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IL VIAGGIO A SCUOLA DEI MINORI STRANIERI ADOTTATI E IMMIGRATI

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale

(ordinamento ex D.M. 270/2004)

in Lavoro, Cittadinanza Sociale,

Interculturalità

Tesi di Laurea

Il viaggio a scuola dei minori

stranieri adottati e immigrati

Relatore

Ch. Prof. Fabio Perocco

Laureando

Eva Boldrin

Matricola 825583

Anno Accademico

2012/2013

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INDICE

INTRODUZIONE p. 4

CAPITOLO PRIMO

L’inserimento scolastico dei minori stranieri adottati p. 8

1.1 Il fenomeno dell’adozione internazionale in Italia p. 8 1.1.1 I bambini adottati p. 10 1.1.2 I paesi di provenienza p. 11 1.1.3 I bambini adottati con bisogni particolari e/o speciali p. 12 1.2 Il salto culturale dal paese di origine a quello di accoglienza p. 13 1.2.1 Il rapporto del bambino con il passato pre-adottivo p. 15 1.2.2 Il contesto culturale di inserimento e l’adattamento iniziale p. 16 1.3 La costruzione dell’appartenenza in famiglia e a scuola p. 18 1.4 Il contesto scolastico p. 20 1.4.1 L’ingresso e l’inserimento p. 22

1.4.2 I tempi p. 26

1.4.3 La classe di inserimento p. 28 1.5 Il processo dell’integrazione p. 29 1.6 Le difficoltà del bambino straniero adottato a scuola p. 30

1.7 I genitori p. 33

1.8 Gli operatori della scuola p. 37 1.9 Le forme di collaborazione tra scuola, servizi e famiglia p. 41 1.10 Come si può parlare di adozione a scuola p. 43

CAPITOLO SECONDO

L’inserimento scolastico dei minori stranieri immigrati p. 48

2.1 Il salto culturale dal paese di origine a quello di accoglienza p. 48 2.2 L’ingresso e l’inserimento nel contesto scolastico p. 56 2.2.1 I tempi e la classe di inserimento p. 60 2.2.2 I protocolli di accoglienza p. 63 2.3 La scuola come contesto di apprendimento e relazione p. 68

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2.4 Le difficoltà del bambino straniero immigrato p. 74

2.5 I genitori p. 79

2.6 Gli operatori della scuola p. 81 2.7 Le forme di collaborazione tra scuola, servizi e famiglia p. 85 2.8 Come si può parlare di immigrazione a scuola p. 89

CAPITOLO TERZO

La ricerca sociale. Il viaggio nelle scuole della Provincia di Padova p. 92

3.1 Il progetto della ricerca: ipotesi, disegno e finalità p. 92 3.2 L’analisi del materiale empirico p. 99 3.2.1 Scuole dell’infanzia e inserimento scolastico p. 99 3.2.2 Scuole dell’infanzia e difficoltà rilevate dei minori stranieri immigrati

e adottati p. 109

3.2.3 Scuole primarie e inserimento scolastico p. 115 3.2.4 Scuole primarie e difficoltà rilevate dei minori stranieri immigrati

e adottati p. 122

3.2.5 Scuole dell’infanzia e scuole primarie: integrazione scolastica,

progetti, collaborazioni e formazione degli insegnanti p. 129

CONCLUSIONI p. 145

APPENDICE

Intervista strutturata p. 150

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INTRODUZIONE

Per ciascun minore l’inserimento nel contesto scolastico rappresenta un momento cruciale nella propria vita e lo è tanto più per un minore straniero adottato o per un minore straniero immigrato, che, attraverso la scuola, sperimenta il suo primo vero incontro con il Paese di accoglienza.

Il contesto scolastico diventa luogo privilegiato di una funzione formativa, di integrazione sociale e di sviluppo delle relazioni, a cui la presenza di un minore di origine straniera pone una richiesta educativa complessa, per cui esso è tenuto ad attrezzarsi.

Al minore straniero, sia esso immigrato o adottato, non può essere negato il diritto di essere accompagnato nel proprio percorso di estrinsecazione personale, né il diritto di vedere garantita una equilibrata integrazione nel tessuto sociale di appartenenza, attraverso transazioni educative sinergiche e condivise tra tutti i soggetti di riferimento preposti alla sua cura e tutela (famiglia di origine per il bambino straniero immigrato, famiglia adottiva per il bambino adottato internazionalmente, scuola, servizi sociali, servizi specialistici, enti autorizzati, tribunali per i minorenni, associazioni territoriali e università).

Se il futuro di una nazione viene a prefigurarsi con le caratteristiche di una società accogliente molteplici e diversificate culture, l’adozione internazionale, così come i processi di immigrazione, rappresentano una delle questioni etiche del nostro tempo, poiché fenomeni come quelli sopra citati hanno un evidente impatto sul progetto che un Paese ha del suo futuro. Ne consegue che la conoscenza dei processi di inserimento e di integrazione, anche scolastici, diviene momento basilare nella costruzione di ciò che si vorrebbe essere come società. La scuola, costituendo il tramite essenziale per la costruzione del legame tra individuo e società nelle diverse dimensioni, riconosce l’importanza dell’investimento nell’istruzione finalizzato alla formazione dell’identità dei giovani stranieri, pronti a intraprendere un viaggio verso contesti nuovi.

Il viaggio diventa, così, filo conduttore della vita sia dei bambini stranieri adottati, che immigrati. Non si tratta di un semplice viaggio caratterizzato dalla concretezza del suo essere realizzato in aereo, in treno, in auto.. che conduce a un luogo nuovo, attraverso paesaggi che più si modificano più ci si allontana dalla propria terra di origine. Il viaggio è anche e, probabilmente in maniera più incisiva, interiore. Cambiano i riferimenti, le abitudini, i modi di vedere la cose, le persone, i contesti di riferimento.. Ecco come il tema del viaggio diventa quasi una metafora esplicativa di un percorso lungo, a volte imprevedibile, forse difficile, ma stimolante, nuovo, che innesca la curiosità e chiede nuove costruzioni del sé. Ogni viaggio porta con sé un cambiamento; cambiamento che investe, seppur in maniera differente, sia i bambini stranieri adottati, che immigrati.

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Da qui l’idea del “viaggio a scuola”, ricollegata al concetto di novità, cambiamento e costruzione della propria identità. L’importanza del contesto scolastico per la crescita di un bambino è facilmente intuibile ed è proprio per la sua funzione determinante nella vita dei piccoli, futuri adulti, che esso deve essere in grado di agire, consapevole degli innumerevoli mutamenti in atto, nel rispetto e nella comprensione delle differenze. Consapevoli della sua importanza, la scelta è andata nella direzione di indagare il primo contesto societario che tutti i minori sperimentano, al fine di verificare il grado di consapevolezza e gli strumenti utilizzati. Il presente lavoro di tesi, infatti, si pone l’intento di andare a esaminare il grado di adeguamento della scuola a una realtà di pluralismo culturale, reso possibile dalle differenti culture esistenti al suo interno e dalla diversificazione delle necessità e delle storie di ciascun alunno. L’analisi intende, inoltre, osservare il grado di consapevolezza della scuola e l’utilizzo di strumenti differenti alla presenza del bambino straniero adottato e di quello straniero immigrato, essendo improprio assimilare le loro caratteristiche.

La trattazione prevede l’esame, nel primo capitolo, dell’inserimento scolastico dei minori stranieri adottati. L’analisi dei dati nazionali relativi al fenomeno evidenzia, nel 2012, anno di riferimento dell’indagine, in controtendenza rispetto agli anni precedenti, una flessione del numero complessivo delle adozioni internazionali realizzate. Tuttavia, nonostante il calo registrato, il fenomeno continua a presentarsi rilevante per la nostra società, poiché, diventando, sostanzialmente, l’adozione internazionale per i Paesi di origine una soluzione ultima ed estrema, le caratteristiche dei bambini appaiono sempre più complesse e i bisogni sempre più variegati. Confermando, poi, i dati, che le età dei bambini arrivati in adozione internazionale sono in larga maggioranza corrispondenti all’età scolare, appare evidente come il contesto scolastico ne sia investito e ne sia richiesta la sua preparazione. Ne segue l’analisi delle principali caratteristiche riscontrate e attribuibili ai bambini stranieri adottati e la conferma della loro necessità di creare un legame e un’appartenenza in famiglia prima che a scuola: la costruzione dell’appartenenza in famiglia permette la realizzazione del sentirsi accettati anche a scuola e favorisce il conseguimento di risultati positivi.

