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Linfoistiocitosi Emofagocitica familiare (FHL): serie casistica monocentrica anni 1990-2020

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(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA

SCUOLA DI SCIENZE MEDICHE E FARMACEUTICHE

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA E

CHIRURGIA

Linfoistiocitosi emofagocitica familiare (FHL):

serie casistica monocentrica anni 1990-2020

Relatore:

Candidata:

Chiar.mo Prof Angelo Ravelli

Maria Binelli

Correlatore:

Chiar.ma Prof.ssa Concetta Micalizzi

(2)

1

Sommario

ABSTRACT ... 4

INTRODUZIONE ... 4

OBIETTIVI DELLO STUDIO ... 4

MATERIALI E METODI ... 4

RISULTATI ... 4

DISCUSSIONI E CONCLUSIONE ... 5

INTRODUZIONE ... 6

CLASSIFICAZIONE DELLE ISTIOCITOSI ... 8

EPIDEMIOLOGIA E CENNI STORICI ... 9

PATOGENESI ... 11 CARATTERISTICHE GENETICHE... 13 CLINICA ... 18 LABORATORIO ... 21 CRITERI DIAGNOSTICI ... 27 TERAPIA ... 29 Schema di terapia ... 32

Trapianto di cellule staminali emopoietiche ... 34

Terapia di supporto ... 36

Definizione degli stati di malattia ... 37

Terapia di salvataggio ... 38

HLH: L’ESPERIENZA DELL’ISTITUTO GIANNINA GASLINI ... 45

OBIETTIVI DELLO STUDIO ... 45

MATERIALI E METODI ... 46

CASISTICA ... 46

METODI ... 47

METODI STATISTICI ... 51

RISULTATI ... 52

DESCRIZIONE DEI PAZIENTI IN STUDIO ... 52

APPROCCIO TERAPEUTICO ... 58

INTERESSAMENTO NEURLOGICO E PROGNOSI ... 61

ANALISI DELLA SOPRAVVIVENZA DI TUTTI I PAZIENTI IN STUDIO ... 69

HLH PRIMITIVE VS MAS: DUE SFIDE A CONFRONTO ... 75

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ... 76

BIBLIOGRAFIA ... 81

(3)

2

Indice delle tabelle

TABELLA 1. Classificazione pHLH per deficit genetico ... 17

TABELLA 2. Criteri diagnostici HLH-2004 ... 28

TABELLA 3. Descrizione dei pazienti in studio ... 54

TABELLA 4. Dati anamnestici pazienti in studio ... 55

TABELLA 5. Illustrazione dei parametri diagnostici nei pazienti in studio ... 57

TABELLA 6. Riscontri clinici e neuroradiologici in 18 pazienti con coinvolgimento cerebrale ... 64

TABELLA 7. Carattereistiche dei pazienti SNC+ e SNC- ... 66

TABELLA 8. Outcome a confronto pazienti SNC+ e SNC- ... 68

TABELLA 9. Confronto delle caratteristiche di esordio tra i pazienti con pHLH e MAS 75 TABELLA 10.MH score per la distinzione tra pHLH e MAS ... 79

Indice delle figure

FIGURA 1. Il fenotipo HLH è il risultato della combinazione di fattori genetici, trigger infettivi e infiammatori... 6

FIGURA 2. Striscio di sangue periferico con segni di emofagocitosi ... 7

FIGURA 3. Classificazione revisionata delle istiocitosi e delle neoplasie delle cellule appartenenti alle linee dendridico-macrofagica ... 8

FIGURA 4. Incidenza di FHL per età in coppie di fratelli portatori della stessa mutazione ... 9

FIGURA 5. Tappe storiche relative alle acquisizioni di conosceenze sulle HLH primitive ... 10

FIGURA 6. Citotossicità granulo-mediata dei linfociti T e NK ... 12

FIGURA 7. Patogenesi HLH ... 13

FIGURA 8. Correlazione tra sottotipo genetico, attività citotossica ed età di esordio della FHL ... 15

FIGURA 9. Modello dei meccanismi molecolari della FHL e delle forme di immunodeficienza primitiva associate alla HLH ... 18

FIGURA 10. Espressione della perforina nel PBL: Immunofluorescenza intracitoplasmatica ... 24

FIGURA 11. Espressione della perforina nei linfociti NK ... 24

FIGURA 12. Espressione di CD107a dopo co-coltura con target tumorale ... 25

FIGURA 13. Workup immonologico e genetico di HLH ... 26

FIGURA 14. Algoritmo diagnostico proposto sulla base dei riscontri laboratoristici dei saggi citofluorimetrici descritti ... 27

FIGURA 15. Opzioni terapeutiche secondo il protocollo HLH-2004 ... 31

FIGURA 16. Confronto protocollo HLH-94 e HLH-2004 ... 32

(4)

3

FIGURA 18. Applicazione della terapia con blocco di IL-6 ... 41

FIGURA 19. Ruolo di ruxolitinib nella modulazione delle Janus Kinases ... 42

FIGURA 20. Iter diagnostico applicato ai pazienti in studio ... 48

FIGURA 21. Protocollo HLH-94 ... 49

FIGURA 22. Distribuzione pHLH per sesso e età ... 52

FIGURA 23. Distribuzione pHLH per sesso e età ... 53

FIGURA 24. Illustrazione grafica dei sintomi di esordio ... 56

FIGURA 25. Illustrazione dell'outcome dei pazienti trattati con protocollo HLH-94 e HLH-2004 ... 58

FIGURA 26. Terapie applicate nei pazienti in studio ... 59

FIGURA 27. Illustrazione dell’outcome dei pazienti HSCT+ e HSCT- ... 60

FIGURA 28. Prevalenza dei sintomi neurologici ... 62

FIGURA 29. Patterns neuroradiologici dei pazienti in studio ... 63

FIGURA 30. Outcome dei pazienti con compromissione neurologica ... 67

FIGURA 31. Box plot della distribuzione dei decessi in funzione degli anni ... 69

FIGURA 32. Sopravvivenza cumulativa globale dei pazienti in studio ... 70

FIGURA 33. Sopravvivenza globale stratificata pazienti HLH-94 vs HLH-2004 ... 71

FIGURA 34. Sopravvivenza cumulativa stratificata per deficit genetico ... 72

FIGURA 35.Sopravvivenza cumulativa stratificata dei pazienti HSCT+ e HSCT- ... 73

FIGURA 36.Sopravvivenza cumulativa stratificata dei pazienti HSCT+ e HSCT- assumendo il trapianto come variabile tempo-dipendente ... 74

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4

Abstract

Introduzione

La Linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) è una rara condizione iperinfiammatoria sistemica su base genetica (FHL) o secondaria prevalentemente a patologie reumatologiche (MAS), caratterizzata da una disregolazione dell'immunità cellulo-mediata.

Obiettivi dello studio

L’obiettivo primario dello studio è l'analisi del decorso clinico e dell'outcome della serie casistica dei pazienti con FHL afferenti all’emato-oncologia dell'Istituto Giannina Gaslini (IGG) dal 1990 al 2020. Obiettivo secondario è il confronto con un campione di pazienti con MAS del database della Reumatologia IGG, al fine di descrivere le differenze nella presentazione clinica delle due forme di HLH.

Materiali e metodi

Sono state valutate retrospettivamente le caratteristiche genetiche, cliniche e laboratoristiche di 26 pazienti con FHL, sono stati inoltre raccolti i dati relativi ai protocolli di terapia e al trapianto di cellule staminali emopoietiche (HSCT).

La sopravvivenza è stata analizzata mediante le curve di Kaplan Meier.

Le caratteristiche cliniche d’esordio sono state confrontate con quelle di 177 pazienti con MAS.

Risultati

L'overall survival globale a 5 anni dalla diagnosi è 57,7%; statisticamente significativa è la sopravvivenza a 5 anni dei pazienti sottoposti a HSCT (81,2% vs 11,1%).

Dal confronto con i pazienti con MAS abbiamo rilevato un'età media d’esordio inferiore nelle FHL, nonché una maggiore prevalenza di splenomegalia e interessamento neurologico, associati a neutropenia, piastrinopenia e ipofibrinogenemia di maggiore entità.

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5

Discussioni e conclusione

La FHL rimane una condizione a rischio vita a elevata mortalità.

I dati di sopravvivenza ottenuti in questa casistica sono in linea con quelli riportati in letteratura e il trapianto di cellule staminali emopoietiche è di fatto l'unica opzione terapeutica valida per ottenere la guarigione.

Emapalumab, anticorpo monoclonale anti-IFNγ, recentemente approvato per FHL, può rappresentare una valida alternativa alla chemioterapia prima del trapianto di midollo.

