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La nozione "post moderna" di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni

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IL QUOTIDIANO GIURIDICO

Penale

INTERCETTAZIONI

La nozione “post-moderna” di

intercettazioni di conversazioni e

comunicazioni

venerdì 09 ottobre 2020

di Suraci Leonardo - Dottore di ricerca in diritto processuale penale presso l’Università La Sapienza di Roma

• Intercettazioni

La questione esaminata dalla Suprema Corte con la sentenza n. 26766/2020, nelle sue delicatezza e complessità, offre lo spunto per riflettere sulla “capienza” della nozione di intercettazione o, altrimenti, sulla necessità della costruzione di una nozione “post-moderna” di essa, ossia raccordata ai confini sempre più estesi che l’incessante e rapida evoluzione tecnologica traccia rispetto all’efficacia intrusiva dei – a loro volta sempre più diffusi, disponibili e estremamente maneggevoli – moderni mezzi di captazione.

1. Premessa.

La questione esaminata dalla Suprema Corte con la sentenza in commento, nelle sue delicatezza e complessità, offre lo spunto per riflettere sulla “capienza” della nozione di intercettazione o, altrimenti, sulla necessità della costruzione di una nozione “post-moderna” di essa, ossia raccordata ai confini sempre più estesi che l’incessante e rapida evoluzione tecnologica traccia rispetto all’efficacia intrusiva dei – a loro volta sempre più diffusi, disponibili e estremamente maneggevoli – moderni mezzi di captazione.

L’impressione che si ha è quella di un arnese il quale, nella sua tradizionale (e per molti operatori conveniente) conformazione, appare usurato, cioè poco incline ad ospitare nuove forme di intrusione nell’ambito di un diritto rigidamente presidiato dall’art. 15 Cost. mediante significative – sul piano politico, assiologico e giuridico – qualificazioni a loro volta rafforzate da garanzie di stretta di legalità e, anche, procedurali.

Un arnese, pertanto, che male si adatta al modello di protezione generalizzato definito dalla norma costituzionale – essa, infatti, tutela i valori di riferimento da ogni forma di limitazione – e che appare sempre più, in negativo, propenso ad assicurare con il suo facile (ed usuale oramai)

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disimpegno ampi margini di manovra ad un apparato investigativo il quale, grazie all’evoluzione tecnologica, immagina di navigare fin che può ai margini – ma comunque al di fuori – di uno schema che si regge invece su rigidi meccanismi di controllo da parte dell’autorità giudiziaria.

Liquidata con poche righe a dispetto di un incipit che sembrava prefigurare riflessioni di elevatissimo spessore – esso, difatti, chiamava in causa finanche la Convenzione EDU e la correlata giurisprudenza della Corte sovranazionale – la questione di diritto invece si presta a (anzi: invoca!) profonde riflessioni, essendo in gioco diritti fondamentali della persona troppo spesso destinati ad una triste soccombenza, schiacciati dal macigno costituito dalle esigenze di accertamento dei fatti di reato e da una disinvolta propensione alla sostituzione degli strumenti d’indagine tipici con espedienti non previsti dalla legge processuale.

2. Le intercettazioni e i principi generali stabiliti dalla Corte costituzionale.

Le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni non sono uno strumento investigativo di comuni portata ed incisività, e di questo si è resa conto la Corte costituzionale allorquando ha, da anni, tracciato le direttrici generali di una disciplina che voglia essere coerente con i principi costituzionali.

Nel delineare i confini costituzionalmente compatibili del mezzo di ricerca della prova nell’ambito del sistema processuale previgente, difatti, la Corte ha innanzitutto chiarito che l’art. 15 Cost. non si limita a proclamare l’inviolabilità della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, ma enuncia, altresì, espressamente che la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge [C Cost. 4.4.1973, n. 34].

Nel precetto costituzionale trovano, infatti, protezione due distinti interessi: da un lato quello inerente alla libertà ed alla segretezza delle comunicazioni, riconosciuto – si badi bene – come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall’art. 2 Cost., dall’altro quello connesso all’esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a dire ad un bene anch’esso oggetto di protezione costituzionale.

