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Il laboratorio di prova accreditato a supporto dell'operatore del settore alimentare: esperienze riguardo alla conferma della shelf-life di prodotti lattiero-caseari

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Università di Pisa

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali

Corso di Laurea Magistrale in Biosicurezza e Qualità degli Alimenti

Tesi di Laurea Magistrale

Il laboratorio di prova accreditato a supporto dell’Operatore del

Settore Alimentare: esperienze riguardo alla conferma della shelf-life

di prodotti lattiero-caseari

Candidata Relatori

Martina Pisapia Prof.ssa Francesca Pedonese Dott.ssa Fausta Giannattasio

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INDICE

RIASSUNTO ……… 4

INTRODUZIONE ……… 6

1. L’INTERAZIONE TRA MICRORGANISMI ED ALIMENTI 1.1 Generalità sui microrganismi presenti negli alimenti: microrganismi utili, patogeni ed alteranti ……… 8

1.2 I microrganismi utili ……….. 17

1.3 I microrganismi patogeni e le malattie a trasmissione alimentare nelle diverse tipologie di alimenti ……….…………. 20

1.4 I microrganismi alteranti e le alterazioni degli alimenti ……….………… 29

1.5 Processi degradativi microbici nelle diverse categorie di alimenti………..……….. 37

2. LA SHELF-LIFE DEGLI ALIMENTI ……….……. 42

2.1 Shelf-life e importanza pratica …………..………. 43

2.2 Indicatori fisici, chimici, sensoriali e microbiologici per la determinazione della shelf-life ..……… 50

3. CONTESTO NORMATIVO: la produzione di alimenti ed i criteri microbiologici definiti dalla normativa .………... 56

4. MOZZARELLA DI BUFALA CAMPANA DOP E RICOTTA DI BUFALA CAMPANA DOP: principi tecnologici e cenni sul profilo alterativo microbico di mozzarelle e ricotte ……….. 69

5. IL LABORATORIO DI PROVA ACCREDITATO 5.1 il laboratorio di prova accreditato ed il ruolo di ausilio nei confronti dell’Operatore del Settore Alimentare ……….. 78

6. SCOPO DELLA TESI ……… 84

7. MATERIALI E METODI ………...………... 85

8. RISULTATI E DISCUSSIONE ……….. 92

CONCLUSIONI ………..…. 104

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Riassunto

Per laboratorio di prova si intende una struttura, pubblica o privata, che opera con ragione sociale propria o all’interno di un’azienda o di una struttura pubblica, per effettuare analisi, prove e diagnosi in una molteplicità di settori, in funzione degli specifici clienti a cui si rivolge. I segmenti di mercato in cui esercita il laboratorio possono essere di natura privatistica, ovvero regolati da provvedimenti normativi, quando sono individuate specifiche esigenze di salute e sicurezza pubblica (come per gli alimenti e la tutela della salute). I settori in cui i laboratori di prova svolgono le proprie attività sono molteplici e tra essi figura quello della sicurezza alimentare, che riguarda il campo di applicazione di questa tesi.

L’accreditamento attesta la competenza, l’indipendenza e l’imparzialità dei laboratori di prova e ne assicura l’idoneità a valutare la conformità di beni e servizi (nel nostro specifico caso gli alimenti prodotti da un operatore del settore alimentare o OSA), alle prescrizioni stabilite da norme volontarie e obbligatorie. L’accreditamento viene concesso da Accredia, che è l'ente designato dal Governo italiano ad attestare la competenza, l'indipendenza e l'imparzialità degli organismi e dei laboratori che verificano la conformità dei beni e dei servizi alle norme. Esso accredita gli operatori di valutazione della conformità che, a conclusione di un percorso di verifica regolare e approfondito, risultino in possesso dei requisiti previsti dalle norme armonizzate, dai documenti e dai regolamenti applicabili allo specifico schema e settore di attività. Nello specifico, per i laboratori di prova, la norma di riferimento attuale per l’accreditamento è l’ISO/IEC 17025 sui requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura.

Il lavoro di tesi è stato svolto presso un laboratorio di prova accreditato della Campania ed è stato incentrato su una serie di analisi finalizzate alla conferma della shelf-life assegnata dall’OSA a due prodotti lattiero-caseari altamente deperibili, una mozzarella di bufala ed una ricotta fresca, che sono stati esaminati sia previa conservazione alla corretta temperatura di refrigerazione che in condizioni di abuso termico, allo scopo di simulare condizioni di non corretta applicazione della catena del freddo, che possono frequentemente riscontrarsi nel corso della vita commerciale degli alimenti refrigerati. In maggior dettaglio

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sono stati esaminati tre lotti per ciascun prodotto, con valutazione dei seguenti parametri microbiologici: carica batterica totale, batteri lattici, lieviti e muffe, coliformi, Escherichia coli, stafilococchi coagulasi-positivi,

Pseudomonadaceae. Le determinazioni quantitative di tali categorie microbiche

sono state effettuate al tempo 0 (T0) e dopo 4 (T4), 7 (T7) (shelf-life fissata dal produttore) e 10 (T10) giorni di stoccaggio a 3°C e a 9°C. Parallelamente sono stati valutati aspetto, colore, odore e consistenza dei prodotti. Per quanto riguarda la mozzarella, le maggiori categorie alteranti sono risultate rappresentate da lieviti, muffe e coliformi che hanno aumentato da T0 a T7 rispettivamente le loro cariche di 1 log, 2 log e 1,5 log a 3°C e di quasi 2 log, 2,5 log e quasi 2 log a 9°C. Nel caso della ricotta, i maggiori incrementi di cariche sono stati registrati a carico di lieviti, coliformi e batteri lattici, che hanno aumentato da T0 a T7 rispettivamente le loro cariche di più di 1,5 log, più di 2 log e 2,5 log a 3°C e di quasi 3 log, più di 3 log e quasi 3 log in abuso termico. Le cariche totali non hanno mai superato a T7 i 7 log ufc/g, generalmente considerato come limite di spoilage. Riguardo ai rilievi sensoriali, tutti i prodotti hanno mostrato segni diversi di alterazione a T10; le mozzarelle si sono mantenute generalmente entro limiti di accettabilità a T7, mentre le ricotte in abuso termico presentavano allo stesso tempo un’iniziale alterazione dell’odore. Riguardo agli indicatori di igiene, Escherichia coli e stafilococchi coagulasi-positivi sono sempre risultati rispettivamente assenti o in cariche molto contenute, mentre più elevate sono risultate le cariche dei coliformi, con progressivi incrementi durante lo stoccaggio. Considerando il ruolo di indicatore igienico globale di questa categoria microbica, peraltro non considerata un criterio di igiene di processo per i prodotti in esame secondo il Reg. CE 20173/2005, è opportuno cercare di mantenere più bassi possibili i valori del parametro al tempo 0. Nel complesso, sulla base dei dati ottenuti presso il laboratorio di prova, nel suo ruolo di ausilio nei confronti dell’OSA, può essere confermata la shelf-life dei prodotti precedentemente assegnata dal produttore (7 giorni), anche se, nella non improbabile eventualità di abusi termici durante la fase di distribuzione e commercializzazione, la durabilità dei prodotti, e specialmente della ricotta, risulta ai limiti dell’accettabilità sensoriale per il consumatore.

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INTRODUZIONE

L’attuale quadro normativo riguardante il settore alimentare, incentrato sui Regolamenti del cosiddetto “Pacchetto Igiene”, identifica gli Operatori del Settore Alimentare (OSA), interessati ai diversi livelli della filiera, come figure responsabili della sicurezza e della piena accettabilità degli alimenti che li riguardano, a tutela del consumatore.

Per quanto riguarda in particolare gli aspetti microbiologici relativi alla sicurezza ed al controllo igienico del processo produttivo, il Regolamento CE 2073/2005 con le successive modifiche ed integrazioni rappresenta uno strumento fondamentale, attraverso la definizione di criteri di sicurezza alimentare e di criteri di igiene di processo specifici per i diversi alimenti, sia per l’OSA che per le autorità ufficiali responsabili del controllo, ai fini dell’ottenimento di alimenti sicuri ed adeguatamente prodotti.