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6

Introduzione

La Linfoistiocitosi Emofagocitica (HLH) è una condizione iperinfiammatoria multisistemica potenzialmente fatale, caratterizzata da una eccessiva, ma inefficace stimolazione del sistema immunitario1, che conduce ad un accumulo di macrofagi e linfociti2 nei tessuti e organi bersaglio.

Questa iperattivazione immunologica determina una tempesta citochinica responsabile di manifestazioni cliniche severe, peraltro non patognomoniche, che possono condurre verso un quadro di pancitopenia e coagulazione intravascolare disseminata, seguito da insufficienza multiorgano. Più del 10% dei pazienti muore entro due mesi dalla diagnosi per emorragie viscerali, infezioni opportunistiche legate alla neutropenia e insufficienza multi-organo (MOF)3.

La linfoistiocitosi emofagocitica non è una singola patologia, ma una sindrome clinica che può essere scatenata da multiple condizioni sottostanti, le quali sono responsabili del fenotipo clinico infiammatorio (figura 1).

Courtesy Dr.ssa Concetta Micalizzi

Rappresenta un’emergenza clinica rilevante, spesso misconosciuta e sottodiagnosticata, la cui precoce identificazione è cruciale per instaurare un adeguato trattamento.

Il termine emofagocitosi si riferisce al corrispettivo istopatologico che viene documentato, ovvero macrofagi fagocitanti globuli rossi, leucociti, piastrine e precursori nel midollo osseo e in altri tessuti4 (figura 2), in associazione alla proliferazione e infiltrazione multiorgano da parte di linfociti T iperattivati.

Figura 1. Il fenotipo HLH è il risultato della combinazione di fattori genetici, trigger infettivi e infiammatori

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7 I segni clinici cardinali comprendono febbre persistente, epatomegalia e citopenia. Altri reperti includono ipertrigliceridemia, coagulopatia con ipofibrinogemia ed elevati livelli sierici di transaminasi e ferritina5, il cui dosaggio è stato aggiunto come criterio diagnostico dalla Histiocyte Socity nel protocollo HLH-2004.

Il quadro clinico si può anche manifestare, sebbene più raramente, con linfoadenomegalie, rash cutaneo, ittero, edema e con un coinvolgimento del SNC caratterizzato da sintomatologia neurologica di variabile gravità associato a iperproteinorrachia e pleocitosi liquorale5, il quale può esitare in sequele irreversibili. Nella maggior parte dei casi, la linfoistiocitosi emofagocitica insorge in età pediatrica (dalla nascita fino al 18esimo mese di vita), sebbene possa manifestarsi a tutte le età. Si riconoscono delle HLH primitive, geneticamente determinate, a loro volta distinte in forme familiari (FHL) e forme associate ad altre immunodeficienze primitive6, e HLH acquisite o secondarie, innescate da infezioni, malattie proliferative oncologiche o malattie reumatologiche, di cui possono costituire anche il quadro clinico d’esordio. Di seguito la terminologia corrente:

• HLH Primitive/ereditarie: FEL o FHLH = linfoistiocitosi eritrofagocitica familiare.

• HLH Secondarie/reattive: ReHLH

- VAHS/IAHS = sindromi emofagocitiche virus-associate o più genericamente

associate a infezioni.

- MAHS= sindromi emofagocitiche associate a malignancies.

- MAS/RheHLH = sindrome da attivazione macrofagica associata a malattie

reumatologiche

(9)

8

Classificazione delle istiocitosi

Le istiocitosi sono un gruppo di patologie a eziologia eterogenea caratterizzate da un accumulo in differenti tessuti e organi di istiociti anomali, cellule di derivazione mieloide appartenenti al sistema macrofagico-mononucleare (MPS): macrofagi, cellule dendritiche o cellule di derivazione monocitica7.

La classificazione più recente formulata dalla società internazionale delle Istiocitosi (Histiocyte Society) è del 2016, e si basa sulle nuove acquisizioni relative alla cellula d'origine e alle anomalie molecolari, e riconosce cinque gruppi distinti di istiocitosi, definiti dalle lettere dell'alfabeto (figura 3):

1. GRUPPO L: Langerhans Cell Histiocytosis (LCH)

2. GRUPPO C: Cutaneous and Mucocutaneous Histiocytosis 3. GRUPPO M: Malignant Histiocytosis

4. GRUPPO R: Rosai-Dorfman disease + miscellaneous noncutaneous, non LC 5. GRUPPO H: Hemophagocytic Lymphohistiocytosis and macrophage

activation syndrome

Nell'immagine vengono mostrate le caratteristiche istologiche e le mutazioni somatiche correlate. JF Emilie, O Alba, S Fritag, et al. Revised classification of histiocytoses and neoplasms of the macrophage-dendritic cell lineages. Blood. 2016;127(22):2672–81.

Figura 3. Classificazione revisionata delle istiocitosi e delle neoplasie delle cellule appartenenti alle linee dendridico-macrofagica

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9

Epidemiologia e cenni storici

Trattandosi di una patologia decisamente rara e di non facile inquadramento diagnostico, la reale prevalenza di HLH è difficile da stimare, considerando anche la variabilità di incidenza nei diversi contesti geografici. Gli studi epidemiologici non evincono particolari predilezioni per sesso o etnia, sebbene la patologia sia presente più frequentemente in zone con elevato tasso di consanguineità.

In Texas, è stata stimata una prevalenza di 1 su 100.000 soggetti al di sotto dei 18 anni, con un’età media di esordio di 1,8 anni8.

In Svezia, il registro nazionale stima un’incidenza di 1 su 50.000 nati vivi9, mentre in Giappone l’incidenza annuale di casi pediatrici e adulti è di 1 su 800.00010. In Turchia, la prevalenza è superiore, arriva a 7,5 su 100.000 persone, a causa della maggiore consanguineità ed elevata prevalenza dei difetti genici del pathway linfocitico citotossico11.

Nei pazienti portatori di una forma geneticamente determinata, l’esordio avviene per il 70%-80% dei casi entro il primo anno di vita, di cui solo il 10% dei casi in età neonatale; sono stati tuttavia descritti dei quadri a esordio tardivo, in età adolescenziale e adulta6 e la variabilità d’età d’esordio di fratelli affetti dello stesso difetto genetico convalida tale osservazione (figura 4).

Cetica, Sieni, Aricò, JACI 2016

Figura 4. Incidenza di FHL per età in coppie di fratelli portatori della stessa mutazione

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10 Il primo caso di HLH fu descritto nel 1939 da Scott e Robb-Smith come una “reticolosi istiocitica midollare”12, una malattia rapidamente fatale caratterizzata da una proliferazione incontrollata di istiociti e loro precursori, con segni di emofagocitosi a livello linfonodale, splenico, epatico e midollare. Precedentemente, furono riportati casi simili, descritti come entità nosologiche separate dagli altri disordini del sistema linforeticolare e denominati “malattia di Hodgkin atipica o leucosi”13.

Nel 1952, la linfoistiocitosi familiare fu più dettagliatamente descritta da Farquhar e Claireaux con il caso di due fratelli, un maschio e una femmina, deceduti nei primi mesi di vita con una sindrome infiammatoria, pancitopenia, epatosplenomegalia, rash cutaneo e dimostrazione a livello di milza, fegato, linfonodi e midollo osseo di infiltrazione da parte di istiociti emofagocitanti.

Gli autori la descrivevano come una forma grave e familiare di malattia di Letterer-Siwe, una forma di Istiocitosisi a cellule di Langerhans14.

Successivamente, tale sindrome fu caratterizzata ampiamente dal punto di vista della presentazione clinica15 e classificata come patologia del macrofago e inserita fra le

istiocitosi non maligne, distinta dalla istiocitosi a cellule di Langherans.

Courtesy Dr.ssa Concetta Micalizzi

Figura 5. Tappe storiche relative alle acquisizioni di conosceenze sulle HLH primitive

(12)

11

Patogenesi

La comprensione della funzione difettiva di diversi tipi di cellule immunitarie ha enormemente ampliato le conoscenze su questa malattia, che vede coinvolti i macrofagi, le cellule NK e i linfociti T citotossici in una disregolazione immunologica che determina il fenotipo clinico dell'HLH16.

L’attività citotossica granulo-dipendente è il maggiore meccanismo immunitario effettore nella resistenza a infezioni virali, batteriche intracellulari e nella prevenzione dello sviluppo tumorale.

Un deficit funzionale di tale attività in varie malattie umane ereditarie ha reso drammaticamente chiaro che questa funzione citotossica può giocare un ruolo critico anche nel controllare le risposte immunitarie.

La cellula citotossica, linfocita T o natural killer (NK), uccide la cellula bersaglio attraverso la secrezione localizzata di granuli contenenti perforina e granzimi. Il killing citotossico si realizza attraverso un complesso meccanismo che comprende il riconoscimento della cellula bersaglio, la formazione della sinapsi immunologica con polarizzazione dei granuli contenenti gli enzimi litici, la fusione delle membrane, fino al rilascio di granzimi nello spazio sinaptico che determinano l'apoptosi della cellula target (figura 6).