Nel sistema preso in considerazione dalla pronuncia costituzionale – quello, cioè, delineato dall’art. 226 c.p.p. abr. come modificato dalla l. 18 giugno 1955, n. 517 – così come in quello attuale la compressione del diritto alla riservatezza delle comunicazioni, che l’intercettazione innegabilmente comporta, non è affidata all’organo di polizia, ma si attua – rectius: deve attuarsi – sotto il diretto controllo del giudice, il quale (egli, non altri quindi!) deve tendere al contemperamento dei due interessi costituzionali protetti onde impedire che il diritto alla riservatezza venga ad essere sproporzionatamente sacrificato dalla necessità di garantire un’efficace repressione degli illeciti penali.

A tal fine è indispensabile che il giudice, in quanto titolare della insopprimibile ed inalienabile funzione di garanzia dell’equilibrio tra i valori in contrasto, accerti se ricorrano effettive esigenze, proprie dell’amministrazione della giustizia, che realmente legittimino una siffatta forma di indagine e se sussistano fondati motivi per ritenere che mediante la stessa possano essere acquisiti risultati positivi per le indagini in corso.

Del corretto uso del potere attribuitogli il giudice deve, poi, dare concreta dimostrazione con una adeguata e specifica motivazione del provvedimento autorizzativo.

Ma il rispetto della norma costituzionale di raffronto non trova soddisfazione solo nell’obbligo della puntuale motivazione del decreto dell’autorità giudiziaria, dal momento che sono richieste altre fondamentali garanzie a supporto dell’effettiva inviolabilità del precetto.

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Alcune attengono alla predisposizione anche materiale dei servizi tecnici necessari per le intercettazioni telefoniche, in modo che l’autorità giudiziaria possa esercitare anche di fatto il controllo necessario ad assicurare che si proceda alle intercettazioni autorizzate, solo a queste e solo nei limiti dell’autorizzazione.

Altre, di ordine giuridico, attengono al controllo sulla legittimità del decreto di autorizzazione ed ai limiti entro i quali il materiale raccolto attraverso le intercettazioni sia utilizzabile nel processo [C Cost. 4.4.1973, n. 34].

Sul versante sanzionatorio, la Corte ha chiarito in via generale che rientra in un ragionevole ambito di discrezionalità legislativa - tenuto conto della pregnanza dei valori in gioco - stabilire se la violazione delle regole di cautela poste a presidio della correttezza delle operazioni captative – si discuteva, infatti, della proporzionalità della sanzione prevista per il caso di inosservanza dell’art. 268, co. 3 c.p.p. – debba essere o meno equiparata, sul piano della sanzione processuale, alla carenza dell’autorizzazione e all’esecuzione delle intercettazioni al di fuori dei casi consentiti dalla legge.

Non senza precisare che l’avere il legislatore privilegiato, per l’effettuazione delle operazioni di intercettazione, l’impiego degli apparati esistenti negli uffici giudiziari – dettando una disciplina volta a circoscrivere, con apposite garanzie, l’uso di impianti esterni, tra i quali quelli nella disponibilità della pg – non può qualificarsi, in sé, come scelta arbitraria, avuto riguardo anche alla particolare invasività del mezzo nella sfera della segretezza e libertà delle comunicazioni costituzionalmente presidiata: e ciò proprio perché “si tratta di una scelta finalizzata ad evitare che gli organi deputati alla esecuzione delle operazioni di intercettazione ed al relativo ascolto possano operare controlli sul traffico telefonico, al di fuori di una specifica e puntuale verifica da parte dell’autorità giudiziaria” [C Cost. 29.12.2004, n. 443. In termini identici si era espressa, in precedenza, C Cost. 6.7.2004, n. 209 e, ancora prima, C cost. 11.7.2000, n. 304]. Sembra enucleabile dal sistema normativo – anche costituzionale – e dalle precisazioni del Giudice delle leggi un principio fondamentale di riserva giurisdizionale estesa a tutte le fasi della dinamica intercettativa e la funzione di garanzia che essa assolve rispetto ai valori fondamentali di rilievo costituzionale – libertà e segretezza delle comunicazioni, appunto – impone di guardare prima di tutto al paradigma garantistico in ogni occasione di ingerenza dell’apparato investigativo nella sfera di chi conversa o comunica con aspettative di riservatezza, ferma rimanendo la necessità di qualificare correttamente le occasioni strutturate con forme ad esso non riconducibili.