Tra le responsabilità dell’OSA, c’è anche quella di determinare la shelf-life effettiva dei propri prodotti, fissando per essi una data di scadenza, in caso di alimenti deperibili, o un termine minimo di conservazione, negli altri casi, con l’eccezione di pochi prodotti deperibili, ad esempio il latte fresco pastorizzato, per i quali la data di scadenza viene stabilita dalla legge.

Per effettuare una valutazione corretta della durabilità effettiva dei propri prodotti, può essere necessario o opportuno, a seconda dei casi, effettuare analisi mirate, di tipo microbiologico, fisico-chimico o sensoriale. Ai fini dell’effettuazione di queste analisi e della loro interpretazione, risulta di sicuro ausilio il supporto di un laboratorio di prova che si affianchi all’OSA.

Questo lavoro di tesi è stato proprio incentrato sull’esecuzione presso un laboratorio di prova accreditato di una serie di analisi microbiologiche volte a fornire indicazioni circa la correttezza della shelf-life, e quindi della data di scadenza, stabilita dal produttore per due prodotti lattiero-caseari della tradizione campana, la Mozzarella di Bufala Campana DOP e la Ricotta di Bufala Campana DOP.

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Nella parte compilativa del lavoro sono stati approfonditi aspetti riguardanti il ruolo delle microflore alteranti, patogene e di interesse tecnologico negli alimenti, il significato della shelf-life e dei suoi principali indicatori, il contesto normativo specifico, il ruolo del laboratorio di prova accreditato ed, infine, sono stati presi in considerazione i processi produttivi dei due prodotti in esame ed i principali processi alterativi ad essi relativi.

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Capitolo 1

LE INTERAZIONI TRA MICRORGANISMI ED

ALIMENTI

1.1 Generalità sui microrganismi presenti negli

alimenti: microrganismi utili, patogeni ed alteranti

É difficile definire con esattezza quando l’uomo abbia iniziato a rendersi conto della presenza e del ruolo dei microrganismi negli alimenti. Sicuramente tale consapevolezza è antecedente alla nascita della microbiologia come scienza e pertanto la si può inserire nella cosiddetta era prescientifica. Questa può essere suddivisa in due periodi: quello dell’approvvigionamento degli alimenti, che risale all’epoca della comparsa della specie umana sulla Terra, e quello della produzione di alimenti, che chiaramente fa riferimento alla fase nella quale l'uomo ha iniziato a coltivare, ad allevare e a preparare alimenti complessi.

Quest’ultimo periodo è iniziato circa 10.000 anni fa e prosegue fino ai giorni nostri. All’inizio di questo periodo comparvero i primi problemi legati alla rapida alterazione dei prodotti, causata da impropria conservazione, e inoltre ci fu la comparsa anche delle prime malattie trasmesse dagli alimenti.

E’ difficile stabilire se a quel tempo si comprendesse la natura delle nuove tecniche di conservazione applicate, così come non è certo che vi fosse consapevolezza del ruolo degli alimenti nella trasmissione di malattie e dei rischi derivanti dal consumo di prodotti di derivazione animale (James et al., 2009). Questa considerazione è rimasta valida fino a tempi recenti. Infatti, ad esempio, sebbene nel XVIII secolo le persone fossero a conoscenza delle caratteristiche qualitative dei prodotti di origine animale, è improbabile che fossero anche consapevoli del nesso tra qualità e microrganismi.

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Un primo timido tentativo di comprendere questa corrispondenza fu effettuato da Kircher, che nel 1658 aveva osservato che, trascorso un dato tempo, alimenti come carne, latte o altre sostanze iniziavano a deteriorarsi, e iniziavano a crescere forme di vita strane, non visibili ad occhio nudo, che lo scienziato definì semplicemente “vermi”. Quasi cento anni dopo, Spallanzani notò che il brodo di carne, se fatto bollire per un’ora ed ermeticamente sigillato, non si alterava. Egli effettuò questo esperimento con lo scopo di confutare la dottrina della generazione spontanea, ma non fu convincente in quanto i fautori della teoria sostennero che il trattamento termico da lui operato escludeva l’ossigeno, composto vitale sufficiente e necessario affinché si sviluppassero spontaneamente microrganismi sull'alimento. A tal proposito, successivamente, nel 1837, Schwann, facendo gorgogliare negli infusi aria prima riscaldata ad alta temperatura e poi raffreddata, dimostrò che era proprio la bollitura che faceva sì che gli infusi rimanessero sterili, anche in presenza di aria (James et al., 2009).

Nonostante entrambi gli scienziati avessero quindi dimostrato il principio fondamentale di conservazione degli alimenti attraverso il calore, nessuno dei due era riuscito ad avvalersi dei risultati ottenuti per passare alla sua applicazione. Applicazioni pratiche riguardo alla conservazione tramite calore furono sviluppate infatti tra il 1789 e 1793 da Appert.

Precedentemente, un altro importante passo in avanti fu fatto quando, alla fine del XVII secolo, Antoni Van Leeuwenhoek, considerato uno dei padri della microscopia, mise a punto un microscopio in grado di raggiungere ingrandimenti di 300 volte le dimensioni reali degli oggetti, riuscendo per la prima volta a osservare da vicino e con accuratezza le forme di vita che erano presenti sugli alimenti, invisibili ad occhio nudo, e a descriverle accuratamente, osservandone la forma (a sfera, bastoncello e spirale) e i numerosi movimenti, e denominandoli però, in via generica,

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Forte di tutte le scoperte precedenti, Pasteur comprese per primo e riconobbe la presenza e il ruolo dei microrganismi negli alimenti. Egli, a seguito di vari esperimenti, aveva osservato che l’inacidimento del latte era causato da microrganismi che si sviluppavano all'interno del liquido se non consumato in un tempo relativamente breve e non conservato in modo appropriato; inoltre riuscì a distruggere i microrganismi indesiderati nel vino e nella birra utilizzando il calore, impiegando il processo oggi universalmente chiamato in suo onore pastorizzazione.

Nel corso degli anni vi sono stati numerosi cambiamenti nella tassonomia dei microrganismi di origine alimentare, a dimostrazione della loro varietà e complessità. É importante comprendere, dunque, le attività dei microrganismi associati agli animali e agli alimenti da essi derivati nei loro habitat naturali e i rispettivi ruoli. I microrganismi sono capaci di dare luogo a numerose reazioni chimiche anche complesse, ai fini della loro sopravvivenza, in quanto essi devono procurarsi le sostanze nutritive dalla materia organica, che essenzialmente costituisce parte delle nostre fonti di approvvigionamento alimentare. È ben noto che gli alimenti non trattati possono contenere un numero variabile di batteri, muffe e lieviti. Risulta quindi di fondamentale importanza individuare quali tipologie di microrganismi sono normalmente presenti negli alimenti, variamente prodotti e manipolati. Per poter procedere ad una precisa analisi dei microrganismi in tale ottica è fondamentale partire dalla definizione del concetto di alimento.

Per alimento si intende “qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani (...)”1. Obiettivo condiviso e esigenza

1Definito dal Regolamento CE n. 178/2002 “(...) Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi

sostanza, compresa l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento. Esso include l’acqua nei punti in cui i valori devono essere rispettati come stabilito all’articolo 6 della direttiva 98/83/CE e fatti salvi i requisiti delle direttive 80/778/CEE e 98/83/CE. Non sono compresi: i mangimi; gli animali vivi, a meno che siano preparati per l’immissione sul mercato ai fini del consumo umano; i vegetali prima della raccolta; i medicinali ai sensi delle direttive del Consiglio 65/65/CEE e 92/73/CEE; i cosmetici ai sensi della direttiva

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sempre crescente nella storia dell'uomo è quello di produrre alimenti con caratteristiche organolettiche e nutrizionali specifiche, oltre che accertare un idoneo livello di sicurezza per la salute umana contro le alterazioni che potrebbero interessare l'alimento stesso. Oggi la microbiologia degli alimenti è una scienza che ha compiuto passi da gigante ed è ancora in grande evoluzione, comprendendo diverse aree di interesse strettamente interrelate. Le aree principali possono essere così riassunte (Villani, 2007):

 le fermentazioni alimentari, il cui studio è finalizzato alla produzione, conservazione e miglioramento degli alimenti mediante l’intervento dei microrganismi;

 le malattie microbiche trasmesse attraverso gli alimenti, il cui studio è rivolto alla protezione del consumatore nei confronti di microrganismi patogeni trasmessi con gli alimenti;

 le alterazioni microbiche degli alimenti, il cui studio è finalizzato alla prevenzione del deterioramento degli alimenti dovuto alle attività microbiche;

 il controllo della qualità e sicurezza microbiologica degli alimenti;  i metodi di analisi microbiologica degli alimenti.

