mercato. Attraverso la costituzione di associazioni, cooperative ad adesione volontaria, il portatore di sclerosi multipla partecipa, produce, costruisce fiducia e non grava sulle casse dello stato.

Nella prima parte della tesi si darà spazio a quel lungo processo storico che ha avuto come punto d’arrivo il riconoscimento del Disablement come processo e non come attributo della persona. Non si inseguirà, nel corso della trattazione, una parità illusoria tra chi è affetto dalla patologia e chi non lo è. La malattia cambia le regole del gioco imponendo nuovi

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scenari che non coinvolgono solo la persona che ne viene colpita, ma la famiglia, i rapporti di lavoro, il rapporto col partner, il rapporto con le agenzie d’aiuto, il rapporto con le istituzioni coinvolte.

Nella seconda parte si analizzerà nello specifico il rapporto tra sclerosi multipla e lavoro, rapporto che inevitabilmente viene messo in crisi con la comparsa dei primi sintomi della malattia. Il lavoro è considerato come agenzia di inclusione sociale, di realizzazione del sé e sembra quindi necessario analizzare le diverse alternative che si presentano al portatore di sclerosi multipla.

Per comprende appieno il disagio sociale che la patologia determina e i meccanismi che vengono messi in moto, si è pensato di confrontare la letteratura in materia con le opinioni e le storie di vita delle persone colpite da sclerosi multipla; con le opinioni di alcuni membri di associazioni che si occupano in particolare di sclerosi multipla; con l'opinione dell'Assessore per le politiche sociali che spiega cosa si è fatto e cosa si potrebbe ancora fare per garantire la massima integrazione sociale della persona affetta da sclerosi multipla.

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CAPITOLO PRIMO

SFONDO TEORICO E CONCETTUALE.

1 L’emergere del problema

Prima di capire alcune delle implicazioni psico-sociali che tale stato patologico avvia, sembra utile chiarire le peculiarità della malattia senza però inoltrarsi eccessivamente nell'ambito medico. Infatti solo chiarendo gli aspetti fisiopatologici della malattia si può iniziare un percorso di analisi che ha come obiettivo primario chiarire il rapporto tra patologia, disabilità e implicazioni sociali, per poi riflettere sul rapporto tra lavoro e progetto di vita.

I lavori che verranno proposti di seguito hanno scopo di fornire un quadro conoscitivo e concettuale utile per la comprensione del rapporto oggetto di indagine. Lo scopo è quello di sottolineare l’importanza della terminologia e di alcune riflessioni concettuali che spesso risultano di non immediata comprensione e ciò si riflette nella soggettività dei significati che vengono attribuiti alla parola disabilità sia nel senso comune sia nel linguaggio tecnico. Saranno anche analizzati i concetti che hanno a che fare con la dinamica della disabilità nel contesto lavorativo ed il rapporto tra questa ed il progetto di vita. A questo fine, si indagheranno nello specifico i seguenti aspetti:

• presentare una recensione delle elaborazioni concettuali della disabilità nel ventesimo secolo;

• discutere dell’importanza del lavoro quale strumento di emancipazione e partecipazione.

La tesi è in linea col pensiero che il superamento del modello bio-medico, che ha dominato il panorama della salute nei secoli precedenti, sia stato assolutamente necessario poiché risultava essere inadeguato nello spiegare il processo patologico. Secondo tale modello, la malattia

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rappresenta la conseguenza diretta dell’alterazione di parametri esclusivamente biologici, che determinano una condizione di anormalità facendo riferimento a criteri assunti come normali. Il modello bio-medico incorpora in sé tre assunti fondamentali :

1. riduce la malattia ad un evento unifattoriale;

2. conferma il dualismo mente-corpo, mantenendole come unità ben separate;

3. enfatizza la malattia rispetto alla salute, concentrandosi fondamentalmente sugli elementi che conducono alla malattia, piuttosto che sulle condizioni che promuovono la salute.

Ovviamente tale “paradigma interpretativo della salute-malattia”1, risulta oggi inadeguato in quanto esclude dall’analisi i fattori psicologici e sociali. Guidi Giarelli afferma:

«L'impianto meccanicistico del paradigma bio-medico classico – monocausale, monodimensionale, riduzionistico e fondato sulla dissociazione mente-corpo – viene messo radicalmente in discussione da nuovi approcci teorici.[...] Il paradigma bio-psico-sociale si fonda su un impianto pluricausale, pluridimensionale olistico che cerca di ricomporre la scissione cartesiana mente/corpo trovando forse la sua espressione più compiuta nel nuovo modello medico di Engel»2

Giarelli spiega come l'approccio di Engel3 rappresenti il primo tentativo di una lunga serie di tentativi, aventi come obiettivo l'integrazione nella biomedicina di elementi di provenienza psicologica e sociologica. Il modello sociale4 rappresenta un altro tentativo di superare l'approccio bio-medico al problema e definisce la malattia come una costruzione sociale

1Giarelli G., (2003), p.112. 2Ibidem p.112.

3Engel G.L ., (1977), The need for a new medical model. A challenge for biomedicine. Science

196:129-13.

4 Oliver, M., (1986), Social policy and disability: some theoretical issues, Disability, Handicap and

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mediante la quale la società, per le modalità con cui è organizzata, opprime le persone disabili.

Il confronto tra i diversi modelli ha messo in luce il carattere multidimensionale del fenomeno salute-malattia che non può essere ridotto ad angusti schemi dicotomici. Le argomentazioni avanzate dai differenti modelli sono state recepite nel nuovo sistema di classificazione della disabilità, l'ICF5, recentemente approvato dall’OMS. È necessario un modello che abbracci una concezione della malattia multidimensionale, all’interno della quale i fattori biologici, psicologici e sociali siano strettamente interrelati.

Tale concezione multidimensionale della malattia vede dunque l’aspetto fisiopatologico come solo uno dei fattori implicati nel processo morboso che è, viceversa, fortemente influenzato in tutte le sue fasi (eziopatogenesi, insorgenza, decorso ed esito) dai fattori psicologici e sociali. Dunque per comprendere a fondo il portatore di sclerosi multipla e la sua malattia è necessario che questa non venga separata dal resto della persona, ma integrata nel suo contesto di vita sia sociale che mentale.

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10 1.1. Definizione: che cosa è la sclerosi multipla?

DEFINIZIONE: La sclerosi multipla (o sclerosi a placche) è una malattia demielinizzante del sistema nervoso centrale, caratterizzata dalla presenza di piccole aree (placche) di distribuzione focale della guaina mielinica, irregolarmente disseminate nella sostanza bianca dell’encefalo e del midollo spinale. Colpisce in prevalenza giovani adulti di entrambi i sessi.

EZIOLOGIA: l’eziologia della malattia è tutt’ora ignota. Le numerose ipotesi finora avanzate (encefalite da virus lenti, malattia autoimmunitaria, interazione di fattori genetici e ambientali ecc), non hanno sinora trovato valide conferme.

PATOGENESI: nella patogenesi delle lesioni focali della mielina è dimostrato l’intervento di fattori di tipo autoimmunitario, diretti contro alcuni costituenti della sostanza bianca del sistema nervoso centrale.