Si può ipotizzare, dunque, una esigenza assiologica e sistematica di generalizzata protezione che impone dinamiche contrapposte a quelle di “fuga dalle intercettazioni” alle quali si assiste negli ultimi anni, grazie proprio al progresso tecnologico e ad un insidioso “dettagliare” su questo o su quell’altro profilo connotativo del mezzo di ricerca che, guarda caso, ne restringe l’ambito e permette di metterne sempre da parte essenza e funzione.

E’, infatti, nell’ambito di siffatto paradigma – non, quindi, al di fuori di esso – che tende a realizzarsi “il contemperamento del potenziale contrasto tra i due valori costituzionali espressi dal <<diritto dei singoli individui alla libertà e alla segretezza delle loro comunicazioni>>, riconosciuto come inviolabile dagli artt. 2 e 15 Cost., e <<l’interesse pubblico a reprimere i reati e a perseguire in giudizio coloro che delinquono>>” e di ciò sono significativa espressione e indeclinabile strumento la disciplina dei limiti di ammissibilità delle intercettazioni, dei presupposti e delle forme del provvedimento del giudice, dei limiti di durata delle operazioni e dei provvedimenti di proroga (artt. 266 e 267, co. 3 c.p.p.), nonchè la disciplina relativa allo stralcio delle conversazioni manifestamente irrilevanti e delle registrazioni di cui é vietata l’utilizzazione, anche in vista della tutela dei terzi di cui siano state

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occasionalmente registrate le conversazioni nel corso delle operazioni di intercettazione (art. 268, co. 6 c.p.p.) e la previsione dei limiti e dei divieti di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni (artt. 270 e 271 c.p.p.) [C cost. 7.7.1998, n. 281].

3. Il concetto di intercettazione di conversazioni e comunicazioni.

Il nuovo codice di procedura penale, allo stesso modo di quello abrogato, non fornisce una definizione della figura giuridica costituita dall’intercettazione, determinandosi una lacuna che, messa in evidenza anche dalla sentenza in commento, oltre a tradire la difficoltà incontrata dal legislatore nell’affrontare la tematica, è in parte dovuta all’implicito rinvio alla nozione progressivamente elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

È stato rimesso all’interprete, quindi, il compito di individuare gli elementi costitutivi dell’atto al fine di determinare l’ambito di applicazione di una disciplina che rimane ancorata ad una visione garantista nell’ambito del potenziale contrasto fra valori costituzionali.

Il tentativo di definizione, è stato tra l’altro efficacemente osservato, non è frutto di un mero esercizio teorico, ma costituisce l’espressione di un ineludibile bisogno per chi, chiamato ad applicare la relativa disciplina, si trova a fronteggiare la necessità di distinguere attività investigative differenti eppure tra loro molto simili, ad alcune delle quali solamente è riferibile la normativa codicistica in materia di mezzi di ricerca della prova.

Sono stati, così, da tempo fissati alcuni caratteri che connotano la struttura minima dello strumento investigativo in questione, alla luce del significato semantico dell’espressione intercettazione e del sottosistema normativo che ne regola i profili procedimentali ed operativi. Secondo una definizione accolta anche dalla giurisprudenza, le intercettazioni regolate dagli artt. 266 ss. consistono nella captazione occulta e contestuale di una comunicazione – ma, sarebbe meglio dire, di un qualsiasi comportamento comunicativo [sulla nozione e sulla diversità di trattamento rispetto alla captazione di comportamenti non comunicativi in ambito domiciliare si sono soffermate C SU 28.3.2006, Prisco] – o conversazione intercorrente tra due o più soggetti che agiscono con l’intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da soggetto estraneo alla stessa mediante strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del suo carattere riservato [C SU 28.5.2003, Torcasio e altro. Successivamente si esprime negli stessi termini C VI 29.3.2005, Rosi].

