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Il sistema di controllo come strumento di supporto al processo decisionale: il caso Pfizer Italia SRL.

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(1)

UNIVERSITA’

DI

PISA

DIPARTIMENTO

DI

ECONOMIA

E

MANAGEMENT

C

ORSO

D

I

L

AUREA

M

AGISTRALE

I

N

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TRATEGIA

,

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ANAGEMENT E

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I

L SISTEMA DI CONTROLLO COME STRUMENTO DI SUPPORTO AL

PROCESSO DECISIONALE

:

IL CASO

P

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:

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:

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L

UCIA

T

ALARICO

A

NDREA

Z

IPOLI

(2)

2

“Il futuro appartiene a coloro che hanno il coraggio di

credere alla bellezza dei propri sogni”

(3)

3

INDICE

PREFAZIONE

5

1. IL SISTEMA DI CONTROLLO DI GESTIONE

7

1.1 ILCONTROLLODIGESTIONE:CARATTERISTICHE

PRINCIPALI 7

1.2 PROCEDURE DI CONTROLLO: FEEDBACK E FEEDFORWARD

13

1.3 ICOSTINELLACONTABILITA’ANALITICA 16

1.4 ILSISTEMADIREPORTING 21

1.5 L’ANALISIDEGLISCOSTAMENTICOMESTRUMENTODI

SUPPORTOALCONTROLLODIGESTIONE 25

1.6 GLIATTORIDELCONTROLLODIGESTIONE 34

2. IL

SETTORE

FARMACEUTICO

38

2.1 DETERMINANTIEPECULIARITA’ 38

2.2 L’EVOLUZIONEDELL’INDUSTRIAFARMACEUTICA 46

2.3 ILSETTOREFARMACEUTICOINITALIA 50

2.4 LESTRATEGIEDIBUSINESSDELLEIMPRESE

FARMACEUTICHE ED ILRUOLODELLEOPERAZIONIDIM&A

60

(4)

4

3. IL

GRUPPO

PFIZER

83

3.1 STORIA,MISSIONESTRUTTURA 83

3.2 PFIZERITALIASRL 94

3.3.1 REPORTSPERL’ANALISIDEGLISCOSTAMENTI 96

3.3.2 REPORTSASUPPORTODELL’AREAMARKETING 103

3.3.3 REPORTSASUPPORTODELLABUSINESSUNITWRD 110

4. CONCLUSIONI

118

(5)

5

PREFAZIONE

Il seguente elaborato riporta l’esperienza di stage a cui ho preso parte da luglio 2016 a gennaio 2017 presso la società “Pfizer Italia SRL.”, all’interno del reparto Business Finance della Business Unit Consumer Healthcare di Milano.

Il lavoro si articola in quattro capitoli: il primo a carattere principalmente dottrinale descrive cosa si intende per controllo di gestione e quali sono i principali strumenti utilizzati dalle aziende per la gestione dei processi di pianificazione e controllo in modo tale da garantire che le risorse destinate alle diverse attività siano impiegate in modo efficace ed efficiente.

Successivamente viene sviluppata un’analisi ed una valutazione del settore farmaceutico descrivendone le peculiarità, il contributo importante che questo settore fornisce nella formazione del PIL del nostro Paese e le principali strategie di business che vengono formulate da parte delle industrie farmaceutiche, focalizzandoci in particolar modo sulle operazioni di Mergers and Acquisitions (M&A).

Nel terzo capitolo si introduce il gruppo Pfizer descrivendone la storia, i valori ed il ruolo che svolge Pfizer, in Italia e nel Mondo, attraverso le numerose Business Units di cui essa si compone per poi successivamente

(6)

6

andare ad analizzare alcuni reports sui quali ho avuto la possibilità di lavorare all’interno del Team Business Finance.

Il quarto ed ultimo capitolo mostra invece quali sono le principali conclusioni tratte da questa esperienza.

