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La cultura della sicurezza a tutela del diritto al lavoro e alla salute

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Academic year: 2021

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5. LA VALUTAZIONE DEI RISCHI

In Europa ogni anno sono più di 5.580 le persone che perdono la vita sul lavoro e 159.000 muore a causa di malattie professionali. Molte di queste vite secondo l’EU-OSHA possono essere salvate attraverso un’efficace gestione dei rischi e predisponendo misure di prevenzione.

All’art. 15 del Testo unico sono enunciati gli obblighi fondamentali del decreto legislativo, alla lettera a) troviamo “La valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza”.

Quest’onere deriva dalla consapevolezza che ogni ambiente di lavoro presenta dei pericoli per le persone. Per tutelare la salute e la vita delle persone, la legge ha imposto la valutazione di tutti i rischi.

La procedura consiste nell’osservare tutte le fonti di pericolo che possono provocare danni, valutarne la pericolosità e predisporre misure per eliminare o ridurre il problema.

Lo scopo è prima di tutto prevenire la possibilità che i lavoratori subiscano danni sul luogo di lavoro, secondo adottare misure di protezione e prevenzione adeguate per migliorare nel tempo i livelli di salute e di sicurezza aziendali.

Prevenire le malattie professionali e gli infortuni28, molto spesso dipende dalla conoscenza che si ha dei rischi che tutti i giorni i lavoratori si trovano ad affrontare quando svolgono le proprie attività lavorative.

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5.1 Che cos’è il rischio, definizioni

Il rischio prima di tutto non s’identifica con l’evento dannoso, ma con la probabilità che il danno avvenga oppure no.

L’art. 2 del Testo Unico propone delle definizioni che chiariscono cosa si intende quando parliamo di rischio o pericolo.

• il Rischio: è la probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno

nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alle loro combinazioni.

• il Pericolo: è la proprietà intrinseca di un determinato fattore avente il

potenziale di causare danni.

Per svolgere l’attività di valutazione dei rischi, quest’ultimi sono classificati secondo il seguente schema:

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I rischi per la sicurezza29: comprende una serie di elementi che possono mettere in pericolo il lavoratore durante l’attività, come il rischio incendio, o il crollo di una parte della struttura.

I rischi per la salute: riguardano l’esposizione prolungata dei dipendenti agli agenti in tabella menzionati.

I rischi trasversali o organizzativi: sono dati da problemi di organizzazione del lavoro, turni lavorativi, monotonia che possono produrre disagio.

5.2 L’importanza della valutazione dei rischi

Tutto il sistema atto a prevenire gli infortuni ruota intorno alla valutazione che si fa sui rischi presenti sul lavoro. Un corretto esame di tutti gli aspetti dell’attività lavorativa è il metodo fondamentale per la prevenzione e la protezione che, dalla direttiva n. 89/391/CEE diviene uno specifico obbligo, sanzionato penalmente.

Fondamentale per la direttiva era la valutazione di rischi inevitabili in modo tale che siano resi noti ai lavoratori attraverso l’informazione.

Il D.Lgs. 81/2008 definisce la Valutazione dei Rischi come la “valutazione globale e

documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’abito dell’organizzazione in cui essi presentano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza”.

All’art. 28 si specifica l’oggetto della Valutazione dei Rischi, comprendendo tutti i rischi per la salute e la sicurezza, quindi anche quelli che riguardano i gruppi a contatto con rischi particolare, lo stress lavoro-correlato (secondo l’Accordo 2004), le lavoratrici in gravidanza, rischi connessi al genere, all’età e così via.

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Gli obiettivi della Valutazione Dei Rischi30 sono:

• Identificare in modo sintetico tutte le fonti di pericolo all’interno del ciclo produttivo, analizzando ogni attività, l’ambiente e le condizioni lavorative; • Eliminare o ridurre le cause dei rischi;

• Qualora non sia eliminabile predisporre i lavoratori a contatto dei Dispositivi di protezione;

• Attivare corsi di formazione e informazione sui rischi.

In conformità a questi obiettivi sarà necessario adottare misure di tutela generali, specifiche o di emergenza.

Vi sono dei lavoratori che sono maggiormente esposti al rischio, il Legislatore richiede ai datori di lavoro di prestare maggiore attenzione a queste categorie, che sono: i lavoratori giovani, le lavoratrici, gli stranieri e i lavoratori atipici.

5.3 Come si esegue la Valutazione dei Rischi

L’art. 29 del D.Lgs. 81/2008 stabilisce solo l’obbligo di compiere la valutazione dei rischi, la procedura da eseguire è decisa dal datore di lavoro in completa libertà, sulla base dei criteri si semplicità, brevità e comprensibilità.

Il datore di lavoro compie la valutazione e redige il Documento di Valutazione dei rischi in collaborazione con il RSPP, il RLS e il Medico competente. La Valutazione è soggetta a revisione in presenza di modifiche del processo produttivo o dell’inserimento di nuovi macchinari.

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La procedura che viene ormai largamente adottata per la valutazione si compone di numerose fasi31:

• analisi documentale;

• programmazione del controllo ispettivo dei luoghi di lavoro; • coinvolgimento del personale e del RLS;

• censimento dei rischi;

• analisi dei rischi e dei pericoli;

• identificazione delle misure di prevenzione e protezione; • riunione dei soggetti interessanti;

• individuazione delle azioni correttive e integrative; • condivisione di tutti i soggetti della prevenzione; • elaborazione del documento di valutazione dei rischi; • attuazione degli interventi di adeguamento necessari; • monitoraggio periodico;

• riesame.

La valutazione del rischio deve essere concepita come l’insieme di tutte le operazioni conoscitive e operative che devono essere attuate per raggiungere una stima del livello di rischio.

Una volta che i rischi sono stati individuati, bisogna attribuirgli un “valore” sulla base della probabilità che il danno accada e sulla gravità del possibile danno.

Ogni rischio è classificato con i valori di Probabilità di accadimento (P) e di Gravità del danno (D).

R = P x D

I valori P e D possono essere calcolati in conformità a un modello a “matrice”, attribuendogli un valore numerico che va da 1 a 4.

La Probabilità dell’Accadimento è ottenuta attraverso la Scala di Probabilità (P) che verifica la correlazione tra la mancanza riscontrata e il danno che è ipotizzato.

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VALORE LIVELLO DEFINIZIONI/CRITERI

4 Altamente

probabile

• Esiste una correlazione diretta tra la mancanza rilevata ed il verificarsi del danno ipotizzato per i lavoratori. • Si sono rivelati danni per la stessa mancanza in

situazioni operative uguali/simili.

• Il verificarsi del danno conseguente alla mancanza rilevata non susciterebbe stupore.

3 Probabile

• La mancanza rivelata può provocare un danno, anche se non diretto o automatico.

• Sono noti alcuni episodi in cui alla mancanza ha fatto seguito il danno.

• Il verificarsi del danno ipotizzato, susciterebbe moderata sorpresa.

2 Poco probabile

• La mancanza può provocare un danno solo in circostanze di eventi sfortunati.

• Sono noti solo pochissimi episodi verificatisi.

• Il verificarsi del danno ipotizzato, susciterebbe una grande sorpresa.

1 Improbabile

• La mancanza rilevata può provocare un danno per la concomitanza di più eventi poco probabili indipendenti.

• Non sono noti episodi già verificatisi.

• Il verificarsi del danno ipotizzato susciterebbe incredulità.

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Il livello di gravità del possibile danno è invece classificato sulla base della

Scala dell’entità del danno (D):

VALORE LIVELLO DEFINIZIONI/CRITERI

4 Gravissimo • Infortunio o episodio di esposizione acuta con effetti letali o di invalidità totale.

• Esposizione cronica con effetti letali e/o totalmente invalidanti.

3 Grave • Infortunio o episodio di esposizione acuta con effetti

d’invalidità parziali.

• Esposizione cronica con effetti irreversibili e/o parzialmente invalidanti.

2 Medio • Infortunio o episodio di esposizione acuta con inabilità reversibile.

• Esposizione cronica con effetti reversibili.

1 Lieve • Infortunio o episodio di esposizione acuta con inabilità reversibile.

• Esposizione cronica con effetti rapidamente reversibili.