Poiché, dunque, gli artt. 266 ss. disciplinano unicamente le intercettazioni di “comunicazioni o conversazioni” tra persone, essi non sono applicabili alla localizzazione nello spazio degli individui, anche se effettuata con nuove tecnologie, come ad esempio i controlli satellitari a mezzo Gps [C I 7.1.2010, Concia. In senso conforme, in precedenza, C VI 11.12.2007, Stizia; C VI 28.11.2007, Bresin; C V 27.2.2002, Bresciani].

Costituisce, inoltre, attività diversa dall’intercettazione, trattandosi di sequestro, l’acquisizione dei messaggi registrati nella segreteria telefonica [C VI 8.1.2002, Liccione].

Allo stesso modo, per l’utilizzazione dei dati segnalati sul display del telefono cellulare si è esclusa la necessità del decreto di autorizzazione del gip, in quanto tali elementi non sono assimilabili al contenuto di conversazioni o comunicazioni telefoniche [C IV 29.1.2004, Lanzetta].

Andando oltre nell’esame delle fattispecie in concreto verificabili, la S.C. ha, poi, affermato che l’ufficiale di pg che, nel corso delle indagini, risponda ad una telefonata entrante sull’apparecchio telefonico in sequestro appartenente ad un indagato non compie alcuna intercettazione, poiché quest’ultima presuppone l’inserimento in una conversazione in atto tra distinti soggetti senza che gli stessi ne siano consapevoli.

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Pertanto il contenuto della conversazione può essere fatto oggetto di annotazione e su di esso l’operante può legittimamente essere sentito, anche perché l’attività compiuta è del tutto legittima, rientrando nelle funzioni proprie della pg, che ha il dovere di assicurare le fonti di prova e di raccogliere ogni elemento utile per la ricostruzione del fatto e l’individuazione del colpevole [C IV 25.6.2008, Leonardi].

Nel caso in cui la pg provveda al sequestro di apparecchi telefonici cellulari, in ipotesi costituenti mezzi utilizzati per perpetrare il reato di spaccio di stupefacenti, la S.C. ha ritenuto talvolta legittimo da parte della stessa pg rispondere alle telefonate che pervengono attraverso il cellulare sequestrato trascrivendone il contenuto e utilizzandolo in sede di indagini preliminari quali sommarie informazioni ex art. 351 c.p.p. [C IV 12.4.2000, Saber. In termini, successivamente, C IV 10.1.2002, El Gana ed altri].

4. Gli elementi essenziali dell’intercettazione.

Come può notarsi, il primo elemento indefettibile del mezzo di ricerca della prova in discorso è connesso al suo carattere estremamente invasivo in relazione al bene della segretezza delle conversazioni e comunicazioni, le quali intanto sono suscettibili di essere intercettate in quanto siano riservate, nel senso che coloro che le realizzano intendono riservarne la percezione ad una cerchia predeterminata di soggetti, con esclusione di ogni terzo che di esse non sia destinatario diretto o indiretto.

Coerentemente con siffatto dato ricostruttivo, la S.C. ha precisato che la disciplina delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni non si estende alle comunicazioni effettuate via etere mediante ricetrasmittenti non consentite, il cui uso, non essendo coperto dalla prescritta concessione, è penalmente sanzionato ma non può, in ogni caso, ritenersi assistito dalla garanzia della riservatezza e della protezione da intromissioni estranee, trattandosi di apparecchi liberamente captabili da chiunque, nel raggio della loro irradiazione, si avvalga di un apparecchio ricevente sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda [C I 20.5.1997, Bottaro e altri. In senso conforme, in precedenza, C V 21.10.1996, Bruzzise e altri; C VI 12.11.1994, Seminara].