(7)

7

1. IL

SISTEMA

DI

CONTROLLO

DI

GESTIONE

1.1 IL

CONTROLLO

DI

GESTIONE:

CARATTERISTICHE

PRINCIPALI

Il Controllo di gestione è un sistema di strumenti, processi, ruoli e soluzioni informali che mira a condurre i comportamenti individuali ed organizzativi verso il raggiungimento degli obiettivi aziendali principalmente grazie all’utilizzo di un sistema di misurazioni analitiche ed

alla responsabilizzazione su parametri-obiettivo.1 Il Controllo di gestione,

insieme alla pianificazione strategica, si può definire quindi come uno strumento fondamentale a supporto dell’attività decisionale di fronte a condizioni di rischio, incertezza e complessità sia interne che esterne all’azienda e che, oggi, ritroviamo sempre con maggior frequenza all’interno degli scenari competitivi e dinamici del nostro paese.

Questo anche in virtù del fatto che lo scenario competitivo in cui oggi operano le imprese è profondamente cambiato rispetto al passato: siamo passati infatti da una competizione basata quasi esclusivamente su aspetti legati alla qualità del prodotto ed al marketing dove la variabile prezzo assumeva un ruolo quasi accessorio ad uno scenario caratterizzato da

1 MARASCA, MARCHI, RICCABONI,Controllo di gestione Metodologie e strumenti, Knowità editore,

(8)

8

un’elevata turbolenza ed aleatorietà, dall’affermarsi di una visione sempre più orientata alla customizzazione dei clienti e dal continuo sviluppo dell’innovazione e della tecnologia nonché quindi dall’aumento del numero di variabili competitive su cui si fonda il successo aziendale.

È facile quindi intuire come ad oggi il Controllo di gestione sia diventato uno strumento essenziale non solo per le aziende strutturate; il ricorso ad esso infatti, complice anche la crisi economica del 2007, ha avuto una crescita esponenziale anche nelle PMI. All’interno di esse si registra infatti una crescente complessità strategica ed organizzativa che ha portato alla necessità di ridefinire le modalità di governo delle stesse sia dal punto di vista strategico che operativo. In particolare, si avverte l’esigenza di adottare o implementare l’utilizzo di strumenti a supporto della gestione ed è proprio qui che viene evidenziato il ruolo del sistema di Controllo di gestione: ridurre la complessità aziendale e l’incertezza che spesso caratterizzano le scelte imprenditoriali attraverso l’adozione di adeguati strumenti di controllo che consentano di governare al meglio le dinamiche interne ed esterne e mantenere nel tempo i risultati economici e finanziari definiti dal top management.

Il Controllo di gestione, entrando più nel dettaglio, è strettamente connesso e parte integrante del più ampio sistema di pianificazione e controllo che è solitamente articolato in tre componenti:

1) Pianificazione strategica; 2) Pianificazione operativa;

(9)

9

3) Controllo manageriale2

1) La pianificazione strategica rappresenta il processo di definizione ed implementazione della strategia, ovvero “il processo attraverso il quale si decidono oggi le azioni da intraprendere per raggiungere gli

obiettivi di domani.”3

È in questa prima fase che si definiscono gli obiettivi di medio-lungo periodo della gestione aziendale (solitamente in un arco temporale da 3 a 5 anni) e si individuano le linee strategiche per raggiungerli. Questa prima fase viene supportata da una serie di documenti che formano nel loro insieme il “sistema di reporting” dell’azienda costituito da:

• Piani strategici – definiscono la vision e la mission dell’azienda, ovvero rispettivamente l’espressione del modo di essere di un’azienda e la direzione di marcia che questa intende conseguire;

• Business plan – rappresenta un documento che permette di definire e riepilogare il progetto imprenditoriale, le linee strategiche, gli obiettivi e la pianificazione economica,

finanziaria e patrimoniale dell’impresa4.

2 Per ulteriori approfondimenti si veda (ANTHONY,1965) 3 Per ulteriori approfondimenti si veda (DUCKER,1973) 4WWW.ILSOLE24ORE.COM

(10)

10

Grazie a questo prospetto quindi possiamo sintetizzare i contenuti e le caratteristiche di un progetto imprenditoriale (business idea) all’interno di un documento che verrà poi utilizzato sia per la pianificazione e gestione aziendale che per la comunicazione esterna, in particolare verso potenziali finanziatori o investitori.

