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Gli Accordi di riammissione dell'Unione Europea con Paesi terzi per il contrasto dell'immigrazione irregolare

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INDICE

INTRODUZIONE

4

CAPITOLO 1

ANALISI DELLA DISCIPLINA INTERNAZIONALE

E DELL’UNIONE EUROPEA IN TEMA DI

IMMIGRAZIONE

1. I fattori sociali e politici che incidono sull’immigrazione

e la problematica del rimpatrio

11

2. Obblighi di riammissione e diritto internazionale

16

3. La politica di immigrazione e di rimpatrio dell’UE: Dagli

accordi di Schengen al Trattato di Lisbona

23

4. Le novità introdotte dal Trattato di Lisbona

34

4.1 La divisione della competenza nel Titolo V del

TFUE

36

4.2 Il rafforzamento del ruolo del Parlamento

Europeo in materia di politica di immigrazione 45

(2)

5. L’approccio dell’Unione Europea alla politica di

migrazione e la centralità del GAMM

53

6. Il quadro generale della competenza dell’UE a

concludere accordi di riammissione. Il rapporto con la

competenza degli Stati membri

71

CAPITOLO 2

GLI ACCORDI DI RIAMMISSIONE COME STRUMENTO PER IL CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE IRREGOLARE

1. Gli Accordi di riammissione e la procedura di rimpatrio 95

2. Le difficoltà nella conclusione degli accordi di

riammissione e l’importanza degli incentivi

103

3. Il contenuto degli accordi di riammissione

121

3.1 Gli obblighi di riammissione dello Stato Terzo e

(3)

3.2 La procedura di riammissione e i mezzi di prova

della

cittadinanza.

Il

problema

dell’identificazione delle persone ai fini della

riammissione

125

3.3 Le operazioni di transito e i costi

137

3.4 Protezione dei dati e clausola di non incidenza 137

3.5 Attuazione e applicazione

140

4. Gli strumenti informali di riammissione

141

4.1 Esempi pratici di accordi informali conclusi

dall’UE e dall’Italia

151

4.2 Il contenuto degli accordi informali

160

CONCLUSIONI

163

(4)

INTRODUZIONE

Gli Stati membri dell’Unione hanno una lunga tradizione di immigrazione, lungo tutto il corso del Novecento sono Stati meta di flussi migratori, intensificatisi negli ultimi decenni. Il periodo ha visto, inoltre, ampliarsi e diversificarsi la tipologia dei migranti, dei modelli di flusso e delle combinazioni tra Paesi di partenza e di arrivo.

La materia dell’immigrazione, e le problematiche ad essa collegata, sono poste al centro dell’attenzione degli Stati e dell’opinione pubblica ormai da molti anni e sono un fenomeno in ascesa dovuto a molteplici cause e motivi.

Il fenomeno dell’immigrazione irregolare è eterogeneo e complesso ed è un tema centrale nel dibattito pubblico europeo. L’aggettivo “irregolare”, infatti, si riferisce al mancato rispetto da parte dello straniero delle regole poste dagli Stati per la disciplina dei flussi migratori. Tale definizione può riferirsi, sia ai soggetti che hanno fatto ingresso in modo illegale nel territorio di uno Stato, sia ai soggetti che vi sono entrati legalmente e il cui permesso di soggiorno è successivamente scaduto (cd.

overstayers).

Una puntualizzazione necessaria riguarda la preferenza per l’utilizzo del termine “irregolare” rispetto a quello, maggiormente diffuso in passato tra i documenti politici e normativi europei, di “illegale”. La ragione per cui tale termine non viene più utilizzato può essere ricondotta alla semplice considerazione secondo la quale “no human being is illegal”. Tale posizione è stata sostenuta da numerose organizzazioni

(5)

internazionali, a partire dal Consiglio d’Europa1 e sono Stati vari

gli interventi in favore, in particolare da segnalare l’estratto di un discorso di Elie Wielsen, premio Nobel per la pace e sopravvissuto all’Olocausto il quale disse “You who are

so-called illegal aliens must know that no human being is illegal. That is a contradiction in terms human beings can be beautilful or more beautiful, they can be fat or skinny, they can be right or wrong, but illegal? How can human being be illegal?” e anche

negli Stati Uniti è attiva una campagna (#WordsMatter) per chiedere di evitare tale termine nei discorsi politici.

In questa tesi verrà analizzato lo strumento per eccellenza di lotta all’immigrazione irregolare, i cd ARUE, ponendo l’attenzione in particolare sugli accordi di riammissione stipulati dall’UE, tenendo sempre presente che anche i singoli Stati Membri hanno il potere di concluderli.

L’Unione Europea, acquisita nel 1999 la competenza in materia di immigrazione e asilo, ha iniziato la sua attività di negoziatore ed ha concluso alcuni accordi di riammissione, 17 per l’esattezza, tutti negoziati e pubblicati secondo quanto previsto dai Trattati istitutivi.

Tale competenza, in modo specifico dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, deve definirsi concorrente. Questa

1 Risoluzione n. 1509/2006 Assemblea parlamentare Human rights of

irregular migrants, punto n. 7 “The Assembly prefers to use the term “irregular migrant” to other terms such as “illegal migrant” or “migrant without papers”. This term is more neutral and does not carry, for example, the stigmatisation of the term “illegal”. It is also the term increasingly favoured by international organisations working on migration issues.”

(6)

caratteristica ha creato non pochi problemi nel capire quale fosse il ruolo dell’UE e quale quello, di conseguenza, degli Stati Membri.

La competenza concorrente è stabilita dell’art. 4 par. 2 TFUE, volta allo sviluppo di una politica comune in materia di immigrazione, a fianco, quindi, si pone la competenza dei singoli Stati Membri. Lo sviluppo della politica comune di immigrazione, perciò, non comporta la privazione delle competenze degli Stati membri, i quali hanno un dovere di leale cooperazione nell’esercitare la propria competenza, nel rispetto del potere dell’UE.

Ad oggi, tuttavia, gli accordi di riammissione non sono più da considerarsi come l’unico strumento utilizzabile poiché, nel panorama comunitario, si sono affiancate forme di cooperazione diverse.

La questione rimane comunque centrale, perché l’allontanamento e il respingimento finalizzato al non-reingresso sono ancora centrali nelle politiche migratorie dell’UE e degli Stati membri.

Il presente elaborato è strutturato come segue.

Nel primo capitolo si farà cenno, in primo luogo, alla disciplina del diritto internazionale consuetudinario in tema di riammissione, si farà quindi riferimento al quadro normativo dell’Unione Europea in tema di migrazione e alla politica di riammissione.

Un caposaldo del diritto internazionale consuetudinario consiste nell’obbligo per ogni Stato di riammettere sul suo territorio i propri cittadini. Il diritto internazionale

(7)

consuetudinario riconosce, altresì, il diritto di ogni Stato di decidere quali persone ammettere sul suo territorio e, di conseguenza, del diritto dello stesso Stato di allontanare gli individui che si trovano in posizione irregolare, se pure con alcune eccezioni, come il principio di non-refoulement. trattare

Parallelamente non sembra esistere nel diritto consuetudinario il dovere di riammettere un cittadino di un paese diverso. Spesso la clausola riguardante la riammissione di cittadini di Paesi terzi è contenuta all’interno di accordi, come quelli tra Paesi limitrofi, in virtù di un rapporto di vicinato, per il controllo dei flussi migratori irregolari.

