• Non ci sono risultati.

Romano Guardini e il paradigma della “fede nuda”

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Romano Guardini e il paradigma della “fede nuda”"

Copied!
12
0
0

Testo completo

(1)

82 Silvano Zucal

ROMANO GUARDINI E IL PARADIGMA DELLA “FEDE NUDA”

Un tratto davvero originale della proposta filosofica di Romano Guardini è la sua concezione dialettica del rapporto tra religione e fede. Una dialettica “polare” nell’ottica della sua distinzione tra le due tensioni dialettiche della polarità (Gegensatz) e della alternatività incomprimibile (Widerspruch).

Nel contributo, dopo una ricostruzione della visione guardiniana della genesi della religione, si analizza nelle varie tappe storiche la modalità con cui la dialettica religione-fede sia venuta realizzandosi secondo la lettura che ne fa il pensatore italo-tedesco. Ci si concentrerà soprattutto sul post-moderno che, per Guardini, è l’epoca della dialettica polare spezzata tra religione e fede. Questo è dovuto al fatto che nel post-moderno si assiste a una vera e propria “eclissi del religioso”, a un fare anti-iconico privo di immagini autentiche, a un trionfo dell’artificiale con la correlata espulsione del mistero. Un tempo escatologico con una “fede nuda” e non più sorretta dal religioso.

Il percorso speculativo di Romano Guardini per quanto riguarda la dimensione del religioso e, segnatamente, del rapporto dialettico di questo con la fede, appare in ultima analisi molto limpido. Sul piano di un’originale filosofia della storia, egli ha puntualmente ricostruito, con attenzione del tutto particolare, la metamorfosi del religioso dall’Antichità all’età post-moderna. Certo, di particolare rilievo appare la descrizione dell’ultimo tratto di una tale parabola e di una tale metamorfosi ovvero quello che segna la cesura tra la modernità e l’età nuova, ancora senza nome.

Alla riflessione sulla metamorfosi del religioso si accompagna però sempre, in Guardini, un’analoga descrizione della metamorfosi della fede (o meglio del suo modo di esprimersi e di attuarsi), perché quella del pensatore veronese-trentino non è mai una prospettiva di tipo kierkegaardiano-barthiano, che separa radicalmente e rende tra loro altre e incomponibili queste due dimensioni. Egli piuttosto postula una distinzione e insieme una correlazione tra di esse, di “opposizione polare” nella linea del nucleo teorico portante della filosofia guardiniana e del suo approccio metodologico alla realtà, la dottrina del Gegensatz.

La domanda, non priva di drammaticità, che Guardini si pone, è se al termine del tragitto epocale e, quindi, nel cuore della contemporaneità, la metamorfosi del religioso non abbia determinato un suo sostanziale smarrimento, una vera e propria perdita. L’ipotesi di vitale correlazione religione-fede non rischia di saltare nel post-moderno per mancanza progressiva di uno dei due termini in gioco? È forse il post-moderno il tempo davvero inedito di una sopravvenuta “impossibilità del credere”, di una fede nuda, che deve scontare l’abissale

vuoto religioso? Questa è, di fatto, la tesi conclusiva di Guardini, che però non scorge, tranne per alcuni tratti,

nello smarrimento di una correlazione vitale per la fede il positivo compimento di una liberazione, ma piuttosto un vero e proprio dramma epocale.

1. La genesi della religione

Per meglio afferrare la concezione guardiniana del rapporto tra religione e Rivelazione, tra esperienza

religiosa e fede occorre anzitutto cogliere la sua lettura della genesi della religione1. L’analisi fenomenologica

(2)

83

del concetto di religione, in Guardini, è assai accurata e realizzata sulla base di un interessante confronto con le teorie sull’origine della religione presenti nella scienza delle religioni. Guardini individua due fonti della

religione. L’una concerne il “sentimento”, e consiste nell’essere toccati dal carattere misterioso e simbolico di

ciò che esiste, da ciò che in esso appare come “sacro”. Si tratta del momento propriamente sorgivo dell’esperienza religiosa in cui l’esistenza assume un vólto diverso da quello abituale, capace di rimandare ad “Altro”. L’altra concerne invece “l’intelletto”, e consiste nello sforzo di ordinare e chiarificare l’esperienza

religiosa, che di per sé tende a sopraffare il soggetto senza svelare il suo autentico significato. Nel cogliere la

relazione tra elemento “irrazionale” ed elemento “razionale” nella costituzione del religioso, Guardini s’ispira esplicitamente a Rudolf Otto e alle sue analisi del “numinoso” contenute in Das Heilige, del 1917. Questa relazione mostra i suoi effetti nell’intero corso della storia delle religioni, e cioè nei vari passaggi che conducono dall’esperienza religiosa originaria alle religioni. Qualunque sia l’origine vera e propria della religione (Guardini si riferisce alle due teorie prevalenti nell’àmbito della scienza delle religioni di inizio Novecento, quella “preanimistica” che fa leva sulla credenza di una potenza o di un’energia che pervade l’esistenza (mana), e quella “animistica”, che considera la credenza dell’anima come stadio preliminare per la credenza negli dèi), e, indipendentemente dalla diversità del contributo dato da personalità religiosamente dotate, lo sviluppo della storia delle religioni è caratterizzato dal passaggio dalla credenza in una pluralità di dèi a quella in un Essere supremo, unico, Logos o Dio. Questo risultato, questa forma di progressivo “monomorfismo religioso”, è da considerare come il frutto della critica razionale applicata all’esperienza religiosa, che porta a stabilire un’unità là dove dapprima sussiste un’indefinita pluralità (unità che trova un modello paradigmatico nella prospettiva neoplatonica di Plotino). Un simile sviluppo, tuttavia, e qui Guardini si discosta dalla visione evoluzionistica tipica della scienza delle religioni, non è da intendersi come un progresso. Rifacendosi alle analisi di Lucien Lévy-Bruhl sulla mentalità dei primitivi, ma anche alle indagini di fenomenologia della religione di Gerhardus Van der Leeuw, Guardini concorda sul fatto che le forme di religiosità primitiva possiedano una maggiore efficacia e vitalità rispetto a quelle intellettualistiche successive, nonostante queste presentino, a loro volta, una maggiore coerenza e intelligibilità. Inoltre, lo sviluppo della storia delle religioni non è da ritenersi irreversibile, come mostra in età contemporanea la tendenza a una rinascita della credenza negli dèi o, perlomeno, all’invocazione “filosofica” o poetica del loro “ritorno” (a partire da Hölderlin, passando poi per Friedrich Nietzsche, Stefan George e Rainer Maria Rilke per finire ad Heidegger) ed a un conseguente “reincantamento” dell’esistenza mondana. “Reincantamento”, che può assumere anche le forme della divinizzazione del popolo, del sangue, dello Stato e del potere, od anche nella ricerca di nuovi e intra-mondani salvatori: essenzialmente la genesi d’un nuovo politeismo in èra post-cristiana. Guardini leggerà in chiave essenzialmente religiosa il senso ultimo dei totalitarismi del secolo scorso, in specie quello nazista2. Il fatto che lo sviluppo della storia delle religioni non sia univoco, e che in esse rappresentazioni di elevato grado intellettuale si intreccino, talora inestricabilmente, con altre di grado assai inferiore, dipende per Guardini dal fatto che tale sviluppo rimane all’interno di un’esperienza religiosa immediata o naturalistica. Questo significa che anche le rappresentazioni religiose più elevate, quelle riguardanti l’Essere supremo, non sono frutto di una “rivelazione” dell’Altro, ma restano all’interno dell’esistenza mondana. L’esperienza religiosa trova appunto la sua radice ultima nella percezione del carattere sacro dell’esistenza mondana, ma senza che si esca fuori da essa. L’Altro a cui l’esperienza religiosa rimanda, dunque, è soltanto illusoriamente trascendente il mondo, essendone in realtà immanente. Sacro e profano sono i due poli di una medesima realtà, quella mondana, che si oppongono, ma anche si richiamano a vicenda.

