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L'immagine poetica di Aristofane: l'infanzia e il gioco

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Academic year: 2021

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INDICE

Ringraziamenti ...………4

Introduzione ..……….………5

Capitolo I: Status quaestionis ………9

1.1. Le immagini di poetica in Aristofane nella storia della critica ..…….9

1.1.1. Un’antica opinione da riconsiderare ...………9

1.1.2. La nozione di “immagine poetica” negli studi su Aristofane ………...11

1.1.3. Una chiave di lettura: la καινότης di Aristofane ...17

1.1.4. Dall’infanzia al gioco tra continuità e autonomia ...……..20

Capitolo II: Immagini di infanzia e gioco negli autori precedenti Aristofane ...24

2.1. Poesia epica ………...……….24 2.1.1. Omero ………...………...24 2.1.1.1. B, 333-338 …....……….24 2.1.1.2. O, 352-366 ……….25 2.1.2.3. Σ, 569-572 ...……….27 2.1.2. Esiodo …………...………...29 2.1.2.1. Th. 54-80 ………...………29 2.1.2.2. Th. 94-95 ………...……32

2.1.3. Il gioco alle origini della poesia: l’Inno a Hermes ………...33

2.2. La lirica corale ………...………37

2.2.1. Bacchyl., Ep. 9, 80-87 ………...………..37

2.2.2. Pind., Pae. 6, 1-18 ………...………39

2.3. Poesia tragica …………..………..43

Capitolo III: L’immagine poetica dell’infanzia in Aristofane ……...…………..46

3.1. Ach. 408-489 ………...47

3.1.1. Identità, autore, testo (408-413) ………....48

3.1.2. Un autore in cerca di personaggi: il gioco letterario (414-435) ………..….49

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2 3.1.3. Da παῖς a personaggio: il travestimento di Telefo (436-489) ………….…………...53 3.2. Vesp. 1009-1070 ……….59 3.2.1. Biasimare il pubblico (1009-1028) ………..…..59 3.2.2. Spaventare i cittadini (1029-1042) …….………...69 3.2.3. Genesi poetica: seminare idee e comicità giovane (1043-1070) ……..……...74

3.3. Av. 904-953 ……….80

3.3.1. “Κατὰ τὸν Ὅμηρον”: un avvio secondo la tradizione (904-914) ……….……80

3.3.2. Una nuova poesia: la scena di vestizione (915-935) .………82

3.3.3. Il nuovo canto per il παίδιον (936-953) ….………86

3.4. Immagini poetiche dell’infanzia nei frammenti di Aristofane ……….90

3.4.1. Aristoph., fr. 130 K.-A. ……..………90

3.4.1.1. Datazione della commedia ..………....………91

3.4.1.2. Testo del frammento …...……….93

3.4.1.3. Perché il μορμολυκεῖον è immagine dell’arte teatrale? ...96

3.4.2. Aristoph., fr. 31 K.-A. ……...96

3.4.2.1. Datazione della commedia …..………96

3.4.2.2. Testo del frammento ..………..97

3.4.3. Aristoph., fr. 404 K.-A. ………..………..100

3.4.3.1. Datazione della commedia ..………..100

3.4.3.2. Testo del frammento ….………101

Capitolo IV: L’immagine poetica del gioco in Aristofane ………..106

4.1. Tra infanzia e gioco: Pax 729-816 …..………108

4.1.1. L’allocuzione al pubblico (729-764) ………108

4.1.2. Il sostegno dei παῖδες (765-774) ………...116

4.1.3. Una nuova immagine: “μετ’ἑμοῦ ξύμπαιζε” (775-816) ….119 4.2. L’atto poetico come puro gioco: le Tesmoforiazuse ...129

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3

4.2.1. Una nuova collocazione per la μίμησις:

la παίδευσις (159-175) ...…………...………129

4.2.2. La preminenza del gioco: la parabasi (947-984)………….134

4.2.3. Verso la tecnicizzazione della metafora: il finale delle Tesmoforiazuse (1227-1231) ...……….142

4.3. Ran. 324-459 ………...……….146

4.3.1. Gioco e produzione poetica: la prima invocazione a Iacco (324-377) ………..147

4.3.1.1. L’allocuzione a Iacco (324-352)……….…………147

4.3.1.2. Dal coro al poeta (353-377) ..……….151

4.3.2. La preghiera per la vittoria: l’invocazione a Demetra (378-393) …………..…………...155

4.3.3. Il gioco poetico con Iacco: la seconda invocazione e la ripresa del dramma (394-459) ………..158

4.3.3.1. La seconda invocazione (394-415) ..………..158

4.3.3.2. Gli σκώμματα e la ripresa del dramma (416-459) ………...161

Appendice. Una variazione sul tema dell’infanzia: l’immagine poetica del parto in Nub. 510-562 …….………169

1. Il kommation (510-517) ………170

2. Generare una commedia (518-533) ……….…………171

3. La recusatio della ‘commedia per bambini’(534-544) ...175

4. La καινότης e le commedie illegittime (545-562) ………..………….179

Conclusioni ………..…………...………185

1. I modelli letterari: un rapporto positivo con la tradizione .………..185

2. L’immagine poetica dell’infanzia: strategie molteplici ...186

3. L’immagine poetica del gioco: innovazione e fissazione ….………..189

Nuovi sviluppi di ricerca ………...193

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RINGRAZIAMENTI

Licenziare questo lavoro significa, per me, guardare a cinque anni di studio e vita pieni di significato e momenti di maturazione. Molte persone hanno avuto parte in questo cammino, a cominciare dal mio relatore, il Professor Mauro Tulli, che ha guidato con generosità intellettuale e professionale ogni passo del lavoro, dalla sua genesi alle ultime battute. Difficilmente, in poche righe, è possibile riassumere la felicità per aver assunto un saldo metodo nella ricerca grazie a lui. Con gioia e gratitudine guardo a questa κοινωνία intellettuale, nella speranza di un suo continuo rinnovamento.

Al Dottor Dino De Sanctis, correlatore di questo lavoro, devo i preziosi consigli offertimi con assoluta prodigalità per questo lavoro e non solo. Nell’augurio che questo fecondo confronto si rinsaldi sempre più, lo ringrazio sentitamente.

Ringrazio poi le amiche e colleghe del progetto POT: Francesca, Linda, Marianna e Marta, per il sostegno nei momenti di maggiore pesantezza e per i suggerimenti, bibliografici e non solo, che hanno voluto donarmi.

Ai compagni di questi cinque anni rivolgo un ringraziamento speciale: ad Antonio, anzitutto, per il quotidiano confronto e il fraterno supporto che ha nel nostro comune sentire una radice antica e indissolubile. A Vito, per la sua straordinaria umanità, con la quale ha reso questo percorso gioioso. A Elia, fine pensatore e umanista, per il franco scambio di opinioni, sempre proficuo. A Francesco, per l’incoraggiamento che non mi ha mai fatto mancare.

Agli amici Giuseppe, Riccardo, Corinna, Miriana, Antonella, Antonio, Giorgia, Marco, Mariano e Davide, compagni di studio della biblioteca di Antichistica, non posso che rinnovare la mia estrema gratitudine per l’affetto con il quale, anche nei momenti più difficili, sono stati presenti.

Un ringraziamento va alla cara Martina, che ha voluto con proverbiale curiosità leggere questo lavoro.

A mia madre, mio padre e mia sorella rivolgo il più viscerale ringraziamento per l’amore che mi hanno trasmesso e dal quale mi sento circondato. Altra parola non trovo per definire quel che siamo ma, forse, non è neppure necessario cercarla.

A Marta infine, per il dolce supporto di questi mesi, l’ultimo e profondo grazie: la gioia dà più luce al pensiero.