Nel secondo capitolo, dall’indagine del fenomeno migratorio emerge che, in riferimento alle nascite di bambini stranieri, dal 2011 si assiste a un rallentamento nell’incremento registrato negli anni precedenti. Tuttavia, appare in diminuzione il numero di scuole statali e non statali che accolgono alunni stranieri, a conferma della rilevanza della necessaria preparazione del contesto scolastico, investito della responsabilità del benessere e della crescita di tutti i bambini. Nel caso dei bambini stranieri immigrati sono le decisioni e i percorsi intrapresi dai genitori a condizionare l’esperienza dei figli. L’obiettivo della prima generazione è quello di farsi accogliere e trovare una rispondenza rispetto alle proprie aspettative legate al progetto migratorio. Le generazioni successive sono caricate, oltre che dalle sfide dell’accoglienza e dell’accettazione, anche dalla volontà di realizzare un progetto di vita autonomo.

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La trattazione del primo, ma anche del secondo capitolo, prosegue rispettivamente, secondo le peculiarità del bambino straniero adottato e di quello straniero immigrato, con l’analisi del contesto scolastico, delle modalità di accoglienza e inserimento, della scelta della classe di inserimento e dei tempi necessari per realizzare una buona accoglienza. Segue, successivamente, l’analisi del processo di integrazione, delle difficoltà scolastiche prevalenti e delle loro cause, dell’influenza delle figure genitoriali, delle forme di collaborazione tra scuola, servizi e famiglia e, infine, la trattazione in classe del tema della diversità. La disamina dei due capitoli, nel primo caso focalizzata sull’inserimento scolastico del bambino straniero adottato e nel secondo centrata sull’inserimento del bambino straniero immigrato, appare sostanzialmente parallela. La scelta va nella direzione di rendere, successivamente, e nell’ultimo capitolo, dove si analizzano i dati ricavati da una ricerca empirica realizzata, evidenti le peculiarità di ciascuno e le differenze che li caratterizzano.

Essi, infatti, oltre a presentare peculiarità differenti, portano al contempo bisogni diversi. La prima, e più visibile, differenza è relativa al fatto che mentre il minore straniero immigrato, che arriva con la propria famiglia, compie un percorso di integrazione con l’esterno senza dover consolidare i rapporti e le dinamiche interne, il bambino di origine straniera adottato e la sua famiglia adottiva sono impegnati in un faticoso percorso di integrazione interna, oltre che esterna. La lingua di origine assume significati differenti, perché, se da un lato il minore straniero immigrato la conserva, appresa in un contesto relazionale positivo, e continua a utilizzarla in famiglia, il minore straniero adottato possiede una lingua madre appresa in contesti affettivamente deprivati e che rimanda a vissuti traumatici da rimuovere. Così anche per la cultura di origine: se da un lato ci si trova di fronte a una cultura da integrare a quella nuova, dall’altro si è in presenza di ricordi di un iniziale percorso di vita segnato da privazioni, solitudine e abbandono. Le caratteristiche somatiche, poi, rappresentano per il bambino straniero adottato il segno più evidente della filiazione adottiva, che rende palese la difficoltà della ricostruzione identitaria, aspetto che è pressoché inesistente per il bambino straniero immigrato. Inoltre, le dinamiche psico-affettive di un bambino adottato solitamente sono più complesse che per un bambino immigrato, presentando l’adottato stati d’animo ambivalenti tra un prima, spesso traumatico, e un dopo connotato da accoglienza e affetto, ma percepito come non pienamente proprio. Anche i tempi di inserimento a scuola possono presentare delle differenze, dal momento che il bambino immigrato, arrivando con la propria famiglia, o comunque trovandola al suo arrivo, non ha la necessità di costruire un legame affettivo con essa; diversamente, il bambino adottato deve costruire un legame in famiglia prima di essere pronto a inserirsi in un altro nuovo contesto, che è quello scolastico. Anche la storia personale passata presenta caratteristiche nettamente differenti, con conseguenti risvolti assolutamente distanti tra loro.

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La scuola è consapevole delle profonde differenze esistenti? Quali sono gli strumenti di cui si dota l’ambito scolastico?

Il lavoro di ricerca svolto, presentato nel capitolo terzo, ha coinvolto i dirigenti scolastici di otto scuole (quattro scuole dell’infanzia e quattro scuole primarie, pubbliche e paritarie) del territorio della Provincia di Padova, con la finalità di osservare e rilevare la realtà, seppur circoscritta, del fenomeno. La scelta del dirigente scolastico è motivata dalla convinzione che la sua figura, mettendosi sempre e comunque in una posizione di ascolto, indirizza e organizza l’agire del contesto scolastico, supporta il personale, fornisce le indicazioni e gli orientamenti, risolve le problematiche che intercorrono nel corso dell’anno scolastico e collabora con le istituzioni e i servizi presenti sul territorio. Il dirigente scolastico rappresenta la figura di collegamento con l’esterno e il regista del contesto interno, informato di qualsiasi cosa vi accada. L’indagine ha posto attenzione sia alla scuola pubblica, che a quella paritaria, con la finalità di andare a verificare l’esistenza di eventuali differenze rilevanti, impostazioni di diverso orientamento, risposte diversificate, attenzioni particolari. La ricerca, inoltre, concentra l’attenzione su due realtà che accolgono minori di età differenti: la scuola dell’infanzia e la scuola primaria. Anche in questo caso, la finalità è quella di indagare possibili eventuali differenze di inserimento dei bambini e di risposte diversificate date dalla scuola in considerazione delle diversità di età e, quindi, dei bisogni.

L’obiettivo finale è quello di indagare l’esistenza o la possibilità di realizzare dei percorsi mirati per il miglior inserimento scolastico sia dei bambini arrivati in adozione internazionale, sia di quelli immigrati, al fine di favorire una più adeguata integrazione nel contesto comunitario e sociale.

La buona riuscita scolastica avrà effetti positivi a cascata su molteplici altri aspetti della vita di tutti i giorni, relazionale, dell’integrazione, del riconoscimento, dell’autostima, della crescita personale, delle buone relazioni in famiglia, fino al riconoscimento nella società e alla riuscita personale.

La sfida consiste nella capacità di affrontare le relazioni con le differenze, di alimentare e negoziare le reciproche identità culturali, verso la costruzione di un percorso di comune arricchimento che non escluda nessuno.

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CAPITOLO PRIMO

L’inserimento scolastico dei minori stranieri adottati

“Ogni bambino ha il diritto di avere un nome.

Ogni bambino ha il diritto di avere una famiglia e crescere con la sua famiglia. Se i genitori naturali di un bambino muoiono tutti e due, o se per qualunque motivo

nessuno dei due può allevarlo, le Autorità del Paese in cui il bambino vive devono aiutarlo a trovare una mamma e un papà che lo amino e ne abbiano cura,

eventualmente anche in un altro Paese.

Quella mamma e quel papà saranno i suoi genitori adottivi, saranno la sua famiglia1”

1.1 Il fenomeno dell’adozione internazionale in Italia

La Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale del 29 maggio 1993, ratificata in Italia con legge 31 dicembre 1998, n. 476, nasce da convinzioni condivise da più Stati che hanno palesato come obiettivo prioritario l’interesse del minore. Alcuni punti cardine della Convenzione riguardano lo sviluppo armonioso della personalità del minore e la sua crescita equilibrata in un ambiente familiare, in un clima di felicità, di amore e di comprensione; l’adozione di misure appropriate da parte di ciascuno Stato per consentire la permanenza del minore nella famiglia di origine; il riconoscimento che l’adozione internazionale può offrire l’opportunità di dare una famiglia permanente a quei minori per i quali non è stato possibile individuarne una idonea nel loro Stato di origine; la necessità di prevedere misure atte a garantire che le adozioni internazionali si avviino nell’interesse superiore del minore e nel rispetto dei suoi diritti fondamentali e che siano evitate la sottrazione, la vendita e la tratta dei minori. Obiettivo principale della convenzione è pertanto quello di garantire che le adozioni internazionali si realizzino nell’interesse superiore del minore e nel rispetto dei suoi diritti fondamentali, riconosciuti nel diritto internazionale. Non secondario è lo scopo della convenzione di instaurare un sistema di cooperazione tra gli Stati contraenti, i quali devono ottemperare al dovere di assicurare il rispetto di garanzie e la realizzazione delle adozioni in conformità alla Convenzione. A tale proposito, a seguito della ratifica della Convenzione, in Italia ha fatto ingresso nel nostro ordinamento un nuovo organismo dotato di importanti funzioni finalizzate al regolare svolgimento delle procedure adozionali: si tratta della Commissione per le

1

Convenzione Internazionale sui diritti dei minori, promulgata dall’ONU nel 1990 e ratificata nel nostro Paese con la Legge n. 176 del 25 Maggio 1991, art. 1

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Adozioni Internazionali, operativa presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli Affari Sociali, che ha la facoltà di delegare ad organismi abilitati alcuni compiti: gli Enti Autorizzati.