Di fronte a questo risultato, l’autentica linea di cesura è quella che corre tra religione ed esperienza

religiosa da una parte e Rivelazione e fede dall’altra. È vero che anche la scienza delle religioni ha rivendicato

il concetto di “rivelazione” per definire determinate esperienze religiose, ma con ciò essa ha finito per

ripubblicato in Id., Unterscheidung des Christlichen. Gesammelte Studien 1923-1963, a cura di Hans Waltmann, Grünewald Verlag, Mainz 19631, Grünewald-Schöningh, Paderborn-Mainz 19943, vol. II, pp. 41-75, tr. it. di Giulio Colombi, Esperienza

religiosa e fede, in Romano Guardini, Filosofia della religione. Esperienza religiosa e fede, Opera Omnia, vol. II/1, a cura

di Silvano Zucal, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 245-279.

2Cfr. su questo Michele Nicoletti, Introduzione a Romano Guardini, Scritti politici, a cura di Michele Nicoletti, in Opera Omnia, vol. VI, Morcelliana, Brescia 2005, pp. 7-69, part. pp. 43-55.

(3)

84

fraintenderne la natura. La Rivelazione, infatti, è l’appello che il Dio santo e signore di sé rivolge all’uomo e non il semplice manifestarsi di un aspetto dell’essere fino ad ora sconosciuto, mentre la fede è l’obbedienza a questo appello, e non la semplice disponibilità a ricevere qualcosa che non si può forzare. Per quanto, come Guardini mostra in altri scritti, per esempio nell’Introduzione a Die Offenbarung. Ihr Wesen und ihre Formen3, sussista un’analogia tra la Rivelazione e la fede intese in senso soprannaturale e la rivelazione la fede intese in senso naturale, fra le due esiste in ultimo una cesura. La Rivelazione del “propriamente Altro” non entra all’interno di alcuno sviluppo, ma rappresenta un puro inizio. Con ciò è attestato il suo carattere trascendente, il fatto di essere frutto di una libera iniziativa divina. Allo stesso modo la fede, nella sua essenza, è obbedienza e non può essere giustificata in base ad altre motivazioni. La fede non è dunque, in fondo, un’esperienza, proprio perché al limite possiamo pensarla come “nuda obbedienza”, cioè a prescindere da qualsiasi elemento esperienziale.

Nell’ammettere una cesura netta tra religione ed esperienza religiosa da una parte e Rivelazione e fede dall’altra, Guardini è ben consapevole di avvicinarsi alla concezione tipica della teologia protestante e, in particolare, alla critica teologica della religione presente nella cosiddetta “teologia dialettica” di Karl Barth. Egli ha però cura di distanziarsi da una simile concezione. In quest’ultima, tra religione e Rivelazione non sussiste semplicemente una cesura, bensì una vera e propria contraddizione, poiché l’uomo e il mondo non sono soltanto “nel peccato”, ma sono “peccato”. In questo modo non è possibile capire come l’uomo possa cogliere il fatto della Rivelazione e riferirlo a se stesso, al punto che la fede non è soltanto obbedienza, ma salto nell’assurdo. Una tale concezione, però, osserva Guardini, non ha una legittimazione biblica, se non estrapolando alcuni passi paolini dal loro contesto e interpretandoli strumentalmente, e si dimostra in ultimo come un episodio della rinascita di quel “tragicismo nordico”, che aveva trovato espressione, nel XIX secolo, in particolare nel pensiero di Kierkegaard. In un passo assai lucido Guardini esplicita bene il senso della sua critica: «Questa concezione semplifica lo stato delle cose, lo esaspera e lo priva di realtà. L’aut-aut in questa forma - predicato un tempo da Kierkegaard in modo che tanto scuoteva – non è cristiano. Il cammino dello sviluppo filosofico-teologico tedesco potrebbe presto mostrarlo, poste alcune circostanze. La visione cristiana è molto più complessa. Non è vero che l’uomo e il mondo siano “peccato”, e quindi ogni esperienza religiosa sia mancanza di verità e contraddizione contro Dio. In ogni punto dell’esperienza religiosa v’è verità, che viene da Dio, che a lui si dirige, ma in ogni punto essa è anche ambivalente, e quindi piena del pericolo dell’assenza di verità e della ribellione. Anzi, proprio questo è l’elemento di gravità, il fatto che vero e non vero, rimandi e indicazioni di Dio e sviamento lontano da Lui sono intrecciati tra loro. Dire: tutta la realtà terrena è contro Dio; mettere da parte tutto e compiere il balzo nel radicalmente altro sarebbe molto più facile, se non fosse privo di senso e impossibile. Ciò che scaturisce da questo tentativo è una fede disperata, congiunta con l’incapacità di vagliare nel mondo ciò che è cristiano e quanto non lo è, di inserire il mondo nel cristianesimo, di superarlo e al tempo stesso di ricuperarlo alla sua destinazione. Un abbandono pertanto del mondo in balìa della pura mondanità, e il paganesimo si avvicina pericolosamente»4.

Con acutezza dunque Guardini respinge il radicalismo della teologia dialettica, che trova la sua motivazione ultima nel rifiuto della teologia naturale. E, in effetti, il tema della teologia naturale rappresenta la chiave di volta conclusiva della posizione guardiniana, che sembra offrire soluzione teorica all’antinomia tra

religione e Rivelazione. L’esperienza religiosa può emanciparsi dal suo carattere naturalistico, e quindi essere

autentica, soltanto se riconosce il mondo come opera di Dio, e dunque se respinge l’incanto della Natura, che conduce ad autonomizzare il mondo, idolatrandolo. In questo modo l’ambiguità dell’esperienza religiosa viene risolta, ed essa può essere considerata come un’autentica propedeutica alla dimensione della fede.

La contrapposizione reciprocamente escludente tra religione naturale e fede nella Rivelazione trova una via d’uscita, per Guardini, nella distinzione, a cui egli si è sempre attenuto dal punto di vista metodologico, tra dialettica di opposizione polare (Gegensatz) e dialettica di contraddizione (Widerspruch), che pone due fenomeni in assoluta e incomponibile alternatività fra loro. Questo rappresenta il cuore di tutta la filosofia della

3Cfr. Romano Guardini, Die Offenbarung. Ihr Wesen und ihre Formen, Werkbund Verlag, Würzburg 1940, tr. it. di Andrea Aguti,

La rivelazione, la sua essenza e le sue forme, in Id., Filosofia della religione. Esperienza religiosa e fede, cit., pp. 326-332.