IPOTESI DIAGNOSTICA: questa patologia si presenta con attacchi ricorrenti e con caratteristiche diverse a seconda della sede di volta in volta interessata dalla lesione focale6 demielinizzante. Le crisi insorgono in modo del tutto casuale nell’arco di diversi anni e il quadro clinico presenta di solito un progressivo e inesorabile peggioramento. Di solito la storia clinica inizia con episodi che possono anche non attirare l’attenzione del medico e dello stesso paziente, seguiti, a distanza variabile di tempo (anche alcuni anni), da altre forme di compromissione neurologica di gravità e importanza variabili.

Durante episodi tipici, i sintomi peggiorano progressivamente in un periodo di tempo che va da alcuni giorni a 2-3 settimane e in seguito si ha

6 Per lesione focale si intende una lesione focalizzata in un punto, in un organo e quindi non

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remissione spontanea della sintomatologia, che può essere completa o può lasciare deficit neurologici permanenti e progressivi.

Dal punto di vista della fenomenologia clinica, la sclerosi multipla è una patologia alquanto polimorfa; manifestazioni tipiche sono tuttavia da considerarsi alterazioni del visus come il nistagmo7, disturbi del linguaggio e parola scandita, compromissione della sensibilità e del senso di posizione nello spazio, progressiva perdita della coordinazione muscolare e difficoltà ad eseguire i movimenti volontari, tremori intenzionale, debolezza e paralisi di uno o più arti, spasticità, disturbi sfinterici.8

7Per nistagmo si intende il movimento oscillatorio, ritmico e involontario dei bulbi oculari. 8 AA.VV., (1992), MEDICINA PRATICA, volume 5, Utet , Torino. pp. 647-648

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12 1.2.BREVI CENNI SULLA STORIA DELLA SCLEROSI MULTIPLA

La malattia fu scoperta ufficialmente nel 1868 dal neurologo francese Jean-Martin Charcot (1825 – 1893) il quale, sulla base delle proprie osservazioni cliniche, denominò la malattia “Sclerosi a Placche” (“Sclerose en Plaque”)9. Egli fu il primo a presentare una descrizione scientifica dello sviluppo della malattia, a documentarla e a darle un nome. I primi tre segni della sclerosi multipla riconosciuti da Charcot, anche noti come la “Triade di Charcot”, sono:

1. nistagmo;

2. tremore intenzionale, ossia forte tremore di un arto quando esso

viene usato per un movimento intenzionale;

3. parola scandita, o andamento del linguaggio interrotto da pause

anormalmente lunghe.

Charcot osservò anche alcuni disturbi cognitivi, quali problemi di memoria a breve termine, di concentrazione e di ragionamento. È nel 1421, secondo le fonti disponibili, il primo caso documentato di sclerosi multipla. Testi storici segnalano che una donna, Lidwina di Schiedam vissuta in Olanda tra il 1380 e il 1433, già a partire dai 16 anni, ebbe ricorrenti episodi di paralisi, perdita della sensibilità e soprattutto della vista, con un progressivo deterioramento della condizione fino alla morte. Bisogna aspettare quattro secoli perché le cronache riportino un altro caso riconducibile a questa patologia.

Augusto Federico d’Este (1794-1848) fu il primo a raccontare in un diario il decorso dei suoi 26 anni di malattia, descrivendo sintomi di deficit temporaneo della vista e, successivamente, episodi di paralisi, incontinenza e vertigini. In questo stesso secolo, Jean Cruveilhier, dopo la pubblicazione nel 1838 di alcuni disegni di Robert Carswell, relativi a strane lesioni del midollo spinale da lui rilevati durante un’autopsia, è il primo a descrivere il

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decorso della sclerosi multipla e a riportarne le tipiche lesioni, nelle illustrazioni dell’atlante illustrato intitolato “Malattie del midollo spinale”. Friedrich von Frerichs identifica per primo, nel 1849, i sintomi cognitivi della malattia e le caratteristiche delle fasi di remissione della malattia. Nel 1869JeanMartin Charcot, neurologo, definisce i sintomi clinici della «sclerosi a placche» e fornisce i primi criteri diagnostici, la triade di Charcot.

Nel 1884 Pierre Marie ipotizza che la sclerosi multipla sia scatenata da un’infezione. Tale posizione cambia e nel 1933, in particolare da parte di F. Curtius, viene riconosciuto un possibile ruolo genetico nello sviluppo della sclerosi multipla, notando come la malattia sia più comune nelle persone con familiarità alla sclerosi multipla rispetto alla popolazione generale. Nello stesso anno Walter Russell Brain è stato il primo a raccogliere nel suo trattato «Malattie del sistema nervoso» un capitolo sulla patologia ed è stato ugualmente il primo a raccogliere dati statistici su incidenza e decorso della malattia.

Nel 1940 il dottor Elvin Kabat utilizza il metodo dell’elettroforesi per studiare i sieri di persone con sclerosi multipla, evidenziando che il loro liquido cefalorachidiano presentava un aumento relativo delle gamma-globuline rispetto a chi non aveva la sclerosi multipla e confermando la natura immunologica della patologia in analisi. Nel 1948 Felix Bloch ed Edwards Mills Purcell, entrambi fisici, scoprono la Risonanza Magnetica, determinante per la diagnosi di sclerosi multipla. Per questa scoperta vincono il Premio Nobel nel 1952. Nel 1951 Rita Levi Montalcini, scopre il “fattore di crescita nervoso” (Nerve Growth Factor ), proteina che provoca lo sviluppo e la differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche. La ricerca su questa molecola proteica e sul suo meccanismo d’azione, le fa ottenere nel 1986, insieme allo statunitense Stanley Cohen, il Premio Nobel per la Medicina. Nel 1957, Alick Isaacs e Jean Lindemann, virologi, scoprono l’interferone, proteina in grado di interferire con la replicazione virale e di facilitare un processo di immunità innata o di difesa

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naturale contro l’infezione. Nel 1960 viene scoperto il cortisone come terapia per la sclerosi multipla; il primo studio controllato ne conferma la validità nel 1969. Nel 1965 G.A. Schumacher stabilisce i primi veri e propri criteri diagnostici, basati principalmente sulle manifestazioni cliniche della malattia.

Nel 1972 i neurologi Ian McDonald e Martin Halliday introducono un nuovo metodo diagnostico non invasivo, i potenziali evocati visivi, che consentono di quantificare la conduzione della velocità nel nervo ottico, che in caso di sclerosi multipla è drasticamente ridotta. Nel 1978 la tomografia computerizzata (TAC) entra nella diagnosi di sclerosi multipla.

Molto presto la TAC viene sostituita dalla più accurata tomografia a risonanza magnetica . Nel 1981 viene rivoluzionato, grazie a Ian R. Young e Grame M. Bydder, il processo di diagnosi , attraverso l’uso della risonanza magnetica. La stessa infatti accelera notevolmente il processo diagnostico. Nel 1983 vengono aggiornati, grazie a C.M. Poser, i criteri diagnostici, che, ora, distinguono tra sclerosi multipla “possibile”, “probabile” o “definita”10. Nel 2001 un gruppo di esperti internazionali guidati da Ian McDonald pubblica nuovi criteri diagnostici che includono anche nuove scoperte nella risonanza magnetica, con lo scopo di accelerare la diagnosi per poter iniziare le cure prima e rallentare il progredire della malattia. La European Multiple Sclerosis Platform (EMSP), col sostegno del Parlamento Europeo, redige nel 2007 il “Codice di buone prassi”11, ove si chiede equità di diritti, accesso alle terapie innovative e una migliore qualità di vita per le persone con sclerosi multipla.