Inoltre, nel tempo e con il progresso scientifico si è arrivati alla certezza che non tutti i microrganismi sono nemici dell'uomo. Infatti, sulla base dei rapporti che questi contraggono con l'ospite, si distinguono diversi tipi di microrganismi:

 saprofiti o commensali: vivono e si moltiplicano a contatto con l'ospite senza provocare danni; anzi, a volte si può instaurare un rapporto di reciproco beneficio (simbiosi); questi microrganismi sono utili;

76/768/CEE del Consiglio; il tabacco e i prodotti del tabacco ai sensi della direttiva 89/622/CEE del Consiglio; le sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi della convenzione unica delle Nazioni Unite sugli stupefacenti del 1961; della convenzione delle Nazioni Unite sulle sostanze psicotrope del 1971; residui e contaminanti.”

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 patogeni o dannosi: microrganismi che tendono a provocare malattia;

 opportunisti: microrganismi normalmente innocui, ma in grado di provocare malattie, anche gravi, in seguito ad un indebolimento delle difese organiche.

In ogni alimento il numero e il tipo dei microrganismi presenti varia e dipende dall'azione combinata di numerosi fattori, vi si possono distinguere microrganismi, in generale, con elevato impatto (quali batteri, lieviti e muffe) e altri con minore impatto (ad esempio alghe, virus e protozoi).

Semplificando, possiamo osservare che in ogni alimento possono essere presenti microrganismi cosiddetti utili, nel senso che si tratta di microrganismi utilizzati per la trasformazione e la conservazione degli alimenti (pro-tecnologici); possono essere inoltre presenti microrganismi dannosi, i cosiddetti microrganismi patogeni

(food-borne pathogens) e alterativi (anti-tecnologici); infine in alcuni casi

la presenza di alcune specie o ceppi di batteri, di lieviti o di muffe non comporta modifiche alle caratteristiche dell'alimento contaminato e quindi la loro azione è del tutto indifferente. Quanto detto viene riassunto nella tabella riportata di seguito, definendo oltre al tipo di microrganismi anche il ruolo.

Tabella 1 - I microrganismi presenti negli alimenti e i relativi ruoli (Villani, 2007)

GRUPPO RUOLO ESEMPI

MICRORGANISMI DI TRASFORMAZIONE (PRO-TECNOLOGICI) Produzione Conservazione Sicurezza BATTERI:

Batteri lattici; Micrococcaceae;

Propionibatteri; Acetobatteri; Bifidobatteri.

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13 MICRORGANISMI ALTERATIVI (SPOILAGE ORGANISMS) (ANTI-TECNOLOGICI) Alterazioni (modificazioni fisico-chimiche e/o biologiche inaccettabili)

BATTERI: Pseudomonas spp., Aeromonas spp., Photobacterium spp., Achromobacter spp., Shewanella spp., Xanthomonas spp., Vibrio spp., Flavobacterium spp., Enterobacteriaceae; Bacillus spp., Clostridium spp., Brochonthrix thermosphacta; Micrococcus spp., Batteri lattici. Lieviti e muffe MICRORGANISMI PATOGENI

(FOOD-BORNE PATHOGENS) Infezioni Intossicazioni

BATTERI:

Salmonella spp.; Yersinia enterocolitica; Escherichia coli; Shigella spp.;

Campylobacter spp.; Aeromonas spp.; Vibrio spp.; Bacillus cereus, Clostridium botulinum; Clostridium perfrigens; Staphylococcus aureus; Listeria monocytogenes; Mycobacterium tubercolosis; Mycobacterium bovis; Brucella abortus; Brucella melitensis; Corynebacterium diphtheriae;

FUNGHI ALGHE PARASSITI VIRUS

MICRORGANISMI MARKER Indicatori Carica mesofila totale,

Enterobacteriaceae, Coliformi, Enterococchi, Clostridi solfito-riduttori.

Gli alimenti presentano caratteristiche chimiche e chimico-fisiche tali da rappresentare un substrato ottimo per la colonizzazione e lo sviluppo di un gran numero di microrganismi sia utili che indesiderati, sia patogeni che alterativi; si è osservato che i microrganismi presentano un alto grado di adattabilità alle varie condizioni che si realizzano in un determinato ambiente e sono pertanto i più ubiquitari tra gli organismi viventi. Naturalmente ogni alimento possiede una microflora strettamente dipendente dalla natura delle materie prime e dall’ambiente in cui esso viene prodotto (coltivazione, allevamento) e dalle condizioni in cui viene trasformato, conservato e consumato.

Analizzando la vita di un alimento, può capitare che già le materie prime presentino contaminazioni da parte di microrganismi provenienti da aria, acqua, suolo, superfici di vegetali e animali, e che nel corso della loro trasformazione possano essere nuovamente

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contaminati da microrganismi derivanti dagli ambienti di lavorazione e conservazione, dalle superfici, dagli utensili e attrezzature, dal personale impegnato nelle attività produttive. Inoltre, anche il processo tecnologico cui l’alimento viene sottoposto potrà determinare variazioni quanti-qualitative della microflora presente naturalmente o aggiunta, come conseguenza delle modificazioni delle caratteristiche chimico-fisiche dell’alimento stesso. Inoltre, l’alimento potrà subire contaminazioni e/o variazioni del contenuto microbico finanche nelle successive fasi di magazzinaggio, trasporto, distribuzione e consumo. Si è quindi giunti alla conclusione che la colonizzazione di un alimento da parte di specie e ceppi di microrganismi, patogeni o alterativi o pro-tecnologici, dipende strettamente dalle condizioni ecologiche che si realizzano nell’alimento stesso.

Analizzando quanto detto, ove un alimento venga colonizzato da microrganismi, questi vanno a costituire dei veri e propri ecosistemi, la cui complessità è determinata dalle interazioni tra i fattori ambientali intrinseci ed estrinseci dell’alimento stesso; quindi una volta che l'alimento sia stato contaminato da microrganismi, questi subiranno modifiche alla loro struttura comunitaria sotto l'azione selettiva dei diversi fattori ecologici (James et al., 2009).

Tali fattori vengono classificati in quattro grandi gruppi principali:  fattori intrinseci, i quali riguardano le caratteristiche proprie

dell’alimento e la composizione chimica, la disponibilità di acqua libera (Aw), il pH, la presenza di antimicrobici naturali o conservanti aggiunti, il potenziale di ossido-riduzione;

fattori estrinseci, che influenzano la crescita dei microrganismi negli

alimenti. Essi sono rappresentati dalle condizioni esterne che agiscono sull’alimento e riguardano in particolar modo la temperatura, l’umidità e la composizione gassosa dell’atmosfera in cui l’alimento viene conservato;

fattori di processo, i quali includono tutte quelle procedure che,

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modificano completamente l’ecologia. I processi tecnologici applicati possono comprendere trattamenti termici, refrigerazione, salagione, acidificazione, aggiunta di starter ecc.;

fattori impliciti, che comprendono le relazioni che si instaurano tra i

microrganismi che hanno colonizzato l’alimento nelle condizioni dettate dall’azione dei fattori intrinseci ed estrinseci. Le popolazioni microbiche presenti nell’alimento possono esercitare azioni sinergiche, per cui un dato gruppo di microrganismi, viene avvantaggiato dallo sviluppo di un altro gruppo (ad esempio attraverso la rimozione di metaboliti tossici, o la produzione di metaboliti utili o, ancora, attraverso la modificazione delle condizioni intrinseche dell’alimento), e azioni antagonistiche, mediante la produzione di sostanze antimicrobiche, o attraverso la competizione per i nutrienti ecc.

Manipolando in maniera appropriata questi fattori è possibile operare un’azione di controllo sui microrganismi negli alimenti. In effetti, questi fattori rappresentano la base su cui si fondano la maggior parte delle procedure di conservazione degli alimenti, il cui obiettivo è quello di ritardare o inibire la crescita di microrganismi indesiderati, in quanto i microrganismi si moltiplicano secondo una cinetica paragonabile a quella che si realizza nei sistemi di coltura chiusi discontinui (ICMSF, 1980).

