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Il caso "Ilva": questione (ir)risolta?

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Academic year: 2021

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1 INDICE

CAPITOLO 1 – IL C.D. “CASO ILVA”………....…....…....……2

§ 1.1 – Dalla privatizzazione al decreto 207/2012………...…...2

1.1.1 – Avvenimenti premonitori del “disastro”……….…..…..…3

1.1.2 – Intervento dell’autorità giudiziaria……….…...……..5

1.1.3 – Emanazione D.L. 207/2012 e sue caratteristiche principali.…….……6

§ 1.2 – I problemi emersi dal “caso ILVA”……….…………...…..10

§ 1.3 – Evoluzione successiva al decreto “Salva Ilva”…………...………….13

§ 1.4 – Emanazione D.L. 61/2013………15

CAPITOLO 2 – LE NUMEROSE PROBLEMATICHE………....…22

CAPITOLO 3 – VICENDE RILEVANTI SUCCESSIVE AL D.L. 61/2013...28

§ 3.1 – Assoggettamento ad amministrazione straordinaria………..…….28

§ 3.2 – Emanazione D.L. 92/2015………34

§ 3.3 – Ultimi eventi……….36

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2 CAPITOLO 1 – IL c.d. “CASO ILVA”

La società ILVA Spa si trova attualmente assoggettata a procedura di amministrazione straordinaria, disposta con D.M. 21 Gennaio 2015, emanato in applicazione del D.L. n. 1/2015. Quest’ultimo ha consentito di estendere l’applicazione del D.L. n. 347/03, relativo alla ristrutturazione delle grandi imprese in stato di insolvenza, anche alle imprese che gestiscano almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale, con particolare riferimento alla situazione dello stabilimento ILVA Spa di Taranto. Per comprendere le ragioni che hanno condotto alla situazione odierna, appare opportuno ripercorrere gli avvenimenti che si sono susseguiti.

§ 1.1 – Dalla privatizzazione al decreto 207/2012

ILVA rappresenta uno dei pilastri dell’industria italiana da oltre un secolo, e si occupa di produzione, trasformazione e commercializzazione di acciaio. Nel 1995 la società è stata rilevata dal gruppo Riva, in attuazione del processo di privatizzazione delle imprese che si trovavano in mano pubblica: la società era, infatti, sotto il controllo di Finsider, una società a sua volta appartenente al gruppo IRI1. Lo stabilimento di maggior rilievo è senza dubbio quello situato a Taranto2, che rappresenta il più grande a livello non solo nazionale, ma uno dei più grandi sul panorama europeo. Questo polo siderurgico, dotato di una propria rete stradale interna, di una rete ferroviaria dedicata, e di moli portuali che assorbono la maggioranza dei movimenti del porto della città tarantina, con una produzione annua totale di circa 5,7 mln di tonnellate di acciaio (a fronte di un’autorizzazione alla produzione annua di 8 mln di tonnellate)3

, conta più di undicimila addetti ai lavori. Ogni fase del processo produttivo posto in essere dalla società comporta l’emissione, nell’atmosfera e nell’ambiente, di un’elevata quantità di sostanze: alcune cc.dd. “convogliate”, ossia sottoposte a monitoraggio

1 L’Istituto per la Ricostruzione Industriale: ente pubblico istituito negli anni 30’ per far fronte alla crisi

bancaria ed industriale, che ha riorganizzato le partecipazioni delle banche nelle imprese.

2

Realizzato negli anni ’60, trattasi di stabilimento industriale siderurgico a ciclo integrale.

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3

grazie alla fissazione dei valori limite, mentre altre cc.dd. “diffuse e fuggitive”, emesse in maniera non intenzionale4.

Sebbene la situazione sia diventata critica, almeno agli occhi anche dell’opinione pubblica, in tempi più recenti, lo stabilimento in questione ha sempre destato, nel corso degli anni, numerose polemiche a causa dell’ingente carico inquinante riversato nell’area circostante, per altro caratterizzata da un’elevata urbanizzazione.

Bisogna altresì considerare che nell’area tarantina, una delle poche caratterizzate da un inquinamento industriale addirittura maggiore di quello generato dal traffico, sono presenti altri due significativi stabilimenti produttivi che impattano negativamente sull’ambiente: la Centrale termoelettrica di Taranto e la Raffineria di Taranto I di Eni Spa. I campanelli d’allarme sono stati numerosi, ed un intervento netto e deciso da parte delle autorità politiche, necessario da lungo tempo, si è avuto solamente in risposta ad un’azione per così dire “di rottura” posta in essere dall’autorità giudiziaria, che ha tentato di sopperire alla mancanza di regolamentazione. Appare quindi ragionevole ritenere che questo comportamento inerte degli organi istituzionali abbia contribuito ad aggravare la situazione già sufficientemente critica.

1.1.1 – Avvenimenti premonitori del “disastro”

Già nel 2005 i dirigenti della società furono condannati in via definitiva5 per il reato di cui all’art 674 c.p. (“Gettito pericoloso di cose”) a seguito di un’indagine aperta addirittura al termine degli anni ’90: vennero ritenuti colpevoli di aver disperso nelle aree circostanti lo stabilimento grandi quantitativi di polveri minerarie provenienti dai depositi presenti nell’area dello stabilimento stesso e di non aver tentato in alcun modo di evitarne la dispersione6.

4

S. D’ANGIULLI, Caso Ilva di Taranto: adesso o mai più, in Ambiente & Sviluppo, 2013, 117 ss., p. 118.

5 Cass. pen., sez. III, 28 Settembre 2005, n. 38936. 6

G. ARCONZO, Note Critiche sul Decreto Legge “Ad Ilvam”, tra legislazione provvedimentale, riserva di

funzione giurisdizionale e dovere di prevenzione e repressione dei reati, in Diritto Penale Contemporaneo, 2013, 16 ss., p. 16.

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Tra il 2008 e il 2012 venne inoltre disposto l’abbattimento di circa milleduecento capi di bestiame allevati in sette diversi allevamenti dell’area tarantina, a causa delle diossine e altre sostanze inquinanti, emesse dello stabilimento siderurgico, presenti nell’erba e ingerite dagli animali7

. La richiesta di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per lo stabilimento tarantino, ex D.lgs. 152/20068, presentata dalla società nel 2007, è stata rilasciata nel mese di agosto del 2011, e cioè ben quattro anni dopo la richiesta: l’atto amministrativo si configura in sostanza come un programma contenente adempimenti e scadenze che, se rispettato, consente una progressiva riduzione dell’impatto inquinante dell’azienda sull’ambiente9. Contro l’AIA ILVA ha proposto ricorso innanzi al giudice amministrativo, contestando la genericità ed indeterminatezza delle prescrizioni contenute, e la loro possibile discrepanza con altre normative. Il ricorso è stato parzialmente accolto da TAR Lecce. Di conseguenza nel mese di marzo del 2012, il Ministero dell’Ambiente ha disposto il riesame dell’AIA rilasciata nel 2011. Sulla base delle risultanze dell’incidente probatorio, acquisite nell’ambito dell’inchiesta penale avviata nel 2010 nei confronti degli esponenti della dirigenza della società10 per reati commessi nella gestione dell’impianto siderurgico dal 1995 (anno di rilevazione della società da parte del gruppo Riva) in poi, la Procura ha richiesto nel giugno 2012 il sequestro preventivo di alcune aree dello stabilimento stesso ai sensi dell’art. 321 c.p.p., recante al primo comma “Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato”. Infatti il quadro emerso dalle indagini risultava critico sia dal punto di vista ambientale che sanitario, ed era necessario un intervento immediato.

7

E. CRISTIANI, Introduzione al Convegno sul caso Ilva, in Convegno “Il caso Ilva: nel dilemma tra

protezione dell’ambiente, tutela della salute e salvaguardia del lavoro, il diritto ci offre soluzione?”,

2013, p. 1.

