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Nuovo approccio alla terapia della retinopatia diabetica mediante uso di nanoparticelle funzionalizzate

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Academic year: 2021

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1 DIPARTIMENTO DI BIOLOGIA

Corso di Laurea in Biologia Applicata alla Biomedicina

Curriculum Neurobiologico

Tesi di Laurea

Nuovo approccio alla terapia della retinopatia diabetica

mediante uso di nanoparticelle funzionalizzate

Relatore:

Prof. Giovanni Casini

Candidata: Lucia Gravino

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2

Indice

RIASSUNTO

………...4

ABBREVIAZIONI

………..8

1. INTRODUZIONE

………9

1.1 Retina e apparato visivo……….…..9

1.1.1 Cenni anatomici delle vie visive………...9

1.1.2 La retina: struttura neuronale e vascolare……….…11

1.1.3 Omeostasi retinica e risvolti patologici………..….17

1.2 La Retinopatia Diabetica……….………….…20

1.2.1 Ipotesi di esordio della patologia……….………….….20

1.2.2 Neurodegenerazione e infiammazione………..…24

1.2.3 Trattamenti e cure odierne………..….28

1.2.4 La neuroprotezione e le nuove frontiere di ricerca………...….30

1.3 La Nanomedicina………..….34

1.3.1 Sistema di controllo del rilascio di farmaci………..34

1.3.2 “Drug delivery system” in oftalmologia………..….37

1.3.3 Le Nanoparticelle Magnetiche (MNP)………....40

1.3.4 Le Nanoparticelle e la Retinopatia Diabetica………..42

2. SCOPO DELLA TESI

………..44

3. MATERIALI E METODI

……….45

3.1 Nanoparticelle Magnetiche (MNP)………...45

3.2 Colture cellulari………46

3.2.1 Saggio di proliferazione delle HREC………..46

3.2.2 Saggio di migrazione delle HREC (wound healing)………..47

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3

3.3 Modelli animali………..………...48

3.3.1 Iniezioni intravitreali……….………...49

3.3.2 Espianti ex vivo di retina………...……….50

3.3.3 Real TimeRT-PCR quantitativa (qPCR)………..………..51

3.3.4 Analisi istologica e immunoistochimica………..………52

3.4 Statistica……….………..53

4. RISULTATI

……….……….54

4.1 f-OCT e MNP-OCT inibiscono la proliferazione,la migrazione e la formazione di tubi da parte di HREC…………...………54

4.2 Sia f-OCT che MNP-OCT mostrano un’attività neuroprotettiva e riducono l’espressione della caspasi-3 in espianti di retina di retina di topo ex vivo………..……….57

4.3 Localizzazione delle MNP nella retina………...……...58

4.4 Tossicità delle MNP nella retina………...……..59

5. DISCUSSIONE

………61

5.1 La neuroprotezione………..62

5.2 f-OCT e MNP-OCT hanno la stessa efficacia sulle modificazioni indotte da VEGF in HREC………63

5.3 f-OCT e MNP-OCT hanno la stessa efficacia in un modello neurodegenerativo di espianti di retina ex vivo………...64

5.4 Localizzazione e tossicità delle MNP……….65

6. CONCLUSIONI

………...66

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4

RIASSUNTO

La retinopatia diabetica (DR) è una malattia multifattoriale della retina che culmina con la perdita della vista ed è la principale causa di cecità mondiale tra gli adulti. Essa è una complicanza del diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2, patologia che insorge quando nel sangue la concentrazione di glucosio è più alta del normale (iperglicemia). L’eccesso di glucosio in circolo porta a complicanze funzionali in molti organi e tessuti, tra cui, quelli nervosi. L’attività delle cellule nervose dipende da un adeguato apporto di glucosio, per questo il diabete determina profondi impatti anche sul tessuto neurale retinico, essendo un organo energeticamente dispendioso e ad alto consumo d’ossigeno. La classificazione generale di DR la suddivide in due stadi principali: DR non proliferante, solitamente più precoce, e DR proliferante che rappresenta la forma più avanzata ed invalidante della patologia. La prima fase è caratterizzata da sofferenza e degenerazione neuronale, documentata tramite tomografia a coerenza ottica in pazienti affetti da diabete, in cui si evidenzia un assottigliamento della retina. Inoltre, diversi studi mostrano che nei ratti in cui è stato indotto il diabete, l’elettroretinogramma (ERG) risulta alterato, così come il test dell’acuità visiva. Nella seconda fase, si ha la formazione di micro-aneurismi accompagnati da emorragie. I neuroni retinici risentendo della mancanza di ossigeno e glucosio, rilasciando molecole ad azione proangiogenica, tra cui, il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF), che stimola la proliferazione dei vasi, determinando disordini funzionali e meccanici da trazione quindi il distacco di retina.

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5 I trattamenti oggi in atto si diversificano a seconda dello stadio della malattia. Poiché il VEGF è uno dei principali responsabili dell’angiogenesi aberrante, i farmaci utilizzati negli ultimi 10 anni sono molecole che ne inibiscono l’azione e vengono iniettate a livello intravitreale.

Il blocco dell’azione del VEGF mirato all’inibizione della neoangiogenesi ha un’importante limitazione legata alla sua funzione di neuroprotettore fisiologico nell’organo in questione. E’ stato osservato, infatti, sia sperimentalmente che clinicamente, che l’inibizione radicale del

pathway di questa molecola determina comunque neurodegenerazione

e perdita di funzionalità della retina.

Per questo motivo, preferendo agire a monte della malattia, ancor prima che compaiano alterazioni vascolari evidenti, sono stati validati alcuni trattamenti mirati alla neuroprotezione nella fase non proliferativa. Un neuroprotettore endogeno molto efficace è la somatostatina. Esso possiede 5 sottotipi di recettori espressi nella retina, uno di questi, sst2r, è particolarmente presente nelle cellule bipolari ed è coinvolto nel controllo del rilascio di glutammato, il cui accumulo conduce ad eccitotossicità. E’ stato dimostrato che la stimolazione dei recettori sst2r con analoghi sintetici della somatostatina, come l’Octreotide (OCT), garantirebbe maggiore protezione alle retine e minore degenerazione neuronale.

Il trattamento con questo farmaco è però soggetto a diverse limitazioni. Esso, infatti, se somministrato in modo sistemico porterebbe allo sconvolgimento dell’omeostasi del sistema neuroendocrino.

Di conseguenza, l’unica somministrazione possibile è quella intravitreale con la limitazione legata alla breve emivita di questo

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6 farmaco che porta ad un aumento della frequenza di trattamento, con rischio d’incorrere in complicanze iatrogene.

La biodisponibilità del farmaco può essere migliorata con l’impiego di nanoparticelle ferro-magnetiche (MNP) che fungono da trasportatori. Esse sono costituite da una superficie polimerica in grado di mimare specifici anticorpi o recettori biologici, un core ferro-magnetico e presentano una matrice polisaccaridica di acido glucuronico, un derivato del glucosio necessario al legame con i farmaci.

E’ stato già dimostrato da studi recenti su embrioni di Zebrafish che la funzionalizzazione di tali particelle e la loro somministrazione intraoculare migliorano l’emivita e l’efficacia di farmaci a funzione neuroprotettiva.

L’obiettivo dello studio è quello di analizzare l’efficacia del trattamento che prevede la funzionalizzazione delle MNP con OCT andando a compararla con il trattamento con octreotide libero (f-OCT). Dopo aver valutato la localizzazione, la bioattività e l’eventuale tossicità delle nanoparticelle, i parametri ancora da comparare tra MNP-OCT ed f-OCT sono: rilascio, emivita ed efficacia relativa concentrazione-dipendente.

I test iniziali sono stati condotti su modelli sperimentali diversi, tra cui saggi in vitro di migrazione, proliferazione e tube formation indotti da VEGF in una linea di cellule endoteliali retiniche umane, colture ex-vivo di espianti retinici esposti a condizioni di stress ossidativo e iniezioni intravitreali di MNP-OCT e f-OCT in un modello di neurodegenerazione retinica in-vivo.

I risultati preliminari confermano che le MNP utilizzate come carriers non mostrano tossicità alla concentrazione utilizzata, e che il farmaco mostra una bioattività assolutamente invariata se legato a MNP, sia nei

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7 saggi su cellule endoteliali, sia nella funzione neuroprotettiva sulla retina.