10Questo criterio di classificazione della malattia fu elaborato da D. McAlpine.

11http://www.emsp.org/attachments/article/122/Code%20of%20Good%20Practice%20in%20MS%

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15 1.3. Da Parsons ai correlazionisti. Approccio sociologico alla malattia.

Nel corso degli anni il concetto di malattia e ovviamente quello di salute hanno subito delle metamorfosi, declinandosi in un modo o in un altro, privilegiando l’aspetto medico o l’asetto psicologico e successivamente l’aspetto bio-psichico per escludere l’aspetto sociale.

Sembra importante ripercorrere la trattazione sociologica per meglio scrutare come questa disciplina abbia considerato la malattia e come tale modo di concepirla e analizzarla sia cambiato nel tempo influenzando il “modo comune” di intendere l’esperienza di malattia-salute.

Con Talcott Parsons abbiamo una prima definizione di malattia in ambito sociologico, ma in generale gli si riconosce il merito di aver avviato un dibattito importante che ha come obiettivo quello di definire la malattia rispetto al sistema sociale. E’ celebre il capitolo X del “The Social System” nel quale partendo dal suo schema AGIL12 ossia i quattro prerequisiti funzionali che garantiscono l’esistenza e il perpetuarsi dell’organizzazione di un sistema sociale, si focalizza sui comportamenti che ledono in qualche modo tale garanzia. Sintetizzando, vediamo che lo schema AGIL costruito da Parsons è costituito da:

 adattamento all’ambiente (adaptation) da cui il sistema sociale trae risorse per la sua sopravvivenza;

 conseguimento degli scopi (goal attainment) ossia selezione e gerarchizzazione dei fini verso cui il sistema deve tendere;

 integrazione sociale (social integration) ossia la funzione attraverso la quale le norme che guidano i sottosistemi e i gruppi sociali permettono l’equilibrio del sistema sociale;

 mantenimento della latenza (latency) insieme dei valori e modelli culturali che legittimano le norme le quali disciplinano l’integrazione sociale.

12 Parson fa riferimento per la prima volta a questo schema nel 1937 nella sua opera “La struttura

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Ora, considerando questo schema di riferimento, l’assunto che sta alla base della trattazione di Parsons è che “la malattia rende incapaci di assolvere efficacemente i ruoli sociali”13e quindi il malato è considerato alla stregua di un qualsiasi deviante. Egli scrive:

«La malattia è uno stato di turbamento nel funzionamento “normale” dell’individuo umano nel suo complesso, in quanto comprende sia lo stato dell’organismo come sistema biologico sia i suoi adattamenti sociali e personali. Essa viene così definita in parte biologicamente e in parte socialmente. La partecipazione al sistema sociale è sempre potenzialmente rilevante per lo stato di malattia, per la sua eziologia e per le condizioni di successo della terapia, nonché per altri suoi aspetti».14

L’autore si domanda come si comporta la società per mantenere inalterate le sue caratteristiche nonostante il carattere deviante di alcuni suoi membri. Il meccanismo che viene attuato dal sistema sociale, secondo l’autore, per far fronte alla malattia dei suoi membri è l’agire da parte della professione medica con i suoi valori di neutralità rispetto al paziente, competenza tecnica, carattere universalistico. Invece vediamo che di converso il paziente-malato di Parsons deve necessariamente essere esentato dalle responsabilità normali del ruolo sociale (tale esenzione è legittimata dal medico), in relazione alla natura e alla severità della malattia. Inoltre il malato deve, per poter guarire, affidarsi ai medici, chiedendo aiuto, e deve voler star bene, riconoscendo quindi la propria malattia. Insomma la condizione del paziente-malato appare connotata da debolezza e necessità di aiuto, da incapacità tecnica, e “implicanza emotiva”.15

Il ruolo del malato (sick role) come paziente si intreccia con quello del medico in una struttura complementare di ruolo. La teoria parsonsiana del

13 Parsons T., (1951) , Il sistema sociale, Edizioni di Comunità , (1981), Milano. 14 Ibidem p. 440.

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ruolo del malato assolutizza l’aspetto unilaterale della cura e pensa la terapia come una questione di scienza applicata. Inoltre il malato, non avendo alcun potere decisionale nella relazione col medico, vista la sua incompetenza tecnica, aderisce automaticamente alle prescrizione del medico, dando per scontata l’acquiescenza16. L’autore ignora l’esperienza soggettiva della malattia considerandola esclusivamente come un potenziale fattore di squilibrio dell’ordine sociale.

Se da una parte Parsons avvia un dibattito importante che ha come obiettivo quello di definire la malattia rispetto al sistema sociale, dall’altra apre la strada a una visione medicalizzante della vita sociale e poco concede, nella sua analisi, agli aspetti relativi alla umanizzazione dei servizi socio-sanitari. Declinando l’analisi parsonsiana allo specifico caso di sclerosi multipla, si possono individuare meglio i limiti. Il malato di sclerosi multipla, verrebbe considerato un deviante poiché non in grado di ricoprire i propri ruoli, considerata la cronicità della patologia e quindi l’impossibilità di guarire completamente. La persona colpita da questa patologia, sempre seguendo il ragionamento di Parsons, sarebbe esentata dalle responsabilità normali del ruolo sociale e dovrebbe affidarsi alle cure del proprio medico, aderendovi totalmente poiché quest’ultimo è l’unico detentore del sapere tecnico. Il malato ha bisogno di servizi tecnici perché non capisce cosa gli sia successo e che cosa debba fare e il medico è l’esperto tecnico di cui il malato necessita. Il rapporto medico-paziente così impostato risulta totalmente assimetrico, in accordo quindi con il giuramento di Ippocrate.

I dibattiti degli ultimi tre decenni sulla umanizzazione della medicina17, la centralità e l’autonomia del ruolo del paziente vanno nella direzione opposta rispetto a quella di Parsons, costruendo le fondamenta per un rapporto medico-paziente paritario, non paternalistico e mettendo in luce la debolezza parsonsiana nel ritenere il rapporto più o meno assimetrico a

16 Viene solitamente utilizzato il termine inglese “compliance” per definire la completa

disponibilità del paziente, sia consapevole sia inconsapevole, ad accettare un presidio medico (farmaco o terapia), con la corretta aderenza ad esso per trarne il maggiore giovamento possibile.

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seconda della gravità della malattia. Il malato di sclerosi multipla si affida alle cure del medico ma manifesta una forte volontà di partecipazione alle decisioni18, rivendicando, in definitiva, la propria autonomia.

Dall’approccio funzionalista di Parsons, passiamo all’approccio ermeneutico-fenomenologico, analizzando nello specifico il pensiero di Arthur Kleinman.