(4)

85

religione di Guardini, il suo tentativo di evitare sia le derive religionistiche che quelle rivelazionistiche. Le prime includono anche la Rivelazione cristiana, come un semplice capitolo, all’interno della storia delle religioni, le seconde invece radicalizzano a tal punto la peculiarità della Rivelazione da condannare tutto il religioso all’insensatezza, secondo un purismo che non è, per Guardini, coerente con il significato stesso dell’incarnazione. L’uomo religioso e l’uomo credente, pur nella diversità di senso delle due prospettive verso cui tendono, possono incontrarsi e l’atto liturgico è il momento fondamentale di questo incontro. Nessuna dimensione cultuale può infatti concepirsi senza il repertorio simbolico offerto dalla traditio religiosa dell’umanità. In un tale repertorio si innesta anche l’evento inaudito della Parola del Dio personale e la correlata obbedienza della fede.

2. Uno sguardo retrospettivo sulla dialettica religione-fede

Per cogliere i tratti peculiarmente religiosi del post-moderno e le possibilità inedite della fede nell’età nuova occorre uno sguardo retrospettivo.

L’Antichità era religiosamente satura, anche se prigioniera di Salvatori mitici, che non potevano di-suggellare il mondo dal suo irretimento immanente5. In tal senso l’avvento del Cristianesimo ha rappresentato una potente cesura, anche se tutta la magnificenza religiosa dell’umanità è stata – per così dire – “battezzata” entro questa nuova apertura al Trascendente.

La primitiva età cristiana risponderà alla Rivelazione con “animo giovanilmente gioioso”, con entusiasmo da statu nascendi, anche se si conserva, nell’espressione e nell’atteggiamento, l’antica misura che si esprime col concetto di classicità. Le prime testimonianze cristiane mostrano insieme una ammirevole freschezza, un ardire gioioso, una grande nobiltà, un tentativo di spezzare l’incantesimo religioso del tempo per attuare la fede con tutto il proprio essere. Anche la radicalità del rigetto nel Cristianesimo delle origini della

religione dell’Antichità pagana non implica mai (o solo di rado) un rifiuto di tutte le sue forme espressive, ma

feste, miti, tradizioni cultuali e rituali vengono in certo qual modo assunti e riconvertiti.

Il Medioevo possiede un acuto sentimento religioso del rapporto con il Dio trascendente e, dall’altezza conquistata al di sopra del mondo, ne viene una ferma volontà di riplasmare l’intera esistenza e quello stesso mondo: un incrocio del tutto particolare di fervore mistico e di precisione architettonica, che caratterizza la rappresentazione medievale dell’esistenza. L’uomo medievale trae dal suo vissuto religioso un’inesauribile forza simbolica, che gli permette di edificare i grandi templi e le grandi Summae. La correlazione vitale tra pienezza del religioso e fede, conosce qui il suo apogeo. Nel Medioevo, per cui Guardini sulla scia di Landsberg6

5Cfr. su questo Id., Der Heilbringer in Mythos, Offenbarung und Politik. Eine theologisch-politische Bessinnung, Deutsche Verlagsanstalt, Stuttgart 1946, tr. it. di Omar Brino, Il Salvatore nel mito, nella Rivelazione e nella politica. Una riflessione

teologico-politica, in Romano Guardini, Scritti politici, Opera Omnia, vol. VI, cura di Michele Nicoletti, Morcelliana,

Brescia 2005, pp. 293-345.

6Paul Ludwig Landsberg, Die Welt des Mittelalters und wir. Ein geschichtphilosophischer Versuch über den Sinn eines Zeitalters, Friedrich Cohen, Berlin 1921. Sul rapporto di Guardini con Landsberg cfr. Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, Romano Guardini

1885-1968. Leben und Werk, Matthias-Grünewald Verlag, Mainz 19954, tr. it. di Benno Scharf e di Carlo Brentari, ed. it. a cura di Silvano Zucal, Romano Guardini. La vita e l’opera, Morcelliana, Brescia 2018, pp. 164-166; Giancarlo Caronello, Il

paradigma del Medioevo cristiano in Landsberg, in Michele Nicoletti-Silvano Zucal-Fabio Olivetti (eds.), Da che parte dobbiamo stare. Il personalismo di Paul Ludwig Landsberg, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, pp. 17-89. Per gli studi di

Guardini su Bonaventura dobbiamo ricordare la sua tesi di Laurea e quella per l’abilitazione alla docenza universitaria: Romano Guardini, Die Lehre des heil. Bonaventura von der Erlösung. Ein Beitrag zur Geschichte und zum System der

Erlösungslehre, Leonard Schwann, Düsseldorf 1921, tr. it. di Isabella Visentini, La dottrina della Redenzione in san Bonaventura. Un contributo storico-sistematico alla dottrina della Redenzione, in Id., Bonaventura, Opera Omnia, vol.

XVIII, a cura di Ilario Tolomio, Morcelliana, Brescia 2013, pp. 63-350; Id., Systembildende Elemente in der Theologie

Bonaventuras. Die Lehren vom lumen mentis, von der gradatio entium und der influentia sensus et motus [titolo originale: Die Lehre vom lumen mentis, von der gradatio entium und von der influentia sensus et motus und ihre Bedeutung für den Aufbau des Systems Bonaventuras], ed. W. Dettloff, E.J. Brill, Leiden 1964, tr. it. di Isabella Visentini, Princìpi fondamentali

(5)

86

e anche dei suoi propri studi su Bonaventura, nutriva una velata predilezione tutta la vita è penetrata dal

religioso, che ne innerva tutte le manifestazioni, dal diritto all’ordine sociale ed economico, dalla morale alla

speculazione filosofica, dalla creazione artistica alle ideologie operanti, anche conflittualmente, nella storia. Questa visione religiosa onnipresente vede nella fede cristiana la verità universalmente accettata e nella Chiesa la mediazione storica di essa. La capacità dell’uomo singolo di esperire una realtà religiosa, la vitalità del suo rapporto col divino, la percezione dell’immediatezza con cui esso opera nella sua esistenza erano estremamente profondi. Un’esperienza religiosa intensa, sviluppata in profondità e in finezza, in cui tutte le cose e tutti i rapporti della vita erano saturati da valori religiosi. Questa magnificenza religiosa medievale si riallacciava intimamente all’Antichità e ne era in certo qual modo, anche se in diverso contesto, un proseguimento. Contro ogni visione di ascendenza barthiana, Guardini sostiene che «se questo dono di religiosità rappresenta [sì] un elemento diverso dalla pietà cristiana, e se ciò che essa consente di cogliere nelle cose e negli avvenimenti è diverso dal contenuto della Rivelazione, un rapporto [però] esiste tra questi due campi di esperienza. La

religiosità naturale è purificata dalla Rivelazione e introdotta nel suo contesto ideale. Dal canto suo porta alla fede cristiana delle forze elementari, elementi del mondo e della vita, attraverso i quali i contenuti della Rivelazione sono ricondotti alla realtà terrena»7.

Nel moderno la prospettiva muta radicalmente. Non perché, per Guardini, l’età moderna sia un’età

a-religiosa, ma perché viene messa in dubbio la capacità della fede cristiana di plasmare i diversi campi della vita.