Per questo motivo le politiche dell’Unione, interne ed esterne, in queste materie, devono essere collegate e la migrazione deve essere integrata nelle politiche dell’Unione, compresa la cooperazione allo sviluppo.

Per quanto riguarda invece le misure volte ad assicurare che uno Stato accetti il reingresso di un individuo, cittadino proprio o di un Paese terzo o apolide, che non rispetti o non rispetti più le condizioni di un soggiorno regolare, queste sono contenute all’interno di quella che possiamo inquadrare come politica di riammissione.

Quest’ultima è parte della dimensione esterna della politica di immigrazione, che include la lotta alla tratta, al traffico dei migranti e all’immigrazione illegale, la protezione internazionale, e in una prospettiva a più lungo termine, la riduzione delle cause profonde della migrazione, ed una dimensione interna, riguardante in particolare il trattamento dei migranti che si trovano legalmente sul territorio degli Stati membri e il sistema comune di asilo.

(8)

Nel secondo capitolo invece verrà esaminato, più nel dettaglio, il contenuto degli accordi di riammissione e della politica di rimpatrio e le problematiche che si sono venute creando nella loro applicazione, il problema degli accordi informali e come la politica di immigrazione stia cambiando negli ultimi decenni per sopperire alla più recente crisi dei rifugiati.

Sull’efficacia degli accordi di riammissione nel contrasto all’immigrazione clandestina e ai traffici di esseri umani, comunque, è emerso nel tempo un diffuso scetticismo. Gli accordi pertanto vengono intesi essenzialmente come un deterrente, seppure continuano a fondarsi sul principio della cooperazione e della corresponsabilità.

Questa tesi pertanto si pone l’obiettivo di studiare le basi normative internazionali in materia di immigrazione e riammissione, analizzando i punti critici e complessi che questa materia comporta.

Un aspetto complesso è legato proprio agli strumenti che utilizza l’UE per combattere l’immigrazione irregolare.

L’accordo di riammissione è stato considerato dall’UE come strumento principe per la lotta all’immigrazione.

Questi accordi, conclusi sulla base del Titolo V del TFUE (art 79 TFUE), hanno il precipuo e unico fine di accordarsi con lo Stato terzo sulle modalità dei rimpatri.

(9)

Gli ARUE impongono alle parti contraenti l’obbligo reciproco di riammettere i loro cittadini e, solo a determinate condizioni, anche i cittadini di Paesi terzi e gli apolidi.

Tuttavia, la conclusione di accordi di riammissione è sempre stata lunga e complessa e nella più recente prassi a questi ultimi si sono andati affiancando strumenti più flessibili e informali, che comunque non prescindono dalla conclusione di accordi di riammissione.

Questi modelli alternativi di cooperazione connessi alla riammissione, non si concretizzano in veri e propri accordi di riammissione ma devono essere letti sotto un’ottica diversa, considerandoli dei meri accordi incorporati in un più ampio quadro strategico di cooperazione bilaterale.

Per rispondere all’esigenza in continuo cambiamento della politica di migrazione, l’Unione Europea ha risposto tramite l’adozione del cd dell’Approccio Globale alla Migrazione elaborato nel 2005 e ampliato in seguito, nel 2011, per comprendervi la mobilità (GAMM).

l’Unione ha elaborato partenariati di mobilità, agende comuni sulla migrazione e la mobilità per promuovere un dialogo politico con cui le parti si impegnano a cooperare nei quattro settori del GAMM.

Successivamente con il nuovo Quadro di partenariato, inaugurato nel 2016, l’UE cerca di far fronte anche alla più recente crisi dei rifugiati. Certamente la cooperazione tra Stati in questo ambito è necessaria, essendo la riammissione un fenomeno per sua intrinseca caratteristica transazionale.

L’attuazione di questo programma prevede l’utilizzo di diversi strumenti politici, dai piani di azione ai dialoghi internazionali,

(10)

ed anche strumenti giuridici, come la facilitazione di visti e la conclusione di accordi di riammissione e, in questa ricostruzione generale, questi due piani vanno a mescolarsi tra di loro, sulla stregua di un approccio omnicomprensivo.

Questa prassi tuttavia comporta delle conseguenze, le quali saranno trattate nel corso della tesi, che rischiano di vanificare l’impegno dell’UE a realizzare una politica omogenea, trasparente e coerente in tema di immigrazione.

(11)

CAPITOLO 1

ANALISI DELLA DISCIPLINA INTERNAZIONALE

E DELL’UNIONE EUROPEA IN TEMA DI

IMMIGRAZIONE

1. I fattori sociali e politici che incidono

sull’immigrazione e la problematica del

rimpatrio

Le principali cause dell’immigrazione, di carattere sociale e politico, possono essere apprezzate soffermandosi sulla dinamicità dei movimenti internazionali di persone su scala globale, che negli ultimi secoli sono radicalmente mutate. “le

direttrici fondamentali di questo mutamento sono state due: per un verso, è diminuita la domanda esplicita di lavoro immigrato da parte delle economie di Paesi industrializzati e, di conseguenza, si è delineata progressivamente una tendenza restrittiva nelle politiche nazionali di regolamentazione dei flussi; per altro verso, la pressione migratoria proveniente dai Paesi in via di sviluppo e dal Paesi dell’Europa centrale e orientale in transizione è complessivamente cresciuta, principalmente per effetto del miglioramento del sistema internazionale delle comunicazioni e dei trasporti, dell’incremento demografico e dell’accresciuta instabilità politica dei Paesi di provenienza”.2 Quindi, in sostanza, si sono

2 F.P

ASTORE – L’obbligo di riammissione in diritto internazionale: sviluppi recenti, in Rivista di diritto internazionale, 1998, p. 968 e ss.

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attenuati i così detti pull factors (fattori di attrazione) mentre si sono intensificati sensibilmente i push factors (fattori di spinta). Sulla spinta, influiscono diversi fattori, tra i quali emergono le differenze di reddito tra le diverse aree del pianeta, che portano singoli e nuclei familiari a cercare condizioni di vita migliori nelle aree di maggior benessere, le violenze e i conflitti (civili, militari, etnici, religiosi), che causano fughe di massa o di singoli come richiedenti asilo, non da meno è da considerarsi l’aumento del livello di formazione che, allargando gli orizzonti, induce molti a inserirsi in contesti più promettenti.

Diversi sono anche i fattori di attrazione, tra cui si possono citare, il fabbisogno di manodopera aggiuntiva dall’estero da parte del mercato del lavoro nei Paesi a sviluppo avanzato, così come eventuali canali di ingresso e di inserimento agevolati per i nuovi immigrati3, le collettività già insediate sul posto, che

stimolo da richiamo tramite le cosiddette “catene migratorie”. Queste nuove dinamiche hanno generato tensioni sociali e politiche crescenti che, per un verso, hanno fatto percepire più profondamente l’esigenza di un’efficace regolamentazione del fenomeno, mentre, per un altro verso, hanno reso più evidenti i bisogni di tutela dei diritti dei singoli che si sono trovati costrette a cercare protezione e sicurezza fuori i confini dello Stato di origine.

Negli ordinamenti interni di tutti gli Stati economicamente più sviluppati si è così venuto formando un complesso articolato ed

3 Ad esempio, prima degli anni ’90 in Italia non serviva il visto e

attualmente molti Paesi riservano corsie preferenziali ai lavoratori qualificati.

(13)

eterogeneo di norme, collegate funzionalmente tra loro dall’obiettivo di regolare i flussi migratori, per cui è invalso il termine di diritto dell’immigrazione.

