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Analisi di serie temporali fMRI per lo studio di reti cerebrali attivate da stimoli esterni

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Matematica

Corso di Laurea in Matematica

Tesi di Laurea Magistrale

Analisi di serie temporali fMRI

per lo studio di reti cerebrali

attivate da stimoli esterni

Candidato:

Relatori:

Ludovica Nucci

Prof. Marco Romito

Dr. Nevio Dubbini

Controrelatore:

Prof. Vladimir Georgiev

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(3)

Indice

Introduzione 4

1 La Risonanza Magnetica funzionale (fMRI) 6

1.1 Introduzione alla Risonanza Magnetica funzionale . . . 6

1.2 Task-based fMRI . . . 8

1.2.1 Task design . . . 8

1.2.2 Hemodynamic Response Function (HRF) . . . 10

1.2.3 Acquisizione dei dati . . . 13

1.2.4 Preprocessing . . . 14

1.3 Analisi degli studi task-based . . . 17

1.3.1 Il t-test . . . 17

1.3.2 Analisi della correlazione . . . 17

1.3.3 Il General Linear Model (GLM) . . . 18

1.3.4 Inter-subject Analysis . . . 21

2 Modelli di Serie Temporali 23 2.1 Le serie temporali . . . 23

2.2 Alcuni semplici modelli di analisi delle serie temporali . . . 25

2.2.1 Modelli a media nulla . . . 25

2.2.2 Modelli con trend e stagionalità . . . 26

2.3 Modelli stazionari e funzione di autocorrelazione . . . 27

2.3.1 Funzione di autocorrelazione empirica . . . 28

2.3.2 Proprietà elementari dei processi stazionari . . . 29

2.3.3 Esempi di serie temporali stazionarie . . . 30

2.3.4 Processi strettamente stazionari . . . 32

2.4 Modelli Lineari . . . 33

2.5 Modelli ARMA . . . 37

2.5.1 ACVF e ACF di un processo causale ARMA(p,q) . . . . 41

2.6 Predizione di serie temporali stazionarie . . . 41

2.6.1 Algoritmo delle innovazioni . . . 43

2.6.2 Predizione di un processo ARMA . . . 46

2.7 Modelli con variabili esogene in input . . . 47

3 Analisi di serie temporali fMRI 50 3.1 Il dataset . . . 50

3.1.1 Task-based fMRI nello Human Connectome Project . . . 51

3.2 Analisi causale per il rilevamento di attivazioni cerebrali . . . 53

3.2.1 Causalità di Granger . . . 54 2

(4)

INDICE 3 3.2.2 Rilevamento delle attivazioni mediante la causalità tra

serie temporali . . . 55 3.3 Applicazione della teoria dei grafi allo studio dei pattern di

atti-vazione cerebrale . . . 59 3.3.1 Esplorazione della struttura della rete attivata . . . 61 3.4 Attivazioni primarie e secondarie . . . 67

3.4.1 Studio della variabilità inter-individuale delle attivazioni primarie e secondarie . . . 70

Discussione 71

Conclusioni 74

Appendice 76

A Elementi di Teoria dei Grafi 77

B Codice R 81

Bibliografia 84

(5)

Introduzione

Lo studio delle funzioni del cervello umano è uno dei più affascinanti campi di ricerca della scienza moderna. L’elemento fondamentale degli attuali stu-di neuroscientifici è il neuroimaging funzionale: un insieme stu-di metostu-diche stu- dia-gnostiche per creare immagini dell’organizzazione funzionale del cervello. Le principali tecniche di neuroimaging funzionale comprendono la Risonanza Ma-gnetica funzionale (fMRI), la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) e l’Elettroencefalogramma (EEG).

La prima tecnica di neuroimaging funzionale ad essere stata inventata è la PET, che presenta , tuttavia, alcuni limiti legati all’invasività della procedura, basata sull’utilizzo di traccianti radioattivi, ai costi elevati e ai lunghi tempi di acquisizione delle immagini. Nel 1992, la nascita della Risonanza Magnetica funzionale ha aperto la strada allo studio della rete cerebrale a un alto livello di precisione [1, 24, 30], un campo di indagine tuttora estremamente attivo so-prattutto per quanto riguarda i tentativi di scoprire i criteri su cui si fonda la cognizione umana e i meccanismi alla base dei disturbi neurologici. La tecnica è in continuo perfezionamento: gli scanner di Risonanza Magnetica diventano sempre più potenti, le nuove strumentazioni consentono velocità di scansione elevate e ottima qualità di acquisizione delle immagini. Parallelamente progre-discono anche i metodi di analisi dei dati permettendo ai ricercatori di indagare fenomeni di complessità crescente; inoltre la procedura è non invasiva. Per que-ste ragioni, la fMRI è diventata rapidamente lo strumento di indagine primario in centinaia di istituti di ricerca. Gli studi sui dati di Risonanza Magnetica funzionale hanno permesso di mappare l’organizzazione funzionale del cervello e caratterizzare la struttura dei pattern di attivazione cerebrali, evidenziando inoltre l’articolata rete di attività neurale che risulta nelle regioni cerebrali con processi apparentemente spontanei.

La statistica ha un ruolo chiave in questo campo di ricerca, poiché i dati acquisiti sono notevolmente complessi in termini di correlazioni spaziali e tem-porali, e in più sono incredibilmente vasti: per un singolo soggetto un tipico ordine di grandezza è di centinaia di migliaia di serie temporali, ciascuna rela-tiva a un elemento di volume del cervello. Al fine di catturare efficacemente le informazioni neurofisiologiche contenute nei dati fMRI, generalmente si ricorre alla realizzazione di modelli dinamici di serie temporali. Lo scopo è quello di delineare metodi per la predizione e per la comprensione del fenomeno e della causalità tra le diverse parti che lo determinano.

La tesi si colloca in questo settore scientifico e presenta un’analisi di se-rie temporali di dati generati dal segnale acquisito dalla Risonanza Magnetica funzionale sul cervello umano, in presenza di uno stimolo rappresentato dall’e-secuzione di task motori elementari. Gli obiettivi dello studio sono: localizzare

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INTRODUZIONE 5 le aree cerebrali che si attivano in risposta all’esecuzione dei task; catturare la differenza tra le attivazioni neurali primariamente innescate dallo stimolo e quel-le indotte in modo indiretto per mezzo di altri equel-lementi della rete cerebraquel-le; e caratterizzare la struttura del pattern di attivazione associato alla stimolazione dei task motori.

Il lavoro è organizzato nel modo seguente. Il primo capitolo fornisce il back-ground scientifico: è una panoramica sulla Risonanza Magnetica funzionale e sugli approcci statistici comunemente impiegati per trattare i dati fMRI: tra questi, l’esame della correlazione, il General Linear Model e le analisi di tipo inter-individuale.

Nel secondo capitolo, che costituisce il fulcro teorico della tesi, sono pre-sentate alcune tecniche fondamentali di analisi delle serie temporali. È stato approfondito lo studio dei modelli discreti di serie temporali: la trattazione spazia nell’ambito dei modelli stazionari, con particolare attenzione al caso dei modelli lineari di serie temporali, a cui appartiene la famiglia parametrica dei modelli ARMA. Segue, una breve discussione del problema della predizione. Il capitolo si conclude con l’esame dei modelli di serie temporali con variabili esogene.

Chiarito il contesto scientifico e delineati gli strumenti teorici fondamentali la tesi prosegue con il Capitolo 3, in cui sono esposte le analisi sperimentali condotte. Una sezione preliminare è dedicata alla descrizione dei dati utilizzati che sono parte del dataset HCP 1200, messo a disposizione dallo Young Adult Human Connectome Project. La prima fase di analisi è finalizzata al rilevamento delle attivazioni cerebrali in risposta alla stimolazione dei task motori. A tale scopo è stato sviluppato un criterio fondato sul concetto di causalità tra serie temporali. In seguito, l’attenzione si sposta sul secondo dei propositi prefissati, ovvero caratterizzare la struttura delle attivazioni nel complesso contesto della rete cerebrale. Per affrontare il problema sono stati utilizzati gli strumenti della teoria dei grafi, trattata in appendice. Infine, è stato delineato un metodo per distinguere tra le unità neurali attivate primariamente dallo stimolo e quelle attivate indirettamente attraverso le connessioni causali tra le componenti della rete cerebrale. Per testare la robustezza dei risultati ottenuti sulle attivazioni primarie è stato esplorato anche un approccio di tipo inter-individuale.

Lo studio ha permesso di definire una procedura basata sull’analisi quantita-tiva dei dati finalizzata a localizzare le aree cerebrali che si atquantita-tivano in risposta all’esecuzione dei task motori e a seguito di questo distinguere le attivazioni in-dotte dallo stimolo in modo diretto da quelle secondarie. Inoltre, ha consentito di identificare le caratteristiche geometriche e strutturali intrinseche del pattern di attivazione associato alla stimolazione dei task motori.

(7)

Capitolo 1

La Risonanza Magnetica

funzionale (fMRI)

Questo capitolo propone una panoramica sulla risonanza Magnetica Funzionale e sulle tecniche di acquisizione e analisi dei segnali fMRI [10, 12, 26].