Sempre più ovvia e naturale appare la pretesa che la scienza, la politica, l’economia, l’ordine sociale, la filosofia debbano svilupparsi muovendo unicamente dalle proprie norme immanenti. Avviene così una sorta di emarginazione del religioso, che vien relegato in àmbito privato. La conseguenza è che se da un lato si afferma un’esistenza del tutto profana, autonoma, e staccata da influenze cristiane dirette, dall’altro nasce una sorta di

religiosità egualmente isolata e autonoma. A una scienza puramente scientifica, a un’economia puramente

economica, a una politica puramente politica, si accompagna così – secondo Guardini – anche una “religiosità puramente religiosa”, che è sempre più isolata dalla vita concreta e sempre più povera di contenuto profano. Ciò non toglie che anche nel moderno la fenomenologia della fede sia articolata e complessa. Il Rinascimento, ad esempio, non fu soltanto un rinnovamento del sentimento pagano del mondo, ma introdusse positivamente nella coscienza cristiana i nuovi impulsi allo sviluppo della personalità e alla conquista del mondo fino a fare dell’operare umano una vera e propria attuazione di un incarico divino. Né si può dimenticare, annota Guardini, che nel Barocco la fede si dispiega in modo addirittura trionfale, non soltanto nelle arti figurative e nell’architettura, non solo quindi in un fasto esteriore, ma anche nel fervore dei mistici e nel grande lavorio teologico di quel tempo. L’età dell’Illuminismo, al di là di tutti i contrasti, introdusse nella fede cristiana, anche quando voleva essere una risposta apologetica, un’istanza di razionale chiarezza. Nel Romanticismo poi la fede dovrà e potrà ritrovare un proprio equilibrio in rapporto a un potente ritorno di religiosità in cui si rivelano di nuovo le forze fondamentali dell’anima ed un ricco simbolismo, che offre di nuovo alla fede calore e profondità insieme però ad eccessi e pericoli. Sarà piuttosto con il Positivismo che il terreno per la fede si farà insieme arduo e faticoso, perché essa dovrà affermarsi contro un’aspra critica e dovrà realizzare un duro lavoro per mediare nuovamente i propri contenuti sul piano concettuale. Al di là di queste varianti l’esito ultimo del

moderno, il paradigma fondamentale che si determina in rapporto alla sua decisiva triade, Soggetto-Natura-Cultura, mette capo a un declino della immediata ricettività religiosa, a una perdita sempre più accentuata della

capacità di un contatto diretto con il contenuto numinoso delle cose. L’uomo moderno tende a non lasciarsi più afferrare dal flusso di mistero che promana dal mondo, a subire un progressivo indebolimento delle sue

disposizioni religiose naturali. Egli va così incontro al pericolo del distacco “autonomo” dal fondamento

originario e portante del divino. La Natura, la politica, lo Stato, l’arte stessa vedono scomparire progressivamente da sé ogni accento religioso. In tal modo ogni evento perde la sua apertura a un più alto significato, che oltrepassi quello immediato e si determina un vuoto, un’assenza, una perdita: «Senza elemento

religioso la vita diviene come un motore che non ha più olio. Si riscalda, ad ogni momento qualche cosa brucia,

della teologia di san Bonaventura. L’illuminazione della mente, la gerarchia degli esseri, il flusso della vita, in Id., Bonaventura, cit., pp. 351-662.

7R. Guardini, Das Ende der Neuzeit. Ein Versuch zur Orientierung (Meinem Bruder Mario zugeeignet), Hess, Basel 1950, tr. it. di Maria Paronetto Valier, La fine dell’epoca moderna, Morcelliana, Brescia 19999, p. 93. Il corsivo è nostro.

(6)

87

e dappertutto si smuovono pezzi di ingranaggi. Il centro ed i raccordi si spezzano»8. Quando un tale processo di progressiva eclissi del religioso giunge a compimento, l’età moderna conosce la sua fine e nasce un’epoca nuova. Certo, la catena di reazioni che il moderno ha innescato si prolunga ancora, perché ogni passaggio epocale è sempre ampiamente preparato in precedenza e, insieme, ogni epoca morente esercita ancora a lungo il suo influsso: «Nell’epoca che sentiamo avanzare da ogni parte e a cui non possiamo ancora dare un nome, l’età moderna giunge alle sue ultime conseguenze, sebbene ciò che di questa età moderna rappresenta l’essenza, non determini più l’autentico carattere della pagina della storia che sta per aprirsi»9.

3. Il post-moderno e l’eclissi del religioso

In termini generali, il post-moderno si qualifica, per Guardini, come la fine dell’euforia connessa al dominio e al potere tecnico-scientifico sul mondo. Mentre il moderno aveva accolto come un’assoluta vittoria ogni aumento della potenza scientifica e tecnologica, nell’età nuova una tale certezza è oramai scossa e si fa anzi strada la convinzione che questo aumento esponenziale del potere è una minaccia, come la bomba atomica da un lato e i disastri ecologici dall’altro confermano: «L’epoca futura in definitiva non dovrà affrontare il problema dell’aumento del potere […] ma quello del suo dominio. Il senso centrale di questa epoca sarà il dovere di ordinare il potere in modo che l’uomo, facendone uso, possa rimanere uomo […]. [L’uomo dovrà essere] capace non soltanto di esercitare un potere sulla natura, ma anche un potere sul proprio potere […], apprendere ad essere “reggitore”, impedendo che ogni cosa crolli nella violenza e nel caos»10.

Se questi sono i tratti decisivi della problematica etica generale nel post-moderno, sul terreno propriamente religioso essa sarà invece l’epoca evocata dal personaggio dostoevskijano di Stavròghin: l’epoca del vuoto religioso. A determinare un tale vuoto concorrono diversi fattori. Guardini indica in particolare i fenomeni della massificazione, dell’egemonia spaventosa dell’artificiale, dell’assoluto potere della tecnica, che determina un’epoca senza immagini autentiche. Abbiamo visto, in precedenza, che quanto più risaliamo indietro nella storia, tanto più potente e diffuso è il religioso come intuizione immediata, che percepisce un elemento numinoso in tutte le cose, in tutti gli eventi e in tutti i rapporti. Per una sensibilità religiosa, il reale è sempre eccedente, è sempre qualcosa di più di quanto possa afferrare un’esperienza meramente empirica. Nel

post-moderno una tale intuizione va sempre più indebolendosi. Del resto proprio il trionfo della scienza e della tecnica

fanno sì che quest’esperienza religiosa immediata diminuisca e forse (progressivamente) sparisca del tutto e che il mondo e l’uomo divengano “puro e semplice” mondo e “puro e semplice” uomo. Purtuttavia «l’anomalia di questo stato si manifesta in tutto quello che la filosofia, l’arte, l’esperienza medica, la psicologia, definiscono come l’“angoscia” dell’uomo […], il suo “disorientamento”, la sua “solitudine”, la sua “nausea”»11. Ne emerge un quadro dell’esistenza, che vede nella sopravvivenza di Dio e della religione nel sentimento umano soltanto un’invenzione o un’abile propaganda delle Chiese. Non si tratta allora, come per la poetica di Hölderlin ripresa da Heidegger, di una fuga degli dèi, di un “allontanamento di Dio” o, addirittura, di un suo “abbandono”. Non è certo Dio a volere questa “eclisse”, ma semmai «Dio stesso sembra prendere parte intimamente al processo. Io credo […] che Dio si assuma questa situazione come un proprio dolore. Lo sopporta come una parte di quella storia che egli vive nel suo mondo»12. È indubbio che l’uomo grazie alla “tecnica” acquista un’eccezionale libertà, non è più costretto a “servire”, ma “comanda” e dispone. In precedenza l’uomo era asservito alla Natura, ora è superiore ad essa e lo sarà sempre più, ma con ciò verrà anche ad essere profondamente mutata la sua

8Ivi, p. 98. Il corsivo è nostro.

9R. Guardini, Die Macht. Versuch einer Wegweisung, Grünewald, Mainz 1954, tr. it. di Maria Paronetto Valier, Il Potere [pubblicato insieme a La fine dell’epoca moderna], Morcelliana, Brescia 19999, p. 114.