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ABBREVIAZIONI

AGE prodotti avanzati della glicazione BRB barriera emato retinica

DME edema maculare retinico DR retinopatia diabetica ERG elettroretinogramma

GCL strato delle cellule ganglionari HIF hipoxia-inducible factor

INL strato nucleare interno IPL strato nucleare esterno MNP nanoparticelle magnetiche NP nanoparticelle

NPDR retinopatia diabetica non proliferativa OCT octreotide

ONL strato nucleare esterno OPL strato plexiforme esterno PB tampone fosfato

PBS tampone fosfato salino

PDR retinopatia diabetica proliferiva RPE epitelio retinico pigmentato SST somatostatina

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1. INTRODUZIONE

1.1 Retina e apparato visivo

1.1.1 Cenni anatomici delle vie visive

La vista è considerata il più importante dei cinque sensi dato che l’80% delle informazioni che il cervello riceve quotidianamente proviene dagli occhi. La vita di relazione dell’uomo è dominata dalla vista che, essendo un senso molto veloce, permette di reagire rapidamente agli stimoli esterni.

La luce proveniente dall’esterno attraversa la cornea e la pupilla e passa attraverso il cristallino, lente biconvessa e trasparente che fa convergere i raggi luminosi direttamente sulla retina.

La retina è distinta in una regione nasale e temporale definite a seconda della loro posizione rispetto alla fovea, regione centrale dell’organo in cui l’acuità visiva è massima. Le fibre del nervo ottico provenienti dall’emiretina nasale decussano al chiasma ottico proiettando l’informazione visiva all’emisfero cerebrale controlaterale; la fibre dell’emiretina temporale, invece, non decussano proiettando direttamente all’emisfero cerebrale ipsilaterale.

Per questo motivo l’emisfero destro è informato su ciò che accade nell’emicampo sinistro e viceversa, permettendo una rappresentazione dello spazio crociata. Il perché ci sia tale decussazione è fornito da una spiegazione del tutto tautologica, attribuibile ad una migliore

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10 fascicolazione delle fibre e sfruttamento dello spazio, altrimenti limitato all’interno del cranio.

Gli assoni di tutte le cellule ganglionari retiniche confluiscono nel disco ottico, e vanno a formare, bilateralmente, i nervi ottici formati prevalentemente da fibre mieliniche. I nervi ottici proiettano al chiasma ottico, dove le fibre di ciascun occhio destinate a incrociarsi si separano per ricomporre i due tratti ottici insieme alle fibre che restano ipsilaterali. I tratti ottici proiettano a tre stazioni principali: l’area pretettale del mesencefalo coinvolta nel controllo del riflesso pupillare, il collicolo superiore che gestisce i movimenti saccadici dell’occhio e il corpo genicolato laterale. Quest’ultimo riceve il novanta percento degli assoni retinici ed è la più importante stazione sottocorticale che trasmette le informazioni visive alla corteccia visiva primaria, specializzata nel riconoscimento dell’informazione [1].

Un secondo processamento viene svolto dalla corteccia visiva associativa dei lobi occipitale, parietale e temporale, deputata al riconoscimento dei colori, alle caratteristiche anatomiche e strutturali di un oggetto e alla percezione dello spazio in cui questo si trova.

Sebbene ogni componente cerebrale e nervosa sia essenziale per la visione, senza la retina non ci sarebbe alcun processamento dell’informazione nelle aree sopra citate.

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Figura 1. Organizzazione anatomica delle vie visive. Tratto dal sito http://iapb.it

1.1.2 La retina: struttura neuronale e vascolare

La retina è una membrana nervosa formata da cellule neuronali derivanti dal foglietto embrionale ectodermico [2]. Essa ha la forma di un disco circolare di diametro compreso tra i 30-40 mm e di spessore di circa 0.5 mm e occupa la parte posteriore dell’occhio [3].

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Figura 2. Rappresentazione generale dell’occhio umano e dei suoi

componenti. Una porzione di retina è stata ingrandita sulla destra, denominandone

gli strati [4].

Essendo un tessuto altamente organizzato in senso laminare, la retina gode di una specifica gerarchia funzionale. Essa infatti, è suddivisa in tre strati cellulari e due strati di sinapsi. I tre strati in cui risiede il soma dei neuroni sono: lo strato nucleare esterno (Outer nuclear layer, ONL), strato nucleare interno (Inner nuclear layer,INL) e strato delle cellule ganglionari (Ganglional cells layer, GCL); mentre, i due strati in cui sono poste le sinapsi riguardano lo strato plessiforme esterno (Outer

plexiform layer, OPL) e lo strato plessiforme interno (Inner plexiform layer,INL).La retina possiede cinque tipi di neuroni: fotorecettori, cellule

orizzontali, cellule bipolari, cellule amacrine e cellule ganglionari [5]. L’ONL è lo strato più esterno della retina prossimo all’epitelio pigmentato (RPE), la cui funzione è quella di assorbire la luce proveniente dall’esterno per evitarne il riflesso e quindi una distorsione dell’immagine visiva.

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13 L’ONL è la sede in cui risiedono i corpi cellulari dei fotorecettori distinti in coni e bastoncelli. I bastoncelli hanno un’estrema sensibilità alla luce e possono individuare anche un singolo fotone [6-7], per questo sono adatti a una visione scotopica e notturna. I coni sono molto meno sensibili ma rispondono molto più velocemente durante la fototrasduzione [8].

Entrambi i fotorecettori usano il glutammato come neurotrasmettitore e sinaptano attraverso l’OPL con i neuroni di secondo ordine ovvero le cellule bipolari, il cui soma risiede nell’INL insieme a quello delle cellule orizzontali. Le bipolari possono essere inizialmente suddivise in due maggiori classi: bipolari dei coni e dei bastoncelli. Un’ulteriore suddivisione è data dalla loro funzione: bipolari che depolarizzano (ON) e che iperpolarizzano (OFF) all’incremento dell’intensità luminosa. Il segnale codificato è immediatamente trasmesso alle cellule ganglionari e amacrine attraverso l’IPL. Le cellule ganglionari hanno il soma nel GCL e sono gli unici neuroni che fuoriescono dalla retina e proiettano i loro assoni alle aree visive centrali [9].

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Figura 3. Riproduzione schematica della struttura e dei tipi cellulari specifici

per ogni strato della retina [10].

Oltre ai neuroni, sono presenti componenti altrettanto importanti e indispensabili per la funzionalità retinica, tra cui le cellule gliali che sono: le cellule di Müller, gli astrociti e la microglia.

Le cellule di Müller sono la componente gliale più predominante nella retina. Queste cellule sono responsabili del supporto omeostatico e metabolico dei neuroni e della regolazione dell’attività sinaptica nell’INL; inoltre, contribuiscono ad incrementare l’assorbimento dei fotoni da parte dei coni.

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15 Gli astrociti, invece, durante lo sviluppo della retina migrano dal cervello lungo il nervo ottico, ed esercitano un importante ruolo di supporto strutturale per la retina [11].

Il terzo tipo di cellule gliali è la microglia costituita da macrofagi specializzati responsabili dell’omeostasi tissutale. In un occhio sano queste cellule immunitarie sono localizzate in tre sedi: GCL, IPL e OPL e possiedono una morfologia altamente ramificata che consiste nell’avere piccoli somi e processi cellulari multipli. In risposta a infiammazione tali processi vengono ritratti e le cellule assumono una aspetto corpulento. Qualche decennio fa si pensava che la microglia fosse statica e si trovasse in un perenne stato di riposo. Oggi è evidente che i suoi processi cellulari siano altamente mobili e che grazie alla loro estensione, rimodellamento e retrazione sorveglino continuamente l’ambiente circostante [12].

Figura 4. Riproduzione

schematica delle cellule di Müller e degli astrociti nello spessore della retina [13].

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16 Comunque, affinché le cellule svolgano una corretta funzionalità è importante che ci sia un’adeguata irrorazione sanguigna. La retina, infatti, è l’organo dell’uomo a maggior consumo d’ossigeno per unità di peso data l’incessante attività metabolica dei suoi neuroni. L’ approvvigionamento di sangue al tessuto è dato da due fonti: arterie posteriori ciliari che forniscono la riserva di sangue alla coroide e arteria retinica centrale che emerge dal nervo ottico.