Il business plan può essere concepito come il piano realizzato ad hoc in fase di analisi di una nuova iniziativa e preposto alla valutazione dell’attrattività e finanziabilità del progetto ma anche come un documento di cui l’azienda può aver necessità in alcuni momenti specifici che determinano significative modifiche a livello strutturale quali operazioni di fusione e/o acquisizioni (M&A, Merger & Acquisition) oppure nei casi di ristrutturazioni aziendali.

In sintesi, rappresenta quindi uno studio che da una parte include l’analisi di mercato, del settore e della concorrenza e dell’altra il piano sviluppato dall’azienda su come presentarsi, con quali prodotti/servizi, perseguendo quali strategie, attraverso quale organizzazione; proiettando questa visione d’insieme nel breve periodo attraverso la quantificazione dei dati analitici che consentano di determinare il grado di attrattività economica e fattibilità finanziaria dell’iniziativa. Nel lungo

(11)

11

periodo invece tale finalità verrà coadiuvata con l’esplicitazione di una visione imprenditoriale chiara e coerente.

2) La seconda fase identificata nella pianificazione operativa rappresenta invece la fase in cui i piani strategici pluriennali vengono tradotti in obiettivi e programmi d’azione che presentano un riferimento ad intervalli temporali annuali e infra-annuali. In questa fase del processo i diversi player che rientrano all’interno della vita operativa dell’azienda, tra cui ad esempio il CFO, i vari Controllers ed i Responsabili delle varie Business Units, nello stabilire gli obiettivi operativi in linea con le strategie definite al livello gerarchico superiore possono fare riferimento ad una serie di documenti contabili ed extracontabili quali piani economici, piani finanziari, piani tecnici, analisi di settore, progetti ad hoc.

Il documento principale all’interno di questa fase è sicuramente il Budget, il quale attribuisce la responsabilità del raggiungimento di determinati obiettivi operativi a specifici centri di responsabilità definiti in precedenza.

3) La terza ed ultima fase è rappresentata dal controllo manageriale, una fase distinta dalla pianificazione strategica ed operativa ma non da esse separata. Le tre fasi descritte infatti, data la crescente variabilità delle dinamiche aziendali e del contesto in cui le aziende si trovano oggi ad operare, non devono essere rigidamente separate;

(12)

12

i processi decisionali strategici sono, o dovrebbero essere, sempre meno concentrati al vertice, e sempre più diffusi nell’organizzazione al fine di consentire una risposta più tempestiva dinnanzi ad istanze di cambiamento ed innovazione. Pianificazione strategica e controllo direzionale sono dunque meccanismi integrati piuttosto che processi sequenziali, separati e di diversa competenza.

In sintesi, quindi il controllo manageriale rappresenta una fase complementare alle due diverse fasi di pianificazione analizzate sopra poiché non sarebbe utile attuare alcun tipo di pianificazione, sia essa strategica od operativa, senza che alla fine del periodo di analisi non vi sia un controllo attento, preciso e puntuale delle performance ottenute, sia qualitative che quantitative. Dall’altra parte risulta evidente che non ci sarebbe alcun risultato da controllare se non ci fosse stata una pianificazione efficiente a monte.

Risultano essenziali in questa ultima fase del processo strumenti quali l’Analisi degli scostamenti (tra le quantità o i valori ottenuti alla fine del periodo e le quantità previste all’interno dei vari Budget), i Sistemi di Business Intelligence (BI) ed i Sistemi di Performance Measurements.

(13)

13

1.2 PROCEDURE

DI

CONTROLLO:

FEEDBACK

E

FEEDFORWARD

Come già evidenziato precedentemente, abbiamo visto che l’attività di controllo5 costituisce parte integrante del più ampio processo di

pianificazione e controllo mostrando come essa svolga un ruolo fondamentale.

Vi sono due diverse metodologie operative che possono essere utilizzate dai managers per realizzare il processo di controllo, ovvero il

controllo basato sul feedback ed il controllo basato sul feedforward6. Questi

due procedure di controllo non sono alternative, bensì, complementari tra di loro affinché si possa realizzare un Controllo di gestione efficace ed efficiente.