10Ivi, p. 115 e p. 196.

11R. Guardini, Theologische Briefe an einen Freund. Einsichten an der Grenze des Lebens, Schöningh Verlag, Paderborn 1976, tr. it. delle Benedettine di S. Maria di Rosano, Lettere teologiche ad un amico. Intuizioni al limite della vita, Vita e Pensiero, Milano 1979 (19942), p. 33.

(7)

88

maniera di sperimentare e realizzare se stesso nel mondo. La Natura non sarà più un misterioso dominio primordiale in cui egli deve muoversi con pietas, con timore reverenziale come nella poesia di Hölderlin13, ma un serbatoio di risorse e di energie, di cui egli può completamente disporre. Nel precedente rapporto di servitù nei confronti della Natura, l’uomo era però anche garantito, la padrona era anche nutrice. Ora invece tutto è mutato, la grande libertà implica per l’uomo anche una straordinaria insicurezza, un essere-nel-mondo largamente arbitrario, smisurato e spesso a ridosso del rischio estremo e mortale di una “Natura” manipolata, che gli si rivolta contro con una violenza e con un’ostilità per le quali si è tentati di usare l’espressione mitica della “vendetta del vinto”. Ciò implica anche l’egemonia dell’artificiale: «La “natura” […] si trasforma sempre più nella “cultura”, nella “tecnica”, ossia in quello che l’uomo ha escogitato e fatto. E quest’ultimo si trasferisce sempre più, da un mondo che gli era stato “dato”, da un mondo che doveva organizzare in senso originario, in un mondo deciso da lui, artificiale»14. In una certa sintonia con le posizioni di Günther Anders15, Romano Guardini afferma che l’uomo esiste così in un atteggiamento assoluto, senza essere assoluto, e anzi proprio la sua potenza tecnica si risolve da ultimo nella realtà di un individuo costruttore e consumatore, la cui consistenza vitale diviene sempre più misera e uniforme.

4. “Un fare privo di immagine”

L’altro fattore decisivo che determina il post-moderno è il fenomeno della “massa” e anzi, per Guardini, si può dire che i tre momenti – scienza, tecnica e massa – si tengono e fanno un tutto unico, presupponendosi e condizionandosi a vicenda. Nell’insieme ne risulta un quadro fondamentale dell’esistenza post-moderna, che Guardini definisce sinteticamente come un «fare privo di immagine» (Tun ohne Bild). Un’epoca dominata dal pensiero puramente funzionale e dall’intelletto calcolatore, privo di interiorità. Quest’ultima è infatti solo nello

spirito che guarda e apprende il significato, nel cuore che sente il valore, nell’animo la cui profondità si apre e

può accogliere in sé le cose. Tutto ciò sembra atrofizzato nel post-moderno come lo era, ancora una volta, nel personaggio di Stavròghin di Dostoevskij riletto intensamente da Guardini.

L’uomo che ha fatto consapevolmente il passo nell’età che ora soltanto sta per venire, obietterà che la tecnica è neutra, non mira a realizzare scopi, ma ciò non elimina il fatto che l’età nuova, come dice Rilke, «non conosce più templi»16, ma sa costruire edifici soltanto esteriori, che emergono puramente dal calcolo, non invece dalla visione delle forme da parte dello spirito, da pura necessità unitaria e non dall’interiorità del cuore. Le chiese del passato sono nate dagli orientamenti interiori e dalle energie della vita contemplativa, mentre ora la tecnica elimina le autentiche forme con forme del tutto arbitrarie e artificiose. Guardini condivide appieno la prognosi rilkiana contenuta in questi celebri versi:

Parla e confessa. Più che mai prima


precipitano le cose, le cose che noi possiamo vivere, poiché un fare spoglio d’immagine le rimuove e surroga Un fare fra croste che vanno volentieri in frantumi,

13Cfr. Id., Hölderlin. Weltbild und Frömmigkeit, Jakob Hegner Leipzig 1939, tr. it. di Giampiero Moretti, Hölderlin, in Opera

Omnia , vol. XXI, a cura di Giampiero Moretti, Morcelliana, Brescia 2014, pp. 394-517.

14Id., Lettere teologiche ad un amico. Intuizioni al limite della vita, cit., p. 46.

15Cfr. Günther Anders, Die Antiquiertheit des Menschen, Band I: Über die Seele im Zeitalter der zweiten industriellen Revolution, Oscar Beck, München 1956, tr. it. di Laura Dallapiccola, L’uomo è antiquato. Considerazioni sull’anima nell’era della

seconda rivoluzione industriale, Il Saggiatore, Milano 1963; Id., Die Antiquiertheit des Menschen, Band II: Über die Zerstörung des Lebens im Zeitalter der dritten industriellen Revolution, Oscar Beck, München 1980, trad. it. di Maria

Adelaide Mori, L’uomo è antiquato. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 1992.

(8)

89

non appena l’azione dentro cresce e si pone limiti diversi17.

Una macchina può essere stupefacente per la sua potenza o anche per la sua precisione, ma ciò che essa produce è sempre realtà artefatta. La tecnica è appunto un “fare spoglio di immagine”. Prima dell’era della tecnica le “immagini” erano potenti e una tale potenza appare sempre più grande e più arcana quanto più si retrocede nel tempo fino a divenire magica e mitica. La metamorfosi delle “immagini” fino alla loro scomparsa è lo stesso processo della metamorfosi del religioso. Le “immagini” sono le forme fondamentali della visione (Anschauung) attraverso cui noi ordiniamo la molteplicità e la realtà policroma del mondo e questo, non per ragione teorica, ma piuttosto in vista della possibilità di reggerci e di orientarci nel vivere come nell’agire18. Le “immagini” – nell’accezione guardiniana – sono rappresentazioni, che sorgono dall’incontro con una determinata cosa o processo, il cui significato si estende però a tutta l’esistenza. “Immagine” è, in tal senso, la fonte, la sorgente, il cammino, la fiamma, l’onda, l’albero, l’anello… Esse rischiarano l’esistenza ed esprimono i modi fondamentali in cui e mediante cui l’uomo può orientarsi in essa. Le “immagini” appartengono al patrimonio fondamentale della coscienza non perché siano innate, ma perché al fondo dello spirito sta la disponibilità a produrle e a evocarle. Bastano pochi incontri con la realtà del mondo perché ciò accada. Esse sono sedimentate nella poesia, nella tradizione sapienziale, nell’arte e costituiscono una sorta di tradizione attiva e operante. Tutte le “immagini” sono di fatto «ricolme di contenuto religioso; appaiono nel mito e nella favola; nel culto e nella consuetudine, nella creatività culturale e nel sogno. Proteggono dal caos. Sono punti luminosi del sacro; abbozzi preliminari dell’agire. Ora [nel post-moderno], molte di queste immagini sembrano impallidire, perché l’incontro da cui sorgono ha luogo sempre più raramente, diventa sempre più confuso – perché la tecnica le rimuove. Chi ha ancora visto una sorgente reale, e, cosa più importante, l’ha sperimentata? […] Quando l’uomo attuale ci pensa, gli viene in mente il rubinetto, che si gira»19. Ormai non c’è più un “fare in immagini”, guidato dalle “immagini” ed espresso in “immagini”. L’“immagine” non congiunge più parole e cose, non domina la profondità interiore dell’uomo così come le sue opere esteriori. Ciò che l’uomo genera con il suo insonne operare nell’età post-moderna non sono, come dicono i versi rilkiani, che “croste”, cioè depositi, organizzazioni, apparecchiature che, non possedendo forme originarie, sono inevitabilmente destinati ad andare “in frantumi”. Non a caso Guardini ripropone il celebre brano di una lettera di Rilke a Witold von Huléwicz del 13 novembre 1925, che rappresenta in modo paradigmatico il post-moderno con il dominio degli “artifici di vita” e il deserto d’“immagini”: «Ancora per i padri dei nostri padri era una “casa”, una “fontana”, una “torre” conosciuta, persino la loro propria veste, il loro mantello, era infinitamente più, infinitamente più familiare; quasi ogni cosa un vaso, in cui essi già trovavano l’umano e accumulavano ancora altro umano. Ora incalzano dall’America vuote cose indifferenti, apparenze di cose, parvenze della vita ... Una casa, nel senso americano, una mela americana, una vite di là non ha nulla di comune con la casa, il frutto, il grappolo in cui era penetrata la speranza dei nostri avi... Le cose, animate, vissute, consapevoli con noi, declinano e non possono più essere sostituite. Noi siamo forse gli ultimi che abbiano ancora conosciuto tali cose. Su noi posa la responsabilità di conservare non solo il loro ricordo (sarebbe poco e infido) ma il loro valore umano e larico. [“Larico” nel senso delle divinità della casa]»20. Emerge una forma d’esistenza affetta da cinetismo e in cui tutto è dinamica, praticità, ma senza più serietà e destino. S’impone l’egemonia strisciante di una “felicità” inorpellata e superficiale. Di qui la prognosi guardiniana: «Lo stadio finale della nostra storia sarà quello della massima esigenza di vita come della soddisfazione ottimale di quella stessa esigenza, ma, nel medesimo tempo, quello della monotonia assoluta e della noia più profonda; un tedio che si sfogherà, di volta in volta, in esplosioni di