Nelle condizioni ottimali di sviluppo, se riportiamo il logaritmo del numero di cellule per grammo o milllilitro di substrato in funzione del tempo si ottiene una curva caratterizzata da una serie di fasi.

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Figura 1 - Curva di crescita microbica (Villani, 2007)

Come si può notare dalla Figura 1, sopra riportata, la crescita microbica consta di una prima fase, detta fase di latenza, in cui le cellule mettono in atto meccanismi tali da adattarsi all’ambiente e pertanto il numero di cellule rimane costante. La durata della fase di latenza dipende da numerosi fattori, come la composizione del substrato di crescita, la temperatura e l’atmosfera di incubazione e lo stato fisiologico delle cellule al momento dell’inoculo. Segue, poi, una fase in cui le cellule cominciano a moltiplicarsi per divisione binaria, per cui il numero di batteri raddoppia ad ogni successiva divisione. Questa fase è detta fase esponenziale e continua fino all’intervento di fattori limitanti (esaurimento dei nutrienti, diminuzione del pH, accumulo di metaboliti tossici ecc.). Successivamente si ha una fase stazionaria in cui il numero di cellule rimane più o meno costante, a questa segue una fase di declino o morte del microrganismo (Gardini e Parente, 2013).

Nei prossimi paragrafi verranno descritte le caratteristiche fondamentali dei microrganismi utili, patogeni ed alteranti che possono ritrovarsi negli alimenti.

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1.2 I microrganismi utili

Per quanto concerne, in particolare, i microrganismi “utili”, già da tempi remoti ci si è resi conto che su materie prime come latte, carne o alcuni vegetali l'attività fermentativa svolta dai microrganismi produceva cambiamenti, fino a creare nuovi prodotti che potevano essere impiegati per diversi usi e potevano essere conservati per lungo tempo. Questi processi di trasformazione furono molto probabilmente scoperti per caso ed erano praticati senza conoscerne le basi fermentative. Per passi successivi, con metodi empirici, prove ed errori, inconsapevolmente si crearono via via le condizioni in grado di selezionare, nell’ambito della microflora naturalmente presente nelle materie prime e nei recipienti e attrezzi, microrganismi utili, mentre altri erano inibiti. Intorno al 1890 si impiegò per la prima volta una coltura starter per la produzione di formaggi, aprendo così la strada all'industrializzazione delle fermentazioni alimentari. A tal proposito, la selezione dei ceppi e la formulazione delle colture starter è stata per lungo tempo basata soprattutto sulla capacità dei ceppi microbici di svolgere i processi biochimici richiesti dalle varie tecnologie di trasformazione ai fini di assicurare l’esito tecnologico del processo produttivo (Villani, 2007).

Successivamente, con gli sviluppi delle biotecnologie e le migliorate conoscenze sul metabolismo dei microrganismi coinvolti nei processi fermentativi, ci si è resi conto che questi appartenevano a gruppi diversi, come batteri lattici, lieviti, muffe, Micrococcaceae, propionibatteri ed altri ancora. Tra questi, i batteri lattici, come componenti di colture starter e/o protettive, trovano largo impego nella produzione di una grande varietà di alimenti fermentati, come derivati del latte, carne, vegetali, prodotti da forno, insilati e altri, contribuendo in vari modi a determinare le loro caratteristiche e la loro stabilità. Spesso si tende a fare una distinzione, e talvolta tale distinzione è necessaria, tra colture starter e colture protettive, anche se in realtà potrebbe trattarsi della stessa coltura applicata per scopi

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diversi in condizioni diverse. Naturalmente per una coltura starter le attività metaboliche di interesse tecnologico (capacità acidificanti, proteolitiche, aromatizzanti, addensanti ecc.) hanno un’importanza principale, mentre le azioni antimicrobiche potrebbero rappresentare un effetto secondario; per una coltura protettiva gli obiettivi funzionali sono invertiti.

Ad oggi, i batteri lattici sono riconosciuti come sicuri per la salute umana, cioè organismi generally recognised as safe (GRAS). L’assenza di rischi per la salute, cioè la sicurezza d’uso, è la caratteristica fondamentale che i ceppi selezionati devono possedere per far parte di una coltura starter o protettiva. Altre caratteristiche riguardano i loro effetti benefici apportati al prodotto, in virtù dell’adattamento al substrato, della capacità di competere con la microflora naturalmente presente e della produzione di metaboliti ad attività antimicrobica (acidi organici, perossido di idrogeno, enzimi, metaboliti a basso peso molecolare, batteriocine); infine una buona coltura protettiva non deve determinare nell’alimento modificazioni organolettiche negative e dovrebbe poter funzionare da indicatore di rischio microbiologico nel caso in cui i fattori tecnologici miranti alla stabilità dell’alimento non vengano rispettati, come ad esempio in caso di non corretta applicazione della catena del freddo, o di scarsa acidità ecc.

Negli ultimi anni, le nostre abitudini alimentari e gli alimenti che consumiamo hanno subito cambiamenti rilevanti, con un rafforzamento degli studi incentrati sul binomio alimento e salute. Tutto ciò ha fatto crescere sempre di più l’interesse per quegli alimenti che, oltre agli effetti nutrizionali, esercitano anche effetti benefici su una o più funzioni del corpo, migliorando lo stato di salute del consumatore e/o riducendo i rischi di malattie, ormai conosciuti come alimenti funzionali. Per alimenti funzionali si intendono alimenti ricchi naturalmente di molecole con proprietà benefiche e protettive per l’organismo, con la presenza di componenti in grado di interagire positivamente con una o più

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funzioni fisiologiche dello stesso. Tra gli alimenti funzionali troviamo quelli contenenti microrganismi dotati di tali proprietà benefiche, In particolare i microrganismi vivi che, dopo ingestione in numero appropriato, esercitano un effetto benefico sulla salute del consumatore sono definiti probiotici. I microrganismi utilizzati per le loro proprietà di promuovere la salute umana appartengono a diversi generi di batteri e lieviti. I ceppi più utilizzati appartengono all’eterogeneo gruppo dei batteri lattici o a generi ad essi affini:

Lactobacillus, Bifidobacterium ed Enterococcus. Bifidobatteri ed

enterococchi non sono batteri lattici in senso stretto, ma spesso vengono ad essi associati nell’accezione più ampia del termine. In ogni modo, negli ultimi anni, anche altri microrganismi, quali alcune specie del genere Bacillus e alcune specie di lieviti sono state prese in considerazione e studiate come potenziali probiotici.

In base a tutto quanto sopra esposto, è chiara l’importanza di assicurare la comprensione e l’applicazione dei principi dell’ecologia microbica ai sistemi alimentari al fine del controllo della loro qualità e sicurezza microbiologica. A tal proposito tutte le moderne procedure e strategie, poste in essere a garanzia della nostra salute, quali l’assicurazione della qualità, l’analisi quantitativa del rischio, la microbiologia predittiva, i metodi di conservazione degli alimenti, così come la microbiologia analitica, hanno alla loro base proprio conoscenze riguardanti il comportamento dei vari microrganismi negli ecosistemi alimentari.

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1.3 Microrganismi patogeni e le malattie a

trasmissione alimentare nelle diverse tipologie di

alimenti

I microrganismi patogeni sono agenti biologici responsabili dell'insorgenza della condizione di malattia nell'organismo ospite; essi possono essere distinti in virus, batteri (microrganismi procarioti), miceti e protozoi (microrganismi eucarioti).

Ogni organismo patogeno ha un impatto diverso sull’ospite, a tal proposito è fondamentale utilizzare parametri adatti per valutare tale rischio (CNBBSV, 2003).