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INTRODUZIONE

Nella sua sintesi su Aristofane per l’Oxford Handbook to Greek and Roman Comedy, Bernhard Zimmermann sottolinea a più riprese che l’inizio della carriera di Aristofane avviene in giovanissima età.1 Si tratta di un dato quasi banale per chi abbia dimestichezza con l’autore in questione, soprattutto perché su questo tema Aristofane ritorna più volte nei suoi testi. Un dato quasi banale. Quasi. Perché, in base al complesso intreccio che produzione poetica e biografia hanno nella costruzione del profilo di un autore nella letteratura greca, soprattutto per i commediografi, questo elemento non può essere tralasciato.2

In questo contesto di autorappresentazione, l’immagine dell’infanzia gioca un ruolo fondamentale, perché si presta fin troppo bene a una simile circostanza, tanto più se si considera che Aristofane lega indissolubilmente il concetto della sua gioventù alla novità delle sue commedie.3 Ciononostante, la critica, che pure da diverso tempo dedica studi alle immagini impiegate da Aristofane per rappresentare la sua attività di commediografo, ha tralasciato di indagare questa specifica modalità di rappresentazione. Questo lavoro si propone di indagare l’evoluzione dell’immagine poetica che Aristofane propone di sé nelle sue opere passando per due temi: non solo l’infanzia, ma anche il gioco. Etimologicamente, l’attività dello gioco, il παίζειν, trae la sua radice dal sostantivo παῖς e ha nel genere letterario della commedia la sua applicazione più radicale.4

A lato di questo ambito di ricerca scorre, come ausilio all’indagine, l’elemento biografico, o più precisamente la storia della attività poetica di Aristofane. Essa gioca un ruolo fondamentale nell’autorappresentazione di Aristofane: proseguendo nella sua carriera, fatta certo di brillanti successi ma anche di cocenti delusioni, Aristofane sente

1 Cfr. ZIMMERMANN, Aristophanes, 132-133.

2 La più recente formulazione di questo concetto si trova in WRIGHT, Comedian, 123-124.

3 Cfr. WRIGHT, Comedian, 74: «Since Aristophanes himself was only in his twenties when writing

Clouds, Wasps and Knights, it might be seen as expedient for him to treat literary novelty and physical

youth as interchangeable terms».

4 Cfr. PRAUSCELLO, Comedy, 328: «Old Comedy constantly exploits its dramatic ‘playful’ dimension

by paradoxically exposing it while at the same time claiming (more or less disingenuously) some seriousness of purpose».

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la necessità di modificare la sua autorappresentazione, cardine fondamentale per l’instaurazione di un rapporto fiduciario con il pubblico.5

L’autorappresentazione di Aristofane avviene nell’ambito più esteso della riflessione letteraria. Parlare di riflessione letteraria obbliga, per forza di cose, a chiarire che l’impostazione dello studio deve molto alle osservazioni strutturate di Graziano Arrighetti e della scuola che da queste osservazioni ha tratto vivo insegnamento.6 Da questo filone di ricerca emerge con nettezza l’indicazione per un metro di analisi che ha nella dialettica con la tradizione precedente l’ideale chiave per comprendere i testi letterari greci, imperniati su questo essenziale elemento.

A seguito di una necessaria rassegna della bibliografia scientifica che finora ha studiato l’immagine poetica in Aristofane, posta nel primo capitolo, si propone un’indagine dei modelli letterari di Aristofane in relazione all’infanzia e al gioco. Dall’indagine dei modelli letterari originano almeno tre interrogativi. Anzitutto: in quale rapporto si pone Aristofane rispetto alla tradizione letteraria precedente? Quali sono gli elementi che, nella polarità cardine della letteratura greca di tradizione e innovazione, permangono in Aristofane e quali, invece si perdono? E, da ultimo, in che termini sussiste il rapporto tra infanzia e gioco in Aristofane?

Sulla base di questi interrogativi, i due capitoli successivi indagano rispettivamente la presenza dell’infanzia e del gioco nei momenti di riflessione poetica dei testi di Aristofane. Precisamente, il terzo capitolo indaga le immagini di poetica ascrivibili all’infanzia, mentre il quarto capitolo indaga le immagini poetiche del gioco veicolate dall’impiego, in senso sostanzialmente tecnico, del verbo παίζω. Attraverso l’analisi e il commento dei testi, si propongono le risposte agli interrogativi sopra citati. Per quanto riguarda il rapporto con i modelli letterari, si tenterà di offrire una risposta riscontrando, nel prosieguo dell’analisi, quali testi fra quelli selezionati sono richiamati all’interno della produzione di Aristofane. Altrettanto avverrà per definire quali elementi della tradizione Aristofane incorpora e quali esclude. Diversamente sarà gestito l’ultimo interrogativo: dal momento che i due capitoli dedicati ad Aristofane sono essenzialmente descrittivi delle due immagini poetiche, la risposta relativa al

5 Cfr. ZIMMERMANN, Aristophanes, 156.

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rapporto tra le immagini poetiche di infanzia e gioco in Aristofane sarà offerta nelle conclusioni.

Essendo argomento dello studio l’immagine di sé offerta da Aristofane in quanto autore, le prove addotte hanno carattere esclusivamente testuale. I testi analizzati provengono da: Acarnesi, Nuvole, Vespe, Pace, Uccelli, Tesmoforiazuse,

Rane. Sono inoltre analizzati i frammenti 31 (Anfiarao), 130 (Γῆρας) e 404 (Isole)

K.-A.. Per la maggior parte, sono testi provenienti dalle parabasi, luoghi nei quali con più evidenza sono arguibili i tratti che caratterizzano la poetica di un commediografo, anche grazie alle immagini poetiche. Non mancano, tuttavia, luoghi provenienti dalla parte “drammatica” delle commedie. Sono, anche questi ultimi, luoghi di densa riflessione poetica, sebbene essa sia, in quei casi, affidata a personaggi dell’azione scenica.

Una sezione separata è stata dedicata ai vv. 510-562 della parabasi delle

Nuvole: anche in questa parabasi trovano spazio elementi collegati alla tematica

dell’infanzia in merito all’immagine poetica di Aristofane. Tuttavia, considerato che si tratta di una riscrittura avvenuta a seguito dell’insuccesso delle Nuvole prime e che in questa riscrittura l’immagine poetica offerta da Aristofane vede una netta predominanza dell’autore come genitore dell’opera, si è preferito porre questa sezione in appendice. Nondimeno, in questa variazione sul tema è possibile intravvedere il saldo intreccio sopra indicato di poetica e biografia: l’impiego di una simile immagine in una riscrittura avvenuta al seguito di dichiarazioni programmatiche poste nelle

Vespe testimoniano che lo scarto rispetto all’immagine poetica originaria si è compiuto

e, dunque, l’analisi di questi versi può costituire un’ulteriore prova a favore della teoria esposta in questo lavoro.

Si avverte, infine, che il criterio di successione fra i testi tradotti e analizzati è basato su criteri cronologici interni ai soli capitoli. Dunque, sarà possibile che trovino spazio nel terzo capitolo testi relativi all’immagine poetica dell’infanzia, per quanto successivi, in termini di cronologia assoluta, a testi posti nel quarto. Ciò dipende dal fatto che l’immagine dell’infanzia non va a perdersi, ma semplicemente muta di valore, come si vedrà mentre ci si addentra nello studio.

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Un’ultima avvertenza: i testi di Aristofane sono proposti nell’edizione Oxoniense di Nigel Wilson. Specifiche questioni testuali saranno discusse nelle note. La traduzione di tutti i testi è opera dell’autore dell’elaborato.

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I

STATUS QUAESTIONIS

Nel produrre una rassegna della critica che permetta di orientarsi nello studio del tema scelto, terrò conto di un dato di fatto: il concetto di immagine poetica in Aristofane e i temi di infanzia e gioco non sono mai stati trattati congiuntamente. Di conseguenza, lo status quaestionis si concentrerà su due aspetti fondamentali: la storia degli studi relativa alla nozione di immagine poetica in Aristofane e il tema dell’infanzia e del gioco. Una specifica riflessione è, inoltre, richiesta dall’associazione di infanzia e gioco, un’associazione che può apparire in prima battuta arbitraria, ma che la bibliografia secondaria più recente permette di considerare valida.

1.1. Le immagini di poetica in Aristofane nella storia della critica 1.1.1. Un’antica opinione da riconsiderare.

Questo studio ha come tema l’analisi dell’immagine poetica di Aristofane negli ambiti dell’infanzia e del gioco. Tuttavia, prima di analizzare la rilevanza che le immagini poetologiche dell’infanzia in Aristofane e la considerazione che queste immagini hanno ricevuto da parte della critica, è necessario concentrarsi sul tema dell’immagine dell’infanzia e del gioco in senso poetico in termini più generali.

Per lungo tempo è circolata infatti la communis opinio per la quale le immagini del gioco e dell’infanzia siano state saldate all’arte poetica solo in epoca Ellenistica, precisamente da Callimaco. Questa teoria trova la sua piena elaborazione nelle memorabili pagine scritte da Bruno Snell, in un capitolo dal significativo titolo Das

Spielerische bei Kallimachos, all’interno del suo epocale lavoro Die Entdeckung des Geistes.

Snell affermava che la giocosità, intesa come propulsione dello slancio poetico è innovazione essenzialmente di Callimaco.7 Un’innovazione, questa, che ben si attaglia alle istanze di raffinatezza e virtuosismo di Callimaco ed essenzialmente contrapponibile alla “canonica” immagine poetica di Pindaro, o Aristofane,

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caratterizzata da imponenza. I due autori, citati non a caso, sono citati a guisa di controcanto da Snell.

Snell segnalava come la metafora del παίζειν fosse ampiamente impiegata da Callimaco, assieme a più chiari paragoni infantili, ben esemplificati dal programmatico incipit degli Aitia. In questa opera, nei primi versi, Callimaco paragona se stesso a un fanciullo, παῖς ἅτε (Aet., I, 6, fr. 1 Massimilla).