L’autore pensa che la medicina altro non sia che un articolato sistema culturale che plasma sia la realtà definita come clinica e sia l’esperienza che il malato fa di essa. Salute, malattia e medicina diventano, secondo tale approccio, dei sistemi simbolici.19 L’esperienza della malattia è strutturata da questi sistemi simbolici i quali sono a loro volta costituiti da un insieme di valori, significati e norme di comportamento. La malattia diventa “trama” all’interno di una struttura narrativa che tende a conferirle senso sulla base di una specifica “rete semantica” culturalmente definita che interconnette i singoli significati soggettivi. La malattia si costruisce come esperienza sensata di Illness20 grazie alla narrazione e il suo significato è indissolubilmente legato allo specifico contesto culturale caratterizzato da particolari sistemi di rilevanza.

La narrazione secondo la NBM, Narrative Based Medicine, che vede in Kleinman il massimo ispiratore21, ha il compito di ordinare e strutturare l’esperienza di malattia in maniera tale che essa risulti più comprensibile sia a chi vive l’esperienza in prima persona e sia a chi la vive in maniera distaccata. Negli ultimi decenni la letteratura scientifica sugli aspetti narrativi della malattia, ha registrato importanti sviluppi che hanno dato vita a molteplici filoni. Uno di questi è la scuola antropologica di Harvard22 che

18 Simi S., (2010), Dalla “medicina basata sulle prove” alla “medicina centrata sul paziente”, in

Quale salute per chi , p. 107

19Kleinman A., (1988), The Illness Narratives: Suffering, Healing and the Human Condition,

Basic Books, N.Y.

20 Lanzetti C., Lombi L., Marzulli M. (a cura di) (2008), Metodi qualitativi e quantitativi per la

ricerca sociale in sanità, FrancoAngeli, Milano. p. 138

21 S. Polvani, A. Zuppiroli, A. Sarti, F. Biondi, I. Sarmiento, F. Trentanove. Medicina e Narrativa:

una coppia possibile? p. 63 rivista Medicina Narrativa N.1 2011

22 Tale filone di pensiero si è sviluppato inizialmente all’interno della Harvard Medical School,

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sviluppa il genere tradizionale delle storie di casi di estrazione prettamente medica.

Questa letteratura fotografa le dimensioni umane dei disturbi clinici e le sofferenze che ne derivano da un punto di vista medico. Un secondo filone è rappresentato dalle ricerche socio-antropologiche condotte dai coniugi Good.

Byron Good23 analizza le modalità attraverso le quali i malati fanno esperienza della loro malattia e le storie che essi elaborano per conferirle senso. Per svolgere questa operazione riprende le teorie fenomenologie di Schutz, il quale pensa che nel mondo della vita quotidiana, caratterizzata dai rapporti faccia a faccia, viva la realtà di senso comune, una particolare provincia finita di significato. Good pensa che le teorie di Schutz dell’analisi della realtà di senso comune possano fornire validi strumenti per indagare il mondo della malattia cronica facendoci capire come il mondo quotidiano venga sistematicamente sovvertito e distrutto. Il mondo delle relazioni quotidiane viene incrinato e modellato dall’esperienza del dolore poiché questo causerebbe un restringimento del sé capace di alterare la percezione del mondo esterno. Il soggetto-malato non risulta essere più in grado di scindere la sensazione di dolore dalla propria concezione del sé e questo emerge dalle narrazioni che forniscono i malati. Per usare le parole di Good:

«Per la persona malata -come per il medico- la malattia è vissuta come presente nel corpo, ma per chi soffre il corpo non è solo un oggetto fisico o uno stato fisiologico, bensì una parte essenziale del sé e fondamento stesso della soggettività o dell’esperienza del mondo. Ecco perché la malattia, presente nel corpo vissuto, è percepita come mutamento e/o distruzione del “mondo della vita”24e il corpo malato

23 Good. B. J., (1999), Narrare la medicina, Edizioni di Comunità, Torino. 24 Da leggere in chiave schutziana.

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20 non è più semplicemente l’oggetto di cognizione e di conoscenza ma anche un agente disturbato dell’esperienza»25.

Sebbene quanto detto possa risultare molto interessante, molti potrebbero chiedersi quale sia l’utilità pragmatica di una simile operazione narrativa ed eventualmente quali sono i limiti insiti. Ebbene, l’utilità è che il costrutto narrativo permette di dare forma alla malattia ed eventualmente alla cura e rilevando poi la qualità della cura stessa dal punto di vista del paziente. Kleinman26 non a caso, distingue la malattia in disease e illness. Per disease intende la malattia in senso biomedico, quindi, una lesione organica o un’aggressione da agenti esterni, mentre con illness indica il vissuto, l’esperienza soggettiva della malattia. La narrazione della malattia riguarda questo secondo costrutto: le “storie di malattia” costituiscono la narrazione del vissuto soggettivo dell’individuo, ciò che per lui costituisce la “sua malattia”. Secondo Giorgio Bert, medico e autore di numerose pubblicazioni sulla medicina narrativa,

«non conoscere il mondo del malato e della sua famiglia può avere effetti drammatici per la costruzione di un’alleanza terapeutica. […] Il solo mezzo per esplorare il mondo del paziente è l’uso abile della narrazione27».

Quanto sia rilevante l’ascolto dei pazienti emerge dalle patologie fortemente invalidanti. I medici tendono, nei confronti di queste, a prendere in considerazione i parametri della diminuita capacità motoria (Expended Disability Status Scale, EDSS) soprattutto perché assegna un punteggio numerico immediatamente comprensibile, mentre quando i pazienti affetti

25 Good B.J., Medicine, Rationality and Experience: an Antropological perspective, Cambridge

University Press, New York, 2003, trad. It. Narrare la malattia. Lo sguardo antropologico sul rapporto medico-paziente, Einaudi, Torino, 2006, p. 177.

26 Kleinman, A., (1988), Patients and healers in the context of culture: an exploration of the

borderland between anthropology, medicine, and psychiatry. Berkeley: University of California press.

27 Bert G., Quadrino S., (2006), Parole di medici, parole di pazienti, Il pensiero scientifico editore,

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da sclerosi multipla, per esempio, sono chiamati a esprimere un parere su cosa essi ritengano importante, fanno emergere parametri più correlati alla qualità della vita come la fatica, lo stato generale di salute fisico e mentale.28 Questi parametri sono di più difficile quantizzazione e quindi a più alto rischio di essere trascurati da medici e ricercatori. Per valutare il costrutto narrativo però è necessaria una figura competente, con un’adeguata formazione altrimenti tutta l’attività di produzione e valutazione del materiale viene vanificata. È qui che riposa la difficoltà della pratica narrativa applicata alla medicina e quindi può rappresentarne il limite.

Un altro modo di concepire la malattia si rintraccia in Gregory Bateson, un autore decisamente lontano dalla sociologia della salute ma che in alcuni suoi scritti fornisce un punto di vista della malattia assolutamente innovativo e sorprendente. Bateson, la sua teoria, è stata ripresa da autori come Goffman e Luhmann che hanno rispettivamente approfondito i concetti di “frame”29e di informazione. Bateson analizza due fenomeni patologici, la schizofrenia e l’alcolismo ricorrendo a dei concetti-base quali il finalismo cosciente, la relazione, il linguaggio verbale e la meta-comunicazione.