8 ILVA rientra tra le imprese per le quali l’AIA è rilasciata a livello statale, ex art 29bis e ss.. 9

A. MURATORI, Decreto salva ILVA: scelte difficili, in Ambiente & Sviluppo, 2013, 8 ss., p. 11.

10

Il patron dell'Ilva Emilio Riva, il figlio Nicola, il direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso e il responsabile dell'area agglomerato Angelo Cavallo.

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1.1.2 – Intervento dell’autorità giudiziaria

Il 25 luglio del 2012 il GIP ha accolto la richiesta, disponendo misure cautelari di tipo personale, ossia arresti domiciliari nei confronti degli indagati, e di tipo reale, ossia ordinando il sequestro preventivo di parte dello stabilimento. Il provvedimento è stato adottato anche sulla base di due perizie, una chimico-ambientale e una medico-epidemiologica. Nella prima è stato evidenziato come la società fosse responsabile per l’emissione di sostanze nocive sia per la salute dei lavoratori, che per popolazione di Taranto, e che non avesse posto in essere misure adeguate ad evitarne la dispersione incontrollata, specialmente per quanto riguarda le emissioni diffuse e fuggitive (nonostante venissero rispettate le prescrizioni contenute nell’AIA), nonché la connessione tra queste e l’inquinamento di terreni ed allevamenti. Nella seconda si è dimostrata la relazione causa-effetto tra le emissioni inquinanti e il sorgere di determinate malattie, sia di carattere acuto che cronico, nei soggetti esposti, che nei casi più gravi potevano condurre alla morte; inoltre veniva ritenuta altamente probabile una diretta connessione ad ulteriori condizioni morbose, per le quali tuttavia le prove non risultavano sufficienti.

Il sequestro preventivo ha avuto ad oggetto sei reparti dello stabilimento, costituenti la c.d. ”area a caldo”, senza facoltà d’uso per il gestore, con la contestuale nomina di un collegio composto da quattro custodi-amministratori incaricati di avviare “le procedure tecniche e di sicurezza per il blocco delle specifiche lavorazioni e lo spegnimento degli impianti”11. Il 7 agosto del 201212 il giudice del riesame del Tribunale di Taranto aveva confermato il provvedimento di sequestro delle aree dello stabilimento, adottando, diversamente dal GIP, un atteggiamento di non ingestione nell’attività imprenditoriale: non ritenendo strettamente necessario lo spegnimento degli impianti, ha ordinato che i custodi

11

Provvedimento GIP del Tribunale di Taranto, 25 Luglio 2012.

12

Lo stesso giorno, ex art 2 del D.L. 129/2012, l’area industriale di Taranto veniva inserita (ai sensi del D.L 83/2012) tra le aree in situazione di crisi industriale complessa, a causa della perdita di redditività dell’impianto e dello stato della domanda mondiale di prodotti siderurgici (F. DI CRISTINA, Il decreto

“Salva ILVA” Gli stabilimenti di interesse strategico nazionale e i poteri del Governo (comm. a d.l. 3 dicembre 2012, n. 207 convertito dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231), in Giornale di diritto amministrativo, 2013, 369 ss., p. 2), prevedendo alcune opere di bonifica.

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ne garantissero la sicurezza e potessero utilizzare detti impianti al fine di eliminare le situazioni di pericolo, operando un costante ed adeguato controllo sulle emissioni inquinanti.

In seguito all’emanazione del provvedimento di riesame dell’AIA il 26 ottobre del 2012, che ha consentito alla società di proseguire l’attività produttiva in caso di totale rispetto delle prescrizioni contenute, la società ha presentato domanda al Tribunale per ottenere il dissequestro delle aree dello stabilimento. Il GIP ha respinto la richiesta sostenendo che “l’adozione dell’AIA non vale affatto a dimostrare che sia venuta meno la situazione di grave e concreto pericolo a fronte del quale è stato disposto il sequestro”13. Una delle maggiori problematiche riscontrate nel provvedimento di riesame risiedeva nelle tempistiche dell’intervento, ritenute dal GIP troppo ampie rispetto all’esigenza immediata di cessazione della situazione di pericolo per l’ambiente e la salute. Lo stesso GIP, il 26 novembre del 2012, aveva inoltre disposto il sequestro di tutti i prodotti finiti e/o semilavorati giacenti in magazzino e pronti per la commercializzazione (costituenti la c.d. “area a freddo”), che fossero stati realizzati successivamente al provvedimento di sequestro preventivo degli impianti di produzione, e quindi configurabili come frutto di attività illecita. 1.1.3 – Emanazione D.L. 207/2012 e sue caratteristiche principali

Di fronte alla minaccia da parte della dirigenza della società di chiudere non solo lo stabilimento di Taranto oggetto del sequestro, ma anche gli altri stabilimenti dipendenti in linea diretta da questo, il Governo si è mobilitato per intervenire e, il 3 dicembre del 2012, è stato emanato il D.L n. 207/201214, recante “Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale”, altresì soprannominato decreto “Salva Ilva”. La bozza originaria dell’atto avente forza di legge, deliberata dal Consiglio dei Ministri, era incentrata esclusivamente sul “caso Ilva”, per ovviare al fatto che non fosse

13

D. PALMIOTTI, La Procura valuta l’incostituzionalità o il “conflitto”, in Il Sole 24 Ore, 1 Dicembre 2012.

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possibile assoggettare la società a procedura di amministrazione straordinaria di grandi imprese ex D.L. 347/03, per mancanza del requisito dell’indebitamento. Successivamente, in sede di emanazione ad opera del Presidente della Repubblica, la sua applicazione è stata estesa a tutte le situazioni urgenti di crisi aventi ad oggetto stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale.

Il decreto in oggetto si configura senza dubbio come legge-provvedimento, dal momento che il legislatore, nei primi due articoli, ha costruito sì una disciplina avente carattere generale, ma basandosi sul caso specifico dell’industria tarantina, per poi arrivare a citare ILVA in maniera esplicita nel terzo articolo, “considerando che la continuità del funzionamento produttivo dello stabilimento siderurgico costituisce una priorità strategica di interesse nazionale, in considerazione dei prevalenti profili di protezione dell’ambiente e della salute, di ordine pubblico, di salvaguardia dei livelli occupazionali”. Inoltre, guardando al panorama delle imprese italiane, i requisiti richiesti per l’applicazione della disciplina sono soddisfatti solamente dalla società in questione, che quindi risulta, di fatto, esserne l’unica destinataria.

Gli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale previsti dal decreto sono individuati con D.P.C.M., in caso di assoluta necessità di salvaguardia dell’occupazione e della produzione e devono occupare un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione guadagni, almeno pari a duecento, da almeno un anno.

La principale innovazione del decreto è stata quella di attribuire al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio il potere di “autorizzare, in sede di riesame dell’AIA, la prosecuzione dell’attività produttiva per un periodo determinato e in ogni caso non superiore a 36 mesi ed a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame della medesima autorizzazione”. La finalità dell’intervento deve necessariamente ed esplicitamente essere la “più adeguata a tutela dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecniche possibili”. L’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività è altresì efficace qualora “l’autorità giudiziaria abbia adottato

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provvedimenti di sequestro sui beni dell’impresa titolare dello stabilimento”; infatti “i provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato dall’autorizzazione, l’esercizio dell’attività di impresa”. Inoltre “Le misure da adottare sono esclusivamente e ad ogni effetto quelle contenute nel provvedimento dell’AIA, nonché le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame”, impedendo qualsiasi tipo di ingerenza da parte non solo dell’autorità giudiziaria, ma anche dell’autorità amministrativa. A garanzia del rispetto degli adempimenti previsti dall’AIA è stata prevista la possibile irrogazione non solo delle ordinarie sanzioni di carattere amministrativo e penali previste dal D.lgs. 152/2006, ma anche di una sanzione amministrativa pecuniaria di un ammontare pari “fino al 10% del fatturato della società risultante dall’ultimo bilancio approvato”.