La funzione primaria della circolazione coroidale è quella di provvedere al nutrimento e al rifornimento di ossigeno della retina esterna, in particolare dell’ONL e parzialmente dell’OPL. Infatti, la parete dei coriocapillari posti dietro la membrana di Bruch è fenestrata in modo che il passaggio di fluidi e macromolecole al compartimento extracapillare sia facilitato. Tuttavia, il movimento passivo di questi nutrienti dovuto alla permeabilità dei vasi non raggiunge lo spazio subretinico perché viene bloccato dalle giunzioni occludenti che formano una fitta cintura vicino al bordo apicale dell’RPE. In questo modo l’RPE si comporta come la porzione più esterna della barriera ematoretinica.

La retina interna è largamente vascolarizzata dall’arteria retinica centrale che, entrando nell’occhio si divide in due branche maggiori, le quali ramificandosi ulteriormente formano l’arteria nasale e temporale superiore e l’arteria nasale e temporale inferiore che rispettivamente forniscono di sangue i quattro quadranti della retina. Le arteriole e le venule che si formano dalle arterie e vene retiniche formano un’estesa rete capillare che percorre internamente tutta la retina fino al bordo più esterno dell’INL. Normalmente, gli strati retinici più esterni così come la fovea sono avascolari e il nutrimento è fornito esclusivamente dalla diffusione di nutrienti provenienti dalla coroide [14].

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Figura 5. Riproduzione schematica dei comparti vascolari della retina [15].

1.1.3 Omeostasi retinica e risvolti patologici

L’occhio umano è un organo altamente sofisticato e complesso, basti pensare chela sua intera porzione anteriore svolge il solo scopo di focalizzare un’immagine precisa del mondo esterno sulla retina [16]. Ne deriva che ogni componente ottica e visiva sia indispensabile e debba essere preservata, per questo motivo l’occhio si serve delle barriere emato-oculari. Esse sono suddivise in due grandi sistemi: barriere emato-acquosa e barriera emato-retinica (Blood-retinal barrier, BRB), che sono fondamentali per mantenere l’occhio come una sede privilegiata del corpo, regolando il contenuto dei suoi fluidi e preservando i tessuti oculari interni dalle variazioni che avvengono costantemente nella circolazione sistemica.

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18 La BRB consiste in una componente interna (Inner blood-retinal barrier, iBRB) e una esterna (Outer blood-retinal barrier, oBRB). Entrambe sono costituite da giunzioni serrate e selettive volte a regolare il flusso di ioni, proteine e acqua tra i letti vascolari e il tessuto retinico. La struttura della iBRB è formata da uno strato continuo di cellule endoteliali che giacciono su una lamina basale coperta dai processi degli astrociti e delle cellule di Müller. Incapsulati sulla lamina basale si trovano anche i periciti che però non formano uno strato continuo. Astrociti, cellule di Müller e periciti sinergicamente influenzano l’attività delle cellule endoteliali retiniche e della iBRB trasmettendole segnali regolatori che indicano cambiamenti nel microambiente del circuito neuronale. Anche la oBRB è costituita da giunzioni serrate presenti tra le cellule dell’RPE retinico. L’RPE è formato da un singolo strato di cellule endoteliali unite lateralmente al loro apice e posate sulla membrana di Bruch sottostante. Il suo ruolo è quello di separare la retina neurale dai coriocapillari fenestrati per regolare l’accesso di nutrienti dal sangue ai fotorecettori ed eliminare i prodotti di scarto.

Il ruolo di entrambe le barriere è reputato critico per il mantenimento della visione, suggerendo che una stretta collaborazione tra neuroni, cellule vascolari e glia sia necessaria per il mantenimento dell’omeostasi retinica. Ad esempio, un elevato flusso di sangue alla coroide può essere spiegato come la necessità non solo di supplire alla domanda di ossigeno e metaboliti da parte della retina e dell’RPE, ma anche come il bisogno di rimuovere rapidamente i prodotti di scarto derivati da un elevato metabolismo dell’organo [17-18].

In alcune situazioni cliniche, l’alterazione della permeabilità vascolare è strettamente legata ad un gran numero di patologie che prendono il nome di retinopatie. Lo squilibrio tra la domanda e la fornitura di ossigeno e nutrienti attraverso la BRB conduce ad una angiogenesi

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19 patologica sottoscritta in patologie quali: retinopatia del prematuro, degenerazione maculare senile e retinopatia diabetica [19]. Esse affliggono pesantemente la popolazione mondiale e sono accumunate dallo stesso fattore scatenante: l’ipossia, intesa come insufficiente apporto d’ossigeno alle cellule. La maggior parte delle risposte trascrizionali dovute a una diminuzione significativa di ossigeno, sono mediate dal fattore indotto dall’ipossia (Hipoxia Inducible Factor, HIF), fattore di trascrizione altamente conservato che controlla la trascrizione di numerosi geni pro-angiogenici e coinvolti nella regolazione del ciclo cellulare. La maggiore risposta allo stress cellulare è mediata da HIF-1 e HIF-2, ma ad oggi ci sono centinaia di geni target degli HIF identificati che includono gli HIF-1alfa e HIF-2α, ecc. In condizioni ipossiche la subunità HIF-1α trasloca nel nucleo e recluta dei coattivatori trascrizionali per favorire la trascrizione di geni target, tra cui, il fattore di crescita endoteliale vascolare (Vascular endothelial growth factor, VEGF) per promuovere l’angiogenesi e l’eritropoietina per garantire l’eritropoiesi e non solo, insieme ad essi vengono attivati i promotori dei geni coinvolti nella proliferazione cellulare, nella sopravvivenza e nel metabolismo cellulare.

Grazie alla sua funzione volta a ristabilire una condizione normossica, HIF è coinvolto in numerose condizioni ischemiche. L’ischemia retinica insorge quando la circolazione è insufficiente e non riesce a rispondere alla domanda metabolica dell’organo. L’iperglicemia cronica associata al diabete mellito produce prodotti avanzati finali della glicazione (Advanced glycation end-products, AGEs) che causano l’occlusione dei capillari retinici. Di conseguenza, il sangue non circola correttamente e dà origine ad aree retiniche ischemiche con conseguente produzione di VEGF mediante l’attivazione di HIF-1. Ciò può condurre a una

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20 potenziale condizione di cecità data da uno stato avanzato della malattia, la “retinopatia diabetica proliferativa” [20].

1.2 La retinopatia diabetica

1.2.1 Esordio e sviluppo della patologia

La DR è una frequente complicanza del diabete mellito ed è la più grande causa di cecità mondiale tra gli adulti nei paesi sviluppati [21]. Il diabete è una patologia metabolica che insorge a seguito di una ridotta secrezione d’insulina da parte delle cellule beta del pancreas (diabete mellito di tipo 1), oppure a causa di una mancata risposta delle cellule target alla presenza dell’ormone pancreatico (diabete mellito di tipo 2), determinando nel sangue elevate concentrazioni di glucosio (iperglicemia). L’eccesso di glucosio ematico porta all’insorgenza di complicanze vascolari e non-vascolari in molti organi, tra cui, quelli nervosi [22]. Il tessuto nervoso necessita del glucosio per svolgere una normale attività metabolica e la retina, essendo un organo energeticamente dispendioso e ad alta richiesta d’ossigeno, dipende strettamente da un adeguato rilascio del substrato dalla circolazione sistemica [23].

La DR è una malattia che affligge circa 4,2 milioni di persone in tutto il mondo e questo numero è destinato ad aumentare. Secondo la Classificazione Clinica Internazionale, la DR può essere suddivisa in due tipologie principali: DR non proliferante (NPDR) e DR proliferante (PDR) in cui si evidenzia una marcata angiogenesi. Un’importante differenza tra le due è che la prima può esser tenuta sottocontrollo

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21 monitorando i livelli di glucosio ematici per evitare che evolva nella PDR, in cui la visione è seriamente compromessa.

Figura 6. Illustrazione della retina sana e della retina affetta da DR. Immagine tratta da htttp:/maxivisionhospital.wordpress.com

Comunque, l’eziologia è complessa e ancora non del tutto chiara; i meccanismi patogenici coinvolti sono neuronali, vascolari e immunologici. Uno dei primi cambiamenti che avviene nella retina è la riduzione della perfusione vascolare visibile attraverso un esame oftalmologico del fondo oculare. Il ridotto supplemento di sangue scatena una serie di reazioni metaboliche avverse, tra cui, ischemia, angiogenesi compensatoria e infiammazione che in ultima analisi si concludono con la degenerazione retinica [24].

