INDICE
1. STRUTTURA DEI MICROTUBULI 2
2. IMPORTANZA DEI MICROTUBULI COME TARGET PER
FARMACI ANTITUMORALI
4
3. COMPOSTI CHE ANTAGONIZZANO LA POLIMERIZZAZIONE
DEL MICROTUBULO
5
3.1 Composti che si legano al sito della vinca 6
3.1.1. Alcaloidi della vinca e loro analoghi sintetici 6
3.1.2. Prodotti marini naturali leganti il dominio della vinca e loro analoghi 7
3.2 Composti leganti il sito della colchicina 9
3.2.1. Dominio della colchicina 11
3.2.2. Farmacoforo per il dominio della colchicina 11
4. AGENTI STABILIZZANTI IL MICROTUBULO: COMPOSTI CHE SI LEGANO AL SITO DEI TAXANI
12
4.1 Taxani 12
4.2 Epotilone 15
5. FARMACORESISTENZA 16
INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE 18
TEST BIOLOGICO 31
PARTE SPERIMENTALE 38
TABELLE 49
1. STRUTTURA DEI MICROTUBULI
I microtubuli sono la più grande componente del citoscheletro, e giocano un ruolo cruciale nei processi di divisione cellulare. Il citoscheletro è formato da tre componenti distinte: i filamenti intermedi, che svolgono una funzione di sostegno, i microfilamenti di actina, che svolgono un ruolo essenziale nella motilità cellulare, ed infine i microtubuli. I microtubuli sono tubi cavi polarizzati con un diametro interno di 14 nm e fino a qualche micrometro di lunghezza, sono formati dalla polimerizzazione di eterodimeri α/β di tubulina (Fig. 1A).
Figura 1. Rete tubulina/micortubulo e le loro proprietà dinamiche.
Sono strutture altamente dinamiche, ciò significa che le loro terminazioni alternano costantemente periodi di crescita a periodi di accorciamento (Fig 1B). Questo comportamento è definito come "instabilità dinamica" ed è mediata dagli scambi GTP/GDP. La subunità α della tubulina è infatti sempre legata al GTP, acquisendo una conformazione idonea per la polimerizzazione del microtubulo, mentre la subunità β può legare sia GTP che GDP, e favorire rispettivamente la polimerizzazione o la depolimerizzazione del microtubulo. Possiamo poi distinguere, all'interno del microtubulo,
A B
due terminazioni con diverse proprietà: la terminazione (+), che termina con le subunità ß e la terminazione (-) che è terminata dalle subunità α (Fig. 1A). Nelle cellule eucariote, il microtubulo forma una rete altamente organizzata di filamenti (Fig 1C). Le terminazioni (-) del microtubulo sono ancorate al MTOC, MT-Organising Center (indicato dalla freccia nella Fig. 1C), mentre le terminazioni (+) irradiano l'intero citoplasma. Per effettuare una serie di funzioni cellulari, il citoscheletro del microtubulo può subire profonde modificazioni morfologiche. Durante l'interfase la rete del microtubulo deve provvedere al mantenimento della forma cellulare, mediare il traffico intracellulare, contribuire alla motilità della cellula durante la mitosi e orchestrare la segregazione dei cromosomi.
Le proprietà dinamiche dei microtubuli, treadmilling e instabilità dinamica, sono finemente regolate. Da un lato, l'instabilità dinamica è caratterizzata da cinque parametri principali: i tassi di crescita e di accorciamento, la durata della pausa, la frequenza di transizione dalla crescita o dalla pausa all'accorciamento (chiamato catastrofe) e la frequenza di transizione dall'accorciamento alla crescita o alla pausa (chiamato soccorso). Dall'altro lato il
treadmilling è un processo attraverso il quale gli eterodimeri di tubulina fluiscono
continuamente da una terminazione all'altra del microtubulo. Durante la divisione della cellula i microtubuli impiegati nella formazione di strutture cellulari depolimerizzano e la tubulina così liberata è nuovamente polimerizzata per dare luogo al fuso mitotico.[1]
Figura 2. Conformazione della tubulina: A rettilinea, B reale, C curva tubulina statmina
Allo scopo di descrivere la disposizione che la tubulina, in fase di polimerizzazione, assume nello spazio, sono stati progettati due modelli: il primo, a fogli di tubulina zinco -indotta (Zn-Sheets), vede il protofilamento assumere una conformazione rettilinea, mentre il secondo, il complesso statmina-tubulina, porta ad una struttura polimerica curva. Sulla base di questi due stadi, si è cercato di indagare su quale fosse la
conformazione assunta dalla tubulina in fase di polimerizzazione, dato che dopo l'idrolisi del GTP la subunità β subisce un cambiamento conformazionale. Parte dell'energia dissipata da questo processo viene trasmessa anche alla α, ma la presenza della rete di microtubuli già precedentemente formati non consente ai dimeri di tubulina di assumere una conformazione completamente curva, dal momento che risentono di un contatto sia laterale che assiale con le altre componenti. Si evidenzia quindi che la reale conformazione ottenuta dalla tubulina ha una curvatura di grado medio, compresa quindi tra i due modelli analizzati precedentemente. Nel dettaglio, si ipotizza che la subunità β tenda ad imporre una conformazione curva, mentre quella α porti a strutture rettilinee, e la risultante tra queste due tendenze è quindi una disposizione intermedia che osserviamo
(Fig. 2B).
2. IMPORTANZA DEI MICROTUBULI COME TARGET PER FARMACI ANTITUMORALI
Come sopra citato, i microtubuli giocano un ruolo essenziale nei processi di divisione cellulare e, come tali, sono un ottimo bersaglio per i farmaci con attività antitumorale. Gli agenti leganti tubuline o TBAs (tubulin-binding agents), sono tra i farmaci chemioterapici più ampiamente utilizzati nella cura del cancro. La loro attività è stata dimostrata nel trattamento di una vasta varietà di forme tumorali, come tumore ai polmoni, al seno, ovaie, dimostrando buona efficacia anche nel caso di forme tumorali infantili. Così, farmaci come gli agenti leganti tubuline "TBAs", che interferiscono con le funzioni del microtubulo, bloccano la proliferazione delle cellule cancerose inibendo la corretta formazione del fuso mitotico, necessaria per ottenere un'accurata segregazione cromosomica. In definitiva, questo porta ad un arresto nella transizione metafase/anafase, seguita poi da morte cellulare per apoptosi.
I TBAs sono solitamente suddivisi in due categorie, distinte in base agli effetti che queste hanno sul microtubulo: agenti microtubulo stabilizzanti, che si legano alla parete del microtubulo, e agenti microtubulo destabilizzanti che si legano alla subunità β della α/β-tubulina oppure ad entrambi gli eterodimeri. In entrambi i casi si ha una destabilizzazione della dinamicità del microtubulo, che conduce ad un arresto del processo mitotico e a morte cellulare. Gli agenti MT-stabilizzanti comprendono farmaci molto utilizzati nella chemioterapia quali taxani, paclitaxel e docetaxel, mentre fanno parte degli agenti MT-destabilizzanti ad esempio gli alcaloidi della vinca o composti attualmente in fase di sperimentazione clinica come il 2-metossiestradiolo (2-ME2), dolastatina e combrestatina. Prove indirette suggeriscono che il meccanismo d'azione comune degli agenti leganti tubuline ruoti attorno ad un processo di inibizione del fuso mitotico, che si traduce in un rallentamento della transizione metafase/anafase, alterata segregazione cromosomica, blocco mitotico e successiva induzione della via apoptotica mitocondriale[2].
3. COMPOSTI CHE ANTAGONIZZANO LA POLIMERIZZAZIONE DEL MICROTUBULO[1]
Ci sono tre siti principali di legame per i TBAs (Fig. 4), si parla infatti di sito di legame per la Vinca, sito di legame per la colchicina e sito di legame per il taxolo.
3.1. Composti che si legano al sito della Vinca. 3.1.1 Alcaloidi della vinca e loro analoghi sintetici
Vincristina e vinblastina sono molecole complesse estratte dalle foglie della pervinca rosea, Catharanthus roseus, la cui potente citotossicità è stata scoperta nel 1958. I due alcaloidi vennero pertanto introdotti nella chemioterapia del cancro nei tardi anni ‘60, e rimangono ancora oggi una risorsa terapeutica diffusa; nonostante la loro struttura simile ed il meccanismo d’azione comune, hanno profili farmacologici molto differenti tra loro. Infatti, la vinblastina è attualmente usata nel trattamento del linfoma di Hodgkin e nel tumore testicolare metastatico, in combinazione con bleomicina e cisplatino, mentre la vincristina è utilizzata nel trattamento della leucemia e dei linfomi. Nell’uso clinico ci sono anche molti analoghi semisintetici, come la vindesina, usata principalmente nel trattamento del melanoma e nel carcinoma del polmone, e in associazione nella cura del cancro dell’utero; il nor-derivato vinorelbina è usato nel cancro al polmone non a piccole cellule, nel tumore metastatico al seno e ovarico. L’analogo fluorurato vinflunina è in fase di sperimentazione.