La formula R= P x D è rappresentabile tramite l’esempio di grafico di matrice di valutazione del rischio, in cui nelle ascisse è posta la gravità del danno atteso e sull’asse delle ordinate abbiamo la probabilità che il danno avvenga.

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I rischi maggiori sono quelli posti nelle caselle in alto di colore rosso, mentre quelli minori si trovano vicino all’origine degli assi.

Figura 8 Esempio di matrice di Valutazione del Rischio

Può essere anche fatta una valutazione numerica del Livello di Rischio (R) che si traducono nell’adozione di misure di prevenzione e protezione:

Figura 9 Valutazione numerica dei livelli di rischio

Attraverso questa scala è possibile individuare il livello di priorità delle azioni di prevenzione da mettere in atto per ridurre il rischio32.

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5.4 La Valutazione nelle piccole aziende

La valutazione dei rischi varia secondo la dimensione delle aziende e del numero di dipendenti occupati.

Per le aziende che occupano dai 10 ai 50 dipendenti in passato era prevista la autocertificazione dei rischi effettuata dal datore di lavoro. Dal 30 novembre 2012, con decreto interministeriale, l’autocertificazione non è più accettabile e per ciò le piccole aziende, anche quelle con meno di 10 dipendenti, dovranno compiere la Valutazione dei rischi attraverso Procedure Standardizzate.

Le Procedure Standardizzate si articolano su quattro fasi: 1. Descrizione dell’azienda;

2. Individuazione dei pericoli;

3. Valutazione dei rischi che i pericoli riscontrati possono provocare e definizione delle misure di prevenzione da adottare;

4. Stabilire un programma di miglioramento della salute e sicurezza.

5.5 Il Documento di Valutazione dei Rischi

La compilazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) costituisce la fase finale di tutta la Valutazione che i responsabili hanno svolto dei rischi.

Il DVR è obbligatorio per le aziende con più di 10 lavoratori, per le aziende entro i 50 dipendenti l’art. 9 del Testo Unico dispone che la redazione sia effettuata attraverso

procedure standardizzate emanate dalla Commissione consultiva permanente per la

salute e la sicurezza sul lavoro.

Il Testo Unico 81/2008, rispetto al D.Lgs. 626/94, ha ampliato i contenuti obbligatori che devono essere inseriti, affidandogli una maggior funzione gestionale, in modo tale da guidare efficacemente i soggetti alle migliori misure preventive da adottare.

Documento redatto dal datore di lavoro, per legge va registrato su un supporto informatico e deve essere apportata la data certa e la firma del datore di lavoro, del

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Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, del Rappresentante dei lavoratori e se presente quella del Medico competente.

Nel DVR devono essere tassativamente riportate le seguenti informazioni:

1. La relazione sulla valutazione di tutti i rischi riscontrati sulla base dei criteri

adottati per la valutazione;

2. Indicazione delle misure preventive e protettive attuate più i dispositivi dei

protezione;

3. programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel

tempo dei livelli di sicurezza;

4. individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure preventive da

realizzare;

5. indicazione dei nominativi dei RSPP, RLS, medico competente;

6. individuazione delle mansioni più esposte a rischi specifici per i lavoratori che

richiedono specifiche competenze, esperienza, formazione e addestramento. Il datore di lavoro e il dirigente hanno l’obbligo di consegnare copia del DVR al Rappresentante dei Lavoratori, che ne fa richiesta.

Il documento di valutazione è soggetto a revisione e ad aggiornamenti. Ci sono dei casi che obbligano a una tempestiva modifica, fissata entro 30 giorni, quali:

1. modifiche significative del processo produttivo; 2. evoluzione degli strumenti e delle tecniche adottate;

3. in presenza di gravi infortuni, o in seguito a una sorveglianza sanitaria.

5.6 Identificazione dei Rischi

Nel corso di tutto l’elaborato abbiamo sempre nominato la parola “Rischio” attribuendogli un significato generale.

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Identifichiamo ora i rischi in modo specifico, che possono essere più o meno presenti all’interno di un’azienda. Solo conoscendo i rischi ai quali i lavoratori sono esposti sarà possibile mettere in atto azioni di salvaguardia contro gli infortuni e le malattie professionali.

5.6.1 Valutazione dei Rischi di esposizione agli Agenti Fisici

L’art. 180 del D.Lgs. 81/2008 definisce quali agenti fisici33: il rumore, gli ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni meccaniche, i campi elettromagnetici, le radiazioni ottiche, di origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche che possono comportare i rischi sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori.

L’art. 181 invece stabilisce tutti i principi comuni agli agenti fisici per quanto riguarda la Valutazione dei rischi che producono. La valutazione alla presenza di agenti fisici deve essere programmata e revisionata con cadenza almeno quadriennale. Il datore di-lavoro sarà seguito da tecnici specifici adibiti alla valutazione, tramite strumentazione corretta, di tali rischi. I dati ottenuti saranno parte integrante del DVR, in cui saranno inserite le conclusioni della valutazione, le misure preventive adottate e le eventuali giustificazioni del datore di lavoro.

a) Il Rumore

Il rumore è uno degli agenti fisici più comune che si può trovare negli ambienti di lavoro.

L’art. 188 definisce il rumore34:

• pressione acustica di picco (Ppeak): valore massimo della pressione acustica ponderata in frequenza “C”.

• livello di esposizione giornaliera al rumore (LEX,8H): valore medio, ponderato in funzione del tempo, dei livelli di esposizione al rumore per una

33Guida Pratica Sicurezza del lavoro, il Sole 24 ore, a cura di Mario Gallo 34http://www.portaleagentifisici.it/DOCUMENTI/Dlgs_81_2008.pdf?lg=IT

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giornata lavorativa nominale di otto ore, definito dalla Norma Internazionale ISO 1999:1990 punto 3.6. Si riferisce a tutti i rumori sul lavoro, incluso il rumore impulsivo;

• livello di esposizione settimanale al rumore (LEX,W): valore medio, ponderato in funzione del tempo, dei livelli di esposizione giornaliera al rumore per una settimana nominale di cinque giornate lavorative di otto ore.

L’art. 189 invece fissa i limiti di esposizione al rumore e i valori di azione, essi rappresentano i punti di riferimento per il datore di lavoro:

1) valori limite di esposizione rispettivamente LEX = 87 dB(A) e ppeak = 200 Pa (140 dB(C) riferito a 20 µPa);

2) valori superiori di azione: rispettivamente LEX = 85 dB(A) e ppeak = 140 Pa (137 dB(C) riferito a 20 µPa);

3) c) valori inferiori di azione: rispettivamente LEX = 80 dB(A) e ppeak = 112 Pa (135 dB(C) riferito a 20 µPa).

Il datore valuterà tale tipologia di rischi, seguendo quanto indicato nell’art. 181, considerando tali elementi:

1) il livello, la durata e il tipo di esposizione;

2) i valori limite di esposizione e di azione stabiliti dall’art. 189; 3) gli effetti diretti e indiretti;

4) le informazioni di emissione rumori dei rumori avute dai fornitori sui macchinari;

5) attrezzatura alternativa progettata per ridurre il rumore.

Se dopo la valutazione dei rischi si pensa che i limiti di azione sono stati superati, occorrerà utilizzare un rilevatore fonometrico attraverso personale qualificato che riporterà i risultati sul Documento di valutazione.

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b) Vibrazioni

L’art. 200 del titolo VIII del T.U. Fornisce quattro definizioni di vibrazione:

1. vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio: le vibrazioni meccaniche

trasmesse alla mano-braccio provoca disturbi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, come, problemi vascolari, neurologici o muscolari;

2. vibrazioni trasmesse al corpo intero: tali vibrazioni meccaniche possono

provocare traumi del rachide e lombalgie.

Tale rischio va valutato tenendo conto delle condizioni di lavoro specifiche e su informazioni della probabile entità delle vibrazioni delle attrezzature utilizzate.

5.6.2 Valutazione dei Rischi di esposizione agli Agenti Chimici

Numerosi sono i prodotti che contengono sostanze chimiche che i lavoratori utilizzano quotidianamente35. Non sono utilizzati solo dai lavorati che li producono, ma anche da chi li utilizza per la propria attività lavorativa.