I primi studi sulla DR vennero effettuati intorno agli anni ‘50 da Wolter, ma nel 1962 Bloodworth investigò sui cambiamenti neuropatologici che avvenivano in pazienti affetti da diabete e offrì la seguente ipotesi: ”la

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22 retinopatia diabetica è un disordine complesso e degenerativo di tutti gli elementi della retina, probabilmente dovuto a un principale difetto metabolico o enzimatico delle cellule e non legato a un danno vascolare”. Questa osservazione fu ben presto dimenticata, lasciando più ampio spazio alla teoria del disordine microvascolare, i cui effetti sono l’aumento della permeabilità vasale, l’edema e la proliferazione delle cellule endoteliali. Tuttavia, studi recenti hanno evidenziato un ridotto spessore del GCL e dell’INL nella macula di pazienti affetti da diabete ma esenti dalla diagnosi di DR [25], e un ridotto spessore dell’OPL nel sito della fovea. Inoltre, altri cambiamenti che precedono l’inizio di segnali chimici includono leucostasi nella vascolarizzazione retinica, riduzione del flusso sanguigno, perdita dei periciti sull’endotelio vascolare, occlusione capillare e ipossia localizzata [26-27-28-29]. Ci sono quattro tipi di NDPR suddivisi in base allo stato di gravità della malattia: nessuna retinopatia apparente, esente da modifiche del fondo oculare; NPDR lieve, caratterizzata dalla presenza di pochi aneurismi;

NPDR moderata, quando sono presenti molti microaneurismi, essudati

e grovigli vascolari; NPDR grave quando sono presenti continue emorragie in ognuno dei quattro quadranti retinici e grovigli vascolari in due o più di questi.

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23

Figura 7. Illustrazione del fondo oculare in differenti stadi di DR [30].

La neovascolarizzazione segna il passaggio dalla NPDR alla PDR. In risposta alla ridotta perfusione e alle insorgenti emorragie, all’interno dell’organo avviene un’anormale crescita dei vasi sanguigni. Tali vasi sono problematici perché i globuli rossi assorbendo la luce oscurano la visione, inoltre non crescendo più sul piano, bensì verso il corpo vitreo provocano trazione e quindi il distacco della retina [31].

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24 Un’ulteriore complicazione della DR è l’edema maculare diabetico (DME) che affligge soprattutto i pazienti con diabete di tipo 2. Esso si sviluppa a seguito dell’accumulo intraretinico di fluidi a causa della rottura della BRB e delle perdite che avvengono in capillari e arteriole. In principio l’edema è intracellulare e le prime cellule colpite sono le cellule di Müller che in risposta all’insulto rigonfiano e vanno incontro ad apoptosi. Le cellule bipolari, ganglionari e i fotorecettori subiscono un’elongazione presinaptica e una riduzione dei propri prolungamenti; tuttavia, l’edema è reversibile se migliora lo status metabolico. Dopo questa prima fase, il liquido attraversa la membrana cellulare e accumulandosi nello spazio interstiziale, forma delle cisti. Le cisti nascono negli strati più interni della retina e avanzano verso quelli più esterni divenendo sempre più grandi e visibili attraverso la fluorangiografia retinica. Nell’ONL ed OPL l’edema deposita lipidi ed essudato duro, di conseguenza si ha la rottura dell’RPE, accumulo di edema e distacco della retina [32].

1.2.2 Neurodegenerazione e infiammazione

Mentre la teoria della disfunzione vascolare è ancora in dibattito, negli ultimi anni è stata valutata largamente l’ipotesi che le alterazioni della funzionalità retinica si manifestino sin dall’inizio del diabete.

Anomalie funzionali, come la perdita della discriminazione cromatica e della sensibilità al contrasto, si verificano ancor prima che compaiano danni visibili ai vasi, suggerendo che il diabete abbia un effetto diretto sulla neuroretina e che le modifiche funzionali di quest’ultima non siano

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25 subordinate alla rottura della BRB [33]. Vecchi studi mostrano che il potenziale oscillatorio dell’elettroretinogramma (ERG), in soggetti diabetici esenti dal fenotipo retinopatico e anche in modelli animali in cui è stato indotto il diabete, risulta essere alterato. Infatti, l’ampiezza del potenziale oscillatorio in individui giovani, in cui il diabete di tipo 1 era stato diagnosticato da circa5 anni, era ridotta ancor prima che sviluppassero la DR [34]. A confermare l’ipotesi è uno studio programmato su animali. L’ERG è stato misurato in ratti diabetici che mostrano picchi di latenza prolungati, e in alcuni casi, una riduzione dell’ampiezza del potenziale oscillatorio delle onde [35]. Questi dati suggeriscono che le anomalie nell’ERG siano dovute ai primi cambiamenti fisiologici probabilmente reversibili sulla retina e non dovuti a una compromissione neuronale permanente.

Nelle prime manifestazioni del diabete degenerano anche il nervo ottico e i pathways visivi, infatti, uno studio ha dimostrato un progressivo ritardo dei potenziali evocati visivi nei diabetici 6 anni dopo l’insorgenza della malattia [36]. Altri risultati clinici sono pervenuti da studi sulle fibre delle cellule ganglionari dei roditori, nei quali si evidenziano nervi ottici con fibre nervose significativamente più piccole e atrofiche e con un leggero ispessimento della lamina basale dei vasi sanguigni.

Tutti questi fenomeni sono accompagnati da una marcata attivazione gliale che si manifesta mediante maggiore immunoreattività e un’espressione aberrante della proteina gliale acido fibrillare (GFAP), sia nelle cellule di Müller che negli astrociti, anche in pazienti non affetti da DR [37]. Poiché la funzione gliale è quella di produrre fattori che modulano il flusso sanguigno, la permeabilità vascolare e la sopravvivenza cellulare, è probabile che la glia abbia una funzione chiave nella patogenesi della microangiopatia retinica. Ad esempio, le cellule di Müller mantengono l’omeostasi dell’ambiente extracellulare

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26 della retina eliminando il glutammato dal vallo sinaptico e riforniscono glutammina ai neuroni affinché il glutammato venga sintetizzato, per poter essere riutilizzato come neurotrasmettitore. L’abilità di riconversione della glia in ratti diabetici è ridotta e per questo motivo il glutammato si accumula nel tessuto retinico provocando eccitotossicità e un inizio precoce di neurodegenerazione.

Inoltre, l’iperglicemia indotta dal diabete induce una sovrapproduzione mitocondriale di specie reattive dell’ossigeno (ROS)[38]. L’eccesso di glucosio in circolo porta alla saturazione dell’esochinasi, enzima iniziatore della glicolisi, inducendo l’attivazione del pathway dei polioli, in cui l’enzima aldoso-reduttasi catalizza la riduzione del glucosio in sorbitolo mediante una reazione NADPH-dipendente. Il sorbitolo è successivamente convertito in fruttosio ad opera della sorbitolo deidrogenasi. Ciò determina una serie di alterazioni che includono uno squilibrio osmotico, dovuto all'accumulo intracellulare di sorbitolo, e una riduzione delle capacità antiossidanti legate all’incremento nel consumo di NADPH ed un aumento di fruttosio che sembra essere un potente agente glicante. Lo stress ossidativo è subordinato all’accumulo di ROS ed è legato a cambiamenti istopatologici quali ispessimento della membrana basale e perdita di cellule endoteliali e periciti. L’accumulo degli AGE aumenta la produzione dei ROS e diminuisce la produzione del glutatione, antiossidante che ha la funzione di inibirli. Tutti questi

pathways sono fondamentali nello sviluppo della DR poiché inducono

infiammazione [39]. L’infiammazione è la causa principale che porta ai danni vascolari. Molecole segnale, tra cui citochine proinfiammatorie e chemochine, provocano una disorganizzazione/riorganizzazione delle giunzioni aderenti e serrate presenti nell’endotelio dei vasi generando la rottura della BRB e uno stravaso di componenti ematici. L’occlusione e la degenerazione vascolare sono caratteristiche tipiche della DR e i

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27 meccanismi con cui si manifestano coinvolgono citochine infiammatorie come il TNF-alfa e l’IL-1beta, note nell’aumentare l’attività della caspasi-3 e ad indurre apoptosi nelle cellule endoteliali [40-41]. Inoltre, l'occlusione capillare può essere causata dalla leucostasi se il numero di leucociti richiamati in circolo cresce smisuratamente bloccando il flusso sanguigno a causa del loro grande volume cellulare e all'alta rigidità dovuta al loro attaccamento transitorio alle pareti dei vasi.