I principali parametri sono (Kramer e Cantoni, 2011):

1. La patogenicità, ovvero la capacità dei singoli microrganismi di indurre malattia a prescindere dalla presenza di fattori predisponenti, essa è correlata con contagiosità, infettività, invasività e virulenza di un patogeno;

2. La diffusibilità o contagiosità, ovvero la capacità di trasmissione e di diffusione all’interno di una popolazione recettiva. Essa a sua volta dipende da diversi fattori quali: durata dell’eliminazione dell’agente patogeno dagli individui infetti e resistenza nell’ambiente dell’agente infettivo;

3. La trasmissibilità, ovvero la capacità dei microrganismi di infettare differenti specie animali anche filogeneticamente distanti;

4. L’infettività, ossia la capacità dell’agente patogeno di penetrare e moltiplicarsi all’interno dell’ospite recettivo. L’infettività è inversamente proporzionale al numero di microrganismi necessari per l’instaurarsi dell’infezione e varia ampiamente in rapporto ai diversi agenti patogeni;

5. L’invasività, intesa come la capacità del microrganismo di diffondersi in organi e tessuti dell’individuo e di penetrare nell’organismo vivente tramite l’aiuto di enzimi extracellulari, questi ultimi utili alla distruzione delle barriere anatomiche (cute, mucose

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ecc.) o fisiologiche (muco, pH ecc.), protagoniste dell’immunità innata. Essa dipende dalla capacità e durata della viremia/batteriemia e dalla possibilità e velocità del microrganismo di raggiungere l’organo bersaglio. Altri fattori importanti correlati con questa caratteristica sono: l’adesività, ovvero la capacità del patogeno di legarsi con le sue strutture esterne recettoriali ai siti strutturalmente analoghi delle cellule dell’ospite, la produzione di enzimi extracellulari, che facilitano la distruzione dei tessuti dell'ospite, e la produzione di sostanze anti-fagocitarie o la presenza di una capsula anti-fagocitaria, che consentono al patogeno di resistere ai meccanismi di difesa dell'ospite;

6. La virulenza, che è data dal grado di potenzialità patogena posseduta da un microrganismo nell’ambito di una stessa specie recettiva, ossia la capacità di indurre manifestazioni patologiche in un organismo bersaglio. Dipende dalla risposta dell’agente patogeno a pressioni naturali o artificiali. Le mutazioni, delezioni o ricombinazioni genetiche ne sono un esempio e sono fenomeni in grado di modificare la capacità di indurre malattie (vedi ad esempio i vaccini attenuati) o di resistere agli interventi di profilassi e terapia (ad esempio, fenomeni di resistenza batterica);

7. La tossicità, ovvero la capacità di produrre endotossine ed esotossine. Le endotossine sono lipopolisaccaridi termoresistenti che rappresentano dei componenti naturali della parete cellulare dei batteri Gram negativi, che con la morte del microrganismo vengono liberate e possono provocare già a basse concentrazioni, diarrea, febbre, ipotensione e altri disturbi. Le esotossine batteriche, invece, sono proteine che vengono prodotte già nell’alimento o successivamente nell’uomo, e, in base all’organo bersaglio, vengono distinte in enterotossine (intestino), neurotossine (sistema nervoso centrale) e citotossine (cellule);

8. La dose infettante, ossia la quantità minima di agente patogeno in grado di causare la malattia. La dose infettante dipende molto anche dalla composizione dell’alimento.

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Dunque, la malattia infettiva si presenta quale conseguenza dell'interazione tra il patogeno ed i sistemi di difesa specifici (risposta immunitaria) ed aspecifici (infiammazione) dell'ospite. La capacità di difesa dell’organismo influisce sia sull’andamento dell’infezione che sulla gravità della malattia.

Nello specifico, è bene analizzare come gli alimenti rappresentano, per molte specie di microrganismi, un ambiente adatto per la loro sopravvivenza e per la loro riproduzione, dal momento in cui un microrganismo si impianta nell’alimento in questione e questo ne risulta contaminato. Essendo le condizioni fisico-chimiche dell’alimento adatte al microrganismo, il quale si riprodurrà rapidamente, cosicché già dopo alcune ore il numero di germi presenti nell’alimento risulterà aumentato in modo esponenziale (Quaderno ARSIA, 3/2001).

I germi si nutrono delle sostanze che compongono l’alimento e producono sostanze di rifiuto che si accumulano nell’alimento, alterandone ad esempio le caratteristiche organolettiche (sapore, odore, consistenza ecc.), rendendolo poco adatto per la nostra nutrizione e per il nostro organismo. Se i microrganismi sono patogeni, in talune condizioni possono produrre tossine e rendere l’alimento nocivo per la salute.

In questo caso gli alimenti possono diventare veri e proprio veicoli2

di trasmissione di malattie, le così dette malattie a trasmissione alimentare (MTA). Le MTA costituiscono senza dubbio un problema con il quale la sanità pubblica deve confrontarsi costantemente. Non

2La fonte di infezione (uomo o animale) libera nell’ambiente i germi patogeni, che raggiungono e contaminano gli

alimenti attraverso particolari “mezzi di trasporto”: i veicoli e i vettori (Zanichelli, 2016);

• i veicoli sono oggetti attraverso i quali avviene la trasmissione dei germi patogeni all’alimento. Distinguiamo veicoli inerti, nei quali i germi sopravvivono ma non si riproducono (per esempio un tovagliolo sporco); veicoli favorenti, nei quali i microrganismi possono anche riprodursi (per esempio molti alimenti); veicoli ostacolanti, nei quali la sopravvivenza dei microbi è resa difficile (come per esempio le bevande alcooliche, gli alimenti acidi ecc.);

• i vettori sono, invece, piccoli esseri viventi in grado di trasportare i germi patogeni dalla fonte di infezione o dall’ambiente agli alimenti. Insetti e roditori rappresentano gli esempi più tipici. I vettori vengono distinti in: vettori passivi (mosche, scarafaggi), che si limitano a trasportare i germi senza intervenire sulla loro riproduzione, e vettori attivi (come le zanzare Anopheles nella malaria) che partecipano al ciclo riproduttivo del germe.

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va dimenticato infatti che annualmente sono colpiti da malattie trasmesse da alimenti numerose persone. Come riportato nel report redatto annualmente dall’Autorità Europea per la Sicurezza degli Alimenti (EFSA) nel 2017, sono stati calcolati un totale di 5'079 di epidemie di origine alimentare. Il report presenta i risultati dell’attività di monitoraggio delle zoonosi effettuata nel 2017, in 37 Paesi europei. Tra le zoonosi più comuni troviamo la campilobatteriosi, che si colloca al primo posto ed ha dimostrato un aumento dei casi dal 2008, con dati stabili tra il 2013 e il 2017. Risulta evidente una riduzione dal 2008 dei casi di salmonella, anche se si registra un aumento dei casi di salmonellosi, dagli anni 2013 al 2017 principalmente causata da Salmonella enteritidis, legata al consumo di pollo, tacchino e uova. Sono risultati in diminuzione i casi di zoonosi causati da Yersinia registrati a partire dal 2008 con stabilizzazione negli 2013 e 2017; infine sono in aumento i casi di listeriosi nel 2017, mentre si è stabilizzato il numero di infezioni legate alla presenza della tossina Shiga prodotta da Escherichia coli patogeni (EFSA e ECDC, 2018).

Le patologie veicolate dagli alimenti si possono ricondurre a tre principali tipologie:

 Le infezioni, che insorgono quando l’alimento consumato contiene microrganismi patogeni vivi e vitali che colonizzano l’intestino dell’uomo, sviluppandosi e causando lesioni ai tessuti. Non è necessario che il batterio si moltiplichi nell’alimento, ma se ciò accade la probabilità di infezione aumenta. Esempio: salmonellosi.  Le intossicazioni, che insorgono in seguito al consumo di un

alimento che contiene una tossina, risultato di uno sviluppo microbico precedente al consumo. Il microrganismo può anche essere già morto, ma la tossina può permanere. Esempio: intossicazione stafilococcica e botulinica.

 Le tossinfezioni, che rappresentano una combinazione delle due prime forme. Il microrganismo patogeno deve raggiungere cariche

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molto elevate nell’alimento e, dopo l’assunzione da parte dell’uomo, continua il suo sviluppo nell’intestino e libera la tossina che scatena la sintomatologia (Angelini, 2010).

Le malattie causate dall’ingestione di alimenti contaminati da microrganismi infettivi e tossigeni rappresentano ancora un problema molto diffuso nel mondo contemporaneo, malgrado l’applicazione di moderne procedure di accertamento e controllo delle possibili deviazioni dagli standard di sicurezza delle produzioni alimentari. Tra i vari agenti causali (batteri, funghi, parassiti, virus), i batteri risultano quelli maggiormente implicati nelle malattie alimentari.