Di riflesso, sul piano internazionale, la necessità di un adeguamento alle mutate caratteristiche dei movimenti di popolazione di tipo migratorio su scala globale ha innescato una serie di profonde e complesse trasformazioni in quello che si può definire il sistema regolativo internazionale dei movimenti di persone. Tuttavia, etichettarlo come un sistema non equivale a classificarlo alla stregua di un insieme completo, coerente e stabile di norme e di principi bensì è utile al solo fine di evidenziare uno stretto collegamento tra quelle che sono le varie tematiche in gioco, dalle norme umanitarie agli aspetti più prettamente giuridici.

La politica migratoria a livello europeo affronta sia l'immigrazione regolare sia quella clandestina, attraverso una politica di rimpatrio sempre nel rispetto dei diritti umani fondamentali. Se all’Unione Europea spetta la competenza di definire le condizioni di ingresso e soggiorno, gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire i volumi di ammissione per le persone provenienti da Paesi terzi in cerca di lavoro.

Si definisce il “soggiorno irregolare” come “la presenza nel

territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d'ingresso di cui

(14)

all'articolo 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d'ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro”.4

Il rimpatrio nel paese di origine è uno dei modi più efficaci per prevenire e ridurre la migrazione irregolare. Tale misura costituisce un forte deterrente ed è pertanto un elemento fondamentale per il corretto funzionamento del sistema di immigrazione e asilo dell’UE. Il tasso di rimpatrio varia notevolmente tra gli Stati membri dell’UE, ed anche, in larga misura, a seconda della cittadinanza del migrante. Alcuni Paesi terzi rispettano l’obbligo, derivante dal diritto internazionale, di riprendere in carico i propri cittadini, mentre altri non lo fanno o solo in maniera discontinua.

I cittadini di Paesi terzi che soggiornano illegalmente sul territorio di uno Stato membro devono essere rimpatriati. Ciò vale anche per le persone la cui domanda di asilo è stata respinta. La decisione se una persona stia soggiornando illegalmente è di competenza esclusiva delle pertinenti autorità degli Stati membri.

Spetta agli Stati membri adottare tutte le misure necessarie per garantire che i migranti irregolari siano rimpatriati. In base alla normativa UE, gli Stati membri devono in primo luogo incoraggiare i migranti irregolari a partecipare a un programma di rimpatrio volontario. Come misura di ultima istanza, qualora si rifiutino di tornare volontariamente nel paese di origine, gli

4 Direttiva 2008/115/CE Del Parlamento Europeo e del Consiglio del

16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Art 3 – Definizioni.

(15)

Stati membri devono procedere al rimpatrio forzato, anche ricorrendo a metodi coercitivi, quali il trattenimento, tutte le misure sono essere adottate nel pieno rispetto delle garanzie e dei diritti fondamentali applicabili.

L’accordo di riammissione trova il suo naturale posto in questo contesto, è un accordo che l’UE o gli Stati Membri concludono con Stati Terzi al fine di regolare le procedure per il rimpatrio.

Nella sistematica classica del diritto internazionale, gli accordi di riammissione sono convenzioni fra due o più Stati in cui vengono definiti meccanismi di collaborazione fra Stato di origine e Stato di destinazione dei migranti irregolari, quali misure di contrasto all’immigrazione clandestina.

In essi ciascuna parte contraente si impegna a riammettere nel proprio Stato, a richiesta dell’altra parte, determinate categorie di migranti che si trovano in situazione irregolare sul territorio dello Stato richiedente. Siffatti agreements hanno il fine ultimo di rendere effettivi i provvedimenti di allontanamento nei confronti di stranieri irregolari.

Accordi di questo tipo si rinvengono in Europa sin dagli anni Sessanta del XX secolo. Gli accordi di riammissione, originariamente concepiti quali convenzioni bilaterali, si sono poi sviluppati in via multilaterale e, a seguire, comunitaria.

Tali accordi rappresentano, attualmente, uno strumento chiave nella lotta all’immigrazione clandestina e rappresentano un importante elemento per la gestione in concerto con i Paesi

partner dei flussi migratori. Essi costituiscono, quindi,

(16)

riammettere i propri cittadini, estendendone l’operatività anche alla riammissione in transito, e del diritto, variamente limitato, insito nel principio di sovranità, di disciplinare l’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dal proprio territorio di cittadini stranieri. 5

2. Obblighi di riammissione e diritto

internazionale

Un caposaldo del diritto internazionale consiste nel dovere dello stato di cittadinanza di riaccettare i propri cittadini, a cui fa da corollario il diritto di ogni individuo “to leave and to return” il proprio paese.

Una specifica analisi di quelli che sono gli accordi di riammissione implica, dapprima, l’obbligo di studiare su quali basi giuridiche si fonda il dovere di riammettere una persona nel proprio paese di origine. Quindi la domanda sarebbe, “Può il

diritto internazionale creare in capo agli Stati l’obbligo di riammettere i loro cittadini e i cittadini di Paesi terzi? In caso affermativo, in che modo tale obbligo si riferisce agli accordi di riammissione?”6.

5 I.OTTAVIANO, Gli accordi di riammissione dell’UE, in F.

Cherubini (a cura di) Le migrazioni in Europa- UE, Stati Terzi e outsourching migration, Edizioni Bourdeaux 2015, p. 97 e ss.

6 M. G

IULIA GIUFFRÈ, Obligation to readmit? The relationship between interstates and EU readmission agreemets Cambridge University Press, 2015, p. 264.

(17)

Per rispondere a questa domanda è doveroso premettere una necessaria classificazione tra quelli sono i cd propri cittadini e i

cittadini di Paesi terzi.

Secondo parte della dottrina7 l’obbligo di riammettere i propri

cittadini deriva tradizionalmente dal diritto di ciascuno stato di decidere quali stranieri ammettere sul proprio territorio e conseguentemente, come corollario il diritto di decidere di espellere coloro che sono entrati illegalmente o che, se pur entrati illegalmente, si sono trovati successivamente in una situazione di irregolarità (se pur con alcune limitazioni, come il principio del

non-refoulement8).

Tale diritto è inserito in molti strumenti di diritto internazionale, quali tra questi, in primis, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo 9 all’art 13: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.”

Tuttavia, questa teoria non è pacificamente apprezzata da tutta la dottrina, non a caso, un altro approccio dottrinale se ne distacca ritenendo che gli obblighi internazionali di riammissione dei propri cittadini e dei cittadini stranieri, debbano essere

7 K.HAILBRONNER, Comments on the right to leave, return and remain

in V. Gowlland-Debbas The problem of refugees in the light of contemporary international law issue. Ed: Brill- Nijhoff, Leiden- Netherland, 1996.

8 F.SALERNO, L’obbligo internazionale di non-refoulement dei

richiedenti asilo, in Diritti umani e diritto internazionale, 2010, p.487 ss.