Annualmente la Commissione per le Adozioni Internazionali, in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze, realizza un report che ha l’obiettivo di fornire un’analisi quantitativa e qualitativa del fenomeno delle adozioni internazionali. Considerata la Commissione per le Adozioni Internazionali quale fonte primaria in materia, si ritiene indispensabile dare avvio al presente lavoro di tesi proprio da una descrizione del fenomeno nel contesto nazionale. Nel 2011 il numero delle adozioni internazionali ha superato le 4.000 unità, registrando soltanto una lieve flessione rispetto al 2010. Tuttavia nel 2012, a fronte di un periodo in cui si era registrata una importante solidità del fenomeno, in controtendenza addirittura rispetto al generale e forte calo delle adozioni internazionali registrato dal 2005 in tutti gli altri Paesi, anche in Italia si assiste a una consistente flessione del numero delle adozioni internazionali: 3.106 i bambini entrati in Italia per adozione, a fronte dei 4.022 del 2011 e dei 4.130 del 2010. Nel 2012 si è verificata, pertanto, una flessione del 22,8% rispetto al 2011, considerando il numero dei bambini adottati, e del 21,7% considerando il numero di famiglie adottive2 (2.469 nel 2012; 3.154 nel 2011; 3.241 nel 2010).

Tra le cause del fenomeno non è sorvolabile il rallentamento o la sospensione delle attività in alcuni Paesi, che hanno approntato nuove disposizioni in materia di adozione internazionale. Ad esempio nel 2012 le autorità di uno dei paesi da cui proviene il maggior numero di bambini adottati, la Colombia, hanno proceduto con la revisione dei criteri dichiarativi dello stato di abbandono, determinando il rallentamento delle procedure di adozione. Oppure possono essere citati il Vietnam, l’India, la Polonia, dove sono recentemente entrate in vigore nuove procedure e normative, non ancora completamente a regime, che apporteranno modifiche alle finora seguite procedure di adozione.

Tuttavia, sono da tenere in considerazione anche altri due aspetti che stanno caratterizzando il fenomeno dell’adozione internazionale.

Il primo: in Italia, ma come anche negli altri Paesi di accoglienza, si sta assistendo alla diminuzione del numero delle dichiarazioni di disponibilità presentate dalle coppie ai Tribunali per i Minorenni, causata dalla crescita dell’informazione e del livello di consapevolezza relativo ai reali bisogni dei bambini che arrivano in adozione e pertanto della reale complessità dell’adozione internazionale. Inevitabilmente incide anche la crisi economica. Il secondo: sul fronte estero accrescono i Paesi che aderiscono o si avvicinano al “sistema Aja”, adeguando i loro sistemi normativi ai principi sanciti dalla Convenzione. Questo comporta maggiori garanzie di tutela non solo per le famiglie biologiche e adottive, ma anche per i bambini stessi; allo stesso tempo nei Paesi di origine si rafforzano la motivazione e la

2

Commissione per le Adozioni Internazionali in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, “Dati e prospettive nelle adozioni internazionali – Rapporto sui fascicoli dal 1 gennaio al 31 dicembre 2012”, Firenze, 2013, p. 5

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sensibilità all’adozione nazionale, producendo una riduzione del numero delle adozioni internazionali e comportando una loro crescente complessità, dal momento che le dichiarazioni di adottabilità riguarderanno sempre maggiormente bambini più grandi, fratrie e minori con bisogni speciali. Si può asserire, pertanto, che si sta assistendo alla modifica delle caratteristiche dei minori che giungono in Italia: l’adozione sta diventando la soluzione estrema.

Inoltre, lo sviluppo economico di molti Paesi di origine, il progressivo miglioramento delle condizioni di vita e il rafforzamento degli interventi sociali, la possibilità, nuova in quei Paesi rispetto al passato, di individuare soluzioni interne (adozioni nazionali, affidamenti intrafamiliari), riducono il ricorso all’adozione internazionale come strumento di tutela dell’infanzia. Del resto è la storia della stessa Italia, quale Paese di origine negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale e uno dei principali Paesi di accoglienza trent’anni dopo. Allo stesso tempo, però, si aprono nuove collaborazioni e si sta assistendo all’aumento del numero delle adozioni realizzate, ad esempio, nella Repubblica Popolare Cinese, a dimostrazione di una realtà fortemente dinamica e in continuo mutamento.

1.1.1 I bambini adottati

Nel periodo compreso tra il 16 novembre 2000 e il 31 dicembre 2012 i minori stranieri autorizzati all’ingresso in Italia a scopo adottivo sono stati 39.223. Questi minori sono stati adottati da 31.529 coppie, con una media di 1,24 bambini per coppia3.

Nel 2010 il numero medio di bambini adottati per coppia è stato di 1,27; nel 2011 di 1,28 e nel 2012 di 1,26, in leggera diminuzione rispetto all’anno precedente4.

Nel 2012 sono entrati in Italia a scopo adottivo 3.106 minori, a fronte dei 4.022 del 2011 e dei 4.130 del 2010: si sta assistendo a una diminuzione degli ingressi. Infatti la media mensile del 2012 relativa alle autorizzazioni all’ingresso è stata di 258, a fronte dei 335 del 20115. I bambini adottati nel 2012 sono per il 58,5% maschi e per il 41,5% femmine; il numero dei maschi è leggermente superiore rispetto al 2011 e quello delle femmine leggermente inferiore6.

L’età media è di 5 anni e 11 mesi, in diminuzione rispetto al dato registrato nel 2011, pari a 6 anni e 1 mese. Il 37,9% dei bambini adottati nel 2012 ha un’età compresa tra 1 e 4 anni; il 47,5% tra 5 e 9 anni, l’11,1% pari o superiore a 10 anni e il 3,6% è sotto l’anno di età7. Appare piuttosto evidente che il maggior numero di bambini arrivati con l’adozione

3

Commissione per le Adozioni Internazionali in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, “Dati e prospettive nelle adozioni internazionali – Rapporto sui fascicoli dal 1 gennaio al 31 dicembre 2012”, Firenze, 2013, p. 25

4

Cit., p. 25

5

Cit., p. 26; Commissione per le Adozioni Internazionali in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, “Dati e prospettive nelle adozioni internazionali – Rapporto sui fascicoli dal 1 gennaio al 31 dicembre 2011”, Firenze, 2012, p. 3

6

Commissione per le Adozioni Internazionali in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, “Dati e prospettive nelle adozioni internazionali – Rapporto sui fascicoli dal 1 gennaio al 31 dicembre 2012”, Firenze, 2013, p. 26

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internazionale è in età scolare. Nel 2011 le percentuali, più o meno confermate l’anno successivo, registrate erano le seguenti: il 36,1% tra 1 e 4 anni, il 45,2% tra 5 e 9 anni, il 13,3% pari o superiore a 10 anni, il 5,4% sotto l’anno di età8.

Le età più elevate si riscontrano tra i minori adottati in Bielorussia (14 anni e 6 mesi), in Messico (9 anni e 3 mesi), in Costa Rica (9 anni e 3 mesi), in Ucraina (8 anni e 1 mese); le età più basse si registrano nelle adozioni realizzate in Mali (1 anno e 3 mesi), in Senegal (1 anno e 2 mesi) e in Corea del Sud (1 anno e 1 mese)9.

Infine è importante sottolineare che nel 2012 sono diminuite le adozioni nei Paesi che hanno ratificato la Convenzione de L’Aja (49,2%) e si è registrata una percentuale superiore (50,8%) di adozioni realizzate in Paesi non ratificanti: si assiste a un calo di adozioni registrate in alcuni Paesi ratificanti, come la Colombia, l’India e la Polonia. Tale fenomeno non appare in linea con quanto succedeva l’anno precedente, che vedeva invece un aumento del numero di bambini provenienti da Paesi che avevano ratificato la convenzione (56,2%) rispetto a quelli provenienti da Paesi non ratificanti (43,8%)10.