Gli alcaloidi della vinca bloccano la cellula in mitosi con arresto in metafase e sono quindi agenti antimitotici la cui attività biologica si realizza grazie al legame specifico con le subunità β dei dimeri di tubulina, in una regione chiamata dominio della Vinca. Il legame è rapido e reversibile, ma induce un cambiamento conformazionale nella tubulina, aumentando l’affinità per essa stessa, conducendo così alla formazione di aggregati paracristallini. Questo diminuisce la frazione libera di dimeri disponibile per
vinblastina vincristina
vindesina
l’assemblaggio del microtubulo, facendo spostare l’equilibrio verso lo smembramento e l’accorciamento del microtubulo. Questi fenomeni sfociano nella depolimerizzazione del microtubulo e nella distruzione del fuso mitotico, come conseguenza la divisione cellulare è interrotta in mitosi. In base a ciò che è stato appena descritto si è pensato per molti anni che il meccanismo d'azione degli alcaloidi della vinca fosse unicament e da ricondursi alle capacità depolimerizzanti il microtubulo, tuttavia recenti studi hanno confermato che a basse concentrazioni si ha il blocco del processo mitotico e morte cellulare per apoptosi, ma non per depolimerizzazione del microtubulo, ma per perdita della dinamicità del microtubulo stesso. Uno degli inconvenienti degli alcaloidi della vinca e dei loro analoghi è la neurotossicità, la quale origina probabilmente dal fatto che i microtubuli sono un elemento strutturale fondamentale per i neuroni. Un altro problema legato all’uso di tali molecole è il facile sviluppo di resistenza, normalmente mediata dalla sovraespressione della proteina di trasporto Pgp-170.
3.1.2. Prodotti marini naturali leganti il dominio della vinca e loro analoghi
Gli organismi marini sono una grande fonte di sostanze antitumorali, che sono forse il risultato dell’evoluzione di meccanismi di difesa dai predatori in un ambiente particolare come quello marino. Molti di questi composti sono in fasi precliniche avanzate o addirittura in fase clinica di sviluppo. Quelli che agiscono sui microtubuli legandosi al dominio della vinca comprendono tra gli altri le alicondrine, le dolastatine, le emiasterline, le criptoficine e le spongistatine.
Tra questi possiamo citare la Dolastatina 10, peptide lineare isolato nel 1987 dal mollusco Dolabella auricularia, questo prodotto non è attualmente utilizzato in terapia, in quanto non ha evidenziato comportamenti ottimali nella fase II di sperimentazione, ma è stata presa come modello per sviluppare degli analoghi per via sintetica, come la sintadotina, attiva per os nel trattamento del cancro al polmone.
Un ulteriore prodotto marino legante il dominio della vinca è l' Alicondrina B, complesso macrolide polietereo isolato dalla spugna Halicondria okadai, con una potenza straordinariamente alta come agente antitumorale e un ampio indice terapeutico. Per via sintetica si è potuta sviluppare una serie di analoghi più semplici, il cui meccanismo d’azione, legato all’induzione della depolimerizzazione del microtubulo, non spiega però totalmente il suo elevato profilo farmacologico: il più attivo tra gli analoghi sintetici è E7389, in fase di sperimentazione clinica per la cura del tumore al seno e alla prostata.
R= PhCH2 cematodina R= C(CH3)3 sintadotina
3.2. Composti leganti il sito della colchicina[3]
Figura 5. Lista dei composti ad attività antimitotica che si legano al sito recettoriale della colchicina Il dominio di legameprende il nome dal noto alcaloide tropolonico isolato dal Colchicum
autumnale, una pianta largamente impiegata nella medicina tradizionale e tutt’ora
utilizzata nel trattamento della gotta. La colchicina ha giocato un ruolo fondamentale nello studio della mitosi, ma non è mai stata impiegata come agente anticancro a causa della sua tossicità. La molecola di colchicina è formata da tre anelli, un anello trimetossi benzenico (A Ring), un anello metossi-troponico (C Ring) e da un anello formato da sette atomi di carbonio (B Ring) ancorato all'anello A e C e avente un gruppo acetammidico in posizione C7 (Fig. 5). Perchè avvenga il binding è molto importante la presenza
nell'A-Ring dei tre gruppi metossilici in posizione C1, C2 e C10 e del gruppo chetonico in
posizione 9. La funzione acetammidica in 7 non è necessaria per il legame alla tubulina e potrebbe essere rimpiazzata da altri sostituenti, anche se la stereochimica in questo centro è un elemento critico ai fini dell’attività antimitotica. L’anello B pare essere responsabile della natura irreversibile del legame che la colchicina instaura con la tubulina, anche se forse questo provoca parte della sua tossicità. Anche se sono state raccolte una gran quantità di informazioni circa il legame di analoghi strutturali sul sito recettoriale, tuttavia non è ben nota la specificità strutturale della colchicina per il suo sito di legame. Come precedentemente citato i tre gruppi metossilici rivestono un ruolo
essenziale per il legame con la tubulina, e la loro eventuale sostituzione comporterebbe una notevole perdita di potenza. Ad esempio l'introduzione di una componente zuccherina nell'anello A comporterebbe la totale perdita di attività della molecola. Allo stesso modo un analogo dell'anello troponico C lega la tubulina con una minore affinità. Studi strutturali hanno evidenziato che la presenza di entrambi gli anelli (anello A e C) è il requisito minimo per l'elevata affinità di legame con la tubulina. Ad ogni modo il requisito essenziale per il riconoscimento dell'anello C è ancora sotto studio. In alcuni casi l'anello C è particolarmente rigido, come si osserva nel caso dell'isocolchicina. Da un punto di vista strutturale isocolchicina e colchicina presentano un analogo A-Ring, mentre le relative posizioni dei gruppi metossilici e del gruppo carbonilico nell'anello C sono intercambiate (Fig. 2). Questo cambiamento strutturale genera un analogo inattivo della colchicina. In un altro caso la sostituzione dell'anello troponico C, con un anello aromatico a sei atomi di carbonio, genera l'allocolchicina (Fig. 3), che inibisce l'assemblaggio della tubulina. Come precedentemente detto, il più semplice analogo della colchicina avente sia A-Ring che C-Ring rappresenta la più semplice, ed essenziale, impalcatura per il legame con le tubuline. L'allocolchicina, ad esempio, ha una struttura molto flessibile, in quanto è possibile il movimento dell'anello C ma anche il movimento dell'anello A in tutta libertà; l'aggiunta in questa struttura di un anello B, ancorato agli altri due anelli, causerebbe rigidità della molecola, portando all'ottenimento di un derivato molto meno flessibile della allocolchicina. Un'altra categoria di farmaci che è tutt'oggi in fase di studi è quella delle combretastatine, prodotti naturali isolati dal salice africano Combretum caffrum. Queste portano somiglianze strutturali con la colchicina, poiché entrambe possiedono un anello trimetossibenzenico e l’anello troponico aromatico della colchicina è assimilabile con il gruppo isovanillinico delle combretastatine. La più attiva tra le combretastatine è la A-4 (Fig. 5), agente antimitotico molto attivo grazie al fatto che instaura rapidamente il legame con il sito della colchicina sulle tubuline. La sua bassa solubilità ha sollecitato la preparazione di un certo numero di profarmaci, il più studiato dei quali è il suo 4-O-fosfato (CA4P),solubile in acqua, noto anche con il nome commerciale di Zybrestat®, che si trova nella fase clinica della sperimentazione, da solo o in associazione con altri farmaci o con radioterapia, destando grande interesse per i suoi effetti distruttivi sulla vascolarizzazione tumorale. Altri due agenti che legano la tubulina sul dominio della colchicina ed attualmente sottoposti a sperimentazione clinica sono il 2-metossiestradiolo (Fig. 5), in studio come trattamento nei tumori solidi, e il derivato metossibenzensolfonamidico ABT-751 (Fig. 5) (anche
noto come E7010), in studio per tumori solidi e nelle neoplasie ematologiche in caso di resistenza. Il derivato podofillotossina, composto impiegato nello sviluppo della famiglia degli inibitori della topoisomerasi II, è pure ligando al sito della colchicina. Il suo legame alla tubulina si riduce di molto in seguito a epimerizzazione in C4 (epipodofillotossina), ed è completamente abolito dalla presenza di uno zucchero, come trovato nell’etoposide.