Con il passare del tempo lo scenario epidemiologico delle malattie trasmesse da alimenti è profondamente mutato per una serie di elementi che possono essere così sintetizzati:

 il cambiamento delle abitudini alimentari, con aumento dei pasti consumati fuori casa, l’incremento di consumo dei cibi a lunga conservazione e la globalizzazione dei mercati con arrivo sulle nostre tavole di alimenti non sempre di origine e controllo certi. Quest’ultimo punto soprattutto fa sì che alimenti contaminati vengano distribuiti su grandi aree geografiche, il che rende estremamente difficoltosa l’indagine epidemiologica tesa all’individuazione della fonte;

 la comparsa di quelli che si definiscono “patogeni emergenti”, la cui responsabilità nell’insorgenza di focolai diventa sempre più importante. Pensiamo all’esempio dell’encefalite spongiforme nei Paesi europei, alle infezioni da Escherichia coli produttore di verocitotossina, all’emergenza di nuove serovar di salmonella;  la comparsa di nuovi veicoli prima sconosciuti e responsabili di

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(Cyclospora, Norovirus), germogli di alfa-alfa (Salmonella, E. coli O157), anguilla affumicata (Salmonella Blokley)3.

L’insorgenza, la diffusione e la persistenza di episodi di malattie alimentari è strettamente correlata con i fattori che contribuiscono alla contaminazione degli alimenti. Tra questi, rivestono particolare importanza la diffusione del fenomeno della ristorazione collettiva e la rapida espansione dei viaggi turistici che implicano spostamenti nel mondo di grandi masse di persone, ma anche le modificate abitudini alimentari dei consumatori, gli scambi internazionali di derrate alimentari, le modificazioni tecnologiche di produzione, confezionamento, distribuzione degli alimenti.

É demandato alle autorità sanitarie competenti il compito di mettere in atto programmi di sorveglianza e vigilanza al fine di individuare episodi epidemici di malattie associate al consumo di alimenti. Un “episodio epidemico di origine alimentare” o “outbreak” rappresenta un evento in cui due o più persone presentano la stessa malattia in seguito all’ingestione dello stesso alimento. I dati relativi a queste indagini possono essere usati a fini preventivi con l’emanazione di regolamenti e leggi che forniscono all’industria alimentare le procedure più idonee da adottare durante tutte le fasi della produzione per assicurare il massimo livello di sicurezza degli alimenti. Si possono così prevenire casi analoghi di malattie alimentari, informando gli addetti alla preparazione di alimenti delle circostanze che hanno causato l’episodio e fornendo suggerimenti su come evitare il ripetersi di incedenti; si potranno infine avere utili informazioni sui pericoli e sui punti critici di controllo di un particolare processo produttivo e sui metodi appropriati per il loro controllo per la corretta applicazione dell’HACCP (Marinelli et al., 2002).

Di seguito si riportano in Tabella 2 le principali malattie alimentari batteriche, con modalità di trasmissione e sintomi principali.

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Tabella 2 - Le principali malattie a trasmissione alimentare causate da batteri (Bryan et al., 1997, modificato)

MICROGANISMO

MALATTIA TRASMISSIONE SINTOMI

Salmonella spp. (Gram-negativo, asporigeno e anaerobio facoltativo) Salmonellosi La via di trasmissione è oro-fecale. Gli alimenti a rischio sono: carne di animali ammalati, le carni tritate e gli insaccati di carni e di visceri, uova (possono ritrovarsi sul guscio ed eccezionalmente all’interno), anche il latte e i suoi derivati, i frutti di mare, i pesci. Il periodo di incubazione va dalle 12 alle 72 ore, la sintomatologia è variabile; i sintomi più comuni sono dolori addominali, nausea, vomito e febbre. Clostridium botulinum (Gram-positivo, sporigeno, poco mobile, anaerobio) Botulismo (tossina botulininca) La via di trasmissione è oro-fecale. Gli alimenti a rischio sono: le carni insaccate, gli alimenti in scatola (soprattutto vegetali come spinaci, asparagi, fagiolini), i pesci conservati con affumicazione o sottovuoto, cibi conservati sott’olio e le conserve vegetali. I sintomi compaiono 12-36 ore dopo l’ingestione (più compaiono velocemente, più la malattia è grave, inoltre può provocare anche la morte) e sono nausea, vomito, secchezza della bocca e della gola, dovuta alla paralisi

muscolare o ghiandolare.

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27 Staphylococcus aureus (Gram-positivo, asporigeno) A temperatura ambiente libera all’interno dell’alimento una tossina che determina un vero e proprio avvelenamento. La via di trasmissione è oro-fecale. Gli alimenti a rischio di contaminazione sono quelli ad elevato contenuto proteico (come la carne), molto manipolati, poco acidi, il pesce, il latte e i suoi derivati e le uova e derivati, ed i prodotti sottoposti a salagione. Il periodo di incubazione va dalle 2-3 e fino a 6 ore dopo l’ingestione dell’alimento inquinato e la sintomatologia prevede nausea, vomito, diarrea, sudorazione, cefalea, crampi addominali. Clostridium perfrigens (Gram-positivo, anaerobio, sporigeno, ubiquitario in natura) La malattia è causata da endo-enterotossina prodotta nell’intestino durante la sporulazione.

Gli alimenti più a rischio sono la carne e i sughi, se preparati e lasciati raffreddare a temperatura ambiente lentamente, cibi cotti tenuti a contatto con piani di lavoro o utensili non ben puliti.

Il periodo di incubazione va dalle 6 alle 24 ore dall’ingestione, la sintomatologia prevede coliche addominali, diarrea e nausea. Escherichia coli (Gram-negativo, asporigeno) La malattia è data dalla presenza stessa del microrganismo vivo e vitale e dalla sua moltiplicazione.

La via di trasmissione è oro-fecale.

Gli alimenti a rischio sono le carni crude o poco cotte, verdure crude, latte crudo o non adeguatamente pastorizzato. La sintomatologia prevede diarrea, dolori addominali, vomito e in alcuni casi febbre. Listeria monocytogenes (Gram-positivo, non sporigeno) Listeriosi Gli alimenti a rischio sono carni bianche e rosse, formaggi, latte crudo, cibi cotti contaminati dopo la cottura; prodotti “ready-to-eat” in genere. La sintomatologia associata prevede febbre, cefalea, nausea, vomito. Può inoltre comportare aborto, meningite e altre

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28 complicanze potenzialmente letali. Bacillus cereus (Gram-positivo, sporigeno, beta-emolitico, ubiquitario) Intossicazione alimentare, causata dalla produzione di tossine (emetica e/o enterotossica).

Gli alimenti a rischio sono le carni, minestre vegetali, budini e salse. Il periodo di incubazione va dalle 6 alle 15 ore. I principali sintomi sono diarrea, dolori addominali, e talvolta febbre e vomito. Yersinia enterocolitica (Gram-negativo, anaerobio facoltativo, asporigeno) Yersiniosi La via di trasmissione è oro-fecale. Gli alimenti a rischio sono soprattutto latte crudo, carni suine crude. Il periodo di incubazione va da 1 a 7 giorni, e i principali sintomi sono nausea, vomito, cefalea, diarrea e orticaria. Vibrio parahaemolyticus (Gram-negativo, asporigeno) Infezione alimentare La trasmissione avviene per ingestione di pesci, crostacei e molluschi consumati crudi o poco cotti. I sintomi si presentano 2-48 ore dopo l'ingestione e sono dati da diarrea abbondante, crampi addominali, vomito, cefalea e febbre.

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1.4 I microrganismi alteranti e le alterazioni

determinate negli alimenti

Per alterazione di un alimento si intende una trasformazione a carico di uno o più componenti chimici che ne determinano una modificazione delle proprietà fisiche, chimiche e biologiche. In generale si tratta di fenomeni o processi di natura fisica, chimica, biochimica e microbiologica, spesso interagenti fra loro in un sistema di trasformazioni complesso, più o meno drastico. Tali modifiche possono essere percepite come un'alterazione delle proprietà nutritive ed organolettiche dell'alimento o delle sue caratteristiche tecnologiche. Si usa il termine trasformazione quando il processo porta a risultati desiderati e, quindi, è positivo; al contrario, si usa il termine alterazione quando il processo porta a risultati indesiderati, se non addirittura dannosi, rendendo l’alimento inaccettabile per il consumo umano (Antolini et al., 2016).