In un soggetto sano, questo processo è seguito dall'eliminazione dell'antigene scatenante e dallo spegnimento della risposta immunitaria mediante un circuito a feedback17.

(13)

12 Ingaggio del killing citotossico del linfocita T o NK: l’attivazione del T-cell receptor (TCR) dei linfociti T CD8+ da parte degli antigeni associati al complesso maggiore di istocompatibilità di classe 1 (MHC-I) provoca la polarizzazione cellulare e la migrazione dei granuli citotossici, i quali si fondono con la membrana citoplasmatica a livello della sinapsi immunologica e rilasciano il proprio contenuto nello spazio sinaptico; il granzima così rilasciato entra nella cellula bersaglio attraverso i pori creati dalla perforina e agisce in sinergia con il legame tra FAS e FAS-ligando, attivando la via delle caspasi e innescando il processo apoptotico. L'attività delle cellule NK e dei CTL è quindi mediata da un pathway che coinvolge Fas ligando (CD95-L) ma, acor più importante, da un pathway perforina-dipendente.

Jordan MB, Allen CE, Wietzman S, et al. How I treat hemophagocytic lymphohistiocytosis. Blood. Oct 2011;118(15):4041-52.

La base fisiopatologica della malattia risiede in un'alterazione dei meccanismi di immunoregolazione, conducendo a una risposta infiammatoria progressiva e a una ipersecrezione di citochine, in particolare di IFNγ, TNFα, 1b, 6, 8, 10, IL-12, IL-18 e sIL-2r (sCD25).

L'espansione incontrollata dei linfociti T Ag-specifici determina un'ulteriore attivazione dei macrofagi e delle cellule presentanti l'antigene (APC), con conseguenti necrosi tissutale, emofagocitosi e insufficienza multiorgano17.

(14)

13 Tutti i difetti genetici sottostanti alle forme familiari di HLH correlano con il meccanismo di citotossicità granulo-dipendente e interferiscono con i processi di trasporto, fusione ed esocitosi dei granuli, o con la formazione della perforina18.

Non è perfettamente chiaro il motivo di questa alterazione nella via secretoria citolitica delle cellule T e NK, ma sembra essere legato a un duplice meccanismo. Da un lato ci sarebbe una inefficace clearance dell'antigene, che continua a stimolare le cellule effettrici; dall'altro, una volta eliminato il fattore scatenante, si verifica un’impossibilità al mantenimento dell’omeostasi immunologica tramite contrazione della risposta infiammatoria, evento in cui la perforina sembra giocare un ruolo critico1,19 (figura 7).

Astigarraga I, Gonzalez-Granado LI, Allende LM, et al. Haemophagocytic syndromes: the importance of early diagnosis and treatment. AnalesdePediatria. Jul 2018;89(2):124.e1-124.e8.

Caratteristiche genetiche

Le linfoistiocitosi emofagocitiche familiari (FHL) rientrano nell’ambito delle forme primitive e possono essere distinte in 5 diversi sottogruppi20 sulla base del difetto genetico sottostante.

Si tratta di un insieme di disordini a trasmissione autosomica recessiva, caratterizzati da mutazioni a carico di geni che codificano per proteine coinvolte nella citotossicità granulo-dipendente dei linfociti T e NK, che conducono a un fenotipo clinico comune18,21.

(15)

14 Il difetto genetico può riguardare alterazioni del trafficking, dell’ancoraggio e del rilascio delle vescicole, o un’alterata funzione della perforina stessa.

Il tipo e la combinazione delle diverse mutazioni correla con la severità del quadro clinico e con l’età di sviluppo della FHL.

E’ bene tuttavia sottolineare che in alcuni casi l’alterazione genetica alla base della FHL resta ignota20.

I pazienti affetti da FHL hanno un elevatissimo rischio di recidiva e mortalità, motivo per cui presentano una chiara indicazione al trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche (CSE)21.

Nella FHL1 è stato individuato, attraverso un’analisi di linkage, un possibile locus genico mappato sul cromosoma 9 (9q21.3–22), sebbene il gene responsabile sia ad oggi sconosciuto22, si tratta di una mutazione “privata”, descritta in un unico nucleo familiare di origine medio-orientale.

La FHL2 è dovuta a una mutazione a carico del gene PRF1, codificante per la perforina23,24, una proteina solubile ad attività citolitica sintetizzata e immagazzinata insieme ai granzimi nei lisosomi secretori delle cellulle citotossiche, per poi essere liberata nella cellula target a livello della simapsi immunologica attraverso la riorganizzazione dei microtubuli (MTOC: microtubule organizing center). Una volta raggiunta la membrana di contatto, la perforina forma dei pori sulla cellula bersaglio, consentendo l’ingresso ai granzimi, che avviano la cascata apoptotica18,25. In assenza della perforina, i granzimi non possono penetrare nella cellula target per esplicare un’adeguata attività citotossica21.

La perforina gioca anche un ruolo fondamentale nei meccanismi di immunoregolazione, nonostante il suo ruolo in tal senso non sia stato ancora ben definito26.

Il gene PRF1 è mappato sul cromosoma 10q21 e può essere interessato da uno spettro di mutazioni che riguardano tutte le regioni codificanti del gene, con un pattern di prevalenza variabile in base all’area geografica27.

Sono state descritte più di 70 mutazioni diverse a carico del gene PRF1, molte delle quali determinano l’assenza o la riduzione della perforina all’interno dei lisosomi secretori18 e si riscontrano prevalentemente nelle forme gravi a esordio precoce21.

Oltre alle mutazioni non-senso, che determinano la formazione di una proteina tronca e quindi biologicamente inattiva, sono state riportate delle mutazioni missenso,

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15 responsabili di una inadeguata citotossicità della perforina sulla cellula target, nonostante venga sintetizzata, immagazzinata e rilasciata in normali quantità18.

Molte di queste mutazioni provocano un’alterazione conformazionale a carico della perforina e inibiscono il clivaggio proteolitico dei suoi precursori21, nonostante siano mantenuti una certa espressione della proteina e una residua funzionalità delle cellule NK28.

Le mutazioni missenso di PRF1 si riscontrano più frequentemente nei casi a esordio tardivo in età pediatrica e adulta28,29-30; inoltre, sono state evidenziate anche in pazienti adulti con infezione cronica attiva da EBV, neoplasie ematologiche e perfino in soggetti sani28.

Si può concludere che esiste una correlazione fenotipo/genotipo per quanto riguarda l’età di esordio, il tipo di mutazione e la severità clinica della malattia20,21-28.

La FHL3 è causata da una mutazione a carico del gene UNC13D, che codifica per la proteina intracellulare Munc13-4, coinvolta nel priming vescicolare e indispensabile per il processo di degranulazione dei linfociti T a livello della sinapsi immunologica.

Nei soggetti portatori di questa mutazione, viene quindi compromessa l’esocitosi degli enzimi citolitici nella cellula target31.

Analogamente alla FHL2, anche in questo caso esistono delle forme caratterizzate da mutazioni missenso di UNC13D, in cui l’età di esordio è più avanzata e la funzione citotossica è meno compromessa20 (figura 8).

La citotossicità dei linfociti T CD8+ risulta deficitaria nei pazienti con FHL2 e FHL3 portatori di una mutazione nonsenso a carico rispettivamente di PRF1 E UNC13D, mentre risulta ridotta nei pazienti portatori di mutazioni missenso.

Figura 8. Correlazione tra sottotipo genetico, attività citotossica ed età di esordio della FHL

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16 La FHL4 è dovuta a una mutazione a carico del gene STX11, che codifica per la proteina sintassina 11, un componente recettoriale di SNAP (Soluble NSF Attachment Protein) e appartenente alla famiglia delle proteine SNARE (SNAREceptor), coinvolte nei processi di fusione con la membrana. Viene prodotta in grandi quantità dai globuli rossi, dai linfociti T citotossici e NK e dalle cellule mieloidi.

Si tratta quindi di una proteina cruciale nei meccanismi di priming vescicolare e di esocitosi dei granuli citotossici32,33.

La FHL5 è causata da una mutazione a carico della proteina Munc18-2, chimata anche STXBP2 (syntaxin binding protein 2), che è coinvolta nella regolazione del trafficking intracellulare e nel controllo dell’assemblaggio e del disassemblaggio del complesso SNARE34. Analogamente a STX11, STXBP2 è implicata nella degranulazione delle cellule NK e probabilmente agisce nell’ultima fase di ancoraggio vescicolare e fusione con la membrana plasmatica35.

Nonostante l’eterogeneità genetica, i pazienti affetti da FHL presentano un fenotipo clinico omogeneo e indistinguibile, del tutto indipendente dal gene responsabile della malattia21.