3.2.1. Dominio della colchicina[4]
Questo dominio consiste in una tasca profonda posta all’interfaccia α-β degli eterodimeri di tubulina. Data la sua profondità, è necessario che la proteina subisca alcune significative modifiche conformazionali affinché gli inibitori possano legarsi. Possono essere identificate tre zone di interazione: la zona principale (zona 2) interagisce con la maggior parte della struttura dei ligandi ed è situata sulla subunità β. Le due restanti zone di contatto sono accessorie: una è localizzata sull’interfaccia della subunità α (zona 1) e l’altra è nascosta più in profondità nella β. Inizialmente, la colchicina forma un complesso reversibile ed a bassa affinità con le proteine; a ciò segue un lento cambiamento conformazionale sulla tubulina che porta alla formazione di un complesso pseudo-reversibile. L’anello C della colchicina interagisce con la zona 1, stabilendo interazioni di Van der Waals con Valα181, Serα178 e Valβ315. Il gruppo carbonilico si comporta come un accettore di idrogeno interagendo con Valα181. L’anello A è nascosto in una tasca idrofobica (zona 2) delimitata da Lysβ352, Asnβ350, Alaβ316, Leuβ255, Lysβ254, Alaβ250 e Leuβ242 ed il metossile in posizione 3 è coinvolto in un legame a idrogeno con il tiolo della Cysβ241.
3.2.2. Farmacoforo per il dominio della colchicina[5]
Come discusso poc’anzi, esistono vari composti chimici capaci di legare la tubulina, agendo così da “distruttori”. Molti di essi non hanno corrispondenze chimiche tra di loro. Sono stati sviluppati molti modelli farmacoforici con l'obiettivo di razionalizzare le loro vincolanti interazioni fondamentali comuni sul dominio della colchicina. Il modello farmacoforico più comprensivo (Fig. 6) è stato identificato partendo da un gruppo di 15 derivati strutturalmente diversi. Questo modello consta di sette punti disposti in due p iani diversi che si intersecano con un angolo di 45 gradi. Ci sono tre accettori per il legame a
idrogeno: A1 in contatto con Valβ181, A2 con Cysβ241, e A3 che instaura un’interazione principalmente con Alaβ250, Aspβ251 e Leuβ252. C’è anche un donatore per il legame a idrogeno, D1, che interagisce con Thrβ179, ed infine due centri idrofobici, H1 e H2, e un gruppo planare R1. Un accettore, due centri idrofobici, ed un gruppo planare sono le caratteristiche minime richieste per l’attività farmacologica.
Figura 6. a) Modello farmacoforico a 7 punti b) Interazione con aminoacidi
4. AGENTI STABILIZZANTI IL MICROTUBULO: COMPOSTI CHE SI LEGANO AL SITO DEI TAXANI
Il principale ligando in questo sito sulla tubulina è il terpene naturale taxolo, anche se prodotti naturali tra di loro strutturalmente differenti (epotilone, eleuterobina, discodermolide e altri) hanno mostrato di condividere il medesimo meccanismo d’azione.
4.1. Taxani
Il paclitaxel (taxolo) è il più importante prodotto naturale nella chemioterapia del cancro ed uno dei farmaci di maggior successo mai prodotti, avendo un impiego clinico amplissimo: trattamento del tumore al seno, ovarico, e carcinoma del polmone. È stato isolato dal tasso del Pacifico Taxus brevifoliae e la sua attività anticancro è stata scoperta
negli anni ‘60, nel corso di uno screening sulle piante organizzato dal National Cancer
Institute (NCI). Vennero trovati enormi problemi di approvvigionamento poiché la
localizzazione del taxolo nella corteccia di questi alberi obbligava al loro abbattimento, la concentrazione nella corteccia era molto scarsa, la sua estrazione complessa e costosa, e il tasso del Pacifico una risorsa limitata con una crescita molto lenta. Ci vollero circa 4000 alberi per ottenere 360 g di taxolo per i primi test clinici, e 38000 alberi furono necessari per isolare 25 kg di principio attivo allo scopo di trattare 12000 pazienti con cancro ovarico avanzato dopo che, nel ‘92, fu autorizzato il suo utilizzo. Fortunatamente poi fu scoperto che rami e aghi del tasso europeo, Taxus baccata, permettevano di ottenere più alte rese (1g/kg) ed erano una risorsa rinnovabile di una molecola simile, la 10-deacetilbaccatina III, mancante della catena laterale in C13 e dell’acetile in C10: tale molecola può facilmente essere trasformata nel paclitaxel attraverso un percorso semisintetico relativamente semplice, ed anche nel suo analogo docetaxel, più potente e più solubile, ed approvato nel 1996 nel trattamento del tumore al seno in stadio avanzato.
Semisintesi semisintesi semisintesi paclitaxel (taxolo) docetaxel 10-deacetilbaccatina III Tasso del Pacifico (Taxus brevifolia)
Corteccia
Tasso Europeo (Taxus baccata)
Il paclitaxel arresta il ciclo cellulare, stabilizzando i microtubuli del fuso e perciò arrestando la mitosi.Anche se paclitaxel e docetaxel sono ampiamente usati per la cura di vari tumori solidi e sono sotto ulteriori studi per la cura di molte altre neoplasie, hanno alcune limitazioni: in primo luogo, l’impossibilità di essere somministrati per os e l’instaurarsi frequente di resistenza dovuta a mutazioni della tubulina o ad up-regulation del trasportatore Pgp-170, che espelle la molecola fuori dalla cellula. Un altro problema è la necessità di associare tali principi attivi a degli appropriati veicoli per permettere la loro somministrazione. Perciò, il paclitaxel, molto insolubile in acqua, è generalmente formulato usando olio di ricino poliossietilato mentre docetaxel, più solubile in acqua, è formulato usando Tween 80 e etanolo. Nonostante ciò, sia l'olio di ricino che il Tween 80 sono spesso causa di reazioni di ipersensibilità, di conseguenza questi problemi hanno notevolmente stimolato la ricerca di nuovi taxoidi molti dei quali sono in fase di sperimentazione. Un esempio è l'ortetaxel: tra quest'ultimo e il paclitaxel ci sono alcune sostanziali differenze, in particolar modo l'anello aromatico del paclitaxel è stato sostituito nell'ortetaxel con altri sostituenti lipofili e l’ossidrile legato al ponte è parte di un carbonato a struttura ciclica. Questa modifica in ortetaxel ha portato ad un aumento di potenza rispetto al paclitaxel, risultando inoltre il primo taxoide a poter essere somministrato per os.
Ulteriori ricerche hanno mostrato che il taxolo adotta una conformazione a T quando è legato alla tubulina, ciò è stato inoltre appurato sintetizzando un analogo che adotta la conformazione T del taxolo ed è significativamente più attivo del paclitaxel, sia nella citotossicità che nella polimerizzazione della tubulina. Questo modello è stato poi riutilizzato per la sintesi di nuovi taxani. Il crescente interesse sui taxani, grazie anche alla loro eccellente attività, ha promosso la ricerca di nuovi composti di origine naturale
che si legano al sito dei taxani: una di queste categorie più rilevanti è quella degli epotiloni.
4.2. Epotilone
Gli epotiloni A e B (nome derivante dalle loro caratteristiche molecolari: epossido, tiazolo, e chetone), macrolidi naturali di 16 elementi, sono stati isolati nel ‘93 dal mixobatterio Sorangium cellulosum e originariamente impiegati come agenti antifungini in campo agricolo.
Nel ‘95, venne scoperto il loro meccanismo d’azione taxolo-simile, in particolar modo vennero evidenziati alcuni vantaggi rispetto ai taxoidi, maggior potenza, struttura semplice che consente quindi una facile ricerca di derivati, ma soprattutto attività farmacologica in cellule cancerose taxolo resistenti. Nonostante ciò, sono state riscontrate forme di resistenza agli epotiloni, che sembrerebbero interessare mutazioni a carico della tubulina e quindi un forte efflusso del farmaco dalla cellula. Oltre all'eventuale farmacoresistenza, gli epotiloni presentano alcune limitazioni legate soprattutto alla bassa solubilità in acqua, aspetto che obbliga a formularlo associato a dei cosolubilizzatori come ad esempio il Cremophor, che può essere causa di reazioni di ipersensibilità che obbligano il paziente a fare uso di farmaci antiistaminici. Un derivato che aggira questa limitazione è l' Epotilone B, sotto sperimentazione clinica su tumori solidi in stadio avanzato.