Vediamo quindi di analizzare come questi due diversi metodi di controllo possono essere messi in atto all’interno di un’impresa:

• il meccanismo di feedback è tipico della logica sistemica aziendale e conduce ad un controllo che si concretizza ex-post; mediante questo meccanismo si vanno a confrontare i risultati previsti, contenuti nei documenti di previsione, quali i diversi Budget aziendali, con i risultati ottenuti a consuntivo presenti all’interno dei vari reports

5 Per ulteriori approfondimenti sul tema dei sistemi di controllo si vedano tra gli altri:

(Baraldi, Devecchi, & Teodori, 2003), (Anthony, Hawkins, & Merchant, 2005) e (Amigoni, 2006)

6 MARASCA, MARCHI, RICCABONI,Controllo di gestione Metodologie e strumenti, Knowità editore,

(14)

14

finali. Eventuali differenze che si manifestano tra la fase di previsione e quella a consuntivo dovranno essere evidenziate, analizzate e soggette ad approfondite verifiche all’interno dell’analisi degli scostamenti.

In questa fase i soggetti aziendali responsabili di tali prestazioni, negative o positive che siano, dovranno intervenire per correggere la situazione di disallineamento cercando di rilevare i motivi di tali scostamenti individuando quali sono i punti di forza e di debolezza del processo preso in esame. Questo è un tipo di controllo che ha il vantaggio di offrire una visione completa della gestione, i risultati realmente conseguiti, in rapporto agli obiettivi, ma ha lo svantaggio di fornire indicazioni solo alla fine del periodo annuale di riferimento del budget oppure alla fine del mese di riferimento preso in esame se viene realizzata la cosiddetta mensilizzazione del budget, con la conseguente difficoltà di attivare tempestivamente idonei interventi correttivi.

Da qui nasce il ricorso al secondo meccanismo di controllo.

• il feedforward, infatti, fa riferimento ad un meccanismo che opera ex-ante orientando il controllo al futuro. Questo è reso possibile

grazie all’introduzione dell’elemento della “simulazione”: l’obiettivo è infatti quello di potenziare e migliorare il sistema informativo per la misurazione dei risultati intermedi e per la proiezione di tali

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15

risultati a fine periodo sulla base di idonei modelli di tipo probabilistico-predittivo.

L’essenza di questo meccanismo di controllo è quindi la previsione della direzione di marcia e la gestione della probabilità di raggiungere l’obiettivo, in rapporto a quella stessa direzione di marcia.

In questo modo risulta così possibile evidenziare gli scostamenti prima della loro effettiva realizzazione, consentendo il ripristino del sistema prima che le inefficienze si realizzino e fornendo la possibilità ai managers di capire quali saranno i risultati raggiungibili dall’azienda o dalla specifica area aziendale o BU, date le situazioni attuali.

Ne consegue quindi un controllo simultaneo alla gestione stessa sulla base di un monitoraggio, un confronto graduale in momenti e tempi diversi, tra andamenti e risultati intermedi, senza dover aspettare il termine del periodo preso in considerazione come invece realizzato nel meccanismo di feed-back evitando per esempio di ritardare la reazione nei confronti delle anomalie riscontrate con tutte le conseguenze che da essa derivano. Questo processo di anticipazione e previsione a monte dei risultati aziendali di fine periodo viene chiamato anche processo di Forecasting.

(16)

16

1.3 I

COSTI

NELLA

CONTABILITA’

ANALITICA

Le tecniche riguardanti il Controllo di gestione vengono utilizzate all’interno delle aziende sia per il controllo dei costi che per il controllo dei ricavi ma all’interno del paragrafo verrà sviluppata prettamente l’analisi relativa alla parte sui costi, essendo stato questo il focus principale della parte applicativa descritta dettagliatamente nel terzo capitolo.