1.1.2 I paesi di provenienza

Analizzando la provenienza di minori stranieri entrati in Italia nel 2012 per adozione, si registra che il Paese di origine da cui è arrivato il maggior numero di bambini è, come nel 2011, la Federazione Russa, con 749 minori autorizzati all’ingresso, pari al 24,1% del totale. Seguono la Colombia con 310 minori (10%), il Brasile con 304 minori (7,56%), l’Etiopia con 233 (7,5%), l’Ucraina con 225 (7,2%) e la Repubblica Popolare Cinese con 171 (3,6%)11. Nel 2011 tra i Paesi di maggiore provenienza comparivano anche la Polonia e l’India, mentre la Repubblica Popolare Cinese ancora non dimostrava una incidenza così importante. La disaggregazione delle autorizzazioni all’ingresso per continente di provenienza dei minori evidenzia un incremento del numero dei minori provenienti dai Paesi europei, che nel 2012 rappresentano il 47,7% del totale a fronte del 44,7% del 2011. Si rileva un consistente incremento anche del numero dei minori provenienti dal continente africano: 13,1% nel 2011 del totale e 16,3% nel 2012. Diminuisce invece il numero dei minori provenienti sia dall’Asia (dal 15,3% del 2011 al 10,6% del 2012) che dall’America Latina (dal 26,9% del 2011 al 25,3% del 2012).

8

Commissione per le Adozioni Internazionali in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, “Dati e prospettive nelle adozioni internazionali – Rapporto sui fascicoli dal 1 gennaio al 31 dicembre 2011”, Firenze, 2012, p. 12

9

Commissione per le Adozioni Internazionali in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, “Dati e prospettive nelle adozioni internazionali – Rapporto sui fascicoli dal 1 gennaio al 31 dicembre 2012”, Firenze, 2013, p. 26

10

Cit., p. 26

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1.1.3 I bambini adottati con bisogni particolari e/o speciali

La Commissione per le Adozioni Internazionali monitora anche il livello di salute dei minori che arrivano in Italia con l’adozione internazionale. Vi è una distinzione di base applicata tra quelli che vengono denominati bisogni speciali e quelli che invece vengono indicati come particolari.

I bisogni speciali denotano situazioni caratterizzate da patologie gravi e spesso insanabili, quali ad esempio le malattie neurologiche o mentali. I bisogni particolari indicano invece situazioni in cui si presuppone un recupero nel corso del tempo, con una previsione di guarigione totale o comunque uno sviluppo fisico e psicologico tale da consentire un inserimento sociale autonomo (disabilità lievi e reversibili).

Nel 2011 si è registrata una percentuale pari al 13,4% del totale relativa al numero di minori stranieri adottati con bisogni speciali segnalati (vi è stata una lieve flessione rispetto al 2010, quando la percentuale era di 15,5%). Il 27,8% proveniva dall’Europa, il 4,2% dall’Asia, l’1,0% dall’America e lo 0,2% dal continente africano12.

In Europa la maggior parte dei casi segnalati è caratterizzata da ritardo psicologico e/ psicomotorio causato da precoce e lunga istituzionalizzazione in ambienti inidonei e con stimolazione insufficiente. Nei Paesi del Centro e Sud America, invece, le malattie e i bisogni sono prevalentemente attribuibili a carenze nutrizionali. Infine, in Africa e in Asia la causa più frequente di malattia è legata alla scarsità di igiene. La fascia di età in cui i bisogni speciali e/o particolari si manifestano più frequentemente è quella compresa tra 1 e 4 anni (15,4%), seguita da quella compresa tra 5 e 9 anni (13,9%)13.

Si ritiene importante sottolineare che l’attendibilità del dato potrebbe non essere così sicura, poiché frequentemente le indicazioni riportate nei fascicoli dei minori adottandi non sono corrette e/o complete, perché non redatte da personale medico, ma di assistenza che tende a riportare, anziché vere e proprie diagnosi, dei sintomi manifestati. Inoltre la raccolta dati appare più dettagliata e pertanto anche maggiormente attendibile per bambini provenienti da un Paese piuttosto che da un altro, dimostrando che gli standard informativi presentano caratteristiche differenti da Paese a Paese.

Solitamente la rilevazione dei bisogni speciali e particolari è effettuata su quanto emerge esclusivamente dalla documentazione esistente al momento dell’adozione, esclusi i casi in cui le problematiche sanitarie si manifestano solamente una volta arrivato il minore. E’ pertanto piuttosto evidente che il dato globale è sottostimato rispetto al numero effettivo di bambini con bisogni speciali e/o particolari.

12

Commissione per le Adozioni Internazionali in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, “Dati e prospettive nelle adozioni internazionali – Rapporto sui fascicoli dal 1 gennaio al 31 dicembre 2011”, Firenze, 2012 pp. 25-26

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Nella terminologia internazionale lo stato del bambino con “special needs” non è legato esclusivamente allo stato di salute, ma anche all’età, che deve essere pari o superiore ai 7 anni, affinché il bambino venga riconosciuto con “special needs”, e alla sua condizione familiare, ossia essere parte di un gruppo di fratelli. Entrambi questi due aspetti non sono da sottovalutare, poiché più un bambino arriva grande, più aumentano le probabilità che i suoi bisogni siano più complessi e che la sua storia di vita abbia lasciato un segno molto marcato; al contempo l’adozione di fratelli è senza dubbi più impegnativa e presenta caratteristiche proprie; si pensi se, ad esempio, quattro fratelli fossero stati adottati da tre famiglie diverse sparse in più parti d’Italia: le rispettive famiglie sono chiamate a organizzare regolari incontri e a promuovere il mantenimento dei legami. Si pensi, infine, con quale dolore arriverebbe in Italia un bambino che ha lasciato i propri fratelli nel Paese di origine.

Tale disamina appare necessaria alla comprensione del fenomeno: il bambino che arriva in Italia attraverso l’adozione internazionale deve essere conosciuto per poter essere accolto e integrato. Non solo le famiglie, dirette protagoniste dell’accoglienza, devono essere preparate, ma anche la società nel suo complesso deve essere sensibilizzata e accompagnata nella comprensione del fenomeno, e la scuola, contesto in cui il bambino trascorrerà una parte consistente del suo tempo, deve essere informata, cosciente e organizzata. Il terreno sarà ricco di imprevisti e non conosciuti, ma la scuola si deve attrezzare guardando a quello che è l’obiettivo primario: il benessere del bambino. Per arrivare al suo benessere il viaggio potrà essere lungo e tortuoso, ma se tutti i soggetti che ruotano attorno a lui si coalizzano e collaborano, i risultati ottenuti possono essere molto positivi e soddisfacenti.

Alla base di tutto vi è la conoscenza del fenomeno, è da tale punto che il viaggio deve partire; perché il viaggio non è solo del bambino, e non si sta parlando del viaggio aereo che porta dal Paese di origine a quello di accoglienza, ma del viaggio di vita, di conoscenza di un mondo completamente nuovo, di inserimento e integrazione; il viaggio è anche dei genitori, della famiglia allargata, della scuola, dei contesti extra-scolastici, della città, del Paese, della società nel senso più ampio del termine.

1.2 Il salto culturale dal paese di origine a quello di accoglienza

Quello dei bambini che arrivano in Italia attraverso l’adozione internazionale non è soltanto un salto culturale, ma è qualcosa di più, è un cambiamento impetuoso che ha alle spalle vissuti per la maggior parte dolorosi. Ed è il vissuto doloroso che porta all’esistenza di due Paesi, due culture, due mondi di appartenenza: uno di origine e uno di accoglienza. L’esistenza di un nuovo contesto di accoglienza presuppone, inevitabilmente, una storia

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pregressa e un dolore precedente, dolore che a volte non è nemmeno del tutto consapevole nel bambino, il quale si sente sradicato dalla sua realtà di riferimento per essere inserito in una che non conosce, che lo spaventa e che gli comporta inevitabile fatica. Che cosa è successo nel Paese di origine? Quali sono stati gli sviluppi dal suo abbandono fino all’ingresso in Italia?