Composto Epotilone A
COMPOSTO Z R Epotilone A O H Epotilone B O CH3
5. FARMACORESISTENZA
La resistenza al farmaco nella terapia del cancro è un elemento chiave che si rivela spesso il principale ostacolo all’efficacia delle cure cui si sottopongono i pazienti oncologici.
Figura 7. Meccanismi di resistenza al farmaco in cellule tumorali
Una forma tumorale può già di per sé essere resistente ad uno o più trattamenti farmacologici, oppure lo può diventare nel corso del trattamento stesso, obbligando quindi un cambiamento nel trattamento chemioterapico che non sempre porta a risultati soddisfacenti. I fenomeni secondo i quali si instaura farmacoresistenza sono molteplici e possono essere farmaco-dipendenti oppure possono insorgere problemi a livello cellulare (Fig. 6). Per quanto riguarda il farmaco può verificarsi sia una diminuzione dell’afflusso che un aumento dell’efflusso, come anche un incremento della sua inattivazione. In secondo luogo il farmaco può trovare il suo bersaglio cellulare alterato e non provocare perciò nessun effetto. Ulteriori complicazioni si possono generare a livello del ciclo cellulare con DNA e mRNA anomali che conducono all’espressione di proteine mutate magari coinvolte in pathways correlati all’attività del farmaco.
Un ruolo importante nella resistenza multifarmaco MDR (multi-drug resistance) in cellule cancerose è giocato dalla proteina di trasporto ABC (ATP-binding cassette), e tra di esse quella che desta maggior interesse sia da un punto di vista oncologico che farmacologico è la glicoproteina P (Pgp). La Pgp è costituita da 12 segmenti transmembranali raccolti in due domini transmembrana (TM), ognuno dei quali collegato ad un sito di binding per l’ATP: il legame di una molecola substrato al sito di binding ad alta affinità comporta l’idrolisi dell’ATP (Fig. 8), provocando un cambiamento conformazionale che sposta il substrato su un sito di binding a bassa affinità, causandone la conseguente espulsione dalla cellula.
Figura 8. Rappresentazione schematica dell'attività della glicoproteina P per l'estrusione di chemioterapici
L’idrolisi della seconda molecola di ATP, quella fissata all’altro dominio transmembrana, induce un nuovo cambio conformazionale che rende disponibile la Pgp a legare un altro substrato.
Nella famiglia dei trasportatori ABC troviamo poi altri membri con meccanismo simile a quello mostrato dalla Pgp (come MRP, di cui si contano cinque isotipi, dei quali il primo è iperespresso in molti tumori), il cui ruolo in oncologia molto spesso rappresenta un fattore limitante l’efficacia terapeutica da non sottovalutare, ma al tempo stesso rappresenta anche un meccanismo di difesa dell’ospite, poiché tutte le molecole assunte per via esogena, quindi anche i composti tossici, possono essere substrati di queste proteine trasportatrici.[6].
Introduzione alla
Parte Sperimentale
Un recente lavoro riporta la sintesi e l’identificazione del meccanismo d’azione di due classi di derivati pirido[2,3-d]pirimidinici A e ciclopenta[d]pirimidinici B,
funzionalizzati con gruppi anilinici, dotati di attività antiproliferativa.[7]
N N N N H2 N R1 R3 R2 R4 N N N H C H3 N R1 OCH3 N N C H3 N R1 R2 R3 1 CH3 R1 2 H R1 R2 R3 CH3 CH3 CH3 CH3 CH3 CH3 CH3 CH3 CH3 H (±) (±) (±) (±) (±) -3 HCl -4 -5 HCl -6 HCl -7 HCl · · · · 4'-OCH3 4'-OCH3 3'-OCH3 2'-OCH3 H 1 2 3 4 5 6 7 1' 2' 3' 4' 5' 6' C Struttura generale di
inibitori delle tirosin chinasi
A Pirrolo[2,3-d]pirimidine B Ciclopenta[d]pirimidine
Alcuni anni prima erano stati sintetizzati degli analoghi della struttura generale C, di cui era stata esaurientemente documentata l’attività inibitoria sui recettori tirosin chinasici (RTK); questo ha condotto i ricercatori ad ampliare il proprio studio orientandosi sulle serie dei composti A e B, strutture molto affini alla C, ipotizzando anche per questi una potenziale attività su RTK. Pertanto, sui prodotti A1 e (±)B-3 sono stati eseguiti alcuni saggi biologici volti ad indagare il loro effetto su alcune delle RTK di maggior interesse in ambito oncologico (EGFR, VEGFR-1, VEGFR-2 e PDGFR- ), dimostrando però di essere completamente inattivi su tali bersagli. Ma un ampio programma di screening svolto dal National Cancer Institute (NCI) ha messo in luce il fatto che i composti A1 e (±)B-3·HCl, ciascuno capostipite delle serie A e B, rispettivamente, fossero capaci di ridurre la crescita neoplastica sulla maggior parte delle cellule presenti in un gruppo di 60 linee cellulari tumorali selezionate, con valori di GI50 molto incoraggianti (A1:
<500nM; (±)B-3·HCl: 30nM). Confrontando i valori ottenuti in questo contesto con quelli di noti chemioterapici attivi sulla tubulina, come la vincristina, è stato ipotizzato che i composti in questione avessero un effetto antimitotico dovuto ad un meccanismo d’azione che coinvolgesse appunto le tubuline. Dai risultati ottenuti poi associando l’attività di altri antitumorali con quella dei derivati A e B, è emerso che gli effetti di danneggiamento sul meccanismo di assemblaggio della tubulina mostrati da questi ultimi
sono paragonabili a quelli della combretastatina (CA4), facendo elaborare l’ipotesi, poi confermata con studi di binding, che i composti A e B instaurano un legame con la tubulina fissandosi sul suo dominio della colchicina, come la CA4.
Pirazolo[3,4-d]pirimidine: uno scaffold per composti ad attività antitumorale
Nel laboratorio presso il quale ho svolto la tesi è stata sintetizzata un’ampia classe di composti a nucleo pirazolo[3,4-d]pirimidinico, rappresentati dalle formule generali D ed
E. N N N N NHR2 R1 N N N N NHR2 R1 D E R1 CH2-C6H5; CH2CH2C6H5; (CH2)6CH3; (CH2)7CH3; (CH2)8CH3; (CH2)9CH3 R2 C6H5; C6H4-m-Cl; C6H4-m-Br; (R,S)-CH(CH3)C6H5; (R)-CH(CH3)C6H5; CH2CH2-C6H5; CH2CH2-C6H4-m-Br
Il nucleo pirazolopirimidinico è di particolare interesse poiché caratterizza le strutture di una varietà di composti chimici di interesse biologico e farmaceutico, sviluppati nel corso di studi basati sulla struttura della molecola della purina e dei suoi isomeri ed analoghi: è un nucleo eteroaromatico chimicamente versatile che permette di essere variamente sostituito su ambedue i cicli, ottenendo molecole dai profili molto diversi tra loro con attività di agonisti e antagonisti in vari pathways biologici.
N
N N
N H
N N N pirazolo[1,5-a]pirimidina N N pirazolo[1,5-c]pirimidina N N H N N pirazolo[3,4-d]pirimidina N N H N N pirazolo[4,3-d]pirimidina Nucleo pirazolopirimidinico
Il nucleo pirazolo[3,4-d]pirimidinico, in particolare, caratterizza numerose strutture più complesse di grande importanza farmaceutica, il cui impiego spazia in molti ambiti della farmacologia,[8] tra cui:
antivirali antiipertensivi anti-Alzheimer antiinfiammatori antimicotici antitubercolari
inibitori enzimatici (adenosima deaminasi e xantina ossidasi)
antitumorali. N N H N N 1H-pirazolo[3,4-d]pirimidina pirazolo[3,4-d]pirimidina NH N N N 2H-pirazolo[3,4-d]pirimidina 1 2 3 4 5 6 7
Questo porta a vedere nello scaffold pirazolo[3,4-d]pirimidinico un’ampia fonte di possibilità terapeutiche su cui indagare.