Sempre nell’ambito delle forme genetiche, la linfoistiocitosi può svilupparsi anche in diverse immunodeficienze primitive, tra cui la sindrome di Chediak-Higashi (CHS), la sindrome di Griscelli (GS) di tipo 2, la sindrome di Hermansky-Pudlak (HPS) di tipo 2 e la sindrome linfoproliferativa di tipo 1 e di tipo 2 (XLP-1 e XLP-2). Non è sempre agevole distinguere queste patologie ereditarie dalle forme familiari di HLH, anche se alcuni elementi possono essere di aiuto. Nelle immunodeficienze primitive, ad esempio, la linfoisiocitosi emofagocitica non sempre si presenta, anche se può essere osservata all’esordio o durante il decorso della malattia, mentre nella FHL rappresenta l’unica e primitiva manifestazione clinica.

Inoltre, l’immunodeficienza e l’albinismo a carico di cute e capelli vengono riscontrati nella sindrome di Chediak-Higashi, nella sindrome di Griscelli di tipo 2 e nella sindrome di Hermansky-Pudlak, ma non nella FHL18,20, rappresentando un utile elemento di diagnosi differenziale.

Nella Tabella 1 vengono riportate le diverse forme di HLH primitive e i difetti genetici associati.

Nella figura 9 sono schematizzati i meccanismi patogenetici correlati ai difetti molecolari delle varie forme di HLH primitiva.

(18)

17 Tabella 1. Classificazione pHLH per deficit genetico

SOTTOTIPO HLH GENE MUTATO/PROTEINA CROMOSOMA FUNZIONE Primarie/genetiche

FHL1 Non noto 9q21.3-q22 Non nota

FHL2 PRF1/perforina 10q21-22 Formazione di

pori sulla cellula bersaglio FHL3 UNC13D/Munc13-4 17q25 Proteine coinvolte in trasporto intracellulare, fusione alla membrana ed esocitosi dei granuli citotossici FHL4 STX11/sintassina 11 6q24 FHL5 STXB2/sintassina binding protein 2 19p13.2-3

Associate a stati di immunodeficienza

S. di Chediak-Higashi LYST/lysosomal trafficking regulator 1q42.1-q42.2 Proteine coinvolte in trasporto intracellulare, fusione alla membrana ed esocitosi dei granuli citotossici S. di Griscelli tipo II RAB27A/RAS

associated protein 27a

15q21 S. di

Hermansky-Pudlak II

AP3B1/adaptor protein 3 subunit beta 1 10q2 Sindrome linfoproliferativa X-linked tipo 1 SH2D1A/SLAM associated protein Xq25 Riduzione dell’apoptosi indotta dall’attivazione Sindrome linfoproliferativa X-linked tipo 2 BIRC4 o XIAP/X-linked inhibitor of apoptosis Xq25 Non chiara

Altri: Immunodeficienza severa combinata (SCID), Deficit di T-cell chinasi inteleuchina-2-inducibile (ITK)

(19)

18 Dopo l’attivazione delle cellule T citotossiche e la formazione della sinapsi immunologica con la cellula target, i granuli litici migrano attraverso i microtubuli verso il sito di contatto e si ancorano alla membrana plasmatica. Seguono poi il priming e la fusione con la membrana e il seguente rilascio di perforina e granzimi, che provocano l’apoptosi della cellula target. Difetti nel trafficking (LYST: lysosomal trafficking regulator), docking (Rab27a), priming (MUNC13-4), fusione (STX11 e STXB2 o Munc18-2) e nell’ingresso nella cellula target (perforina) sono alla base di diversi tipi di malattia, come indicato. I meccanismi precisi e il ruolo di altri effettori coinvolti nel procsso restano ancora da chiarire.

Clinica

La linfoistiocitosi emofagocitica rappresenta tutt’ora un’ardua sfida per il clinico e rimane associata ad una mortalità che si aggira intorno al 20-40%, nonostante i progressi ottenuti nell’ambito dei protocolli terapeutici.

Sia le forme primarie che quelle secondarie sono caratterizzate da un ampio spettro di sintomi e segni clinici infiammatori del tutto aspecifici, alcuni dei quali possono essere assenti all’esordio e svilupparsi durante il decorso naturale della malattia36.

Le manifestazioni cliniche della HLH possono mimare alcuni quadri patologici a eziologia eterogenea, tra cui le malattie infettive (virali, batteriche e parassitarie), le neoplasie maligne (linfomi, leucemie e tumori solidi) e i disordini reumatogici, come l’Artrite idiopatica giovanile sistemica (SJRA), che può manifestarsi come una sindrome da attivazione macrofagica (MAS)5,37.

Figura 9. Modello dei meccanismi molecolari della FHL e delle forme di immunodeficienza primitiva associate alla HLH

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19 Altre diagnosi differenziali da considerare comprendono l’istiocitosi a cellule di Langerhans (che talvolta può complicarsi con HLH), l’intolleranza proteica con lisinuria, l’immunodeficienza combinata severa, la sindrome di Di George, la sindrome di Omenn5 e la malattia di Kawasaki, che differisce dalla HLH soltanto per il pattern citochinico specifico Th1/Th237.

Particolarmente degne di nota sono anche la febbre di origine sconosciuta, l’insufficienza epatica acuta, o l’epatite associata a coagulopatia, la sepsi con insufficienza multiorgano, la meningite linfocitaria e l’encefalite con lesioni focali4: si tratta di condizioni a rischio vita che devono sempre essere escluse attraverso un accurato iter diagnostico, prima di instaurare una terapia.

Analogamente ad altre immunodeficienze, le infezioni da parte di patogeni comuni, soprattutto virali, possono fungere da trigger patogenetico per la malattia38 sia nei bambini affetti da FHL, che in quelli privi di un difetto genetico noto4. Tra i microrganismi virali, i più comuni includono il virus Ebstein-Barr, il cytomegalovirus, il virus da immunodeficienza umana e il rubella virus. Tra gli altri agenti patogeni, si ricordano il Mycobacterium tuberculosis, il Mycoplasma pneumoniae, funghi e parassiti37.

Per molti pazienti, risulta quindi difficile discriminare una forma di HLH familiare slatentizzata da un trigger infettivo, da una linfoistiocitosi secondaria a un’infezione in assenza di fattori predisponenti noti39.

E’ importante ricordare che i pazienti con leishmaniosi viscerale possono presentare un quadro molto simile alla HLH sia dal punto di vista clinico che istologico, tanto da rendere la diagnosi differenziale particolarmente ardua, perfino nelle aree in cui la Leishmania donovani è endemica38,40-41.

La maggior parte dei segni e sintomi clinici sono imputabili alla presenza di elevati livelli di citochine circolanti e comprendono febbre non responsiva al trattamento antibiotico (tipicamente persistente e superiore a 38.5°C), diatesi emorragica, epatosplenomegalia con linfoadenomegalia, entrambe espressione di uno stato linfoproliferativo36,38.

In corso di HLH anche il distretto cutaneo può essere interessato da diverse manifestazioni, tra cui rash eritemato-maculopapulare, eritrodermia diffusa, edema sottocutaneo, panniculite, eritema morbilliforme, petecchie e porpora18,42.

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20 I pazienti possono inoltre presentare gravi disfunzioni ventilatorie, con versamento pleurico, infiltrati alveolari e interstiziali, fino all’insufficienza respiratoria, manifestazioni neurologiche e alterazioni degli indici di necrosi e funzionalità epatica18,42.

L’interessameto neurologico si associa a un outcome clinico meno favorevole43, soprattutto se concomitano alterazioni liquorali, tra cui iperproteinorrachia e pleocitosi5, che costituiscono un fattore prognostico indipendente in termini di sequele a lungo termine e mortalità44,45. Il coinvolgimento neurologico interessa dal 10% al 73% di tutti pazienti con HLH e può manifestarsi all’esordio o durante lo sviluppo della malattia43. I sintomi clinici più comuni comprendo irritabilità, convulsioni e meningismo44, ma possono comparire anche disturbi dello stato di coscienza, atassia, paralisi dei nervi cranici, disfagia, disartria, fontanella pulsante, emiplegia/tetraplegia, fino al coma43,45. Talvolta il danno neurologico è permanente e possono quindi residuare sequele irreversibili, come ritardo nello sviluppo neurocognitivo e epilessia44.

Dal punto di vista istopatologico, i linfociti e gli istiociti proliferanti invadono inizialmente le leptomeningi e più tardivamente gli spazi perivascolari, determinando una massiva infiltrazione tissutale, soprattutto della sostanza bianca, che può esitare in aree di gliosi focale, necrosi e demielinizzazione.

Anche i nervi periferici possono essere danneggiati dai macrofagi che penetrano nel citoplasma delle cellule di Swhann con conseguente dissociazione dei foglietti mielinici e sviluppo di polineuropatia periferica demielinizzante45.