L’ipossia instauratasi nel tessuto, in seguito ai diversi meccanismi sopra menzionati, induce l’espressione di VEGF, coinvolto nella permeabilità e nella proliferazione vascolare. Esso è presente nel vitreo di pazienti affetti da DR e DME e i suoi livelli sono proporzionali allo stadio della patologia. La sua attivazione mediata da HIF potrebbe facilitare il trasporto di fluidi e componenti ematici nello spazio extracellulare mediante la rottura del complesso giunzionale [42]. Alla rottura della BRB ne deriva il richiamo della protein chinasi C che fosforila le proteine facenti parti delle giunzioni serrate(occludine) e aderenti (caderine), disassemblandole e contribuendo a una maggiore permeabilità vascolare [43]. E’ stato riportato in diversi studi che la concentrazione di VEGF e dei suoi recettori, VEGF-R, sono ampiamente aumentati sia nella retina di animali modello affetti da retinopatia ischemica che in quella di pazienti diabetici affetti da PDR e DME. I meccanismi attraverso cui il VEGF induce l’angiogenesi sono diversi e tutti accumunati dall’upregolazione di fattori critici quali PKC, serin-proteasi e metallopeptidi, cruciali per favorire la proteolisi della membrana basale e quindi l’angiogenesi [44].

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Figura 8. Illustrazione dei differenti pathways che conducono allo sviluppo

della DR e del DME [45].

1.2.3 Trattamenti e cure odierne

Diversi studi su pazienti diabetici mostrano che i quadri clinici variano sostanzialmente sia per quanto concerne il periodo d’insorgenza della DR che la gravità, sebbene i fattori di rischio quali iperglicemia e ipertensione siano una costante. Tuttavia, anche i soggetti non affetti da ipertensione e che seguono una corretta alimentazione monitorando costantemente i livelli di glucosio ematico sviluppano la DR [46]. Ciò

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29 suggerisce la presenza di altri fattori che giocano un ruolo essenziale nella suscettibilità allo sviluppo di complicanze tardive del diabete. In effetti, si stima che in un individuo diabetico la probabilità di sviluppare la PDR sia influenzata dall’eredità, in un range compreso tra il 25% e il 50% [47]. Anche i meccanismi epigenetici associati alla DR, come infiammazione, iperglicemia e stress ossidativo possono alterare l’espressione e la funzione dei geni senza modificare la sequenza delle basi del DNA [48].

Per questo motivo per minimizzare gli effetti della DR si adoperano strategie terapeutiche più mirate, quali: il trattamento laser, le iniezioni intravitreali, le terapie anti-VEGF e le vitrectomie nei casi più estremi [49]. Studi clinici mostrano che un intervento tempestivo con la fotocoagulazione laser può ridurre la perdita della vista del 90% in pazienti con DR e prossimi allo sviluppo della DME. La vitrectomia, invece, è consigliata solo a pazienti con PDR avanzata per fornire una maggiore possibilità di recupero visivo immediato in occhi con continue emorragie vitree.

I trattamenti chirurgici, però, sono procedure altamente invasive e non tengono conto della fisiopatologia della malattia; per cui, hanno il solo scopo di ridurre i danni che la PDR avanzata ha prodotto e non di bloccarne l’avanzamento.

Sebbene gli esatti meccanismi con cui insorga la malattia non siano ancora chiari, si ritiene che il VEGF sia il principale responsabile all’insorgenza della PDR; per questo motivo, sono stati ideati farmaci volti a bloccarne il rilascio e l’effetto proangiogenico che svolge sulla vascolarizzazione retinica. Il rilascio intraoculare di agenti anti-VEGF è largamente utilizzato per trattare gli stati iniziali e risulta essere un’ottima tecnica per eludere la barriera emato-oculare e per

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30 raggiungere alte concentrazioni del farmaco nel vitreo e quindi nella retina.

Le proteine anti-VEGF più utilizzate sono: Bevacizumab, Ranibizumab, Aflibercept [50].

1.2.4 Neuroprotezione e nuove frontiere di ricerca

L’incremento iniziale del VEGF rappresenta probabilmente una risposta adattiva alle alterazioni della DR, ma col protrarsi del tempo tale risposta diventa patologica. Diversi studi indicano che il VEGF sia un fattore neurotrofico e neuroprotettivo e la sua secrezione da parte della retina abbia un duplice ruolo: ridurre l’apoptosi neuronale e incoraggiare la neovascolarizzazione in regioni tissutali ipossiche [51]. Studi condotti su modelli murini in cui è stata indotta ischemia e riperfusione mostrano che l’immediata iniezione intravitreale del VEGF riduca la morte cellulare di più dell’80% suggerendo che tale molecola sia altamente implicata nella sopravvivenza neuronale [52].

Ciò implica che il rilascio intraoculare di farmaci anti-VEGF migliori l’andamento della DR, ma allo stesso tempo deprivi di un potente neuroprotettore la retina.

Dal momento che la fase precoce della DR è proprio la neurodegenerazione, sembra essere opportuno applicare terapie neuroprotettive prima che si verifichino danni significativi al tessuto. E’ la retina stessa a sintetizzare neurotrofine e neuroprotettori per contrastare gli effetti deleteri di fattori neurotossici implicati nella neurodegenerazione. L'equilibrio tra i medesimi fattori è cruciale nella

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31 contabilizzazione della morte cellulare neuronale nella retina diabetica. Uno dei peptidi e neuroprotettori endogeni maggiormente presenti è la somatostatina (SST).

La SST è stata originariamente identificata come un peptide ipotalamico inibente il rilascio dell’ormone della crescita da parte dell’ipofisi anteriore. Gli studi successivi hanno dimostrato che essa ha un più ampio spettro di azioni inibitorie presenti su tutto il corpo e principalmente verificate in molte regioni del sistema nervoso centrale e quindi, nella retina. La retina produce quantità significative di SST, come dedotto dai livelli notevolmente elevati riportati all’interno dell’umor vitreo; infatti, la fonte principale nell’occhio umano è l’RPE [53-54]. Diversi studi sostengono che la SST potrebbe funzionare come neurotrasmettitore, neuromodulatore e fattore angiostatico [55] mediante l’interazione con i suoi cinque recettori (sst1-sst5). Tra questi, i recettori maggiormente espressi nella retina umana e nelle cellule endoteliali dei vasi retinici sono sst1 e sst2 [56-57]. In uno studio è stato indagato il ruolo di questi due recettori, rendendo ipossiche le retine di topi knockout (KO) per il recettore sst1 e sst2. E’ stato rilevato che, in assenza di un sufficiente apporto d’ossigeno, le retine che non esprimono sst2 subiscono effetti più dannosi di quelle che sovraesprimono tale recettore (retine sst1-KO) [58]. Tuttavia, l’uso della SST naturale come potenziale agente terapeutico nel trattamento della DR è ostacolato dalla sua breve durata nello spazio extracellulare [59]. Pertanto, le indagini cliniche si sono concentrate sull’azione svolta da agonisti sintetici a lunga durata, come l’octreotide (OCT). In particolare, l’OCT ha un’elevata affinità per i recettori sst2, che risultano essere i principali mediatori dell’attività antiangiogenica della SST [60-61].

E’ stato rilevato che i livelli di SST misurati nel vitreo di pazienti con PDR sono significativamente inferiori rispetto ai valori riportati nel vitreo di

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32 soggetti di controllo [62]. Tale risultato suggerisce che la riduzione intravitreale del neuropeptide contribuisce all’innesco del processo neoangiogenico tipico della PDR e supporta il concetto che sono necessari adeguati livelli di SST sin dalle prime fasi della DR per il mantenimento dell’omeostasi retinica.

Diverse prove sperimentali suggeriscono che la SST e i suoi analoghi contrastano la morte dei neuroni durante lo sviluppo [63], il danno retinico indotto da ischemia [64] e la neurotossicità indotta dall'attivazione del recettore del glutammato NMDA [65]. Questi dati sono importanti dal punto di vista terapeutico, perché la morte neuronale nelle retine diabetiche è una conseguenza di diversi fattori, tra cui, l’aumento di glutammato e l’ischemia. [66]. Per tutte queste ragioni, il trattamento con analoghi della SST può essere considerato un nuovo obiettivo non solo per prevenire il processo neurodegenerativo, ma anche per le fasi più avanzate della DR come DME e PDR [67].

