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Introduzione
In Palazzeschi «umorista» sulle soglie del palcoscenico, Barenghi
1si domanda come mai l’autore fiorentino, nella sua lunga carriera di scrittore, non si sia mai dedicato alla composizione di opere per il teatro ma rileva anche quanto sia stata importante la giovanile esperienza di attore nella sua intera produzione letteraria e nella sua complessiva formazione culturale.
Qualche tempo prima di Barenghi, stimolato dalla medesima curiosità, lo stesso quesito se lo pone il critico, amico di Palazzeschi, Sergio Solmi il quale - questa volta parlando nello specifico della lirica palazzeschiana – rintraccia nella poesia Il Frate Rosso, dei toni d’alta commedia, un lirismo che sa di «litania buffa»
2.
Anche in forza di queste considerazioni, di fronte alla lettura di alcuni testi palazzeschiani sembra quasi spontaneo pensare alla presenza di una sorta di teatralità sottesa, rintracciabile tanto nelle poesie quanto nelle opere in prosa come se il teatro, in tutte le sue forme e sfaccettature, fosse un elemento al quale, parlando di Palazzeschi, sia impossibile non fare riferimento:
«[…] quasi tutti i critici di Palazzeschi hanno riscontrato l’esistenza di una vena teatrale lungo l’intera sua opera, in prosa ed in versi: per i serratissimi dialoghi a più voci, per il gusto della caricatura e delle movenze burattinesche, o per altro ancora […]»
3.
Non siamo in grado di dire perché Palazzeschi non si sia mai impegnato nella scrittura per il palcoscenico, ma possiamo tentare di dimostrare come l’abbia fatto indirettamente parlando di un’opera che,
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«Perché Palazzeschi non ha fatto mai del teatro? […] Palazzeschi ha scritto di tutto […]. Ma teatro mai.» M
ARIOB
ARENGHI, Palazzeschi “umorista” sulle soglie del palcoscenico in «Otto/Novecento», VI, 1982, p. 137.
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«Già s’è notato come l’estro inventivo e figurativo sia essenziale nella sua lirica, dove talora assume addirittura, come nelle litanie buffe del Frate Rosso, toni d’alta commedia (a proposito, nessuno s’è chiesto perché Palazzeschi non abbia mai fatto teatro», S
ERGIOS
OLMI, Scrittori negli anni. Saggi e note sulla letteratura italiana del ‘900, Il Saggiatore, Milano, 1963, p. 156.
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M
ARIOB
ARENGHI, op. cit. 1982, p. 137.
II all’interno della sua produzione, ha sancito la sua definitiva affermazione
come scrittore e artista di successo: Sorelle Materassi.
Con questo lavoro si intende, infatti, analizzare il romanzo in sé e giustificare le potenzialità drammaturgiche e la forte componente visiva delle descrizioni, che hanno già consentito di realizzare riduzioni per il grande e piccolo schermo e per il palcoscenico, e dunque la fortuna di questo conosciutissimo testo che risulta essere, senza dubbio, uno dei più noti e diffusi del narratore fiorentino.
Sorelle Materassi viene pubblicato nel 1934 e riscuote non solo un grande successo di pubblico ma anche una grande fortuna editoriale sia in Italia
4(dalla prima edizione Vallecchi nella Collezione Prosatori Italiani Contemporanei del 1934, alle successive ristampe degli anni a seguire sempre per Vallecchi
5, sino alla sua pubblicazione all’interno della raccolta I romanzi della maturità per la Mondadori nel 1960
6) che all’estero dove è tradotto in ben quattordici lingue
7.
Il primo ad individuare un sostrato teatrale in questo romanzo è Giuseppe De Robertis che, parlando a proposito di alcune colorite scenette presenti nell’opera, utilizza per definire lo stile di Palazzeschi proprio un
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Sorelle Materassi viene pubblicato per la prima volta in rivista su «Nuova Antologia» nel 1934 nel seguente ordine di uscita: 1° agosto [capp. I e II]; 16 agosto [cap. III.]; 1° settembre [cap. IV e inizio del V.]; 16 settembre [continuazione del capitolo V, cap. VI e inizio cap. VII.]; 1° ottobre [continuazione cap. VII e cap. VIII].