L’autore individua un errore di fondo che il soggetto involontariamente compie nella vita quotidiana e che consiste nel confondere e mischiare due diversi ordini della realtà, l’ontologia e l’epistemologia. Infatti, mentre l’ontologia si occupa di come il mondo e le cose sono, l’epistemologia indaga le diverse modalità attraverso le quali noi conosciamo il mondo. Il soggetto non attua correttamente questa distinzione anche perché :

28 Simi S., (2010). p.113.

29 Il concetto di frame si deve a Gregory Bateson e può essere tradotto come cornice cognitiva che

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22 “[...] le sue convinzioni sul mondo che lo circonda determineranno il suo modo di vederlo e di agirvi, e questo suo modo di sentire e agire, determinerà le sue convinzioni sulla natura del mondo”.30

Ciò che noi vediamo conferma, solitamente, le linee guida del nostro comportamento e quindi, non rintracciando delle discontinuità, non siamo incentivati a modificare i nostri schemi di pensiero. Nell’agire umano, come afferma Antonio Maturo31, le premesse ontologiche ed epistemologiche sono pericolosamente confuse e conoscenza e realtà si auto confermano e si convalidano reciprocamente. Le esperienza che noi facciamo conducono alla costruzione di abitudini e premesse che governeranno, nelle esperienze successive, il nostro modo di percepire gli eventi. Risulterà sempre più semplice attribuire un senso a ciò che succede ma sarà sempre più complesso afferrare i procedimenti attraverso i quali attribuiamo significato alle relazioni sociali nelle quali siamo coinvolti .

Ora, per quanto riguarda il fenomeno dell’alcolismo, Bateson si chiede se l’autocontrollo possa rappresentare un via d’uscita al problema. Analizzando la problematica inerente l’alcolizzato, è chiaro che è portato a bere perché la sobrietà è probabilmente più fastidiosa/dolorosa del bere stesso. Seguendo nel ragionamento, se è la sobrietà ad essere sbagliata per lui, è chiaro che la via d’uscita standard non è proporre un metodo che rinforzi la sua sobrietà in modo tale da controllare o ridurre l’uso di alcool ma è necessario intervenire sul suo modo di conoscere e dare senso al mondo, e quindi sulle sue premesse epistemologiche. Bateson sostiene che l’intera epistemologia dell’autocontrollo che amici e parenti impongono all’alcolizzato è assolutamente mostruosa, poiché non fa altro che perpetuare una incomprensione di fondo. Si deve intervenire sulla cornice cognitiva. È in questo senso che la malattia viene intesa come guasto

30 Bateson G.,(1976), Verso una ecologia della mente, Adelphi, Milano [ed. orig.: (1972), Steps to

an ecology of mind, Chandler, san Francisco]. p. 362-363.

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cibernetico che non coinvolge solo il corpo o solo la mente ma coinvolge l’intero sistema relazionale del soggetto.

La sclerosi multipla, secondo alcune definizioni, è una malattia sistemica. Viene definita in questo modo per almeno due ordini di motivi; il primo è che coinvolge l’intero organismo, colpisce o può colpire, durante il decorso, tutti gli organi e tessuti del corpo. Ma è anche definita sistemica perché questa patologia coinvolge tutti gli ambiti relazionali esterni all’individuo affetto da sclerosi multipla. La patologia determina un guasto cibernetico nella misura in cui intacca il sistema relazionale del malato.

Erving Goffman è un altro autore che non può essere scartato in questa breve trattazione sulla teorizzazione della malattia. Le opere dove affronta tematiche relative alla malattia sono Stigma32 e Asylums33 anche se le sue riflessioni a tal proposito le ritroviamo in molti suoi testi. Goffman analizza la condizione sociale delle persone portatrici di diversità e di come questa sia concepita dalla società come indesiderabile. La diversità diventa uno stigma, un segno che indica un meno rispetto alla normalità. Rientrano nella classificazione di stigma :

 la deformazione fisica;

 gli atteggiamenti insani, caratterizzati da mancanza di volontà oppure le passioni sfrenate, credenze malefiche e la disonestà (alcolismo, omosessualità condanne penali, disoccupazione;

 appartenenza etnica “stigmi tribali”.34

Un individuo portatore di stigma è condannato a perturbare le interazioni e a dimostrazione di questo, l'autore, riporta molte testimonianze di portatori di handicap per mostrare come la diversità inneschi delle reazioni che non ci sarebbero state se, nella relazione, tutti fossero stati “normali”. In alcuni casi, come afferma Goffman in Stigma, tali soggetti vivono delle situazioni negative come la presa in giro da parte di chi non ha problemi manifesti ma, osserva anche, nella maggior parte dei casi lo

32Goffman E., (1963), Stigma. L’identità negata, Laterza, Bari. Tr. It.(1983).

33Goffaman E.,(1972), Asylums: le istituzioni totali e i meccanismi dell'esclusione e della

violenza, Einaudi, Torino.

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“stigmatizzato” troverà comprensione e verrà considerato una persona essenzialmente normale malgrado le problematiche. Può anche capitare che lo stigmatizzato sia considerato e trattato come una non-persona35. Le non-persone sono, secondo l’autore, i giovanissimi, i vecchi e i malati.

Alla fine del suo libro Goffmann avverte il lettore che lo stigma non riguarda individui concreti che si possono suddividere in gruppi a seconda che siano normali o meno, ma è da considerare piuttosto come un lungo e complesso processo sociale: “Il normale e lo stigmatizzato non sono persone ma prospettive”.36

Gli studi di Goffmann sullo stigma possono essere considerati come base per molteplici ambiti della salute-malattia. Possono per esempio fornire indicazioni per indagini sullo status sociale di persone portatrici di handicap oppure possono aiutare a ricostruire l’identità del malato, ambito certamente più attuale oggi che non negli anni ‘60. Infatti attualmente il peso delle malattie croniche fa sì che una percentuale alta di popolazione si troverà a fare i conti nella vecchiaia con una qualche malattia parzialmente invalidante e questa costringerà a rinegoziare, con gli altri significativi, alcuni aspetti dell'identità. Goffman attraverso il suo approccio interazionista propone delle riflessioni profondamente acute sul disagio sociale che la disabilità determina e sulle non sempre attente istituzioni nei confronti dei reali bisogni del malato. Rispetto all’approccio di Parsons nel quale la malattia è da considerarsi un attributo individuale, l’approccio interazionista di Goffman ne mette in evidenza il carattere relazionale che si manifesta allorché la società etichetta un individuo come deviante poiché il suo comportamento diverge dalle norme sociali condivise 37 . Il comportamento non è deviante in sé, ma in relazione ad un determinato assetto culturale e normativo.

35Ibidem p. 14. 36Ibidem p. 32.

37 Ferrucci F., (2004), La disabilità come relazione sociale. Gli approcci sociologici tra natura e

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Ivan Illich, un altro autore fondamentale nella riflessione sul tema salute-malattia, sostiene che parte dei problemi per la salute siano da attribuire alla corporazione medica. Nelle sue parole:

«La corporazione medica è diventata una grande minaccia per la salute. L’effetto inabilitante prodotto dalla gestione professionale della medicina ha raggiunto le dimensioni di un’epidemia. Il nome di questa nuova epidemia, iatrogenesi, viene da iatros, l’equivalente greco di “medico”, e genesis, che vuol dire “origine”» 38.