Paradossalmente, le immagini impiegate da Snell per esemplificare la novità della poetica di Callimaco possono essere ampiamente ricondotte agli stessi autori contrapposti da Snell a Callimaco. Come si vedrà, infatti, la metafora fanciullesca relativa al poeta si trova in Pindaro, nel Peana VI, al v. 12. Per quanto questa immagine non sia stata considerata dalla critica che, qualche anno dopo il lavoro fondamentale di Snell, si accingeva a commentare i versi di Pindaro esaminati, è impossibile non pensare che Callimaco abbia tralasciato questo passo di Pindaro, autore del resto ampiamente letto ad Alessandria.8 Per Aristofane, basterà invece ricordare quanto

siano ricorrenti le attestazioni del verbo παίζειν.9 In ogni caso, l’idea che das

Spielerische fosse una caratteristica innovativa della poetica callimachea perdurò per

diverso tempo e tutt’oggi l’ipotesi ha sostenitori.10

Non sono mancate, però, riconsiderazioni della genesi di questa immagine e qualche anno dopo la riflessione di Snell fu notata da Gundert la rilevanza dell’immagine del gioco nella produzione di Platone.11 Una simile risalita verso la

ricerca di un modello precedente ha prodotto a tutt’oggi ottimi risultati, poiché in Platone l’immagine del gioco assume connotati fortemente autoriali e assimilabili a quelli presenti poi in Callimaco.12 Lo studio di Gundert ha inoltre dimostrato la

8 UNTERSTEINER, Formazione, 51-52, non discute l’immagine poetica proposta da Pindaro.

Altrettanto fa LANATA, Poetica, 77, sulle tracce dell’Untersteiner. Il Peana VI è stato preso in considerazione come modello callimacheo da BING, Well-Read, 103, n. 25, come comparazione per la lunghezza del Peana 6. L’autore, viceversa, rinviene in Esiodo il modello della poetica fanciullesca in Callimaco (BING, Well-Read, 86). Recentemente sono state dedicate pagine all’interesse filologico degli Alessandrini per Pindaro e in relazione al debito della poesia di Callimaco nei confronti di Pindaro (NEGRI, Pindaro, 13). Più recentemente, PHILLIPS, Pindar’s 26 segnala che la lettura di Pindaro da parte di Callimaco, per quanto evidente, non è stata presa troppo in considerazione dai commentatori, né antichi né moderni.

9 Fu DOVER, Frogs, 58 a metterlo in rilievo, in anni sostanzialmente recenti (il commento alle Rane è

del 1993).

10 COZZOLI, Poet, 409 è forse l’esposizione più autorevole. Cionondimeno, la studiosa riconosce a

Pindaro e ad Aristofane influenza poetica su Callimaco (423). Non sono comunque menzionati i versi del Peana VI.

11 Si vedano in particolare GUNDERT, Spiel, 218-219.

12 Quella dell’assimilazione delle pagine di poetica vergate da Platone da parte di Callimaco è teoria

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necessità di riscoprire la tradizione relativa alla giocosità risalendo attraverso periodi più antichi della letteratura greca, a periodi più alti di quello di Callimaco.

Tuttavia, se la giocosità autoriale in Platone è segno del rapporto, tanto innegabile quanto irrisolto con la poesia, sarà da ricercare nella dialettica di Platone con gli autori precedenti la genesi di questa immagine.13 In questo senso, la commedia offre forse lo spunto più interessante, considerando peraltro la sua naturale inclinazione al dialogo con la tradizione precedente sostanziata da una critica letteraria, intesa come descrizione del valore dei testi letterari, enormemente sostanziata da un solido rapporto con i testi precedenti.14

Questa osservazione, di carattere eminentemente generale, permette di arguire che la commedia, più precisamente la commedia di Aristofane, sia stata uno snodo fondamentale per la più ampia elaborazione di questa immagine in Platone e la sua trasmissione alle epoche successive. Non solo: è forse a causa della direzione impressa dal lavoro di Snell agli studi che la Scholarship ha tralasciato lo studio delle immagini poetiche relative a infanzia e gioco in Aristofane.

1.1.2. La nozione di immagine poetica negli studi su Aristofane

In base allo scopo di questo studio, infanzia e gioco sono categorie che, nel testo, sono analizzate in relazione alla poetica. Per poter oggi comodamente utilizzare il termine “immagine”, però, la critica è passata attraverso anni di elaborazione concettuale.

Alle immagini nella commedia Attica e in Aristofane dedicarono le loro cure diversi studiosi sul finire del XIX secolo, a testimonianza del grande valore letterario di questo patrimonio. A seguito dello studio più generale sulle similitudini e le metafore nei poeti attici a opera di Coenen (Dissertatio litteraria de comparationibus

et metaphoris apud Atticos praesertim poetas, 1875), un interesse specifico su

Aristofane è testimoniato dai volumi di Schauenburg (De comparationibus

Aristophaneis, 1888), sulle similitudini, e di Noordewier-Nassau (Metaphorae

composizione testuale, inscindibilmente saldata alla σπουδή della ricerca intellettuale in Platone, ancora oggi rimangono fondamentali le pagine di TULLI, Dialettica, 36-40.

13 Un rapporto, quello con la poesia, definito dallo stesso Platone come amore παιδικός, infantile (Rep.

X, 608a5). Un rapporto, però, dal quale scaturisce la stessa poetica del dialogo: cfr. GIULIANO, Studi, 227-234.

14 Sull’antico dibattito in relazione al rapporto tra dialogo di Platone e la commedia, si veda almeno

NIGHTINGALE, Genres, 172, n. 1 per la bibliografia. Per gli elementi comuni a dialogo di Platone e commedia, quali critica agli altri autori e la compresenza di diversi tipi di testo menzionati e talvolta commentati, cfr. NIGHTINGALE, Genres, 190-192.

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Aristophaneae, 1891) sulle metafore. L’interesse per la metafora in Aristofane

proseguì poi negli anni Venti del XX secolo, con Walter Holöhr, autore di un De

metaphoris Aristophaneis (1922). Nessuno spazio aveva, in questi testi, l’osservazione

della componente poetologica insita in alcune metafore o similitudini. Nel 1935, la riflessione poetica di Aristofane fu studiata da Quintino Cataudella in maniera organica e ampia senza, però, soffermarsi sulle immagini poetiche che Aristofane sceglieva per la sua produzione e in particolare su infanzia e gioco.

Da qui, in un sostanziale silenzio, si giunge alla metà del XX secolo. Lo studio delle immagini in Aristofane, con particolare riferimento alla metafora e all’allegoria fu portato avanti da Hans-Joachim Newiger tra il 1953 e il 1958 (gli anni che vanno dalla discussione della sua dissertazione dottorale alla pubblicazione, riveduta, di questa), dando origine al ben noto volume Metapher und Allegorie. Newiger pose l’accento sulla notevole attenzione data da Aristofane alla produzione di immagini.15

Per sostanziare questa affermazione, Newiger adduce il passo delle Nuvole nel quale Aristofane afferma di proporre al pubblico idee sempre nuove, αἰεὶ καινὰς ἰδέας εἰσφέρων (547). Le idee proposte da Aristofane corrispondono al sostantivo tecnico ἐπίνοια, impiegato altrove da Aristofane per descrivere la trovata comica (ad esempio, nella parabasi delle Vespe, al v. 1050). Andrà certo ricordato che questi termini sono evidentemente sovrapponibili al termine ἄθυρμα, con ogni probabilità impiegato dalla generazione precedente a quella di Aristofane per indicare una nuova trovata portata in scena: lo testimonia Cratino (fr. 152 K.-A.).16

Al contrario, in Aristofane il termine ἄθυρμα ha una produttività minima, risibile – almeno per quanto ci è possibile osservare.17 Questo è forse dovuto al fatto che il termine ἄθυρμα sia indissolubilmente legato alla tradizione precedente e dunque non può adattarsi all’idea aristofanea di una poetica innovativa, caratterizzata da καινότης. Aristofane sottopone, dunque, anche il patrimonio tradizionale precedente

15 NEWIGER, Metapher, 132-133.

16 Sul valore di ἄθυρμα nel frammento cfr. CONTI BIZZARRO, Poetica, 60-61. Il contesto nel quale il

termine è impiegato (in associazione al verbo παράγω, ormai considerato tecnico dalla critica) lascia pensare che si tratti di un termine utile a indicare le trovate teatrali. Il sostantivo ἄθυρμα sembrerebbe rappresentativo di una persistenza dell’area semantica dell’ἀθύρειν nella commedia antica. Nella fattispecie, il frammento parodierebbe un testo perduto di Eschilo (fr. 78c, 50-52 Radt, con ogni probabilità parte di un dramma satirersco, i Teori). Dal fr. 23 K.-A. sembrerebbe arguibile che il sostantivo si prestasse a doppi sensi rispetto ai rapporti sessuali.