1.1

Introduzione alla Risonanza Magnetica

fun-zionale

La Risonanza Magnetica funzionale, in sigla fMRI (functional Magnetic Re-sonance Imaging) è una moderna tecnologia che gioca un ruolo centrale nella diagnostica per immagini e nella ricerca in ambito neuroscientifico. A differenza della tradizionale Risonanza Magnetica di tipo strutturale, il cui scopo è quello di produrre immagini anatomiche, la fMRI serve a esplorare le funzioni e l’at-tività cerebrale. La tecnica consiste nel catturare i cambiamenti nei tessuti del cervello dovuti a variazioni del metabolismo neurale con una macchina per la Risonanza Magnetica. La base strutturale su cui inquadrare l’attività cerebrale è rappresentata da immagini MRI anatomiche. Un’alterazione nell’attività delle cellule nervose potrebbe essere causata dal chiedere al soggetto di eseguire un compito volto ad attivare specifici processi cognitivi (task-based) oppure può accadere spontaneamente, in assenza di attività mentali consce (resting state).

Il metodo di Risonanza Magnetica comunemente impiegato per la fMRI si basa sul monitorare quello che nel linguaggio tecnico prende il nome di segnale BOLD (Blood Oxygenation Level Dependent), ovvero il cambiamento nel cer-vello del licer-vello di ossigenazione del sangue nei tessuti. La procedura si basa sul fatto che, quando in un’area del cervello si verifica un incremento o decremento dell’attività metabolica, si osservano alterazioni nel consumo metabolico di ossi-geno. La fMRI, attraverso la rilevazione del segnale BOLD, cattura l’evoluzione dell’attività neurale per mezzo dei cambiamenti emodinamici che avvengono nei tessuti cerebrali. Lo sviluppo della tecnologia di fMRI BOLD ha aperto la stra-da allo studio delle funzioni cognitive del cervello: consente di identificare quali aree sono coinvolte nell’esecuzione di un’operazione mentale, esaminare come evolve l’attivazione di una determinata regione durante un task e quantifica-re l’estensione della connettività tra quantifica-regioni cequantifica-rebrali. La fMRI BOLD non è

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CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 7 la sola tecnologia di imaging funzionale del cervello attualmente a disposizione utilizzando uno scanner di Risonanza Magnetica. Esistono molteplici segnali biologici che possono essere visualizzati, vedere [9] per un quadro generale.

Come precedentemente accennato, ci sono due principali tipi di studi che possono essere condotti grazie all’utilizzo della fMRI:

- studi di tipo task-based, in cui viene chiesto al soggetto di eseguire op-portuni task cognitivi, per modulare specifiche attività neurali durante l’acquisizione delle immagini;

- studi di tipo resting state, in cui il soggetto è a riposo per l’intera durata della scansione.

Gli scanner per la fMRI BOLD acquisiscono approssimativamente un’imma-gine 3D del cervello ogni secondo [12].

• Il tempo che intercorre tra la registrazione di un’immagine e la successiva si chiama Time of Repetition (TR).

• L’elemento unitario di volume dell’immagine 3D prende il nome di voxel o volumetric pixel.

La scansione produce come risultato una serie temporale di segnali per ogni voxel delle immagini 3D. I dati relativi alle unità appartenenti allo sfondo vengono normalmente rimossi.

Il pannello in alto della Figura 1.1 mostra le sezioni assiali delle immagini 3D del cervello di un soggetto a riposo, in diversi istanti temporali. Il grafico sottostante raffigura l’intensità del segnale BOLD per il voxel i-esimo, in ciascun istante temporale.

Figura 1.1: Immagini fMRI di tipo resting state [12].

In base all’obiettivo della ricerca i dati sono organizzati in modo diverso: per esempio, si possono esaminare singolarmente le serie temporali dei voxel per

(9)

CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 8 identificare quelli che si attivano durante l’esecuzione di un task, oppure è pos-sibile vettorizzare le immagini fMRI tridimensionali ai diversi istanti temporali e unire i vettori in una matrice tempo × spazio, che può essere utilizzata per individuare strutture di rete tra i voxel del cervello.

1.2

Task-based fMRI

Ai fini di questa tesi sono di maggiore interesse gli esperimenti di Risonanza Magnetica Funzionale di tipo task-based. Nel seguito, sono illustrati in dettaglio i principali aspetti di questo tipo di prove.

1.2.1

Task design

La struttura dei tipici esperimenti di Risonanza Magnetica funzionale di tipo task-based prevede una modulazione del comportamento da studiare durante la scansione, al fine di catturare una differenza tra il range entro cui varia il segnale BOLD nei tempi in cui viene eseguito il task e in quelli a riposo, chiamati condizione di controllo. Questo aspetto è molto importante perché le intensità dei segnali della Risonanza Magnetica sono soggette a variazioni causate, ad esempio, dall’instabilità della strumentazione o da cambiamenti nella fisiologia del soggetto non connessi al comportamento in esame; ciò rende difficile analizzare l’intensità del segnale BOLD tra scansioni diverse.

Durante lo svolgimento della prova, stimoli sensoriali (che possono essere visivi, uditivi o di altre forme in base alla manipolazione comportamentale desiderata) servono a far capire al soggetto di iniziare ad eseguire il compito prestabilito per un preciso numero di secondi.

Figura 1.2: In un esperimento fMRI di tipo task-based è acquisita una serie temporale di immagini mentre il soggetto esegue un compito cognitivo che provoca un cambia-mento nello stato del cervello tra le fasi A (attività) e B (condizione di controllo) [10].

(10)

CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 9

Figura 1.3: La mappa delle attivazioni raffigura le aree del cervello metabolicamente più attive nello stato A rispetto alla condizione di controllo B. Con un t-test è possibile stabilire la significatività della differenza di intensità del segnale BOLD tra le due fasi, per ciascun voxel [10].

Nel corso della scansione, l’alternanza tra task e condizione di controllo è organizzata generalmente secondo tre criteri:

• Block Trial;

• Event-Related Trial (ER); • Mixed Trial;

Un trial di tipo event-related prevede stimoli istantanei ripetuti a intervalli di tempo eventualmente non regolari tra un evento e il successivo: un semplice esempio è quello di premere un bottone multiple volte. Il design di tipo a blocchi consiste nell’esecuzione di un compito in modo continuo, per esempio unire pollice e indice, per un preciso intervallo di tempo seguito da un breve periodo a riposo, in più ripetizioni. La struttura di tipo mixed trial è una combinazione dei due casi precedenti. Naturalmente esistono varianti più complesse di questi design elementari. Ulteriori approfondimenti sulla struttura delle scansioni di Risonanza Magnetica funzionale sono affrontati in [22].

Esempi di funzioni che rappresentano stimolazioni di tipo a blocchi e event-related sono mostrati nella figura seguente (Figura 1.4).

(11)

CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 10

Figura 1.4: Funzioni dello stimolo per un design di tipo ER (in alto) e block trial (in basso). I picchi corrispondono all’inizio della stimolazione, che può essere istantanea come nel grafico in alto o prolungata come nel grafico in basso. In entrambi i casi il distanziamento tra gli eventi può essere non costante [12].

Il design a blocchi è ottimale per rilevare le attivazioni cerebrali, tuttavia il soggetto potrebbe facilmente imparare lo schema dell’esperimento e influenzare i risultati. Il design ER, più complesso, riduce gli effetti dovuti all’apprendimen-to del pattern ed è più efficiente nel caratterizzare l’evoluzione dell’attivazione cerebrale. Una progettazione di tipo misto, come atteso, porta a risultati in-termedi [27]. La scelta del tipo di trial è di fondamentale importanza: per esempio, se l’obiettivo dell’esperimento è confermare se una presunta attivazio-ne si verifica in una regioattivazio-ne del cervello, la struttura a blocchi è maggiormente efficace; se invece si è interessati a caratteristiche più dettagliate della risposta neurale alla manipolazione cognitiva, dovrebbe essere impiegato un design di tipo event-related.

1.2.2

Hemodynamic Response Function (HRF)

Definizione 1.2.1. La Funzione di Risposta Emodinamica, in sigla HRF (Hemodynamic Response Function) è il segnale BOLD relativo ad un singolo rapido evento di attivazione neurale.

Parlare di funzione di risposta emodinamica può essere fuorviante perché l’andamento della funzione varia da voxel a voxel, con le proprietà dello stimolo e presumibilmente con il tipo di attività cerebrale innescata. Ci si aspetta che uno stimolo più intenso risulti in una funzione con oscillazioni più ampie,

(12)

CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 11 oppure che aumentare la durata della stimolazione provochi una dilatazione nel tempo della risposta. La maggioranza degli studi adotta una funzione di risposta emodinamica standard per tutti i voxel, per semplificare le analisi.

La Figura 1.5 mostra il comportamento tipico di una funzione di risposta emodinamica. Il tempo 0 corrisponde all’attivazione neurale. Si osserva un ini-ziale ritardo tra lo stimolo e l’inizio della reazione di risposta. Passati pochi secondi, il segnale BOLD inizia a crescere e raggiunge il suo massimo media-mente tra i 4 e i 6 secondi: è il tempo necessario al sistema vascolare per reagire alla stimolazione. Successivamente, la curva decresce e realizza un minimo al di sotto del livello di riferimento, tra i 12 e i 15 secondi. Le origini fisiologiche del fenomeno sono controverse, ci si aspetterebbe infatti che dopo il picco il segnale si stabilizzasse al livello basale. Un’ipotesi è che il metabolismo neurale permanga attivo per un breve periodo anche dopo la stimolazione. Infine, si ripristina la condizione iniziale.