L’altro elemento che consente di qualificare un’attività di captazione come intercettazione è stato desunto dalla complessa disciplina degli strumenti utilizzabili – ma la tecnologia non si è arrestata a quella che era vent’anni addietro – e consiste nell’utilizzazione di mezzi tecnici idonei a superare le normali capacità dei sensi, conseguendone l’esclusione dal campo applicativo della disciplina delle intercettazioni delle captazioni clandestine di comunicazioni attuate per mezzo delle comuni facoltà umane.

L’ultimo dato caratterizzante la nozione tradizionale di intercettazione è individuabile nella terzietà del soggetto che effettua la captazione, ossia l’estraneità di questi rispetto alla conversazione o comunicazione in corso.

5. La registrazione ad opera del conversante.

Qualora, dunque, la conversazione sia registrata da uno dei partecipanti non si assisterebbe ad una lesione della libertà e segretezza di essa, ma, più semplicemente, ad un pregiudizio alla sfera di riservatezza del colloquiante cagionata dall’indesiderata diffusione del contenuto del colloquio.

Pertanto, la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma costituisce una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico della

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quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova in ambito processuale ai sensi dell’art. 234 c.p.p., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa [C SU 28.5.2003, Torcasio e altro. Nonché, più di recente, C VI 1.12.2009, n. 49511; C VI 9.6.2005, Dottino. Ma, anche, C I 23.1.2003, Lentini].

Nel corso della sua lunga elaborazione, tuttavia, la giurisprudenza non ha potuto fare a meno di cogliere i tratti di diversità della situazione che si verifica allorché l’attività di captazione sia effettuata sì dall’interlocutore del conversante, ma d’intesa con la pg e con strumenti da questa forniti.

In questo caso, infatti, non può parlarsi di documento formato nell’ambito del procedimento ai sensi dell’art. 234 c.p.p., ma si tratta di documentazione di attività d’indagine che, incidendo sul diritto alla segretezza delle conversazioni tutelato dall’art. 15 Cost., a differenza della registrazione effettuata d’iniziativa di uno degli interlocutori, necessita di apposite garanzie. Venendosi a determinare un’intrusione di minore rilievo rispetto a quella riconducibile ad un’attività intercettativa in senso proprio, però, l’operazione può essere anche supportata da un decreto del pm, mancando il quale i risultati della stessa sarebbero inutilizzabili [C SU 28.5.2003, Torcasio e altro. In termini parzialmente diversi e più garantistici v., successivamente, C VI 6.11.2008, Napolitano].

Prima dell’intervento delle S.U., v’è da dire, l’ipotesi in discorso era stata fatta rientrare talvolta nell’ambito della disciplina delle intercettazioni ambientali [C VI 20.11.2000, Finini; C I 29.9.2000, Bayan; C I 13.1.1999, Di Conzo], mentre in altre occasioni, anche successive al predetto intervento, è stata ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 234 c.p.p. [C II 5.11.2002, Modelfino. Tra le successive, invece, C II 11.5.2007, Pitta; C VI 9.6.2005, Dottino].

In giurisprudenza si è ritenuto, altresì, che il consenso da parte del legittimo destinatario di una comunicazione telefonica a che un terzo (nella specie, un appartenente alla pg) possa ascoltare liberamente il contenuto della comunicazione medesima colloca il fatto stesso al di fuori della disciplina delle intercettazioni telefoniche, dovendosi tale situazione equiparare alla rivelazione di una conversazione a opera di chi vi abbia preso parte, al di fuori, perciò, di quel controllo delle conversazioni e delle comunicazioni effettuato “a sorpresa”, che caratterizza l’intercettazione vera e propria [C IV 19.6.2001, La Pietra].

Si è affermato, inoltre, che l’utilizzabilità delle intercettazioni regolarmente autorizzate dall’ag ed eseguite nelle forme di legge non viene meno per la circostanza che uno dei partecipanti alle conversazioni sia a conoscenza dello svolgimento delle intercettazioni stesse.