Quest’ultima sarebbe una grande minaccia perché avrebbe, secondo l’autore, espropriato l’uomo della sua salute dal momento in cui la cura e la definizione di malattia è di monopolio medico. Secondo l’autore la malattia si configura come iatrogenesi, una nuova epidemia che si distingue in iatrogenesi clinica, sociale e culturale. Partendo dalla iatrogenesi clinica, Illich afferma che i fattori predominanti per il mantenimento dello stato di salute per una popolazione sono:

Ambiente;

Alimentazione;

Uguaglianza sociale;

Igiene.

L’intervento specificatamente medico non determina in misura significativa un calo della morbosità globale o un aumento della speranza di vita, anzi, gli interventi medici (utilizzo eccessivo di farmaci), produrrebbero una moltitudine di patologie e danni alle persone tale da parlare di “effetto nocebo”.39

Con iatrogenesi sociale l’autore intende i danni prodotti nella salute delle persone dalla particolare organizzazione sociale della medicina, e quindi danni causati dalla burocrazia sanitaria, dalla induzione di nuovi

38 Illich I.,(2004), Nemesi medica, l’espropriazione della salute, Mondadori, Milano. p. 11. 39Ibidem p. 125.

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bisogni e dall’etichettamento delle persone operati dalla organizzazione sanitaria. Insomma, per usare un’espressione in voga nel dibattito attuale, l’autore si riferisce alla medicalizzazione della vita e afferma nello specifico:

«[...]la iatrogenesi sociale agisce quando la cura della salute si tramuta in un articolo standardizzato, un prodotto industriale, quando ogni sofferenza viene ospedalizzata e le case diventano inospitali per le nascite, le malattie e le morti; quando la lingua in cui la gente potrebbe fare esperienza del proprio corpo diviene gergo burocratico […] »40

Per Illich il ruolo svolto dalla medicina risulta essere contraddittorio, infatti da una parte essa assolve a ruolo conservativo dell’esistente e dall’altro entra in conflitto con altre sfere per accrescere il proprio potere. Il concetto di malattia ha i contorni sfumati e appiccicosi e può capitare che qualcosa che non rientri in tale classificazione in un primo momento, sia etichettato malato in un secondo. I vari fenomeni di stress potrebbero essere un valido esempio senza poi imbatterci in riflessioni sulla prevenzione che, a detta dell’autore, rappresenta una sublime contraddizione.

Con iatrogenesi culturale, Illich intende la soppressione del dolore, l’invenzione della malattia e la scomparsa della morte per cause naturali. L’esperienza del dolore è un fatto culturale oltre che soggettivo e rappresenta un aspetto fondamentale dell’esperienza come sostiene Kleinman41. La cultura dà forma e intensità al dolore fisico. L’autore afferma:

«Il dolore diventa oggetto di controlli da parte del medico anziché occasione per chi lo soffre di vivere responsabilmente la propria esperienza. È la professione a decidere quali sono i dolori autentici,

40Ibidem p. 152.

41Kleinman A., (1988), The illness narratives: suffering, healing, and the human condition, Basic

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27 quali hanno una base somatica e quali una psichica, quali sono quelli immaginari e quelli simulati. La società riconosce questa valutazione professionale e vi si attiene»42.

Oggi è il medico a decidere che cosa è quel dolore che noi sentiamo. Ma è chiaro che siamo in presenza di una appropriazione indebita della natura originaria del dolore. Illich pensa che la malattia nell’antichità rappresentasse un fatto naturale e naturalmente accettato. Oggi è invece un problema e l’autore pensa addirittura che sia una invenzione creata per non mettere in dubbio la legittimità dell’ordine sociale, perché, seguendo il ragionamento di Illich:

«[..]gli uomini si ribellerebbero se la medicina non spiegasse il loro scombussolamento biologico come un difetto della loro salute, invece che come un difetto del modo di vivere che viene loro imposto o che essi impongono a se stessi»43.

Quindi, seguendo il pensiero dell’autore, la medicina decide che una parte della popolazione è malata e così facendo amplia il suo potere di condizionamento sociale e la espropria della propria salute. Il sovrasviluppo della medicina porta le persone a dipendere da essa e, nelle parole dell’autore:

«[...]la gente perde la capacità di vivere con la menomazione e col dolore e deve affidare ogni suo disagio alla gestione tecnica di personale specializzato».44

Ne consegue che viene sempre meno la capacità di attribuire un senso al dolore e alla sofferenza rendendoli sempre più incomprensibili e insopportabili. L’uomo diviene un paziente che delega ad altri (al medico,

42Ibidem p. 152. 43Ibidem p. 170. 44 Ibidem p. 235.

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anzi al sistema sanitario, anzi alle macchine) la lotta contro la morte (sempre che di lotta si tratti). L’uomo quindi non c’entra più con la sua morte: se muore, possiamo dare la “colpa” a qualcun altro. Paradossalmente, la morte viene espropriata dall’uomo per essere riconsegnata alla religione. Ma si tratta di una religione sui generis:

«Con la medicalizzazione della morte l’assistenza sanitaria è diventata una religione mondiale monolitica»45

Per quanto la tesi di Illich appaia radicale, bisogna riconoscergli che alcune sue argomentazioni sulla iper-medicalizzazione della morte e sull’invenzione della malattia appaiano oggi assolutamente attuali. Il sistema sanitario occidentale, nell’impietosa analisi di Illich, produce soprattutto evidenze negative, condizionando anche l’etichetta di malattia di determinate situazioni di vita come per esempio l’anzianità. Oggi, grazie anche alla riflessione di questo autore, assistiamo al diffondersi dell’idea che vada recuperato il carattere umano della cura (e non unicamente tecnologico), che la salute è un tutto inscindibile, non divisa per organi e apparati, che è una qualità della vita e non una merce. Inoltre si moltiplicano coloro che vogliono decidere del proprio destino quando si troveranno ad essere malati, decidere se essere curati o no, se vivere o morire – senza che ciò diventi oggetto di delega. Silvana Simi nel saggio “Dalla medicina basata sulle prove alla medicina centrata sul paziente”46, mette in evidenza quanto sia importante l’autonomia decisionale per il paziente e per la sua salute e quindi quanto sia necessario restituire centralità al ruolo del paziente. La richiesta di autonomia e partecipazione è maggiore nel paziente che soffre di malattie croniche, come nel caso del paziente affetto da sclerosi multipla, il quale manifesta una forte volontà di

45 Ibidem p. 221.

46 Simi S., (2010), Dalla medicina basata sulle prove alla medicina basata sul paziente in Quale

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partecipazione alle decisioni di cura47 e questo coinvolgimento comporta una diminuzione del disagio e ansia legati alla malattia, migliorando l’efficienza della terapia e riducendo la richiesta di test diagnostici.

