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L’immagine poetica del gioco: innovazione e fissazione

Capitolo IV: L’immagine poetica del gioco in Aristofane

3. L’immagine poetica del gioco: innovazione e fissazione

La riflessione poetica innescata nelle Vespe costituisce un punto di svolta che obbliga lo stesso Aristofane a rivedere la propria immagine di poeta. Ad Aristofane serviva un’immagine poetica in continuità con quella precedente fanciullesca, come dimostra il volontario ancoraggio della produzione testuale alla καινότης, ma che avesse una sua praticabilità autonoma ascrivibile al poeta, che non è più καινός. La scelta, quasi obbligata, ricade sull’immagine poetica del gioco, così vicina peraltro all’ambito della commedia. In questo, il commediografo agisce tra la continuità rispetto all’immagine precedente da lui offerta e l’innovazione rispetto alla tradizione poetica precedente. La continuità ha carattere essenzialmente lessicale, in quanto il verbo impiegato da Aristofane per definire il suo gioco poetico è il verbo παίζω ed è immediatamente evidente la derivazione semantica dal sostantivo παῖς.

L’elemento di innovazione rispetto alla tradizione letteraria corrisponde a questa stessa scelta. L’immagine poetica del gioco, infatti, era sempre stata espressa in contesti di poetica nella tradizione precedente con il verbo ἀθύρω e con il sostantivo ἄθυρμα. Era così in Omero, in Bacchilide, nell’Inno a Hermes. Era così, e non può essere tralasciato, per i commediografi, soprattutto della generazione precedente a quella di Aristofane. Aristofane, invece, tenta di definire la sua attività poetica in maniera originale, distinguendola da quella altrui, praticando ancora una volta una matura strategia poetica di καινότης.

Queste considerazioni permettono di rispondere agli altri due interrogativi posti nell’introduzione. Anzitutto, per quanto riguarda la permanenza e la mutazione della tradizione nell’immagine poetica di Aristofane è possibile concludere che, mentre nell’immagine fanciullesca Aristofane risulta essere più ancorato alla tradizione precedente, nell’immagine poetica del gioco, invece, l’innovazione è forte: è il segno che Aristofane cerca di recuperare la καινότης che ha biograficamente perso attraverso una nuova elaborazione concettuale, fino a rendere il verbo παίζω tecnico della produzione comica.

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Relativamente al terzo interrogativo, quello sul rapporto effettivo tra infanzia e gioco, è possibile affermare che le due immagini poetiche risultino contigue e, solo parzialmente, connesse. La contiguità tra le due immagini è garantita dal genere letterario di applicazione, il genere della commedia, nel quale infanzia e gioco sono elementi scatenanti del fenomeno comico in quanto tale, la risata.

I testi analizzati nel IV capitolo mostrano il progressivo distacco dall’immagine poetica dell’infanzia. In quest’ottica, la parabasi della Pace, presenta ancora caratteristiche intermedie, perché persistono elementi riconducibili all’infanzia, ma riferiti alla Musa, alla quale il poeta si rivolge a più riprese. È la Musa, richiamata nel segno del mai dimenticato Esiodo, a essere caratterizzata in maniera infantile: Aristofane evoca gli spauracchi infantili per dissuaderla dal concedere il suo placet, viatico per l’affermazione agonale, ad altri autori, dipinti come mostri che possono essere considerati spaventosi solo in un’ottica infantile. Viceversa, Aristofane si caratterizza come autore adulto, maturo: la strategia di invocazione della Musa, infatti, ha ancora una volta una consonanza con i versi della Teogonia di Esiodo nei quali le Muse sono descritte con frasi che ne riecheggiano il nome. Così accade qui e, nell’imporre il nome alla sua Musa, Aristofane si rappresenta come autore maturo. Allo stesso tempo, però, chiede alla Musa di giocare con lui. E l’unico gioco possibile in questo contesto è quello che dà origine al testo. Prima di giungere all’immagine del gioco, Aristofane evoca la vittoria, la νίκη, avviando la costruzione di un modulo che successivamente si fisserà in maniera stabile.

Le testimonianze testuali delle Tesmoforiazuse permettono di comprendere a pieno che il processo del quale si trova traccia nella Pace è giunto a maturazione. Così, nella scena di Agatone, il principio di identità poetica è sostanzialmente considerato negativo o, al più, un meccanismo poetico tipico della prima fase dell’attività poetica, quello della formazione (παίδευσις). Una vera e propria palinodia rispetto agli

Acarnesi.

Nella parabasi delle Tesmoforiazuse, particolarmente articolata e pregevole per costruzione, l’infanzia non ha più spazio, mentre diviene preponderante l’immagine del gioco. Il testo si sviluppa attraverso diverse strutture concentriche, nelle quali l’attività del παίζειν costituisce i confini, mentre la νίκη è il fulcro: l’attività poetica è mezzo, ma anche fine, della vittoria agonale. La rappresentazione plastica di questa

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concettualizzazione sta nelle tre divinità che Aristofane menziona nella parabasi: Apollo ed Hermes e, tra loro, Demetra. Le prime due divinità sono associate al παίζειν, entrambe in quanto divinità che presiedono all’arte poetica (per Hermes è fondamentale ricordare l’Inno a lui dedicato), mentre Demetra, divinità chiamata in causa nella μίμησις della celebrazione del coro, è chiamata a concedere il suo benestare per la vittoria agonale.