È stato posto a carico dell’azienda sanitaria locale (ASL) e dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) competenti per territorio, l’onere di redigere “congiuntamente, con aggiornamento almeno annuale, un rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS), anche sulla base del registro tumori regionale e delle mappe epidemiologiche delle principali malattie di carattere ambientale”15. Le amministrazioni in oggetto sono quindi state incaricate di monitorare gli effetti dell’inquinamento ambientale, derivante dall’attività produttiva, sulla salute degli individui, e accertare che restassero entro limiti considerati “tollerabili”.

“La gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti definiti di interesse strategico nazionale”, individuato con D.P.C.M., “resta in capo ai titolari dell’AIA, ossia la proprietà dell’impresa”; è fatta in ogni caso salva l’attività di controllo ad opera dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, prevista dall’art. 29-decies del D.lgs. 152/2006.

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I criteri di riferimento per redigere il rapporto di VDS sarebbero stati stabiliti da un decreto interministeriale, da emanare nel termine di novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione. Il decreto è stato emanato il 24 aprile del 2013.

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L’art. 3 del citato decreto, come anticipato in precedenza, è riferito specificamente a ILVA Spa. Dopo aver definito l’impianto siderurgico tarantino stabilimento di interesse strategico nazionale, autorizzava la prosecuzione dell’attività sulla base delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA rilasciato il 26 ottobre del 2012, reimmettendo contestualmente la società nel possesso dei beni dell’impresa e consentendo la commercializzazione dei prodotti per un periodo di trentasei mesi. Inoltre è stato previsto un Garante16, nominato entro il termine di dieci giorni dall’entrata in vigore del decreto con DPR, “previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro della salute”. Questa figura deve soddisfare i requisiti di “indiscussa indipendenza, competenza ed esperienza”, ed è stata incaricata non solo di “vigilare sul rispetto delle disposizioni del decreto stesso”, ma anche di “monitorare l’esecuzione delle prescrizioni contenute nell’AIA”. Va quindi ad aggiungersi alle altre Autorità che svolgono funzione di vigilanza per quanto riguarda il rispetto dell’AIA17. Inoltre allo stesso è attribuito il compito di segnalare al Governo eventuali problematiche relative all’attuazione dell’autorizzazione stessa, nonché di presentare proposte per affrontare problemi di eventuali inadempienze.

La disciplina contenuta nel decreto, di fatto, ha avuto l’effetto di rendere privi di efficacia entrambi i provvedimenti adottati dal GIP di Taranto. Il dissequestro degli impianti è stato disposto dalla Procura di Taranto con provvedimento il 5 dicembre del 2012 senza particolari ostacoli, in seguito a richiesta presentata dall’ILVA. Contestualmente era stato richiesto anche il dissequestro dei prodotti realizzati in violazione del sequestro preventivo, respinto però dalla Procura, che contestava la non retroattività del decreto-legge18. In tutta risposta il Governo ha modificato, tramite la legge di conversione, il terzo comma dell’art 3,

16

Figura abrogata successivamente dal D.L. 61/2013.

17 E. FREDIANI, Autorizzazione Integrata Ambientale e tutela “sistemica” nella vicenda dell’ILVA di Taranto, in Convegno “Il caso Ilva: nel dilemma tra protezione dell’ambiente, tutela della salute e salvaguardia del lavoro, il diritto ci offre soluzione?”, 2013, p. 17.

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consentendo la commercializzazione dei prodotti, “ivi compresi quelli realizzati antecedentemente alla data di entrata in vigore del decreto” e dotando in questo modo l’atto avente forza di legge di portata retroattiva19.

§ 1.2 – I problemi emersi dal “caso ILVA”

Un primo gruppo di critiche mosse al decreto in esame ha riguardato l’incidenza diretta esercitata sull’azione dell’autorità giurisdizionale, che rischiava non solo di minare il principio di separazione dei poteri, ma anche di limitare l’azione penale attribuita al Pubblico Ministero, nonché le garanzie allo stesso attribuite: entrambi principi costituzionali sanciti dagli artt. 107 e 112.

L’attenzione è stata interamente focalizzata sull’autorizzazione ambientale integrata, dal momento che grazie al rilascio di questo atto amministrativo, operava una sorta di “presunzione” di liceità dell’attività produttiva, se venivano rispettate le prescrizioni in esso contenute20. Questa presunzione comportava implicitamente che l’attività svolta nel rispetto dell’AIA non potesse essere considerata contrastante, almeno dal punto di vista giuridico, con altre fonti normative; in caso contrario, si sarebbe posto un problema di legittimità dello stesso provvedimento autorizzatorio21. Un ulteriore questione sorta in relazione al decreto è stata la seguente: l’attività svolta nel rispetto delle prescrizioni contenute nel provvedimento non escludeva che potesse conseguire un danno per l’ambiente e/o per la salute22

, sia che il danno si fosse considerato attuale, sia che lo stesso si fosse ritenuto potenziale. E nel caso in cui fosse sussistito questo danno, non sarebbe stato possibile per l’autorità giudiziaria, almeno per il periodo indicato dall’AIA per la prosecuzione dell’attività, interrompere l’attività

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Nonostante l’emendamento e le successive richieste di dissequestro della società tutte respinte, si è dovuto attendere l’11 Febbraio del 2013 quando, in seguito ad una relazione dei custodi che attestava la deteriorabilità dei prodotti sottoposti a sequestro, il GIP ne ha autorizzato la vendita ad opera dei custodi stessi, disponendo comunque il sequestro del ricavato (G. ARCONZO, Il decreto legge “ad Ilvam”

approda alla Corte Costituzionale: osservazioni preliminari al giudizio di costituzionalità, in Diritto Penale Contemporaneo, 2013, 28 ss., p. 30).

20

U. SALANITRO, Il decreto Ilva tra tutela della salute e salvaguardia dell’occupazione: riflessione a

margine della sentenza della Corte Costituzionale, in Corriere Giuridico, 2013, 1041 ss., p. 1043.

21 L. GENINATTI SATE’, Caso Ilva: la tutela dell’ambiente attraverso la rivalutazione del carattere formale

del diritto (una prima lettura di Corte costituzionale, sentenza n. 85/2013), in

www.forumcostituzionale.it 2013, p. 3.

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produttiva attraverso provvedimenti cautelari, oppure esercitare azione penale nei confronti di condotte che prima dell’entrata in vigore del decreto erano perseguibili in quanto configurabili come reati. Queste prerogative dell’autorità giudiziaria sarebbero tornate, al contrario, ad essere esercitabili a pieno titolo, nel caso in cui l’impresa avesse violato le prescrizioni contenute nell’autorizzazione, dal momento che sarebbe venuta meno l’autorizzazione a proseguire l’attività produttiva23. Ciò che rilevava, quindi, erano le valutazioni operate dalla pubblica amministrazione in sede di rilascio dell’autorizzazione stessa, che era altresì vincolata alla direttiva comunitaria 2008/1/CE, relativa alla riduzione e prevenzione dell’inquinamento24

Anche la scelta di disciplinare la materia in questione attraverso lo strumento dell’atto avente forza di legge, ha destato numerose incertezze: i requisiti di necessità ed urgenzaprevisti dall’art. 77 della Costituzione per l’emanazione del decreto, ossia fattispecie rilevanti che richiedono un intervento il più tempestivo possibile, che mal si sposa con i tempi ordinari del procedimento legislativo, sembravano infatti coincidere solamente con la volontà di rendere inefficaci in tempi ridotti i provvedimenti cautelari disposti dal GIP di Taranto.