I prodotti chimici sono definiti quelle sostanze tossiche che possono produrre effetti indesiderati sulle persone o che possono alterare la funzione di organismi o di apparati. I danni possono manifestarsi subito dopo l’esposizione o dopo periodi più o meno lunghi.

Per quanto riguarda l’ultimo caso ci troviamo di fronte a una malattia professionale che è stata riconosciuta causata in modo diretto dal lavoro.

Gli infortuni procurati dal contatto con le sostanze chimiche sono suddivisi sulla base della modalità di contatto della lesione:

1. contatto con sostanze pericolose per via nasale, orale; 2. contatto con sostanze pericolose attraverso pelle o occhi;

3. contatto con sostanze pericolose attraverso il sistema digerente, inghiottendo o mangiando.

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Importante è prevenire i rischi controllandoli, ecco per cui ogni prodotto pericoloso deve possedere un’etichetta posta da chi l’ha riempito.

Il fornitore deve compilare una scheda con i dati sulla sicurezza e consegnarla all’utilizzatore.

Come per tutti i rischi importanti sarà l’informazione ai lavoratori e l’utilizzo di mezzi di protezione individuali o collettivi.

Con l’emanazione del Regolamento REACH, che prevede l’istallazione di un sistema integrato che registra, valuta, autorizza e restringe le sostanze chimiche, l’Unione Europea cerca di migliorare la protezione della salute delle persone e dell’ambiente, non danneggiando però le industrie chimiche europee.

Il titolo IX del D.Lgs. 81/2008 stabilisce i requisiti minimi per la tutela dei lavoratori esposti a sostanze pericolose. Le disposizioni si rifanno al D.Lgs. n. 25 del 2002.

Il rischio chimico è valutato dal datore di lavoro attraverso due fasi successive:

• Valutazione preliminare del pericolo: in cui avvengono la presenza o meno di agenti chimici pericolosi e i rischi che possono produrre sulla base della loro proprietà, le informazioni contenute nella scheda redatta dal fabbricante ai sensi del D.Lgs. 3/2007, l’intensità dell’esposizione.

• Valutazione dettagliata del rischio residuo: fase in cui il rischio di esposizione agli agenti chimici è valutato Rischio di tipo non moderato si procederà a un’analisi più dettagliata, utilizzando anche rilevatori strumentali appositi.

5.6.3 Valutazione dei Rischi di esposizione agli Agenti Biologici

Valutare i rischi biologici è molto complesso a causa di molte incertezze. L’art. 271 prescrive una particolare valutazione che punta all’assoluta prudenza e all’analisi di tutti gli elementi a disposizione, partendo da: una classificazione degli agenti biologici pericolosi, informazione sulle possibili malattie che si possono contrarre, ai potenziali effetti allergici e tossici.

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Il D.Lgs 81/2008 distingue gli agenti biologici in quattro categorie.

• Agenti biologici del gruppo 1: agenti che hanno poca probabilità di causare malattie alle persone;

• Agenti biologici del gruppo 2: tale agente può provocare gravi malattie ma hanno una scarsa probabilità di diffondersi nella comunità, sono comunque disponibili efficaci misure profilattiche e terapeutiche..

• Agenti biologici del gruppo 3: agenti possono causare gravi malattie ai lavoratori e possono diffondersi nella comunità, ma sono disponibili efficaci misure terapeutiche o profilattiche.

• Agenti biologici del gruppo 4: tali agenti possono causare gravi malattie ai lavoratori e possono diffondersi nella comunità, non sono disponibili efficaci misure terapeutiche o profilattiche.

Attività che prevedono l’utilizzo di agenti biologici va comunicate all’organo competente territoriale (ASL) 30 giorni prima dell’inizio dei lavori.

In caso di incidenti invece bisognerà adottare misure per gestire l’emergenza provocata dagli agenti della categoria 2,3,4. in questi casi si provvederà a far allontanare i lavoratori dalla zona contaminata. In seguito all’incidente il datore di lavoro ha l’obbligo di informare l’ASL, i lavoratori, il rappresentante della sicurezza, sulle modalità e le cause che l’hanno provocato e le misure che ha adottato o che intende adottare per far fronte al problema verificatosi.

5.8 Dispositivi di protezione individuali

In seguito alla Valutazione Dei Rischi sono evidenziati dei pericoli che non possono essere eliminati con altri mezzi. Per questo motivo i lavoratori sono adeguatamente informati dei pericoli che corrono nello svolgimento di quella mansione e dotati dei Dispositivi di protezione individuali (DPI) da utilizzare di fronte a quella fonte di rischio.

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Per DPI l’art. 74 del D.Lgs. 81/2008 intende qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni completamento o accessorio destinato a tale scopo.

La normativa prescrive una verifica di mercato sui dispositivi, una raccolta sulle informazioni tecniche e sulle istruzioni d’uso fornite direttamente dai fabbricanti. In seguito alla verifica si procederà alla decisione di quali DPI adottare e individuare i momenti in cui devono essere adottati.

Importante sarà poi definire la durata dell’uso, sulla base: dell’entità del rischio, frequenza dell’esposizione, caratteristiche del luogo di lavoro e sulle prestazioni del DPI.

Una volta scelto il DPI il datore di lavoro ha degli obblighi, quali:

• mantenere in efficienza dei DPI assicurando le condizioni di igiene; • assicurarsi che i DPI siano utilizzati esclusivamente per gli usi previsti; • fornire istruzioni e informazioni sull’utilizzo ai lavoratori;

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6. IL RISCHIO STRESS LAVORO-CORRELATO

Lo stress legato al lavoro è il nuovo obiettivo del settore che si occupa della sicurezza sui luoghi di lavoro sia a livello comunitario sia nazionale.

Lo stress al momento è il secondo problema di salute legato al lavoro, si pensa che la metà delle giornate lavorative perse siano proprio a causa dello stress. Lo stress può colpire chiunque, in Europa un lavoratore su quattro è stressato.

Secondo un sondaggio il 51% dei lavoratori europei ritiene che lo stress lavoro-correlato sia presente sul luogo di lavoro; il 66% invece ritiene che l’eccessivo carico lavorativo sia la principale fonte di stress; mentre 4 lavoratori su 10 pensa che non siano ancora state attuate azioni adeguate a tale problema. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene che entro il 2020 lo stress lavoro-correlato sarà la “causa principale

dell’inagibilità al lavoro”36.

36 Ambiente sicurezza sul lavoro, Speciale, Stress lavoro-correlato, Mini guida alla valutazione e gestione del

rischio, EPC periodici

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Il privo intervento normativo è avvenuto nel 2004 con l’Accordo Quadro Europeo, recepito nel nostro paese all’interno del D.Lgs. 81/2008. Nell’Accordo è riconosciuta una maggiore importanza alla “salute”, a tutela di uno stato di benessere del lavoratore a livello fisico, mentale e sociale.

Si è giunti a un primo Accordo poiché l’Unione Europea sentiva sempre più l’esigenza di dover ampliare le conoscenze dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei rappresentanti su un problema “emergente “ quale lo stress determinato dal lavoro.

L’Accordo oltre a fornire una definizione dello stress, indica i fattori che possono determinare stress per il lavoratore, come scarsa gestione organizzativa, condizioni lavorative, comunicazione ecc...

Nella “Relazione sull’analisi interlocutoria della strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro” il Parlamento europeo identificò lo stress come un vero e proprio ostacolo alla produttività europea, invitando così gli Stati membri ad attuare politiche di sensibilizzazione.

L’Unione Europea ha deciso di mettere al centro tale rischio, tramite “L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro” lanciando una campagna dal titolo: “Insieme per la prevenzione e la gestione dello stress lavoro correlati” per il 2014-2015 incentrato proprio sulla gestione dei rischi psicosociali.

6.1 Che cos’è lo stress

La parola “stress” è largamente utilizzata, spesso abusata, ma in realtà quando parliamo di stress, ci riferiamo a uno stato che comprende malessere fisico, psicologico e sociale.