Negli anni (il monitoraggio realizzato dalla Commissione per le Adozioni Internazionali è stato avviato dal 2009) il dato relativo alle cause che hanno portato alle dichiarazioni di adottabilità e la loro corrispondenza a un determinato Paese di origine si è mantenuto pressoché stabile: tendenzialmente in Africa e nel Sud-est asiatico i bambini che arrivano attraverso l’adozione internazionale sono stati abbandonati dai genitori biologici presso ospedali o altre strutture; nei paesi europei, invece, e dell’America Latina la principale delle cause che porta successivamente all’adozione è la perdita della potestà genitoriale per l’effetto di un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria.

Nel 2012, per il 62,4% dei minori adottati, la causa del rilascio della dichiarazione di adottabilità è stata la perdita della potestà genitoriale, per il 24,3% l’abbandono, per l’8,9% la rinuncia e per il 2,3% la condizione di orfano14.

Che tipo di percorso affronta il bambino dal momento dell’abbandono al suo ingresso in Italia? Nella Federazione Russa la maggior parte dei genitori di bambini successivamente dichiarati adottabili dall’Autorità Giudiziaria (nel 2011 l’80,9% dei bambini russi adottati in Italia era stato posto sotto la tutela dello Stato15) è stata ritenuta dallo Stato inidonea a curare i propri figli. Facendo riferimento ai dati registrati nel 2011, il tempo medio che un bambino russo ha trascorso in istituto prima di incontrare i genitori adottivi è stato di circa 2 anni16. Nel 2011, nel 93,9% dei casi, il motivo che ha comportato l’azione della tutela dello Stato a favore del minore colombiano è stata la perdita della potestà genitoriale, con conseguente suo inserimento in istituto, che ha visto nello stesso anno un tempo medio di permanenza pari a 31 mesi. Frequentemente la significativa presenza in istituto si spiega poiché spesso si tratta di gruppi di due, tre, quattro fratelli e di bambini con bisogni speciali, per i quali risulta più difficoltoso trovare la disponibilità di una famiglia adottiva17.

Anche per Brasile e Ucraina la motivazione più frequente, che ha successivamente portato all’adozione, è stata la perdita della potestà genitoriale; in Brasile a causa di maltrattamenti e abusi o per gravi trascuratezze da parte dei genitori biologici. Questi i motivi che portano al collocamento dei bambini in strutture di accoglienza, dove trascorrono anche più di tre anni

14

Commissione per le Adozioni Internazionali in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, “Dati e prospettive nelle adozioni internazionali – Rapporto sui fascicoli dal 1 gennaio al 31 dicembre 2012”, Firenze, 2013, p. 26

15

Commissione per le Adozioni Internazionali in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, “Dati e prospettive nelle adozioni internazionali – Rapporto sui fascicoli dal 1 gennaio al 31 dicembre 2011”, Firenze, 2012, p. 34

16

Cit., p. 34

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della loro vita prima di essere adottati. In Ucraina, invece il tempo medio di permanenza in istituto è di 33 mesi18.

In Etiopia, invece, le motivazioni più frequenti che hanno comportato l’intervento delle Autorità Giudiziarie riguardano l’abbandono materiale (che spesso coincide con il decesso dei genitori e l’impossibilità della famiglia allargata a prendersi cura del bambino) e la rinuncia da parte dei genitori naturali (45,9%). Anche in India il motivo principale per cui i minori sono entrati sotto la tutela dello Stato è relativo all’abbandono fisico e materiale del bambino (95,9%)19; qui la permanenza in istituto prima dell’adozione arriva anche fino a 39 mesi.

1.2.1 Il rapporto del bambino con il passato pre-adottivo

“Ogni bambino adottato, qualsiasi età abbia quando arriva nella nuova famiglia, porta nel suo bagaglio di esperienze individuali l’interruzione delle relazioni con le fonti stesse della sua vita, i genitori dai quali è nato, la perdita dei rapporti significativi con il proprio ambiente e con le figure di riferimento che si sono occupate di lui20” e adottare un bambino significa adottare la sua storia e la sua precedente identità. Questo perché la storia del bambino e il suo senso di abbandono non potranno mai essere cancellati. Potranno essere rielaborati, potranno trovare un senso, a volte una spiegazione, ma mai potranno essere cancellati. Il comune denominatore di tutte le storie dei bambini, seppure tra loro assolutamente differenti, è lo strappo dal conosciuto contesto di vita, è l’abbandono, è il dolore che inevitabilmente condiziona il loro sviluppo psicologico relativamente alla costruzione dell’identità personale, alla capacità di instaurare relazioni sufficientemente buone con gli altri e allo sviluppo cognitivo in tutti i suoi aspetti.

Si provi a immaginare dove hanno vissuto i bambini prima dell’adozione. Le storie possono essere le più varie, denotate da tempi più o meno lunghi, da passaggi più o meno numerosi, da contesti più o meno diversi: i bambini possono aver vissuto con dei genitori non tutelanti, in una situazione familiare caratterizzata da instabilità, scarsa cura e attenzione ai loro bisogni, con un solo genitore, con i nonni, con altre figure familiari di riferimento, con o senza altri fratelli, in un contesto dove le modalità relazionali erano improntate alla violenza, possono essere stati vittime di maltrattamenti e abusi. Si potrebbe continuare.

Successivamente, e solitamente, avviene il passaggio da un contesto fortemente inadeguato e deficitario a un luogo tutelante esterno alla famiglia di origine: istituto, comunità, famiglia affidataria. Solo in un terzo momento entra in gioco la famiglia adottiva, chiamata a mettere

18

Commissione per le Adozioni Internazionali in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, “Dati e prospettive nelle adozioni internazionali – Rapporto sui fascicoli dal 1 gennaio al 31 dicembre 2011”, Firenze, 2012, p. 35

19

Cit., p. 36

20

Unità Operativa Equipe Adozioni ULSS 16 di Padova (a cura di), “A scuola di..adozione”, Cooperativa Sociale Città Invisibile, Padova, 2006

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assieme pezzi di una storia che non conosce, o che conosce solamente in parte, chiamata a sostenere il processo di elaborazione di quanto accaduto.

Anni di istituzionalizzazione condizionano indubbiamente il bambino nel suo essere persona. Solitamente gli istituti sono caratterizzati da un numero di bambini decisamente più elevato rispetto agli adulti addetti all’assistenza (un adulto per 18 bambini anche sotto l’anno di età), da una scarsa formazione del personale, da ritmi quotidiani non differenziati in base all’età degli ospiti, che presentano quindi differenti necessità, da un silenzio eccessivo e bambini talvolta sedati con farmaci, da scarso contatto fisico, metodi educativi inadeguati e da passaggi da un’istituzione a un’altra. Si possono incontrare istituti che mostrano attenzione per i bisogni del bambino, accudendolo e riconoscendolo come persona; istituti che offrono stimoli insufficienti; istituti che rispondono esclusivamente ai bisogni materiali dei bambini, lasciandoli giornate intere nella culla, senza interazioni di alcun tipo, appoggiando il biberon nel cuscino senza che una persona provveda all’allattamento, non chiamandoli per nome, non avanzando alcuna dimostrazione di affetto; infine, istituti “maltrattanti” nei quali i bambini non ricevono le cure minime per la loro sopravvivenza e sono maltrattati fisicamente e psichicamente21.

Ecco che appare inevitabile che il bambino adottivo porti nella nuova famiglia il proprio bagaglio esperenziale, difficilmente positivo, risultato di modelli di accudimento della prima infanzia, propria della cultura dei paesi di origine e dei contesti istituzionali.

1.2.2 Il contesto culturale di inserimento e l’adattamento iniziale

Per il bambino adottivo l’entrata nella nuova famiglia comporta una separazione e un incontro: separazione e perdita di un ambiente nel quale aveva vissuto precedentemente; incontro con coloro che lo accolgono, sui quali ha delle incognite22. Come ogni bambino, anche quello adottivo costruisce giorno per giorno quella che è la sua immagine e la sua identità nella realtà in cui vive. Anche in un contesto di obiettiva carenza che ha portato a situazioni di estrema difficoltà, tra cui l’abbandono, egli comunque ha trovato i suoi riferimenti e probabilmente avrà sperimentato anche delle gratificazioni. Le eventuali difficoltà nell’adattamento alla nuova situazione di vita possono essere dovute anche alla qualità e alla consistenza delle relazioni con familiari o persone con cui è vissuto, che ha dovuto interrompere23. Questo aspetto deve essere sempre tenuto in considerazione e soprattutto non dimenticato, poiché l’esserne consapevoli costituisce la chiave di volta che favorirà il suo adattamento nel nuovo ambiente. Le reazioni dei bambini adottati possono essere le più varie, in quanto ognuno di loro, oltre ad avere vissuti differenti, reagisce a modo proprio.