Figura 1.5: Esempio di HRF.

La stima della funzione di risposta emodinamica, che nella tesi è indicata con h(t) dove t è il tempo in secondi, è un aspetto di estremo interesse degli studi in ambito di fMRI. Il primo modello proposto prevedeva di utilizzare la distribuzione di Poisson [16]. Tuttavia, si tratta di una distribuzione discreta, mentre il segnale BOLD si evolve nel tempo in modo continuo. La famiglia di funzioni comunemente utilizzate è quella delle Gamma [25]. Queste funzioni sono più flessibili rispetto alle Poisson, sono continue ed è possibile modulare due parametri anziché uno. Il modello più semplice è la funzione Gamma:

h(t) = b Γ(a)(tb)

a−1exp(−tb),

a e b sono i parametri della distribuzione, che possono eventualmente variare nel caso in cui si decida di modellare una HRF specifica per ogni voxel. Una funzione di questo tipo è in grado di descrivere approssimativamente, attraverso un’opportuna scelta dei parametri, il picco positivo della HRF e il successivo lento declino verso la baseline. Tuttavia, i dettagli più fini non possono essere

(13)

CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 12 catturati con una sola funzione Gamma, per cui il modello ad oggi più adottato è una differenza tra due funzioni Gamma [19]:

h(t) = t d1 a1 e −tb+a1  − c t d2 a2 e −tb+a2  ,

dove dj = ajb per j = 1, 2 e i valori d1 e d2 sono rispettivamente i tempi per

il picco positivo e il picco negativo. La logica dietro questa definizione della HRF è che una funzione Gamma descrive l’iniziale picco post-stimolo, l’altra il successivo calo. I valori standard per i parametri sono:

- a1= 6;

- a2= 12;

- b = 0.9; - c = 0.35.

Esistono versioni più complesse della funzione di risposta emodinamica, de-finite come combinazioni lineari a partire da un insieme di funzioni di base, che rappresentano alternative più flessibili alla versione canonica [15].

Uno dei tipici obiettivi degli studi di fMRI task-based è individuare una mappa delle aree del cervello che rispondono alla stimolazione dei task. Per fare questo esistono diverse tecniche di analisi, discusse in dettaglio nel seguito, incentrate sul confrontare i dati con un modello ipotizzato di funzionalità neu-rale. Nella progettazione del segnale modello si deve tenere in considerazione la natura del segnale BOLD e il design della prova. Per rappresentare gli aspetti fisiologici del segnale BOLD pertinenti la risposta emodinamica, si utilizza la HRF. Per caratterizzare l’organizzazione della prova si utilizza la serie tempo-rale dello stimolo, ovvero una serie temporale che vale 1 in corrispondenza degli istanti temporali dei task e 0 altrimenti.

Definizione 1.2.2. Per un dato voxel, la risposta prevista alla stimolazione al tempo t si calcola come convoluzione tra la serie temporale dello stimolo e la HRF relativa al voxel:

x(t) = Z +∞

0

h(u)s(t − u) du,

dove h è il modello per la funzione di risposta emodinamica e s è la serie temporale dello stimolo.

Come mostra la seguente figura (Figura 1.6), la convoluzione ha l’effetto di regolarizzare l’andamento della serie temporale dello stimolo, in modo che la transizione tra la condizione di controllo e il task sia progressiva e non istantanea.

(14)

CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 13

Figura 1.6: Il grafico in alto mostra la serie temporale dello stimolo di un design a blocchi con due condizioni. Il pannello centrale raffigura la funzione di risposta emodinamica, definita come differenza tra due funzioni Gamma con i valori standard dei parametri. In basso si osserva la convoluzione della HRF con la serie temporale dello stimolo [26].

1.2.3

Acquisizione dei dati

Le principali questioni da tenere sotto controllo nel corso dell’acquisizione dei dati sono:

I il bilancio tra la risoluzione spaziale e temporale; I i movimenti del soggetto;

I la perdita di segnale in corrispondenza delle regioni frontale, parietale e orbitaria.

In generale, aumentare la risoluzione spaziale comporta un prolungamento della durata della scansione. Questo rende il segnale più sensibile a perdite in prossimità di regioni eterogenee quali l’area frontale, parietale e orbitaria, in cui risulta una netta discrepanza al confine tra i tessuti e l’aria circostante.

Esistono metodi che consentono di ridurre il tempo della scansione come l’acquisizione parallela [32] e il Simultaneous Multiple Slices (SMS) [13]. Acce-lerare i tempi limita le possibilità di movimenti del soggetto e rende la prova accessibile anche a bambini, persone anziane e soggetti patologici.

(15)

CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 14 Cambiando punto di vista, aumentare l’efficienza della scansione consente di raccogliere un numero più elevato di immagini, dunque accresce il potere statistico dei dati e rende possibile l’utilizzo di tecniche di inferenza temporale più complesse.

1.2.4

Preprocessing

Le serie temporali fMRI sono affette da rumore. Una delle principali cause di fluttuazioni indesiderate è insita nel meccanismo di acquisizione dei dati, poi-ché la Risonanza Magnetica rileva l’attività neurale indirettamente, attraverso le variazioni nel consumo metabolico di ossigeno. Altre fonti di rumore sono i movimenti del soggetto durante la scansione, i rumori fisiologici derivanti dalla pulsatilità cardiovascolare e le alterazioni dovute alla disomogeneità del campo magnetico. Ci sono casi in cui l’esecuzione stessa del task provoca nei parte-cipanti una modificazione della funzione cardiaca e respiratoria, introducendo fluttuazioni nel segnale BOLD derivanti esclusivamente da tali cambiamenti fisiologici.

Le variazioni delle serie temporali fMRI non connesse al task cognitivo in esame aumentano invano la varianza del segnale e, se non rimosse, possono offuscare i pattern propri dell’attività neurale. Le correzioni a questi errori sistematici sono eseguite nella fase di preprocessazione dei dati. Esistono molte procedure computazionali, collettivamente chiamate preprocessing pipeline, che hanno l’obiettivo di rimuovere le fluttuazioni dovute al rumore dai dati. Nel seguito sono elencate le tecniche più comunemente utilizzate.

- Quality Assurance (QA)

L’accertamento della qualità delle immagini è un aspetto indispensabile ma spesso ignorato della fase di preprocessing. Durante la scansione, i dati possono essere alterati dal rumore dei macchinari o da problemi dello scanner, come l’instabilità del segnale. Le immagini devono essere esa-minate durante l’acquisizione, in modo da poter apportare correzioni ai problemi tecnici della strumentazione.

- Slice Timing Correction

Il meccanismo di acquisizione della maggioranza dei macchinari per la Ri-sonanza Magnetica si basa su sequenze di impulsi bidimensionali che rea-lizzano l’immagine di una sezione del cervello alla volta. Questo comporta inevitabilmente un’inconsistenza nei tempi di acquisizione delle diverse se-zioni. Gli errori di slice-timing, se non corretti, possono essere la causa di gravi imprecisioni, soprattutto in studi in cui l’informazione temporale è essenziale, come gli esperimenti di tipo event-related o gli studi che inda-gano le relazioni causali tra le aree cerebrali. Uno dei più comuni approcci per correggere gli errori di slice-timing consiste nello stimare l’estensione del segnale ai diversi istanti temporali interpolando le informazioni delle acquisizioni all’istante temporale precedente e successivo.

- Head Motion Correction

I movimenti della testa del soggetto sono una nota preoccupazione negli studi di fMRI, specialmente per quelli che prevedono scansioni della durata di ore o includono particolari tipi di partecipanti come bambini, anziani e

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CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 15 soggetti patologici. I movimenti della testa del soggetto alterano la qualità dei dati raccolti in più modi. Per elencarne alcuni, il movimento mischia i segnali dei voxel vicini, producendo marcate fluttuazioni soprattutto ai margini di regioni cerebrali diverse; inoltre, introduce una variabilità di-pendente dalla distanza, che può modificare la struttura di rete intrinseca dei dati. I disturbi prodotti dal movimento possono essere notevolmente ridotti con numerose strategie, sia durante la fase di acquisizione dei dati che successivamente. La testa del soggetto può essere immobilizzata du-rante la scansione con dispositivi specifici, oppure è possibile preparare i partecipanti con esercitazioni in un simulatore. In alternativa, è possibile riallineare il volume del cervello acquisito rispetto ad uno schema fissato con l’interpolazione. Altri metodi mirano direttamente a rimuovere le va-riazioni dovute ai movimenti dai dati. Tecniche più moderne utilizzano le informazioni sulla posizione della testa del soggetto per adattare conti-nuamente l’orientazione delle immagini acquisite a quella della testa, nel corso della scansione.

- Spatial Smoothing

I benefici della regolarizzazione spaziale sono triplici. Per prima cosa, le serie temporali fMRI sono per natura influenzate dall’ordine spaziale di acquisizione delle immagini, di conseguenza un’adeguata regolarizzazione riduce il rumore tra i voxel adiacenti. Secondo: può rafforzare la validità delle successive indagini statistiche attenuando la differenza tra la struttu-ra dei dati e il modello ipotizzato. Infine, riduce le differenze anatomiche e funzionali tra soggetti diversi.