17 L’unico termine riconducibile all’area semantica di ἄθυρμα è σκᾰλᾰθυρμάτιον (Nub. 630). È Socrate

a impiegarlo nei confronti di Strepsiade, vecchio colpevole di dimenticarsi i piccoli trucchetti che prova a imparare, ancor prima di imparararli: ὅστις σκαλαθυρμάτι' ἄττα μικρὰ μανθάνων/ταῦτ' ἐπιλέλησται πρὶν μαθεῖν.

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elaborato dagli altri poeti sull’infanzia al filtro della καινότης, ancor di più in virtù della sua volontà di differenziarsi dagli altri autori, velando la tradizione attraverso una modifica lessicale.

Lo studio di Newiger fece scuola, tracciando per molti anni la strada da percorrere in relazione all’analisi del patrimonio di immagini di Aristofane. Il fruttuoso magistero di Newiger indagò dunque le variazioni metaforiche e allegoriche sulle quali la produzione di Aristofane si era concentrata e il suo esempio fu seguito da diversi studiosi. Il volume di Newiger, in gestazione dai primi anni Cinquanta, fu pubblicato al termine dello stesso decennio e il cammino si rivelò fertile per gli studi del decennio successivo.

Lo studio di Newiger era però di più ampio respiro, in quanto si occupava di metafore e allegorie nella produzione di Aristofane, senza porsi l’obiettivo specifico di occuparsi delle immagini di poetica. Questo tema fu invece studiato, negli stessi anni di Metapher und Allegorie, da Katherine Lever. La studiosa, con un breve ma denso articolo intitolato Poetic Metaphor and Dramatic Allegory in Aristophanes, definì un più specifico ambito di impiego delle metafore da parte di Aristofane in relazione alla poetica e all’economia drammatica. Lo studio, tuttavia, per l’estensione piuttosto esigua, non si addentra nella trattazione delle immagini poetiche impiegate da Aristofane e rimane ancorato agli studi esclusivamente allegorici, soprattutto relativi agli eroi comici di molte delle commedie di Aristofane. È invece merito dello studio della Lever aver segnalato lo stretto legame che Aristofane instaura con la tradizione poetica precedente anche in relazione alle immagini da lui offerte.18

Al netto delle congetture relative all’influenza della componente rituale sulla composizione di Aristofane, il breve studio della Lever ha il merito di suggerire – per quanto non la sviluppi – l’intima connessione delle metafore drammatiche con l’arte poetica di Aristofane. Quest’ultimo settore risultava allora, dunque, ancora possibile oggetto di studio.

Si giunge, dunque, agli anni Sessanta. Nel 1962, Anna Komornicka riprese il lavoro di Newiger ed estese anche alle similitudini (le comparaisons del titolo) le riflessioni dello studioso su metafora, allegoria e personificazione. La studiosa, che indaga nel dettaglio i vari domini semantici delle metafore in Aristofane, esclude

18 Cfr. LEVER, Poetic, 222. In particolare, è messa in evidenza la frequentazione del testo di Pindaro

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l’infanzia e dedica spazio al gioco in riferimento allo sport e al divertimento.19 Si tratta

già di un primo elemento di interesse, mentre questi temi erano stati sostanzialmente trascurati da Newiger. L’elemento mancante del filone di studi rappresentato dalla Komornicka è fondamentalmente l’assenza del repertorio legato alla riflessione poetica di Aristofane. Nel volume della Komornicka, dunque, le istanze latenti nel lavoro della Lever non trovarono, ancora una volta, spazio.

Nello stesso anno, il 1962, era però giunto alle stampe il preziosissimo volume di Jean Taillardat, Les images d’Aristophane. Il volume, poi riveduto e corretto nel 1965, diverrà una pietra miliare nello studio della produzione di Aristofane. Lo studioso francese, precorrendo i tempi, assume un titolo programmaticamente più ampio rispetto al focus degli studi precedenti su metafore, similitudini e allegorie, ponendo al centro del suo interesse le immagini.20 In questo volume, accanto alle

immagini semplici, trovano spazio anche le immagini relative alla poetica di Aristofane, che occupano un capitolo intero (L’art: pagine 427-470). Ma, ancora una volta, manca una trattazione di infanzia e gioco in relazione all’arte poetica. Ciononostante, lo studio ha un merito significativo (fra i tanti): l’idea che una image possa essere costituita anche da una sola parola e non necessariamente debba essere ascritta alle categorie delle metafore.21 Un’idea, questa, che era stata già sfiorata da Quintino Cataudella, nel riconoscere nelle immagini di Aristofane il fulcro della stessa produzione poetica. La metafora, fra le tante, non era altro che una possibilità.22

Difficilmente, dopo la riflessione di Taillardat, era possibile tornare indietro e non considerare l’insieme delle immagini di Aristofane, limitandosi alla sola metafora o alla similitudine e così via. Nondimeno, approdare alla considerazione dell’infanzia e del gioco come ambiti del patrimonio di immagini poetiche in Aristofane risultava obiettivo ancora lontano. Un esempio: il capitale volume Aristophanic Comedy di Sir Kenneth James Dover, edito nel 1972, non reca traccia di infanzia e gioco come elemento di imagery, per quanto all’imagery Dover dedichi alcune pagine del suo

19 Cfr. KOMORNICKA, Metaphores, 150-160. L’elenco segnala le espressioni che fanno riferimento

alle varie aree tematiche e riporta i versi di attestazione.

20 Cfr. TAILLARDAT, Images, 6: «Nous avons donné à ce terme l’acception la plus large».

21 Cfr. TAILLARDAT, Images, 7. La terminologia impiegata testimonia peraltro la necessità di

introdurre categorie differenti: lo stesso Taillardat impiega per definire con un termine greco il suo francese image, il termine εἰκών, che propriamente in Aristofane è riferito alle sole similitudini (cfr. TAILLARDAT, Images, 7). Questa elaborazione è il segno tangibile dell’impossibilità di adottare le sole categorie aristoteliche per la definizione delle immagini degli autori antichi (cosa che ha tuttavia una sua attuale, seppur minoritaria, produttività: cfr. GUIDORIZZI, BETA, Metafora, 11 sgg.).

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lavoro.23 Le uniche riflessioni concesse al tema dell’infanzia riguardano i παῖδες come

personaggi (delle Vespe e della Pace).24

È dunque possibile dire che l’interesse per l’infanzia e per il gioco, in relazione alle immagini poetiche, si sviluppa al di fuori degli studi su Aristofane. Le tappe fondamentali di questo nuovo interesse sono due. È con Michael Silk e il suo

Interaction in Poetic Imagery (1974) che l’interesse per il rapporto tra l’immaginario

poetico e la sua incidenza sull’opera letteraria assurge all’interesse della scholarship. Michael Silk ha infatti prodotto uno studio sistematico dei testi del periodo arcaico, tematizzando due concetti fondamentali: l’idea di imagery, ossia del patrimonio di immagini, include la metafora ma non si limita ad essa.25 L’altro concetto fondamentale è l’interazione: i due termini coinvolti dal processo immaginifico sviluppano una relazione attiva l’uno nei confronti dell’altro.26 Ritroviamo, però, un

assunto che già Taillardat aveva espresso: la maggiore comprensività del concetto di immagine rispetto ai singoli concetti di metafora e similitudine.27 Questa

tematizzazione del concetto di patrimonio di immagini, per quanto non si occupi di Aristofane, risulta completa e ricca di stimoli.

Il principale di questi stimoli è quello che indirizza lo studio dell’immaginario e dell’interazione ai momenti di riflessione poetica degli autori greci. Questo sforzo, per lo stesso periodo delimitato da Silk, è stato fatto da René Nünlist, nel suo

Poetologische Bildersprache in der frühgriechischen Dichtung (1998). Il lavoro

riveste una forte importanza per le premesse metodologiche che dimostra: debitore della trattazione di Silk, Nünlist restringe il suo campo di indagine alle immagini che hanno rilevanza poetica, ossia quelle immagini che un autore impiega per definire la sua produzione. In particolare, il carattere poetico delle immagini permette l’apprezzamento del ruolo intellettuale rivestito dai poeti così come veniva concepito dai poeti stessi.28

Concentratosi Nünlist eminentemente sulla produzione arcaica, Aristofane è presente nel lavoro con richiami esigui per finalità comparative. Tuttavia, Nünlist

23 DOVER, Aristophanic, 45-48.

24 DOVER, Aristophanic, 124 per le Vespe. Sui παῖδες della Pace cfr. DOVER, Aristophanic, 134 sgg. 25 Cfr. SILK, Interaction, 5. Fanno parte del patrimonio delle immagini anche similitudini e altri tipi di

paragoni come i tropi.