(18)

considerati come autonomi10. Seguendo questa impostazione, il dovere di riammissione si baserebbe sul diritto sovrano degli Stati di regolamentare l'accesso e l'espulsione dal loro territorio. Pertanto, il rifiuto di uno stato di riammettere i propri cittadini espulsi da un altro Stato comporterebbe una violazione della sovranità territoriale dello stato accogliente e comprometterebbe il diritto di ciascuno stato di espellere gli stranieri. L’obbligo per ogni stato di riammettere i propri cittadini si basa anche sul principio di responsabilità per la sicurezza nazionale, dei cittadini espulsi dal territorio dello stato ospitante. Tale obbligo è comunque fermamente stabilito sia nel diritto internazionale consuetudinario, che dalla giurisprudenza delle principali corti, ed apprezzato come “universally recognized” e “generally

accepted” nella prassi degli Stati. 11

Ovviamente i trattati hanno giocato un ruolo importante nella determinazione dell’esistenza delle norme consuetudinarie internazionali. Nel “North Continental Shelf case” la Corte Internazionale di Giustizia ha confermato che i trattati possono, soventemente, codificare delle consuetudini preesistenti nel diritto internazionale, ma possono anche porre le basi per lo sviluppo di nuove consuetudini basate sulle norme contenute in tali trattati12. Tra i vari modi in cui i trattati possono interagire

con il diritto consuetudinario, la Corte ha tra l’altro affermato che

10 B.NASCIMBENE, Un percorso tra i diritti, Giuffrè, Milano, 2016. 11 G. S. G

OODWIN - GILL, International Law and the Movement of person between state, Oxford University Press, 1978, p. 137.

(19)

il processo di negoziazione per i trattati può cristallizzarsi in un nuovo, emergente diritto consuetudinario.

In questa ottica, gli accordi di riammissione possono essere visti come una conferma e concretizzazione dell’esistenza di un obbligo generale di riammissione in materia nel diritto internazionale.13

Se sussistono argomentazioni convincenti a sostegno del fatto che l’obbligo di riammissione dei propri cittadini sia norma consuetudinaria14, altrettanto non si può dire sull’esistenza di una

consuetudine la quale stabilisca l’obbligo per lo Stato di riammettere cittadini di Stati terzi, di fatti questa regola trova, di norma, un fondamento pattizio. La prova della centralità della riammissione di cittadini di Paesi terzi e apolidi nei negoziati per gli accordi di riammissione, e negli accordi di riammissione stessi, testimonia la consapevolezza della natura non consuetudinaria dell’obbligo di riammettere cittadini di Stati terzi, che viene previsto specificamente negli accordi per poter espellere, in maniera “mediata”, il migrante irregolare.15

13 Op. Cit. M.GIUFFRÈ,p. 267.

14 Cfr J.P CASSARINO I negoziati relativi alla riammissione

nell’ambito del processo di Barcellona, Roma, 2005, p. 4 e ss. e E. LAPENNA, La cittadinanza nel diritto internazionale generale, Milano, 1966, p. 207-208.

15 Per alcuni esempi vedere art 3 dell’accordo di riammissione tra la

Comunità Europea e l’Ucraina, L. 332/48 del 18.12.2007; Oppure art 3 di riammissione delle persone in posizione irregolare tra l’Unione Europea e la Georgia L. 52/47 del 25.2.2011.

(20)

La cooperazione tra Stato richiesto e Stato richiedente in questo caso è cruciale poiché questi obblighi, posti dal diritto consuetudinario, e appunto, in alcuni casi, anche dal diritto pattizio, non potrebbero ricevere altrimenti attuazione. Tale collaborazione si basa sull’impegno reciproco ad applicare procedure e regole volte a determinare, sia lo status del cittadino e, successivamente, le condizioni per il trasferimento, le modalità di emanazione dei documenti necessari, l’attribuzione dei costi relativi al trasporto, le autorità competenti.

La mancanza di una prassi comune e la carenza di una dottrina pacifica sul punto sono la testimonianza dell’assenza di una obbligazione generale nel diritto internazionale circa la previsione di riammettere cittadini di Stati terzi. Spesso la clausola riguardante i cittadini di Paesi terzi è contenuta all’interno di accordi con Paesi limitrofi, in virtù del cd “neighbourliness principle”, per il controllo dei flussi migratori irregolari. Tuttavia, sono state avanzante diverse critiche a questa impostazione, partendo dallo stesso concetto di vicinato “harmonious reciprocal relations between States, consisting of

corresponding obligations and rights”16

Da un lato, questa previsione viene spesso vista dagli Stati come una forzatura e una privazione della loro sovranità. Pertanto, la visione della non obbligatorietà della riammissione di cittadini di Stati terzi convince molto di più gli Stati, i quali utilizzano questa carta a loro favore, cercando un punto di

16 N. P. C

OLEMAN, European Readmission Policy: Third Country Interests and Refugee Rights, ed: Brill Nijhoff, Leiden Netherland, 2008, p. 44 e 45.

(21)

incontro nella negoziazione con altri Paesi, ai fini di ottenere facilitazioni in merito a questioni economiche, finanziarie, rilascio di visti e vari tipi di assistenza.

Pastore delinea sapientemente quelle che possono essere considerate le principali linee evolutive del diritto internazionale in materia di circolazione delle persone, rappresentando:

“a) consolidamento, nel diritto internazionale di matrice consuetudinaria, del potere degli Stati di regolare discrezionalmente la circolazione internazionale delle persone;

b) contemporanea affermazione. soprattutto per via convenzionale – di alcuni significativi, ma circoscritti, limiti allo stesso potere degli Stati di regolare discrezionalmente l’ammissione e l’allontanamento degli stranieri dal proprio territorio;

c) sviluppo in ambito regionale (particolarmente in Europa occidentale), di regimi convenzionali “difensivi”, tra Stati di immigrazione, finalizzati, per un verso, a fornire garanzie reciproche in materia di controllo dei flussi migratori, per un altro verso a evitare abusi nel ricorso a “canali” di ci circolazione internazionale diversi dall’immigrazione, quali il diritto di asilo;

d) sviluppo di regimi convenzionali, prevalentemente bilaterali, tra Stati di immigrazione e Stati di emigrazione, per favorire una cooperazione nel campo del controllo dei flussi migratori.”17

17 F. P

ASTORE, L’obbligo di riammissione in diritto internazionale: sviluppi recenti in Rivista di diritto internazionale, Roma, 1998, p. 970 e ss.

(22)

Appare evidente quindi, in una situazione in cui i movimenti migratori su scala mondiale tendono complessivamente a crescere, una cooperazione attiva tra sendig states e receiving

states risulta come uno strumento imprescindibile per ridurre i

flussi non autorizzati e combattere le organizzazioni criminali che li sfruttano economicamente. In questo senso una maggior cooperazione tra Stati e misure più coercitive, sia per quanto riguarda l’uscita che l’entrata, può fungere da deterrente per un soggetto che decide di lasciare il suo paese per entrare in un altro illegalmente, poiché potrebbe trovarsi di fronte al rischio di un rimpatrio forzato.

Tale forma di cooperazione risulta estremamente complessa sul piano politico a causa di una concreta divergenza di interessi che tende a stabilirsi tra Stati di origine, Stati di transito e Stati di destinazione, in merito alla coordinazione di movimenti internazionali di individui. Da un lato, per gli Stati di provenienza, l’emigrazione raffigura un fattore di allentamento della tensione sociale e un veicolo di arricchimento diffuso (mediante le classiche rimesse finanziarie alle famiglie di origine dei migranti), dall’altro lato, per gli Stati di destinazione o transito l’immigrazione rappresenta un motivo di contrasti sociali.

Sono due i principali ambiti dove Stati di partenza e Stati di arrivo possono cooperare: la lotta e prevenzione degli espatri non autorizzati e la cooperazione nelle operazioni di rimpatrio dei migranti non autorizzati sottoposti a provvedimento di espulsione o di respingimento alla frontiera da parte dello Stato di arrivo.