Molti dei composti a nucleo pirazolo[3,4-d]pirimidinico D ed E hanno mostrato attività antiproliferativa con risultati che incoraggiano il proseguimento degli studi in questo campo. Derivati appartenenti a questa classe strutturale, variamente sostituiti nelle posizioni 1, 2, 4, e 6 del sistema eterociclico, mostrano proprietà citotossiche attribuite alla loro attività di inibitori multitarget di tirosin chinasi. Tra questi derivati, il composto
CLM3 (con un gruppo feniletilico su N1 pirazolico e un gruppo (R)-α-metilbenzilaminico
in posizione 4)ha mostrato efficacia su cellule di cancro papillare della tiroide (Papillary
Dedifferentiated Thyroid Cancer, DePTC) caratterizzato da alterazioni a livello di RET
(REarranged during Transfection), RAS e BRAF e resistente alle terapie tradizionali. Andremo di seguito ad analizzare l’attività antitumorale mostrata in vitro e in vivo dal già citato CLM3 e da un altro nuovo derivato pirazolo[3,4-d]pirimidinico, CLM29, composti che hanno mostrato efficacia su cellule di cancro papillare della tiroide (DePTC).
Questi composti sono in grado di inibire, in vitro, la proliferazione e la migrazione delle cellule tumorali tiroidee. Inoltre, soprattutto il CLM3, è in grado di inibire la crescita di cellule tumorali in assenza di tossicità (aspetto osservato in topi da laboratorio).
L’attività antineoplastica di CLM3 e CLM29 può essere il risultato di una combinazione tra attività antiproliferativa, associata con l’aumento dell’apoptosi delle cellule tumorali, la riduzione della migrazione di tali cellule e della vascolarizzazione neoplastica. Questi ultimi effetti sono stati mostrati in vivo. Infatti, l’uso del CLM3 ha evidenziato una riduzione dei microvasi nel caso di tumori trattati. Il meccanismo che sottolinea la notevole riduzione della neovascolarizzazione neoplastica è probabilmente legato al fenomeno di Up-Regulation del più importante inibitore endogeno dell'angiogenesi, la trombospondina-1 (TSP-1): infatti CLM3 e CLM29 aumentano l'espressione di TSP-1 in tutte le linee cellulari. CLM3 è stato inoltre saggiato su linee cellulari tumorali di endotelio microvascolare (HMVEC-d), di polmone (A549) e di tiroide (830SC, TT), dimostrando anche in questo caso attività antiproliferativa e proapoptotica, sia singolarmente, sia agendo in sinergia con SN-38, metabolita attivo dell’irinotecano.[9] Tuttavia l’efficacia antiproliferativa è di ordine subnanomolare, a fronte di una attività con valori di IC50 di ordine micromolare sulle singole tirosinchinasi. Non si esclude,
perciò, che possano esistere ulteriori bersagli cellulari diversi da quelli citati che spieghino la sua attività e quella di altri derivati con nucleo pirazolo[3,4-d]pirimidinico, il quale peraltro rappresenta uno scheletro molecolare le cui modifiche strutturali con una varietà di sostituenti possono costituire l’elemento discriminante che può orientare l’attività variando il profilo farmacologico.[10]
Su queste basi il mio lavoro di tesi è stato quindi orientato verso la ricerca di derivati pirazolo[3,4-d]pirimidinici, alcuni dei quali non ancora descritti in letteratura, come agenti potenzialmente attivi sulle tubuline.
Struttura generale dei composti pirazolo[3,4-d]pirimidinici R1= H, CH3; R3= H, CH3; 1 2 3 4 5 6 7 N N N N H R1 R3 R2 N CH3 H R2= N OCH3 CH3 H (R) (R) OCH3 NH
Il nucleo pirazolopirimidinico è stato funzionalizzato scegliendo i sostituenti sulla base delle relazioni struttura-attività riportate per i composti A e B sopra citati: in particolare è stato scelto di introdurre un metile in posizione 6 e un gruppo 4-metossi fenilico sull’atomo di azoto in posizione 4. Oltre a questo sostituente è stato scelto di inserire anche un gruppo α-metil benzilico che caratterizza il derivato CLM3, in particolare l’enantiomero (R) che si è dimostrato molto più attivo nell’inibizione di linee cellulari tumorali rispetto all’enantiomero (S) ; in questo caso è stato inserito un metossile in posizione 4 del fenile. Inoltre sono stati progettati altri composti aventi un metile su N2
del sistema eterociclico.
I primi prodotti sintetizzati sono caratterizzati dalle strutture essenziali e non presentano sostituenti alchilici su N1 né su N2, ma solo nella posizione 4 del ciclo pirimidinico.
Una via sintetica che conducesse alla 4-idrossi-pirazolo[3,4-d]pirimidina 2 era già stata descritta in letteratura[11] nel seguente modo: il 3-aminopirazolo-4-carbonitrile 1 veniva fatto reagire con acido solforico e poi all’intermedio risultante, 5-amino-1H-pirazolo-4-carbossamide (sotto rappresentato), veniva addizionata formamide, in un processo svolto in due tempi, per riscaldamento convenzionale.
N H N N H2 O N H2
In alternativa a questo procedimento è stata messa a punto una via più rapida che, grazie all'utilizzo delle microonde, consente l'ottenimento del prodotto in un unico passaggio.
Il 3-aminopirazolo-4-carbonitrile 1 (prodotto commerciale) viene trattato con acido formico e irradiato con MW affinché possa avvenire la reazione di ciclizzazione, volta a formare il pirazolo[3,4-d]pirimidin-4-one (allopurinolo) 2. Il processo prevede l’eliminazione di due molecole di H2O, risulta perciò necessaria la presenza di un agente
disidratante come l’acido solforico concentrato, presente in quantità catalitica, altrimenti la ciclizzazione non si verifica (Schema 1).
Schema 1 N N H NC N H2 N H N N N H O HCOOH MW (120°C), H2SO4 conc. N H N N N OH 1 2
Nel caso in cui il catalizzatore non venga aggiunto alla miscela, oppure se anch e in presenza di esso non si attende il tempo necessario alla chiusura dell’eterociclo pirimidinico condensato, si osserva soltanto la formazione dell’intermedio ancora aperto.
N H N N H2 O NH O H N H N N H2 O N O H H
La 4-idrossi-pirazolo[3,4-d]pirimidina 2 è stata sottoposta ad una reazione di alogenazione. Il processo di alogenazione è già stato descritto in letteratura con metodo di riscaldamento convenzionale, utilizzando POCl3 come agente clorurante e solvente in
presenza di N,N-dimetilanilina. Nel mio lavoro di tesi ho ripetuto la reazione monitorando attentamente l’andamento con TLC in modo tale da evitare un eccesso di riscaldamento; eseguendo il trattamento della miscela di reazione molto accuratamente ho ottenuto il prodotto con resa del 94%, valore molto superiore rispetto ai dati della letteratura. Il work-up della reazione prevede passaggi piuttosto delicati: la fase di evaporazione di ossicloruro di fosforo a pressione ridotta, il trattamento con ghiaccio, l’estrazione con solvente, che devono essere eseguiti molto velocemente onde evitare la completa decomposizione del prodotto. L’estratto organico deve inoltre essere lavato con acqua sino ad eliminazione di ogni traccia dei reattivi impiegati. Poiché uno dei punti critici di questa reazione risiede nella fase di evaporazione e nella successiva distruzione del POCl3, una possibile alternativa che consente l’impiego di una minima quantità di
questo reattivo è operare con le microonde (MW) utilizzando lo strumento Discover-CEM. Così, la miscela contenente il prodotto 3 può subito essere versata in ghiaccio poiché non occorre eliminare il reattivo/solvente in eccesso (Schema 2). In questo caso l’ottenimento del prodotto è più rapido, ma le rese si sono dimostrate inferiori.
Schema 2 N N H N N Cl N H N N N OH 2 3 N,N-dimetilanilina POCl3 MW (110°C)
Il cloro derivato ottenuto è sottoposto alle reazioni di sostituzione nucleofila per l'ottenimento dei prodotti finali 4a e 4b. Questa reazione viene effettuata utilizzando uno strumento a MW (Biotage-Initiator), dove il cloro derivato 3 viene addizionato dell'idonea ammina (p-metossi anilina oppure p-metossi-α-metil-(R)benzilamina) usando come solvente toluene anidro in presenza di trietilammina. Nel caso del composto 4a la presenza di una impurezza fluorescente alla TLC ha richiesto una purificazione per cromatografia su colonna di gel di silice eluendo con miscela etere di petrolio/acetato di etile a polarità crescente; il composto 4b può essere purificato per cristallizzazione.