La regolarizzazione spaziale generalmente è eseguita per mezzo della con-voluzione delle serie temporali fMRI con un nucleo Gaussiano che si accordi con le correlazioni spaziali intrinseche dei dati. È molto difficile decidere la taglia del kernel. Le taglie ottimali di kernel per perseguire ciascuno degli obiettivi di regolarizzazione citati possono non coincidere, rendendo ne-cessaria la scelta di privilegiare uno dei tre aspetti; inoltre, taglie di kernel troppo elevate, riducendo la risoluzione spaziale dei dati, possono spostare le attivazioni in risposta ad un task in regioni del cervello inammissibili [28].

- Physiological Noise Correction

Il segnale BOLD è affetto da fluttuazioni provocate dai processi fisiologici, come la pulsatilità cardiaca e la respirazione. I rumori fisiologici cardiaci e respiratori possono essere classificati in 2 categorie, in base alla tempisti-ca e all’intensità. La prima tempisti-categoria comprende le fluttuazioni regolari, sincronizzate con il ciclo cardiaco e respiratorio. La seconda concerne le variazioni della frequenza cardiaca e della profondità e frequenza del re-spiro. La pulsatilità cardiaca e la respirazione provocano movimenti nei tessuti e possono causare causare fluttuazioni del segnale soprattutto in prossimità dei grandi vasi del cervello. Sono stati condotti numerosi studi per caratterizzare il rumore fisiologico, sia sulla base di registrazioni ester-ne dei parametri fisiologici [4] che stimando le fluttuazioni direttamente dai dati acquisiti [3].

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CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 16 La collezione di immagini 3D anatomiche e funzionali raccolte nel corso di uno studio generalmente evidenziano delle discrepanze, a causa della diversa metodologia di acquisizione. Questo causa problematiche evidenti nel momento in cui si vuole mappare l’attività cerebrale individuata sulla base dei dati funzionali su un’immagine anatomica. Le procedure com-putazionali che mappano le immagini funzionali e strutturali le une sulle altre prendono il nome di functional-structural co-registration.

- Spatial Registration

Negli studi neuroscientifici è fondamentale confrontare le attivazioni cere-brali di più soggetti, per testare la robustezza dei risultati sperimentali. Dato che le forme e le taglie dei cervelli spesso non concordano tra indivi-dui diversi, l’approccio standard consiste nel registrare le immagini in un sistema di coordinate fissato, affinché le collocazioni anatomiche di voxel con stesse coordinate spaziali siano idealmente le stesse, per tutti i sogget-ti. La procedura consiste nel riportare, in maniera più esatta possibile, il cervello in uno schema precostituito o template: un’immagine anatomica del cervello altamente dettagliata, determinata a partire dalla popolazione in esame oppure una pubblicata. I template più comunemente utilizzati sono provvisti di tabulazioni delle aree chiave e di punti di riferimento. Tra questi ci sono: l’atlante creato dal Montreal Neurological Institu-te (MNI Institu-templaInstitu-te) [5], dall’InInstitu-ternational Consortium for Brain Mapping (http://www.bmap.ucla.edu/portfolio/atlases) e il Talairach atlas [35]. Il processo fa affidamento su numerose assunzioni. Innanzitutto, presume similarità anatomiche tra i soggetti alla risoluzione funzionale di interesse. Questo punto diventa particolarmente problematico negli studi su cervelli che presentano patologie, in cui l’anatomia può essere drasticamente di-versa rispetto al template di controllo. In più, è necessario supporre che le collocazioni anatomiche delle funzioni cerebrali siano le stesse per tutti i soggetti.

La normalizzazione spaziale è generalmente implementata in modo diret-to registrando le immagini funzionali rispetdiret-to ad un template funzionale, oppure in due fasi:

- co-registrando le immagini funzionali e strutturali;

- registrando le immagini anatomiche rispetto ad un template struttu-rale ad alta risoluzione.

Entrambi gli approcci hanno punti di forza e carenze. Il primo evita le inconsistenze dovute alla combinazione di immagini con diversa tipologia di acquisizione. Il secondo risulta più robusto, per la più alta risoluzione e qualità delle immagini. È possibile normalizzare le immagini funzionali sia prima che dopo le analisi statistiche: normalizzare dopo evita l’utilizzo di immagini distorte a causa della non perfetta registrazione, nelle inda-gini sperimentali; normalizzare prima rende accessibili tipologie di analisi statistiche che richiedono di confrontare voxel tra soggetti diversi. Le fasi di preprocessing elencate si applicano agli studi task-based così come al-le prove di tipo resting state. La determinazione di una specifica preprocessing

(18)

CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 17 pipeline dipende da numerosi fattori, come il tipo di stimolo, le ipotesi sperimen-tali, il design dell’esperimento e le condizioni del soggetto durante l’acquisizione [34].

1.3

Analisi degli studi task-based

Conclusa la fase di preprocessing inizia la vera e propria analisi dei dati fMRI. In questa sezione, si illustrano alcune tecniche tradizionali per identificare i voxel attivati in risposta all’esecuzione di task cognitivi di una prova fMRI di tipo task-based.

1.3.1

Il t-test

La procedura di inferenza statistica più semplice sulle serie temporali fMRI consiste nel considerare i dati ai diversi istanti temporali come campioni indi-pendenti e comparare le ampiezze dei segnali tra task e condizione di controllo utilizzando un t-test. Si testa l’ipotesi nulla

H0: condizione sperimentale = condizione di controllo,

contro l’alternativa

H1: condizione sperimentale 6= condizione di controllo.

Per quantificare la significatività statistica dei t-value stimati per ciascun voxel, si definisce il p-value: la probabilità di osservare il t-value o valori più estremi, sotto l’ipotesi nulla. Se il p-value relativo a un voxel è inferiore ad un livello di significatività α fissato (in genere un valore tra 0.01 e 0.05), si rigetta l’ipotesi nulla e si classifica il voxel come attivato.

Ci sono due difficoltà a cui si va incontro eseguendo un’analisi di questo tipo. In primo luogo, la risposta delle unità cerebrali può ritardare di alcuni secondi rispetto all’inizio della stimolazione. È necessario tenere di conto del possibile ritardo, quando si assegnano gli istanti temporali ad una delle due condizioni, di task o di controllo. La seconda problematica è che la transizione tra gli stati cerebrali "non attivo" e "attivo" non può essere propriamente rappresentata come l’appartenere all’uno o all’altro stato. Esistono una serie di fasi intermedie di cui non si sta tenendo di conto. Questo determina una grave perdita di potere statistico del test.

In seguito a queste considerazioni è chiaro che, nonostante la sua semplicità, il t-test sia una tecnica raramente utilizzata per analizzare in modo diretto i dati di fMRI.

1.3.2

Analisi della correlazione

Il coefficiente di correlazione è la misura più frequentemente utilizzata per quan-tificare la sincronia (talvolta si parla anche di connettività funzionale) tra due serie temporali.

Definizione 1.3.1. Il coefficiente di correlazione tra due serie temporali {at}t=1,...,n e {bt}t=1,...,n di uguale lunghezza si calcola come:

r = 1 n − 1 Pn t=1 at− a  bt− b  σaσb ,

(19)

CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 18 dove n denota il numero di istanti temporali. a, b e σa, σbsono rispettivamente

le medie e le deviazioni standard delle due serie temporali.

Il coefficiente di correlazione varia tra −1 e 1: 0 significa che le serie temporali non sono correlate, ±1 indicano la perfetta correlazione, positiva o negativa. Per testare la significatività della correlazione tra due serie temporali si esegue un t-test di ipotesi nulla H0 : r = 0. Il valore della variabile t si calcola a partire

dal coefficiente di correlazione come: t = r

√ n − 2 √

1 − r2. (1.1)

Sotto l’ipotesi nulla ha distribuzione t di Student a n − 2 gradi di libertà. Un approccio più raffinato rispetto al t-test per identificare i voxel attivati in risposta all’esecuzione di un task consiste nel valutare la correlazione tra la serie temporale dei voxel e il modello che descrive l’andamento del segnale BOLD atteso in risposta alla stimolazione dell’esperimento. Per considerare il fatto che tra voxel diversi potrebbe esserci una variabilità nei tempi di risposta del segnale BOLD, al posto del coefficiente di correlazione si utilizza la funzione di cross correlazione, che stima il coefficiente di correlazione tra serie temporali in funzione del lag temporale di un segnale rispetto all’altro. In questo modo è possibile scegliere per ciascun voxel il lag rispetto al segnale modello ottimale.

Il maggiore limite delle analisi della correlazione è che consentono di con-frontare solo due serie temporali per volta. Tuttavia, gli studi di Risonanza Magnetica funzionale frequentemente necessitano di mettere in relazione più voxel contemporaneamente.

1.3.3

Il General Linear Model (GLM)

Un’estensione delle tecniche di analisi della correlazione è il General Linear Model (GLM).

Definizione 1.3.2. La struttura del General Linear Model (GLM) è de-scritta da un’equazione matriciale della forma:

Y = Xβ + ε,

dove Y è l’output del modello, X è la matrice delle variabili in input, β è il vettore dei coefficienti e ε è l’errore. Generalmente, si assume che l’errore abbia distribuzione gaussiana con media 0 e varianza σ2.

Nel contesto della Risonanza Magnetica funzionale, il GLM si fonda sull’as-sunzione che i dati possano essere descritti come combinazione lineare di fattori che rispecchiano gli stimoli presenti in ciascun istante temporale della prova e una componente di rumore. Nel modello, possono essere incluse altre fonti di variabilità: per esempio, le fluttuazioni fisiologiche e le informazioni caratteriz-zanti il soggetto, come l’età e il genotipo. Di seguito, sono esaminati in dettaglio i termini dell’equazione del GLM per dati fMRI.