La RMN cerebrale mostra dilatazioni subdurali e iperintensità diffuse nelle sequenze T2 pesate; altri reperti includono atrofia cerebrale, lesioni della sostanza bianca, ventricolomegalia, emorragie, edema e aumentato enhancement leptomeningeo43,44. Il danno epatico è una complicanza molto comune in corso di HLH e può manifestarsi come lieve aumento delle transaminasi, ittero, o epatite fulminante a esordio acuto. I reperti istopatologici sono per lo più aspecifici e comprendono dilatazioni sinusoidali, necrosi epatocellulare e steatosi, conseguenti all’infiltrazione di istiociti emofagocitanti e all’overproduzione di citochine.

Considerata la mancanza di indicatori clinici e laboratoristici patognomonici, la linfoistiocitosi emofagocitica deve sempre essere considerata con elevato grado di sospetto in tutti i bambini che si presentano con insufficienza epatica di natura indeterminata46.

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Laboratorio

I riscontri laboratoristici riflettono gli elevati livelli di citochine circolanti e comprendono alterazioni più o meno caratteristiche che concorrono a innalzare il sospetto diagnostico di HLH.

La mielodepressione, che si configura solitamente come anemia e trombocitopenia, sebbene possa comportare quadri di grave pancitopenia in assenza di trattamento20, è conseguente al rilascio di TNF-α e INF-γ, oltre che alla emofagocitosi midollare38. La coagulopatia, correlata a bassi livelli di fibrinogeno (<1.5 g/L), si riscontra nella maggior parte dei pazienti ed è dovuta alla secrezione di attivatore del plasminogeno da parte dei macrofagi attivati che accelerano la conversione in plasmina, con conseguente iperfibrinolisi16.

Un'altra evidenza caratteristica è l'ipertrigliceridemia (≥ 265 mg/dL) derivante dall'inibizione della lipoproteina lipasi, che idrolizza i trigliceridi sulla superficie cellulare permettendo l’ingresso nella cellula di acidi grassi e glicerolo, da parte del TNF-α38.

La ferritina rappresenta un importante marcatore laboratoristico: si tratta di una molecola ubiquitaria responsabile dello stoccaggio e dell'omeostasi del ferro nei tessuti, ma è anche una proteina di fase acuta, che aumenta in molte condizioni infiammatorie sistemiche47,48.

L'iperferritinemia è di frequente riscontro nella pratica clinica e può essere attribuita a diverse condizioni, tra cui le patologie oncologiche, epatiche, cardiche, autoimmunitarie, le infezioni batteriche, l'emocromatosi e l'alcolismo49,50, sebbene valori eccessivamente alti rendono probabile la diagnosi di HLH.

Il valore di ferritina sierica superiore a 500 mcg/L rientra nei criteri diagnostici del protocollo HLH-2004 eleborati dalla Histiocyte Society, ma rappresenta anche un eccellente parametro per il follow up e per il monitoraggio della risposta terapeutica. Si tratta di un indice molto sensibile di HLH, la cui specificità aumenta con l'aumentare del suo livello: per valori superiori a 10.000 mcg/L si raggiunge una sensibilità del 90% e una specificità del 96%, la quale è ulteriormente incrementata dalla presenza di uno stato febbrile47,48.

E' importante tuttavia precisare che, a differenza dell'ambito pediatrico, la specificità della ferritinemia non è altrettanto elevata nell'adulto, in cui lo spettro di diagnosi

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22 differenziale è estremamente ampio e valori anche superiori a 5 volte il range di normalità non sono predittivi di HLH51.

L'universale disponibilità del dosaggio laboratoristico della ferritina la rende il marcatore di flogosi più utilizzato nella pratica clinica, nonostante la sua sensibilità e specificità nell'ambito della diagnosi e del follow up siano inferiori rispetto al CD25 solubile (sIL2R).

Il CD25 solubile, detto anche catena α del recettore di IL-2, è una proteina transmembranaria coinvolta nel pathway attivatorio dei linfociti T, i cui livelli aumentano nelle sindromi emofagocitiche, nei linfomi e nelle sindromi linfoproliferative autoimmuni.

I criteri diagnostici pongono un cut off pari a 2400 U/mL: valori inferiori a tale livello escludono la diagnosi di HLH con una sensibilità del 100%, mentre valori superiori a 10.000 U/ml sono suggestivi per HLH con una specificità del 93%52.

Nonostante rappresenti uno dei marcatori di flogosi più attendibili nella valutazione del decorso della malattia, la limitazione di sCD25 consiste nella mancata disponibilità di dosaggio nei centri non specialistici, nonchè nella variabilità dei livelli in base all'età, di cui bisogna tener conto nell'interpretazione del dato16,52.

Un altro marcatore che si è rivelato affidabile, sia per la diagnosi che per il follow up, è il CD163 solubile, la parte extracellulare del recettore per complessi emoglobina-aptoglobina, che viene espresso esclusivamente dai macrofagi e dai monociti. La funzione di sCD163 è sconosciuta, ma i suoi livelli aumentano durante l'infiammazione e l'attivazione macrofagica, in seguito al clivaggio mediato dalle metalloproteasi, che rilasciano il frammento extracellulare di CD1631,53.

I livelli di questo marcatore aumentano sensibilmente in corso di tutte le sindromi di attivazione macrofagica, sia primitive che secondarie, in misura superiore rispetto ai quadri di sepsi, mononucleosi acuta e altre condizioni flogistiche, rispetto alle quali hanno anche un andamento correlato all'attività clinica di malattia54,55.

La limitazione più importante, analogamente a sCD25, è la scarsa diffusione del dosaggio di tale parametro, che lo rende fruibile esclusivamente nei centri specialistici. Nell'ambito delle forme familiari di HLH, l'identificazione delle mutazioni patogenetiche responsabili del fenotipo clinico rimane il gold standard ai fini della diagnosi e dell'impostazione terapeutica. Tuttavia, la scarsa accessibilità e le lunghe tempistiche per il conseguimento dei risultati molecolari hanno reso queste metodiche

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23 poco praticabili e hanno posto la necessità di utilizzare dei test più rapidi, che possono facilitare l'iter diagnostico e discriminare i diversi sottotipi di FHL.

I test più comunemente utilizzati comprendono:

• Il test citofluorimetrico di espressione della perforina da parte dei linfociti citotossici;

• Il test di degranulazione sulle cellule NK analizzando l'espressione di CD107a sulla membrana dei linfociti citotossici in seguito alla co-coltura con un target suscettibile56;

• Il test di citotossicità delle cellule NK basato sul rilascio di cromo radioattivo (test di 2° livello limitato a laboratori specialistici).

In aggiunta a questi, sono disponinili anche dei saggi citofluorimetrici che valutano il deficit delle proteine SAP e XIAP, coinvolte rispettivamente nelle sindromi linfoproliferative X-linked di tipo 1 e di tipo 257.

Una ridotta o assente attività citotossica delle cellule NK rappresenta uno degli otto criteri diagnostici del protocollo HLH-2004 e il test che la valuta è considerato un valido strumento di screening nei pazienti con mutazioni bialleliche a carico dei geni PRF1, UNC13D, STXBP2, STX11, RAB27A, LYST e AP3B1, ma non in quelli con mutazioni di SH2D1A e XIAP/BIRC4.

Il test fornisce una misura completa di tutto il processo di killing, dal riconoscimento della cellula target fino all'induzione dell'apoptosi.

Benchè non rientrino nei criteri diagnostici attualmente validi, i test di espressione della perforina e di CD107a hanno dimostrato un'elevata accuratezza nel discriminare i pazienti con HLH primitiva dovuta a difetti di citotossicità56,58-59.

Il primo test misura la perforina intracitoplasmatica, che è ridotta in quasi tutti i pazienti con mutazioni bialleliche di PRF1: mediante l'analisi dell'intensità di fluorescenza con mAb anti-perforina, si valuta la percentuale di linfociti periferici che esprimono la perforina, che correla sempre con la popolazione linfocitaria citotossica totale di un soggetto (figura 10 e 11).

Quest'analisi sui linfociti isolati dal sangue periferico consente di fare una diagnosi immediata del deficit della perforina e indirizza verso un'analisi genetica mirata di PRF1.

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24 CELLULE PERFORINA +

ASSENZA CELLULE

PERFORINA +

Nella figura viene mostrata l’analisi effettuata sull’intera popolazione linfocitaria del PBMC di un donatore sano di un sospetto paziente FHL.

Il donatore sano possiede 5% di linfociti NK come evidenziato dalla doppia fluorescenza CD3/CD56 (pannello A, quadrante in alto a sinistra) e tutti i linfociti NK esprimono la perforina. Il profilo della perforina (pannello C) mostra chiaramente le diverse intensità di fluorescenza con il mAb anti-perforina e rivela la percentuale di PBL perforina+.