(23)

In ultima analisi quindi, la complessità dei rapporti tra Stato di origine e Stato di arrivo e gli ostacoli nella loro collaborazione ha messo in luce i maggiori problemi teorici e pratici legati alla regola del diritto internazionale di contenuto a prima vista lineare come quella della riammissione.

3. La politica di immigrazione e di rimpatrio

dell’UE: Dagli accordi di Schengen al Trattato

di Lisbona

Le dinamiche legate a immigrazione e asilo sono entrate a far parte del processo di integrazione Europea solo negli ultimi decenni.

Il primo passo verso la realizzazione di una politica Europea sull’immigrazione si afferma con gli accordi di Schengen18 e

l’adozione della relativa Convenzione di Applicazione, rispettivamente nel 1895 e 1995, volti ad istituire uno spazio di libera circolazione delle persone19 a seguito dell’abolizione delle

frontiere interne tra gli Stati firmatari, che insieme alle varie Convenzioni che nel tempo ne hanno integrato e modificato il contenuto, sono da considerarsi le disposizioni che costituivano il cd “acquis di schengen”. Sono questi gli anni i cui si rileva un aumento di flussi migratori verso l’Europa e si cerca di

18 Firmato il 14 giugno 1985 da Belgio, Francia, Germania,

Lussemburgo e Paesi Bassi.

19 La convenzione di Schengen completa l'accordo ed insieme

definiscono le condizioni e le garanzie inerenti all'istituzione di uno spazio di libera circolazione all’interno dei Paesi aderenti.

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sviluppare una politica migratoria di respiro europeo. Come evidenzia egregiamente Ugo Villani nella prefazione della ricerca dal titolo Le migrazioni in Europa - UE, Stati Terzi e

Migration Outserching: l’esigenza di regolamentare l’ingresso e, più in generale, la presenza di cittadini di Stati terzi nel territorio dell’Unione si era posta con urgenza in connessione con la piena liberalizzazione del diritto di circolazione e di soggiorno dei cittadini degli Stati membri. L’abolizione dei controlli alle frontiere intracomunitarie aveva comportato, infatti, la necessità di spostare i controlli alle frontiere “esterne” per garantire che la libertà interna di circolazione fosse realizzata in condizioni di sicurezza, dunque operando i necessari controlli sull’ingresso di stranieri. Ma, al fine di soddisfare tale esigenza, gli Stati membri non erano riusciti a superare le divergenze profonde che, in una materia così sensibile, li separavano. Essi, o meglio, alcuni soltanto di tali Stati, avevano utilizzato non già le disposizioni (né le istituzioni) comunitarie, ma il classico strumento intergovernativo dell’accordo”20. Per quanto riguarda invece l’asilo, nel 1990,

sempre al di fuori dell’ambito UE, venne adottata la Convenzione di Dublino21, che fissava i criteri per stabilire il

paese competente ad esaminare le domande di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità Europee.

Un decisivo traguardo venne raggiunto con il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, attraverso cui le competenze in

20 U.V

ILLANI, Prefazione alla ricerca Le migrazioni in Europa – UE, Stati Terzi e Migration Outsourcing, 2018, p. 13 e ss.

(25)

materia di immigrazione sono entrate a pieno titolo nelle competenze dell’Unione Europea.

Il Trattato di Maastricht delinea un sistema strutturato su tre “pilastri”, regolati tutti all’interno del Trattato sull’Unione Europea (TUE). Il primo comprende le Comunità Europee, il secondo la Politica di Sicurezza Comune (PESC) e il terzo la materia di giustizia e affari interni (GAI). Immigrazione e asilo sono indicate come una delle questioni di interesse comune per l’Unione e vengono inserite nella cornice istituzionale Europea attraverso il “terzo pilastro”, contenente la disciplina relativa alla cooperazione nei settori di giustizia e affari interni (GAI).

Per quanto riguarda gli strumenti decisionali, mentre all’interno del primo pilastro si utilizzavano regolamenti, direttive e decisioni, per i quali vigeva il principio di supremazia del diritto europeo su quello interno secondo il metodo comunitario, tali strumenti non si impiegavano nel secondo e al terzo pilastro: le convenzioni stipulate nelle materie del GAI dovevano essere ratificate dagli Stati Membri ed era più diffuso il ricorso a strumenti di soft law, e in generale a strumenti dal valore principalmente politico e programmatico. Per quanto riguarda in dettaglio la materia dell’immigrazione, negli anni in cui tale competenza faceva ancora parte del c.d. terzo pilastro, non furono adottati atti significativi. D’altro canto, la vigenza del metodo intergovernativo22 mostra come la sovranità degli Stati

sia preservata, nonostante l’integrazione con L’UE.

22 Ad oggi, all'interno dell'Unione Europea il metodo intergovernativo

viene utilizzato solo in alcuni ambiti sempre più ristretti dopo il Trattato di Lisbona che ha esteso il metodo comunitario. Il modello

(26)

Un periodo di ulteriore rilevanza si avviò con il Trattato di Amsterdam23, con la creazione di un nuovo Titolo IV “Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse alla libera circolazione delle persone” e l’incorporazione dell’acquis di Schengen nel primo pilastro dell’Unione, il pilastro comunitario.

Questa novità è rilevante in quanto attribuendo questa specifica competenza alle Comunità Europee è possibile adottare atti comunitari vincolanti giuridicamente, usufruendo di garanzie procedurali e processuali.

Nel passaggio da un approccio intergovernativo, nel periodo del Trattato di Maastricht, alla incorporazione dell’acquis di

schengen con il successivo trattato di Amsterdam c’è stato un

periodo transitorio, previsto dall’ art 73 O dello stesso Trattato di Amsterdam, il quale prevedeva che per un periodo di 5 anni dall’entrata in vigore del Trattato, “il Consiglio delibera

all'unanimità su proposta della Commissione o su iniziativa di uno Stato membro e previa consultazione del Parlamento Europeo. Trascorso tale periodo di cinque anni: il Consiglio delibera su proposta della Commissione; la Commissione esamina qualsiasi richiesta formulata da uno Stato membro affinché essa sottoponga una proposta al Consiglio. il Consiglio, deliberando all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo, prende una decisione al fine di assoggettare tutti o

intergovernativo, che richiede l'unanimità, è stato utilizzato per il Trattato di Schengen sulla libera circolazione. Dall’altro lato troviamo il metodo comunitario dell'Unione che si basa su un triangolo istituzionale: Consiglio, Commissione e Parlamento europeo.

(27)

parte dei settori contemplati dal presente titolo alla procedura di cui all'articolo 251 e di adattare le disposizioni relative alle competenze della Corte di giustizia.”. Trascorso tale periodo di

transizione il metodo comunitario venne applicato in alcuni importanti settori che precedentemente appartenevano al terzo pilastro quali l'asilo, l'immigrazione, l'attraversamento delle frontiere esterne.

La scelta degli Stati di ricondurre il settore dell’immigrazione nel primo Pilastro ha avuto come conseguenza anche quella attribuire una competenza pregiudiziale alla Corte di Giustizia, per risolvere le questioni di interpretazione del diritto stesso, ma anche questo passaggio non è stato netto e definitivo.

Particolarmente rilevante è anche il ruolo del Consiglio Europeo, che in materia di immigrazione approvò numerosi documenti politici e programmatici.

Tra questi merita di essere ricordato il Programma di Tampere (1999-2004), che conteneva gli indirizzi principali per la realizzazione di uno Spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione Europea.