Lo stress è stato per la prima volta definito37 da Hans Selye, che lo identifica nella risposta che l’organismo produce quando deve affrontare situazioni ambientali nocive.

37 A. AIELLO, P. DEITINGER, C. NARDELLA, Il modello "Valutazione dei Rischi Psicosociali" (VARP).

Metodologia e strumenti per una gestione sostenibile nelle micro e grandi aziende: dallo stress lavoro-correlato al mobbing, Milano, 2012

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Noi tutti siamo quotidianamente soggetti a fattori di stress, che possono essere sia positivi, cioè quelli che ci permettono di affrontare i cambiamenti e i problemi di tutti i giorni, sia negativi.

L’importanza di occuparsi dello stress negativo è dovuta ai suoi effetti in quanto: quando la persona si trova di fronte a uno stressor essa attiva il Sistema Nervoso Vegetativo, più di preciso il Sistema Nervoso Simpatico che attraverso la ghiandola surrenale rilascia nel sangue adrenalina e/o noradrenalina, modificando così il sistema cardiovascolare.

Se lo stress si protrae per lunghi periodi a elevata intensità, intervengono oltre al sistema nervoso anche quello endocrino e/o immunitario. Il perdurare di richieste dall’ambiente troppo elevate può portare dunque all’aggravarsi di patologie già esistenti.

Secondo la teoria di Selye, le reazioni che l’individuo sviluppa di fronte a uno stimolo stressante si suddividono in tre fasi:

− Fase di “Allarme”; − Fase di “Resistenza”;

− Fase di “Esaurimento funzionale”.

Nella prima fase, l’individuo riconosce di star vivendo una situazione stressante e predispone un aumento dell’attenzione, sviluppando delle resistenze di carattere biochimico-ormonale; nella fase di resistenza le difese allertate in precedenza si stabilizzano, nell’ultima fase, la persona non riesce ad adattarsi ulteriormente alla situazione e sviluppa un esaurimento funzionale.

Lo stress nel luogo di lavoro può essere determinato da diverse cause, legate

all’organizzazione del lavoro, come: il carico, l’orario, l’ambiente, ruolo, autonomia,

sicurezza, gerarchie;

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motivazioni, le attitudini; e da fattori socio-demografiche: situazione familiare, condizione economica, relazioni.

Quando si presenta uno squilibrio tra questi fattori la persona, si troverà in una situazione di “strain”, non riuscendo più ad adattarsi ulteriormente alla fonte di stress, accadranno degli effetti che andranno a gravare sulla salute.

Lo stress lavoro-correlato è considerato negativo non solo per la persona ma anche per l’azienda che si troverà ad affrontare problemi come:

• assenteismo; • continuo turnover;

• violenze e molestie psicologiche; • minore produttività;

• costi di indennizzo e spese mediche.

Nel 2002 è stato rilevato che il costo economico dello stress lavoro-correlato è costato a 15 paese membri circa 20.000 Milioni di euro38.

Lo stress ormai inevitabile nella società che si sta formando, porta a considerare inevitabile la valutazione dello stress lavoro-correlato al pari degli altri rischi presenti nei luoghi di lavoro, nel nostro paese è diventato obbligatorio dal 2010.

La Valutazione è compiuta dal datore di lavoro, dal RSPP e dal Medico Competente. Per misurare lo stress esistono vari modelli, generalmente si utilizzano questionari anonimi da sottoporre a gruppi di persone prese in esame, o a un campione significativo di essi.

La valutazione si può effettuare analizzando percezioni soggettive, che si focalizzino sul rapporto persona-ambiente e sull’esperienza emotiva della persona; mentre se si prendono in considerazione le condizioni di lavoro, si possono utilizzare strumenti come il “job analysis” e “check list” basate su “modelli osservazionali e su riscontri oggettivi”, come organigramma, orari, condizioni ambientali

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A livello internazionale sono numerosi gli strumenti adottati per misurare il livello soggettivo dello stress.

Uno dei più famosi e più utilizzati a livello europeo e negli USA è il JCQ, Job Content Questionnaire di R. A. Karasek. Il suo fondatore sosteneva che lo stress derivi dal rapporto che intercorre tra le richieste lavorative e le capacità di controllo della persona.

Altro modello è il E-RI, Effort Reword Imbalance di J. Siegrist e R. Peter, che si basa sulla differenza che intercorre tra l’impegno che la persona mette nel proprio lavoro e la ricompensa che ne ottiene.

Noi analizzeremo invece due modelli: il primo è quello adottato dall’INAIL, largamente utilizzato nel nostro paese, soprattutto nelle pubbliche amministrazioni. Si rifà al Modello Management Standards e al Health and Safety Executive (HSE), quest’ultimo è stato sottoposto a 26.000 lavoratori del Regno Unito e Dell’Irlanda. La scelta di utilizzare questo modello è stata determinata da elementi quali: il ruolo centrale degli attori, dalla completezza, dall’adattabilità a tutte le tipologie aziendali. Il secondo modello che prenderemo in analisi è il modello di Valutazione dei rischi psicosociali (VARP) che si rifà al PRIMA-EF, di recente elaborazione.

6.2 Modello Management Standards adottato dall’INAIL

In Italia il D.lgs. 81/2008, all’art. 6 istituisce la Commissione Consultiva permanente sulla salute e sicurezza sul lavoro, che attraverso il D.Lgs. 106/2009 ha compito di predisporre le indicazioni sulla valutazione dei rischi dello stress lavoro-correlato. La valutazione si articola in due fasi sequenziali:

• Necessaria: obbligatoria per tutte le aziende, definita anche preliminare;

• Eventuale: fase necessaria se lo stress medio/alto non diminuisce con le azioni correttive risultate inefficaci.

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Nel Modello Management Standard la prima valutazione che si compie sullo stress lavoro-correlato, è gestita da un gruppo definito “Gruppo di Gestione della Valutazione”, composto dal datore di lavoro o da un dirigente ad hoc da lui delegato, l’RSPP, RLS e il Medico Competente, quest’ultimo avrà il compito di guidare l’intero processo valutativo. I membri di questo gruppo sono le figure riconosciute dalla legge responsabile del processo di valutazione dello stress lavoro-correlato.

Fase 1

Il processo comincia con la Valutazione Preliminare in cui si prendono in esame

indicatori oggettivi e verificabili.

Questa fase viene anche denominata “lista di controllo” e si articola in due momenti: analisi degli eventi sentinella e una sugli indicatori di contenuto e contesto che richiede maggior attenzione.

Qui di seguito è riportata la tabella contenuta nelle Linee guida dello stress lavoro-correlato emanate dall’INAIL, che mostra quali sono gli indicatori oggettivi che si prendono in considerazione.

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Figura 11 Schema indicatori aziendali

Queste liste di controllo possono essere applicabili anche dai “soggetti aziendali della prevenzione” e vanno riferite a “gruppi omogenei di lavoratori” che svolgono le stesse attività, negli stessi luoghi.

Lo strumento della lista è utilizzato per semplificare il lavoro del Gruppo di Gestione della Valutazione, nel caso del contenuto e del contesto deve essere garantita la partecipazione attiva dei RLS/RLST, in quanto loro conoscono meglio l’azienda, il lavoro e i lavoratori.

A ogni indicatore corrisponde un punteggio che concorre a quello complessivo dell’area. I punteggi degli eventi sentinella, del contenuto e del contesto vengono sommati così da determinare il punteggio in percentuale da confrontare al punteggio massimo.

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Abbiamo tre tipologie di livelli di rischio:

Se dalla Valutazione Preliminare si è riscontrato un Rischi non Rilevante questo dato deve essere riportato nel DVR e sarà predisposto un piano di monitoraggio.

In caso di Rischi Medio sarà opportuno adottare adeguate azioni correttive per gli indicatori di contenuto e contesto che hanno riportato i valori più elevati. Inseguito, si procederà al monitoraggio con le stesse “liste di controllo”, per verificare l’efficacia delle azioni messe in atto. Se saranno inefficaci, si passerà alla Valutazione Approfondita.