L’analisi immunofenotipica del paziente FHL2 (pannelli D-F) ha rivelato invece un deficit completo di perforina. Il paziente, sebbene abbia una buona percentuale di NK (11%) non esprime la proteina responsabile della lisi e l’analisi sul PBL totale rivela un deficit che coinvolge anche le cellule T CD3+ (pannello E, F).

L'immagine mostra le fluorescenze intra-citoplasmatiche con mAb anti-perforina ottenute con le bulk NK derivate da tre donatori: sano, paziente FHL2 e paziente FHL3. Come si può osservare dai profili, solo il paziente FHL2 presenta un forte deficit di perforina, mentre negli altri due la proteina è ben espressa.

A B C

D E F

Figura 10. Espressione della perforina nel PBL: Immunofluorescenza intracitoplasmatica

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25 Il test di rilascio dei granuli misura l'espressione superficiale di CD107a sui linfociti NK dopo co-coltura con le cellule tumorali bersaglio K562, opportunamente marcate con 51Cr radioattivo, la cui misura indica la percentuale di cellule K562 uccise (figura 12). CD107a (LAMP-1) è una proteina associata alla membrana dei granuli litici: in seguito a co-cultura con un target suscettibile, i granuli si fondono con la superficie della membrana cellulare per rilasciare il loro contenuto, portando CD107a all'espressione sulla superficie cellulare, il quale viene poi internalizzato.

Il saggio valuta quindi il pathwaty di citotossicità granulo-mediato dei linfociti NK mediante l'analisi citofluorimetrica dell'espressione di questo marcatore lisosomiale, che indica l'avvenuta degranulazione della cellula effettrice. Le limitazioni più importanti a questo test comprendono l'utilizzo di radioattività, non sempre disponibile, la scarsa percentuale di linfociti NK periferici in alcuni pazienti e l'impossibilità di discriminare le forme primitive da quelle secondarie56,60.

Nell'immagine sono riportati i risultati ottenuti con i linfociti NK derivati da donatore sano FHL2 e FHL3 in seguito alla co-coltura con il target FO-1 (melanoma NK-suscettibile). In un soggetto sano, in seguito alla degranulazione e quindi al rilascio di perforina e di granzimi, il target tumorale viene ucciso, ma ciò non avviene nei soggetti con FHL.

Il paziente FHL2, a causa dell’assenza di perforina nei granuli, non uccide il target, nonostante i linfociti NK degranulano molto bene: 87% delle NK sono CD107a+. Addirittura si può notare che in questo paziente la degranulazione è superiore a quella osservata con il soggetto sano: questo fenomeno è causato dalla permanenza in coltura del target che stimolando più a lungo la cellula effettrice ne induce anche una continua degranulazione.

Riguardo al paziente con FHL3, il 14% delle NK sono CD107a+, rivelando quindi un grosso deficit di degranulazione. Nelle sue cellule, i lisosomi, che contengono livelli normali di perforina migrano verso la membrana plasmatica ma non si fondono con essa nel processo di esocitosi, per cui viene impedita la liberazione del loro contenuto nel mezzo di coltura: indice di questo deficit è la mancata espressione di CD107a sulla membrana dei linfociti NK. Questo test ha permesso quindi di evidenziare un chiaro difetto di degranulazione in questo paziente, preannunciando un difetto di Munc13-4, che può essere confermato dalla successiva analisi genetica.

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26 Entrambi i test di espressione della perforina e di degranulazione delle cellule NK hanno dimostrato un'elevata performance nei pazienti portatori di mutazioni bialleliche patogenetiche, a differenza del test di citotossicità, che presenta un'accuratezza inferiore, nonostante rientri nei criteri diagnostici attualmente vigenti.

Il test di citotossicità mostra scarse specificità e sensibilità, nonchè un basso valore predittivo positivo; al contrario, possiede un elevato valore predittivo negativo (>94%), risultando utile nell'escludere forme primitive di HLH.

Le eccellenti riproducibilità e rapidità di esecuzione di questi saggi consentono di porre una diagnosi precoce della possibile natura ereditaria di HLH e un tempestivo intervento terapeutico, soprattutto quando i test genetici non risultano del tutto informativi56,61 (figura 13 e 14).

I rapidi test immunologici (che richiedono 1-3 giorni) possono supportare la diagnosi di HLH e fornire informazioni sull'eziologia, mentre il sequenziamento genico (che richiede 3-8 settimane) può definire la causa genetica sottostante. La misurazione della funzionalità citotossica delle cellule NK e il dosaggio di sCD25 possono supportare la diagnosi di HLH, ma non sono incluse nel diagramma perchè eventuali anomalie in questi test non suggeriscono specifiche alterazioni genetiche. E' da notare che, se un test anomalo suggerisce un'alterazione genetica sottostante, un test immunologico normale non preclude il test genetico.

Jordan MB, Allen CE, Wietzman S, et al. How I treat hemophagocytic lymphohistiocytosis.

Blood. Oct 2011;118(15):4041-52

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27 Bryceson YT, Pende D, Maul-Pavicic A, et al. A prospective evaluation of degranulation assays in the rapid diagnosis of familial hemophagocytic syndromes. Blood. Mar 2012;119(12):2754-63.

Criteri diagnostici

Le prime linee guida per l'HLH sono state elaborate dalla Histiocyte Society nel 1991, nell'intento di formulare criteri diagnostici stringenti di natura clinica, laboratoristica e istopatologica62, cui fa riferimento il primo protocollo internazionale di trattamento, ovvero il Protocollo HLH-94.

Tuttavia, in molti pazienti la malattia può avere un decorso atipico e insidioso, per cui non tutti i criteri sono sempre soddisfatti e alcuni di questi possono anche svilupparsi tardivamente. Ne consegue che la terapia può anche essere iniziata sulla base di un forte sospetto clinico di HLH, prima che l'attività di malattia renda il danno tissutale irreversibile.

Sulla base delle nuove acquisizioni di dati clinici e della standardizzazione di test funzionali, questi criteri sono stati revisionati e inseriti nel protocollo HLH-2004, attualmente vigente5 (Tabella 2).

Flow citometry-based assays

Figura 14. Algoritmo diagnostico proposto sulla base dei riscontri laboratoristici dei saggi citofluorimetrici descritti

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28 Tabella 2. Criteri diagnostici HLH-2004

Diagnosi molecolare: mutazione nota per indurre HLH Oppure almeno 5 dei seguenti 8 criteri:

Criteri clinici * Febbre

* Splenomegalia

Criteri di laboratorio

* Citopenie (coinvolte ≥ 2 delle 3 linee del sangue periferico): Emoglobina (90 g/L)

Piastrine (<100 x 109/L) Neutrofili (<1,0 x 109/L)

* Ipertrigliceridemia e/o ipofibrinogemia:

Trigliceridi a digiuno ≥3,0 mmol/L (≥265 mg/dL) o ≥3SD del normale livello per età

Fibrinogeno ≤1,5 g/L o 3SD * Ferritina >500 μg /L

* CD25 (recettore IL-2) solubile >2400 U/mL

Criteri isto-citologici

* Emofagocitosi midollare, splenica o linfonodale * Attività Natural Killer (NK) ridotta o assente

Nessuna evidenza di malignità

Criteri di supporto: sintomi di interessamento del sistema nervoso centrale,

linfoadenomegalie, ittero, edemi, rash cutaneo, aumento degli enzimi epatici, ipoprotidemia, iponatremia, aumento VLDL, riduzione HDL.

Commenti:

1. Se non viene dimostrata l'attività emofagocitica al momento della presentazione, è incoraggiata un'ulteriore ricerca della stessa. Se il quadro midollare non è conclusivo, si possono ottenere dei campioni da altri organi. Possono essere utili degli aspirati midollari seriati nel tempo.

2. I seguenti riscontri possono fornire una forte evidenza per la diagnosi: a) pleocitosi liquorale (cellule mononucleate) e/o elevati livelli di proteine nel liquor, b) quadro istologico epatico che mostra un'epatite cronica persistente (biopsia).

3. Altre anomalie cliniche e laboratoristiche che aiutano la diagnosi sono: sintomi cerebromeningei, ingrossamento linfonodale, ittero, edema, rash cutaneo, alterazioni degli enzimi epatici, ipoproteinemia, iponatriemia, aumento VLDL, riduzione HDL. Il protocollo HLH-2004 ha aggiunto tre nuovi criteri a quelli precedentemente stabiliti: 1. Attività delle cellule NK ridotta o assente;

2. Ferritina >500 μg /L;

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29 Per porre diagnosi di HLH, 5 degli 8 criteri totali devono essere soddisfatti, a eccezione dei pazienti cui è stata confermata una mutazione a carico di un gene causativo di HLH5.

