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L’immagine poetica dell’infanzia: strategie molteplici

Capitolo IV: L’immagine poetica del gioco in Aristofane

2. L’immagine poetica dell’infanzia: strategie molteplici

Dallo studio dei testi del III capitolo, è possibile affermare che l’infanzia in Aristofane non è mai menzionata direttamente in relazione alla produzione poetica di Aristofane, tuttavia alcune immagini di poetica ne presentano una persistente traccia che si può cogliere solo attraverso l’accostamento dei testi di Aristofane alla tradizione letteraria precedente. Ciò avviene in diversi modi.

Così, nella scena di richiesta di indumenti da parte di Diceopoli a Euripide negli

Acarnesi, Aristofane articola la riflessione sulla sua opera poetica su più livelli,

integrandovi la tradizione poetica precedente. Va anzitutto ricordato che Diceopoli è l’eroe comico più aderente alla figura biografica di Aristofane ed è questo personaggio che si avvicina a Euripide per ottenere i panni di un suo personaggio mendico, Telefo. Euripide concede che siano date a Diceopoli le fasce di Telefo, τὰ σπάργανα. Questa espressione è centrale perché rievoca l’Inno a Hermes, nel quale le fasce del dio sono fondamentali e sono i segni distintivi impiegati dal dio bambino quando pronuncia i suoi discorsi, cosa che dovrà fare anche Diceopoli. Al contempo, questa è la più giovanile delle commedie giunte integre a noi, dunque una simile rievocazione delle fasce infantili assume una potenza ulteriore, perché salda la precocità dell’autore alla novità della sua opera , prodotta in vicinanza alla lezione di Euripide ma allo stesso tempo profondamente innovativa: è una elaborazione, seppur abbozzata, della poetica della καινότης, la novità che caratterizza tanto l’autore quanto la sua opera, secondo il principio che abbiamo definito di “identità poetica” e che grande peso ha nella riflessione letteraria e biografica dei greci, a partire dai comici.

Aristofane rievoca l’infanzia anche attraverso coniazioni proprie collegate a questo ambito, come ad esempio il termine μορμολυκεῖον che, nei contesti di poetica nei quali è usato, indica l’arte comica esercitata da Aristofane e contiene in sé il termine Μορμώ, nome dello spauracchio femminile con il quale gli adulti spaventavano i bambini. È il

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caso del fr. 31 K.-A., proveniente dalla parabasi dell’Anfiarao, nel quale il sostantivo μορμολυκεῖον è associato all’aggettivo κωμῳδικός ed è impiegato come sineddoche per l’arte comica. Ma anche nel fr. 130 K.-A., proveniente dal Γῆρας i μορμολυκεῖα sono associati all’abitazione di Dioniso, dio del teatro, con un’evidente allusione al mondo della commedia. Filastrocche infantili possono poi essere usate nell’ammaestrare il pubblico, come accade nel fr. 404 K.-A., tratto dalle Isole, a riprova del fatto che a questa tematica Aristofane facesse ampio ricorso.

Altro contesto di rievocazione dell’infanzia è quello della descrizione del proprio esordio, elemento centrale dello studio. Infatti, Aristofane rivendica orgogliosamente la precocità dell’inizio della sua carriera. Questa concezione si attaglia perfettamente alla poetica messa in atto da Aristofane, la poetica della καινότης, che in questo modo assume un connotato ben diverso, più biografico, rispetto alla quasi formulare ricorrenza negli altri autori comici. Il testo principale che testimonia questo orgoglio per la precocità dell’avvio della carriera è senz’altro la prima parabasi delle Vespe. Qui, la riflessione poetica è dominata fin dall’inizio dallo scoramento per il mancato primo posto delle Nuvole Prime, scoramento che permea tutta la parabasi. Nella parabasi delle Vespe, Aristofane rievoca la sua carriera partendo dagli inizi, che vanno ricercati nell’apprendistato presso altri poeti più anziani. L’immagine che Aristofane usa è quella del ventriloquo Euricle, del quale il commediografo ha imitato l’arte mantica immettendosi nei ventri dei personaggi di scena. Il ventre, il γαστήρ, è il simbolo connotativo del personaggio anziano in commedia e questa immagine, facendovi riferimento, potenzia il contrasto tra personaggi anziani, frutto di una commedia già invecchiata, e Aristofane, il bambino prodigio della commedia ateniese che di lì a poco riformerà il modo di far ridere. È Plutarco a confermare che l’atto di Euricle possa essere considerato come παιδικόν.