I Serie temporale del voxel. {Yt}t∈T è un vettore o una matrice che contiene

per colonna le serie temporali dei voxel.

(20)

CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 19 I Rumore del sistema. {εt}t∈T è il rumore del sistema. Può avere varianza

costante o variabile nel tempo e termini di covarianza non nulli. Eventuali correlazioni temporali possono essere rappresentate con un modello di tipo autoregressivo:

εt= ρεt−1+ ξt t ∈ T,

dove |ρ| < 1 e {ξt}t∈T sono variabili indipendenti e identicamente

distri-buite.

I Design matrix. X è la design matrix, che contiene i fattori che contribui-scono alla variabilità delle serie temporali fMRI. La matrice può contenere diversi tipi di coviariate. Innanzitutto, devono essere presenti le informa-zioni che descrivono la struttura dell’esperimento. Si tratta di variabili binarie, per un design a blocchi elementare; oppure di variabili categoriali più complesse, per descrivere prove che prevedono task multipli o di tipo event-related. Un modo efficace è quello di inserire nella matrice la serie temporale modello che descrive l’andamento del segnale BOLD atteso in risposta alla stimolazione dell’esperimento, poiché racchiude sia gli aspetti fisiologici pertinenti la risposta emodinamica che la struttura dell’esperi-mento. Nel caso di K diversi tipi di stimoli, l’equazione del GLM per un dato voxel può essere scritta come:

Yt= X[1]tβ1+ · · · + X[K]tβK+ εt t ∈ T,

dove {X[k]t}t∈T è il il segnale BOLD atteso in risposta allo stimolo

k-esimo per k = 1, . . . , K. Dopo aver stimato i parametri del modello, si utilizza un t-test o un F-test per determinare la significatività statistica del contributo di ciascun fattore nella design matrix all’output.

È possibile che nei dati fMRI siano presenti fluttuazioni periodiche estra-nee all’attività neurale, risultanti ad esempio dal battito del cuore o da altri effetti sistematici. Includere nell’equazione del modello un termine polinomiale nella variabile t di grado opportuno consente di catturare tali variazioni. Per esempio, l’introduzione di un polinomio di grado q modifica l’equazione del GLM nel modo seguente:

Yt= K X i=1 X[i]tβi+ q X l=0 tlγl+ εt t ∈ T.

Ritardi tra i dati reali e il modello di risposta emodinamica sono molto comuni. Per risolvere queste imprecisioni, è stato suggerito di inserire tra i predittori del GLM la derivata temporale prima del segnale BOLD atteso in risposta alla stimolazione [14]. Il modello di risposta emodinamica e la sua derivata prima mostrano ampiezze e tempistiche diverse dei picchi positivi e negativi, come si osserva nella Figura 1.7. Questo dà accesso alla possibilità di rappresentare una più ampia fascia di comportamenti a livello dei voxel.

(21)

CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 20

Figura 1.7: HRF definita come differenza tra due funzioni Gamma con i valori standard dei parametri e derivata temporale prima.

Nel caso di un solo tipo di stimolo, l’equazione del GLM con derivata prima per un voxel è la seguente:

Yt= Xtβ + ˙Xtη + εt t ∈ T.

È possibile estendere il metodo includendo nell’equazione derivate di or-dine superiore, al fine di catturare ulteriori caratteristiche spazialmente variabili dei dati.

Infine, il GLM è abbastanza flessibile da poter tenere di conto di altre covariate categoriali oltre a quelle legate al design dell’esperimento, come la fascia di età del soggetto, il sesso, un indicatore per distinguere i sog-getti sani da quelli patologici ecc. In tal senso, il GLM rappresenta uno strumento utilizzabile non solo per le analisi individuali sui dati di ciascun soggetto, ma anche per studiare e confrontare analisi condotte su gruppi diversi di individui.

Ipotesi del GLM

Nella maggioranza delle formulazioni elementari del GLM, ogni voxel e ogni istante temporale sono supposti essere indipendenti gli uni dagli altri e la va-rianza dell’errore è costante nel tempo. Con queste condizioni, i coefficienti in β possono essere stimati con la tecnica dei minimi quadrati. In dettaglio, le ipotesi standard alla base del General Linear Model sono le seguenti.

1. I voxel sono indipendenti. Sebbene sia ragionevole che voxel vicini abbia-no, almeno in qualche caratteristica, comportamenti simili, nel modello non entrano le informazioni relative alle collocazioni spaziali dei voxel nel cervello; per tanto, i voxel risultano spazialmente indipendenti. Per questo motivo, le analisi dei dati di fMRI tendono ad essere per natura univariate.

(22)

CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 21 2. Gli istanti temporali sono indipendenti. Nella pratica questa assunzione è completamente irrealistica. Sebbene non sia chiara l’entità dell’influenza di una risposta al tempo t1 sulle successive risposte, o quanto la risposta

al tempo t1 risenta delle risposte precedenti, tali effetti sono sicuramente

presenti nella realtà.

3. La varianza dell’errore è costante in ogni istante temporale. Questa ipotesi preclude la possibilità che alcune condizioni possano avere più rumore residuo di altre, che è più o meno realistico a seconda dei casi.

4. Lo stesso modello è adeguato per tutti i voxel del cervello. Si assume che la matrice dell’esperimento sia appropriata per tutti voxel, cioè che è par-ticolare a livello delle singole unità è la stima dei coefficienti in β. Visto l’enorme numero di voxel e la potenziale complessità dei modelli coinvolti, è conveniente dal punto di vista computazionale adottare un singolo mo-dello per l’intero cervello. D’altra parte, da considerazioni sulla fisiologia dell’encefalo risulterebbe più realistico individuare modelli specifici per le diverse aree cerebrali.

Poiché le ipotesi alla base del General Linear Model sono per la maggior parte poco corrispondenti alla realtà, molte ricerche statistiche in ambito di fMRI si sono concentrate sul trovare modi per migliorare ed estendere il GLM o sul defi-nire tecniche alternative. Assunzioni più realistiche permettono la formulazione di modelli più complessi, che prevedono la correlazione spaziale e temporale.

1.3.4

Inter-subject Analysis

Le tecniche di analisi discusse finora hanno l’obiettivo di identificare le attiva-zioni cerebrali conseguenti l’esecuzione di task cognitivi in un singolo individuo. In uno studio fMRI, tuttavia, vengono esaminati più soggetti, al fine di testare più accuratamente le ipotesi sperimentali, confrontare i risultati ottenuti e gene-ralizzare le conclusioni dell’indagine condotta. Esistono due principali approcci per fare inferenza statistica sulle attivazioni dei voxel a livello di un gruppo di soggetti: le analisi di tipo fixed-effect e random-effect. Entrambe prevedono che i dati fMRI siano registrati in un sistema di coordinate fissato.

- Fixed-effect analysis.

L’approccio fixed-effect consiste nell’unire, concatenando o mediando, i dati di tutti i soggetti in una singola serie temporale, sulla quale poi con-durre analisi di tipo single-subject. La tecnica si fonda sull’assunzione che gli effetti indotti dalla manipolazione sperimentale sul segnale BOLD siano gli stessi a livello dei singoli voxel, in tutti i soggetti che partecipano allo studio. L’unica eccezione è l’influenza del rumore aleatorio. Se questa ipotesi è valida, combinare i dati dei soggetti aumenta l’efficacia del me-todo nel rilevare le attivazioni, poiché riduce le fluttuazioni indesiderate (attraverso la media) o aumenta i gradi di libertà dei dati (per mezzo della concatenazione).

Il maggiore limite della tecnica è che i risultati sono molto sensibili ad ano-malie tra i soggetti esaminati (per esempio, individui con estreme risposte

(23)

CAPITOLO 1. LA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (FMRI) 22 ai task ecc.), pertanto le conclusioni sperimentali sono valide ristretta-mente per gli specifici individui che hanno partecipato allo studio e non possono essere generalizzate ulteriormente.

- Random-effect analysis.

La tecnica random-effect è la più applicata negli studi di fMRI, oggigiorno. Questo tipo analisi assume che ciascun partecipante alla prova sia uno dei possibili individui appartenenti ad una più ampia popolazione di soggetti, che avrebbe potuto essere esaminato e che la sua risposta rappresenti un campione indipendente tratto dalla distribuzione dei risultati in risposta ai task della popolazione. La procedura consiste di due passaggi. Nella prima fase le statistiche riguardanti le attivazioni in risposta ai task di ciascun individuo sono analizzate singolarmente; dunque, si ottiene un vincolo per voxel in ogni soggetto. Nella seconda fase, si testa la significatività della distribuzione delle statistiche individuate a livello dei voxel, esaminandone la variabilità tra i soggetti. Per esempio, se si analizzano dei dati fMRI con un GLM il primo passaggio è quello di calcolare i coefficienti del modello per ciascun individuo. Il secondo consiste nell’eseguire un t-test a livello dei voxel per determinare se i coefficienti relativi al segnale BOLD atteso in risposta alla stimolazione siano campionati da una distribuzione a media nulla. In caso di esito affermativo, si può concludere, con un certo livello di confidenza, che il dato voxel non si è attivato.

