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Gli operatori della scuola

“Lo scorso anno, in occasione della festa della mamma, la maestra ha svolto un programma

di informazione e formazione intitolato: “tutti i bambini nascono dalla pancia della mamma” durato parecchi mesi. I bambini hanno dovuto portare le foto di quando erano appena nati, il primo ciuccio, le prime ciocche di capelli.. a me è stato chiesto: e tu cosa porti?

Hanno fatto un album della storia di tutti. La prima pagina: il disegno di un’enorme pancia con dentro un bambino e con la scritta: io nella pancia della mia mamma. Una volta in possesso di quest’album, insieme l’abbiamo strappato e ne abbiamo fatto uno nuovo con la sua storia. Mi hanno raccontato le maestre che mio figlio, anni quattro e mezzo, secondo anno di scuola dell’infanzia, controbatteva di essere nato in albergo, in aereo, che era sceso dalla nuvola, che lo avevano trovato finalmente mamma e papà, che quando era nato lui era un po’ grande..

L’effetto di questo programma di formazione è stato che mio figlio si è reso conto di essere un diverso in quanto non nato dalla pancia della mamma e ha attribuito a me la colpa di non averlo voluto dentro la mia pancia.

Non credo che un simile atteggiamento nei confronti della nostra famiglia sia dovuto a cattiva volontà, però sicuramente da impreparazione e desiderio di affermazione della maestra che non rinuncia a un programma definito all’avanguardia per bambini di quattro anni neanche quando questo si traduce nel rinnegare la storia di un alunno” (un genitore)61 .

Ciò che colpisce di questo racconto è la voce di un genitore che con intensità ricorda all’insegnante l’importante compito di essere accogliente e rispettoso del percorso del bambino, al fine di offrirgli un’immagine positiva di se stesso.

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Vanzo M., Da Boit K., “Famiglia adottiva: famiglia multietnica o multiculturale?” in Cosimo M. P., “L’alchimia adottiva”, Edizioni La Meridiana, Padova, 2010, pp. 57-64

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Guerrieri A., Odorisio M. L., “Oggi a scuola è arrivato un nuovo amico. Adozione internazionale e inserimento scolastico”, Armando Editore, Roma, 2003, pp. 86-87

In primo luogo, l’insegnante ha il dovere di aiutare il bambino nelle situazioni di vulnerabilità: egli deve cogliere, nel loro significato, le strategie e i messaggi del bambino, qualsiasi essi siano, di adattamento al nuovo ambiente e ricollocarli all’interno delle relazioni con i pari e con gli adulti. L’insegnante, inoltre, ha il compito di favorire e creare nel contesto scolastico un clima e un contesto positivi, dove ognuno possa trovare una propria collocazione e possa sentirsi a suo agio, oltre che prestare attenzione alle origini e alla storia personale del bambino.

“L’adozione non è un trauma: anzi, è un incontro che permette un’evoluzione resiliente. Ma gli eventi che hanno provocato il cambiamento di braccia lasciano una traccia nella memoria, e il modo in cui più tardi vi si pensa provoca un sentimento che dipende dalla nostra storia62”. E’ l’insegnante che prima di tutto deve dimostrare il desiderio di conoscere il bambino e la sua storia, al fine di accompagnarlo nel suo processo di crescita scolastica, di trovare assieme a lui strategie per superare le difficoltà, di individuare percorsi alternativi laddove il bambino non riesca a superare alcuni ostacoli. A tale proposito, per fronteggiare la sua storia e il suo vissuto personale, l’insegnante deve considerare l’esistenza del rischio da un lato di lasciarsi coinvolgere emotivamente dalla storia del bambino, sostituendosi al ruolo genitoriale, o dall’altro assumere un atteggiamento di difesa, distaccato e neutro. Di fronte a difficoltà che a volte vive come insuperabili, piuttosto che pensare “non c’è nulla da fare”, dovrebbe riuscire a dire “non so cosa fare”, atteggiamento questo di ricerca finalizzata ad apportare un miglioramento. Deve usare l’osservazione come strumento di autoformazione63, con la consapevolezza che la conoscenza del bambino avviene nella relazione quotidiana e nell’ascolto, ascolto profondo di ciò che si muove dentro al bambino, che significa non ascoltare solo le parole. Perché la storia di ogni persona abbia un significato, è necessario il riconoscimento dell’altro: il bambino ha bisogno che l’altro si interessi a lui non solo perché figlio adottivo, ma a lui come persona, come individuo nella sua unicità e insostituibilità64. L’insegnante deve anche favorire una “gestione educativa”65 delle differenze: è proprio nel momento dell’ingresso a scuola che il bambino si percepisce, e viene percepito, come differente. E’ necessario che il tema della diversità sia presentato e trattato sia sul piano cognitivo, delle conoscenze, sia su quello affettivo e delle relazioni: aprire i cuori e le menti sia di adulti che di bambini. C’è bisogno di una scuola che sappia vedere nelle persone