In questo caso non opera, infatti, la sanzione di inutilizzabilità applicabile invece – si noti bene – nella “diversa fattispecie” in cui la polizia guidi la registrazione del contenuto di colloqui privati da parte di uno degli interlocutori, con propri apparecchi che possano captarne il contenuto durante il loro svolgimento e consentirne l’ascolto diretto, così realizzando indirettamente una intercettazione di conversazioni senza la previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria [C I 12.12.2007, D.G.].

6. Lo sgretolamento della nozione tradizionale.

L’arresto giurisprudenziale appena richiamato, nel mentre riveste la situazione investigativa in concreto esaminata dell’apparato protettivo tipico del mezzo di ricerca della prova, determina il consolidamento di un approdo significativamente incidente sulla nozione tradizionale di intercettazione, le cui maglie iniziano quindi ad allargarsi.

Anche sulla scia di quanto affermato dalla Corte costituzionale, infatti, si è preso definitivamente atto della possibilità che abbiano luogo attività ad essa riconducibili anche a

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prescindere dalla ricorrenza di tutti gli elementi caratteristici tradizionalmente individuati dalla giurisprudenza, dunque anche in situazioni in cui la conversazione sia ritenuta segreta da uno soltanto degli interlocutori.

La Corte costituzionale, difatti, nel sottolineare come la Corte di cassazione abbia affermato, in termini generali, che le registrazioni di colloqui effettuate, in assenza di autorizzazione del giudice, da uno degli interlocutori dotato di strumenti di captazione predisposti dalla polizia

giudiziaria, debbono considerarsi comunque inutilizzabili, “indipendentemente dal

contemporaneo ascolto da parte della stessa” giacché, in tal modo, si verrebbe a realizzare un surrettizio aggiramento delle regole sulle intercettazioni – il richiamo attiene a C VI 6.11.2008, Napolitano – evidenzia come a sostegno di tale indirizzo la stessa Corte di cassazione ha osservato che l’intercettazione eseguita dalla polizia giudiziaria con il consenso di uno dei partecipanti alla conversazione necessita comunque dell’autorizzazione del giudice.

Perché si abbia intercettazione, difatti, “non è necessario che tutti i conversanti ignorino che un terzo è in condizione di captare il messaggio, ma basta che l’atto avvenga all’insaputa di almeno uno di essi” [V., per tutte queste considerazioni, C cost. 30.11.2009, n. 320].

Difatti, nel caso dell’agente attrezzato con mezzi idonei ad assicurare l’ascolto contestuale da parte della pg, l’intera operazione di intercettazione si regge sul contributo indefettibile di uno dei conversanti, il quale non soltanto non intende escludere i terzi dalla percezione ma, al contrario, incorpora finalisticamente l’intero apparato captativo prescindendo dal quale il contenuto delle conversazioni rimarrebbe nella sua totalità disponibile esclusivamente ai protagonisti del colloquio.

Pertanto, la registrazione di conversazioni effettuata sì dal privato, ma mediante un apparecchio collegato con postazioni ricetrasmittenti attraverso le quali la pg procede all’ascolto ed alla contestuale memorizzazione, non costituisce una mera forma di documentazione dei contenuti del dialogo né una semplice attività investigativa, bensì una operazione di intercettazione di conversazioni ad opera di terzi, sottoposta pertanto alla disciplina di garanzia di cui agli artt. 266 ss. c.p.p. [C VI 6.11.2008, Napolitano. E, più tardi, C III 23.3.2016, C.].

La costruzione dimostra che la nozione di intercettazione ex art. 266 c.p.p. non è una incisione sulla pietra, ma un prodotto elaborativo mobile, che si alimenta dei risultati del progresso tecnologico non soltanto sul versante operativo, ma anche sul piano conformativo.