26 Cfr. SILK, Interaction, 25 (riferendosi ai diversi tipi di interazione): «they all involve an active

relationship between the terminologies».

27 È evidente di per sé, ma preferisco precisare, la sostanziale sovrapponibilità dei concetti di imagery

e di images.

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concede uno spazio – per la verità piuttosto ristretto – all’immagine poetica del gioco: un passo decisivo era ormai compiuto.29 Per esiguo che sia, lo spazio concesso da Nünlist all’immagine del gioco nel suo studio in ottica poetologica permette di arguire che questo tipo di ricerca ha una sua plausibilità.

Come detto, però, tanto la trattazione tanto di Silk quanto quella di Nünlist sono limitate al solo periodo arcaico. Lo stesso Nünlist auspicava una trattazione più ampia del patrimonio poetico delle immagini nella letteratura greca, frutto di collaborazione fra più studiosi.30 E non è detto che un simile lavoro non veda mai la luce, aprendosi a tutta la produzione letteraria greca.

Ciò che conta qui, però, è che la critica ha finalmente dato una rilevanza almeno alle immagini poetiche del gioco, che attraversano la letteratura greca arcaica. Se, dunque, si può intendere Callimaco, con buona pace di Snell, quale punto di approdo di una plurisecolare elaborazione dello Spielerische, è possibile tracciare un percorso che coinvolga l’intera letteratura greca e in questo percorso è possibile individuare tappe significative.

Relativamente a queste tappe significative, la critica è finora ferma ai risultati di Gundert, che ebbe come oggetto di studio Platone, per l’immagine poetica del gioco. Si è infatti già sottolineato il ruolo capitale rivestito da Platone nell’origine della metafora del gioco in relazione alla produzione letteraria tutta. Allo stesso tempo, se sono innegabili i rapporti tra Platone e la commedia di Aristofane in relazione alla riflessione letteraria, gioverà studiare quale incidenza abbia avuto l’immagine del gioco in Aristofane.31 Apparentemente, si finirebbe per accreditare ad Aristofane il ruolo di primo codificatore organico e tout court dell’immagine poetica del gioco nella letteratura greca. Un tentativo di risoluzione di questo ulteriore problema si tenterà nel prosieguo del lavoro.

29 Lo Spielzeug come immagine della poetica greca arcaica è trattato in NÜNLIST, Bildersprache,

312-313.

30 NÜNLIST, Bildersprache, 9.

31 Doveroso è un excursus metodologico rispetto alla comunanza degli strumenti della critica letteraria

tra Platone e Aristofane. Qui per la prima volta, e molto spesso nel prosieguo del libro, menzionerò le pagine di ARRIGHETTI, Poeti, 141-159, nelle quali è chiarita la forte comunanza tra i metodi di critica letteraria della commedia di Aristofane e di Platone. Tale strategia si cristallizzerà successivamente nel cosiddetto “metodo di Cameleonte”, (ARRIGHETTI, Poeti, 159), dal nome di Cameleonte di Eraclea Pontica, peripatetico che, partendo dalla prassi comica di ricavare elementi biografici sugli autori dalle loro opere, ne tracciava un profilo letterario. Come Arrighetti argomenta, la prassi è da considerarsi già attiva nella Commedia e risponde all’assunto della cultura greca antica per il quale esiste una reciproca influenza tra le biografie degli autori e le loro opere, al punto che la poetica che emerge dalle opere e l’identità del poeta coincidono.

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Si potrebbe pensare che le immagini poetiche di gioco in Aristofane siano frequenti fin da subito. Tuttavia, nella prima produzione di Aristofane, non si trovano tracce di immagini poetiche giocose, mentre la presenza cresce nel prosieguo della produzione. L’assenza di immagini poetiche giocose sembra un elemento di discontinuità rispetto alla produzione letteraria e più specificamente comica precedente, che non definiva la trovata comica innovativa come ἰδέα, alla maniera di Aristofane, ma come ἄθυρμα.

Sembra dunque che Aristofane, nel caratterizzare la sua arte poetica, abbia voluto tralasciare il patrimonio di immagini della produzione a lui precedente, nel quale l’immagine del gioco aveva una sua specifica presenza. Questo atteggiamento di Aristofane, oltre a rispondere alla mai sufficientemente ricordata dinamica della competizione con gli altri commediografi, risponde in egual misura a un principio centrale della poetica dello stesso Aristofane: la καινότης. Ricorrere al tema della καινότης come chiave di lettura per spiegare l’immagine poetica in Aristofane può essere utile.

1.1.3. Una chiave di lettura: la καινότης di Aristofane

Nella produzione di Aristofane, alcuni temi ricorrono in maniera ciclica e costituiscono le coordinate evidenti della riflessione poetica del commediografo. È così, ad esempio, per il rapporto con la drammaturgia di Euripide, inesauribile terreno di confronto, oltre che di parodia.32 Un altro di questi temi è certamente quello della καινότης. La καινοτής è stata, tuttavia, analizzata in maniera organica solo negli ultimi anni, se si escludono i brevi cenni in Newiger, relativi al v. 547 delle Nuvole.

Nel corpus delle undici commedie conservate, le attestazioni dell’area semantica connessa a questo concetto sono innumerevoli. Si tratta, per la maggior parte, di luoghi parabatici e non credo si possa ritenere un caso: la novità è rivendicata con forza dal commediografo nel luogo deputato alla sua più diretta allocuzione al suo destinatario. Alcuni di questi passi, i più significativi, saranno oggetto specifico dello studio nei capitoli successivi. In questa sede mi pare invece opportuno ripartire da un luogo che, come ricordato, è stato studiato dalla critica: si tratta del verso delle Nuvole

32 Si vedano almeno SCHWINGE, Aristophanes, 42-43, che sintetizza la natura del dialogo con la

produzione di Euripide da parte di Aristofane nel segno della polarità di ammirazione e critica. Una storia della critica sul tema è offerta da LAURIOLA, Aristophanes, 71, n. 2

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nel quale Aristofane afferma di ingegnarsi a offrire contenuti sempre nuovi: αἰεὶ καινὰς ἰδέας εἰσφέρων σοφίζομαι (Nub. 547).

Questo luogo mi pare costituisca la più chiara espressione della poetica della καινότης. È ormai assodato che la parabasi è con ogni probabilità uno dei luoghi sui quali le modifiche di Aristofane si sono concentrate maggiormente, a seguito dell’insuccesso delle Nuvole Prime.33 Questa notizia suggerisce di immaginare questo

verso come trasposizione della riflessione intellettuale di Aristofane, nella sua fucina di commediografo alle prese con la crisi del successo.

La riscrittura delle Nuvole è posteriore alle Vespe, commedia che offre una dichiarazione programmatica da accostare ineludibilmente al verso analizzato. Le

Vespe avevano segnalato la necessità agli spettatori di premiare in futuro chi avrebbe

offerto loro qualcosa di nuovo (1051-1054). La validità di una produzione si misura per Aristofane nel καινόν τι λέγειν κἀξευρίσκειν (Vesp. 1053) e questa deve caratterizzare qualsiasi poeta che con la sua arte voglia ammaestrare il pubblico. In questa affermazione generale, è ovvio che il poeta non elimini se stesso dal novero degli intellettuali in lizza. Così Aristofane proclama, indirettamente ma nemmeno troppo, di volere ricercare ancora la καινότης, sebbene ormai lui non sia più giovane. Questo darebbe all’avverbio ἀεί del v. 547 delle Nuvole una luce tutta nuova, proiettata sul passato ma anche e soprattutto sul futuro della produzione di Aristofane.

È possibile pensare che la proclamazione di καινότης sia la strategia di autopromozione più diffusa fra i commediografi, a causa della competizione agonale alla quale essi dovevano far fronte. In effetti, non è possibile ascrivere al solo Aristofane rivendicazioni di originalità poetica di questo tipo.34 Tuttavia, anche chi si è occupato specificamente della dinamica della competizione nella commedia attica, come Zachary Biles, ha dovuto riconoscere ad Aristofane la possibilità di rivendicare la καινότης alla sua poetica in senso strutturale e non soltanto per le trovate sceniche, per i suoi sketch.35 L’attività della riforma, dell’innovazione poetica prodotta da

Aristofane è stata dunque giustamente associata alla καινότης e non può essere

33 Può essere ormai considerata communis opinio la modifica della parabasi, in particolare degli

eupolidei (518-562). La formulazione più recente mi pare quella di SONNINO, Concorso, 220-221. A p. 221, n. 46 è offerta una rassegna critica sulle diverse teorie circa la modifica delle Nuvole.

34 Sulla tipicità della rivendicazione cfr. ZANETTO, Tragodia, 319: già Ferecrate rivendicava a sé una

nuova trovata, l’ἐξεύρημα del fr. 84 K.-A.. Il concetto di καινότης permea l’intera produzione comica, dunque, fino a giungere alla Commedia Νuova.