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Cyrulnik B., “Autobiografia di uno spaventapasseri. Strategie per superare le esperienze traumatiche”, Raffaello Cortina, Milano, 2009

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De Rienzo E., “La situazione linguistica e le relazioni complesse fra scuola, famiglia, ente autorizzato e operatori dei servizi” in Studi e ricerche Collana della Commissione per le Adozioni Internazionali, “Il post- adozione tra progettazione e azione. Formazione nelle adozioni internazionali e globalità del percorso adottivo”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2007, pp. 194-219

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Cit., pp. 194-219

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Favaro G., “Da 100 buone pratiche, alcune proposte per un buon inserimento scolastico” in Studi e ricerche Collana della Commissione per le Adozioni Internazionali, “Insieme a scuola. Buone pratiche per l’inserimento scolastico dei bambini adottati.” , Istituto degli Innocenti, Firenze, 2010, pp. 85-112

individui, che riconosca la “molteplicità”, che sappia capire che ogni individuo si può esprimere in diversi modi66.

“Svetla è una bimba ucraina di quasi 12 anni, è arrivata in Italia con la sua famiglia a marzo riunendosi così al fratellino di nove anni. Il suo arrivo ha scombussolato un po’ tutta l’organizzazione scolastica. Tutti conosciamo la sua famiglia e suo fratello, che frequenta la classe quarta, e sappiamo quanto tempo ci è voluto per riunire i ragazzi. Con la famiglia, gli insegnanti hanno studiato le modalità di inserimento nella classe che sembra più idonea per Svetla. Abbiamo cercato di tenere conto di alcune variabili determinate dall’età e dalla maturità della bimba: abbiamo scelto di non inserirla nella classe dove studia il fratello per non creare delle competizioni. L’abbiamo inserita in quinta scegliendo il criterio della socializzazione con i coetanei; temevamo anche che mettendola in una classe di bambini piccoli scattasse in lei l’abitudine a fare da vice-maestra ai piccini. In realtà stiamo cercando di lavorare in una struttura a “classi aperte”, permettendo alla bambina di assorbire certe informazioni in seconda o in terza se necessario. In questa prima fase non sono tanto le informazioni che contano per Svetla, quanto ambientarsi nella sua nuova dimensione familiare, capire la società in cui è arrivata e i rapporti tra i bambini. Svetla è estremamente socievole e disponibile alle amicizie. I bimbi l’hanno accolta con gioia e disponibilità e lei è piaciuta subito a tutti. Ci hanno chiesto in classe come mai fosse così grande (Svetla è una bambina alta) e abbiamo spiegato che nel suo paese di fatto si va in prima a otto anni.

Io passo tanto tempo a stretto contatto con Svetla e mi sono anche attrezzata con un bel vocabolario di italiano/russo. Noi maestre abbiamo immediatamente sentito la necessità di trovare maniere e strategie per comunicare, per superare le differenze linguistiche, e quindi la maggior parte delle ore insieme in classe si sono trasformate in uno scambio di lingue.” (una insegnante)67

Gli insegnanti rivestono un ruolo fondamentale nell’ambito dei processi di socializzazione attraverso tre funzioni: istruzione (trasmissione di conoscenze), formazione (definizione di abilità e competenze) ed educazione (socializzazione a valori e norme di una comunità). Essi perseguono questi obiettivi ogni giorno nel “fare scuola”, dando a essi concretezza nella didattica, nella relazione con gli studenti e nel rapportarsi con gli altri agenti di socializzazione68.