Il modello co-relazionale (o correlazionale) della sociologia della salute è stato proposto da Giarelli e Cipolla48 attraverso l’applicazione del paradigma co-relazionale di Cipolla49 alla matrice di concetti di sociologia della salute presentata da Ardigò50. La matrice di Ardigò è formata da quattro concetti e dalle loro interrelazioni. I concetti sono: natura esterna, sistema sociale, soggetto e natura interna delle persone. Per natura esterna “generatrice sia di agenti patogeni per la salute sia di risorse per la cura”51, Ardigò intende l’ambiente fisico in genere e “i viventi non umani”. Per sistema sociale, Ardigò intende ogni rete comunicativa selettiva durevole tra individui, istituzioni e ruoli sociali, col supporto di valori e linguaggi praticati, come di norme riconosciute, entro culture socialmente condivise. La persona è, invece, allo stesso tempo ego ossia centro di intenzionalità, e “social self” ovvero identità etero-costruita. Tuttavia, a questo polo, Ardigò associa anche le trame relazionali che costituiscono il mondo della vita

«[...]perciò intendiamo assumere il terzo polo del quadrilatero – ego/social self in relazioni di mondo vitale quotidiano – come il polo dell’identità personale situata»52.

La natura interna corrisponde invece al corpo umano considerato sia come base biologica (a partire dal patrimonio genetico umano), sia come entità psico-somatica, non dimenticando che,

47 Hamann I., Neuner B., Kasper J., Vodermaier A., Loh A., Deinzer A., Heesen C., Kissling W.,

Busch R., Schmieder R., Spies C., Caspari C., Harter M. (2007), Participation preferences of patients with acute and chronic conditions, in “Healt expect” 10, pp. 358-363.

48 Cipolla C., (2002), Trasformazione dei sistemi sanitari e sapere sociologico, FrancoAngeli,

Milano.

49 Cipolla C., (1997), Epistemologia della tolleranza, FrencoAngeli, Milano. 50 Ardigò A.,(1988), Per una sociologia oltre il post-moderno, Laterza, Bari-Roma.

51Giarelli G., Venneri E., (2002), Sociologia della salute e della medicina.Manuale per le

professioni mediche, sanitarie e sociali, FrancoAngeli, Roma. p.176.

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30 « […] le attività neuro-biologiche del corpo vivente sono solo in parte soggette al controllo intenzionale del soggetto come mente»53.

Tra questi concetti si creano delle connessioni interessanti che Ardigò analizza lungo una prospettiva di sviluppo storico. Tra natura esterna e natura interna si instaura la prima importante relazione. Ardigò mette in evidenza come nel corso della storia il segno di tale relazione cambi. Infatti mentre nell’antichità la natura esterna era considerata “operosa per mantenere l’equilibrio del corpo umano”, durante l’illuminismo si trasforma in “luogo di origine degli agenti patogeni”54

quindi da natura buona, cambia in natura pericolosa. Questa trasformazione sta alla base della seconda connessione importante che sussiste tra sistema sociale e natura esterna. La pericolosità della natura esterna, scoperta in epoca illuminista, viene contrastata da un apparato scientifico ideato dal sistema sociale. L’apparato scientifico ha come compito ultimo “difendere gli abitanti dalle sfide patogene della natura esterna”.55 La terza connessione è tra sistema sociale e natura interna.

Con la società industriale, i rischi patogeni si spostano dalla natura esterna all’organizzazione societaria. La connessione numero quattro è tra natura interna e persona intesa come social-self e riguarda tutte quelle prassi di cura dai gruppi di mutuo aiuto all'auto-cura fiorite negli ultimi decenni.

Tra persona e sistema sociale rintracciamo un’altra connessione che ci fornisce del materiale utile per analizzare come i condizionamenti culturali e sociali forniscono il senso per l’interpretazione della malattia e per la conseguente scelta del percorso terapeutico. L’ultima connessione è tra persona e natura esterna dalla quale si sviluppa l’attenzione crescente ai problemi ecologici. Il modello correlazionalista concepisce ogni conoscenza come co-istituita lungo molteplici livelli. Quanto detto si traduce nella non riducibilità dell’esperienza di salute e malattia e dell’insieme di relazioni sociali che, a partire da essa, si costruiscono, né a

53Ibidem 54 Ibidem p.114. 55 Ibidem p.118.

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pura creazione soggettiva, priva di un fondamento reale, esterno, né a semplice dato di fatto o cosa. Giarelli sulla stesa scia propone di analizzare i sistemi sanitari lungo le dimensioni micro, meso, macro. La prima, il sistema di interazione clinica riguarda due ordini di interazioni:

• quella tra ruoli sociali;

• connessione tra interazione clinica e costruzione intersoggettiva di significati simbolici di malattia creati nell’interazione faccia a faccia di mondo vitale.

La dimensione meso è, secondo l’autore, il luogo dove si svolge il processo di cura e dove di attua la divisione del lavoro medico nelle sue varie relazioni. A livello macro c’è invece l’organizzazione generale del sistema delle cure di un paese.

Cipolla integra il quadrilatero della salute di Ardigò con un altro elemento: il complesso sanitario. A partire dal XIX secolo, la natura esterna, per cause socio-economiche, diventa patogena e questo ha effetti sull’organizzazione delle cure; infatti si passa da una presenza epidemiologica di malattie infettive ad una di malattie cronico-degenerative. Non meno importante è l’influenza politica del sistema sociale nel modellare il suo sistema di cura e a seguire la disamina al potere del soggetto di incidere sul complesso sanitario e quindi si fa riferimento al sistema partecipativo e di tutela. Il frame proposto da Cipolla può essere utilizzato per analizzare i molteplici fenomeni socio-sanitari.

Il modello correlazionale permette di superare alcune parzialità dei precedenti frame di analisi di malattia ricombinando diversi approcci, da quello fenomenologico a quello conflittualista, fornendo una sintesi superiore alla loro somma.

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32 1.4. Dall’ I.C.I.D.H. al riconoscimento del processo del Disablement.

Nel XX° secolo vi è stata una importante riflessione teorica sulla salute, sulla malattia e le sue conseguenze sulla vita della persona che ha portato alla costruzione di diversi modelli concettuali. Il processo che ha portato al riconoscimento e di conseguenza all’approfondimento delle molteplici interrelazioni presenti nel fenomeno malattia/salute, è stato lungo e difficoltoso. Il problema è che fino a poco tempo fa, anche solo a livello generico, non si concepiva il disablement56 come un processo unitario complesso, caratterizzato da diversi aspetti-criticità. Questa mancanza di una concettualizzazione ideale di riferimento si ripercuoteva a livello micro, ossia ogni soggetto portatore di disabilità non vedeva riconosciute tutte le problematiche che il suo stato gli causava.

Philip Wood avvia un processo di analisi del disablment che espone alla 29° Assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel maggio del 197657. Wood era stato incaricato dall’OMS di elaborare un modello ed un sistema di classificazione delle malattie e delle loro conseguenze allo scopo di integrare il modello precedente, l’I.C.D. (International Classification of Disease) il quale presentava delle lacune troppo profonde. E infatti l’I.C.I.D.H. rispetto all’I.C.D. tenta, da un lato, di risolvere l’ “ability-capabity gap” ossia lo scarto tra abilità e possibilità e quindi la distanza tra ciò che i servizi sanitari facevano e ciò che avrebbero potuto fare, integrando tutte le informazioni a disposizione e le relative conseguenze e dall’atro di adeguare il vecchio modello epidemiologico-classificatorio, ormai desueto, alla situazione contemporanea.