35 Cfr. BILES, Competition, 129: « the term (scil. καινός) fits within Aristophanes’ claims for the merits

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altrimenti. Giustamente, dunque, Emmanuela Bakola ascrive ad Aristofane l’epiteto di

reformer rispetto alla commedia attica e allo stesso tempo dedica espressamente

pagine al tema della καινότης.36 Secondo la precisa analisi della studiosa, ciò che porterebbe Aristofane ad asserire orgogliosamente l’originalità delle sue trovate sarebbe l’intenso dialogo che il commediografo instaura con Euripide all’interno della sua produzione. Questa ipotesi sarebbe confermata dal fatto che Aristofane impieghi l’aggettivo καινός anche per Euripide.37

Per quanto l’aggettivo sia usato da Aristofane in relazione a Euripide una sola volta (Thesm. 1130), a differenza di altri quali δεξιός, che ricorre più volte, la dimostrazione è tale che difficilmente si trovano argomenti in senso contrario. Inoltre, il fatto che la καινότης riguardi anche Euripide non oscura il fatto che questa sia la caratteristica che più di ogni altra Aristofane rivendica alla sua poesia. Al contempo, mi pare sia lecito aggiungere un elemento il quale, oltre a ispirare fittamente queste pagine, permette di tracciare un orizzonte di senso più solido per queste riflessioni.

Come già detto, infatti, la critica letteraria greca nasce attraverso una prassi, eminentemente rappresentata dalla commedia attica, di associare la poetica dell’autore alla sua identità, alla sua consistenza storica. È merito di Graziano Arrighetti aver riconosciuto in questa dinamica del teatro comico la strutturazione in nuce del metodo della critica letteraria ampiamente operante presso i greci. Questo metodo non risparmia nemmeno Aristofane, che ne fa largo uso, ad esempio, in relazione a Euripide.38 Niente permette di escludere che questo valesse anche per lo stesso autore che rifletteva sulla sua poetica. Anzi: questa ipotesi può essere confermata dal fatto che la biografia di Aristofane è scandita essenzialmente in relazione alla sua attività di riformatore della commedia, che è quanto Aristofane afferma di sé nelle sue commedie con più orgoglio.39 Ma, se gli insegnamenti di Arrighetti da lungo tempo indicano la strada dell’analisi della poetica degli autori, l’applicazione alla poetica di Aristofane è stata avviata solo recentemente, come dimostrano i lavori sopraccitati di Biles e Bakola.

36 Cfr. BAKOLA, Drunk, 8-10. La studiosa segue un’idea già di Michael Silk (cfr. SILK, Definition,

48-52).

37 I luoghi addotti sono diversi: cfr. BAKOLA, Drunk, 10. Essi concernono anche gli aggettivi δεξιός e

σοφός.

38 Così negli Acarnesi Euripide è rappresentato a testa in giù e con una veste miserevole (408-413).

Diceopoli non si stupisce, dunque, che i personaggi di Euripide siano zoppi e caratterizzati dalla miseria di abiti e di vita.

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In ogni caso, analizzando i testi, l’azione riformatrice di Aristofane è dipinta come fattore che agisce sul genere della commedia fin da subito, come se la poetica di Aristofane fosse una forza inarrestabile, nel giudizio dello stesso autore. Così, la poesia di Aristofane risulta salvifica fin dagli esordi, o meglio ancora dai non-esordi: segni della riforma si vedevano già operanti nel soccorso prestato agli altri autori, soccorso del quale si fa menzione nelle Vespe (1018 sgg.). L’azione di riforma prosegue con uno svecchiamento della scena e soprattutto della prassi comica: dopo Aristofane i κωμῳδούμενοι sono personaggi in vista e non più i pidocchi insignificanti derisi dagli altri autori (cfr. Pax 739 sgg.). Il tutto, in età precoce.

La precocità dell’arte di Aristofane, tale da non permettere al poeta-παρθένος (Nub. 530) di mettere al mondo da sé la sua opera, si salda alla costante novità della proposta poetica. La precocità del poeta che riesce a sfondare il muro della supremazia dei poeti più anziani e affermati è simmetricamente accoppiata con una originalità poetica della quale il poeta va orgoglioso.40 Se le considerazioni sulla riforma della

commedia, la biografia e la poetica precedentemente esposte possono essere ulteriormente consolidate, sarà dunque possibile aggiungere che in Aristofane καινότης della poetica e dell’autore, almeno per una parte della carriera, coincidono. Non ci si stupirà, dunque, se Aristofane rielabora moduli letterari concernenti immagini dell’infanzia, perché questa è la sua rappresentazione poetica e biografica rispetto al periodo segreto e alla prima fase della sua carriera da autore “palese”.

Anche l’infanzia, dunque, può essere considerata un ambito di immagini che assume valore poetologico per Aristofane. Ma in base a cosa è possibile accostare le immagini poetiche legate all’infanzia a quelle legate al gioco?

1.1.4. Dall’infanzia al gioco tra continuità e autonomia

L’atto ludico nella sua attestazione letteraria, esattamente come nelle sue manifestazioni fattive, non è necessariamente legato all’età infantile. La connessione tra sfera dell’infanzia e azione giocosa non è peraltro così netta da un punto di vista

40 Sullo scalzamento della generazione di Ecfantide et alii ad opera dei più giovani Frinico, Aristofane

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linguistico e sembra effettivamente che l’unico legame rintracciabile nelle etimologie sia costituito dal verbo greco παίζω, agilmente ricollegabile al sostantivo παῖς.41

Le prime tracce di relazione tra le due sfere concettuali sono state riscontrate negli anni Venti del secolo scorso, quando Meerwaldt sottolineò l’intrinseco valore etimologico del verbo παίζω in relazione al nome dal quale trae la sua natura di verbo fattitivo: παῖς.42 Meerwaldt, tracciando una netta direzione della genesi tra le due parole (dal sostantivo al verbo) gettò le basi per le riflessioni successive della critica. Ma andiamo con ordine.

La differenza tra il verbo παίζω e il verbo ἀθύρω non stenta ad affiorare: la categorizzazione di ἀθύρω come verbo tipico della dizione poetica sarà sancita, qualche anno dopo Meerwaldt, da Buck.43 Inoltre, il verbo ἀθύρω non risulta avere legami etimologici con la sfera dell’infanzia e, per giunta, il sostantivo a esso legato, ἄθυρμα, è derivato dal verbo e non viceversa.44

In ogni caso, questa duplicità semantica, presente fin dagli stadi più antichi della letteratura greca a noi nota, sembra posare su un’alternanza che ha nel carattere più o meno aulico dei due verbi il suo discrimine. Di conseguenza, considerato il carattere più aulico del verbo ἀθύρω, è facile immaginare che il suo valore tradizionale abbia rapidamente potuto suggerire una associazione di questo con la produzione letteraria. Al contrario, nella produzione più antica, il verbo παίζω compare in misura nettamente più contenuta e non risulta mai associato all’immagine del poeta.45 Ne

consegue che l’azione del παίζειν, prima di divenire immagine poetica, avrebbe dovuto essere sottoposta a una riflessione autoriale che non risultava essere avvenuta.

In ogni caso, sfruttare l’immagine del παίζειν corrispondeva a una forte innovazione che, peraltro, non era possibile a tutti gli autori. Il ruolo di sapienti che gli autori si riservavano, mal si conciliava con un verbo, παίζω appunto, che ha in sé la radice dell’essere ingenuo per eccellenza, il παῖς. E questo spiega, almeno in parte, la prevalenza dell’area semantica di ἀθύρειν, più legata al semplice diletto e priva di

41 A rilevare il carattere eccezionale del legame tra sfera infantile e sfera ludica nel verbo παίζω è NUTI,

Gioco, 60.

42 Cfr. MEERWALDT, Verborum, 160.

43 Sull’appartenenza alla dizione poetica del verbo ἀθύρω cfr. BUCK, Synonyms,1108. CHANTRAINE,

Dictionnaire, 27 sottolinea che l’unico luogo di attestazione in prosa appartiene alle Leggi di Platone

(796b).

44 Cfr. FRISK, Etymologisches, 29.

45 Le attestazioni del verbo in Omero sono ristrette alla sola Odissea, in riferimento a Nausicaa e alle

sue ancelle (ζ, 100) o alle Ninfe alle quali le ancelle sono paragonate (ζ, 106), alle sole ancelle (η, 291), o a uomini e donne ritratti nell’atto di danzare (ψ, 147).

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alcuna connotazione anagrafica. Viceversa, sfruttare il verbo παίζω per definire l’arte poetica non poteva far altro che implicare un riferimento all’infanzia.