Ulteriore riprova del valore squisitamente poetico del verbo παίζω è il suo impiego nel finale della commedia: l’associazione con il νηστεύειν, attività che caratterizza il coro comico in questo dramma, segna una specificità dei due verbi nell’indicare rispettivamente l’atto compositivo e la sua messa in scena, nella fattispecie del dramma rappresentato. L’eco di questo impiego del verbo παίζω giunge fino alle pagine di Platone, forte sostenitore dell’idea della produzione letteraria come παιδιά, il quale nel Teeteto impiega una formula molto simile per concludere il suo dialogo.

Da ultimo, la parodo delle Rane costituisce un’altra testimonianza di questo uso tecnico e oramai fissato nella struttura παίζω – νίκη – παίζω. Nella sua commedia più squisitamente letteraria tra quelle conservate, Aristofane moltiplica l’impiego di verbi tecnici, quali χλευάζω e σκώπτω. Questi sono però impiegati in maniera contingente, per indicare procedimenti specifici messi in atto all’interno della parodo. Al contempo, il verbo παίζω ha un suo valore assoluto, comprensibile solo in riferimento alla produzione poetica, come del resto era stato già ampiamente notato da Dover per questa parodo.

Al mutamento di immagine poetica corrisponde anche un mutamento nella produzione poetica, ora più orientata verso temi culturali e solo in seconda battuta politici. Allo stesso tempo, però, l’infanzia in quanto immagine non sparisce: Aristofane la reimpiega sempre in contesti di poetica, ma come immagine ironica per irridere la comicità facile o basata sulla riproposizione delle solite trovate sceniche (si vedano ad esempio le Nuvole).

In questa ampia e complessa indagine sull’immagine poetica di Aristofane nel suo procedere dall’infanzia al gioco, la parabasi delle Nuvole Seconde costituisce un ulteriore passo della riflessione poetica. Infatti, la parabasi si apre nel segno dell’infanzia autoriale, con l’immagine di Aristofane allevato da Dioniso, ma prosegue

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con l’immagine del giovane Aristofane/παρθένος ancora troppo giovane per generare. Ancora una volta, l’immagine poetica giunge ad un altro approdo, un approdo che, per quanto destinato a grande fortuna nella produzione letteraria successiva, in Aristofane presenta questa sola attestazione, nei termini di una riflessione così ampia.

Nella tendenza a modificare la propria immagine poetica da parte di Aristofane è possibile scorgere la sollecitudine dell’intellettuale per l’assenza di ascolto da parte della sua comunità. Un tentativo, dunque, di adattarsi a un destinatario diverso, rinnovato, ma che ha ancora bisogno di essere ammaestrato. Aristofane, nella coscienza di poter letteralmente dilettare il suo uditorio nel momento in cui lo ammaestra, non si arrende alle difficoltà comunicative e per questo, dalla duttile e vivace immagine poetica dell’infanzia passa a quella, più codificata, del gioco. Dopo la genialità, l’estro travolgente di inizio carriera, rappresentato attraverso immagini infantili, arriva il momento di una più tradizionale, seppur mutata nel lessico, rappresentazione di un’attività poetica matura, esperta, espressa dal gioco. Che da questa immagine di sé offerta dal poeta si sia originata la più ampia riflessione di Platone, atta a definire l’intera produzione letteraria come gioco è certo possibile, ma rimane tema approfondire. Resta il fatto che la giocosità nella letteratura greca, è vivda presso gli autori di ogni epoca e costituisce, fino ai felici approdi di Callimaco, un saldo legame testuale, un attento caso di tradizione letteraria. Traendo forza dall’immagine fanciullesca del poeta, l’immagine giocosa di sé offerta da Aristofane con le sue innovazioni lessicali, specchio di una riflessione poetica densa, aprirà certo la strada a nuove estensioni concettuali ma rimane cristallizzata, nella sua specifictà, all’interno della riflessione letteraria di Aristofane sul suo testo.

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Nuovi sviluppi di ricerca

Come spesso accade nello studio dei testi letterari, la conclusione dell’analisi porta a generare nuovi indirizzi di ricerca. Così è accaduto anche in questo caso: l’analisi del testo ha prodotto risultati che hanno, a loro volta, innescato nuove domande.

Anzitutto, in diversi snodi centrali ai fini del lavoro è stato necessario fare ricorso a Platone in quanto conoscitore del testo di Aristofane e dunque fonte fondamentale per l’esegesi del testo del commediografo. Dal momento che in Platone il concetto di produzione letteraria come atto giocoso, come παιδιά, è universalmente esteso a tutti i testi e non solo al teatro comico, è possibile tentare un’indagine che metta in relazione l’immagine poetica che Aristofane offre di sé è questa elaborazione di Platone.

Nondimeno, la riflessione poetica in Aristofane sembra poter essere desunta anche per la commedia frammentaria dell’Anfiarao, alcuni frammenti della quale sono stati già considerati in questo senso, senza però uno studio organico dell’intero corpus. Tale studio potrebbe offrire risultati nuovi.

Infine, l’autore che più ha influito nell’elaborazione poetica di Aristofane e nella ripresa di contenuti sembra essere, in relazione a questo tema, Esiodo. Una più serrata e organica disamina dei luoghi di contatto tra i due autori meriterebbe di essere considerata.

Questi, almeno, i più corposi temi di ricerca che si dipanano a partire dalle acquisizioni qui offerte. Che tutto questo possa vedere, un giorno, la luce è questione di εὐτυχία.

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