Partiamo quindi dal definire il concetto di costo7 affermando

innanzitutto che non esiste una definizione univoca valida in qualsiasi contesto di analisi e circostanza decisionale. Nella teoria economica

esistono infatti tre fondamentali concetti di costo8:

1) Costo tecnico - rappresenta le utilità, relative a materiali ed a servizi forniti dall’uomo, consumate nel processo produttivo;

2) Costo psicologico - rappresenta una rinuncia da sopportare in vista di una remunerazione e tale rinuncia risulta sottostante al valore monetario;

3) Costo monetario di produzione - rappresenta l’uscita di moneta, detta anche “spesa”, sostenuta per l’acquisto dei fattori produttivi; quest’ultimo concetto è quello che risulta maggiormente utile negli studi economico aziendali e che assume rilievo nella contabilità analitica, un importante sottosistema della contabilità generale che

7 Per approfondimenti sull’argomento si vedano, tra gli altri: (Brusa, 1995), (Selleri, 1999) e

(Cinquini, 2003)

(17)

17

elabora informazioni relative a specifici oggetti della gestione o aree dell’organizzazione; svolge dunque un ruolo essenziale nel supporto per le decisioni del management.

Andando e definire il costo in generale possiamo affermare che con il termine costo si intende la quantità, misurata in moneta, dei mezzi liquidi spesi o di altri beni ceduti, del capitale emesso, dei servizi prestati, dei debiti sorti in contropartita al ricevimento di beni o di servizi (il cosiddetto costo di acquisizione). I costi, al fine di produrre delle informazioni quantitativo-monetarie utili per processo decisionale e di controllo, devono essere classificati in categorie omogenee. Nello specifico i criteri di classificazione dei costi più frequentemente impiegati in contabilità

analitica sono i seguenti9:

1) modalità di assegnazione agli oggetti di costo

2) comportamento al variare di un driver di riferimento 3) riferibilità agli oggetti di costo

4) modalità di programmazione 5) controllabilità

Descriviamo quindi brevemente questi cinque diversi criteri di classificazione:

9 MARASCA, MARCHI, RICCABONI,Controllo di gestione Metodologie e strumenti, Knowità editore,

(18)

18

1) sulla base del primo criterio i costi possono distinguersi tra costi diretti ed indiretti.

I costi diretti sono i costi che vengono imputati all’oggetto di costo con criteri di specialità, ovvero un criterio che prevede di fare una di queste due diverse operazioni: o prezzo per quantità oppure in attribuzione specifica imputando il costo del fattore produttivo in modo diretto in quanto esso è utilizzato in modo esclusivo solo per quell’oggetto di costo.

I costi indiretti invece non sono imputabili tramite osservazione diretta ma devono essere ripartiti tra più oggetti di costo tramite opportune basi di riparto (a quantità o a valore che siano) o la strutturazione di una contabilità per centri di costo.

Tuttavia, si può verificare il caso in cui alcuni costi, che in linea teorica sarebbero potuti essere imputati direttamente ad un certo oggetto di costo, vengano al contrario imputati in maniera indiretta in quanto non c’è una convenienza economica per considerarli come costi diretti.

2) il secondo criterio prevede la definizione del cosiddetto cost driver che sarà l’elemento determinante, al variare del quale i costi saranno distinti tra costi fissi, costi variabili e costi misti. I costi fissi rappresentano i costi che non variano al variare del cost driver scelto come ad esempio, se prendiamo in esame come

(19)

19

cost driver la capacità produttiva di un impianto, saranno considerati costi fissi gli ammortamenti relativi ad esso.

I costi variabili sono invece quei costi che variano al variare del fattore determinante considerato. Normalmente sono ad esempio costi variabili quelli connessi al consumo di materie prime, alla manodopera diretta.

È importante sottolineare che questa distinzione, tra costi fissi e variabili, è valida solo se viene definita un’area di rilevanza in termini di intervallo di volume di attività (ad esempio la capacità produttiva), di tempo o decisioni aziendali.

I costi misti esprimono invece quei costi caratterizzati da un comportamento che in parte riprende i costi fissi ed in parte riprende quelli variabili.

3) in base al terzo criterio invece i costi vengono suddivisi in costi speciali e costi comuni. I costi speciali sono i costi riferibili in maniera oggettiva ed esclusiva ad un certo oggetto di costo (per esempio un prodotto o un reparto produttivo). I costi comuni invece sono i costi sostenuti contemporaneamente per più oggetti di costo (un classico esempio è l’ammortamento di un impianto che viene utilizzato per la produzione di due o più prodotti diversi, rappresentanti l’oggetto di costo).