Il Programma di Tampere ha stimolato lo sviluppo più complesso e organico di una politica Europea comune in materia di asilo e immigrazione. Nel documento finale del Consiglio di Tampere vengono presentati infatti i quattro capisaldi che sono alla base di tale sviluppo:

- partnership con i Paesi di origine - un sistema comune di asilo

- l’equo trattamento dei cittadini di Paesi terzi e la gestione efficiente e coordinata dei flussi migratori.

(28)

Nelle conclusioni della presidenza del Consiglio Europeo di Tampere viene in evidenza proprio come si vogliano sfruttare al massimo le novità introdotte dal trattato di Amsterdam, “il

Consiglio europeo è determinato a far sì che l'Unione diventi uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia avvalendosi appieno delle possibilità offerte dal trattato di Amsterdam. Il Consiglio europeo intende trasmettere un forte messaggio politico per riaffermare l'importanza di questo obiettivo e ha convenuto una serie di priorità e orientamenti programmatici grazie ai quali il suddetto spazio si realizzerà rapidamente. Il Consiglio europeo metterà questo obiettivo al primo posto dell'agenda politica e ve lo manterrà. Esaminerà puntualmente i progressi compiuti per attuare le misure necessarie e rispettare le scadenze fissate dal trattato di Amsterdam, dal piano d'azione di Vienna e dalle presenti conclusioni. La Commissione è invitata a presentare proposte per un appropriato quadro di controllo in tal senso. Il Consiglio europeo sottolinea l'importanza di assicurare la trasparenza necessaria e di informare periodicamente il Parlamento europeo. Esso terrà un dibattito approfondito per valutare lo stato di avanzamento nella riUnione del dicembre 2001.”24

Ed inoltre, la Commissione, in commento al Programma di Tampere, ha sottolineato che “il Consiglio europeo di Tampere

dell’ottobre 1999 ha sottolineato l’esigenza di un approccio generale alla migrazione, che affronti questioni politiche, diritti

24 Consiglio Europeo di Tampere 15 e 16 Ottobre 1999, Conclusioni

(29)

umani e sviluppo dei Paesi e delle regioni di origine e di transito. Esso individuava inoltre nella cooperazione con i Paesi terzi interessati, che comprende anche l’aspetto rimpatrio, l’elemento chiave per il successo della politica esterna in materia di migrazione.”25

Questo Programma è stata la cartina al tornasole degli interventi europei in materia: da un lato, evidenzia la necessità di garantire la libertà e la sicurezza dei cittadini dell’Unione e di quelli Paesi terzi, con un comune impegno sul rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, dall’altro, invece, emerge la necessità del controllo delle frontiere esterne e della lotta all’immigrazione irregolare.

Sicuramente l’approccio tracciato dal Programma quinquennale di Tampere è il riflesso delle modifiche in materia apportate dal Trattato di Amsterdam.

In generale, in questa prima fase caratterizzata da una maggiore attenzione alla gestione del fenomeno dell’immigrazione irregolare sono Stati compiuti dei passi significativi a livello europeo. Tuttavia, lo sviluppo di una compiuta ed efficiente disciplina comune in materia di immigrazione è stato ostacolato, in parte, dalla reticenza degli Stati membri ad avere un dialogo con il legislatore comunitario, sulla considerazione secondo cui il tema del controllo dei flussi

25 COM (2002) 0703 definitivo del 3.12.2002 Comunicazione della

Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo, Integrare le questioni connesse all’emigrazione nelle relazioni dell’Unione Europea con i Paesi terzi.

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migratori sarebbe da considerarsi ancora concernente il tradizionale principio di sovranità statale.

Mancanza di dialogo, di cooperazione e uno scarso livello di fiducia degli Stati membri, hanno creato dei percepibili ostacoli nella conclusione di politiche omogenee per combattere il problema dell’immigrazione irregolare, essendo ogni parte portatore di interessi diversi.26

Nella conclusione n. 26 del Consiglio europeo di Tampere27

dell’ottobre 1999 si fa riferimento all’obbligo internazionale degli Stati di riammettere i propri cittadini. Nella conclusione n. 2728 si ribadisce inoltre che il trattato di Amsterdam conferisce

alla Comunità poteri in materia di riammissione. Il Consiglio è stato pertanto invitato a concludere accordi di riammissione o a

26 COM (2004) 401 definitivo del 2.6.2004 Comunicazione della

Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo, Spazio di libertà, sicurezza e giustizia: bilancio del programma di Tampere e nuovi orientamenti.

27 Punto 26. Il Consiglio europeo chiede di sviluppare l'assistenza ai

Paesi di origine e transito, al fine di promuovere il rientro volontario e di aiutare le autorità di tali Paesi a rafforzare la loro capacità di combattere efficacemente la tratta degli esseri umani e di adempiere i loro obblighi di riammissione nei confronti dell'Unione e degli Stati membri.

28 Punto 27. Il trattato di Amsterdam ha conferito alla Comunità

competenze nel settore della riammissione. Il Consiglio europeo invita il Consiglio a concludere accordi di riammissione o a includere clausole tipo in altri accordi fra la Comunità Europea e i Paesi terzi o gruppi di Paesi pertinenti. Occorre altresì rivolgere l'attenzione a norme sulla riammissione interna.

(31)

includere clausole standard di riammissione in altri accordi fra la Comunità Europea e Paesi terzi interessati o gruppi di Paesi. Questa conclusione si basava sul riconoscimento del fatto che, in linea di massima, tali accordi costituiscono uno strumento valido in una politica attiva di rimpatrio perché definiscono chiaramente obblighi e procedure finalizzati a facilitare a accelerare i rimpatri. Inoltre, essi forniscono un quadro istituzionale affidabile per la cooperazione e contribuiscono a indebolire la credibilità e gli interessi finanziari delle reti di tratta di esseri umani.

L'importanza della questione è stata riaffermata nelle conclusioni del Consiglio europeo di Laeken29 e di Siviglia30, “La Commissione osserva che un approccio comune in materia di rimpatrio sarebbe inconcepibile al di fuori del quadro generale della politica comunitaria sull'immigrazione e l'asilo, le cui basi sono state poste dal trattato di Amsterdam e nelle conclusioni dei Consigli europei di Tampere, Laeken e Siviglia”

Il consiglio Europeo di Siviglia ha invitato ad accelerare l’attuazione del Programma di Tampere per la creazione di uno Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia dell’UE, con una politica comune in materia di immigrazione e asilo.

Per portare avanti tali aspetti del piano, l’UE ha presentato un

Libro Verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli Stati membri, per

sollecitare le parti interessate e aprire una discussione tra esse.

29 14 e 15 dicembre 2001. 30 21 e 22 giugno del 2002.

(32)

A tale scopo, sono state discusse le varie prassi delle politiche di rimpatrio e proposte opzioni per una futura politica comune.

Nel Consiglio informale “Giustizia e affari interni” del 13 e 14 settembre 2002 sono Stati discussi elementi per un futuro programma di azione, anche sulla base del Consiglio europeo di Siviglia, che nella conclusione n. 30, si è soffermato sulla necessità di accelerare la conclusione degli accordi di

riammissione in fase di negoziazione ed approvare nuovi mandati per negoziare accordi di riammissione con i Paesi già indicati dal Consiglio”

La discussione ha sottolineato in particolare la necessità di aumentare la cooperazione operativa fra gli Stati membri per rendere più efficienti, nella pratica, le politiche di rimpatrio, con lo scopo di rispondere all’esigenza di creare un programma di azione in materia di rimpatrio che tenga conto, fra l'altro, dei contributi e delle discussioni emersi preliminarmente al Libro verde.