Ma non si tratta dell’unico riferimento all’infanzia nella parabasi. Infatti, anche nella sezione nella quale Aristofane si dipinge come ἀλεξίκακος della regione Attica, ricorre a un’immagine infantile: l’ἀλεξίκακος infatti storna i mali giudiziari dai padri e dai nonni ateniesi ed è dunque ritratto allo stesso livello di un figlio. Essendo ἀλεξίκακος considerato attributo di Eracle, è possibile ipotizzare che Aristofane faccia qui riferimento alla gigantomachia nella quale Eracle, figlio di Zeus, fu fondamentale per la vittoria del padre, ottenendo in premio l’eterna gioventù attraverso il matrimonio con ἥβη.

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Inoltre, l’azione dello storno dei mali dalla regione ha una forte connotazione agricola, per la quale è possibile accostare il testo di Aristofane ai versi nei quali Esiodo descrive il νειός come ἀλεξιάρη e affresca un fanciullo intento a stornare dal campo gli uccelli che tentano di mangiare il seminato.

L’infanzia, dunque, permea potentemente la prima parabasi delle Vespe. Ma lo fa, per così dire, in modo retroattivo: queste immagini fanciullesche sono infatti ascritte da Aristofane alla fase iniziale della sua carriera, precisamente al suo apprendistato, all’esordio e alla fase politica. Questo dipende, probabilmente, dalla coscienza da parte di Aristofane di un mutamento del contesto. La sua sfavillante carriera ha subito una battuta di arresto con il mancato successo delle Nuvole prime, commedia nella quale il poeta aveva riposto molta fiducia. Questo fatto biografico è l’origine della riflessione poetica che Aristofane sviluppa a conclusione della parabasi delle Vespe. Del resto, le stesse immagini provenienti dai frammenti guardano a quelle fasi in maniera retrospettiva, mentre ora Aristofane afferma di essere giunto nella fase della maturità, quella che lui definisce il proprio γῆρας (l’omonima commedia è di poco successiva alle Vespe), a fronte dell’irruzione sulla scena di commediografi più giovani. Ciononostante, il commediografo continua a voler perseguire una poetica fondata sulla καινότης, ascrivendo, però, la novità alle sole opere, mentre prima καινότης dell’opera e καινότης biografica dell’autore coincidevano. L’immagine sconsolata di un Aristofane che dalle sue spoglie di autore maturo si obbliga a trarre novità di idee, crea una discrepanza tanto forte quanto inevitabile tra crescita autoriale e costante novità delle sue opere, ponendo in crisi la riflessione poetica offerta negli Acarnesi.

In questo senso, la scena del poeta mendico degli Uccelli testimonia che dopo la riflessione delle Vespe l’immagine poetica di Aristofane muta. Il poeta anonimo degli

Uccelli è anziano e, per quanto non sia tra i personaggi più bistrattati, costituisce un

paradigma negativo, perché offre una composizione poetica non fondata sulla realtà e soprattutto sulla novità. Questo affiora attraverso la connotazione dell’oggetto della composizione: Nefelococcugia. La città creata da Pisetero è, infatti, un bimbetto, un παίδιον nato da poco tempo, dunque non è possibile che il poeta la canti da molto e questo segna il discredito gettato da Aristofane su simili poeti: la tecnica intellettuale deve essere messa al servizio della novità concettuale, delle nuove tematiche, se non si vuole essere condannati all’immobilismo o, peggio ancora, a essere intellettuali privi di credito presso la comunità. Parallelamente, dunque, l’infanzia trova un suo spazio

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– non l’unico, invero – in relazione alla sola opera, più precisamente in relazione all’oggetto della produzione poetica.

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