Le analisi di tipo random-effect danno modo di fare inferenza a livello dell’intera popolazione alla quale sono supposti appartenere i soggetti, motivo per cui sono preferibili a quelle fixed-effect nella maggioranza delle applicazioni. Tuttavia, non permettono di estendere i risultati ad individui non facenti parte della popolazione in esame.

(24)

Capitolo 2

Modelli di Serie Temporali

In questo capitolo sono illustrate alcune tecniche fondamentali riguardanti l’a-nalisi delle serie temporali. Saranno di particolare importanza i concetti di stazionarietà e linearità [6, 17, 31].

2.1

Le serie temporali

Per introdurre l’argomento, si espongono alcune nozioni basilari circa lo studio delle serie temporali.

Definizione 2.1.1. Una serie temporale è un insieme di osservazioni xt,

ciascuna registrata ad uno specifico tempo t ∈ T .

Questa tesi tratta di serie temporali a tempo discreto, ovvero dove l’insieme Tè discreto, come è il caso di osservazioni registrate ad intervalli di tempo fissati. Dato un insieme di n osservazioni eseguite a intervalli temporali uniformemente spaziati, è spesso conveniente riscalare l’asse del tempo in modo che T diventi l’insieme degli interi {1, 2, . . . , n}. Una serie temporale è continua quando le osservazioni sono acquisite in modo continuo per un intervallo di tempo, per esempio T = [0, 1].

Il seguente esempio (Figura 2.1) mostra la serie temporale di un voxel del cervello umano acquisita con una macchina per la Risonanza Magnetica, in una prova di tipo task-based. Durante la scansione il segnale è registrato ogni 0.72 secondi. Il grafico raffigura l’intensità del segnale BOLD del voxel (sull’asse Y ) in ciascun istante temporale (l’asse X rappresenta gli istanti di tempo). Per comodità T = {1, 2, . . . , 150}.

(25)

CAPITOLO 2. MODELLI DI SERIE TEMPORALI 24

Figura 2.1: Serie temporale di un voxel in una task-based fMRI.

Il primo passo dell’analisi di una serie temporale è fissare un modello di probabilità ipotetico per rappresentare i dati. I modelli di serie temporali han-no un’ampia varietà utilizzi a seconda dello specifico campo di applicazione: per esempio, rappresentano una descrizione compatta dei dati come somma di trend, stagionalità e rumore; altre applicazioni includono il filtrare il termine di rumore dal segnale e la predizione. Per tener conto della natura verosimilmente imprevedibile delle osservazioni future di una serie temporale, è ragionevole sup-porre che ciascuna osservazione xt sia una realizzazione di una certa variabile

aleatoria Xt.

Definizione 2.1.2. Un modello di serie temporale per i dati osservati {xt}t∈T è la specificazione delle distribuzioni finito dimensionali di una

fa-miglia di variabili aleatorie {Xt}t∈T, di cui supponiamo {xt}t∈T essere delle

realizzazioni.

Osservazione 2.1. Si utilizzerà frequentemente il termine serie temporale per indicare sia i dati osservati che il processo da cui si suppone siano campionati. Per definire un modello probabilistico di serie temporale per la successione di variabili aleatorie {Xt}t≥1 è necessario specificare le distribuzioni congiunte

dei vettori aleatori (X1, . . . , Xt)0 per t ≥ 1 o equivalentemente le probabilità:

P [X1≤ x1, . . . , Xt≤ xt] − ∞ < x1, . . . , xt< ∞, t ≥ 1.

La definizione teorica è raramente utilizzata nelle analisi pratiche perché con i dati a disposizione non è possibile precisare il modello in modo completo. In genere, è fattibile stimare i momenti di ordine uno e due di {Xt}t≥1:

- E[Xt]per t ≥ 1,

- E[XtXh]per t ≥ 1, h ≥ 1.

Per questo motivo, si focalizza l’attenzione sulle proprietà della famiglia di va-riabili aleatorie {Xt}t≥1che dipendono solamente da questi parametri, sebbene

(26)

CAPITOLO 2. MODELLI DI SERIE TEMPORALI 25 Nel caso particolare in cui (X1, . . . , Xt)0 per t ≥ 1 siano vettori aleatori

gaussiani, i momenti del primo e del secondo ordine determinano completamente la legge del processo e quindi forniscono una caratterizzazione completa del modello probabilistico di serie temporale.

2.2

Alcuni semplici modelli di analisi delle serie

temporali

In questo paragrafo sono mostrati degli esempi di modelli di serie temporali elementari: i modelli a media nulla e i modelli con trend e stagionalità.

2.2.1

Modelli a media nulla

Nel seguito, l’esame di due esempi di modelli di serie temporali a media nulla. 1. Rumore bianco

Il modello più semplice per una serie temporale è quello in cui non è pre-sente né la componente di trend né la stagionalità. Le osservazioni sono realizzazioni di variabili aleatorie con media nulla e varianza σ2,

indipen-denti. Un modello di serie temporale di questo tipo si chiama rumore bianco (White Noise) e si utilizza la notazione {Xt}t∈Z∼ WN(0, σ2).

Nel modello non c’è dipendenza tra le osservazioni. In particolare, per ogni n intero positivo, h ≥ 1 e per ogni x, x1, . . . , xn numeri reali, risulta:

P [Xn+h≤ x|X1= x1, . . . , Xn= xn] = P [Xn+h≤ x].

In altre parole, la conoscenza di X1, . . . , Xn non ha alcun valore per

pre-dire il comportamento di Xn+h. Sebbene questo significhi che il rumore

bianco sia un processo poco interessante per la predizione, è una compo-nente fondamentale per la formulazione di modelli di serie temporali più complessi.

2. Random walk

La random walk {St, t ≥ 0}con tempo iniziale 0 è il processo che si

ottie-ne sommando cumulativamente variabili aleatorie centrate indipendenti e identicamente distribuite. Più precisamente, è definita come:

S0= 0,

St= X1+ X2+ · · · + Xt per t ≥ 1,

dove {Xt}t≥1 è una famiglia di variabili aleatorie centrate indipendenti

e identicamente distribuite. Nel caso particolare in cui {Xt}t≥1 sia il

processo iid binario tale che: P [Xt= 1] =

1

2, P [Xt= −1] = 1 2,

{St, t ≥ 0} prende il nome di passeggiata aleatoria simmetrica semplice

(27)

CAPITOLO 2. MODELLI DI SERIE TEMPORALI 26 Si può interpretare il grafico in Figura 2.2 come il percorso di un pedone che al tempo 0 si trova nella posizione 0. In ciascun istante temporale lancia una moneta (non truccata) e fa un passo di un’unità a destra ogni volta che esce testa, di un’unità a sinistra ogni volta che esce croce.

Figura 2.2: Realizzazione di una passeggiata aleatoria simmetrica semplice.

2.2.2

Modelli con trend e stagionalità

Può accadere che i dati in esame mostrino particolari andamenti: per esempio, un andamento crescente o decrescente. In questi casi, i modelli a media nulla sono chiaramente inappropriati. Una soluzione può essere utilizzare modelli della forma:

Xt= mt+ Zt t ≥ 0,

dove mtè una funzione comunemente chiamata componente di trend e Ztè una

famiglia di variabili aleatorie a media nulla.

Date le osservazioni {x1, . . . , xn}, una tecnica per stimare la componente

di trend mt è il metodo dei minimi quadrati. Consiste nel fare aderire il più

possibile una famiglia parametrica di funzioni ai dati, selezionando i valori dei parametri che minimizzano la somma dei quadrati dei residui:

RES =

n

X

t=1

(xt− mt)2.

Il trend stimato può essere utilizzato per predire i valori futuri di {Xt}t≥0 se

per esempio, si approssima il rumore {Zt}t≥0con il suo valore atteso.

Alcune serie temporali sono influenzate da fattori che variano seguendo un particolare pattern che si ripete, i cui effetti possono essere rappresentati da

(28)

CAPITOLO 2. MODELLI DI SERIE TEMPORALI 27 una componente periodica, di periodo noto fissato. Per descrivere le fluttuazioni stagionali in assenza di trend si può utilizzare il modello:

Xt= st+ Zt t ≥ 0,

dove st è una funzione periodica di periodo d e Zt è una famiglia di variabili

aleatorie a media nulla.

Una scelta tipica per stè una somma di armoniche:

st= a0+ k

X

j=1

(ajcos(λjt) + bjsin(λjt)),

dove a0, a1, . . . , ak e b1. . . , bk sono parametri incogniti e λ1, . . . , λk sono

fre-quenze fissate multiple di 2π/d. Vale la pena testare combinazioni diverse di armoniche, al fine di trovare un’approssimazione soddisfacente della componente stagionale.

2.3

Modelli stazionari e funzione di

autocorrela-zione

Intuitivamente, una serie temporale {Xt, t ∈ Z} è stazionaria se ha proprietà

statistiche simili a quelle della serie temporale traslata {Xt+h, t ∈ Z} per ogni

h intero. Limitando l’attenzione alle proprietà che dipendono esclusivamente dai momenti di ordine uno e due di {Xt}t∈Z, questa idea si formalizza con le

seguenti definizioni.

Definizione 2.3.1. Sia {Xt}t∈Z una serie temporale con E[Xt2] < ∞ per ogni

t intero.

- La funzione delle medie di {Xt}t∈Zè µX: t → E[Xt] per t intero.

- La funzione di covarianza di {Xt}t∈Zè cX : (t, r) → Cov(Xt, Xr)

per t e r interi.