21

Unità Operativa Equipe Adozioni ULSS 16 di Padova (a cura di), “A scuola di..adozione”, Cooperativa Sociale Città Invisibile, Padova, 2006

22

Chistolini M., “La famiglia adottiva. Come accompagnarla e sostenerla”, Franco Angeli, Milano, 2010

23

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In molte situazioni il bambino arrivato in Italia attraverso l’adozione internazionale tenda a rimuovere velocemente la propria lingua di origine, per apprendere quella italiana, quale riprova del suo desiderio di nuova appartenenza o necessità di cancellare, almeno per il periodo iniziale, una lingua che così tanto lo rimanda continuamente a un passato ricco di ricordi dolorosi24.

Il rapporto con il gruppo di coetanei, poi, è, senza dubbio, uno degli aspetti più importanti e rilevanti per l’inserimento nel sistema scolastico del bambino adottivo. Quella parte di loro che ha vissuto l’esperienza dell’istituto può aver sperimentato situazioni nelle quali, per “sopravvivere”, è stato necessario sviluppare capacità di tipo adattivo e/o propensione a essere riconosciuti come leader. I vissuti talvolta determinano, al momento dell’entrata nel nuovo gruppo classe o nell’istituzione scolastica, una reiterazione di queste modalità di funzionamento. Talvolta, quando il bambino non può o non riesce a farsi riconoscere quale “leader positivo” (competente negli apprendimenti, primo della classe, brillante in particolari attività didattiche..), può venire individuato o farsi riconoscere quale “leader negativo”.

Ogni suo comportamento ha una spiegazione; per lui, inizialmente, l’adozione è un salto nel buio che non può che essere vissuto con paura e apprensione. Non per questo, però, bisognerà pensare, anche di fronte a grosse difficoltà, che non ce la può fare, che sia un bambino segnato per sempre. L’esperienza ci ha invece insegnato che i bambini hanno grandi risorse, risorse insperate che aspettano solo di essere attivate. Hanno però bisogno di tempi, a volte lunghi, e interventi appropriati. Bisogna aiutarli a capire che apprendere è un’esperienza positiva, e per questo è importante aiutarli nei loro momenti di scoraggiamento con la comprensione e stimolarli a superare le difficoltà passo per passo25.

Questo estratto mette in luce la difficoltà del passaggio che il bambino adottato è chiamato a fare tra due mondi completamente differenti e distanti.

Bowlby la definisce “fatica di pensare26”, fatica di mettere in ordine e organizzare i pensieri, fatica di prestare attenzione. Perché? Perché il bambino adottivo è troppo impegnato a vivere il presente, a tenere a bada il passato e i suoi precedenti vissuti, a inserirsi in un contesto nuovo, a fare a pugni con il desiderio e il timore di allacciare legami, ad affrontare la paura di non essere accettato e amato.

24

Veneto adozioni – Provincia di Vicenza, “Il bambino adottato va a scuola.. Vademecum per gli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria per l’inserimento del bambino adottato a scuola”, Progetto Pilota regionale per il sostegno e l’accompagnamento della famiglia adottiva, DGR 2161 del 16/07/2004 e DGR 1855 del 13/06/2006

25

De Rienzo E., “La situazione linguistica e le relazioni complesse fra scuola, famiglia, ente autorizzato e operatori dei servizi” in Studi e ricerche Collana della Commissione per le Adozioni Internazionali, “Il post-adozione tra progettazione e azione. Formazione nelle adozioni internazionali e globalità del percorso adottivo”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2007, pp. 194-220

26

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1.3 La costruzione dell’appartenenza in famiglia e a scuola

Passato e presente: nel bambino adottivo gli effetti della sua storia passata sono tali da influenzare profondamente i rapporti con i nuovi genitori, il nuovo ambiente, la nuova rete relazionale27. Anche i genitori hanno storie pregresse: le due storie si devono incontrare. Secondo l’approccio sistemico relazionale, un sistema consiste in una totalità organizzata che deriva la sua identità dal funzionamento interdipendente di più parti, tale che l’intero risulti diverso dalla somma delle singole parti: essendo ognuna di esse in rapporto con le altre parti, il cambiamento di ognuna provoca il cambiamento in tutte le altre e nel sistema stesso, influenzando la globalità. Da ciò deriva che, in qualità di esseri umani, non siamo isolati in una identità psico-fisica, ma siamo parte di una serie di ulteriori sistemi più ampi e complessi, quali la famiglia, la nazione, il continente, il pianeta, la storia, lo spazio e il tempo in cui si muove la nostra vita. Prendere come riferimento questa teoria può aiutare a comprendere profondamente le costruzioni dei bambini adottivi.. e le loro fatiche.

“L’adozione non è una risposta a sé stante scorporabile operativamente da un intervento globale su un cittadino di minore età, ma una operazione complessa, che riguarda la cultura dell’intera comunità, che nella messa in atto del singolo intervento ingloba la cultura dei professionisti, ossia la cultura dell’agire nel rispetto del diritto, della tutela e del rispetto di tutte le persone coinvolte”.28

L’adozione è una “operazione complessa”: è la trasformazione di un legame filiale, che, oltre ad avere conseguenze irreversibili, comporta la presa di coscienza di situazioni che includono separazione, elaborazione del lutto e costruzione di nuovi affetti e legami, rendendo così inevitabile la necessità della rielaborazione dei legami. Il bambino adottato ha la necessità di ritessere il presente con il passato per ripristinare la continuità dell’essere29 e ricostruire la propria storia. Diventa così importante, sull’impatto con il nuovo ambito di vita, anche la preparazione in loco del bambino sul futuro che lo attenderà: una preparazione veritiera può favorire il positivo inserimento nel nuovo contesto.

Ogni individuo inevitabilmente appartiene a un gruppo sociale in cui è più o meno inserito. Far parte ed essere riconosciuto dal gruppo sociale di riferimento non è cosa così facile e automatica per qualsiasi persona; trovarsi, come nel caso del bambino adottato, a cambiare tale gruppo nel corso della propria esperienza di vita comporta, oltre che maggiori difficoltà derivate dal mutamento contestuale, anche possibili pregiudizi dati perlopiù da caratteristiche percepite dal gruppo di riferimento come differenti rispetto a quelle a cui si è abituati,

27

Vitrano F., Morello E., “I legami affettivi nell’adozione tra trauma di maltrattamento e trauma di abbandono” in Minori giustizia”, n. 1, 2009, pp. 205-217

28

Pistacchi P., “Costruire l’appartenenza in famiglia e a scuola” in Studi e ricerche Collana della Commissione per le Adozioni Internazionali, “Insieme a scuola. Buone pratiche per l’inserimento scolastico dei bambini adottati”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2010, pp. 17-32

29

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pregiudizi che vengono vissuti dal bambino come esperienza negativa e come sviluppo di insicurezza nei confronti della propria persona. Il bambino adottato solitamente è chiamato ad affrontare e superare una serie di ostacoli maggiormente impegnativi per sentirsi inserito all’interno della propria famiglia, prima, e del contesto più ampio, successivamente. Anche a costruzione avvenuta della sua sicurezza all’interno del contesto familiare, questa potrebbe vacillare di fronte al non riconoscimento del mondo esterno. Il mondo esterno, infatti, mette maggiormente alla prova e il bambino si trova ad affrontarlo da solo: a scuola ad esempio deve lui stesso trovare le parole per spiegare la sua situazione e rispondere alle domande e alle curiosità dei compagni e degli insegnanti. Per riuscire a superare questo importante momento, il bambino deve sentire, anche da distante, il supporto e la forza del genitore che ha posto basi sicure per farlo sentire accolto in famiglia. Soltanto la costruzione dell’appartenenza in famiglia permette la realizzazione dell’appartenenza e del sentirsi accettati anche a scuola.

Il bambino è soggetto di diritti: prima di qualsiasi altra cosa ha diritto ad avere una famiglia, ma non solo. Non può esserci sviluppo del singolo individuo se non all’interno di una rete, di un contesto sociale. Il bambino pertanto ha diritto ad avere dei compagni, un insegnante, una classe, una scuola, essere inserito in attività extrascolastiche; ha diritto di vivere nella società.