Perché un alimento possa essere giudicato edibile deve rispondere positivamente a determinati requisiti, costanti e generali, quali: - presentarsi in idonee condizioni;

- non presentare modificazioni chimiche o biologiche.

In ogni modo tali modificazioni, pur rappresentando processi di alterazione per un determinato prodotto, possono rappresentare per altri prodotti un elemento indispensabile e caratteristico della loro preparazione, ad esempio l’occhiatura del formaggio Emmentaler (Tiecco, 2000). Riconoscendo che questo giudizio può variare da un tipo di alimento all’altro, in generale vengano considerati processi alterativi tutti quei fenomeni che determinano cambiamenti di colore, sapore e consistenza rispetto alle caratteristiche organolettiche tipiche del prodotto in esame.

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In base alla capacità di un prodotto ad andare incontro a questo tipo di fenomeni alterativi, gli alimenti possono essere suddivisi in tre categorie:

1. alimenti stabili (difficilmente soggetti ad alterazioni);

2. alimenti semideperibili (capaci di non andare incontro ad alterazione

per un lungo periodo, se ben manipolati e conservati);

3. alimenti deperibili (facilmente soggetti ad alterazioni). Molti dei

prodotti di origine animale rientrano in questa categoria.

Le cause di comparsa di questi fenomeni nelle diverse tipologie di prodotti alimentari possono essere di varia natura:

 fisiche, che si verificano solitamente durante l’applicazione dei vari processi di conservazione;

 chimiche, ovvero modificazioni chimiche non determinate dall’azione catalitica di enzimi;

 biologiche, comprendenti l’attività di enzimi propri dell’alimento, di parassiti e l’attività metabolica dei microrganismi presenti nell’alimento.

Queste ultime dipendono da numerosi fattori, fra i quali la specie microbica contaminante, l’entità della contaminazione ed infine le condizioni ambientali in cui l’alimento si trova durante la conservazione, oltre alla natura stessa dell’alimento. Come già detto precedentemente, gli alimenti rappresentano un substrato ottimo per lo sviluppo e la crescita di numerosi microrganismi. La presenza di una specie piuttosto che di un’altra dipende dalle condizioni ambientali in cui viene a trovarsi l’alimento: la specie che troverà più favorevoli condizioni ambientali per il proprio sviluppo darà inizio all’attività di proliferazione, attività che porterà alla comparsa degli specifici processi alterativi. In un secondo momento, in base al quadro metabolico sviluppatosi, si avrà la comparsa di altre modificazioni che prendono il nome di alterazioni secondarie.

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Un esempio dimostrativo potrebbero essere i processi alterativi cui va incontro il latte conservato a temperatura ambiente. Il latte crudo, appena munto, rappresenta un ottimo substrato per diversi microrganismi, tra cui ad esempio streptococchi lattici e coliformi. Lo sviluppo di questi microrganismi determina un abbassamento del pH del prodotto in esame, come logica conseguenza delle fermentazioni operate dagli stessi; questo creerà un nuovo ambiente che non sarà favorevole per lo sviluppo di alcuni microrganismi, bensì per altri, in particolare i lattobacilli, i quali troveranno così nuove condizioni favorevoli e, con la loro moltiplicazione, acidificheranno ulteriormente il latte, così da raggiungere valori molto bassi, fino a cessare anch’essi di moltiplicarsi. A questo punto lieviti e muffe prenderanno il sopravvento, in quanto le nuove condizioni risulteranno per essi favorevoli. In questo modo si moltiplicheranno a loro volta, determinando un innalzamento del pH fino a valori prossimi alla neutralità o addirittura alcalini, che comporteranno il crearsi di condizioni ambientali idonee per la crescita di batteri proteolitici (Tiecco, 2000).

Lo sviluppo microbico provoca in generale diverse modificazioni chimiche in un alimento, con la formazione di un gran numero di prodotti finali. Le modificazioni in alcuni casi, in determinati prodotti, potrebbero essere desiderabili, in quanto in grado di esaltare le caratteristiche organolettiche, altre invece possono risultare dannose per quel tipo di alimento.

I microrganismi alteranti, se presenti in quantità elevata, rendono generalmente l’alimento sgradevole e quindi non più commestibile, senza danni per il consumatore, a meno che non si associ ad essi la presenza di microrganismi patogeni. Gli alteranti più diffusi sono germi appartenenti ai generi Klebsiella, Micrococcus, Enterobacter,

Escherichia (e coliformi in generale), Clostridium, Pseudomonas, Aeromonas, Chromobacterium, Proteus, Flavobacterium oltre a

lieviti e a muffe, principalmente appartenenti ai generi Aspergillus,

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Come anticipato sopra, per cause biologiche possiamo avere due tipi di deterioramento: quello enzimatico (dato dagli enzimi propri dell’alimento) e quello microbico. In entrambi i casi si tratta di processi alterativi che comportano un abbassamento della qualità del prodotto, fino a rendere lo stesso inaccettabile per il consumo umano, questo perché ciò che va incontro a modificazioni sono le sostanze nutritive (lipidi, glucidi, proteine) presenti in ogni alimento e necessarie per il fabbisogno dell’uomo.

L’attività metabolica dei microrganismi permette loro di produrre degli enzimi i quali attaccano e modificano la struttura chimica dell’alimento. Essa è influenzata, come abbiamo visto precedentemente, da fattori intrinseci, estrinseci e di processo, ma anche la carica batterica iniziale dell’alimento esercita una grande influenza sulla conservabilità.

La qualità e la quantità del deterioramento dipendono dagli ingredienti presenti nell’alimento. Le sostanze a basso peso molecolare vengono direttamente utilizzate e trasformate dai microrganismi. Pertanto, gli alimenti ricchi di queste sostanze sono più facilmente deteriorabili rispetto ad alimenti costituiti prevalentemente da composti polimerici (ad esempio amido, amilopectina, proteine e polisaccaridi possono essere utilizzati dai microrganismi solo dopo scissione per opera di esoenzimi).

Di seguito si analizzeranno le alterazioni principali a carico dei composti costituenti gli alimenti.

I principali processi di alterazione a carico della frazione lipidica sono i seguenti (Antolini, 2016):

Idrolisi o inacidimento: processo alterativo favorito dalla presenza di acqua/umidità con l’azione combinata di ossigeno e dell’enzima lipasi (prodotto prevalentemente da funghi lipolitici ma anche da alcuni ceppi di lieviti e batteri) con conseguente aumento dell’acidità. Si osserva la scissione dei trigliceridi in glicerolo e acidi

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grassi. Il processo predispone gli alimenti all’irrancidimento ossidativo;

Irrancidimento chetonico: ad opera di enzimi, i quali catalizzano la β-ossidazione degli acidi grassi, con formazione di β-chetoacidi e successivamente di metil-chetoni, con produzione di odori e sapori sgradevoli;

Irrancidimento ossidativo: costituisce l’alterazione più grave a carico dei grassi alimentari, anche dei fosfolipidi. È un processo fondamentalmente di natura chimica che si svolge in quattro fasi:

 induzione: si ha sviluppo di forme radicaliche senza assorbimento di ossigeno, questa fase è favorita da calore, luce, metalli ed enzimi, come la lipossigenasi;

 propagazione monomolecolare: si ha interazione delle forme radicaliche e dell’ossigeno con formazione e accumulo di idro-perossidi (ROOH). A questo punto si parla di AUTOSSIDAZIONE in quanto i perossidi fungono da catalizzatori;

 propagazione bimolecolare: quando l’accumulo di forme radicaliche diviene notevole, si innescherà una reazione a catena con la formazione di nuove unità radicaliche, la cui concentrazione cresce in modo esponenziale, così come il consumo di ossigeno;

 terminazione: essendo la concentrazione di radicali molto elevata, diviene altrettanto alta la probabilità che questi reagiscano tra loro per cui da radicali liberi si originano composti stabili; a questo punto il prodotto non risulterà più edibile.