Un secondo blocco di critiche ha riguardato invece il bilanciamento, o meglio “il mancato bilanciamento” tra i numerosi principi costituzionali in gioco nella vicenda ILVA: tutela dell’occupazione, tutela della salute e tutela dell’ambiente. La scelta di salvaguardare la continuità produttiva ha trovato fondamento sia nella tutela dell’occupazione, dato l’elevato numero di soggetti impiegati nell’impresa, sia nei costi sociali che sarebbero potuti derivare da una paralisi dell’attività: la società avrebbe potuto non riuscire a reperire le risorse necessarie al risanamento e alla bonifica, con la conseguenza che questi costi avrebbe rischiato di gravare sulla collettività. Inoltre, con riferimento alla libera attività economica, si sarebbe trattato di chiudere uno stabilimento sano, almeno dal

23

U. SALANITRO, op. cit., in Corriere Giuridico, 2013, 1041 ss., p. 1042.

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punto di vista industriale25. In questo senso, è stato contestato che la necessità di proseguire l’attività produttiva sia stata ingiustamente “anteposta” rispetto alla tutela del diritto alla salute, sancito peraltro come diritto fondamentale dell’individuo dalla stessa Costituzione all’art. 32. Infatti, nonostante l’inquinamento provocato dalla società in maniera prolungata nel corso degli anni avesse messo a rischio la salute, sia dei lavoratori occupati che della popolazione ubicata nell’area tarantina, nonché l’ambiente, il legislatore a primo impatto avrebbe ritenuto ILVA Spa di un’importanza strategica tale nel panorama nazionale, da anteporne le ragioni economiche agli altri interessi in gioco. Bisogna comunque ricordare che una sorta di tutela era garantita dall’autorità amministrativa competente del riesame dell’AIA, incaricata di assicurare che vi fosse un equo bilanciamento dei principi costituzionali coinvolti ed una adeguata tutela degli stessi, nonché una congrua strada di risanamento e che non si aggravasse la già critica condizione ambientale26. Inoltre l’AIA, non solo si configura come provvedimento dinamico, quindi modificabile ed aggiornabile con prescrizioni più rigorose sulla base di eventuali mutamenti delle condizioni, ma, in quanto atto amministrativo, è soggetto ai normali rimedi esperibili in caso di vizi, quindi può essere soggetto ad annullamento.

La Procura della Repubblica di Taranto ha sollevato per ben due volte il conflitto di attribuzione: sia contro il Governo in relazione al decreto nel Dicembre 2012, sia, nel gennaio del 2013, contro le Camere, che nel frattempo avevano convertito il decreto in legge di conversione, per violazione degli artt. 107 e 112 della Costituzione.

Inoltre il Tribunale del Riesame e il GIP hanno sollevato questione di legittimità costituzionale: la prima autorità giudiziaria in relazione alla parte dell’art. 3 del decreto che dispone la portata retroattiva del decreto; la seconda sulla base del combinato disposto degli artt. 1 e 3 del decreto stesso, a causa del contrasto con alcune norme contenute nella Costituzione, tra le quali gli artt. 2, 32, 41 comma

25

A. MURATORI, op. cit., in Ambiente & Sviluppo, 2013, 8 ss., p. 12.

26

D. PULITANO’, Fra giustizia penale e gestione amministrativa: riflessioni a margine del caso ILVA, in

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2, 101, 104, 111 e 11227. In relazione ai conflitti di attribuzione, la Corte Costituzionale aveva respinto i ricorsi già nel mese di febbraio del 2013 con le ordinanze nn. 16 e 1728. In seguito con la pronuncia n. 85 del 2013, ha altresì respinto la questione di legittimità costituzionale sollevata per il decreto “Salva ILVA”. In particolare la Corte ha evidenziato come il decreto non abbia pregiudicato in alcun modo la possibilità per i singoli cittadini, che si ritenessero lesi, di agire in giudizio per tutelare le proprie posizioni giuridiche soggettive, chiedendo un congruo risarcimento del danno. Si è ritenuto, infatti, che potessero far valere i propri interessi sia in sede di consultazione pubblica all’interno del procedimento di riesame dell’autorizzazione, sia attraverso l’impugnazione dell’atto di fronte al giudice competente29.

§ 1.3 – Evoluzione successiva al decreto “Salva Ilva”

Il 14 aprile del 2013, a pochi giorni dall’emissione della sentenza della Corte Costituzionale che ha stabilito la legittimità costituzionale delle legge 231/2012, si è tenuto a Taranto il referendum consultivo municipale. Il procedimento che ha portato al referendum è iniziato addirittura nel 2007, con la presentazione da parte del Comitato cittadino “Taranto futura” di una proposta contenente ben cinque referendum municipali consultivi. Da quel momento in poi si è assistito ad un susseguirsi di conflitti tra comitato referendario e istituzione comunale, culminati nella conferma da parte del Comitato dei Garanti dell’ammissibilità di soltanto due quesiti e nell’emanazione il 21 gennaio del 2013 del decreto sindacale di convocazione dei comizi referendari per il successivo 14 aprile30. Il referendum era composto da due domande: la prima relativa alla chiusura totale dello stabilimento ILVA di Taranto, mentre la seconda relativa alla chiusura della sola “area a caldo”, la stessa oggetto del sequestro disposto nel mese di

27

M. CUNIBERTI, Il D.L. sull’Ilva, tra conflitti di attribuzione e dubbi di legittimità costituzionale, in

Ambiente & Sviluppo, 2013, 205 ss., p. 205. 28

Ha seguito l’orientamento ormai consolidato da numerose pronunce precedenti, secondo il quale il conflitto di attribuzione si configura come strumento residuale, da attivare in mancanza di altro rimedio possibile.

29

U. SALANITRO, op. cit., in Corriere Giuridico, 2013, 1041 ss., p. 1042.

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L. GORI, Il referendum locale sul caso Ilva, in Convegno “Il caso Ilva: nel dilemma tra protezione

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luglio dall’autorità giudiziaria a causa dell’ingente inquinamento. La percentuale di partecipazione ha raggiunto solamente il diciannove percento circa degli aventi diritto di voto31, a fronte di un quorum costitutivo pari ad almeno la maggioranza degli elettori, e che quindi ha decretato l’invalidità del referendum stesso, nonostante la netta maggioranza dei votanti avesse dato preferenza per la chiusura del polo siderurgico. Nonostante si trattasse di un referendum di tipo consultivo, avente funzione meramente ausiliare, in quanto finalizzato a reperire l’opinione degli elettori in merito ad una o più determinate questioni, secondo un orientamento della Corte Costituzionale i referendum consultivi rappresentano comunque “espressione di una partecipazione politica popolare che trova fondamento negli artt. 2 e 3 della Costituzione: manifestazione che ha una spiccata valenza politica ed ha rilievo sul piano della consonanza tra la comunità e l'organo pubblico nonché della connessa responsabilità politica, quale espressione di orientamenti e di valutazioni in ordine ad atti che l'organo predetto intende compiere”32.

Il 21 maggio del 2015 la procura di Milano ha disposto il sequestro di circa un miliardo e duecentomila euro alla famiglia Riva, nell’ambito dell’inchiesta per disastri ambientali. Solamente tre giorni più tardi, il 24 maggio del 2013, è stato eseguito, su disposizione del tribunale di Taranto ed in applicazione del D.lgs. 231/2001, il sequestro di beni mobili ed immobili a Taranto e Milano, nonché di disponibilità economiche pari a circa otto miliardi di euro appartenenti a Riva Fire, capogruppo di ILVA, per un valore totale equivalente all’ammontare totale di danni ambientali provocati dall’attività produttiva della società e stimati dai custodi giudiziari dell’area a caldo33

.

31

Il quartiere di Tamburi, uno dei più esposti all’inquinamento dello stabilimento siderurgico, ha addirittura registrato una delle percentuali più basse di partecipazione di tutta la città.