Ed allora, vi sono elementi sufficienti per cogliere le potenzialità espansive del concetto di intercettazione – il quale è, come può notarsi, squisitamente giuridico – al fine di verificare se nell’ambito di esso possa collocarsi – magari con qualche adattamento definitorio finalizzato ad ampliare, anziché restringere, l’ambito applicativo di un istituto che, sia pure tra limiti ed imperfezioni, comunque compendia segmenti garantistici – anche la vicenda presa in esame dalla Suprema Corte.

7. Intercettazioni e “post-modernità”.

Il caso è quello della vittima di gravi reati la quale, dopo avere allertato la polizia della propria iniziativa, ha fatto in modo che una telefonata dal contenuto indiziante intercorsa con l’autore di essi venisse contestualmente ascoltata dalla pg e da quest’ultima registrata.

La soluzione della Suprema Corte, come si è già anticipato, è racchiusa in poche righe e tende a “salvare” l’utilizzabilità delle risultanze mediante – ancora una volta – la collocazione dell’attività investigativa al di fuori del perimetro delineato dai caratteri strutturali dell’intercettazione, dal momento che, nel caso che ci occupa, “i Carabinieri non effettuarono alcun atto di indagine, né sollecitarono la persona offesa a registrare il colloquio con [l’imputato], né le fornirono alcun registratore” [C II 25.9.2000, n. 26766].

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Di talché, “in tal caso la registrazione effettuata, anche se veicolata attraverso la successiva trascrizione dei contenuti da parte delle stesse forze dell’ordine, rappresenta una semplice trasposizione del contenuto del supporto magnetico e costituisce una mera forma di memorizzazione fonica di un fatto storico utilizzabile quale prova documentale” [C II 25.9.2000, n. 26766].

La conclusione, come è di tutta evidenza, si disinteressa completamente della struttura e degli effetti dell’atto, guardando semplicisticamente alla posizione (apparentemente) di estraneità della pg rispetto alla dinamica acquisitiva: essa, infatti, non “effettuò”, non “sollecitò”, non “fornì”.

Tre coniugazioni negative che, come si anticipava, misurano la vetustà di una definizione che non è più al passo con i tempi e che, se non rimeditata, colloca le intercettazioni – ed il sistema di garanzie che ne connota essenza e dinamica in funzione equilibratrice del contrasto tra valori – ai margini dell’itinerario processuale penale, improvvisamente trasformate da mezzo investigativo privilegiato in arnese inutile e invadente, un “di più” di cui disfarsi non appena la tecnologia fornisca mezzi parimenti efficaci (sul piano investigativo), egualmente intrusivi (id est: lesivi di diritti inviolabili della persona) e più discreti (rectius: sottratti alla garanzia del controllo giudiziale).

Il bilanciamento che la disciplina delle intercettazioni di conversazioni assicura – in maniera discutibile, se si vuole – si trasforma in “sbilanciamento” se si guarda agli schemi – tra l’altro di matrice giurisprudenziale – con gli occhi della tecnologia soltanto per fuoriuscire da essi ed assicurarsi spazi privi di controllo sebbene siano in gioco diritti inviolabili.

Ed allora, non può non convenirsi sul fatto che la tecnologia permette di veicolare con estrema rapidità i contenuti di dialoghi intersoggettivi verso la pg mediante strumenti che non richiedono apparati captativi particolarmente complessi.

Anzi, l’evoluzione tecnologica fa sì che il mezzo utilizzato per la comunicazione (es.: un cellulare) si presti a costituire allo stesso tempo un facile e maneggevole “mezzo di captazione”, piacevole e insidiosissimo succedaneo della tanto famigerata “cimice”.

La pg non “effettua”, non “sollecita”, non “fornisce” semplicemente perché non ha più bisogno di farlo, non ha più bisogno di “intercettare” – nel senso voluto da una definizione oramai anacronistica – ma la cosa strana è che la pg che (a quanto pare) non intercetta più continua a rimanere, comunque, soggetto che “capta” segnali, “ascolta” dialoghi e “documenta” contenuti processualmente utilizzabili.