Figura 9. Immunomarcatura di sezioni di retina tratte da un ratto di controllo

(Control), un ratto diabetico trattato con le gocce del veicolo (Diabete-sham) e un topo diabetico trattato con gocce SST (Diabetes-SST). Nei ratti diabetici, i prolungamenti delle cellule Müller mostrano un'abbondante immunofluorescenza GFAP (verde). Il trattamento topico con SST impedisce l'attivazione gliale [67].

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33 Però, l'effetto benefico della SST sulla DR è dovuto solo ad un effetto diretto a livello retinico piuttosto che ad un effetto indiretto, perché la BRB limita l'afflusso di farmaci nella retina, diminuendo così l’efficacia quando i farmaci sono somministrati sistematicamente. Pertanto, un trattamento indirizzato ad aumentare i livelli di SST nella retina mediante iniezioni intravitreali risulta essere più idoneo del trattamento con farmaci somministrati per via sistemica [68].

Nonostante sia necessario intervenire nei primissimi stadi della DR, la somministrazione intravitreale di neuroprotettori risulta un trattamento piuttosto aggressivo in quanto i farmaci, essendo rapidamente rimossi dall’umor vitreo, necessiterebbero di ripetute iniezioni che potrebbero avere effetti avversi sulla retina quali: endoftalmite, glaucoma e cataratta. La somministrazione topica è stata spesso scartata perché il farmaco, dovendo attraversare la barriera vitreo-oculare, difficilmente raggiungerebbe la retina alla concentrazione desiderata e l’applicazione di una quantità necessaria implicherebbe un alto costo della terapia [69]. Un approccio valido per bypassare questi limiti è quello di progettare sistemi di controllo di rilascio dei farmaci (drug delivery system, DDS) con nanovettori in grado di trasportare selettivamente l’agente terapeutico nella zona d’interesse, aumentando la sua concentrazione locale e la biodisponibilità, prolungandone la conservazione, la durata e l'efficacia. Tale strategia evita che il farmaco si diffondi in organi sani, limitando il subentro di effetti collaterali negativi [70].

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34 1.3 LA NANOMEDICINA

1.3.1 Sistemi di rilascio controllato di farmaci

Negli ultimi anni si è assistito a una rapida crescita della ricerca nel campo della nanoscienza e della nanotecnologia. Ciò ha portato a ipotizzare che tali discipline, applicate alla medicina, potrebbero apportare notevoli progressi alla diagnosi e al trattamento delle malattie [71-72-73].

L’obiettivo primario della nanomedicina è quello di condurre il farmaco al sito bersaglio dell’organo/tessuto malato, controllandone il rilascio per evitare l’insorgenza di potenziali effetti collaterali in altre parti del corpo. Il DDS è un metodo alternativo di somministrazione farmacologica nell’organismo che mira proprio a tale obiettivo: circoscrive l’effetto del farmaco su una determinata tipologia di cellule o tessuti, ottimizzandone il dosaggio per migliorare l’efficacia e ridurre la tossicità di una terapia [74].

La possibilità di ottimizzare il dosaggio di agenti bioattivi tramite il DDS apre la porta allo sviluppo e all’impiego di nuovi farmaci biotecnologici, quali proteine, peptidi e oligonucleotidi caratterizzati spesso da un’elevata attività e da una stretta finestra terapeutica.

Infatti, le proprietà fisico-chimiche sono il fattore principale che influenza la loro diffusione a livello sistemico. In particolare, i farmaci proteici presentano alcune caratteristiche che non agevolano la farmacocinetica in vivo. L’elevata idrofilia e la grande dimensione oltre ad ostacolare le reazioni, limitano i solventi e le condizioni in cui possono essere preparati e quindi, applicati.

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35 Per questo motivo, la realizzazione di un sistema di trasporto di farmaci costituito da nanoparticelle ingegnerizzate (NP) ha avuto un ruolo cruciale in numerose applicazioni terapeutiche e diagnostiche. E’ stato visto che, le NP non solo penetrano facilmente nei piccoli capillari ma attraversano anche molte barriere fisiologiche, facilitando l’azione del farmaco sulle cellule e inducendo un accumulo piuttosto efficiente al sito target [75]. Le NP possiedono proprietà importanti e uniche dal punto di vista medico, come il rapporto tra superficie e massa che è molto più grande di quello di altre particelle, le proprietà quantiche e la capacità di adsorbire e legare altri composti, come farmaci, sonde e proteine. La composizione delle NP progettate può variare in base alla tipologia del trattamento. I materiali di origine possono essere di natura biologica come i fosfolipidi, i lipidi, l'acido lattico, il destrino e il chitosan o possono avere più caratteristiche chimiche come vari polimeri e metalli.

Ad esempio, i sistemi basati su nanoparticelle (NP) ottenuti da molecole microstrutturali a basso peso molecolare, quali lipidi solidi e farmaci coniugati ai lipidi, sono stati descritti come trasportatori di peptidi e proteine usati in applicazioni farmaceutiche e cosmetiche [77]. Però, i materiali polimerici, essendo abbastanza compatibili con le caratteristiche chimico-fisiche di molti farmaci, possono essere funzionalizzati e processati più efficientemente; per questa ragione, rappresentano la classe più adatta di materiali per il DDS [78].

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Figura 10. Illustrazione della struttura di alcuni tipi di nanoparticelle [76].

Comunque, il tasso di rilascio del farmaco dipende da molteplici fattori relativi alla sua solubilità relativa, adsorbimento/desorbimento e diffusione attraverso la struttura delle NP o degradazione della matrice nanoparticolare.

Il metodo con cui il farmaco è legato alla matrice delle NP influisce sostanzialmente sul suo profilo di rilascio. In genere, il farmaco è liberato per diffusione o erosione della matrice nanoparticolare. In particolare, le NP rivestite di materiale polimerico hanno una cinetica di rilascio basata prevalentemente sulla diffusione del farmaco attraverso la membrana polimerica [79]. Il rivestimento a membrana funge da barriera e rallenta la diffusione del farmaco, permettendo così un rilascio graduale e prolungato [80].

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Figura 11. Illustrazione schematica delle principali modalità di rilascio del

farmaco di un DDS [81].

1.3.2 “Drug delivery system” in oftalmologia

La cecità e la disfunzione visiva interessano milioni di persone in tutto il mondo e hanno un impatto molto importante sulla qualità della vita. Patologie come il glaucoma, la degenerazione maculare senile e la DR, affliggono soprattutto anziani e pazienti diabetici e, a causa dell'invecchiamento della popolazione e dello stile di vita, sono in significativo aumento. Oltre a queste, esistono altre patologie con cause infiammatorie, infettive, genetiche o degenerative che coinvolgono differenti strutture oculari. Negli ultimi anni, l'introduzione di nuove strategie farmacologiche (VEGF, anticorpi monoclonali) ha significativamente modificato l'esito clinico di alcune di queste

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38 degenerazioni ma, nonostante le nuove molecole disponibili, la somministrazione intraoculare di farmaci rimane un compito difficile, a causa della peculiare struttura di questo organo e della presenza di numerose barriere, statiche e dinamiche, che proteggono i tessuti interni.

Come già riportato, le NP sono sistemi colloidali di trasportatori che incrementano notevolmente l’efficacia dei farmaci, riuscendo ad oltrepassare le barriere di diffusione e a permettere una riduzione della dose somministrata attraverso un rilascio farmacologico sostenuto [82]. Inoltre, a causa delle dimensioni molto ridotte, i nanocarriers possono essere utilizzati attraverso qualsiasi via di somministrazione. Tuttavia, l'utilità di questi portatori nella consegna di farmaci oculari non è "universale" e i benefici dipendono da diversi fattori che variano dal tipo di patologie oculari trattate alla tipologia di somministrazione e alle caratteristiche del farmaco; in particolare, la sua potenza e stabilità in ambienti biologici.

Il trattamento dei disturbi oculari, soprattutto quelli riguardanti la retina, richiede un’applicazione diretta e locale dell’agente nel segmento posteriore dell’occhio alla concentrazione terapeutica richiesta. Ciò è importante perché il rilascio di molecole esogene nei tessuti intraoculari è strettamente limitato. Per questo motivo, l’uso di polimeri di NP è stato valutato altamente producente per portare il farmaco al sito stabilito. Recentemente, è stato dimostrato che le NP polimeriche sono internalizzate nella retina e permangono nell’RPE per circa 4 mesi, senza il sopraggiungere di alcun effetto tossico dopo la somministrazione intravitreale [83]. Inoltre, Zhang et al [84] mostrò che il rilascio sostenuto di un farmaco coniugato ad NP nell’occhio di coniglio è presente per circa 50 giorni, durante i quali i livelli sono mantenuti

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39 costanti solo nei primi 30 giorni nel vitreo. In più, tale concentrazione era significativamente più alta di quella presente nel plasma, indicando l’instaurarsi di effetti sistemici minimi.