Definizione 2.3.2. Sia {Xt}t∈Z una serie temporale con E[Xt2] < ∞ per ogni

t intero, è (debolmente) stazionaria se:

(i) µX(t) è indipendente da t, ovvero E[Xt] = E[Xh] per ogni t e h interi;

(ii) cX(t, t + h) è indipendente da t per ogni h intero, ovvero

Cov(Xt, Xt+h) = Cov(Xr, Xr+h) per ogni t e r interi.

Osservazione 2.2. Nel seguito, si utilizzerà il termine stazionario per indicare la debole stazionarietà della Definizione 2.3.2, a meno che non sia specificato diversamente.

Per la condizione (ii) della Definizione 2.3.2, la funzione di covarianza di una serie temporale stazionaria è una funzione di una variabile.

Definizione 2.3.3. Sia {Xt}t∈Zuna serie temporale stazionaria, si definisce la

funzione di autocovarianza (ACVF) di {Xt}t∈Z al lag h ∈ Z come:

(29)

CAPITOLO 2. MODELLI DI SERIE TEMPORALI 28 La funzione di autocorrelazione (ACF) di {Xt}t∈Zal lag h è la funzione:

ρX(h) = Cor(Xt+h, Xt) =

cX(h)

cX(0)

per h intero.

2.3.1

Funzione di autocorrelazione empirica

È stata definita la funzione di autocorrelazione per modelli stazionari di serie temporali, tuttavia nei problemi pratici ciò che si ha a disposizione sono le osser-vazioni. Le seguenti definizioni sono la versione per il campione delle definizioni di funzione di autocovarianza e autocorrelazione date per modelli stazionari di serie temporali.

Definizione 2.3.4. Siano {x1, . . . , xn} osservazioni di una serie temporale.

- La media empirica di {x1, . . . , xn} è: x = 1 n n X t=1 xt.

- La funzione di autocovarianza empirica è:

ˆ c(h) = 1 n n−|h| X t=1 (xt+|h|− x)(xt− x) per − n < h < n.

- La funzione di autocorrelazione empirica è: ˆ

ρ(h) =c(h)ˆ ˆ

c(0) per − n < h < n.

Osservazione 2.3. Nella definizione di funzione di autocovarianza empirica, dividere per n assicura che la matrice di autocovarianza empirica

ˆ

Cn= [ˆc(i−j)]ni,j=1 sia semidefinita positiva. Anche la matrice di

autocorrelazio-ne empirica ˆRn = [ ˆρ(i−j)]ni,j=1 è semidefinita positiva, inoltre ciascun elemento

diagonale è uguale a 1. Talvolta, nella definizione di ˆc(h) il fattore n−1 è sosti-tuito da (n − h)−1, ma le risultanti matrici di autocovarianza e autocorrelazione empiriche potrebbero non essere semidefinite positive [6].

Le funzioni di autocovarianza e autocorrelazione empiriche possono essere calcolate per ogni set di dati {x1, . . . , xn}, non sono limitate ad osservazioni di

serie temporali stazionarie, e sono un importante strumento per esaminare i dati osservati. ˆρ(·) può essere un utile indicatore di non stazionarietà:

- per dati contenenti un trend, |ˆρ(h)| presenta un lento declino all’aumentare del lag h;

- per dati con una significativa componente periodica deterministica, |ˆρ(h)| mostra un simile comportamento, con la stessa periodicità.

Se invece si ritiene che i dati siano realizzazioni di un processo stazionario, la ACF del campione fornisce una stima della funzione di autocorrelazione teorica. Inoltre, può aiutare a capire quale tra i possibili modelli stazionari di serie temporali sia un buon candidato per caratterizzare i dati in esame.

(30)

CAPITOLO 2. MODELLI DI SERIE TEMPORALI 29

2.3.2

Proprietà elementari dei processi stazionari

Un obiettivo dell’analisi delle serie temporali è la predizione. È naturale che in questo ambito giochino un ruolo centrale i processi stazionari le cui proprietà, o almeno alcune di esse, non variano nel tempo. La ACVF e la ACF forniscono una misura del grado di dipendenza tra i valori di una serie temporale in tempi diversi; sono dunque di centrale importanza. Nel seguito, sono esaminate al-cune proprietà delle funzioni di autocovarianza e autocorrelazione di una serie temporale stazionaria {Xt}t∈Z.

Proposizione 2.3.1. Proprietà elementari di cX(·).

1. cX(0) ≥ 0;

2. |cX(h)| ≤ cX(0) per ogni h intero;

3. cX(·) è pari, ovvero cX(h) = cX(−h) per ogni h intero.

Dimostrazione. La prima proprietà è semplicemente l’affermazione che la va-rianza è positiva. La seconda, è un’immediata conseguenza del fatto che la correlazione è minore o uguale a 1 in valore assoluto:

|cX(h)|

cX(0)

= |ρX(h)| ≤ 1.

La terza proprietà si prova osservando che per ogni h intero, valgono le seguenti uguaglianze:

cX(h) = Cov(Xt+h, Xt) = Cov(Xt, Xt+h) = cX(−h).

La funzione di autocovarianza ha un’altra proprietà fondamentale: essere semidefinita positiva.

Definizione 2.3.5. Una funzione f a valori reali definita sugli interi è semi-definita positiva se per ogni intero positivo n e vettore a = (a1, . . . , an)0 di

numeri reali, risulta:

n X i=1 n X j=1 aif (i − j)aj≥ 0.

Teorema 2.3.1. Una funzione a valori reali definita sugli interi è la funzio-ne di autocovarianza di una serie temporale stazionaria se e solo se è pari e semidefinita positiva.

Dimostrazione. La funzione di autocovarianza cX(·)di una serie temporale

sta-zionaria {Xt}t∈Zè pari, resta da verificare che sia anche semidefinita positiva.

Sia a0= (a

1, . . . , an)0 un vettore di componenti reali e sia Xn = (X1, . . . , Xn)0.

Dalla non negatività della varianza segue che: Var(a0Xn) = a0Γna =

n

X

i,j=1

aicX(i − j)aj ≥ 0,

dove Γn è la matrice di covarianza del vettore aleatorio Xn. La disuguaglianza

ottenuta è esattamente la definizione di semidefinita positività di cX(·).

Il risultato inverso è più complesso da dimostrare, per la dimostrazione fare riferimento a [7].

(31)

CAPITOLO 2. MODELLI DI SERIE TEMPORALI 30 Osservazione 2.4. La funzione di autocorrelazione ρ(·) gode di tutte le proprie-tà della funzione di autocovarianza e soddisfa l’ulteriore condizione ρ(0) = 1. In particolare, ρ(·) è la funzione di autocorrelazione di un processo stazionario se e solo se è una ACVF con ρ(0) = 1.

Osservazione 2.5. Per accertarsi che una funzione sia semidefinita positiva è spesso più semplice trovare un processo stazionario che abbia la data funzione come ACVF o utilizzare specifici criteri (per esempio, il Teorema di Bochner), piuttosto che verificare direttamente la condizione della definizione.

2.3.3

Esempi di serie temporali stazionarie

Adesso, alcuni esempi di serie temporali stazionarie. 1. Rumore bianco

Il rumore bianco {Xt}t∈Zè un modello stazionario di serie temporale. Il

primo punto della Definizione 2.3.2 è chiaramente soddisfatto dal momento che E[Xt] = 0per ogni t ∈ Z. Le variabili aleatorie Xtsono indipendenti,

per cui:

cX(t + h, t) = E[Xt+hXt] = E[Xt+h]E[Xt] =

(

σ2 se h = 0,

0 se h 6= 0, per ogni t ∈ Z.

Questo mostra che la funzione delle medie µX(·)e la funzione di covarianza

cX(·, · + h) non dipendono da t, ovvero che il processo è stazionario.

2. Processo a media mobile del primo ordine o MA(1) Si consideri la serie temporale definita dall’equazione:

Xt= Zt+ θZt−1 per t ∈ Z,

dove {Zt}t∈Z∼ WN(0, σ2)e θ ∈ R è una costante.

Dalla definizione segue che: - E[Xt] = 0 per ogni t ∈ Z,

- E[X2

t] = E[Zt2] + θ2E[Zt−12 ] = σ2(1 + θ2) per ogni t ∈ Z,

- cX(t + h, t) =        σ2(1 + θ2) se h = 0, θE[Zt2] = θσ2 se h = ±1, 0 se |h| > 1, per ogni t ∈ Z. Le richieste della Definizione 2.3.2 sono soddisfatte: il processo {Xt}t∈Zè

stazionario. La funzione di autocorrelazione di {Xt}t∈Zè : ρX(h) =        1 se h = 0, θ/(1 + θ2) se h = ±1, 0 se |h| > 1.

(32)

CAPITOLO 2. MODELLI DI SERIE TEMPORALI 31 Il processo {Xt}t∈Zsi chiama modello a media mobile del primo ordine e

si utilizza la notazione {Xt}t∈Z∼ MA(1).

4. Processo autoregressivo del primo ordine o AR(1)

Sia {Zt}t∈Z ∼ WN(0, σ2) e {Xt}t∈Z una soluzione stazionaria

dell’equa-zione:

Xt= φXt−1+ Zt per t ∈ Z, (2.1)

dove |φ| < 1 e Zt è scorrelato da Xsper ogni s < t.