32 Sentenza n. 256/1989 della Corte Costituzionale. 33

G. MORGANTE, Il diritto penale nel caso Ilva tra ospite d’onore e convitato di pietra, in Convegno “Il

caso Ilva: nel dilemma tra protezione dell’ambiente, tutela della salute e salvaguardia del lavoro, il diritto ci offre soluzione?”, 2013, p. 3.

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§ 1.4 – Emanazione D.L. 61/2013

All’esito di verifiche amministrative, dalle quali è emersa “la permanente e grave sussistenza di pericoli ambientali e per la salute, derivanti anche dalla mancata attuazione dell’AIA”, il 4 Giugno 2013 è stato emanato il D.L. n. 6134

, recante “Nuove disposizioni urgenti a tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico”. Il nuovo atto avente forza di legge, muovendosi sulla scia del precedente D.L. 207/2012, si è configurato anch’esso come legge-provvedimento: infatti è stato strutturato partendo dapprima dal caso concreto, per poi passare alla costruzione di una normativa generale applicabile in molteplici casi. All’interno del primo articolo è stata introdotta la disciplina generale del commissariamento straordinario35 di impresa, previsto a determinate condizioni:

1. Gestione di almeno uno stabilimento industriale di carattere strategico nazionale, individuato con D.P.C.M. ai sensi del D.L. 207/2012;

2. Occupazione di un numero di lavoratori subordinati, non inferiori a mille, comprendenti anche quelli sottoposti a trattamento di integrazione guadagni;

3. L’attività produttiva abbia comportato in passato, e comporti tuttora, pericoli gravi e rilevanti sia per l’ambiente che per la salute, a causa dell’inosservanza reiterata dell’AIA.

Se sono soddisfatti questi requisiti, viene nominato con D.P.C.M. un commissario straordinario, coadiuvato nella propria attività da un sub-commissario36, per un periodo pari a dodici mesi, eventualmente prorogabile fino ad un massimo di trentasei mesi: si ha un’analogia con il D.L. 207/2012, che aveva previsto la stessa durata massima.

La finalità principale della continuazione dell’attività produttiva non è stata solamente la conservazione della continuità aziendale, ma altresì e soprattutto la

34

Convertito con modificazioni in legge dalla L. 89/2013.

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Deliberato dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio.

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destinazione delle risorse aziendali in via prioritaria alla copertura dei costi necessari a far cessare i pericoli gravi e rilevanti per l’ambiente e per la salute. In questo modo l’intervento dello Stato è andato a stravolgere una delle caratteristiche principali, e sicuramente portanti, dell’attività economica d’impresa: il conseguimento di risultati positivi d’esercizio funzionali alla remunerazione del capitale di rischio.

Durante il periodo di commissariamento, il potere gestorio dell’impresa viene interamente affidato al commissario: gli organi amministrativi vengono spossessati dei propri poteri e delle proprie funzioni, compresa quella di redigere il bilancio di esercizio (e, dove applicabile, il bilancio consolidato); anche tutti i rapporti creditori e debitori in capo all’impresa e relativi all’attività dell’azienda vengono affidati al commissario. Il potere di nominare i soggetti a cui affidare l’amministrazione è una prerogativa ordinariamente affidati ai titolari dell’impresa, ma in questo caso lo Stato si riserva il potere di nomina. È altresì sospeso il potere di disposizione e gestione attribuito ai titolari dell’impresa. Nello specifico caso di impresa costituita in forma societaria, come ILVA Spa, i poteri dell’assemblea dei soci sono integralmente sospesi per tutta la durata del commissariamento. L’assemblea perde il potere di approvare il bilancio d’esercizio che, al contrario, è affidato al commissario, ossia lo stesso organo incaricato di redigerlo.

Al titolare dell’impresa, o al socio di maggioranza in caso di impresa costituita in forma societaria, nonché al legale rappresentante designato dall’assemblea di soci, è garantita la massima informazione sulla prosecuzione dell’attività produttiva e sull’andamento della gestione. L’ingerenza nel normale assetto organizzativo si manifesta anche nella possibilità riservata al Presidente del Consiglio dei Ministri di sostituire fino a due terzi dei componenti dell’organo di controllo, mentre la nomina del restante terzo è affidata ai soci di minoranza.

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Una delle funzioni principali del commissario è quella di predisporre, insieme ad un comitato composto da tre esperti37, un piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, che contenga le modalità e i tempi necessari a consentire il rispetto delle prescrizioni contenute nell’AIA, da presentare al Ministro dell’ambiente entro sessanta giorni dalla nomina. La bozza del piano è resa pubblica a cura dello stesso commissario, che deve altresì acquisire le eventuali osservazioni proponibili nei trenta giorni successivi, e che sono valutate dal comitato relativamente alla proposta definitiva da presentare entro centoventi giorni dalla nomina. Il piano viene poi approvato con D.P.C.M., previa delibera del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare38 entro quindici giorni dalla proposta, e in ogni caso entro il 28 Febbraio 2014. Il Ministro, prima di presentare la proposta, deve richiedere i pareri del commissario straordinario e della regione competente, che vanno resi entro dieci giorni, “decorsi i quali la proposta può essere formulata anche senza i pareri richiesti”. La proposta deve essere formulata entro quindici giorni dalla richiesta dei pareri e in ogni caso non oltre il termine di quaranta cinque giorni dal giorno di ricevimento della stessa.

L’approvazione del piano delle misure e delle attività con D.P.C.M rappresenta a tutti gli effetti una modificazione dell’AIA limitatamente ai tempi di attuazione di quest’ultima, in modo tale che vengano adempiute le prescrizioni in essa contenute non oltre trentasei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, e in ogni caso conclude il procedimento di riesame dell’AIA stessa39. Entro trenta giorni dal decreto di approvazione del piano, il commissario è incaricato di darne comunicazione al titolare dell’impresa, o al socio di maggioranza, nonché al legale rappresentante designato dall’assemblea dei soci, e di “acquisire e valutare eventuali osservazioni pervenute nei dieci giorni successivi”, anche da parte degli enti locali interessati. Infine deve predisporre il

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Nominati, contestualmente al commissario, dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e scelti tra “soggetti di comprovata esperienza in materia di tutela dell’ambiente e della salute

e di ingegnerai impiantistica”. 38

Sentito altresì il parere del Ministro della Salute.

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Sono in ogni caso fatti salvi i procedimenti di modifica contenuti negli artt. 29-octies e 29-nonies del D.lgs. 152/2006.

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piano industriale di conformazione delle attività produttive che ha la funzione di consentire “la continuazione dell’attività produttiva nel rispetto delle prescrizioni di tutela ambientale, sanitaria e di sicurezza”. Anche quest’ultimo piano deve essere approvato con D.P.C.M., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, da porsi in essere entro quindici giorni dalla presentazione dello stesso. In ogni caso, fino all’approvazione del piano, il commissario ha l’onere di gestire l’attività produttiva garantendo la progressiva adozione delle modalità previste dall’AIA e dalle altre autorizzazioni e prescrizioni in materia di tutela ambientale e sanitaria. I rapporti di VDS, previsti dal D.L. 207/2012 e redatti sulla base del decreto interministeriale, non possono rappresentare “unilateralmente” una modifica delle prescrizioni contenute nell’AIA, ma legittimano l’ente regionale a chiederne il riesame ex art 29-octies, quarto comma del D.lgs. 152/2006.

Un’altra importante particolarità del decreto è senza dubbio la limitazione di responsabilità per il commissario straordinario: in deroga a quanto previsto dalla disciplina civilistica all’art 2236 C.C., questo risponde di eventuali diseconomie dei risultati sono in caso di dolo o colpa grave40. È quindi esclusa la responsabilità in caso di negligenza, imprudenza o colpa lieve, nonostante il professionista debba adempiere con una diligenza superiore a quella di una persona comune, commisurata all’incarico che deve svolgere.