Terapia

In assenza di trattamento la FHL ha un decorso rapidamente fatale, con un'aspettativa di vita generalmente inferiore a due mesi9,15. Il primo protocollo internazionale per il trattamento della linfoistiocitosi emofagocitica, elaborato dall Histiocyte Society nel 1994, ha riportato una sopravvivenza del 55%, con il 94% dei decessi verificatosi nelle prime 8 settimane di trattamento in pazienti con malattia non controllata63.

E' stato inoltre evidenziato che il trapianto allogenico di cellule staminali aumenta la probabilità di sopravvivenza a 5 anni fino al 62%63,64. Successivamente, con l’introduzione dei regimi ad intensità ridotta e l’acquisizione di una maggiore esperienza, la sopravvivenza post-trapianto è ulteriormente incrementata fino ad un attuale 92%65.

E' importante sottolineare che spesso risulta difficile distinguere le forme primitive da quelle secondarie, a meno che non ci sia una storia familiare positiva. Molti bambini, tuttavia, si presentano come casi sporadici in assenza di un'anamnesi familiare suggestiva di FHL e spesso un'infezione, soprattutto virale, non può giustificare in modo esclusivo la diagnosi di SHLH, dato che spesso può essere concomitante o scatenante una forma di FHL62,66-67.

Indipendentemente dalla causa di sindrome emofagocitica, l’inizio tempestivo di una terapia efficace è di importanza fondamentale per la sopravvivenza del paziente che si presenta con una malattia severa o persistente63. Inoltre, dove possibile, alla diagnosi è molto importante identificare gli eventuali fattori scatenanti che possano essere eliminati, così da ridurre il carico antigenico che stimola il protrarsi dello stato infiammatorio.

Le attuali linee guida per il trattamento della HLH si basano su due principali studi clinici, HLH-9468 e HLH-20045, che prevedono regimi di terapia incentrati su una combinazione di farmaci antiproliferativi, antiinfiammatori linfocitolitici e immunosoppressori, quali l’etoposide, gli steroidi, il siero antilinfocitario (ATG) e la ciclosporina A (CSA).

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30 Il coinvolgimento cerebrale rimane un importante fattore prognostico negativo e può causare danni irreversibili: i pazienti con sintomatologia a carico del SNC possono beneficiare della terapia sistemica, che comprende il desametasone come trattamento di scelta, grazie alla sua capacità di penetrare attraverso la barriera emato-encefalica in misura maggiore rispetto al prednisolone. Dopo 2 settimane di trattamento, i bambini che manifestano persistenti sintomi neurologici o alterazioni liquorali vengono trattati con il metotrexate intratecale5.

Lo standard di trattamento si basa quindi su una combinazione di farmaci chemioterapici e immunosoppressori, che targettano i linfociti T e gli istiociti iperattivati, cui segue il trapianto di cellule staminali emopoietiche, che è considerata la terapia definitiva nei pazienti con HLH genetica, refrattaria o recidivata5,63.

Lo schema di terapia prevede una prima fase intensiva di induzione della durata di 8 settimane con agenti citotossici e immunosoppressori, finalizzata a raggiungere la remissione clinica. Al termine della fase di induzione, i pazienti con forme secondarie interrompono il trattamento per riprenderlo solo in caso di recidiva, mentre i pazienti con forme familiari proseguono con una terapia di mantenimento, che funge da ponte verso il trapianto allogenico5,63-64 (figura 15).

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31 Se c'è un'infezione sottostante questa dovrebbe essere trattata, ma bisogna considerare che potrebbe non essere sufficiente e il paziente potrebbe necessitare di un trattamento per HLH. Se la malattia è persistente o recidivante bisogna considerare che il paziente possa avere una patologia sottostante non diagnosticata.

La terapia deve essere iniziata se il paziente ha una patologia confermata geneticamente, una forma familiare di HLH, o se la malattia è severa, persistente o recidivante.

Henter JI, Horne AC, Aricò M, et al. HLH-2004: Diagnostic and Therapeutic Guidelines for Hemophagocytic Lymphohistiocytosis. Pediatric Blood Cancer. February 2007;48 (2):124-31.

Insieme all’evidenza di una buona efficacia globale, l’analisi dei risultati del protocollo HLH-94 aveva mostrato una significativa proporzione di pazienti deceduti durante la fase di induzione per mancata risposta. Per tale ragione il protocollo HLH-2004 era stato disegnato con l’intento di rafforzare la terapia, anticipando l’inizio della ciclosporina nella fase di induzione (figura 16).

Tale modifica terapeutica, tuttavia, essendo associata ad un incremento della neurotossicità, non è stata recepita all’interno delle linee guida attualmente in essere, per cui il protocollo HLH-94 rimane lo standard di riferimento5.

Terapia di mantenimento fino a HSCT Chemioterapia: fase di induzione (8 settimane) FHLH Malattia in remissione, non geneticamente determinata Malattia persistente, non geneticamente determinata Terapia di mantenimento fino a HSCT Stop terapia Recidiva Terapia di mantenimento fino a HSCT

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32 Lo schema le due fasi di induzione e di mantenimento secondo i ptotocolli HLH-94 e HLH-2004: l'unica modifica apportata dalle ultime linee guida consiste nell'anticipazione della ciclosporina durante la fase di induzione. Considerato l'elevato carico di tossicità della ciclosporina e l'elevato rapporto rischio-beneficio, questo farmaco non viene attualmente utilizzato durante l'induzione e lo schema HLH-94 è rimasto lo standard of care.

Schema di terapia

- Terapia di induzione (settimane 1-8): questa fase iniziale di trattamento consiste nella

somministrazione di etoposide (150 mg/m2) due volte a settimana durante le prime 2 settimane e poi settimanalmente, in combinazione con desametasone (inizialmente 10 mg/m2 per 2 settimane, seguito da 5 mg/m2 per 2 settimane, 2,5 mg/m2 per 2 settimane, 1,25 mg/m2 per 1 settimana e poi 1 settimana di riduzione graduale del dosaggio). I pazienti che non hanno una malattia familiare che va in remissione dopo 8 settimane possono interrompere il trattamento e reiniziare solo se ci sono segni di riattivazione. Nei pazienti con malattia familiare, persistente o recidivante è raccomandato continuare con la terapia di mantenimento per mantenere il paziente in remissione fino al trapianto allogenico di cellule staminali63,64.

Etoposide fosfato (VP-16): si tratta di un derivato della podofillotossina e ha come

bersaglio l'enzima DNA topoisomerasi II, portando a una rottura della doppia elica del DNA e all'accumulo di complessi di clivaggio permanenti; la topoisomerasi, da enzima

HLH-2004

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33 essenziale per la replicazione, viene convertita in una potente tossina che frammenta il DNA69, meccanismo che viene sfruttato in molte neoplasie, sia solide che ematologiche. Esistono due isoforme di questo enzima, TopoIIα e β: il primo è un marcatore di proliferazione ed è maggiormente espresso nelle cellule tumorali, mentre il secondo è espresso sia dalle cellule proliferanti che in quelle quiescenti. L'etoposide non ha una specificità selettiva per l'una o per l'altra isoforma e ciò determina diverse implicazioni cliniche: ad esempio, l'effetto sulla TopoIIβ nelle cellule differenziate, come quelle cardiache, è responsabile della maggior parte degli effetti tossici70.

Il fallito tentativo di riparazione del DNA dopo l'insulto genotossico del farmaco determina l'attivazione dell'apoptosi attraverso il pathway citocromo c/caspasi71, con una spiccata selettività per i linfociti T iperattivati, risparmiando la cellule T quiescenti e le cellule dell'immunità innata72.

Gli effetti indesiderati dell'etoposide comprendono la mielosoppressione, in particolare la leucopenia, la trombocitopenia, la stomatite, la diarrea, l'alopecia, la neurotossicità e l'ipotensione durante la somministrazione73.

Inoltre, il 2-12% di pazienti trattati con inibitori della topoisomerasi II sviluppano la leucemia mieloide acuta dopo un periodo di latenza variabile (tra 6 e 36 mesi) a causa di una traslocazione bilanciata che coinvolge il locus 11q23. Ci sono diversi fattori che concorrono ad aumentare il rischio leucemico, tra cui il dosaggio cumulativo del farmaco e l'associazione con altri chemioterapici70,74.

- Terapia intratecale: nella maggior parte dei casi la terapia sistemica riduce l'attività di malattia a livello del SNC, nonostante molti pazienti trovino beneficio anche da un trattamento intratecale a base di metotrexate e prednisolone.

Entrambi i protocolli HLH-94 e HLH-2004 prevedono una somministrazione settimanale per un totale di 4 dosi massime (dalla terza alla sesta settimana) per i pazienti che hanno segni clinici di progressione di malattia a livello centrale dopo le prime due settimane di terapia di induzione, o per quelli che mostrano una pleocitosi liquorale immodificata o in peggioramento5,68-75.