A seguito del Programma di Tampere è stato introdotto il Programma dell’Aia (2004-2009) e a seguire in tempi più recenti il Programma di Stoccolma (2010-2014). Con questi programmi l’UE cerca di stabilire le linee guida e le priorità che guideranno la strategia politica di quegli anni, tra i temi trattati emergono sicuramente questioni legate al tema dell’immigrazione e del rimpatrio.

In particolare, con il Programma dell’Aia emerge sicuramente la necessità di lavorare sulla cooperazione tra Stati, per gestire al meglio le frontiere esterne dell’Unione, cercando di creare un quadro europeo sul tema dell’immigrazione. “Cinque anni dopo

(33)

una nuova agenda consenta all'Unione di trarre vantaggio da questi risultati e di raccogliere in maniera efficace le nuove sfide da affrontare. A tal fine, il Consiglio europeo ha adottato un nuovo programma pluriennale noto come il programma dell'Aia. Quest'ultimo riflette le ambizioni espresse nel trattato che adotta una Costituzione per l'Europa e contribuisce a preparare l'Unione alla sua entrata in vigore.”31. Il programma dell'Aia ha quindi l'obiettivo di migliorare la capacità comune dell'Unione e dei suoi Stati membri di garantire i diritti fondamentali, le garanzie procedurali minime e l'accesso alla giustizia per fornire protezione, regolare i flussi migratori e controllare le frontiere esterne dell'Unione.

Per quanto riguarda poi il successivo Programma di Stoccolma il tema centrale è sempre lo spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia. Pertanto, le direttive programmatiche prefissano degli obiettivi da raggiungere in questi 5 anni.

“Tenendo conto dei risultati conseguiti dai programmi di Tampere e dell'Aia, sono Stati compiuti a tutt'oggi notevoli progressi in questo settore. I controlli alle frontiere interne sono Stati soppressi nello spazio Schengen e le frontiere esterne dell'Unione sono ora gestite in modo più coerente. Attraverso lo sviluppo dell'approccio globale in materia di migrazione, la dimensione esterna della politica migratoria dell'Unione s'incentra sul dialogo e sui partenariati con i Paesi terzi, in base

31 Comunicazione del Consiglio n. 2005/C 53/01 – Programma

dell’Aia: Rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell’Unione Europea.

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a interessi reciproci. Sono state intraprese importanti iniziative volte a istituire un sistema europeo di asilo.”32

4. Le novità introdotte dal Trattato di

Lisbona

Il panorama istituzionale fin qui descritto, persisterà fino all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009; è opportuno sottolineare come buona parte della normativa Europea avente ad oggetto immigrazione e asilo sia stata adottata nel decennio tra il 1999 e il 2009, con la vigenza quindi di quel metodo ibrido che lasciava al Consiglio dell’Unione Europea, e di conseguenza ai governi degli Stati Membri, un ruolo preponderante nella scelta delle politiche in materia.33

Il Trattato di Lisbona ha portato un cambiamento nella disciplina di immigrazione e asilo, rendendola più organica, chiara e compiuta, introducendo innovazioni soprattutto sotto il profilo della disciplina istituzionale e normativa34. Innanzitutto,

32 Comunicazione del Consiglio n. 2010/C 115/01 Programma Di

Stoccolma – Un Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini.

33 K.GROENENDIJK, Migration and Law in Europe, in E.GUILD, P.

MINDERHOUD (a cura di) The first decade of EU Migration and Asylum Law, Martinus Hijhoff, 2012, p.8.

34 S. CARRERA, The impact of the Treaty of Lisbon over EU Policies

on Migration, Asylum and Borders: The Struggles over the

Ownership of the Stockholm Programme, in E. Guild, P. Minderhoud (a cura di) The first decade of EU Migration and Asylum Law,

(35)

va sottolineato che il nuovo Trattato elimina la complessa struttura in pilastri35, sorta nel 1992 con il Trattato di Maastricht,

realizzando al suo posto un sistema fondato su due diversi trattati: il Trattato sull’Unione Europea (TUE), che detta i principi più importanti e i fini e i valori su cui si fonda l’Unione, e il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che riprende il contenuto del Trattato CE ed enuncia in dettaglio le regole relative al funzionamento delle istituzioni e alle competenze dell’Unione. Con tali modifiche si è portato a compimento il processo di “comunitarizzazione” dell’ex terzo pilastro dell’Unione, relativo alla Cooperazione nel settore della giustizia e affari interni (GAI), dal momento che anche la cooperazione giudiziaria penale e di polizia sono ad oggi regolate dai meccanismi istituzionali europei e all’interno della cornice del TFUE.

35 Va detto, tuttavia, che il superamento della struttura in pilastri non

è stato totale, in quanto per le materie oggetto dell’ex secondo pilastro, ossia la Politica estera e di Sicurezza Comune (PESC), rimangono valide le regole particolari improntate al metodo intergovernativo.

(36)

4.1 La divisione della competenza nel Titolo V del

TFUE

Importanti cambiamenti, introdotti dal Trattato di Lisbona, riguardano tutte le materie del Titolo V TFUE, per le quali è stata estesa l’applicazione della procedura legislativa ordinaria,36 che

prevede il meccanismo di codecisione tra Consiglio e Parlamento, con un ruolo potenziato per i parlamenti nazionali.

37

Tra gli obiettivi dell’Unione figura quello di offrire ai suoi cittadini uno spazio “senza frontiere interne” 38 all’interno del

quale sia possibile circolare liberamente.

Le disposizioni volte a realizzare l’eliminazione dei controlli alle frontiere interne all’Unione39 sono contenute proprio nel

Titolo V del TFUE intitolato “Spazio di libertà, sicurezza e

giustizia”. Con questa espressione si intende enunciare in modo

sintetico l’obiettivo perseguito da un insieme di regole concernenti non solo la liberta circolazione delle persone, ma anche la cooperazione tra le autorità di polizia ed amministrative nonché la cooperazione giudiziaria in materia sia civile che penale.

Partendo con l’articolo 67 TFUE, questa disposizione delinea una varietà di obiettivi che consistono sia nell’eliminazione dei

36 Art. 294 TFUE. 37 Art. 69 TFUE. 38 Art. 2 TUE.

(37)

controlli alle frontiere interne, sia nello sviluppo di una politica comune concernente asilo e immigrazione, tramite l’adozione di misure di prevenzione e di lotta contro la criminalità, il razzismo e la xenofobia.

L’art 67 sancisce l’esistenza di uno spazio di libertà, sicurezza

e giustizia all’interno dell’Unione, da realizzarsi nel rispetto dei

diritti fondamentali, da un lato, ma anche delle diverse tradizioni

giuridiche degli Stati Membri, il riferimento alle tradizioni

giuridiche è altresì rilevante in quanto esprime la consapevolezza che i temi esplicati siano di estremo rilievo per gli Stati e per i loro cittadini, da cui la necessità di tenere in considerazione i loro interessi sovrani.