Schema 3 N N H N N Cl MW toluene anidro N(Et)3 NH2 CH3 H3CO N N H N N N H CH3 OCH3 (R) (R) 3 4a H3CO NH2 MW toluene anidro N(Et)3 N N H N N N H OCH3 4b
Una volta ottenuti i composti finali 4a e 4b, l'interesse si sposta verso la sintesi di prodotti sostituiti in posizione 6 del sistema eterociclico con un gruppo metilico, elemento caratterizzante i ligandi al sito della colchicina B e C[7]. Il primo passaggio della sintesi utilizza acido acetico glaciale al posto dell'acido formico utilizzato per l’ottenimento dell’allopurinolo 2. Il 3-aminopirazolo-4-carbonitrile 1 ha mostrato buona reattività con acido acetico glaciale, permettendo in tal modo di ottenere la 4-idrossipirazolo[3,4-d]pirimidina 6-metil sostituita 5. Anche in questo caso la reazione è stata effettuata con microonde, operando con strumento CEM-Discovery (Schema 4) e, come per l’analogo 2 non sostituito in posizione 6, è necessario aggiungere acido solforico concentrato in quantità catalitica come specie disidratante,
Schema 4 N N H NC N H2 N H N N N C H3 OH CH3COOHglac. MW (110°C), H2SO4 conc. 1 5
Come descritto nello Schema 2, anche l’intermedio 5 è sottoposto ad una reazione di alogenazione sulla posizione 4, utilizzando POCl3 in presenza di N,N-dimetilanilina. La
resa è inferiore rispetto alla reazione analoga precedentemente descritta e necessita ancora di ottimizzazione. Schema 5 N H N N N C H3 OH N N H N N Cl C H3 5 6 N,N-dimetilanilina POCl3 MW (110°C)
Impiegando la stessa procedura con microonde (Biotage-Iniziator) che ha permesso di ottenere i composti finali 4a e 4b, l’intermedio 6 per reazione in toluene anidro con le opportune ammine primarie, in presenza di trietilammina, fornisce i prodotti finali (Schema 6). Schema 6 N N H N N Cl C H3 MW toluene anidro N(Et)3 6 7a N N H N N N H C H3 OCH3 H3CO NH2
Da questa via sintetica, per le minori rese dell’intermedio 4-cloro sostituito 6 e per motivi tempistici, al momento è stato ottenuto solo il prodotto 7a che ha come sostituente la p-metossi anilina.
Parallelamente alla sintesi dei prodotti finali sopra descritti, mi sono dedicato alla sintesi di un altro intermedio 4-idrossipirazolo[3,4-d]pirimidinico secondo una via sintetica in parte già esplorata durante un precedente lavoro di tesi, per l’ottenimento di una serie di derivati sostituiti sulla posizione N2 del sistema pirazolopirimidinico. L’introduzione del
metile su N2 può essere effettuata secondo metodi alternativi. Il primo di essi prevede
l’alchilazione del pirazolocarbonitrile 1 già usato nelle due sintesi sopra descritte. Per aggiunta di ioduro di metile in DMF come solvente e K2CO3 anidro come base
necessaria la separazione dei due isomeri per cromatografia e cristallizzazione frazionata, con significativa perdita in termini di resa del prodotto d’interesse. La seconda via di sintesi verso cui sembrato più vantaggioso orientarsi per ottenere il 3-amino-1-metilpirazolo-4-carbonitrile desiderato prevede la sintesi totale dell’eterociclo: tuttavia questo, una volta ottenuto, non si è mostrato idoneo come substrato per la reazione di ciclizzazione con acido formico per l’ottenimento del sistema biciclico, portando a basse rese di prodotto. E’ stato scelto quindi come intermedio-chiave il derivato pirazolico che presenta un gruppo estereo al posto del carbonitrile, che viene ciclizzato a 4 - idrossipirazolo[3,4-d]pirimidina utilizzando formamide.
Seguendo quindi questa via sintetica, inizialmente ho effettuato la protezione della metilidrazina con benzaldeide[12], riscaldando a riflusso in etanolo ad ottenere il fenilidrazone 8. Questa reazione di protezione è necessaria per ottenere il solo isomero desiderato, in quanto la metilidrazina libera fornirebbe anche in questo caso una miscela di isomeri N1 e N2 sostituiti (Schema 7).
+
CHO NH NH2 C H3 N NH C H3 EtOH 3h, 110°C Schema 7 8La sintesi continua trattando 8 con etil(etossimetilen)cianoacetato che reagisce con l’atomo di azoto in posizione 2 del fenilidrazone: tale passaggio è svolto a caldo in toluene (Schema 8).
N NH C H3 EtO NC COOEt
+
3h, 110°C, toluene N N C H3 CN COOEt Schema 8 8 9Il prodotto 9 ottenuto è sottoposto ad una reazione di ciclizzazione con acido cloridrico in soluzione etanolica a caldo (Schema 9), portando al pirazolo 4-carbetossi sostituito
10[13,14]che viene accuratamente trattato al fine di ricavarne una resa ottimale.
N N C H3 CN COOEt Schema 9 9 , EtOH, HCl conc. 3h, 110°C N N EtOOC N H2 CH3 10
Il prodotto 10 viene quindi ciclizzato a caldo in formammide, la quale svolge il ruolo duplice di reattivo e di solvente. Alla fine del processo, l’eccesso di formammide viene eliminato per filtrazione sottovuoto, dopodichè il solido ottenuto è purificato per cristallizzazione da metanolo o su colonna cromatografica: si ottiene il prodotto 10 (Schema 10).
N N EtOOC N H2 CH3
+
O NH2 H 6h, 210°C NN N H N CH3 O Schema 10 10 11La via sintetica da me intrapresa si interrompe con la sintesi di questo prodotto; i successivi passaggi per l’ottenimento dei prodotti finali potenzialmente attivi prevedono la clorurazione di 11, che come nei casi precedenti rappresenta una reazione particolarmente complicata da portare a completezza. Prove preliminari hanno mostrato che è possibile ottenere l’intermedio 4-clorosostituito utilizzando una miscela di PCl5/POCl3. La
reazione necessita ancora di ottimizzazione in quanto l' ottenimento del cloroderivato rappresenta un passaggio critico, essendo un intermedio particolarmente instabile e soggetto a rapida decomposizione.
MW, 120°C PCl5, POCl3 N N H N N CH3 O N N N N CH3 Cl Schema 11 11
Per il trattamento del 4-cloroderivato 11 occorre osservare molta attenzione, in quanto il prodotto può facilmente degradarsi. Una volta evaporato ed essiccato è possibile allestire la successiva reazione con le benzilamine, per ottenere i composti finali (Schema 12).
I prodotti 4a, 4b e 7a ottenuti sono stati sottoposti a test biologico per valutare la loro capacità di inibire la polimerizzazione della tubulina.
Test Biologico
Il test biologico, eseguito sui prodotti finali, è effettuato utilizzando il kit "Tubulin Polymerization Assay Kit" prodotto dalla Cytoskeleton, Inc.
1.Introduzione al saggio.
Questo tipo di saggio si basa su una procedura one step per la determinazione degli effetti di farmaci o proteine sulla polimerizzazione delle tubuline. Il processo di polimerizzazione è seguito da un incremento di fluorescenza conseguente all'incorporazione di un marcatore fluorescente nei microtubuli. Il saggio standard usa tubulina neuronale (Cat. # T240) che porta alla formazione di una curva di polimerizzazione rappresentante le tre fasi della formazione del microtubulo, chiamate: nucleazione (Fase 1 in Fig. 1), crescita (Fase 2 in Fig.1) e stato stazionario di equilibrio (Fase 3 in Fig. 1).
Figura 9. Reazione di polimerizzazione in assenza ed in presenza di farmaci antimitotici
Spesso composti o proteine che interagiscono con le tubuline alterano una o più fasi della polimerizzazione. Ad esempio, la Fig. 1 mostra gli effetti dell'aggiunta di un farmaco antimitotico, il Paclitaxel, alla normale reazione di polimerizzazione. A 3mM, il Paclitaxel elimina la fase di nucleazione e aumenta la Vmax nella fase di crescita.
Questo test usa tubulina altamente purificata proveniente dal cervello suino, con un grado di purezza superiore al 99%. La qualità, quindi il grado di purezza, è essenziale per ottenere risultati ottimali.[15]
2. Esecuzione del saggio 2.1. Fluorimetro
Le fasi di polimerizzazione sono seguite da un notevole aumento della fluorescenzaa 410-460 nm per più di 60 minuti alla temperatura di 37°C, è quindi richiesto un fluorimetro con il quale si possa regolare la temperatura e che possa leggere a 410-460 nm, con filtri di eccitazione di 340-360 nm.