(25)

In caso di rischio Alto come in quello medio bisognerà adottare azioni correttive per gli indicatori di contenuto e contesto che hanno riportato i valori più elevati. In seguito si procederà al monitoraggio con le stesse “liste di controllo”, per verificare l’efficacia delle azioni messe in atto. Se saranno inefficaci, si passerà alla Valutazione Approfondita.

Se la valutazione del rischio termina con esito negativo, dichiarando che il rischio è basso, il risultato è riportato nel DVR, con la previsione di un’azione di monitoraggio. In caso di esito positivo invece, siamo alla presenza di un rischio medio o alto, per cui sarà necessario adottare azioni correttive.

Se nonostante le azioni correttive, il valore di rischio è ancora medio/alto si passerà alla seconda fase, quella Approfondita.

Fase II

Nella Valutazione Approfondita sono prese in considerazione le percezioni

soggettive dei lavoratori utili a conoscere le cause dello stress. Può essere considerata

la più adatta valutazione dello stress poiché in questa fase c’è un coinvolgimento diretto dei lavoratori, e chi più dei diretti interessati può stabilire la presenza o l’intensità dello stress se non loro che lo vivo.

La valutazione approfondita si compie solo se il rischio stress è elevato, ma essendo il tema molto delicato, niente vieta al datore di lavoro di adottare direttamente tale valutazione saltando la preliminare.

La metodologia scelta dall’INAIL, in questa fase utilizza un “questionario-strumento indicatore”, risulta efficace in tutte le aziende con più di 10 dipendenti, in aziende grandi la valutazione viene svolta su un campione rappresentativo. Questa fase si riferisce a gruppi omogenei di lavoratori identificati problematici.

Strumento facile da somministrare, composto da 35 domande, riguardanti le condizioni di lavoro potenzialmente stressanti ed è indispensabile garantire l’anonimato del compilatore.

(26)

I risultati della valutazione rischio stress lavoro-correlato devono essere riportati nel DVR, insieme:

• all’elenco dei membri e del ruolo che hanno svolto nel processo.

• La metodologia adottata e le modalità con la quale sono stati individuati i gruppi omogenei.

• alle modalità con la quale il datore di lavoro ha coinvolto gli RLS/RLST.

• Le azioni e le modalità di informazione/formazione/ sensibilizzazione che si vogliono adottare.

• La pianificazione e l’adozione di misure correttive. • Valutazione dell’efficienza delle misure adottate. • Piano di monitoraggio.

6.3 Modello di Valutazione dei Rischi Psicosociali (VARP)

L’Unione Europea nel biennio 2006-2008 ha finanziato il Progetto “Psychosocial Risk Management, European Framework” (PRIMA-EF), allo scopo di creare un modello europeo per gestire i rischi psicosociali, soprattutto lo stress lavoro-correlato e la violenza sui luoghi di lavoro.

Lo scopo della valutazione dei rischi psicosociali è quello di verificare i pericoli psicosociali e gli effetti che producono sulla salute. Ciò che va valutato non è tanto lo stress, bensì il “rischio” derivante dallo stress lavoro-correlato.

(27)

Il modello VARP39 si ispira proprio al PRIMA-EF e si basa su una valutazione dei rischi articolata in cinque fasi:

• Identificazione dei pericoli/rischi psicosociali (fase “Preliminare”): il Gruppo di coordinamento analizza i dati oggettivi, registrati dall’azienda (eventi sentinella) e svolge una prima osservazione di contenuto e contesto tramite check list, griglie di analisi..

• Valutazione dei rischio psicosociale (fase di “Approfondimento”): raccolta di dati soggettivi, relativi alle variabili di contenuto e contesto attraverso questionario VARP sottoposto a tutti i lavoratori nelle medie aziende o a un gruppo rappresentativo per quelle più grandi. Per le micro e piccole aziende si sottopone il CSL, Checklist Stress Lavoro-correlato.

• Attuazione di strategie di controllo del rischio (Interventi): sulla base dei dati ottenuti si procederà all’individuazione di strategie idonee, che possono essere individuali, di gruppo o per aree.

• Monitoraggio dell’efficacia delle strategie intraprese: trascorso un determinato periodo sarà necessario valutare l’efficacia delle strategie messe in atto, con tecniche quali-quantitative.

• Rivalutazione del rischio o rischi specifici: la Valutazione dei rischi psicosociali sarà ripetuta periodicamente o anche in caso di modifiche del contesto lavorativo.

Il modello VARP può essere di due tipi a seconda delle dimensioni dell’azienda. Il VARP-G nella versione per le grandi aziende, si compone di 192 item valutativi articolato su 27 scale, mentre il VARP-M per le medie imprese, si compone di 83 item suddiviso in 23 scale. Vengo anche misurati i meccanismi i coping che sono le strategie che vengono mese in atto dalla persona per far fronte allo stressor.

39 A. AIELLO, P. DEITINGER, C. NARDELLA, Il modello "Valutazione dei Rischi Psicosociali" (VARP).

Metodologia e strumenti per una gestione sostenibile nelle micro e grandi aziende: dallo stress lavoro-correlato al mobbing, cit., vedi infra p. 53.

(28)

Il questionario è poi suddiviso in sessioni:

I SEZIONE: in cui sono inseriti i fattori di contenuto e contesto dell’organizzazione che possono produrre stress.

II SEZIONE: strategie di coping attuate dal soggetto.

III SEZIONE: nell’ultima sezione si analizzano gli effetti fisici e mentali più la soddisfazione lavorativa della persona

6.4 Differenza tra il Management Standards e il VARP

La prima differenza40 tra questi due modelli sono le fasi di valutazione: il modello Management Standards presenta solo 2 fasi (Preliminare e Approfondita) mentre il modello VARP si articola in 5 fasi, in quanto non analizza solo gli elementi oggettivi e soggettivi, ma monitora sia le strategie adottate sia la loro efficacia presente e futura. Secondo il modello VARP lo stress può essere rilevato solo attraverso le risposte a domande su come si caratterizza il lavoro e non con la semplice analisi di dati

oggettivi, che presentano comunque una valutazione soggettiva data

dall’interpretazione personale di un soggetto fisico.

Le aree generative del modello VARP, sulla quale si articola tutto il questionario, sono molte di più rispetto al modello dell’INAIL, incorporando aspetti come: la Sicurezza e l’ambiente di lavoro, caratteristiche del lavoro, ruolo nell’organizzazione, sviluppo di carriera e competenze, relazioni interpersonali, supporto sociale, processi gestionali, leadership.

La campagna Europea 2014-2015 “Insieme per la prevenzione e la gestione dello stress-lavoro-correlato” sottolinea l’importanza di una corretta gestione dei rischi psicosociali, in quanto porta benessere e soddisfazione ai lavoratori, forza lavoro sana e motivata, migliori prestazioni e rendimenti, minor turn over e minor costi per la società.

40 A. AIELLO, P. DEITINGER, C. NARDELLA, Il modello "Valutazione dei Rischi Psicosociali" (VARP).

Metodologia e strumenti per una gestione sostenibile nelle micro e grandi aziende: dallo stress lavoro-correlato al mobbing, cit., vedi infra p. 54.

(29)

6.5 L’Italia e lo stress lavoro-correlato oggi

Lo stress in ambito lavorativo è un tema che ha ottenuto l’attenzione del mondo scientifico già dagli anni ‘60, ma in Italia, fino a poco tempo fa era considerato ancora un “rischio emergente”, difficile da gestire. Lo stress sembra ormai inevitabile nelle moderne società industriali ed ha sempre fatto parte della vita di ogni lavoratore, non venendo però mai considerato legato alla salute dei lavoratori.

La Commissione consultiva permanente ha svolto una valutazione sul livello di rischio da stress nelle aziende italiane, riportando un dato positivo: la maggior parte delle aziende ha ottenuto il “bollino verde”.

Il fenomeno dello stress sembra però in diffusione, a causa delle innovazioni legate all’organizzazione e alla gestione del lavoro; a causa della precarietà del lavoro; dell’aumento del ritmo e del carico lavorativo; violenza e molestie psicologiche; scarso equilibrio tra lavoro e vita privata.

Lo stress può colpire chiunque, non per forza può essere determinato dal lavoro, può anche avere origine dalla vita privata, ma ciò può comunque determinare cambiamenti nel comportamenti e ridotta produttività.