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Rispettivamente: Seconda edizione (’35); Quarta edizione (’37); Quinta edizione (’40); Settima e Ottava edizione (’42); Decima, Undicesima e Dodicesima edizione (’43); Quindicesima edizione (’44); Diciottesima edizione (’45); Ventunesima edizione (’54); Ventiduesima edizione (’60).
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Dal 1960 in poi verranno pubblicate sempre da Mondadori altre edizioni del romanzo in diverse collane sino alla grande raccolta Palazzeschi. Tutti i romanzi, a cura di Gino Tellini nella collana I Meridiani del 2004.
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Il romanzo è stato tradotto in ungherese da Tibor Déry (1936), in francese da Marie Filippi de
Baldissero (1936) e da Gérad Loubinnoux e Emmanuelle Genevois (1988), in spagnolo da Gonzalo
San Martin (1937), da Justino Marin (1944) e da Emilio-German Muniz (1981), in olandese da
Elisabeth W. J. Bueno De Mesquita-Ebbeler (1937), in islandese da Yrjō Kaijärvi (1938), in ceco da
Bohdan Chudoba (1941), in croato da Jiosip Audreis (1942), in svedese da Karin de Laval (1942), in
slovacco da Brahoslav Hečko (1943), in romeno da Maria e Giuseppe Sabbarese (1945) e da George
Tudor e Marilena Alexandrescu-Munteanu (1969), in tedesco da Willy Phieler (1948), da Helene
Moser (1963) e da Anton Haakman (2009), in portoghese da Maria Do Carmo Reis (1949), in inglese
da Angus Davidson (1953), in russo da S. Bušuevoj (1968) e da Viktor Šovkun (1988) ecc.
III paragone di tipo teatrale, accostando l’epocale episodio della cambiale a
un glorioso esempio di scena da Opera Buffa
8.
La versatilità del romanzo a fare da opera di partenza per altre forme espressive di comunicazione non passa inosservata se a due decenni dalla sua pubblicazione è già proposto come film nel 1945, con titolo omonimo, regia di Ferdinando Maria Poggioli, interpreti le sorelle Gramatica e poi nel 1972 raggiunge il grande pubblico come sceneggiato televisivo in tre puntate diretto da Mario Ferrero con la partecipazione di grandi attori quali Rina Morelli, Sarah Ferrari, Nora Ricci e Giuseppe Pambieri. Bisogna aggiungere che il progetto di una versione cinematografica e televisiva dell’opera, nonostante la generale ritrosia dei letterati italiani verso i nuovi medium, trova non solo l’approvazione ma anche una concreta collaborazione di Palazzeschi. Egli, recandosi di presenza sul set, partecipa attivamente alla realizzazione del film e interviene indirettamente nella sceneggiatura del teleromanzo – come si vedrà più avanti nello specifico - redatta da Luciano Codignola e Franco Monicelli e per alcuni aspetti dal drammaturgo Fabio Storelli.
Quest’ultimo, confortato dai suggerimenti dello scrittore, alcuni anni più tardi trarrà dal medesimo romanzo una riduzione teatrale
9. Ha così preso il largo di fatto una nuova fortuna dell’opera di Palazzeschi, in un contesto diverso da quello letterario, che realizza ciò che nel romanzo resta ancorato ad uno stadio potenziale: la teatralità e la forza iconica e rappresentativa dei personaggi, dei luoghi e di alcune vicende.
Il confronto tra il romanzo e gli adattamenti chiama in causa un concetto che già da tempo è argomento ampliamente affrontato nelle riflessioni in campo artistico e linguistico-letterario: la transcodificazione.
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«È la scena della cambiale. Per farsene un’idea, per trovare qualcosa che le assomigli, bisogna pensare a certe scene gloriose dell’Opera buffa. Novità, estro, gusto della sorpresa, coraggio delle risoluzioni impensate sono la ricchezza di questa rappresentazione prodigiosa», G
IUSEPPED
ER
OBERTIS, Sorelle Materassi in Scrittori del Novecento, Firenze, Le Monnier, 1940, pp. 174.
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La prima volta sarà rappresentata con grande successo presso il Teatro Guglielmi di Massa nella
stagione teatrale ’98-‘99.