Ma questo non sancisce a sua volta un diretto accostamento tra παίζειν e arte comica. Sappiamo oggi, grazie a uno studio di Sommerstein, che in Aristofane le modalità di descrizione del riso sono articolate in maniera piuttosto ampia.46 È dunque impensabile che altrettanta cura non sia stata posta, da parte del commediografo, nel descrivere l’azione che produce questi effetti, ossia lo scherzo che origina dal testo letterario.

Inoltre, la risata di per sé è solo uno degli elementi che danno corpo alla produzione comica: una definizione della produzione comica necessita di inglobare questa prassi, ma non di coincidervi totalmente. In questo senso, la sfera infantile e del gioco unitamente richiamate dal verbo παίζω offrono un fertile strumento di rappresentazione, soprattutto per la cifra evidentemente immaginifica che esso può adombrare nel momento in cui si associa alla produzione poetica.47

Più recentemente è stata messa in evidenza la componente infantile nella risata greca, oggetto di studio nel volume di Stephen Halliwell, The Greek Laughter. Intendendo la risata come prodotto di uno scherzo, Halliwell interpreta il verbo παίζω nella sua accezione di “scherzare” e associa questa nozione allo stadio infantile della vita umana, sottolineando, però, che l’impiego di questo medesimo schema, lo schema del παίζειν, da parte degli adulti, in un certo modo, riproduce lo spirito della fanciullezza ma con una coscienza diversa.48 È certo possibile, se non addirittura necessario, estendere e adattare queste considerazioni più generali all’àmbito letterario e in particolare ad Aristofane. La concezione presentata da Halliwell suggerisce infatti di considerare la rappresentazione fanciullesca da parte di un poeta come atto di forte

Kunstwollen ma allo stesso tempo richiede di leggervi la matura riflessione dell’autore.

Così è possibile affermare che l’immagine poetica del gioco, pur legata in origine all’infanzia, diviene anche un’immagine poetica autonoma, che recupera lo spirito infantile ma in conclusione se ne distacca, presentando tratti di maturità.

Se, dunque, queste due immagini poetiche sono entrambe presenti in Aristofane, sarà necessario studiarne la presenza in relazione alla riflessione del poeta

46 La varietà dei verbi impiegati da Aristofane per descrivere l’azione del riso sono ampiamente

catalogati da SOMMERSTEIN, Talking, 104-115.

47 Il carattere immaginifico della produzione di Aristofane è associato al gioco da FLASHAR, Lachen,

64.

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sulla sua produzione. In questo senso, il metodo dell’analisi diacronica risulterà certo dirimente per poter apprezzare il dialogo tra la tradizione letteraria precedente e Aristofane, la codifica delle immagini poetiche e la loro strutturazione in seno alla produzione testuale del commediografo.

Ma, perché questa analisi poggi su solide basi testuali, non è possibile ignorare, a seguito della rassegna degli studi critici, i modelli letterari con i quali, nel gioco di omissione e inclusione tipico della produzione letteraria, Aristofane si è confrontato.

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II

IMMAGINI DI INFANZIA E GIOCO

NEGLI AUTORI PRECEDENTI ARISTOFANE

L’immagine del gioco accompagna la produzione letteraria greca fin da quelli che per noi sono i suoi albori, per quanto si presenti come un filone minoritario nel repertorio letterario dell’epica arcaica.49 È tuttavia possibile segnare un’evoluzione

nell’impiego di questa immagine che segnali, a partire da uno stadio di utilizzo generico per arrivare ad un livello di notevole specializzazione.

2.1. Poesia epica

2.1.1. Omero

Come sempre accade nella letteratura greca a noi nota, tutto ha inizio con Omero. Sebbene le metafore infantili in Omero siano diverse, sono tre, a mio avviso, i luoghi più significativi: B, 333-338, Σ, 569-572 e O, 355-366.

2.1.1.1. B, 333-338 Ὣς ἔφατ', Ἀργεῖοι δὲ μέγ' ἴαχον, ἀμφὶ δὲ νῆες σμερδαλέον κονάβησαν ἀϋσάντων ὑπ' Ἀχαιῶν, μῦθον ἐπαινήσαντες Ὀδυσσῆος θείοιο· τοῖσι δὲ καὶ μετέειπε Γερήνιος ἱππότα Νέστωρ· ὦ πόποι ἦ δὴ παισὶν ἐοικότες ἀγοράασθε νηπιάχοις οἷς οὔ τι μέλει πολεμήϊα ἔργα.

Così disse, e gli Argivi rumoreggiavano molto, mentre attorno navi rimbombavano tremende

all’urlo degli Achei, che lodavano il discorso del divino Odisseo A questi rispose però Nestore gerenio, domatore di cavalli: ‘Ohimè, avete parlato come fanciulli

ingenui, ai quali nulla importa di belliche azioni.

Subito dopo il discorso in cui Odisseo ha esortato l’esercito acheo a fermarsi e a combattere per ottenere la presa di Troia, è Nestore a prendere la parola, per

49 Cfr. DE NAZARÉ FERREIRA, Evocação, 75. Lo studio offre peraltro un repertorio delle similitudini

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25

rimproverare i capi degli Achei. Per avviare la sua reprimenda, Nestore impiega un paragone che per Odisseo e gli altri deve risultare infamante: gli eroi sono paragonati a fanciulli, παῖδες (337) definiti con l’aggettivo νηπίαχος (338), diminutivo del più frequente νήπιος. Gli eroi sono assimilati da Nestore a bambini nel loro modo di pronunciare discorsi, ἀγοράασθε (337).

L’organizzazione, come anche il contenuto, del discorso di chi ha preceduto Nestore è stato infantile: è chiara, dunque, per Omero il valore negativo di questa immagine.50 2.1.1.2. O, 352-366 Ὣς εἰπὼν μάστιγι κατωμαδὸν ἤλασεν ἵππους κεκλόμενος Τρώεσσι κατὰ στίχας· οἳ δὲ σὺν αὐτῷ πάντες ὁμοκλήσαντες ἔχον ἐρυσάρματας ἵππους ἠχῇ θεσπεσίῃ· προπάροιθε δὲ Φοῖβος Ἀπόλλων ῥεῖ' ὄχθας καπέτοιο βαθείης ποσσὶν ἐρείπων ἐς μέσσον κατέβαλλε, γεφύρωσεν δὲ κέλευθον μακρὴν ἠδ' εὐρεῖαν, ὅσον τ' ἐπὶ δουρὸς ἐρωὴ γίγνεται, ὁππότ' ἀνὴρ σθένεος πειρώμενος ᾗσι. τῇ ῥ' οἵ γε προχέοντο φαλαγγηδόν, πρὸ δ' Ἀπόλλων αἰγίδ' ἔχων ἐρίτιμον· ἔρειπε δὲ τεῖχος Ἀχαιῶν ῥεῖα μάλ', ὡς ὅτε τις ψάμαθον πάϊς ἄγχι θαλάσσης, ὅς τ' ἐπεὶ οὖν ποιήσῃ ἀθύρματα νηπιέῃσιν ἂψ αὖτις συνέχευε ποσὶν καὶ χερσὶν ἀθύρων. ὥς ῥα σὺ ἤϊε Φοῖβε πολὺν κάματον καὶ ὀϊζὺν σύγχεας Ἀργείων, αὐτοῖσι δὲ φύζαν ἐνῶρσας.

Avendo così parlato, spinse i cavalli con la frusta

che teneva sulle spalle, richiamando i Troiani in schiera; quelli, urlando con lui, con voce divina

richiamavano i cavalli che spingono i carri: davanti Febo Apollo, abbattendo agevolmente coi piedi

50 Cfr. DE NAZARÉ FERREIRA, Evocação, 74. Altrettanto può dirsi per l’immagine infantile

ricorrente in Iliade, N e Y, l’immagine del νήπιος/νηπύτιος, immagine confinata esclusivamente a questi due canti (cfr. JANKO, Iliad, 84), nella quale l’immagine è rispettivamente riferita all’articolazione di un discorso (cfr. N, 292: ἀλλ' ἄγε μηκέτι ταῦτα λεγώμεθα νηπύτιοι ὣς, detto da Idomeneo a Merione) o alla descrizione del timore (cfr. Y, 200-201: Πηλεΐδη μὴ δὴ ἐπέεσσί με νηπύτιον ὣς /ἔλπεο δειδίξεσθαι, detto da Enea ad Achille). Sulla formazione di νηπύτιος a partire da νήπιος cfr. SPECHT,

νήπιος, 122-123. Per l’etimologia dei due termini si veda HEUBECK, Etymologien, 70-72, che

presuppone un’origine dal sostantivo *ἆπυς/*ἦπυς, ricollegabile al verbo ἀπύω e dunque intimamente connessa con la capacità di articolare espressioni vocali.