Dato l’importanza che le istituzioni hanno iniziato a dare a tale problema, è opportuna che ci sia anche una corretta conoscenza e informazione sulle varie procedure di valutazione dei lavoratori.

Per questo motivo nella seconda giornata di Ambiente Lavoro, il Salone dedicato alla sicurezza e alla salute nei luoghi di lavoro, è stata presentata un’indagine condotta all’Osservatorio confederale della Uil, evidenziando il ruolo determinante dei RLS, riconoscendo la loro competenza in materia, attenti ai vari aspetti tecnici e procedurali. Il 37% degli intervistati ha dimostrato di conoscere la metodologia della valutazione dello stress lavoro-correlato, ma il 30% dei RLS ha però dichiarato di non aver ricevuto alcuna formazione e di non essere stato coinvolto nella valutazione del rischio. Da ciò possiamo dedurre che una corretta prevenzione è ancora difficile da attuare, in

(30)

quanto solo attraverso il coinvolgimento dei lavoratori si possono individuare i problemi e costruire azioni volte a migliorare le condizioni lavorative.

L’INAIL nel 2014 ha investito l’AiFOS come partner ufficiale della campagna europea della sicurezza, costituendo un gruppo avente come finalità, la gestione dello stress lavoro-correlato.

Il gruppo punta a sensibilizzare le persone su questo problema, promuovendo nuovi strumenti per gestirli e chiarendo gli effetti positivi di una corretta gestione dello stress.

6.6 Tecnostress lavoro-correlato

L’AiFOS partner ufficiale dell’INAIL, ha deciso a sua volta di “caratterizzare la propria attività in materia di stress lavoro correlato sullo specifico tema del tecnostress lavoro-correlato”41.

Il Technostress, è un termine coniato dallo psicologo americano, Craig Brod nel 1984, autore del libro “Technostress: the human cost of computer revolution”. Craig Brond per primo analizza il problema dello stress causato dall’uso delle tecnologie e i loro effetti sul piano psicologico e fisico. Il Technostress viene da lui definito come: “un disturbo causato dall’incapacità di gestire le moderne tecnologie informatiche in un maniera sana. Si manifesta in due modi distinti ma correlati: nella lotta per accettare la tecnologia ed operare con essa, e nei più specializzati sotto forma di un eccesso di identificazione con la tecnologia del computer”42. I problemi che secondo lo psicologo

si possono verificare, sono: ansia, depressione, attacchi di panico, attacchi di rabbia a causa della difficoltà a gestire le nuove tecnologie digitali.

In Italia sono 7,3 milioni i lavoratori digitali e 1,8 milioni di lavoratori sono a rischio technostress e Internet dipendenza, secondo una ricerca pubblicata nel 2013 condotta

41

http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/tipologie-di-rischio-C-5/rischio-psicosociale-stress-C-35/lo-stress-lavoro-correlato-campagna-europea-obiettivi-associativi-AR-14282/

(31)

da Netdipendenza Onlus43.

I lavoratori digitali passano fino a dieci ore giornaliere sulle nuove tecnologie digitali, usano più di un device mobili, lavorano multitasking e sono sempre connessi. L’uso continuo e contemporaneo di apparecchi digitale, richiedono una gestione continua del flusso d’informazioni che ricevono.

Nel 2010 il sito tecnostress.it44 ha condotto una ricerca per valutare quanto le persone sono soggette a tale problema. L’hanno verificato attraverso la somministrazione di un questionario, a mezzo on-line, composto di 24 domande.

I temi su cui si sono concentrate le domande riguardano: 1. il consumo abituale delle tecnologie sul lavoro;

2. la percezione personale sugli effetti del continuativo utilizzo delle tecnologie; 3. la percezione di rischio;

4. formazione e informazione ricevuta dall’uso degli strumenti informatici. Il campione che ha preso parte alla ricerca, 424 persone, ha rivelato, che:

1. La categoria di lavoro più soggetta a tecnostress è l’impiegato/a; 2. in media il 49% degli intervistati utilizza le dalle 6 alle 8 ore;

3. il 43% dichiara di utilizzare spesso più apparecchiature contemporaneamente; 4. il 35% ritiene che l’utilizzo simultaneo delle apparecchiature possa influire in

modo parziale sul rendimento;

5. il 45% invece ritiene che l’utilizzo possa un discreto livello d stress nelle persone.

Il problema del tecnostres inizia a diffondersi in Europa; in Germania molte aziende hanno ridotto il lavoro extra e impedito l’invio di mail fuori orario di lavoro. Il tema sta

43

http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/rubriche-C-98/interviste-inchieste-C-117/rischio-tecnostress-internet-dipendenza-intervista-a-enzo-di-frenna-AR-13702/

(32)

interessando anche la politica tedesca45, l’attuale responsabile della Difesa, Ursula von der Leyen, era favorevole a una normativa che vietasse messaggi nel tempo libero. In Italia, il Ministro del Lavoro e l’INAIL hanno espresso l’intenzione di predisporre interventi per prevenire il rischio da tecnostress in azienda, in quanto, lo stress lavoro-correlato associato alle nuove tecnologie sia un rischio pericoloso, che si evolve nel tempo, per cui va valutato continuamente.

6.7 Lo stress nei Call Center

Condizioni che portano allo stress possono essere presenti in ogni ambiente lavorativo, in conformità a numerosi studi e ricerche sono state individuate alcune condizioni e attività lavorative che più di altre possono determinare livelli elevati di stress.

L’Università di Manchester nel 1987 cercò di redigere una classifica sui lavori più soggetti a stress, assegnando a ogni lavoro un punteggio da 1 a 10.

I lavori che superavano il 6, considerati quindi a stressanti, erano: “minatori (8.3),

agenti di polizia (7.7), agenti di custodia carceraria (7.5), lavoratori delle costruzioni (7.5), piloti di aereo (7.5),giornalisti (7.5), dentisti (7.3), attori (7.2), medici (6.8), operatori radio-televisivi(6.8), infermieri (6.5), operatori cinematografici (6.5), vigili del fuoco (6.3), addetti alle ambulanze (6.3), musicisti (6.3), insegnanti (6.2), assistenti sociali (6.0), gestori del personale (6.0)”46.

Nel 2005 il SIMLII ha condotto un indagine simile, identificando le professioni più soggette a rischio stress da conseguenze gravi in caso di distrazione, sviste, errori o ritardo nel prendere decisioni. Inserendo in questa categoria il: controllo del traffico aereo, conducenti di autobus, Lavoro a Turni, Lavoratori della sanità, insegnanti, Forze di polizia, Lavori atipici e Call center.

Oggi uno dei luoghi di lavoro che più di tutti sta attirando l’attenzione, non solo per

45

http://www.lastampa.it/2014/02/19/societa/basta-mail-di-lavoro-fuori-orario-VjaYNK1RjGQlyXJSeBnmTI/pagina.html

(33)

motivi legati allo stress dei dipendenti è proprio il Call Center.47

Nato negli anni sessanta come centro che fornivano servizi di assistenza telefonica al cliente dopo la vendita. Definito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulla base della tipologia di contratto che è fatto ai lavoratori, che è il “contratto atipico”, questa categoria si distingue per la flessibilità e rappresentando sempre più una fetta consistente dell’occupazione italiana e europea48.

Per tutelare la salute è opportuno fare una distinzione tra forme contrattuali atipiche e condizioni di lavoro queste atipiche ultime fonte di rischio per la salute.

La flessibilità che li contraddistingue i lavoratori atipici, è giustificata con l’adeguamento alle richieste dei lavoratori, ma molto spesso scaturisce in condizioni di lavoro potenzialmente stressanti. I lavori flessibili non permettono crescite di carriera portando così le persone a stati di frustrazione. I rischi che i lavoratori atipici incorrono sono legati a scarsa autonomia nel lavoro, a mancanza di corrispondenza tra le proprie capacità e i compiti che sono chiamati a svolgere, il carico lavorativo.

La precarietà del mondo lavorativo già da sé provoca ansia nelle persone che hanno problemi a conciliare i propri progetti professionali e familiari.