Una volta approvato il piano industriale, il commissario, al fine di perseguire l’attuazione dell’AIA, nonché del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, ha importanti prerogative per quanto riguarda il reperimento delle fonti di finanziamento necessarie. In primo luogo il commissario può disporre delle somme per le quali fosse stato in precedenza disposto il sequestro, anche ai sensi del D.lgs. 231/2001 (come nel caso di ILVA), che vengono svincolate dal giudice e destinate all’attuazione dell’AIA e

40

Il D.L 101/2013, convertito con modificazioni dalla L. 125/2013, ha esteso la disciplina della limitazione di responsabilità anche a tutti quei soggetti delegati che partecipino alla predisposizione ed attuazione dei piani previsti dal decreto.

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del piano di messa in sicurezza, risanamento e bonifica ambientale. Inoltre ha facoltà non solo di chiedere al titolare dell’impresa “le somme necessarie al risanamento ambientale”, ma in caso di impresa organizzata in forma di società, può altresì aumentare il capitale sociale a pagamento, in una o più soluzioni, con o senza sovrapprezzo. L’aumento può avvenire attraverso l’offerta delle azioni in opzione ai soci in proporzione alle azioni già possedute, prevedendo un termine per l’esercizio non inferiore a trenta giorni, ex art. 2441 C.C. secondo comma41

; nel caso in cui non vengano esercitati in tutto o in parte i diritti di opzione, l’aumento di capitale viene collocato presso terzi. L’aumento può avvenire anche con esclusione o limitazione del diritto di opzione, rispettando le previsioni contenute al sesto comma dell’art. 2441 C.C., ossia la proposta di aumento del capitale deve essere illustrata in apposita relazione redatta dal commissario straordinario, che ha sostituito l’organo amministrativo, dalla quale risultino i motivi dell’esclusione o della limitazione. Inoltre il collegio sindacale, entro quindi giorni dalla comunicazione della relazione, deve esprimere il proprio parere sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni.

In entrambe le modalità di aumento del capitale, “le azioni di nuova emissione possono essere liberate esclusivamente mediante conferimenti in denaro”; in questo modo si tende a rendere per così dire “certo” il valore del conferimento, evitando qualsiasi tipo di incertezza che potrebbe derivare dalla valutazione soggettiva di conferimenti in natura di beni o crediti, e sicuramente per soddisfare l’immediata necessità di liquidità dell’impresa che si trova assoggettata a commissariamento. Il decreto opera una deroga evidente rispetto alla disciplina civilistica, contenuta nel già citato art. 2441 C.C: quest’ultima consente l’esclusione del diritto di opzione nel caso di azioni di nuova emissione liberate mediante conferimenti in natura, oppure se l’interesse della società lo esiga, ma a condizione che la delibera di aumento del capitale venga approvata

41

E rispettando in ogni caso il terzo comma dello stesso art. 2441 C.C., il quale prevede il diritto di prelazione nell’acquisto delle azioni per coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta.

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da tanti soci che rappresentino oltre la metà del capitale sociale42. Nel caso di impresa soggetta a commissariamento l’assemblea dei soci sconta l’integrale sospensione dei poteri, perdendo quindi la facoltà di poter deliberare l’aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione. E, nonostante l’art. 2441 consenta l’esclusione o limitazione del diritto di opzione senza delibera nel caso di azioni liberate mediante conferimenti in natura, il decreto dispone espressamente che le azioni possano essere liberate esclusivamente mediante conferimenti in denaro. In definitiva la decisione spetta unicamente al commissario straordinario, a cui quindi è attribuito il grande potere di ampliare la compagine sociale facendo entrare soggetti terzi, ed alterando in questo modo le partecipazioni possedute dai soci preesistenti, che vedono ridotta la propria incidenza all’interno della società stessa.

Una disciplina similare è stata recentemente inserita all’interno dell’art. 163 L.F., relativo all’ammissione alla procedura di concordato preventivo e proposte concorrenti, dal D.L. 83/201543, avente ad oggetto “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria”. Il decreto ha introdotto la possibilità per i creditori che “rappresentano almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata” di presentare una “proposta concorrente di concordato preventivo e il relativo piano non oltre trenta giorni prima dell'adunanza dei creditori”. Al secondo periodo del quinto comma del citato articolo, è disposto che “la proposta può prevedere l'intervento di terzi e, se il debitore ha la forma di società per azioni o a responsabilità limitata, può prevedere un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto d'opzione”. Anche in questo caso, escludendo o limitando il diritto di opzione in relazione alle azioni di nuova emissione, si va ad incidere sulle partecipazioni sociali, senza che i soci siano dotati di mezzi di reazione.

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Sono altresì previsti due ulteriori di esclusione del diritto di opzione al secondo periodo del quarto comma dell’art. 2441 C.C. e all’ottavo comma dello stesso articolo.

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Tornando all’analisi del D.L. 61/2013, è stato inoltre disposto che i soci o soggetti terzi che intendano sottoscrivere le azioni di nuova emissione, hanno l’onere, prima di concludere l’operazione, di impegnarsi a far sì che le risorse derivanti dall’aumento di capitale “siano messe a disposizione dell’impresa per l’attuazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria del piano industriale”. I soci perdono altresì la disponibilità dei risultati di periodo: i proventi derivanti dall’attività produttiva dell’impresa sono a disposizione del commissario per un ammontare pari a quanto necessario all’attuazione dell’AIA e alla gestione dell’impresa; in caso ne residuasse una parte, vengono destinati a interventi di bonifica dell’area dello stabilimento. In caso di necessità, ai fini dell’attuazione e della realizzazione del piano, il commissario può altresì richiedere all’autorità giudiziaria il trasferimento delle somme sottoposte a sequestro “anche in relazione a procedimenti diversi da quelli per reati ambientali o connessi all’attuazione dell’AIA, a carico del titolare dell’impresa, ovvero, in caso di impresa esercitata in forma di societaria, a carico dei soci di maggioranza”. In caso di impresa societaria queste somme devono essere “trasferite a titolo di sottoscrizione di aumento di capitale, o in conto futuro aumento di capitale nel caso in cui il trasferimento avvenga prima dell’aumento di capitale”; nel primo caso il sequestro penale sulle somme si converte in maniera automatica in sequestro delle azioni o quote emesse, mentre nel secondo caso si converte in credito a titolo di futuro aumento di capitale.

Il secondo articolo del decreto, in una sorta di parallelismo con la struttura del precedente D.L. 207/2012, si riferisce specificamente ad ILVA; per la società, infatti, si dichiarano sussistenti i requisiti necessari previsti al primo articolo per l’assoggettamento alla procedura di commissariamento straordinario. Gli interventi previsti dal piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria sono “dichiarati indifferibili, urgenti e di pubblica utilità”.

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Sono stati inoltre abrogati i commi del terzo articolo del D.L 207/2012 relativi alla figura del Garante, che ha cessato di svolgere le proprie funzioni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Entro il 31 luglio del 2015 è stato previsto che venissero attuate almeno l’ottanta percento delle prescrizioni scadenti a tale data contenute nel piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, e che entro il 4 agosto del 2016 dovessero essere attuate tutte le prescrizioni rimanenti.

CAPITOLO 2 – LE NUMEROSE PROBLEMATICHE

Il D.L. 61 del giugno del 2013 ha, parimenti al precedente D.L. 207/2012, sollevato numerosi dubbi e critiche. In primo luogo, sebbene la volontà del legislatore fosse nuovamente quella di trovare un equo bilanciamento tra i diversi interessi in gioco, l’intervento sembrerebbe aver privilegiato la tutela del diritto alla salute e all’ambiente, a discapito della salvaguardia della continuità produttiva e dell’occupazione44. A differenza del D.L. 207/2012, che poneva in risalto la prosecuzione dell’attività a tutela appunto della continuità aziendale, il nuovo decreto ha operato una vera e propria strumentalizzazione dell’attività produttiva dell’impresa finalizzata “alla destinazione prioritaria delle risorse aziendali alla copertura dei costi necessari per gli interventi” volti ad eliminare situazioni di pericolo per l’ambiente e la salute, “a causa dell’inosservanza reiterata dell’AIA”. In questo modo è stata stravolta quella che rappresenta una delle “colonne portanti” dell’attività economica produttiva, ossia l’utilizzo delle risorse aziendali per il conseguimento di risultati positivi che costituiscano remunerazione del capitale di rischio.