17Id., Nona Elegia, vv. 43-47. Il commento di Romano Guardini in Id., Rainer Maria Rilkes Deutung des Daseins. Eine

Interpretation der Duineser Elegien, Kösel, München 1953, tr. it. di Guido Sommavilla, premessa di Silvano Zucal, Rainer Maria Rilke. Le Elegie duinesi come interpretazione dell’esistenza, Morcelliana, Brescia 20032, p. 408.

18Guardini propone un rapporto tra la sua concezione delle “immagini” e quella platonica delle Idee (cfr. ivi, p. 411).

19R. Guardini, Die Situation des Menschen (1954), in Id., Unterscheidung des Christlichen. Gesammelte Studien 1923-1963, Matthias-Grünewald-Verlag, Mainz 1963, pp. 219-237, tr. it. di Adolfo Fabio, La situazione dell’uomo, in Id.,

Natura-Cultura-Cristianesimo, Morcelliana, Brescia 1963, pp. 191-209, qui p. 205. Il corsivo è nostro. Cfr. l’intero paragrafo “Lo

sbiadirsi delle immagini”, ivi, pp. 204-206.

(9)

90

smania feroce, di furiosa ribellione contro tutto, per poi ricadere nuovamente nell’antica apatia»21.

5. Il post-moderno e l’espulsione del mistero

Come si disegna allora la realtà religiosa nel post-moderno? Guardini afferma che, sulla base della filosofia del religioso in Rudolf Otto e, ancor prima in Kierkegaard, egli ha ben chiara la differenza che esiste tra l’esperienza religiosa e la fede, tra il carattere numinoso della realtà mondana ed esistenziale e la Rivelazione che richiede obbedienza fiduciale da parte del credente22. Il religioso appartiene alla natura umana, mentre fede e Rivelazione poggiano sulla gratuità della grazia. Il religioso, come momento psicologico-culturale dell’umano, varia con la storia fino a conoscere una sorta di esaurimento nel post-moderno. In effetti nell’epoca nuova assistiamo a una vera e propria espulsione del mistero e, in tal modo, la dimensione dell’ultra-razionale, di ciò che è donato e gratuito, va perduta: «Esemplare è l’odierno sistema delle assicurazioni. Se lo si considera negli sviluppi estremi che ha già avuto in molti Paesi, esso appare come l’eliminazione di ogni sfondo religioso. Tutte le eventualità della vita vengono “previste”, calcolate secondo la frequenza e l’importanza e rese inoffensive. Gli eventi capitali della vita umana: concepimento, nascita, malattia, morte, perdono il loro carattere di mistero. […] E quando rappresentano dei fatti che non possono essere domati, allora si “anestetizzano”»23. L’elemento del meraviglioso e del misterioso è poi fortemente compromesso dalla quantità, dall’eccesso di stimoli. Non c’è esperienza del mistero senza silenzio, quiete, raccoglimento e rarità. Fino a un certo punto l’incremento dello stimolo può accrescere, approfondire e differenziare l’impressione, può suscitare un’emozione più profonda, uno stupore più grande, ma – a partire da quel punto – subentra l’abitudine, l’impressione si ottunde, scompare la realtà del misterioso e, così, una dimensione fondamentale del religioso va perduta. Un indice singolare di questa perdita è la sostituzione artificiale del mistero, che si realizza con la notevole inclinazione post-moderna «a superstizioni, a saggezze pseudo-mistiche, a esoterismo […] e si crede ai più “strani miracoli” e con una fiducia addirittura cieca»24. Anche il mistero dell’unicità della persona e la sua aura religiosa vengono sempre più messi in ombra nella società di massa. Egualmente evidente è la scomparsa dell’elemento misterico-contemplativo in rapporto alla Natura. Le forme immediate dell’essere naturale non portano più con sé una dimensione numinosa. La terra sulla quale l’uomo sta, lo spazio celeste con lo splendore delle sue costellazioni, il ritmo alterno della luce e delle tenebre, perdono ogni dimensione di trascendenza sia verso l’intimo che verso l’alto: «Sempre più difficilmente avviene ad esempio un’esperienza davanti ad un albero come quella davanti al platano presso l’Ilisso, nel Fedro di Platone. Il Reno industrializzato non renderà mai possibile quella relazione, che si esprime negli inni di Hölderlin. Nei ritmi delle stagioni, nelle situazioni della luce del giorno e dell’oscurità della notte, nei processi della crescita, della procreazione, della nascita e della morte, che l’uomo ha esperito prima come numina o come relazioni originarie col Dio creatore, vedrà sempre più solo fatti razionalmente comprensibili e tecnicamente padroneggiati»25. Addirittura l’atteggiamento contemplativo minaccia di scomparire in senso assoluto. Il silenzio con la sua potente valenza religiosa, rischia di rivelarsi ormai impossibile in un’età dominata dall’inquinamento acustico sia sul terreno materiale che su quello spirituale26. In tal modo si perde ogni coscienza di una Gegebenheit, di una realtà del mondo e della vita come dono e non semplicemente come dominio. Per cogliere ciò occorrerebbero gli atteggiamenti del farsi silenziosi, del guardare, dell’ascoltare attento e recettivo, dell’accogliere e del ringraziare. Occorrerebbe la coscienza di una non-ovvietà di ciò che è. Tutti atteggiamenti estranei al paradigma culturale dominante del post-moderno. Un uomo incapace di ascolto è un uomo sradicato, che non può più attingere a una tradizione. Ogni ordinamento tradizionale dell’esistenza in cui il singolo poteva entrare trovando insieme la sua definizione si dissolve

21R. Guardini, Lettere teologiche ad un amico. Intuizioni al limite della vita, cit., p. 50. 22Cfr. ivi, p. 51.