Infatti la diffusione di malattie di evoluzione cronica bilanciata ad una riduzione delle patologie infettive aveva messo in crisi sia alcuni modelli di

56 Processo che porta alla disabilità.

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intervento strettamente medico sia gli strumenti di raccolta delle informazioni basati su indici di mortalità.58

L’I.C.I.D.H. analizzava le condizioni residue, o conseguenze delle malattie, che possono influenzare la vita quotidiana e che determinano la relazione tra soggetti portatori di disabilità e servizi socio-sanitari. Un altro scopo dell’I.C.I.D.H. è creare uno sistema condiviso di termini per descrivere le conseguenze delle malattie. È infatti considerato la prima elaborazione concettuale condivisa a livello internazionale (venne tradotto in 13 lingue). Wood propone una triade di concetti:

• menomazione o danni;59

 disabilità;60

 handicap.

Figura 1. 1. Modello I.C.I.D.H.

Il modello di Wood cerca di approfondire il significato di queste parole al fine di superare la comune tendenza a considerarle sinonimi anche

58 C’è stato un precursore dell’ICD, che risale al 1853 che recava il nome di International Causes

of Death (Classificazione Internazionale delle Cause di Morte).

59 Corrispode al termine inglese “impairment” . 60 Corrisponde al termine inglese “disability”.

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se, come sostiene Masala, è ancora diffuso sia nel senso comune che nel linguaggio tecnico l’utilizzo dei diversi termini come sinonimi. 61 Procedendo con ordine, incontriamo il primo livello della schematizzazione, la menomazione, che viene definita in questo modo :

«[…] nel contesto delle esperienze di salute , la menomazione, è qualsiasi perdita o anormalità in strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche ed anatomiche».62

Di seguito il modello elenca tutte le menomazioni codificate, spaziando da menomazioni di tipo intellettive a menomazioni uditive fino a comprendere le menomazioni multiple. La menomazione così concepita implica il minor livello di esperienza personale a livello di singolo organo, tessuto o distretto corporeo. Si riconosce come menomazione non solo perdita di una parte del corpo, ma anche quelle funzioni alterate come la riduzione della acuità visiva che non veniva considerata come danno alla stregua, per esempio, di una amputazione dell’arto. Un'altra caratteristica della menomazione è il suo essere il primo livello di esteriorizzazione di uno stato patologico di un organismo. Un esempio è quello della sclerosi multipla e delle sue conseguenze63. Infatti una persona affetta da tale patologia potrebbe non esserne a conoscenza fino a quando non emergono le prime menomazioni. Al secondo livello del modello di Wood troviamo la disabilità così definita :

«Nel contesto delle esperienze di salute, la disabilità è una qualsiasi riduzione o perdita dell‘abilità (derivante da una menomazione) di eseguire un’attività nel modo e nella gamma considerate normale per un essere umano».64

61Masala C., Petretto D., (2005), Pp.143-153. 62WHO,1980-1993, pag. 47.

63Wade D.T., (1992), Measurement in Neurological Rehabilitation, Oxford, Medical Publication,

USA.

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La disabilità si configura come l’oggettivazione di una menomazione che si riflette a livello personale. Può essere, la disabilità, permanente o temporanea e progressiva. Tra le disabilità codificate nel modello I.C.I.D.H. ritroviamo, a titolo esemplificativo, la disabilità nella acquisizione delle conoscenze, alterazione sfinterica o anche la disabilità nel portare avanti un compito. Dalla definizione emerge che la disabilità è causata dalla menomazione65, quindi, c’è un collegamento diretto tra menomazione e disabilità Prendendo in considerazione la sclerosi multipla e le sue conseguenze, a parità di menomazione, possono osservarsi diversi livelli di disabilità. Wood non chiarisce questo punto. L’ handicap è l’ultimo livello del modello ed è definito da Wood come uno:

«[...] svantaggio per un dato individuo che deriva da una menomazione o da una disabilità, che limita o previene l’assolvimento di un ruolo considerato normale per un dato individuo sulla base dell’età, del genere e dei fattori sociali e culturali».66

Nella definizione, Wood specifica alcune peculiarità dell’handicap affermando che:

«[...] è caratterizzato da una discordanza tra la performance e lo status dell’individuo e le aspettative proprie o del particolare gruppo cui è membro. L’handicap rappresenta la socializzazione di una menomazione o di una disabilità e come tale riflette le conseguenze ambientali, sociali, culturali ed economiche per l’individuo che derivano dalla presenza di menomazioni e disabilità».67

Gli handicap sono classificati da Wood in maniera differente rispetto alla menomazione e alla disabilità. L’handicap deriva da una interferenza nell’abilità di assumere un ruolo di sopravvivenza e quindi secondo l’autore è necessario classificare tali ruoli di sopravvivenza e valutarne le eventuali

65 “derivante da una menomazione”. 66WHO, 1980-1993, p. 183. 67 Ibidem p.183.

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interferenze. I ruoli di sopravvivenza68 spaziano dall’indipendenza fisica all’integrazione sociale fino a considerare l’occupazione. Per costruire il profilo dello status di svantaggiato è necessario analizzare tutti i ruoli di sopravvivenza e far emergere in questo modo la condizione in cui una persona potrebbe trovarsi.

Mentre nelle precedenti classificazioni si analizza e codifica solo ciò che si applica direttamente alla persona in questione, nella classificazione dell’handicap si analizzano tutti i ruoli di sopravvivenza al fine di fornire un profilo dello status di svantaggio. La definizione così descritta di handicap, farebbe pensare a delle condizioni di svantaggio in cui una persona potrebbe trovarsi. Nella definizione di handicap viene ipotizzata, secondo Masala, una logica lineare di collegamento tra menomazione, disabilità ed handicap, rischiando che si riattribuisca la responsabilità dello svantaggio alla persona che è percepita come un portatore della menomazione o della disabilità.

Per quanto questa classificazione e analisi del disablement abbia certamente apportato delle migliorie concettuali che poi hanno influenzato anche il senso comune circa il problema, non si può negare che i livelli del disablement, (menomazione, disabilità ed handicap) risultano confusi sia per quanto riguarda la relazione causale e sia per l’eccessiva eterogeneità tra gli stessi.69 Masala e Petretto, analizzando meticolosamente i tre livelli del disablement proposti da Wood, sostengono che in alcuni casi non ci siano dei collegamenti diretti tra i livelli e quindi sembra una forzatura passare da una menomazione all’handicap. Per chiarire il concetto, i due autori riportano l’esempio di una persona che ha una lesione midollare. Tale persona, pur avendo una menomazione che incide sul movimento degli arti inferiori, può mantenersi autonoma in virtù del fatto che ha sviluppato strategie che suppliscono tale problema (usare gli arti superiori per gli spostamenti) e quindi potrebbe non vedersi intaccati i propri ruoli di

68 Si intende per ruoli di sopravvivenza, quelle dimensioni di esperienza rispetto alle quali viene

attesa una competenza da parte dell’indivuduo.

Figura

Figura 1. 1. Modello I.C.I.D.H.
Figura 2. Modello ICF.
Figura 3. Prevalenza della sclerosi multipla nel mondo.

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