Durante il periodo di commissariamento, il commissario straordinario è investito di tutti i poteri e di tutte le funzioni gestorie, compresa la predisposizione del piano contenente le azioni e i tempi necessari per garantire il rispetto dell’AIA: non si tratta quindi di un semplice affiancamento agli organi amministrativi già

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G.GUIZZI, Il commissariamento della Società per Azioni ai sensi del D.L 61/2013 tra funzionalizzazione

dell’impresa e problemi di tutela costituzionale della partecipazione azionaria. Prime note a margine del(la seconda puntata del) caso Ilva, in Il Corriere Giuridico, 2013, 1189 ss., p. 1189.

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in carica per poterne monitorare l’operato, ma di una vera e propria sostituzione degli stessi45. È importante considerare che in un’impresa societaria costituita sotto forma di Spa, la compagine sociale non possiede alcun potere relativo alla gestione amministrativa, che è integralmente affidata agli organi preposti specificamente a tale compito. Gli unici momenti in cui i soci “intervengono”, per così dire, sono quelli di nomina (ed eventualmente quello di revoca) di questi organi: ai sensi dell’art. 2383 C.C. primo comma, infatti, “la nomina degli amministratori spetta all’assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori, che sono nominati nell'atto costitutivo”. Ma la disciplina contenuta nel decreto ha previsto che il potere di nomina del/i soggetto/i a cui viene affidata l’amministrazione della società, sia attribuito al Presidente del Consiglio dei Ministri, quindi ad una autorità statale: in questo modo i soci vengono totalmente estromessi dalla gestione dell’azienda, essendo privati dell’unico potere che, secondo la disciplina ordinaria, possedevano.

In ogni caso la perdita del potere di nomina dell’organo amministrativo rappresenta solamente uno degli effetti collaterali di una ben più ampia prescrizione contenuta nel D.L. 61/2013: la totale sospensione, in caso di impresa societaria, di ogni potere attribuito all’Assemblea. La particolarità che i titolari del capitale di rischio investito nell’impresa perdano ogni potere relativo alla stessa, rappresenta il profilo che ha sollevato più dubbi e critiche in merito al decreto. Come disposto dal primo comma dell’art. 41 della Costituzione, “l’iniziativa economica privata è libera”; nonostante il secondo comma dello stesso articolo sancisca che (l’iniziativa economica privata) “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, un intervento così radicale da parte del legislatore è apparso ingiustificato e soprattutto contrario al principio sancito dal primo comma46. Lo stesso potere di approvazione del bilancio d’esercizio, che rappresenta per i soci un documento per valutare materialmente l’andamento della gestione, è affidato al commissario straordinario, lo stesso organo incaricato

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G.GUIZZI, op. cit., in Corriere Giuridico, 2013, 1189 ss., p. 1191.

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di redigere il bilancio stesso. L’unico diritto garantito in capo agli stessi è quello di informazione sull’andamento della gestione. L’intento del legislatore sembrerebbe essere stato quello di prevenire eventuali decisioni dell’assemblea finalizzate alla cessazione dell’attività d’impresa. Nel caso in cui la compagine sociale, a causa delle nuove ingenti risorse da investire, necessarie per il riallineamento dell’attività alle prescrizioni contenute nell’AIA, avesse ritenuto non più conveniente investire il proprio capitale in tale società, avrebbe potuto porre la società in liquidazione volontaria. Il decreto vuole scongiurare questo pericolo, imponendo una sorta di prosecuzione coattiva dell’attività d’impresa47, svincolata dalla volontà o meno dei soci di continuare ad investire nell’attività stessa.

Gli utili di periodo non si trovano nella disponibilità dei soci, ma sono al contrario affidati al commissario straordinario, e devono essere necessariamente reinvestiti nelle attività necessarie all’attuazione delle prescrizioni contenute nell’AIA e in interventi di bonifica.

Parallelamente a quanto disposto per le risorse aziendali, che, come detto in precedenza, devono essere destinate in via prioritaria alle azioni di tutela ambientale e della salute, anche i proventi dell’attività d’impresa devono essere indirizzati a tale scopo. L’assemblea perde quindi la possibilità di veder remunerato il capitale investito nella società, che costituisce una delle ragioni d’essere dell’investimento stesso: un soggetto decide di impiegare risorse in un’attività perché la remunerazione supera non solo il costo dell’investimento, ma anche le remunerazioni derivanti da eventuali investimenti in attività alternative.

Al Presidente del Consiglio è altresì attribuito il potere di sostituire fino ai due terzi dei componenti dell’organo di controllo in carica: questa prerogativa costituisce un’ulteriore ingerenza dell’autorità statale, nonché una deroga rispetto alla disciplina civilistica, ed un ulteriore effetto della privazione dei poteri dei

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soci. Ai sensi dell’art. 2400 C.C. primo comma, infatti, “i sindaci sono nominati per la prima volta nell’atto costitutivo e successivamente dall’assemblea”.

Il decreto, disponendo la sospensione dell’ “esercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari dell’impresa”, ha avuto altresì il rilevante effetto di precludere per i soci anche la possibilità di realizzare singolarmente la propria partecipazione48, magari attraverso l’alienazione ad altri soci o a soggetti terzi. In questo modo si è andata ad integrare una delle cause di recesso, salvo che lo statuto non disponga diversamente, previste in tema di Spa dall’art. 2437 C.C. al secondo comma lettera b), ossia “l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari”49. E, più in generale, la totale sospensione dei poteri dell’assemblea ha comportato una sostanziale “modifica dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione”, integrando una delle cause tassative di recesso prevista dallo stesso art. 2437 C.C. al primo comma lettera g). Ma, la perdita dei poteri di disposizione da parte del socio, in quanto tale, comporta inesorabilmente la perdita della possibilità di esercitare il diritto di recesso da parte dello stesso. Bisogna altresì considerare che l’istituto del recesso, per sua stessa natura, risulta conflittuale rispetto alla procedura: comportando un sacrificio monetario importante da parte della società, dal momento che il rimborso della partecipazione è operato sulla base del valore di mercato della stessa, solitamente superiore al valore di iscrizione in bilancio, vi sarebbe una sottrazione delle risorse disponibili e necessarie ai fini del commissariamento.

Il decreto inoltre sembrerebbe, con riguardo alla partecipazione societaria, aver violato il principio di proprietà, sancito all’art. 42 della Costituzione50. Il terzo comma dell’articolo dispone, infatti, che “La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale”: nel caso in oggetto, è fuor di dubbio che vi siano in gioco interessi di carattere sociali, quali la tutela dell’ambiente e della salute, nonché la tutela

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G.GUIZZI, op. cit., in Corriere Giuridico, 2013, 1189 ss., p. 1195.

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G.GUIZZI, op. cit., in Corriere Giuridico, 2013, 1189 ss., p. 1196.