23R. Guardini, La fine dell’epoca moderna, cit., pp. 95-96. Il corsivo è nostro.

24Id., Sorge um dem Menschen, Bd. I, Werkbund, Würzburg 1962, tr. it. di Albino Babolin, Ansia per l’uomo, vol. I, Morcelliana, Brescia 1970, p. 129 e p. 256.

25Id., La situazione dell’uomo, cit., p. 201.

(10)

91 ovunque: «L’uomo diventa un senza patria»27.

Il religioso ormai estenuato sopravvive nel post-moderno solo come un neo-paganesimo, che si distingue radicalmente da quello antico per aver perso l’ingenua freschezza di questo, dovendo ormai affermarsi – come direbbe Kierkegaard – nella serietà della decisione contro Cristo. Guardini rileva tracce di questo paganesimo post-moderno nel ritorno del mito e nella “religione del corpo”. Ad esempio il sentimento religioso dell’ultimo Rilke sembra esprimere questo tentativo di creare un nuovo mito attraverso la secolarizzazione di pensieri e di atteggiamenti cristiani. E così tutti gli epigoni di Nietzsche si fanno banditori di una nuova “religione del corpo”. Ma più che effettive dimensioni del religioso, l’interesse per il corpo o, ancor più, per il mito «in molteplici maniere diventa una moda»28. Il religioso perduto sembra quindi tornare alla ribalta solo come una delle varianti sul mercato del gusto dell’eccentrico.

6. La “fede nuda” come destino epocale

La domanda che ora Guardini si pone è se insieme con l’esperienza religiosa nel post-moderno diviene assurda e improponibile anche la fede. In altri termini, la perdita progressiva del religioso implica il venir meno della possibilità esistenziale della fede? Dostoevskij, riletto da Guardini, già sembrava adombrare un’ipotesi di questo tipo29. Per il pensatore italo-tedesco è indubbio che «il pericolo più grande, la controforza più rovinosa per la fede non stiano nelle sedicenti difficoltà, obiezioni, ecc., bensì nello svuotamento spirituale che si produce perché l’elemento religioso si indebolisce sempre più. Perciò la fede, gli atti religiosi, il culto divino, i sacramenti, ecc., divengono sempre più faticosi»30. È fuor di dubbio che questa radicale secolarizzazione è, in positivo, opera anche del Cristianesimo: «Anche il Cristianesimo coopera a spezzare quel contenuto immediatamente religioso dell’esistenza, la cui potenza aveva sopraffatto l’uomo, gli aveva fatto apparire il mondo come l’assoluto divino, imprigionandolo nel suo incantesimo. La Rivelazione spezza questo incantesimo poiché annuncia un Dio che, sovrano egli stesso, ha creato il mondo e lo giudicherà»31. Con questo, però, la

Rivelazione non sopprime l’esperienza religiosa naturale dell’essere, che varia secondo le persone e le epoche,

ma la assume e la purifica innestandola nelle varie forme spirituali e cultuali. Tale processo ha la funzione di liberare dall’incantesimo ed è quindi indubbio che nell’immediato rapporto religioso con il mondo il cristiano è assai meno “religioso” del pagano di un tempo. Non per questo però l’atto di fede può realizzarsi in un vuoto e in un’assenza del religioso. Il religioso non è solo la scoria o l’impurità inevitabile, che accompagna l’atto di

fede, ma ne è il suo necessario e vitale complemento. Cosa ne sarà allora della fede nel post-moderno? È illusorio

e inutile, per Guardini, ogni tentativo «di ravvivare artificialmente, con metodi vuoi suggestivi, vuoi pedagogici, l’esperienza religiosa in via d’estinzione. Occorre piuttosto impostare chiaramente il problema: la fede autentica nella Rivelazione, che aspetto assumerà sia in un uomo sia in un’epoca, in cui questa rarefazione del “religioso” è divenuta predominante?»32.

La prospettiva guardiniana è quella di rintracciare una sorta di dover-essere della fede nel post-moderno, un dover-essere doloroso, perché fa i conti con l’avvenuta amputazione di un organo vitale, l’organo religioso, di tutto rilievo per una piena esperienza spirituale. Occorre ormai immaginare un futuro che vedrà, secondo la suggestiva espressione guardiniana, una “fede nuda”, una fede deprivata di un’esperienza religiosa, una fede di

27Romano Guardini, Briefe vom Comer See, Grünewald, Mainz 1927; poi con il titolo Die Technik und der Mensch. Briefe vom

Comer See, Grünewald- Schöningh, Mainz-Paderborn 19902, tr. it. di Giulietta Basso, Lettere dal lago di Como. La tecnica

e l’uomo, Morcelliana, Brescia 19932, p. 89.

28Id., Die Sinne und die religiöse Erkenntnis, Werkbund, Würzburg 1958, tr.it. di Giulio Colombi, I sensi e la conoscenza

religiosa, in Id., Filosofia della religione. Religione e Rivelazione, in Opera Omnia, vol. II/2, a cura di Andrea Aguti,

Morcelliana, Brescia 2010, pp. 109-124, qui p. 122.

29Cfr. Id., Religiöse Gestalten in Dostojewskijs Werk. Studien über den Glauben, Hegner, Leipzig 1939, tr. it. di Maria Luisa Rossi, Il mondo religioso di Dostojevskij. Studi sulla fede, Morcelliana, Brescia 1995.

30Id., Lettere teologiche ad un amico. Intuizioni al limite della vita, cit., p. 55. 31Id., Il Potere, cit., p. 163. Il corsivo è nostro.

(11)

92

cui si può trovar traccia nelle biografie di alcune grandi personalità cristiane, come Pascal, ma che ogni credente può sperimentare in determinate ore della vita, soprattutto nella vecchiaia quando – sottolinea Guardini – l’atto

di fede viene compiuto solo come “prestazione”, come fedeltà e in assoluto realismo. Un atto di fede che non è

più sorretto da alcun motivo sentimentale o da alcuna suggestione religiosa. Questo nuovo dover-essere della

fede richiederà una incondizionatezza e una radicalità inimmaginabile, una chiarezza terribile anche se salutare.

Di fronte ad un vuoto religioso e a un deciso manifestarsi dell’esistenza non-cristiana non è più possibile una

fede ambigua, una fede “crociana-culturale” del “perché non possiamo non dirci cristiani”, quella sorta di

“usufrutto” per cui, pur negando di fatto la Rivelazione, ci si appropria dei valori e delle forze, che essa ha elaborato. Già Nietzsche aveva ammonito che il moderno non-cristiano non aveva davvero compreso che cosa veramente sia non essere più tale e quale drammatico prezzo comporti. La fede, piuttosto, «dovrà acquistare nuova risolutezza. Anche la fede deve uscire dalle laicizzazioni, dalle analogie, dalle mezze misure e dalle confusioni. […]. Queste ambiguità verranno a cessare. Si considereranno sentimentalismi i valori cristiani secolarizzati e l’atmosfera ne risulterà purificata. Piena di ostilità e di pericolo, ma pulita e aperta»33. Questa perdita del rapporto col religioso non sarà solo un danno per la fede, ma anche una sorta di catarsi e un itinerario per un prezioso discernimento: «La pienezza religiosa aiuta a credere, ma può anche velare e mondanizzare il contenuto della fede. Quando quella pienezza si riduce, la fede diviene più parca, ma anche più pura e più forte. Il suo sguardo sulla realtà si fa più aperto, il suo centro di gravità penetra più profondamente in ciò che è personale: nella decisione, nella fedeltà, nella capacità di superarsi»34.