La scuola rappresenta un luogo privilegiato di osservazione dei bambini che la frequentano. E’ da considerarsi come spazio e contesto incisivo nella storia e nella vita di ciascun ragazzo per il tempo che vi trascorre, per gli insegnamenti che ne trae, per le esperienze che intraprende, per le relazioni che instaura. Funge da luogo di iniziazione, che segna l’ingresso in società del bambino adottato. Proprio in questo luogo il bambino entra in contatto con i suoi pari, compagni di classe e di scuola, ma anche con degli adulti che sono altri rispetto a quelli che compongono il suo nucleo familiare. Incisiva è la presenza dell’insegnante: etimologicamente tale termine significa “colui che lascia dei segni”.

Indubbiamente la scuola ha una organizzazione formale (tempi e regole del vivere assieme) che non è propria della vita in famiglia. Il bambino è chiamato a misurarsi anche con questo aspetto. In classe non si veicolano soltanto conoscenze di tipo contenutistico, ma anche valori e saperi che permettono la relazione con gli altri.

Il mondo scuola e il mondo famiglia non possono essere distinti e a sé stanti, ma devono innanzi tutto comunicare tra loro, in una ottica di dialogo, scambio, collaborazione e interazione reciproca, finalizzate al buon inserimento e andamento del bambino adottato nel contesto scolastico. Infatti, entrambi i sistemi si influenzano reciprocamente e l’esperienza positiva vissuta in uno di essi è facilmente trasportabile anche nell’altro.

Il bambino ha bisogno di appartenenze e riferimenti, di riconoscersi e sentirsi riconosciuto. Ecco perché ha bisogno di appartenenza sia in famiglia, che a scuola, che nella comunità.

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La scuola deve saper accogliere ed elaborare, per ogni singolo allievo, un progetto educativo-didattico che lo aiuti a crescere, ad apprendere, a stare bene con gli altri e soprattutto ad affrontare quelle difficoltà scolastiche che per i bambini adottati possono essere di tanti tipi diversi, spesso non conseguenza di un’unica causa, ma dovute al concorso di molti fattori che riguardano sia il bambino che i contesti con i quali entra in relazione.30

L’insuccesso scolastico può essere più facilmente riscontrato laddove il bambino stia vivendo situazioni familiari connotate da difficoltà. Tale insuccesso, oltre a costruire un limite oggettivo e specifico sul piano cognitivo, incide indubbiamente sulla globale organizzazione della personalità; questo perché il rendimento scolastico va a incidere sulla costruzione del sé cognitivo, sulla propria capacità di capire e controllare il mondo esterno e interno con i propri strumenti. A maggior ragione, pertanto, la scuola può diventare un “osservatorio privilegiato” dove pensare e predisporre interventi preventivi.

Si evince che diventa necessario sollecitare il mondo della scuola affinché nel contesto formativo non trovino spazio soltanto le attività curricolari (studio e apprendimento), ma anche le tematiche legate al concetto di famiglia. E soprattutto si vede necessario non concentrare gli interventi esclusivamente sul bambino, ma anche su tutto ciò che sta attorno a lui, come ad esempio l’incentivazione dei percorsi formativi degli insegnanti, la collaborazione con la famiglia e i servizi che ruotano attorno all’adozione.

1.4 Il contesto scolastico

La composizione familiare da tempo non si rifà più allo stereotipo classico di una famiglia con uno o più figli biologici. La realtà sta mutando, mostrando nuove forme di composizione familiare, quali famiglie ricomposte, genitori divorziati, famiglie monoparentali, famiglie adottive. Ogni figlio e ogni famiglia presentano caratteristiche e dinamiche proprie, a cui si legano problematiche e potenzialità di adattamento e inserimento scolastico, che richiedono percorsi personalizzati. Insieme, scuola e famiglia, dovrebbero valorizzare le specificità di ciascun bambino, il quale rappresenta il principale protagonista anche del contesto scolastico.

La scuola, fin da quella dell’infanzia, rappresenta il primo luogo di socializzazione successivo al protettivo mondo familiare. Racchiude al suo interno una rete di relazioni ricca, articolata e complessa in cui il bambino sarà chiamato a misurarsi e probabilmente a ristrutturare il suo

30

Pistacchi P., “Costruire l’appartenenza in famiglia e a scuola” in Studi e ricerche Collana della Commissione per le Adozioni Internazionali, “Insieme a scuola. Buone pratiche per l’inserimento scolastico dei bambini adottati”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2010, p. 17-32

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modo di vedere se stesso e il mondo che lo circonda. Le dinamiche relazionali rappresentano una ricchezza per la crescita e l’inserimento del bambino, che sperimenta nel contesto scolastico quotidianamente il rapporto con i pari, le gerarchie che si possono creare all’interno del gruppo, la competizione, il gioco, la collaborazione, la complicità, l’affettività, i litigi, l’importanza dei legami, la conoscenza del sé all’interno del gruppo, la relazione con altri adulti di riferimento, come gli insegnanti, o il dirigente scolastico, o il personale della scuola. Si potrebbe continuare con un elenco piuttosto lungo e articolato, consapevoli di tutte le sfumature che le relazioni portano con loro.

Si provi a immaginare che ogni relazione rappresenti un filo colorato; l’immagine che se ne ricava è alquanto colorata e creativa, ma non solo, appare allo stesso tempo dinamica, in continua trasformazione e ricca. Ci sarebbero anche dei fili neri a rappresentazione delle difficoltà di relazione che molto spesso, soprattutto i bambini adottivi, si trovano ad affrontare e vivere, ma sarebbe comunque un insieme affascinante che fa parte di ciascuno di noi. La scuola è il luogo privilegiato per la formazione, lo sviluppo e la trasformazione di questa matassa di fili; la scuola diventa per il bambino un luogo di formazione psichica e cognitiva, ma anche emotiva e relazionale.

Il tutto non si ferma qui e si ritiene utile fare un distinguo: la scuola racchiude al suo interno due dimensioni, quella relazionale/affettiva e quella dell’apprendimento. Quest’ultima interessa la sfera cognitiva, ma ha grandi valenze di risvolto psicologico, in quanto il bambino sperimenta non solo il “saper fare”, ma anche la consapevolezza di sé e del suo essere capace o meno, il che indubbiamente incide anche sulla sfera relazionale. In molte situazioni il bambino adottato presenta una maggiore fragilità relativamente alla fiducia nel proprio valore e questo comporta inevitabilmente maggiori difficoltà, motivo per cui la scuola deve prenderne consapevolezza e diventare supporto nella crescita, nell’inserimento e nell’integrazione del bambino nel suo contesto. La scuola deve pertanto essere supportata e formata per poter affrontare le peculiari esigenze di un bambino adottato. Questo perché l’assenza di eventuali interventi mirati o la tendenza a mettere in atto atteggiamenti quali ad esempio ignorare certe sue caratteristiche o peculiarità costituiscono delle potenti comunicazioni rispetto all’importanza delle proprie caratteristiche e alla possibilità di poterne parlare. All’insegnante spetta il compito di comprendere e lavorare in senso riparativo, capendo come quel determinato bambino funziona, quali sono le sue reazioni, come affronta le situazioni emotive nel contesto scolastico. Ecco allora che diventa chiara l’importanza che riveste il contesto scolastico nella crescita del bambino.

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1.4.1 L’ingresso e l’inserimento

La scuola italiana, sempre più spesso, si trova di fronte alla sfida dell’integrazione, data dalla presenza nel contesto scolastico di diverse culture di appartenenza. La cultura da promuovere e perseguire è, pertanto, quella dell’accoglienza e del rispetto della diversità. L’aumento dell’età media dei bambini arrivati in Italia con l’adozione internazionale, piuttosto che la presenza di bambini con bisogni speciali e/o particolari, coinvolge direttamente la scuola.

Se, come si è visto sopra, l’età media dei bambini arrivati è di 5 anni e 11 mesi e le percentuali più elevate comprendono bambini arrivati in Italia già in età scolare, appare evidente quanto sia importante che la scuola prenda coscienza dei loro bisogni speciali e si “attrezzi” relativamente alla conoscenza dei sistemi scolastici di provenienza. Raccogliere informazioni, da parte degli insegnanti, sui sistemi scolastici stranieri può effettivamente facilitare l’inserimento e l’accoglienza del bambino straniero in una scuola che ai suoi occhi è nuova e diversa.