Si prefigura così una sorta di attenuazione della competenza in capo all’Unione, ciò a corollario anche di quanto previsto in virtù dei principi di sussidiarietà e proporzionalità ai fini dell’esercizio delle competenze dell’Unione di carattere concorrente. Emerge, tuttavia, che gli spazi per un’attività normativa autonoma da parte degli Stati membri sembrano assai limitati. Non si esclude a priori la possibilità per gli Stati Membri di adottare normative nazionali che consentano l’ingresso e il soggiorno ai cittadini di Paesi terzi ma ciò comporterebbe l’imbattersi in un ostacolo, ossia quello relativo al fatto che le normative nazionali devono essere compatibili con i Trattati istitutivi.

È prevista una “politica comune in materia di asilo,

immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri e equa nei confronti dei cittadini dei Paesi terzi”. Nonostante l’utilizzo del termine comune abbia una

(38)

corrisponde alla realtà giuridica, tale termine è indicativo della volontà di un approccio onnicomprensivo da parte delle istituzioni europee.40

Una particolare attenzione dell’art 67 è riservata al rispetto dei diritti umani, benché l’esigenza di conformità a tali diritti già derivi dalla “Convenzione Europea dei diritti dell’uomo” e dalla Corte di Giustizia, si sente il bisogno di ribadire un dogma quale quello del rispetto dei diritti umani. Questa specifica risulta piuttosto significativa, alla luce dei temi trattati nel Titolo V, e della rilevanza e incidenza pratica che hanno sui diritti fondamentali delle persone.

Nei successivi articoli (artt. 68-77) viene trattata la disciplina comune in materia di giustizia e affari interni e il ruolo delle istituzioni. In particolare, l’articolo 68 formalizza il ruolo centrale di impulso politico che il Consiglio Europeo ha rivestito da sempre in questo settore, prevedendo che “Il Consiglio

europeo definisce gli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia”.

Successivamente, il TFUE contiene la disciplina dei quattro settori relativi alla materia del GAI: le politiche relative ai controlli alle frontiere, all'asilo e all’immigrazione (artt.77-80); la cooperazione giudiziaria in materia civile (art. 81); la cooperazione giudiziaria in materia penale (artt. 82-86); la

40 E.NEFRAMI, Ripartizione delle competenze tra l’Unione Europea e

i suoi Stati Membri in materia di immigrazione, studio commissionato dal Parlamento Europeo, Direzione Generale delle Politiche Interne, Bruxelles, 2011, p. 6.

(39)

cooperazione di polizia (artt. 87-89). Nello specifico, la materia dell’immigrazione è disciplinata dagli articoli 77 e 79. L’art 7741

si sofferma sulla gestione delle frontiere, sulle tematiche di

41 ART 77: 1. L'Unione sviluppa una politica volta a: a) garantire

l'assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne; b) garantire il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dell'attraversamento delle frontiere esterne; c) instaurare progressivamente un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure riguardanti: a) la politica comune dei visti e di altri titoli di soggiorno di breve durata; b) i controlli ai quali sono sottoposte le persone che attraversano le frontiere esterne; c) le condizioni alle quali i cittadini dei Paesi terzi possono circolare liberamente nell'Unione per un breve periodo; d) qualsiasi misura necessaria per l'istituzione progressiva di un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne; e) l'assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne. 3. Se un'azione dell'Unione risulta necessaria per facilitare l'esercizio del diritto, di cui all'articolo 20, paragrafo 2, lettera a), e salvo che i trattati non abbiano previsto poteri di azione a tale scopo, il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, può adottare disposizioni relative ai passaporti, alle carte d'identità, ai titoli di soggiorno o altro documento assimilato. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. 4. Il presente articolo lascia impregiudicata la competenza degli Stati membri riguardo alla delimitazione geografica delle rispettive frontiere, conformemente al diritto internazionale.

(40)

ingresso e disciplina dei visti42, mentre l’art 78 fa riferimento all’immigrazione legale e a quella irregolare.

Il sopracitato art 77 del TFUE specifica gli obiettivi della eliminazione delle frontiere interne e a garantire i controlli alle frontiere esterne, attribuendo all’Unione competenze atte a estendere “una politica volta a garantire l’assenza di qualsiasi

controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne”. La realizzazione di

questa libertà di circolazione ha sicuramente creato nella pratica maggiori difficoltà, soprattutto pensando alla riluttanza di vari Paesi membri ad attribuire alla Comunità delle competenze riguardo all’ingresso e al soggiorno di cittadini di Stati terzi.

Relativamente all’art 77 la competenza attribuita al riguardo all’Unione è assai ampia. Si conferisce al Consiglio e al Parlamento europeo il potere di adottare, mediante procedura legislativa ordinaria, disposizioni riguardanti i controlli ai quali sono sottoposte le persone alle frontiere, inoltre, con la stessa procedura possono essere adottati atti volti a stabilire norme relative ai visti e ai permessi di soggiorno di breve durata.

Gli sviluppi normativi più significativi sono costituiti, al momento, dal Codice frontiere Schengen43, che stabilisce le

42 Connessa alla politica della gestione delle frontiere è la politica dei

visti e degli altri titoli di soggiorno di breve durata (art. 77, par. 2, TFUE). La norma chiave della disciplina è il reg. n. 810/2009, istitutivo del Codice visti, che ha sostituito e innovato quanto già sviluppato in sede di cooperazione Schengen

43 Regolamento (UE) n. 2016/399 istituisce un codice relativo al

(41)

regole sui controlli delle frontiere che devono essere eseguite dalle autorità di tutti gli Stati membri e dall’istituzione della

Agenzia delle frontiere esterne (Frontex), quest’ultima istituita

nel 2004 con la funzione di coordinare l’attività di controllo degli Stati membri.

Infine, l’art 7844 TFUE attribuisce all’Unione Europea la

competenza a sviluppare una politica comune in materia di asilo,

considerato il pilastro centrale per quanto concerne la gestione delle frontiere dell'UE;

44 Articolo 78: 1. L'Unione sviluppa una politica comune in materia di

asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e al protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei rifugiati, e agli altri trattati pertinenti. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa: a) uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di Paesi terzi, valido in tutta l'Unione; b) uno status uniforme in materia di protezione sussidiaria per i cittadini di Paesi terzi che, pur senza il beneficio dell'asilo europeo, necessitano di protezione internazionale; c) un sistema comune volto alla protezione temporanea degli sfollati in caso di afflusso massiccio; d) procedure comuni per l'ottenimento e la perdita dello status uniforme in materia di asilo o di protezione sussidiaria; e) criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo o di protezione sussidiaria; f) norme concernenti le condizioni di

(42)

di protezione sussidiaria e di protezione temporanea. Si precisa che tale politica deve essere conforme alla Convenzione di

Ginevra del 1951, al relativo protocollo del 1967, nonché altri trattati pertinenti.

La Carta dei diritti fondamentali prevede che il diritto di asilo sia garantito conformemente alle stesse fonti internazionali45 ed enuncia il principio del non-refoulement46, punto cardine del diritto internazionale.

Il TFUE prevede, oltre al riconoscimento dello status di rifugiato, anche altre 2 forme di protezione: - La protezione temporanea degli sfollati in caso di afflusso massiccio.

accoglienza dei richiedenti asilo o protezione sussidiaria; g) il partenariato e la cooperazione con Paesi terzi per gestire i flussi di richiedenti asilo o protezione sussidiaria o temporanea. 3. Qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di Paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati. Esso delibera previa consultazione del Parlamento europeo.

45 Art 18 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea - Diritto

di asilo “Il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, e a norma del trattato che istituisce la Comunità Europea”.

46 Articolo 19, comma 2 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione

Europea- Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione.

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