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26 le sponde d’un ampio rilievo, nel mezzo gettò un guado verso l’altra riva, lungo ed ampio, quanto lo è un tiro di lancia, quando un uomo la scaglia, mettendo alla prova la forza.

Come falange quelli vi si riversavano e davanti

stava Apollo, tenendo l’egida preziosa: distrusse il muro degli Achei molto facilmente, come quando un fanciullo abbatte la sabbia vicino al mare, lui che

dopo che ha creato un gioco, puerilmente

subito dopo coi piedi e con le mani, giocando, lo abbatte. Così tu, o nobile Febo, riversando molto dolore e lamento sugli Argivi, suscitando per loro la ritirata.

Di questa similitudine fanciullesca e giocosa è protagonista Apollo, a capo dell’offensiva troiana contro le schiere argive. La facilità con la quale Apollo riesce a distruggere una collina e a impiegarne la terra per creare un guado, κέλευθος (357) è posta in evidenza dall’avverbio ῥεῖα, che costituisce il terreno comune tra l’azione del dio e l’azione del fanciullo, essendo presente sia al v. 356 e al v. 362 (qui peraltro potenziato dall’intensivo μάλα).51 Apollo, qui ritratto in azione secondo le sue

prerogative di dio guerriero, è paragonato a un παῖς che, giocando sull’arenile, fa e disfa la propria creazione. Di creazione si può effettivamente parlare, perché il verbo utilizzato da Omero è ποιέω (363). Un verbo che non può non destare interesse, perché riferito alla divinità che presiede alla creazione poetica. Ciò non fa difficoltà, pure all’interno di un contesto bellico come questo: basti pensare alle frecce che Odisseo lancia durante la μνηστηροφονία (φ, 406-411) che risuonano come una cetra di un uomo esperto di canto e di musica.52

La similitudine che ha per protagonista Apollo, dunque, per quanto non strettamente legata alla produzione poetica, è interessante riguardo al nostro tema in quanto ha per protagonista il dio della poesia. Inoltre, il prodotto di Apollo è definito da Omero in questo passo dell’Iliade con il sostantivo ἀθύρματα (363), ossia diletto. Non si tratta di un lemma insignificante, ma di una parola che contiene la radice che

51 Per la rilevanza tematica della facilità con la quale Apollo distrugge il muro, cfr. DE NAZARÉ

FERREIRA, Evocação, 63.

52 Mentre KORENJAK, Intertextualität, 136-137 pensa a un parallelo tra il quindicesimo dell’Odissea

e il nono dell’Iliade (186-189), DE JONG, Narratological, 521 accosta φ, 406-411 al nostro luogo dell’Iliade.

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in Omero indica con più frequenza l’azione del gioco: ἀθύρω. Tale verbo compare al verso successivo (cfr. ἀθύρων, 364) in posizione finale a potenziare l’immagine.

È certo evidente che Omero qui non sia interessato alla caratterizzazione di Apollo come dio poeta; tuttavia l’impiego del verbo ἀθύρω non rimarrà inosservato. Omero dunque impiega immagini dell’infanzia e del gioco (che in questo caso risultano combinate insieme), intrecciando fin dall’inzio alcuni elementi che avranno un ruolo centrale nella riflessione poetica successiva.

2.1.1.3. Σ, 569-572

Il secondo passo fa parte dell’ecfrasi sullo scudo di Achille, più precisamente della descrizione della seconda città. Un fanciullo guida i festeggiamenti:

τοῖσιν δ' ἐν μέσσοισι πάϊς φόρμιγγι λιγείῃ

ἱμερόεν κιθάριζε, λίνον δ' ὑπὸ καλὸν ἄειδε 570 λεπταλέῃ φωνῇ· τοὶ δὲ ῥήσσοντες ἁμαρτῇ

μολπῇ τ' ἰυγμῷ τε ποσὶ σκαίροντες ἕποντο. In mezzo a costoro un fanciullo, con cetra sonora gradevolmente suonava e ben risuonava la corda con voce sublime: e quelli battendo il ritmo

assieme alla voce e al canto lo seguivano, coi piedi saltando.

L’atteggiamento del παῖς è quello di un vero e proprio aedo. Egli imbraccia la cetra sonora (569) e l’atto del canto è espresso con il verbo tecnico (ὑπ)ᾴδω. Il problema testuale non irrilevante che questo luogo pone riguarda il v. 570. Già Zenodoto ipotizzava che il soggetto di ἄειδε fosse la corda, λίνον appunto.53 Altri, invece, hanno ipotizzato che già in Omero vi fossero tracce del λίνον inteso come canto agreste. 54 Non si hanno, però, notizie di un simile canto prima della grande stagione

della lirica e, con più ampiezza, nella produzione tragica:55 una simile circostanza sembra, dunque, estranea a Omero. Van der Valk seguì l’ipotesi di Zenodoto, sottolineando peraltro che il λίνον, in quanto tipologia di canto, risultava triste, poco adatto al contesto conviviale e gioioso della scena.56

53 Ap. STEPHENS, Linus, 19. 54 Cfr. WEST, Orphic, 56-67. 55 Cfr. STEPHENS, Linus, 17, n. 19. 56 VAN DER VALK, Researches, 153-154.

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Sebbene il contesto non permetta di escludere l’ipotesi del canto, che vedrebbe λίνον costituire il complemento oggetto, il complesso sistema di richiami che si crea nel considerare λίνον soggetto suggerisce di propendere per quest’ultima ipotesi. Un παῖς posto al centro di un atto poetico, nelle vesti di un aedo, è fatto che desta ulteriore interesse, in quanto immagine fanciullesca positiva tra immagini fanciullesche negative in Omero.57

Al contrario, qui il παῖς assurge a personaggio positivo, la sua attività aedica ottiene il seguito (ἔποντο, 572) del pubblico e lo strumento che egli utilizza risuona bene, secondo una prassi che si ritrova nella μνηστηροφονία odissiaca (φ, 410-411), luogo non esente da risvolti poetici.58 Queste somiglianze, forse spia di un sapiente richiamo, suggerirebbero di considerare λίνον come complemento oggetto. Non va poi dimenticato che anche in altri luoghi non omerici, ma facilmente accostabili per la comunanza di espressione a questo passo, è possibile ritrovare tracce di questa immagine.59 Omero costruisce questi pochi versi dando loro una profonda coloritura

fanciullesca, non solo perché i fanciulli popolano la più ampia scena (cfr. i παῖδες dei vv. 554-556 e le παρθενικαί dei vv. 567-568), ma anche perché la stessa danza che scaturisce dal canto del παῖς ha una connotazione fortemente fanciullesca, filiale.60

Infine, non è necessario pensare che la connotazione agreste del canto del παῖς provenga dal termine λίνον: il παῖς produce il suo canto attorno a un laborioso contesto di raccolta agricola, come sottolineato dal verbo τρυγάω.61 Non è possibile escludere, data la rilevanza di questa immagine, che l’ideatore del termine τρυγῳδία, Aristofane, non considerasse questo luogo omerico quantomeno d’ispirazione nella sua connotazione fanciullesca.62

57 Cfr. SCHMITZ, Common, 160, sull’impiego delle immagini infantili in Omero.

58 Qui a risuonare è la corda dell’arco di Odisseo, mentre sono scagliate le frecce. Il termine impiegato

è, qui, νευρή.

59 SILVA, Linos, 126 ricorda che l’espressione ὑπὸ καλὸν ἄειδε ritorna anche nell’Inno a Hermes, vv.

53-54 e 501-502. Il terreno comune tra i due testi risiede, inoltre, nella connotazione fanciullesca dei due protagonisti del canto, il παῖς di Omero e Hermes.

60 Quest’ultima coloritura sarebbe garantita dall’utilizzo del verbo σκαίρω, che ricorre altrove in Omero

(κ, 412) per definire i vitelli saltellanti attorno alle madri: cfr. EDWARDS, Iliad, 226.

61 Sul significato del verbo τρυγάω, non ancora utilizzato per indicare esclusivamente la vendemmia,

cfr. EDWARDS, Iliad, 224.

62 Il termine τρυγῳδία è attestato in Ach. 499-500, parte della rhesis di Diceopoli. Il testo omerico e la

rhesis di Diceopoli negli Acarnesi non sono stati accostati sinora, ragion per cui è difficile ipotizzare,

per ora, un contatto stretto. Nondimeno, Diceopoli giunge a pronunciare la rhesis dopo essersi cinto delle fasce del Telefo di Euripide, immagine che, come si vedrà nel III capitolo, ha una connotazione fortemente fanciullesca. Sull’origine del termine τρυγῳδία in Aristofane cfr. TAPLIN, Trygedy, 333, con una posizione probabilistica, riprende la precedente idea di PICKARD-CAMBRIDGE, Dithyramb, 284 secondo cui l’origine del termine vada riscontrata nel verbo τρυγάω. OLSON, Acharnians,

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