A limitare la loro tossicità, sia a livello sistemico che locale, è la loro composizione costituita principalmente da polimeri biodegradabili rimossi facilmente dall’ambiente dopo il rilascio del farmaco. La maggior parte dei polimeri, essendo costituita principalmente da precursori monomerici naturali e sintetici, sono compatibili con il processo degradativo a cui vanno incontro [85].

L’impiego di nanocarriers per il rilascio controllato di farmaci a livello oculare ha anch’esso le sue limitazioni relative ai volumi che possono essere utilizzati. Ne consegue che, al fine di somministrare una quantità significativa dell’agente terapeutico, le NP devono avere un carico elevato di farmaci che non è facile da realizzare e devono essere altamente concentrate in soluzione, specialmente quando il trattamento farmacologico richiesto presenta dosi elevate. I nanocarriers, però, non sono sempre fisicamente stabili e possono aggregarsi quando si trovano ad alte concentrazioni. Di conseguenza, potrebbero verificarsi eventi infiammatori e immunostimolatori nel tessuto mirato [86]. Le questioni relative alla tossicità dei nanomateriali sono un argomento che è attualmente oggetto di numerosi dibattiti e discussioni. La tossicità dei

nanocarrier è legata non solo al polimero utilizzato ma anche alle

dimensioni che possono promuovere l'assorbimento cellulare e aumentare i possibili accumuli all'interno delle cellule retiniche, recando danni alla funzione.

L’impiego di nanoparticelle magnetiche (MNP) riveste un notevole interesse perché limita il verificarsi di tali eventi; infatti, grazie alle loro

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40 proprietà possono essere utilizzate in numerose applicazioni relative alla somministrazione di farmaci, alla diagnostica e alle terapie [87].

1.3.3 Nanoparticelle magnetiche (MNP)

MNP sono un tipo speciale di NP e rivestono un fondamentale interesse grazie alla vasta gamma di applicazioni biomediche in cui sono spesso utilizzate.

Le piccole dimensioni e la capacità di essere facilmente endocitate dalle cellule sono caratteristiche essenziali per il loro utilizzo nel trattamento di malattie, in particolare, come trasportatori di farmaci.

Esistono diversi tipi di MNP che differiscono per composizione, morfologia e chimica superficiale. Nella conformazione più semplice, una MNP è costituita da un nucleo inorganico e da un rivestimento superficiale biocompatibile che le conferisce stabilità e permanenza in ambienti biologici.

Un sottotipo di MNP molto studiato sono le particelle ferromagnetiche. Esse hanno piccole dimensioni (10-100 nm) e un’elevata energia di magnetizzazione. A temperature sufficientemente elevate, la sola energia termica è sufficiente a indurre la rotazione libera della particella, con conseguente perdita di magnetizzazione in assenza di un campo esterno applicato. Questa proprietà superparamagnetica, segnata dalla mancanza di magnetizzazione residua dopo la rimozione di campi esterni, consente alle MNP di mantenere una stabilità colloidale e di

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41 evitare l'aggregazione, rendendole idonee all’utilizzo in molteplici applicazioni biomediche [88].

Il superparamagnetismo è una proprietà favorevole di piccole particelle ma, la riduzione delle dimensioni non è priva di conseguenze.

Le NP di ossido di ferro sono le MNP più approfondite per l’impiego in numerosi approcci scientifici e tecnologici a causa della loro eccellente biocompatibilità e facilità di sintesi. La composizione interna di una MNP ferromagnetica è tipicamente di magnetite (Fe3O4) o maghemite

(γFe2O3) e la superficie è generalmente costituita da un rivestimento

polimerico rivestito da gruppi funzionali. In questo contesto, le MNP assumono una struttura cristallina data dagli atomi di ossigeno strettamente impacchettati tra loro e gli ioni di ferro situati negli interstizi in modo da formare un reticolo cubico. Oltre alle proprietà magnetiche, anche la biocompatibilità e la biodegradabilità hanno contribuito notevolmente al loro diffuso impiego. Infatti, dopo l’esaurimento dell’effetto farmacologico, gli ioni di ferro sono facilmente metabolizzati e aggiunti ai depositi di ferro del corpo e, infine, incorporati dagli eritrociti, in quanto l'emoglobina consente loro un uso sicuro in vivo[89]. Tuttavia, una sfida significativa associata all'applicazione di MNP è il loro comportamento in vivo. L'efficacia di molti di questi sistemi è spesso compromessa a causa del riconoscimento e della clearance del sistema reticuloendoteliale prima di raggiungere il tessuto bersaglio, nonché dall'incapacità delle MNP di superare barriere biologiche, come l'endotelio vascolare o la barriera ematica del sangue. Inoltre, il destino delle MNP nella somministrazione endovenosa è fortemente dipendente dalla dimensione, morfologia, carica e chimica superficiale, caratteristiche che influenzano notevolmente la farmacocinetica e la biodistribuzione. Per aumentare l'efficacia delle MNP, sono state impiegate diverse tecniche, tra cui la riduzione delle dimensioni e

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42 l'innesto dei polimeri non-folding, in modo da massimizzare la probabilità di raggiungere i tessuti mirati.

1.3.4 Impiego di nanocarriers e DR

L'utilizzo di approcci basati sulla nanomedicina per il rilascio intraoculare di farmaci è una sfida persistente in oftalmologia a causa delle diverse limitazioni che tale trattamento presenta dal punto di vista farmaceutico. La somministrazione di farmaci alla retina per il trattamento di malattie neurodegenerative, come la DR, è limitata dall’ inadeguata penetrazione del tessuto sclerale e l'uso di iniezioni intravitreali comporta notevoli disagi e un aumento del rischio d’ infezione al paziente.

Per questo motivo, sono necessari sistemi di somministrazione farmacologica precisi e monitorabili nel tempo. Le terapie a base di NP sembrano un'alternativa promettente rispetto ai sistemi classici, che sono generalmente legati ad una biodisponibilità molto bassa dei farmaci somministrati [90]. Recentemente, si è testata questa possibilità di combinare l’uso di nuove terapie farmacologiche con quello di NP funzionalizzate a farmaci nel tentativo di migliorare la prevenzione e il trattamento della DR [91]. Nella DR, la maggior parte degli studi condotti sull’utilizzo di NP è stata svolta per determinare l’effetto terapeutico ma, le relazioni tra dose e tossicità non sono state ancora del tutto quantificate. Bourges et al. [83] in uno studio hanno rilevato la distribuzione delle NP all'interno dei tessuti intraoculari e il loro potenziale di rilascio del farmaco incapsulato. È inoltre emerso che le

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43 NP rimangono all'interno delle cellule dell’RPE anche quattro mesi dopo l'iniezione intravitreale senza che si verifichi un cambiamento istologico definito negli strati retinici. Altri studi sono stati condotti da Merodio et al. [92] e riportarono una permanenza prolungata delle NP nella cavità vitrea due settimane dopo una singola iniezione intravitreale in assenza di reazioni infiammatorie nella retina e di alterazioni riguardanti l’organizzazione degli strati retinici.

Le dimensioni e le concentrazione sono sicuramente i fattori più rilevanti che influenzano la tossicità neuronale. Negli studi sulla reazione microgliale, le NP di silice di dimensione equivalente a circa 200 nm non hanno mostrato alcun effetto tossico anche a concentrazioni relativamente alte (292μg/ml), mentre le NP di 50 nm di grandezza hanno ridotto la sopravvivenza neuronale in modo dipendente dalla dose [93]. Per quanto riguarda le NP di rame, quelle di circa 40 nm hanno esercitato il massimo effetto tossico rispetto a quelle di 60 e 80 nm [94].

Questi dati potrebbero derivare dal fatto che le NP più piccole dispongono di più molecole legate in superficie, in modo da interagire più efficientemente con le cellule e i ligandi proteici.