Prendendo ad esempio l’Ucraina, che è tra i cinque Paesi da cui proviene il maggior numero di bambini, si rileva che il sistema scolastico prevede un ciclo quadriennale di scuola primaria (da 7 a 10 anni) e considera conclusa la formazione di base a 15 anni con la scuola secondaria inferiore, che ha durata quinquennale. L’approccio didattico che permea questo sistema scolastico è di tipo direttivo-informativo, diversamente da quello italiano che si caratterizza per essere educativo-formativo. Se ne può dedurre che la relazione educativa insegnante/alunno è di tipo autoritario e le valutazioni, oltre a essere espresse tramite giudizi e votazioni, lo sono anche con sanzioni disciplinari31. Un altro dato di fondamentale importanza, dal momento che successivamente ne avrà conseguenza diretta su quelle saranno le adozioni internazionali, riguarda il fatto che la scuola ucraina non accoglie bambini con disabilità mentale: i bambini con disabilità mentale lieve vengono solitamente inseriti in ospedali o scuole speciali; per quelli con disabilità mentale grave non c’è spazio in nessuna istituzione educativa.32

In Brasile la distribuzione sul territorio della scuola dell’infanzia e della scuola primaria non è omogenea e ci sono delle differenze significative di frequenza tra aree rurali e aree cittadine e tra ceti sociali diversi. L’iscrizione e la frequenza effettiva della scuola dell’infanzia non è una consuetudine diffusa.33 L’obbligo scolastico parte dal settimo anno di età e prosegue fino al quindicesimo. La scuola primaria prevede un ciclo scolastico della durata di otto anni. La relazione educativa tra insegnanti e alunni è prevalentemente caratterizzata da rapporti di

31

Commissione per le Adozioni Internazionali, “I sistemi scolastici nei Paesi di Provenienza dei bambini adottati. Viaggio nelle scuole”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2005, pp. 169-181

32

Ciccotti E., Rossi V., “I bambini adottati di origine straniera a scuola” in Studi e ricerche Collana della Commissione per le Adozioni Internazionali, “Insieme a scuola. Buone pratiche per l’inserimento scolastico dei bambini adottati”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2010, pp. 3-16

33

Commissione per le Adozioni Internazionale, “I sistemi scolastici nei Paesi di Provenienza dei bambini adottati. Viaggio nelle scuole”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2005, pp. 39-54

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significativa vicinanza e affettività. Il metodo di apprendimento, infine, è basato sul fare e sull’esperienza, si caratterizza per essere attivo e di stampo operativo e per prevedere numerose occasioni di cooperazione tra pari34. Le scuole speciali per bambini con disabilità sono private e hanno costi elevati; nel caso in cui i genitori non ne avessero le possibilità economiche, questi bambini possono frequentare la scuola pubblica, ma non è loro garantito alcuna attenzione speciale, ad esempio prevedendo la presenza di un insegnante di sostegno.

Anche in Colombia si riscontrano squilibri nella distribuzione delle scuole sul territorio, soprattutto quelle dell’infanzia e quelle secondarie mancano nelle zone rurali. La scuola primaria ha durata quinquennale e il sistema educativo è caratterizzato da un modello rigido, a volte autoritario. Differentemente da quanto accade in Brasile, l’apprendimento si basa su una metodologia mnemonica e il lavoro di gruppo è utilizzato soltanto occasionalmente35. La scuola russa, che attribuisce molta importanza alla disciplina, presenta un’impostazione piuttosto rigida e severa: lo si può dedurre già dalla disposizione dei banchi in classe, che è fissa e decisa dall’insegnante. L’insegnante è una figura autorevole, distaccata ed esigente. Un insegnante “amichevole” è visto come debole e incapace di mantenere il controllo della classe e far apprendere in maniera adeguata gli studenti. E’ l’apprendimento mnemonico quello privilegiato36.

In Etiopia si rileva una situazione ulteriormente differente: il sistema di istruzione primaria è caratterizzato da un limitato accesso a scuola, conseguente a gravi disparità regionali, presenza di numerose etnie tra loro differenti, discriminazioni di genere, impatto dell’HIV/AIDS e fenomeni ambientali, quali siccità periodiche o guerre. Le classi si presentano comunque sovraffollate, gli insegnanti impreparati e i materiali didattici insufficienti. Tuttavia, l’Etiopia è passata dall’esclusione dal sistema scolastico dei bambini disabili alla loro accettazione e presa in carico, con l’obiettivo dell’integrazione e dell’offerta di servizi adeguati e programmi speciali37.

Salta facilmente agli occhi la diversità esistente tra un sistema scolastico e un altro e ne consegue, con altrettanta evidenza, l’impatto che l’organizzazione, le regole e il metodo educativo e quello relazionale ha su ciascun bambino che arriva in Italia e si trova a dover capire un sistema completamente nuovo.

L’inserimento nel sistema scolastico è indubbiamente, per il nostro sistema culturale, un compito di grande valore, che riveste una notevole importanza per più attori coinvolti: l’istituzione scolastica, la famiglia, ma soprattutto per il protagonista principale, il bambino stesso.

34

Commissione per le Adozioni Internazionale, “I sistemi scolastici nei Paesi di Provenienza dei bambini adottati. Viaggio nelle scuole”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2005, pp. 39-54

35 Cit., pp. 69-84 36 Cit., pp. 5-37 37 Cit., pp. 85-100

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L’ingresso nella scuola è un aspetto della vita che viene investito di particolari aspettative, aspettative culturali, che scuola e famiglia conoscono e condividono, ma che il bambino proveniente da un percorso di adozione internazionale può non conoscere o non condividere, perché la sua esperienza scolastica ha caratteristiche culturalmente determinate e condivise dalla sua cultura di appartenenza, che non è la stessa del Paese in cui è arrivato. Pertanto, con una certa probabilità si profila per il bambino adottato un lavoro più impegnativo da affrontare, come anche per tutti gli attori sociali coinvolti: la famiglia dovrà attivarsi e impegnarsi al fine di strutturare una cornice culturale che permetta al bambino di comprendere le funzioni e le aspettative del contesto scolastico di riferimento; la scuola, dal canto suo, dovrà rendere il più facilitato possibile il processo di comprensione e adattamento a cui il bambino è chiamato38.

L’inserimento scolastico rappresenta per il bambino adottato un insieme di piccole e grandi sfide, che vede la presenza di altre figure che lo accompagnano e lo supportano, ma che prevede che il bambino stesso affronti in prima persona questo nuovo viaggio, che richiede un lavoro interiore fatto di prove, tentativi, smarrimenti, sconfitte, chiusure, provocazioni, ma anche traguardi e soddisfazioni.

Numerose possono essere le domande che il bambino adottivo si pone durante la conoscenza del nuovo contesto scolastico, rimandando esso, in alcune occasioni, a ricordi passati dolorosi: “Questo è un altro istituto? Stanotte dormo qui? Questi sono altri genitori

(riferito agli insegnanti)? Mentre io sono qui, voi, mamma e papà, dove siete? Se non sono capace, mi volete ancora bene? Mi lasci qui perché ho fatto qualcosa di male?”.

Non è sicuro il fatto che il bambino adottivo riesca a esprimerli verbalmente; il disagio può allora essere manifestato in altri modi, quali ad esempio picchiando i compagni, diventando irritabile, distraendosi, non portando a termine le consegne, ammalandosi.

La vita scolastica, soprattutto per un bambino che la sperimenta per la prima volta, o che comunque ha esperienza di sistemi scolastici differenti, può rimandare a ricordi passati, richiamando analogie con un passato caratterizzato da istituzionalizzazione: a scuola vi sono concreti richiami a regole, a ritmi e orari da rispettare, a una realtà di gruppo (classe) con unico adulto di riferimento per tutti. Si rileva che il contesto scolastico possa far riemergere la sofferenza dell’esperienza di vita dell’istituto, ma possa anche inversamente essere vissuto dal bambino come maggiormente rassicurante rispetto allo stretto ed esclusivo legame con i genitori adottivi.

38

Pistacchi P., “Costruire l’appartenenza in famiglia e a scuola” in Studi e ricerche Collana della Commissione per le Adozioni Internazionali, “Insieme a scuola. Buone pratiche per l’inserimento scolastico dei bambini adottati”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2010, pp. 17-32

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