IV Nel passaggio da una forma d’espressione ad un’altra, in un
processo che viene altresì definito in gergo specialistico come scambio intertestuale, si pone infatti un problema non solo di codice, ma anche di trasferimento di senso e di contenuti, come si può facilmente osservare nel lavoro di traduzione interlinguistica o nell’operazione più complessa, come quella in questione, di adattamento di un testo letterario che diventa audiovisivo o pièce teatrale.
Inoltre, proprio nel passaggio da un sistema comunicativo ad un altro il trasferimento dei dati non è diretto: esiste una fase “dinamica” di transizione che garantisce uno spostamento graduale dal codice di partenza a quello di arrivo secondo indicazioni tecnico-strutturali specifiche. Nel caso del film una di queste fasi intermedie è da ricercare nella sceneggiatura, la parte più vicina alla scrittura letteraria, nel caso della rappresentazione scenica nel copione teatrale
10.
Sia nel processo di trasposizione come in quello di traduzione interlinguistica si presentano, tuttavia, i medesimi problemi legati alla traducibilità, all’equivalenza e alla fedeltà del testo di arrivo rispetto a quello di partenza.
Ad essere messi a confronto sono infatti tre sistemi espressivi affini, in quanto appartenenti tutti all’ambito dell’espressione artistica e in particolare della narratività, ma nello stesso tempo opposti rispetto al medium, poiché dipendenti da tecniche e metodi di realizzazione diversi.
Tali divergenze non escludono però una pratica di confronto tra originale e adattamenti che, rispetto a un’operazione di traduzione interlinguistica, è obbligata a tenere maggiormente presenti almeno altri due importanti fattori: la destinazione dell’adattamento e il suo rapporto di dipendenza dall’originale.
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IERP
AOLOP
ASOLINI, La sceneggiatura come «struttura che vuole essere altra struttura» in Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, Mondadori, Milano, 1999, pp.
1530-1540.
V Il mio lavoro intende, tra l’altro, verificare come nel processo di
trasposizione di Sorelle Materassi in film, sceneggiato e commedia la ricerca della fedeltà al testo di partenza venga intrapresa e realizzata secondo percorsi interpretativi divergenti, influenzati tanto dal grado di apertura critica dell’adattatore-regista, quanto dal contesto storico e dalla figura di spettatore modello destinatario delle nuove opere
11.
Cosa accade dunque sul piano strutturale, stilistico e contenutistico quando da un testo narrativo si passa al film o alla riduzione teatrale? Cosa si conserva e cosa viene invece tagliato fuori? Quali sono le convergenze e le divergenze che emergono nell’interazione di due o più codici messi a confronto?
Il discorso è alquanto complesso. Ad esempio, parlando della materia cinematografica, molti intellettuali, esperti di cinema e di linguistica si sono interessati ai contenuti e ai mezzi espressivi del genere fino al suo riconoscimento come vera e propria arte figurativa
12al pari, per dignità e qualità, della musica, della pittura e della letteratura.
Una prima definizione di intersezione fra generi nasce proprio in riferimento al cinema, attraverso l’applicazione alla nuova arte delle medesime categorie di analisi della letteratura e del teatro, quasi per riflesso analogico
13. Tanto per fare un esempio immediato, basti pensare all’uso di concetti quali narrazione, storia, racconto, enunciatore, personaggio, spettatore, scena, ecc., spesi tanto in riferimento a un discorso di tipo letterario o teatrale, quanto a uno di tipo cinematografico.
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«Nel caso di una trasposizione da un’opera letteraria, […] lo spettatore modello previsto e costruito dal testo potrà possedere una propria “competenza intertestuale” se conosce la fonte da cui muove il film […]. Lo spettatore modello critico, e tanto più lo spettatore empirico che lo deve supporre, potrà sfruttare le sue competenze per comprendere meglio il film, […] », N
ICOLAD
USI, Il cinema come traduzione. Da un medium all’altro: letteratura, cinema, pittura, UTET, Torino, 2003, p. 11.
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La cinematografia viene infatti riconosciuta come Settima Arte a partire dalla sua nascita nel XIX secolo. Fondendo in sé le arti dello spazio e del tempo è quindi considerabile sia come Arte suprema, in quanto realizza nel ritmo delle immagini l'aspirazione di ciascuna arte legandola alla qualità della musica, sia Arte totale, in quanto somma delle arti plastiche e delle arti ritmiche.
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