Ma, non avendo la pg “effettuato”, “sollecitato”, “fornito”, il pensiero della Corte si fa sottile e, con esso, si assottigliano le garanzie: la captazione non è atto d’indagine, l’ascolto (in diretta o in differita poco importa) non è acquisizione procedimentale di elementi, la registrazione diviene “mera forma di memorizzazione fonica”, la conversazione degrada a “fatto storico” e la trascrizione viene ridotta ad innocuo “veicolo” di contenuti.

Se, però, l’art. 15 Cost. tutela la segretezza di ogni forma di comunicazione da “limitazioni” – espressione onnicomprensiva che, dunque, non distingue tra casi e forme di ingerenza – non pare potersi dubitare del fatto che queste ultime si parametrino alle potenzialità lesive dei mezzi intrusivi che la tecnologia consegna e con queste debba fare i conti una nozione di intercettazione che, mettendo al bando espedienti tecnologici tradotti in schemi giuridici, voglia conservare reali spazi operativi ed effettivi risvolti garantistici.

Poco importa, allora, se la pg non “effettua”, non “sollecita”, non “fornisce”: se essa capta, ascolta e documenta nell’ambito di un procedimento penale allora “intercetta” e dunque “investiga”, cioè compie un’attività canalizzata la quale deve fare i conti con i mezzi offerti

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dall’ordinamento alla luce del principio di non sostituibilità, particolarmente stringente allorquando sono in gioco diritti fondamentali.

Ciò è ancora più vero se si considera, come traspare dalla sentenza in discorso, che l’attività di captazione non costituiva nell’occasione un “fulmine a ciel sereno”, ma era stata oggetto di preventivo “allertamento” da parte della persona offesa nei confronti della pg, al quale era seguita la comunicazione di una utenza telefonica di servizio verso cui indirizzare i segnali portatori della conversazione.

In altri termini, vi era stata una pregressa organizzazione di mezzi la quale, per quanto

semplicissima ma comunque efficace e funzionale, era chiaramente finalizzata

all’organizzazione di un atto a tutto tondo investigativo: organizzazione che ha reso la pg protagonista di una attività endo-procedimentale rispetto alla quale si è preferito, anziché attivare il protocollo garantista magari accelerato ex art. 267, co. 2 c.p.p., assumere una posizione di comoda attesa di un flusso che, comunque, ad essa era – come ci si attendeva sulla base degli accordi assunti e dell’organizzazione predisposta – destinato.

La previa intesa costituisce, in altre parole, il sintomo e allo stesso tempo il momento di perfezionamento di una dinamica investigativa ben precisa, finalizzata alla percezione immediata e contestuale del contenuto di flussi comunicativi riservati e tanto basta per delineare il paradigma tipico del mezzo di ricerca della prova.

Come ebbe a precisare la Corte di cassazione occupandosi di un differente profilo ma con attualità di contenuti elaborativi [C VI 6.11.2008, Napolitano, letteralmente richiamata da C cost. 30.11.2009, n. 320], non vi è nessuna concreta differenza tra il caso in cui il colloquiante consenta alla polizia giudiziaria di installare un dispositivo che le permetta di intercettare la conversazione con un interlocutore ignaro, e l’ipotesi in cui il medesimo colloquiante, agendo su precisa indicazione degli organi investigativi e con apparecchiature da questa approntate, proceda alla registrazione del colloquio, in quanto il ricorso al congegno azionato dall’interlocutore rappresenta, in simile ipotesi, un mero espediente diretto ad eludere l’obbligo di munirsi dell’autorizzazione giudiziaria e neppure motivato dall’esigenza di non vanificare una esecuzione tempestiva dell’operazione, dato che, proprio per le situazioni di urgenza, la legge prevede che l’operazione stessa possa venire immediatamente disposta dal pubblico ministero con decreto, salva la successiva convalida da parte del giudice.

Tradotto in parole povere, il pensiero autorevole della Corte suona come un monito: il principio di non sostituibilità costituisce un frutto maturo capace di chiudere le porte a sapienti ed avanzatissimi espedienti investigativi allorché siano in gioco diritti inviolabili della persona.

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