2.2. Tecnica di pipettaggio e scelta della pipetta
Andremo ad analizzare il caso in cui la pipetta utilizzata è a singolo canale, ottimale per procedere con un numero di campioni che va da 1 a 8, e che quindi rispecchia il nostro caso, dovendo analizzare tre prodotti finali. La cosa importante durante il pipettaggio è cercare di finire tutta la tubulina in meno di 1 minuto. Quindi più l'operatore ha familiarità con la pipetta, minore sarà la variabilità tra i campioni, ed è per questo motivo che viene consigliata, prima di eseguire questo passaggio, la pratica con BSA (Bovine
Serum Albumin). Il secondo importante aspetto da evitare, è la formazione di bolle nei
pozzetti dopo il pipettaggio, in quanto questi porterebbero durante la lettura ad un falso positivo. Generalmente queste bolle si formano quando vengono utilizzate altezze o tecniche di pipettaggio errate. E' consigliato l'uso di punte per pipetta a bassa altezza mantenendo una media velocità di pipettaggio.
2.3. Temperatura
La polimerizzazione della tubulina in questo test è regolata dalla temperatura. A 37°C la tubulina polimerizza nei microtubuli, mentre a 4°C i microtubuli depolimerizzano nelle varie subunità della tubulina. E' inoltre necessario mantenere la tubulina in ghiaccio prima di trasferirla nei pozzetti per la polimerizzazione a 37°C.
2.4. Preparazione del composto di prova
Un punto ottimale di partenza per la preparazione del composto è quello di aggiungere 2 mM di soluzione del composto stesso in DMSO; questo viene poi diluito in acqua alla concentrazione 10x desiderata. Se non è possibile solubilizzare il composto a questa concentrazione, allora il DMSO può essere sostituito con etanolo. Durante la fase di preparazione del campione è importante accertarsi di alcune condizioni :
Mantenere il pH tra 6,5 - 7,0
Non usare tamponi contenenti calcio
3. Preparazione delle soluzioni
Componenti del kit Ricostituzione Condizioni di
stoccaggio
Tampone 1 (BP01)
1. Ricostituire ciascuna bottiglia con 10 ml di acqua Milli-Q(20 ml totali), acqua altamente purificata e deionizzata. 2. Preserva il contenuto delle bottiglie.
3. Aliquote da 13 x 1.5 ml di volume e congelarle a -70°C.
Stoccare a -70°C Stabile per un massimo di 6 mesi Tampone tubulina/glicerolo (Tampone cuscino) (Cat. #BST05-001)
Non è necessario alcun tipo di ricostituzione.
Stoccare a -4°C Stabile per un massimo di 6 mesi
Riserva di GTP (Cat. #BST-06-001)
1. Ricostituire ciascuna delle tre tubicini con 100 µl di acqua distillata e sterile ghiacciata. (totale 300 µl)
2. Porre in ghiaccio.
3. Preserva il contenuto dei tubicini
4. Aliquote da 13 x 20 µl di volume e congelarle a -70°C.
Stoccare a -70°C Stabile per un massimo di 6 mesi
Tubulina (Cat. #T240-DX)
1. Porre la bottiglia da 10mg di tubulina T240-DX in ghiaccio, munirsi di azoto liquido conservato in un dewar. 2. Etichetta dodici criotubi "Riserva tubulina, 10 mg/ml" e ponili in ghiaccio pronti per essere utilizzati.
3. Scongela 20µl di GTP stoccato.
4. Mescola 1.5ml del Tampone 1 ghiacciato con 15µl di GTP stoccato.
5. Ri-sospendere completamente la tubulina in polvere con i restanti 1.1 ml di Tampone 1.
6. Mantenere in ghiaccio per almeno 2 minuti in modo da permettere la ri-sospensione.
7. Porre nei criotubi etichettati aliquote da 12 x 88 µl e farle congelare in azoto liquido.
8. Conservare a -70°C. Stoccare a -70°C Stabile per un massimo di 6 mesi Riserva di Paclitaxel (Cat. #TXD01)
Ricostituire il tubicino di Paclitaxel con 100 µl di DMSO. Congelare a -70°C oppure a -20°C
Stoccare a -70°C Stabile per un massimo di 6 mesi
4. Protocollo sperimentale di saggio
Questo tipo di test standard può essere utilizzato per determinare inibitori e promotori, le condizioni sono: 2 mg/ml di tubulina in una pipetta da 80mM a pH 6.9, 2.0 mM di Cloruro di Magnesio, 0.5 mM di EGTA, 1.0 mM di GTP e 15% di glicerolo. Un accorgimento che può essere adottato per la ricerca di inibitori, come nel nostro caso, è quello di utilizzare il 20% di glicerolo, ricordandosi di prestare particolare attenzione alla temperatura in quanto la polimerizzazione della tubulina è strettamente correlata a questo parametro.
1. Azionare il fluorimetro e inserire i parametri prestabiliti.
2. Posizionare i pozzetti (Corning Costar, Cat. #3686) nel fluorimetro e riscaldare a 37°C per 10 minuti.
3. Scongelare il paclitaxel stoccato e porre 5 µl di questo in 325 µl di acqua sterile e distillata a temperatura ambiente. Mantenere poi questa a temperatura ambiente fino all'utilizzo.
4. Preparare 10x soluzioni madre dei composti di prova o delle proteine di interesse come descritto in sezione 2.4.
5. Non continuare fino a quando i composti non sono completamente pronti.
6. Scongelare 1.5 ml di Tampone 1 e porlo in ghiaccio.
7. Scongelare 20µl di GTP e porlo in ghiaccio.
8. Rimuovere il tampone di tubulina/glicerolo dalla temperatura di 4°C e porlo in ghiaccio.
9. Scongelare 88 µl di tubulina (880 µg) in un bagno ad acqua a temperatura ambiente fino a quando non diventa liquido, quindi porlo immediatamente in ghiaccio.
10. Mescolare poi immediatamente i vari componenti del test (scegliendo a priori se le condizioni da operare sono standard, per inibitori o per promotori)
11. Pipettare 5µl del tampone di controllo nel primo doppio pozzetto A1 e B1. Pipettare poi 5 µl del 10x paclitaxel nel C1 e D1 seguito da 5 µl del composto in esame nei pozzetti E1 e F1.
12. Porre poi la piastra nell'apposito lettore riscaldante per 1 minuto circa, non di più perchè in questo caso i 5 µl del composto evaporerebbero rapidamente.
13. Pipettare 50 µl della miscela di reazione della tubulina, in ciascuno dei pozzetti utilizzati servendosi di una pipetta a singolo canale. E' importante agire rapidamente, mantenendo una media velocità di pipettaggio, tenendo la punta della pipetta contro le pareti del pozzetto in modo tale da evitare la formazione di bolle che come precedentemente detto andrebbero a disturbare la lettura dell'assorbanza portando ad un falso positivo.
14. Iniziare immediatamente la lettura. Se il software subisce un crash durante i primi 5 minuti di lettura, vale la pena riavviare il protocollo poiché alcuni elementi possono essere recuperati.
Parte Sperimentale
I punti di fusione sono stati determinati con un apparecchio di Reichert Köfler e non sono corretti.
Gli spettri di risonanza magnetica del protone (1H-NMR) sono stati eseguiti in soluzione di dimetilsolfossido esa-deuterato (DMSO-d6) con uno spettrometro Varian Gemini-200 (Gemini-200-MHz). La presenza di protoni scambiabili è stata confermata mediante l’uso di D2O.
Le cromatografie su strato sottile (T.L.C.) analitiche sono state realizzate su foglio di alluminio ricoperto di silice (MERCK 60, F-254, spessore 0.2 mm.).
Le cromatografie su colonna sono state effettuate utilizzando gel di silice (MERCK 60, 230-400 mesh ASTM).
1H-pirazolo[3,4-d]pirimidin-4-(5H)-one 2 (allopurinolo)[11]
Due vials, contenenti ciascuna 300 mg (2,78 mmoli) di 3-aminopirazolo-4-carbonitrile 1 (prodotto commerciale) e una quantità di acido formico sufficiente a coprire tutto il solido presente nella vial, sono poste a reagire addizionando anche una quantità catalitica di acido solforico concentrato. La reazione è svolta con MW, in più cicli consecutivi, con strumento Discover- CEM, impostando i seguenti parametri:
Potenza: 100 W Pressione: 100 psi Temperatura: 120 °C Tempo: 10' Ramp Time: 1' Cooling: On Stirring: Off
Avendo ripetuto più volte questo procedimento è stato visto che tra i vari parametri un eventuale aumento del Ramp Time per evitare un rapido aumento di temperatura e non sottoporre il campione a "stress" risulta essere del tutto inutile. Un ulteriore accorgimento viene preso tra un ciclo e l' altro di MW, aggiungendo in vial nuovamente acido solforico concentrato per catalizzare ulteriormente la reazione ed evitare quindi che possa persistere prodotto non reagito. (Controllo TLC: etile acetato 8 / metanolo 2). Una volta effettuato il controllo con TLC, ed aver quindi accertato che il prodotto partenza sia interamente reagito, la miscela presente nella vial deve poi essere versata lentamente in ghiaccio, quindi si attende il suo completo scioglimento affinché si formi un solido di un giallo molto tenue, che viene poi raccolto per filtrazione sotto vuoto ed essiccato sottovuoto con P2O5 come agente disidratante.