I fattori che possono essere fonte di stress per questa categoria, possono essere: • Poca autonomia decisionale su come svolgere il proprio lavoro;

• Ricoprire ruoli marginali, che non li permettono di mettere in pratica le proprie competenze;

• Carico di lavoro elevato;

• Emarginazione dai colleghi con contratto a tempo indeterminato.

47http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/rubriche-C-98/imparare-dagli-errori-C-99/imparare-dagli-errori-il-rischio-stress-nei-call-center-AR-14206/

(34)

Comunemente questa tipologia di lavoratori lamenta disturbi di varia natura: mal di testa, gastrite, dolori muscolari, debolezza.

Le mansioni che svolgono molto spesso sono la causa dello stress, in quanto svolgono dall’assistenza telefonica ai clienti, alle tele-vendite, all’assistenza tecnica.

L’esposizione a rischio di questa categoria e dovuta all’imprevedibilità, si alla moltitudine di richieste dei clienti che li porterà a sviluppare una forte capacità di risolvere i problemi in breve tempo. In più dovranno cercare di ricostruire rapporti compromessi e gestire clienti insoddisfatti, mal disposti ecco per cui è necessario che mantengano il controllo e l’emotività.

Ma il Call center prevede anche mansioni di tipo meccaniche e routinarie, contraddistinguendosi in lavoro, ripetitivo, sotto-carico e degradante.

Il Call center è un ambiente lavorativo in cui i dipendenti sono soggetti a continui meccanismi di controllo e sorveglianza che li porta a stare sempre sotto pressione e a sentire violata la propria privacy, riducendo la propria autonomia.

Anche l’ambiente lavorativo in senso fisico contribuisce al rischio da stress in quanto, i lavoratori sono disposti in cabine chiuse per isolarsi dai rumori che porta a un distaccamento sociale degli operatori.

Spesso gli operatori sono costretti a spostarsi dalla propria postazione, alzare la voce per farsi sentire. Hanno possibilità di carriera quasi nulla, la maggior parte sono contratti a tempo determinato.

(35)

7. LA CULTURA DELLA SICUREZZA ARMA DI PREVENZIONE

La finalità del “Testo Unico di salute e sicurezza sul lavoro” è quello di costruire e diffondere una cultura della sicurezza e della prevenzione, trasmettendo ai lavoratori l’importanza di adottare comportamenti responsabili per tutelare la loro vita e quella degli altri.

La parola “Sicurezza” deriva dalla locuzione latina “sine curis”, che significa “senza angosce”, “senza preoccupazioni”, “senza pericoli”. La sicurezza è un diritto fondamentale dell’uomo e un Paese che si fonda sul lavoro deve garantirlo.

Ogni ambiente presenta dei pericoli per l’uomo, il luogo di lavoro ne presenta molti di più, compito del datore di lavoro e degli addetti alla sicurezza sarà tutelare la salute dei lavoratori attraverso la “Prevenzione”. Parola di derivazione latina ha diversi significati:

• Precedere; • Anticipare; • Impedire.

La prevenzione è uno degli elementi più importanti finalizzati alla tutela del diritto alla salute ed è composto di una serie di misure necessarie, sulla base della specificità del lavoro, che devono essere messe in atto per evitare o ridurre i rischi professionali, nel rispetto della salute degli individui e dell’integrità dell’ambiente esterno.

Attraverso la conoscenza dei rischi, possibile grazie alla Valutazione dei Rischi, possiamo individuare la fonte degli infortuni e delle malattie professionali, così da poterle anticipare.

In generale abbiamo tre tipologie di prevenzione:

1. la prevenzione primaria, punta a scoprire il rischio prima che si trasformi in un

danno;

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puntano a limitare al massimo i rischi;

3. la prevenzione terziaria, disposizioni che proteggono in modo diretto la persona.

La sicurezza49 è un lavoro che si fa tutti i giorni in azienda, seguendo delle buone prassi, delle tecniche di buona condotta, adottate volontariamente dagli imprenditori e che poi vanno esportate da azienda ad azienda per migliorare la prevenzione a livello generale e globale.

7.1 I Sistemi di Gestione della Salute e della Sicurezza (SGSL)

Le aziende hanno diversi modi per combattere le problematiche50 legate alla sicurezza: alcune reagiscono agli infortuni, alle malattie professionali o all’assenteismo solo dopo che si verificano, a causa della scarsa competenza in materia; mentre altre organizzazioni, più impegnate, cercano di anticipare la possibilità che gli incidenti si verifichino, inserendo la SSL nella gestione dell’organizzazione.

Negli ultimi anni si è diffusa la convinzione che la maggior parte degli infortuni e delle malattie professionali sia causata dall’organizzazione stessa.

Per questo motivo, oggi le aziende puntano a strumenti efficaci per gestire al meglio la salute e la sicurezza dei lavoratori. Da questi bisogni sono nati i “Sistemi di gestione della salute e sicurezza” codificato nelle Linee Guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza-sul lavoro (SGSL).

Lo scopo di questa procedura, secondo l’INAIL, si collega all’obiettivo di

“promuovere e diffondere la cultura della sicurezza e la tutela della salute in azienda aumentando la sensibilità nei confronti della percezione del rischio e di garantire il monitoraggio continuo del sistema”.

49 CREL Sardegna, La sicurezza sul luogo di lavoro in Sardegna, 2009, pag.258

(37)

I SGSL sono dei sistemi organizzativi finalizzati a garantire il raggiungimento degli obiettivi di salute e sicurezza che le imprese si sono poste, attraverso la massimizzazione dei benefici e riducendo i costi. Lo scopo principale delle aziende che hanno inserito nella loro organizzazione un sistema di gestione della sicurezza, è quello di diminuire gli infortuni e le malattie professionali.

Quando parliamo di “Sistemi di Gestione”, ci riferiamo a un insieme di differenti elementi connessi tra loro quali: “la struttura organizzativa, l’attività di pianificazione,

responsabilità, prassi, procedure, processi e risorse per elaborare, mettere in atto, conseguire, riesaminare e mantenere attiva la politica aziendale51“.

È una procedura che coinvolge tutti i soggetti aziendali, dai dirigenti ai lavoratori e può essere adottata in qualsiasi realtà aziendale.

(38)

7.1.1 Fasi del Sistema di Gestione della Sicurezza

Il SGSL permette di gestire in modo organico e sistematico la salute e la sicurezza ottenendo:

• migliori e continue prestazioni di sicurezza; • il rispetto delle norme;

• riduzione degli infortuni e delle situazioni pericolose.

Le sequenze per realizzare un SGSL sono riportate schematicamente nella figura 12 e si articola attraverso una fase ciclica52legata al Principio della ruota di Deming PDCA (plan, do, check, act).

Le fasi del SGSL partono dalla Pianificazione, Attuazione, Monitoraggio e il Riesame del sistema, attraverso un processo definito “Spirale del miglioramento continuo”.

52http://sicurezzasullavoro.inail.it/CanaleSicurezza/LineeGuida.html#wlp_LineeGuida

(39)

Pianificazione

Prima di tutto bisogna raccogliere tutte le informazioni sulla struttura organizzativa per verificarne l’efficienza, questa prima fase prende il nome di “esame iniziale”.

I vertici dell’organizzazione devono poi stabilire la politica di salute e sicurezza che intendono adottare redigendo un documento scritto, allo scopo di dare un’idea dei valori, degli obiettivi, dei piani di azione che metteranno in atto.

Una volta che la politica si è resa concreta, si passa alla Pianificazione di una strategia nell’ambito del SGSL, tenendo conto:

• degli obiettivi e dei traguardi misurabili; • degli strumenti adatti a misurare i risultati;

• definizione delle risorse necessarie per raggiungere gli obiettivi.

La Pianificazione deve tenere conto anche:

• di tutte le attività lavorative, ordinarie e straordinari; • le attività di tutto il personale;

• le situazioni di emergenza;

• le strutture, i macchinati, i luoghi;

Il SGSL si concentra sulla valutazione dei rischi e sulla loro riduzione. Per questo motivo prende in analisi i vari processi dell’organizzazione.