Le principali alterazioni a carico della frazione proteica derivano dall’azione dei microrganismi, i quali utilizzano come sorgente di azoto le proteine, provocando così il processo genericamente chiamato putrefazione. Affinché si verifichi questo processo è necessario che i microrganismi modifichino la loro struttura molecolare, in modo da renderle assimilabili. In genere queste modificazioni danno luogo alla formazione di prodotti più semplici quali composti semplici solforati, ammoniaca, mercaptani, amine,

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indolo ecc. (che conferiscono all’alimento particolari odori e sapori sgradevoli). Quindi possiamo dire che la putrefazione prevede inizialmente una fase di idrolisi delle proteine con conseguente formazione di peptidi che per lo più aumentano la sapidità del prodotto alimentare stesso, ad opera di proteasi, e successivamente una fase che porta alla formazione di aminoacidi ad opera di diverse

peptidasi. A questo punto gli aminoacidi formatisi possono essere

utilizzati dai microrganismi molto più facilmente impiegando due meccanismi:

1. Decarbossilazione: ad opera delle relative aminoacido-decarbossilasi, un aminoacido viene trasformano nella rispettiva

amina primaria (dall’odore sgradevole) con liberazione di anidride carbonica; così per esempio Clostridium cadaveris trasforma la lisina in cadaverina, Escherichia coli l’arginina in agmatina e

Clostridium perfrigens trasforma l’ornitina in putrescina e l’istidina

in istamina (vedi figura 2);

Figura 2 – Decarbossilazione degli amminoacidi (Kramer e Cantoni, 2011)

2. Deaminazione: ad opera di enzimi microbici, prevede la trasformazione degli aminoacidi in composti non-azotati, con conseguente liberazione di ammoniaca e acidi; più frequentemente avviene la deaminazione ossidativa, catalizzata dalle aminoacido-ossidasi, deidrogenasi o desolfidrasi con formazione di prodotti di decomposizione come indolo, scatolo o acido solforico.

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- immidi e urea, il cui prodotto finale principale è l’ammoniaca; - guanidina e creatina con produzione di urea e ammoniaca;

- amine, purine, pirimidine, dalle quali si formano acidi organici (prevalentemente lattico e acetico), ammoniaca e anidride carbonica (Kramer e Cantoni, 2011).

Analizziamo ora le alterazioni a carico dei carboidrati, in quanto costituiscono la principale fonte di energia e una fondamentale sorgente di carbonio. I polisaccaridi, anch’essi, prima di poter essere utilizzati devono essere scissi in composti semplici, ossia monosaccaridi, i quali a loro volta, nella maggior parte dei casi, vengono degradati a composti a 3 atomi di carbonio, come l’acido piruvico, che successivamente vengono metabolizzati

aerobicamente, fino alla formazione di acqua e anidride carbonica,

oppure anaerobicamente, con formazione di altri composti organici più semplici che caratterizzano il tipo di fermentazione microbica. Possiamo quindi distinguere le fermentazioni in:

a) fermentazione alcoolica, tipica dei lieviti, i cui prodotti finali sono dati dall’etanolo e dall’anidride carbonica;

b) fermentazione lattica, il cui prodotto finale è l’acido lattico (vedi figura 3);

Figura 3 – Fermentazione lattica (Kramer e Cantoni, 2011)

Quando si ha come prodotto finale solo l’acido lattico, il microrganismo è detta omofermentante e la fermentazione dunque è detta omolattica; invece quando si hanno anche altri prodotti (quali

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acido acetico, etanolo, anidride carbonica ecc.) i microrganismi sono detti eterofermentanti e la fermentazione è detta eterolattica; c) fermentazione propionica, vede come prodotto tipico l’acido

propionico e avviene ad opera dei propionibatteri;

d) fermentazione di tipo coliforme, effettuata dai coliformi, i cui prodotti finali sono una vasta gamma di composti chimici quali acido lattico, acido formico, etanolo, anidride carbonica, idrogeno, acetoina ecc.;

e) fermentazione butirrica-butilica-isopropanolica, tipica dei batteri anaerobi, che porta alla formazione di prodotti finali quali butanolo, acido butirrico e prodotti ad essi correlati. Se dovessero agire contemporaneamente più microrganismi, è possibile ottenere come prodotti finali acidi grassi, altri acidi organici, aldeidi e chetoacidi. Quindi l’azione dei microrganismi sui costituenti chimici dell’alimento porta alla formazione di numerosi altri composti chimici più semplici, la cui quantità e concentrazione è direttamente proporzionale alla quantità dei microrganismi e di conseguenza in relazione con lo stato di conservazione dell’alimento stesso. A tal proposito è possibile utilizzare alcuni di questi sottoprodotti del metabolismo batterico come indicatori di determinati alimenti (Tiecco, 2000).

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1.5 Processi degradativi microbici nelle diverse

categorie di alimenti

Gli effetti dei microrganismi negli alimenti, come già detto, possono essere di diversa natura in funzione del tipo di alimento, della concentrazione e del tipo di microrganismi presenti nelle materie prime e nel prodotto finito. La presenza di microrganismi negli alimenti può avere un effetto negativo o positivo. Nella produzione di alimenti non fermentati è importante mantenere bassa la concentrazione di microrganismi per motivi di sicurezza, qualità e conservabilità del prodotto, al contrario invece negli alimenti fermentati le caratteristiche organolettiche e di conservabilità sono proprio determinate dall’attività dei microrganismi appositamente usati nei processi di trasformazione dei prodotti (De Felip, 2001). Gli effetti negativi dati dalla presenza e dall’eccessiva crescita dei microrganismi comportano una serie di reazioni tali da modificare il prodotto, fino a renderlo inaccettabile per il consumo umano. I processi degradativi microbici variano a seconda degli alimenti, pertanto in questo paragrafo verranno riassunte le caratteristiche peculiari del processo alterativo nelle più importanti categorie di alimenti di origine animale (prodotti carnei e prodotti ittici), mentre per quanto riguarda i lattiero-caseari verrà fatto uno specifico approfondimento su mozzarella e ricotta oggetto di tesi, parte sperimentale, nel capitolo che tratta di questi prodotti.

Prodotti carnei

La carne cruda costituisce un ecosistema alimentare tra i più complessi, e con le sue caratteristiche chimiche e chimico-fisiche può determinare la colonizzazione e lo sviluppo di numerosi microrganismi pertanto è ritenuto un alimento altamente deperibile (Holzapfel et al., 1998). Naturalmente la carne possiede una microflora che dipende dalla sua composizione chimica (75% acqua, 19% proteine, 2,5% lipidi e diverse altre sostanze come aminoacidi,

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peptidi, nucleotidi e zuccheri), dall’ambiente in cui viene prodotta (dalle condizioni di allevamento) e dalle condizioni in cui è trasformata, conservata, distribuita e infine consumata (Gill et al., 1998). Durante le fasi di macellazione è molto facile incorrere in contaminazioni, infatti al termine della macellazione nella carcassa è possibile ritrovare germi patogeni come Salmonella, Clostridium

perfrigens, Clostridium botulinum, Campylobacter e Listeria monocytogenes ma anche germi saprofiti e alteranti del gruppo degli

psicrofili, ad esempio le Pseudomonadaceae questo accade perché le contaminazioni delle carcasse possono provenire dalla pelle, dalle feci, dal contenuto intestinale degli animali ma anche attraverso l’aria, il suolo, l’acqua e ancora dagli operatori e dalle attrezzature di lavorazione (Colavita, 2008). La carne risulta alterata quando in essa avvengono trasformazioni a carico del colore, sapore, odore e valore nutritivo tali da renderla inaccettabile per il consumo umano. L’alterazione è il frutto di complesse interazioni tra la microflora che si sviluppa su di essa e delle reazioni chimiche che avvengono nella stessa. Le degradazioni microbiche sono causate da batteri che esplicano la loro attività vitale utilizzando come fonte di energia le sostanze nutritive trasformandole in composti sgradevoli. Il processo di alterazione della carne avviene nella fase acquosa provocando modificazioni chimico-fisiche, in quanto vi sono composti a basso peso molecolare come glucosio, aminoacidi, nucleotidi, urea e proteine solubili che vengono facilmente metabolizzati dai microrganismi. La metabolizzazione di questi composti parte dall’utilizzo, prima di glucosio, una volta esaurito le specie microbiche utilizzano altri substrati fino ad arrivare ai composti azotati, determinando così la comparsa di sostanze maleodoranti come ammoniaca, di-metil-solfuro e varie ammine (per esempio gli

Pseudomonas, una volta raggiunta la concentrazione di 107 ufc/cm2 causano la formazione di composti volatili responsabili della comparsa di odori sgradevoli. Oppure altri microrganismi appartenenti al gruppo delle Enterobacteriaceae (Lactobacillus,

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