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dell’occupazione. Sebbene la partecipazione societaria sia un bene con caratteristiche del tutto peculiari, e il decreto non abbia effettivamente operato un’espropriazione, nel senso proprio nel termine, sembrerebbe essere stato violato il principio della proprietà privata. La perdita del potere di nominare l’organo incaricato di amministrare e gestire la società, la perdita del potere di disporre degli eventuali utili di esercizio e la perdita del potere di realizzare la partecipazione sia collettivamente da parte dell’assemblea, sia singolarmente da parte di ciascun socio, sono andati a “sterilizzare” gli specifici diritti51 nascenti dalla detenzione di una partecipazione in una società. Quello che però non è stato previsto dal decreto è il c.d. “equo indennizzo”52

: i soci, privati di ogni prerogativa decisionale, restano vincolati alla società almeno per tutta la durata del commissariamento, senza possibilità di conseguire alcun risultato positivo dall’attività stessa e senza ricevere alcunché che possa compensare o controbilanciare queste privazioni.

Un’altra importante prerogativa che il decreto attribuisce al commissario straordinario, ossia il potere di aumentare il capitale sociale, ha sollevato alcuni dubbi. La disciplina civilistica in tema di Spa prevede che le decisioni in tema di aumento e riduzione di capitale sociale spettino all’assemblea straordinaria. L’art. 2443, primo comma, C.C. consente possibilità di deroga a questa previsione, infatti “Lo statuto può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare in una o più volte il capitale fino ad un ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque anni dalla data dell'iscrizione della società nel registro delle imprese”. È in ogni caso l’assemblea che, in sede di costituzione, o successivamente con modificazione dello statuto, può delegare il potere di decidere in merito ad aumenti di capitale all’organo amministrativo.

Il D.L. 61/2013, al contrario, rimette questa importante prerogativa decisionale direttamente ed esclusivamente al commissario. Si può a ben vedere osservare che questo rappresenta un altro dei molteplici effetti derivanti dalla sospensione

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G.GUIZZI, op. cit., in Corriere Giuridico, 2013, 1189 ss., p. 1195.

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dei poteri facenti capo ai soci. Fintanto che le azioni di nuova emissione vengono offerte agli stessi in proporzione al numero di azioni già possedute, questi conservano l’opportunità di scegliere se apportare nuovo capitale e mantenere intatta la propria partecipazione nella società, oppure non apportare capitale e rischiare di vedere ridotta la percentuale partecipativa in favore di altri soci o terzi che abbiano, al contrario, deciso di operare un nuovo investimento. Il problema si pone nel caso in cui il commissario straordinario disponga un aumento di capitale a pagamento con esclusione parziale o totale del diritto di opzione: sebbene la relazione predisposta dal commissario straordinario, e il parere rilasciato da parte del Collegio Sindacale, abbiano una funzione di garantire la correttezza e la trasparenza dell’operazione, i soci subiscono gli effetti della decisione commissariale. È preclusa la possibilità di acquisire le azioni di nuova emissione, e di fatto rischiano di vedere diminuite le proprie percentuali partecipative all’interno della società, senza essere in possesso di alcun strumento di reazione.

Infine, un ulteriore profilo che ha sollevato dubbi è sicuramente quello della limitazione di responsabilità di cui gode il commissario straordinario, il sub-commissario ed ogni eventuale soggetto da questi delegato per lo svolgimento degli incarichi. Prevedere la responsabilità solo in caso di dolo o colpa grave, ponendo un’altra importante deroga rispetto alla disciplina civilistica, sembrerebbe aver comportato una minore garanzia degli interessi dei titolari dell’azienda. Infatti in caso di negligenza, imprudenza o colpa lieve, i soggetti che hanno operato non possono essere perseguiti. In questo modo la compagine sociale non riceverebbe la massima tutela possibile, considerando che il capitale da essa investito è rimesso totalmente nelle mani di tali professionisti e del loro operato durante il periodo di commissariamento. Un eventuale esito negativo della gestione dell’impresa, causato da inefficienze dell’operato di questi soggetti, graverebbe solamente sulle spalle dei soci, che vedrebbero depauperato il proprio patrimonio investito senza aver alcun potere di reazione o di intervento.

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Di fronte ad un’ingerenza pressoché totale dell’autorità statale nell’attività aziendale, ci si è chiesti se sarebbe potuta essere più opportuna e coerente una nazionalizzazione della ILVA Spa53. I sostenitori del decreto, che hanno visto nella radicalità dell’intervento l’unico rimedio possibile data la gravità della condizione della salute e dell’ambiente, hanno sottolineato che in ogni caso la procedura di commissariamento straordinario dell’ILVA è una procedura avente durata limitata nel tempo, decorso il quale, se l’impresa ha rispettato tutte le prescrizioni previste, potrebbe tornare alle ordinarie condizioni di operatività. La criticità della situazione richiedeva un intervento legislativo già da molto tempo, e sicuramente l’inerzia dell’autorità statale ha contribuito ad aggravarla, e senza dubbio era necessario un intervento radicale come il D.L. 61/2013, data l’importanza degli interessi sociali in gioco. Ciò che solleva dubbi è che per assicurare un’adeguata tutela di questi, siano state stravolte completamente le caratteristiche peculiari dell’iniziativa economica privata: l’autorità statale ingerisce completamente, definendo gli obiettivi aventi carattere sociale, disponendo le politiche industriali che l’impresa deve seguire, ma prevedendo che il rischio d’impresa rimanga in capo ai soci, privati di ogni tipo di potere, e facendo gravare sulle spalle di questi tutti i relativi costi.

CAPITOLO 3 – VICENDE RILEVANTI SUCCESSIVE AL D.L. 61/2013

Il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, previsto ex D.L. 61/2013 e predisposto dal comitato degli esperti coadiuvato dal commissario straordinario, è stato effettivamente approvato con il D.P.C.M. 14 marzo 2014, a fronte della versione definitiva della proposta presentata il 21 novembre del 2013, in seguito all’acquisizione delle “osservazioni pervenute nella fase di consultazione”.

§ 3.1 – Assoggettamento ad amministrazione straordinaria

Come anticipato in precedenza, attualmente ILVA Spa si trova assoggettata a procedura di amministrazione straordinaria, disposta con D.M. 21 gennaio 2015,

(29)

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ed aperta con sentenza del Tribunale di Milano del 28 Gennaio 2015, che ha dichiarato lo stato di insolvenza della società ex art. 5 L.F., in seguito alla presentazione del ricorso da parte del commissario straordinario. La disciplina applicata è quella contenuta nel D.L. n. 347/03, relativo a “Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza”, la cui applicazione è stata estesa dal D.L. n. 1 del 5 gennaio del 201554 “alle imprese che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale, con riferimento alla particolare situazione dello stabilimento ILVA S.p.A. di Taranto”. L’intervento legislativo in oggetto è stato, in maniera analoga ai precedenti, costruito ad hoc sul caso specifico, per consentire appunto l’assoggettamento di ILVA ad amministrazione straordinaria, sebbene non abbia riguardato solamente le sorti della società, ma, più in generale, recante “Disposizioni urgenti per l'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell'area di Taranto”.

I crediti anteriori all'ammissione alla procedura, vantati da piccole e medie imprese nei confronti di imprese che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale, sono classificati come prededucibili, se “relativi a prestazioni necessarie al risanamento ambientale, alla sicurezza e alla continuità dell’attività degli impianti produttivi essenziali nonché i crediti anteriori relativi al risanamento ambientale, alla sicurezza e all'attuazione degli interventi in materia di tutela dell'ambiente e della salute previsti dal piano di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014”. L’esplicito riferimento al decreto di approvazione del piano predisposto ex D.L. 207/2012, ha testimoniato come l’amministrazione straordinaria della società rappresenti una sorta di “logica conseguenza” del commissariamento, a tal punto da creare un nuovo gruppo di crediti prededucibili55. I debiti che la società aveva contratto durante la prima procedura, al fine di attuare il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, godono della prededucibilità, ricevendo quindi lo stesso

54

Convertito con modificazioni dalla L. 20 del 4 marzo del 2015.

55

A. GIORDANO, Caso ‘Ilva’: come cambia la procedura di amministrazione straordinaria, www.ipsoa.it, 17 Marzo 2015

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