Attuazione

Una volta che il vertice ha deciso la politica da adottare, ha chiarito il suo impegno e dopo che il SGSL è stato pianificato, quest’ultimo viene strutturato e attuato.

Con l’attuazione del SGSL ogni attività lavorativa viene analizzata, stabilite procedure documentate e procedure di registrazione formali che permettono un riscontro oggettivo53.

(40)

Il personale deve essere informato e a ognuno sono affidate specifiche mansioni; devono essere predisposte attività di prevenzione di verifica e formazione; l’azienda valuta i rischi.

Monitoraggio

Nella fase di monitoraggio si tiene conto che “sia le sorveglianze che le misurazioni delle caratteristiche delle operazioni e/o attività che possono produrre impatti significativi sulla sicurezza e salute dei lavoratori (compresa la gestione delle non conformità, azioni correttive e preventive) sia le attività di audit sul SGSL”54. Ogni risultato deve essere monitorato e misurato per poi essere registrato.

Riesame del sistema

Dopo che le attività del SGSL sono state monitorate, “il vertice aziendale dovrebbe sottoporre a riesame le attività del sistema di gestione della sicurezza per valutare se il sistema sia adeguatamente attuato e si mantenga idoneo al conseguimento degli obiettivi e della politica della sicurezza stabilita dall’azienda55“.

Il riesame si basa sulle informazioni e i dati raccolti durante l’adozione del SGSL, più i risultati delle ispezioni e le attività di sorveglianza, ed è la ripetizione dell’esame iniziale56 e ha lo scopo di correggere gli eventuali errori di gestione e individuare nuovi obiettivi.

Le finalità del un sistema di gestione possono essere sintetizzate come segue: • delineare una politica;

• definire gli obiettivi da raggiungere;

• definire i mezzi, le risorse umane ed economiche; • gestire la documentazione; • revisioni periodiche. 54 http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/tipologie-di-contenuto-C-6/sgsl-modelli-organizzativi-dlgs-231/01-C-58/sgsl-fasi-progettuali-linee-guida-uni-inail-criticita-AR-9222/ 55 http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/tipologie-di-contenuto-C-6/sgsl-modelli-organizzativi-dlgs-231/01-C-58/sgsl-fasi-progettuali-linee-guida-uni-inail-criticita-AR-9222/ 56 http://www.formazioneesicurezza.it/12_Tesi/Documenti/Savogin%20Marco%20-%20Tesi%20Ohsas%2018001.pdf

(41)

7.1.2 L’efficacia del SGSL

L’INAIL prima fra tutte pone l’accento sull’importanza che ha un efficiente SGSL57 per le aziende, riscontrando risultati come:

• Riduzione concreta degli infortuni e malattie professionali che portano alla riduzione dei costi della mancata sicurezza.

• Aumento dell’efficienza aziendale;

• Riduzione del premio da versare all’INAIL;

• Migliorare l’immagine interna ed esterna dell’organizzazione.

I vantaggi sono anche percepiti dai lavoratori che: 1) Lavorano in condizioni di maggior sicurezza;

2) Riduzione degli infortuni e delle malattie professionali; 3) Partecipazione alle decisioni dell’azienda.

Affinché il SGSL sia efficace è importante che i soggetti collaborino e si impegnino al raggiungimento degli obiettivi di sicurezza che si erano posti. Per questo motivo l’azienda dovrebbe garantire il coinvolgimento e l’informazione di tutti i dipendenti. Va sottolineato che questo sistema viene adottato volontariamente dalle aziende, il Testo Unico all’art. 30 definisce solamente le caratteristiche che un sistema di gestione deve possedere.

(42)

7.2 I Quasi Incidenti

Le azioni volte a eliminare o ridurre il rischio d’incidenti, in linea generale possono agire in due modi58:

• rimuovendo tutte le fonti di pericolo che possono provocare incidenti, migliorando le macchine, gli impianti, gli ambienti di lavoro;

• oppure eliminando gli atti insicuri, attraverso la formazione, l’addestramento del personale.

Gli incidenti sono definiti degli eventi imprevisti che non possono essere evitati se la causa non è stata rilevata.

H. W. Heinrich, nella sua teoria “Effetto domino”, sostiene che un incidente è prodotto da una serie di cause che producono una reazione a catena, raramente dunque, è causato da una sola causa o circostanza. Secondo Heinrich l’88% delle cause che determinano un infortunio è però prodotto da comportamenti sbagliati degli stessi lavoratori; il 10% invece è determinato da cause pericolose e il 2% dalle perdite. Nel 1931 Heinrich teorizzò il famoso “Triangolo della sicurezza”, in cui sostiene che su 29 infortuni di piccola entità e 1 grave o mortale corrispondano 300 incidenti che non vengono registrati e che vengono definiti “Quasi Incidenti”.

Figura 13 Triangolo della Sicurezza

(43)

Gli incidenti mortali sono solo la punta dell’iceberg di una serie di azioni insicure che non sempre determinano degli incidenti, ma il ripeterli aumenta la probabilità che si verifichi l’incidente grave.

La prevenzione non si fa su un caso d’incidente mortale ma bensì sui 300 incidenti determinati da atti insicuri dei lavoratori. Analizzare le cause che hanno provocato in precedenza infortuni, cioè i quasi incidenti e i comportamenti a rischio, catalogarli e eliminare le fonti di pericolo permette di ridurre la probabilità che si verifichino di nuovo. Sono definiti “errori umani”59 quando un incidente non può essere riconducibile a un guasto dei macchinari, del sistema e la responsabilità viene perciò attribuita all’essere umano.

Gli studi svolti dall’INAIL sostengono la teoria di Heinrich “dell’Effetto Domino”, poiché un infortunio può essere causato da “più cause prossime”; attribuendo però all’attività dell’infortunato la principale causa che determina incidenti (55%). Per questo è necessario adoperarsi per controllarlo, anche se gli errori umani sono difficili da controllare, perché legati a caratteristiche intrinseche del lavoratore.

Dagli anni ‘70, per far fronte al problema dei quasi incidenti, volta a migliorare la sicurezza dei lavoratori, sono stati elaborati diversi metodi, finalizzati al controllo del comportamento umano.

7.2.1 La metodologia Behavior Based Safety

Per chi intende controllare i comportamenti umani, è spesso arduo rispondere a domande60 come:

• “Quali sono i comportamenti da migliorare?” • “Quali gli strumenti adatti a migliorarli?” • “Come misurare il miglioramento?”

59 http://www.asurzona2.marche.it/bo/allegati/UserFiles/2/maria%20pia3.pdf

60 Behavior-based safety: i risultati raggiunti nell’applicazione in un contesto industriale, Nicola Bottura, Ali,

(44)

Le risposte possono essere trovate attraverso una metodologia, la Behavior Based

Safety nata in America negli anni settanta. Lo studio condotto da un gruppo di

psicologi prendeva in esame il comportamento umano e l’ambiente di lavoro, allo scopo di ridurre i comportamenti a rischio e così gli incidenti, mettendo al centro il Fattore Umano e premiando i comportamenti sicuri.

Il metodo Behavior Based Safety (Comportamento basato sulla sicurezza) è una metodologia scientifica che si rifà alla Behavior Analysis (Scienze del Comportamento). Quest’ultima riguarda un campo della psicologia che studia il comportamento umano per cercare soluzioni volte a migliorare la sicurezza sul lavoro. Al centro del metodo, sono i Comportamenti compiuti dai lavoratori, che producono risultati; se vogliamo migliorare i risultati, dobbiamo migliorare i comportamenti. Sulla base degli studi di B.F. Skinner61, psicologo comportamentale, lo studio sul comportamento si basa sull’osservazione di cosa fanno i lavoratori, perché lo fanno dopo di ché, cerca di modificarlo attraverso il Paradigma del condizionamento operante. Il paradigma sostiene che il comportamento umano62:

• “è preceduto da una serie di antecedenti”; • “è seguito da una serie di conseguenze”.

Gli antecedenti, possono essere: la formazione, informazione, un compito ricevuto da un superiore e le conseguenze, sanzioni disciplinari, un premio; tutti questi elementi contribuiscono a modificare il comportamento umano.

61 http://nuke.bbs-italia.org/BBS/tabid/469/Default.aspx

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