La fede nuda è una fede, che deve scontare la solitudine e l’insicurezza. Spesso si è rinfacciato al Cristianesimo di essere un approdo securizzante e, in parte, era vero perché nelle Chiese continua a vivere una folla di tradizioni culturali e di evidenze etiche, che altrove sono dileguate o addirittura morte. Per Guardini anche il patrimonio culturale della Chiesa non potrà sfuggire alla generale decadenza della tradizione propria del post-moderno o diventerà comunque molto problematico. Il credente dovrà trovare forza e fiducia quasi abbarbicandosi alle nude verità di fede. Nulla sarà più spontaneo e automatico e, solo così, la fede sarà in grado di resistere nel pericolo. Sarà una fede di obbedienza, di obbedienza pura, non perché l’uomo divenga “eteronomo”, come pensavano il personaggio di Kìrillov in Dostoevskij e Nietzsche, ma perché Dio è santità assoluta e inverante l’umano.

7. Il post-moderno come “tempo escatologico”

Il post-moderno, questo tempo in cui la dialettica polare religione-fede si è spezzata, appare a Guardini come un “tempo della prova”, un tempo estremo e in certo modo “escatologico”: «La fiducia e il coraggio formeranno il carattere proprio della fine dei tempi. L’ambiente della cultura cristiana, l’appoggio della tradizione perderanno vigore. Questo sarà uno degli elementi di quello scandalo, del quale è detto che “se fosse possibile, anche gli eletti vi soccomberebbero” (Mt 24,24). La solitudine nella fede sarà tremenda. L’amore scomparirà dalla condotta generale (Mt 24,12). Non sarà più compreso, e diverrà tanto più prezioso, nel suo passare da un solitario ad un altro solitario […]. Questo carattere escatologico si rivelerà, io penso, nel futuro

atteggiamento religioso. Non intendiamo con ciò annunciare alcuna facile Apocalisse. […] Se qui si parla di un

avvicinarsi alla fine, lo si intende in senso essenziale, non temporale: la nostra esistenza giunge al traguardo della opzione assoluta e delle sue conseguenze: della possibilità e dei pericoli estremi»35.

Non è di certo facile pervenire a questa fede fiduciale. Una fede provata ma non scossa: «Una fede non ingenua, ma riflessa, sottoposta a un costante esame critico. Una “fede contestata”, che deve continuamente accertare il proprio fondamento, e disfarsi magari del vario e del bello per attenersi soltanto all’essenziale. Una

fede che sempre di nuovo si rizza contro il dubbio. […] Quella caratteristica forma di fede che Newman ha

33Id., La fine dell’epoca moderna, cit., pp. 104-105. Il corsivo è nostro. 34Ivi, p. 105. Il corsivo è nostro.

(12)

93

definita quando disse che “credere” significa “poter sostenere il dubbio”»36. Il raffreddamento emotivo dell’uomo contemporaneo ha investito anche il sentimento religioso e le esperienze che lo nutrono saranno sempre più rare. Occorre compensare con una purezza e una serietà più grandi l’assenza di un’esperienza vitale del religioso. In una società di massa, ove è potentissima ogni forma di condizionamento e di suggestione, lo spazio della persona è ridotto e indebolita appare la sua forza di resistenza. La necessaria capacità di silenzio, di stare per se stessi e di sostenere la solitudine della propria scelta renderà l’atto di fede ancora più difficile. Si dovrà, per Guardini, riprendendo un’espressione di Kierkegaard, “esercitarsi” nella fedeltà.

È una “fede tragica” quella che è richiesta nel post-moderno37. Tragica e però gioiosa insieme. Una gioia sobria, che dovrà essere ritrovata nella liturgia. Una liturgia “nuda”, scarna ed essenziale, come è ormai l’esperienza della fede, ma insieme attenta a favorire ogni spazio possibile per la corporeità, questo elemento che – dopo Nietzsche – è un riferimento decisivo nel post-moderno. Anche questa fede nuda «sarà grande e temprata e nasconderà, sotto la sua limpida freddezza, un intimo calore che la renderà eguale a quella del Cristianesimo primitivo e del Medioevo»38.

La metamorfosi del religioso e la correlata metamorfosi della fede hanno determinato quindi una sorta di passaggio da una fede sostenuta dalla ricchezza numinosa a una fede della povertà. Ora la fede si colloca in una sorta di grande vuoto, ma anche in questo vuoto si può percepire un centro di significanza, che costituirà un punto d’appoggio. Spento l’ardore religioso, il suo colore e la sua ricchezza, la fede si trova in una sorta di deserto e di aridità, ma anche questa aridità può essere salutare: «L’arte religiosa, le chiese nuove sembrano indicarlo, perché la loro semplicità […] è testimone di un aspetto profondo dell’atteggiamento di fede attuale. Quando gli ambienti sono vuoti e i muri spogli, si esprime in verità una fede che, nel “vuoto”, nello spazio schietto, […] sa percepire il sottile centro spirituale, che afferra la presenza pura senza perdersi nei particolari; una fede che non ha bisogno di sostegni e capace di vincere nonostante l’assenza di mezzi»39. Il vuoto post-moderno non è solo il terribile vuoto in cui vive l’inquietante Stavròghin, personaggio di Dostoevskij acutamente analizzato da Guardini40, ma può aprire un itinerario singolare alla semplicità, al ritorno alle fonti, alla povertà liberante. Gli dèi sono fuggiti, ma il vuoto che hanno lasciato può essere riempito non solo dalla nostalgia per ciò che si è perduto, ma anche dall’estremo rischio di giocare completamente se stessi nell’impervia autenticità della nuda fede.

36Id., Ansia per l’uomo, vol. I, cit., p. 130. Il corsivo è nostro.

37L’espressione guardiniana “fede tragica” si trova in appendice a Romano Guardini, Maria Knöpfler zum Gedächtnis, in John Henry Newman, Briefe aus der Katholischen Zeit seines Lebens. Ausgewählte Werke, [Deutsche Übertragung aus dem Englischen von Maria Knöpfler], vol. 10, Grünewald, Mainz 1931, pp. 369-378, qui p. 370.

38R. Guardini, Lettere dal lago di Como. La tecnica e l’uomo, cit., p. 106. 39Id., La vita della fede, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 95-96.

Riferimenti

Documenti correlati

Queste prime Varietà tolleranti verso peronospora e oidio sono le prime iscrizioni al Registro Nazionale delle Varietà da Vino, e l’attività nei prossimi anni vedrà la selezione

Alla Direzione regionale Inail per la Sardegna

In questo modo, la progressiva perseveranza nella vita virtuosa concede alla persona una maggior comprensione della libertà, della padronanza di sé, della conoscenza del bene e

For example, Energy Scout could help in give a territorial representation of areas suitable for developing micro grids or district energy measures; using knowledge about the

Life Technologies Europe B.V., parte del gruppo Thermo Fisher Scientific... Life Technologies Italia

- Il rapporto tra fede e ragione e sua evoluzione LA VISIONE ARISTOTELICA DEL COSMO. • La teoria

In the light of our X-ray stacking results, we note that AGN activity is not limited to this sample of individually X-ray detected DOGs, but that a mix nature (AGN and star