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2. SCOPO DELLA TESI

Le frequenti iniezioni intraoculari con farmaci anti-VEGF, oltre a non bloccare l’avanzamento della DR, sono spesso responsabili di importanti effetti collaterali e complicanze iatrogene che si sviluppano a livello locale e aggravano il quadro patologico in pazienti diabetici. Il lavoro di tesi si è concentrato su due temi importanti: la terapia neuroprotettiva nella DR e l’uso di nanocarriers funzionalizzati con farmaci nella retina. In particolare, dato che numerose evidenze indicano che la terapia neuroprotettiva è efficace nell’attenuare gli effetti della DR, l’obiettivo di questa tesi è stato quello di stabilire se l’utilizzo di MNP di ossido di ferro come nanovettori per le molecole di OCT (MNP-OCT) avesse la medesima efficacia del trattamento con il farmaco libero (f-OCT).

Al fine di analizzare l’attività neuroprotettiva di OCT, la relativa tossicità e biodistribuzione delle MNP e la loro efficienza di rilascio del farmaco sono stati utilizzati diversi modelli sperimentali, quali colture di cellule vascolari endoteliali umane (HREC), espianti ex vivo di retina di topo e iniezioni intraoculari in vivo.

L'impiego di un modello in vitro e un modello ex vivo consente di controllare e analizzare in modo dettagliato la bioattività di MNP-OCT, minimizzando gli errori sperimentali dovuti all’iniezione intraoculare. Inoltre, la somministrazione intravitreale di nanovettori in modelli murini ha permesso di valutare la biodistribuzione del farmaco e l’eventuale presenza di tossicità.

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3. MATERIALI E METODI

3.1 Nanoparticelle magnetiche

MNP di ossido di ferro commerciali fluidMAG–ARA (Chemicell)sono state funzionalizzate con OCT. Tra gli ossidi di ferro, la magnetite (Fe3O4) è uno dei materiali maggiormente utilizzati grazie alle

caratteristiche fortemente ferromagnetiche. MNP utilizzate hanno un diametro di 50 nm, un nucleo costituito da magnetite e una superficie organica costituita da gruppi funzionali (COOH-) che consentono la funzionalizzazione con l’OCT.

Per questi studi, le MNP-OCT sono state gentilmente fornite dalla Prof.ssa Vittoria Raffa, Dipartimento di Biologia, Università di Pisa. Prime dell’uso, le MNP sono state diluite in acqua in rapporto 1:100 v/v e ultracentrifugate a 4°C per 10 minuti. Il pellet è stato prelevato e risospeso tramite sonicazione. In seguito, è stato aggiunto il catalizzatore 1-Etil-(3-dimetilamminopropil) carbodiimmide idrocloride (EDAC, Sigma) al 4% v/v per indurre l’attivazione dei gruppi carbossilici che rivestono la superficie delle MNP. Dopo 10 minuti, il campione è stato ultracentrifugato in modo da eliminare l’eccesso di EDAC. Il pellet di MNP è stato prelevato e risospeso con acqua. Al fine di effettuare la funzionalizzazione delle MNP con OCT, è stato aggiunto al campione una soluzione di OCT (stock 1mg/ml) MNP/OCT 5:1 w/w. In seguito, il preparato è stato messo in agitazione in ghiaccio, protetto dalla luce, e lasciato reagire per 2 ore.

Trascorse le 2 ore, alla soluzione è stata aggiunta glicina 1,66mM, la cui funzione è quella di bloccare i gruppi COOH attivati delle MNP

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46 rimasti liberi. Il campione è stato ulteriormente ultracentrifugato a 4°C per 10 minuti, insieme all’aliquota di MNP non funzionalizzate che viene utilizzata come campione di controllo. Infine, il sovranatante è recuperato da entrambi i campioni per misurarne l’assorbanza mediante il saggio Bradford. Il pellet di ciascun campione, invece, è risospeso in glicerolo sterile al 20% in H2O, e aliquotato per la conservazione a

-20°C.

3.2 Colture cellulari

Gli studi in vitro sono stati condotti mediante l’impiego di colture di cellule endoteliali retiniche umane (HREC). Le HREC sono state seminate in piastre da 96 pozzetti e coltivate in un mezzo di coltura completo per 6 ore. Successivamente, le HREC sono state sottoposte a lavaggi con PBS e lasciate crescere in endothelial-basal medium (EBM-2) con 0.5% siero di feto bovino (FBS) a 37°C con un rapporto 95%/5% di aria e CO2 umidificata.

3.2.1 Saggio di proliferazione delle HREC

Il tasso di proliferazione cellulare delle HREC (5x103 cellule) è stato

determinato mediante il saggio con MTT (3-(4,5-dimetiltiazol-2-yl) -2,5-difeniltetrazolio bromide. Il test con MTT si basa sulla riduzione intracellulare dei sali di tetrazolio da parte dell'enzima mitocondriale succinato deidrogenasi in cristalli di un prodotto bluastro denominato

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47 formazano. La reazione, pertanto, avviene solo in cellule metabolicamente sane e vitali nella popolazione esaminata. Le HREC sono state poste in coltura con EBM-2 contenente 0.5% FBS per inattivare la proliferazione cellulare e sono state trattate con o senza VEGF (40ng/ml), OCT 1µM o 1µM MNP-OCT per 72 ore. In seguito, le HREC sono state incubate a 37°C con MTT (1mg/ml) per 2 ore per permettere l’incorporazione e la riduzione del sale di tetrazolio, centrifugate e solubilizzate. Le piaste sono state quindi incubate per 15 minuti a 37°C ed è stata misurata l’assorbanza mediante lettura con uno spettrofotometro Multiskan JX microplate reader (ELx 800, BIO-TEK instruments Inc, USA) a 595 nm. Il valore riportato in densità ottica è correlato al quantitativo di cellule vitali presenti.

3.2.2 Saggio di migrazione delle HREC (wound healing)

L'effetto di OCT o MNP-OCT sulla migrazione delle HREC indotta da VEGF è stato valutato mediante il saggio “wound healing”.

Le HREC sono state seminate in piastre da 6 pozzetti previamente ricoperti da 0.1% gelatina e coltivate fino a piena confluenza con EBM-2 contenente 0.5% FBS. Quando confluenti, la coltura è stata scalfita con un puntale eppendorf sterile da 10µl al centro del pozzetto. Sono stati eseguiti due lavaggi con tampone fosfato salino (PBS) per rimuovere le cellule staccate e quindi le cellule sono state trattate con o senza 80ng/ml VEGF e 1μM f-OCT o 1μM MNP-OCT.

La migrazione delle cellule verso l’area scalfita è stata registrata dopo 8 ore utilizzando un microscopio invertito a contrasto di fase (Zeiss, Oberkochen, Germany) dotato di telecamera CCD.

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48 3.2.3 Saggio di angiogenesi in vitro su Matrigel

L'effetto di f-OCT o MNP-OCT sulla formazione di capillari stimolata da VEGF è stato valutato seminando le HREC su un substrato gelatinoso, chiamato Matrigel, estratto solubile della membrana basale del sarcoma di Engelbreth-Holm-Swarm di topo. 100μl di Matrigel con fattori di crescita ridotti sono stati pipettati in una piastra a 96 pozzetti e lasciati polimerizzare a 37 ° C per 45 minuti. Ogni pozzetto contenente 1,5x103

di HREC è stato trattato con o senza 80ng/ml di VEGF e 1mM f-OCT o 4,9µg/ml di MNP o (4,9µg/ml) MNP-OCT (1µM) per 6 ore per consentire la formazione di strutture tubulari. In seguito, le immagini sono state ottenute con un microscopio invertito dotato di telecamera CCD. L'area occupata da formazioni tubolari è stata misurata usando il software di analisi di immagine ImageJ.

3.3 Modelli animali

Le procedure impiegate sono state approvate dal Comitato Etico per la Sperimentazione Animale dell’Università di Pisa e impiegate secondo lo statuto della “Association for the Research in Vision and Opthalmology” per l’uso di animali nella ricerca della Retinopatia Diabetica, in accordo con le linee guida italiane per la tutela degli animali (DL 116/92) e le direttive EU (2010/63/EU).

Gli esperimenti sono stati condotti su topi di entrambi i sessi di età compresa tra le 3/5 settimane di vita appartenenti al ceppo C57BL/6J. Gli animali sono stati mantenuti in condizioni ambientali regolate (23 ± 1 °C, 50% ± 5% umidità) con un ciclo luce/buio di 12 ore con acqua e

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