Nel seguito (Osservazione 2.9), si dimostra che dato un rumore bianco {Zt}t∈Z esiste un’unica serie temporale stazionaria {Xt}t∈Zche soddisfa

la relazione (2.1) per ogni φ 6= ±1.

Passando al valore atteso da entrambi i lati dell’equazione e utilizzando il fatto che E[Zt] = 0 per ogni t ∈ Z, si trova che {Xt}t∈Z ha media

nulla. Di seguito, è mostrato il calcolo della funzione di autocovarianza del processo, per h > 0. Sfruttando la bilinearità della funzione covarianza e le proprietà di {Xt}t∈Z, risulta:

cX(h) = Cov(Xt, Xt−h)

= φCov(Xt−1, Xt−h) + Cov(Zt, Xt−h)

= φcX(h − 1).

Il termine Cov(Zt, Xt−h)è nullo perché Ztè scorrelato da Xt−hse h > 0.

Iterando il procedimento si ottiene la seguente equazione: cX(h) = φcX(h − 1) = φ2cX(h − 2) = · · · = φhcX(0).

Ricordando che la funzione di autocovarianza è pari, si può scrivere: cX(h) = φ|h|cX(0) per h 6= 0.

Resta da calcolare cX(0):

cX(0) = Cov(Xt, Xt) = Cov(φXt−1+ Zt, φXt−1+ Zt) = φ2cX(0) + σ2,

da cui cX(0) = σ2/(1 − φ2).

Sono stati verificati i seguenti risultati.

- La funzione di autocovarianza di {Xt}t∈Zè: cX(h) = ( φ|h|σ2/(1 − φ2) per h 6= 0, σ2/(1 − φ2) per h = 0. - La funzione di autocorrelazione di {Xt}t∈Zè: ρX(h) = φ|h| per h ∈ Z.

Il processo {Xt}t∈Z si chiama modello autoregressivo del primo ordine e

(33)

CAPITOLO 2. MODELLI DI SERIE TEMPORALI 32

2.3.4

Processi strettamente stazionari

Se {Xt}t∈Zè una serie temporale stazionaria, i vettori aleatori (X1, . . . , Xn)0 e

(X1+h, . . . , Xn+h)0hanno gli stessi vettori delle medie e matrici di covarianza per

ogni intero h e intero positivo n. Una serie temporale strettamente stazionaria è una in cui le distribuzioni congiunte dei due vettori aleatori, non solo medie e covarianze, coincidono. La definizione esatta è la seguente.

Definizione 2.3.6. Sia {Xt}t∈Z una serie temporale, è strettamente

sta-zionaria se per ogni h e n ≥ 1 interi, risulta: (X1, . . . , Xn)0

d

= (X1+h, . . . , Xn+h)0,

dove il simbolo= è usato per indicare che i due vettori aleatori hanno la stessad distribuzione congiunta.

Di seguito sono elencate alcune proprietà elementari delle serie temporali strettamente stazionarie.

Proposizione 2.3.2. Sia {Xt}t∈Z una serie temporale strettamente

staziona-ria, allora valgono i seguenti risultati.

a. Le variabili aleatorie {Xt}t∈Z sono identicamente distribuite.

b. Per ogni h e t interi, (Xt, Xt+h)0 d= (X1, X1+h)0.

c. Se E[X2

t] < ∞ per ogni t ∈ Z, allora {Xt}t∈Z è anche debolmente

stazio-naria.

d. Una successione di variabili aleatorie iid è strettamente stazionaria. Dimostrazione. Le proprietà a. e b. seguono immediatamente dalla definizione di stretta stazionarietà.

Se il processo {Xt}t∈Zha momenti secondi finiti, dai punti a. e b. segue che

la funzione delle medie è indipendente da t e Cov(Xt, Xt+h) = Cov(X1, X1+h)

per ogni h e t interi. Il terzo punto è quindi dimostrato.

Se {Xt}t∈Z sono variabili aleatorie indipendenti e identicamente distribuite

con funzione di ripartizione F , la funzione di ripartizione congiunta del vettore aleatorio (X1+h, . . . , Xn+h)0 valutata nel punto (x1, . . . , xn)0 è il prodotto delle

funzioni di ripartizione nei singoli punti. Segue che la funzione di ripartizione e dunque la legge di (X1+h, . . . , Xn+h)0 è indipendente da h e questo prova la

stretta stazionarietà di {Xt}t∈Z.

Uno dei modi più semplici per costruire una serie temporale {Xt}t∈Z

stretta-mente stazionaria (e quindi stazionaria se ha momenti secondi finiti) è "filtrare" una famiglia di variabili aleatorie iid. Sia {Zt}t∈Z una successione di variabili

aleatorie iid, per la Proposizione 2.3.2 è un processo strettamente stazionario. Sia

Xt= g(Zt, Zt−1, . . . , Zt−q) t ∈ Z, (2.2)

dove g(·) è una funzione a valori reali. {Xt}t∈Z è una serie temporale

stretta-mente stazionaria perché

(Zt, . . . , Zt−q) d

(34)

CAPITOLO 2. MODELLI DI SERIE TEMPORALI 33 per ogni h intero.

Dalla definizione di stretta stazionarietà segue che {Xt}t∈Zè q-dipendente,

ossia Xs e Xtsono indipendenti quando |t − s| > q.

Similmente, una serie temporale è q-correlata se c(h) = 0 per |h| > q. Il processo a media mobile di ordine q definito di seguito è un esempio di serie temporale q-correlata.

Definizione 2.3.7. Sia {Xt}t∈Zuna serie temporale, è un processo a media

mobile di ordine q o MA(q) se:

Xt= Zt+ θ1Zt−1+ · · · + θqZt−q per t ∈ Z,

dove {Zt}t∈Z∼ WN(0, σ2) e θ1, . . . , θq sono costanti.

È facile verificare che un processo MA(q) è stazionario ed è anche stretta-mente stazionario se {Zt}t∈Z sono variabili aleatorie iid (si tratta di un caso

particolare di (2.2) con g una funzione lineare).

L’importanza dei modelli di serie temporali MA(q) deriva dal fatto che ogni processo q-correlato può essere espresso nella forma di processo MA(q). Proposizione 2.3.3. Sia {Xt}t∈Z una serie temporale stazionaria q-correlata

con media 0, allora può essere rappresentata come un processo MA(q). La dimostrazione della proposizione si trova in [7].

2.4

Modelli Lineari

La classe dei modelli lineari fornisce un quadro generale per studiare i processi stazionari. Preliminarmente, sono presentati alcuni risultati necessari per poter progredire con la teoria [17].

Lemma 2.4.1. Sia {Zj}j∈Z una famiglia di variabili aleatorie tale che: ∞

X

j=−∞

E|Zj| < ∞.

Allora la variabile aleatoriaP∞

j=−∞Zj è definita come limite quasi certo e

E  ∞ X j=−∞ Zj  = ∞ X j=−∞ E[Zj].

Dimostrazione. Sia {Yk}k≥0la successione non decrescente di variabili aleatorie

definita da: Yk= k X j=−k |Zj|.

Il limite puntuale di Yk per k → ∞ è definito. Si osserva che:

(35)

CAPITOLO 2. MODELLI DI SERIE TEMPORALI 34 - {E[Yk]}k≥0 è una successione limitata:

E[Yk] = k X j=−k E|Zj| ≤ ∞ X j=−∞ E|Zj| < ∞.

Per il Teorema di Convergenza Monotona: E  ∞ X j=−∞ |Zj|  = lim j→∞E[Yj] = ∞ X j=−∞ E|Zj|. La variabile aleatoria P∞

j=−∞|Zj| è positiva e ha valore atteso finito, quindi è

finita quasi certamente. Di conseguenza, esiste anche il limite quasi certo:

∞ X j=−∞ Zj= lim k→∞ k X j=−k Zj. Le somme parziali Pk

j=−kZj sono integrabili e dominate da una variabile

alea-toria integrabile: k X j=−k Zj ≤ ∞ X j=−∞ |Zj|.

Per il Teorema di Convergenza Dominata, si conclude che P∞

j=−∞Zjè integra-bile e che E  ∞ X j=−∞ Zj  = lim k→∞E  k X j=−k Zj  = ∞ X j=−∞ E[Zj].

Teorema 2.4.1. Sia {Zj}j∈Zuna famiglia di variabili aleatorie con

E[Z2

j] ≤ K per ogni j ∈ Z (con K finito). Siano {aj}j∈Z numeri reali che

soddisfano P∞

j=−∞|aj| < ∞. Allora esiste una successione di variabili aleatorie

{Xt}t∈Ztale che: Xt= ∞ X j=−∞ ajZt−j q.c. per t ∈ Z.

La convergenza è anche in media quadratica: limk→∞E  Xt−P k j=−kajZt−j 2 = 0. Inoltre, i momenti secondi di {Xt}t∈Z sono uniformemente limitati.

Dimostrazione. Dalle proprietà dei momenti di {Zj}j∈Z segue che: ∞ X j=−∞ E|ajZt−j| ≤ √ K ∞ X j=−∞ |aj| < ∞ per ogni t ∈ Z.

Il Lemma 2.4.1 può essere applicato al processo {ajZt−j}j∈Z per ogni t ∈ Z.

Segue che {Xt}t∈Z è ben definito come limite quasi certo e

E  ∞ X j=−∞ ajZt−j  = ∞ X j=−∞ EajZt−j t ∈ Z.

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