- Terapia di mantenimento (settimane 9- ): questa fase di terapia è riservata ai pazienti

che presentano una forma familiare, persistente, o recidivante al fine di mantenere il paziente in remissione fino al trapianto di midollo, che deve essere eseguito il prima possibile per ridurre il rischio di infezioni, di ricadute e di patologie ematologiche iatrogene da utilizzo prolungato di VP-16.

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34 Durante il mantenimento l'etoposide viene proseguito ogni due settimane, alternato a boli di desametasone (etoposide 150 mg/m2 ogni 2 settimane alternato con desametasone 10 mg/m2 al giorno per 3 giorni, ogni 2 settimane), in associazione a ciclosporina a dosaggi personalizzati con l’obiettivo di ottenere una concentrazione sierica pari a 200 ng/ml42,63-64.

Ciclosporina A: si tratta di un farmaco immunosppressore largamente utilizzato nella

medicina trapiantologica degli organi solidi, in associazione al tacrolimus76.

La ciclosporina A è un farmaco non mielotossico che inibisce in maniera reversibile l'attivazione dei linfociti T, mostrando un effetto parziale nelle FHL e nelle sindromi emofagocitiche acquisite77.

La ciclosporina esercita la sua azione immunosoppressiva attraverso diversi pathways, tra cui l'inibizione della calcineurina, della c-Jun N-terminal kinase (JNK), del pathway p38 e aumenta l'espressione di TGFβ1: attraverso questi meccanismi vengono ridotte la produzione di citochine pro-infiammatorie e la proliferazione dei linfociti T attivati78. Tra gli effetti avversi si annoverano: neurotossicità, nefrotossicità, disturbi gastrointestinali ed elettrolitici, iperglicemia, ipertensione, iperlipidemia, infezioni e iperplasia gengivale. Gli effetti nefrotossici sono tra i più importanti e comprendono una tossicità acuta, da danno microvascolare, e una cronica-fibrotica da iperproduzione di TGFβ76,78.

Trapianto di cellule staminali emopoietiche

Il trapianto di CSE è l'unica terapia risolutiva per i pazienti con FHL, con malattia refrattaria o recidivata dopo 8 settimane di terapia (ricomparsa di tre o più criteri di malattia dopo una iniziale risposta) e nei pazienti con coinvolgimento del SNC5.

Una volta identificato il paziente candidabile, il trapianto deve essere effettuato il prima possibile, preferenzialmente quando la malattia non è in fase attiva, dato che questo conferisce una maggiore mortalità e aumenta il rischio mancato attecchimento (graft

failure); a tale scopo può essere utile il dosaggio seriato di sCD25 come marker di

attività di malattia.

E' fondamentale quindi la ricerca tempestiva di un donatore HLA-compatibile al momento della diagnosi, prima che l’eziologia precisa venga stabilita. Nel caso della FHLH, è indispensabile effettuare uno screening familiare per la ricerca di eventuali

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35 mutazioni patogenetiche e il potenziale donatore deve essere prima sottoposto a studi genetici o alla valutazione della funzionalità NK79.

- Regime di condizionamento: il regime convenzionale di condizionamento comprende

il busulfano, la ciclofosfamide e l'etoposide, con o senza l'ATG; con questo trattamento mieloablativo è stata registrata nel 2005 una probabilità di sopravvivenza a 5 anni del 50-70%, con una elevata mortalità nei primi 100 giorni post-trapianto, causata principalmente da polmonite, malattia veno-occlusiva e mancato attecchimento.

Negli anni successivi sono stati messi a punto dei regimi di condizionamento a intensità ridotta (RIC), con l'obiettivo di prevenire il rigetto, ridurre la tossicità iatrogena, stabilizzare l'emopoiesi e garantire il trapianto anche ai bambini con preesistenti comorbilità che precludono il regime convenzionale79,80.

I protocolli di condizionamento a intensità ridotta sono stati sviluppati sostituendo agenti mieloablativi con altri più immunosoppressivi e meno mielosoppressivi: questi regimi generalmente combinano la fludarabina, il melphalan e l'alemtuzumab e hanno aumentato la sopravvivenza a 3 anni dal 43% al 92%79.

Il principale problema dei regimi a intensità ridotta è l’ottenimento di un chimerismo misto, che può causare una perdita dell’attecchimento, richiedendo quindi una rapida riduzione dell’immunosoppressione o l’infusione successiva di linfociti del donatore79,80-81.

- Outcome e prognosi: nei pazienti trattati secondo il protocollo HLH-94 è stata rilevata

una sopravvivenza a 3 anni dal trapianto del 64% circa. I risultati migliori sono stati ottenuti nei bambini che hanno risposto in maniera completa e tempestiva alla chemioterapia pre-trapianto, in quelli che hanno beneficiato di un donatore HLA-identico, familiare o da registro, e nei pazienti in cui la malattia a livello del SNC era assente o quiescente durante il trapianto.

Da ciò si deduce che lo stato di malattia dopo l'inizio del trattamento, la fonte delle cellule staminali per il trapianto e il tipo di donatore costituiscono importanti fattori di prognosi79.

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36

Terapia di supporto

Nei pazienti con HLH, oltre al trattamento specifico, è di particolare importanza un’adeguata terapia di supporto, soprattutto una profilassi per le infezioni e il sanguinamento.

E' indispensabile garantire un trattamento antimicotico durante l'inizio della terapia con desametasone e una profilassi con cotrimossazolo contro Pneumocystis jiroveci63. Dato l’elevato rischio di coagulopatia da consumo e di difetti di funzionalità piastrinica, è indicato mantenere una conta piastrinica superiore a 50 x 109/l: in caso di sanguinamento acuto è indicato l'utilizzo di piastrine, plasma fresco congelato, crioprecipitato e occasionalmente di fattore VII42.

L’infusione endovenosa di immunoglobuline può avere una duplice valenza: a dosaggio sostitutivo per compensare la ridotta immunità umorale legata alla patologia o alla terapia immunosoppressiva, e a dosaggio terapeutico come parte della terapia antinfiammatoria, in associazione al cortisone, con l’intento di bloccare il recettore Fc, di inibire l’attivazione del complemento e di neutralizzare le citochine.

I due aspetti possono essere combinati, associando l’infusione di immunoglobuline a dosaggio terapeutico alla terapia stereoidea nella fase di induzione, e proseguendo con l’infusione a dosaggio sostitutivo nei casi in cui sia dimostrato un deficit di immunoglobuline sieriche82.

In ultimo, è importante provvedere al trattamento tempestivo dell’ipertensione arteriosa nei pazienti in terapia con ciclosporina, per la dimostrata associazione di tali fattori con lo sviluppo di PRES (sindrome da encefalopatia posteriore reversibile)83.

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Definizione degli stati di malattia

- Risposta clinica. I criteri da utilizzare durante la fase di induzione (a 2 e a 4

settimane) sull'opportunità o meno di continuare la terapia sono: • Assenza di febbre

• Riduzione delle dimensioni spleniche • Piastrine ≥100x109/L

• Normalizzazione del fibrinogeno • Riduzione della ferritina

- Remissione. I criteri da utilizzare circa la necessità di continuare la terapia dopo 8 settimane sono:

• Assenza di febbre

• Assenza di splenomegalia (in alcuni pazienti può persistere una moderata splenomegalia)

• Assenza di citopenia (Hb ≥90 g/L, piastrine ≥100x109/L, ANC ≥0,5x109/L) • Assenza di ipertrigliceridemia (<3mmol/L, i.e. <265 mg/dL)

• Assenza di iperferritinemia ≥500 μg/L

• CSF normale (per i pazienti con CSF precedentemente positivo) • Riduzione di sCD2 (nei casi in cui il test sia disponibile)

- Malattia attiva. Vi rientrano i pazienti che non soddisfano i criteri di remissione,

descritti sopra.

- Ripresa di malattia. Sono inclusi i pazienti che dopo aver raggiunto la remissione

sviluppano 3 o più dei seguenti segni: • Febbre

• Splenomegalia • Piastrine <100x109/L

• Ipertrigliceridemia (fasting level ≥3.0 mmol/L, i.e. ≥265 mg/dL) • Ipofibrinogemia ≤1.5 g/L

• Emofagocitosi

• Aumento della ferritina • CD25 solubile ≥2400 U/ml.

Lo sviluppo di nuovi sintomi al SNC è sufficiente come singolo criterio di riattivazione63.

Figura

Figura 3. Classificazione revisionata delle istiocitosi e delle neoplasie delle cellule  appartenenti alle linee dendridico-macrofagica
Figura 4. Incidenza di FHL per età in coppie di fratelli portatori della stessa  mutazione
Figura 5. Tappe storiche relative alle acquisizioni di conosceenze sulle HLH  primitive
Figura 7. Patogenesi HLH
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