Gli insegnanti sono degli operatori inseriti essi stessi all’interno di un sistema scolastico, sistema che ha regole e consuetudini proprie. Ogni istituto scolastico presenta

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De Rienzo E., “La situazione linguistica e le relazioni complesse fra scuola, famiglia, ente autorizzato e operatori dei servizi” in Studi e ricerche Collana della Commissione per le Adozioni Internazionali, “Il post- adozione tra progettazione e azione. Formazione nelle adozioni internazionali e globalità del percorso adottivo”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2007, pp. 194-219

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Guerrieri A., Odorisio M. L., “Oggi a scuola è arrivato un nuovo amico. Adozione internazionale e inserimento scolastico”, Armando Editore, Roma, 2003, pp. 92-93

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Corbetta P., Colloca P., Ricucci R., Tagliavento M. T., “Crescere assieme. Genitori e figli nell’adozione internazionale”, Il Mulino, Bologna, 2011

inevitabilmente delle differenze rispetto ad altri, ma anche delle analogie che dovrebbero essere orientate tutte all’integrazione di ciascun bambino nel sistema scolastico, in particolar modo di quello adottivo. Prioritariamente la scuola deve preoccuparsi di creare le basi al fine di sensibilizzare i docenti, attraverso, innanzitutto, appositi momenti formativi interni o esterni che siano, segnalando quindi le proposte provenienti da agenzie esterne. Il dirigente scolastico dovrebbe inoltre istituire la figura di un docente referente con competenze specifiche sulla tematica dell’adozione con i compiti di promuovere e facilitare i contatti scuola/famiglia, offrendo nella fase di prima accoglienza un servizio informativo completo sulla scuola, la struttura scolastica, il piano dell’offerta formativa, la conoscenza di alcuni docenti; organizzare e gestire, al momento dell’iscrizione, un colloquio conoscitivo con i genitori, in modo tale da raccogliere informazioni relative al bambino, utili a favorire il suo migliore inserimento; supportare i docenti della classe di inserimento del bambino nella realizzazione di eventuali percorsi didattici personalizzati; farsi da interlocutore nel rapporto con i servizi del territorio che si occupano di adozione; monitorare l’andamento dell’inserimento e del percorso formativo durante l’anno, curare il passaggio di informazioni sull’alunno tra i diversi gradi di scuola; avere una chiara conoscenza dei numeri e delle situazioni di adozioni presenti a scuola.

Scendendo dal contesto organizzativo del sistema scuola si arriva al livello professionale, ma anche personale, dell’insegnante in prima persona, chiamato a sostenere percorsi di accoglienza e integrazione attivi. Il coinvolgimento e il benessere di ciascun alunno sono favoriti anche dall’agire dell’insegnante. Avere come finalità quella del buon inserimento del minore porta indubbiamente un insegnante a cercare e organizzare strategie utili allo scopo, come ad esempio proporre attività per sensibilizzare le classi all’accoglienza e alla valorizzazione di ogni individualità, creare ascolto attivo e un buon clima di classe in cui ciascun bambino possa sentirsi a proprio agio, ampliare l’area del gioco e dell’espressione corporea per favorire processi di socializzazione ed espressività, porre attenzione alla scelta dei libri di testo e delle letture (linguaggio utilizzato e modello di famiglia veicolato), creare occasioni per parlare delle diverse tipologie di famiglie esistenti nella società odierna, favorire la partecipazione a laboratori a classi aperte, con regole “morbide” e uso flessibile degli spazi.

Riveste una grande importanza, inoltre, mantenere nel tempo una collaborazione con la famiglia del bambino, mostrando disponibilità per colloqui non rigidamente cadenzati dal calendario scolastico, evitando atteggiamenti invadenti e, in itinere, per definire e aggiustare il percorso formativo; mantenere in classe un atteggiamento equilibrato, evitando di sovraesporre gli alunni adottati con attenzioni eccessive o di dimenticarne le specificità; creare occasioni in cui i bambini adottivi si sentano inclusi e liberi, se lo vogliono, di parlare di sé e della propria origine, anche attraverso il disegno, non escludendo la possibilità di

coinvolgere mediatori culturali o genitori; affrontare in modo diverso dal consueto la prima costruzione dei concetti temporali, evitando di proporre attività quali la prima foto, il certificato di nascita, l’albero genealogico, da sostituire con proposte che raggiungano gli stessi obiettivi rispettando e valorizzando la storia personale di ciascuno; infine, se necessario, predisporre percorsi didattici personalizzati calibrati sulle esigenze di apprendimento degli alunni. Esempi di metodologie didattiche adeguate potrebbero essere dei racconti di fiabe o storie in lingue diverse, delle carte geografiche appese alle pareti per riconoscere luoghi lontani, delle lezioni di storia che non parlino soltanto delle conquiste occidentali, ma che lascino spazio anche ad altre grandi civiltà69.