Si ottengono da questa reazione 0.523 mg di composto puro.
Resa: 69%
Le caratteristiche chimico-fisiche e spettroscopiche del composto 2 sono riportate nella Tabella 1.
4-Cloro-1H-pirazolo[3,4-d]pirimidina 3 Metodo convenzionale.[11]
L’intermedio 2 deve essere alogenato sul 4-ossidrile affinché diventi un buon substrato per le successive reazioni di sostituzione. Si pone in un palloncino, munito di refrigerante e tappo al cloruro di calcio, 300 mg (2,21 mmoli) di 2 al quale si aggiungono 7,5 mL di ossicloruro di fosforo POCl3 con funzione di agente clorurante, in presenza di 0,9 mL di
N,N-dimetilanilina. Il processo è svolto alla temperatura di 100°C (controllo con TLC;
eluente: etile acetato). L’eccesso di POCl3 è eliminato per evaporazione a pressione ridotta
e il residuo è trattato con ghiaccio, dopodichè la soluzione risultante è estratta con etile acetato; la fase acquosa è scartata, quella eterea è sottoposta a lavaggio con acqua ed essiccamento su MgSO4. Dall’evaporazione si raccoglie un solido giallo limone mg: 321.
Resa: 94%
Metodo con microonde:
Si preparano due vials e, in ciascuna di esse, a 100 mg di 2 si addiziona una quantità di POCl3 sufficiente a coprire tutto il solido e 0,1 L di N,N-dimetilanilina. La reazione è
svolta con MW, in due cicli consecutivi, con strumento Discover-CEM, impostando i seguenti parametri:
Potenza: 100 W Pressione: 100 psi Temperatura: 90 °C Tempo: 1' + 4'
Le soluzioni finali ottenute, di colore rosso scuro, sono riunite e versate lentamente in ghiaccio: si ottiene una soluzione che è estratta con etile acetato, lavata con acqua ed essiccata su MgSO4. Ciò che si ottiene viene evaporato a pressione ridotta in modo tale da
allontanare il solvente di estrazione e ciò che si ottiene da questo processo è un solido di colore giallo che corrisponde al cloro derivato 3.
Resa: 48%
Le caratteristiche chimico-fisiche e spettroscopiche del composto 3 sono riportate nella Tabella 2.
N-(4-metossifenil)-1H-pirazolo[3,4-d]pirimidin-4-ammina 4a
(R)-N-[1-(4-metossifenil)etil]-1H-pirazolo[3,4-d]pirimidin-4-ammina 4b
Si pongono a reagire 200 mg di 4-cloro-1H-pirazolo[3,4-d]pirimidina 3 (1,30 mmoli) con una quantità equimolare dell’ammina idonea ad ottenere il prodotto finale voluto, in 0,5/1 mL di toluene anidro, in presenza di 0,18 mL di trietilamina (1,30 mmoli). Per entrambi i prodotti si è scelto di svolgere le reazioni alle MW (Biotage-Initiator), impostando i seguenti valori:
Temperatura: 110°C Assorbimento: Normale Tempo: 40' + 40'
(Controllo TLC: etile acetato 8 / metanolo 2).
La sospensione finale è filtrata sotto vuoto; nel caso del composto 4a il prodotto precipita insieme al cloridrato di trietilammina formatosi (solido verde salvia chiaro) e nel residuo della soluzione toluenica evaporata a secchezza è presente una quantità trascurabile di prodotto finale. Il solido grezzo ottenuto è lavato con acqua, essiccato e cristallizzato da etile acetato, ottenendo 80 mg di prodotto giallo chiaro puro.
Resa: 4a: 30%
Nel caso del composto 4b quasi tutto il prodotto grezzo è ottenuto per evaporazione delle acque madri tolueniche, mentre il solido ottenuto per filtrazione della sospensione finale è costituito quasi completamente da cloridrato di trietilammina. Il residuo è ripreso con etile acetato e la soluzione è lavata con acqua, essiccata su MgSO4 ed evaporata a
pressione ridotta, ottenendo un residuo che è purificato per cromatografia su colonna di gel di silice (Ø = 1 cm; h = 7 cm) eluendo con una miscela etere di petrolio/etile acetato a polarità crescente, monitorando attentamente la presenza di una in purezza fluorescente alla lampada UV con Rf vicino a quello del prodotto desiderato. Si ottengono 133 mg di prodotto finale puro.
Resa: 4b: 38%.
Le caratteristiche chimico-fisiche e spettroscopiche dei composti 4a, 4b sono riportate nella Tabella 3.
6-Metilpirazolo[3,4-d]pirimidin-4-(5H)-one 5
Si effettua una reazione di ciclizzazione sul 3-aminopirazolo-4-carbonitrile 1 (300 mg, 2,78 mmoli) addizionandovi 1,0 mL di acido acetico glaciale in presenza di una quantità catalitica di acido solforico concentrato, impostando alle MW i seguenti valori, da ripetere in due cicli:
Potenza: 100W Pressione: 100psi Temperatura: 130°C Tempo: 1' + 10'
Così come per l'ottenimento del composto 2, anche in questo caso la reazione di ciclizzazione avviene in più passaggi alle MW, e l'accorgimento preso prevede l'aggiunta tra un ciclo e l'altro di nuovo acido solforico concentrato in modo tale da catalizzare ulteriormente la reazione evitando che rimanga dell'intermedio non reagito. a questo punto si procede con la TLC di controllo in miscela eluente etile acetato 8 / metanolo 2. A reazione avvenuta, la miscela viene versata direttamente in ghiaccio. Una volta che il ghiaccio si è completamente sciolto, si inizia ad osservare la graduale solidificazione del prodotto, che richiede alcune ore per solidificare completamente. A questo punto mi servo del crogiolo per filtrare il precipitato che verrà poi posto in essiccatore al fine di ottenere un prodotto solido bianco (270 mg).
Resa: 65%
Le caratteristiche chimico-fisiche e spettroscopiche del composto 5 sono riportate nella Tabella 1.
4-Cloro-6-metilpirazolo[3,4-d]pirimidina 6
Metodo con microonde: In due vials separate (2-5 mL), ciascuna contenente 100 mg (0,66
mmoli) di 5, si addiziona una quantità di POCl3 sufficiente a coprire tutto il solido e 0,1 mL
di N,N-dimetilanilina. La reazione è svolta con MW, in due cicli consecutivi, con strumento Discover-CEM, impostando i seguenti parametri:
Potenza: 90 W Pressione: 100 psi Temperatura: 110°C Tempo: 1' + 4'
La miscela finale contenuta nelle due vials, di colore rosso scuro, è versata lentamente in ghiaccio: si ottiene una soluzione che è estratta con etile acetato, lavata con acqua ed essiccata su MgSO4. Per evaporazione della soluzione organica si ottiene un solido di
colore giallo che corrisponde al cloro derivato. Questa procedura non ha portato, nel mio caso, ad esito positivo ed è per questo che la reazione nei successivi tentativi è stata portata avanti con metodo tradizionale.
Metodo tradizionale: L'intermedio 5 deve essere alogenato in modo tale da risultare un
substrato ottimale per le successive reazioni. In un palloncino da 10 ml, munito di refrigerante, tappo al cloruro di calcio e magnete, si addiziona 270 mg(1,8 mmoli) di composto 5, 8 ml di POCl3 mantenendo il tutto in agitazione ed infine 0,81 ml di
N,N-dimetilanilina. Il tutto verrà poi posto in bagno ad olio precedentemente riscaldato alla temperatura di 100°C. Ciò che si ottiene subisce poi un processo di evaporazione a pressione ridotta, evitando di portare il tutto a secco. A questo punto il prodotto ottenuto viene versato in una modesta quantità di ghiaccio a goccia a goccia, ma in modo rapido per evitare contatto prolungato con l'aria, agitando nel frattempo con una bacchetta di vetro. Si ottiene una soluzione che viene poi estratta con acetato di etile, lavata con acqua ed infine essiccata con MgSO4. Per evaporazione della soluzione organica si ottiene un solido di
colore giallo (80 mg) che corrisponde al cloro derivato.
Resa: 26%
Le caratteristiche chimico-fisiche e spettroscopiche del composto 6 sono riportate nella Tabella 2.