(20)

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Ne consegue che per la suddivisione dei costi comuni tra i vari oggetti di costo non ci sarà una completa oggettività in quanto dovranno essere usati obbligatoriamente altri criteri aventi natura congetturale, quali l’utilizzo di basi di riparto.

4) il quarto criterio riguarda la distinzione tra costi parametrici, costi discrezionali e costi impegnati.

I costi parametrici sono relativi a fattori produttivi il cui consumo da parte degli oggetti di costo è determinabile a priori in modo oggettivo mediante parametri di tipo tecnico (ES - kg di materia prima per unità di prodotto).

I costi discrezionali sono invece quei costi il cui ammontare, deciso anno per anno, deriva da valutazioni discrezionali del management, non essendo individuabili per le risorse sottostanti dei parametri tecnici di impiego rilevanti. Infine, i costi impegnati si configurano come quei costi di capacità che dipendono da decisioni prese a monte, in fase di programmazione.

5) Il quinto ed ultimo criterio, distinguendo i costi tra controllabili e non controllabili, fa invece riferimento alla possibilità che un manager a capo di un centro di responsabilità possa influenzare,

(21)

21

manovrando le leve decisionali a disposizione, l’andamento e l’entità dei costi controllabili.

1.4 IL

SISTEMA

DI

REPORTING

Dopo aver messo in evidenza le possibili classificazione dei costi

cerchiamo adesso di analizzare i contenuti del sistema di reporting10.

In senso lato il sistema di reporting esprime l’insieme delle informazioni rappresentate su supporti cartacei ed informatici, prodotte con periodicità e contenuto variabile, destinate alla comunicazione sia esterna che interna. Rappresenta quindi l’output finale del sistema informativo aziendale a supporto delle diverse esigenze di conoscenza rappresentate nell’ambito di una data struttura informativa.

Il sistema di reporting si può definire tuttavia anche in senso stretto come l’insieme più ristretto di informazioni prodotte e destinate alla comunicazione interna per il Controllo di gestione, rappresentate in forma documentale e riferite a variabili di controllo chiave, su base comparativa mettendo in evidenza i valori rilevanti.

Tali reports svolgono un ruolo importante all’interno dell’azienda in quanto permettono di mettere in evidenza gli andamenti aziendali al fine

10 Per ulteriori approfondimenti si veda MARASCA, MARCHI, RICCABONI,Controllo di gestione

(22)

22

di osservarne punti di forza, di debolezza analizzando le criticità e fornendo quindi uno strumento guida al management.

L’efficacia del sistema di reporting nei processi di controllo dipende principalmente da quegli elementi che ne caratterizzano la struttura, ovvero:

• l’articolazione del rapporto, cioè la suddivisione di quest’ultimo in documenti elementari tra di loro collegati e la classificazione dei dati all’interno dei singoli documenti;

• la rilevanza e la selettività dei dati in relazione ai diversi destinatari con riguardo sia ai contenuti informativi che alle modalità di presentazione dei dati;

• la tempestività del rapporto nelle sue diverse componenti in quanto risulta essere particolarmente importante anche il periodo di tempo che sussiste tra il verificarsi dei fenomeni rappresentati all’interno del rapporto e la disponibilità del rapporto stesso per gli utilizzatori; • il livello di accuratezza delle informazioni presenti all’interno del

rapporto;

• la flessibilità intesa sia come la capacità del sistema di adeguarsi ai cambiamenti del contesto esterno (flessibilità di input) sia come la capacità di realizzare nuove tipologie di report in funzione alle esigenze conoscitive emerse (flessibilità di output).

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23

Un sistema di reporting si compone di un insieme di rapporti diversificati in base a cinque diversi specifici aspetti:

• in funzione della destinazione delle informazioni distinguendo tra destinazione interna e destinazione esterna; nel primo caso si fa riferimento ai reports redatti per il sistema delle decisioni e dei controlli interni quindi per esempio reports stilati dal controllo di gestione o dalla funzione Internal Audit.

Nel secondo caso invece si fa riferimento a reports orientati per la comunicazione esterna quindi per esempio a certificazioni in ambito ambientale;

• in funzione delle caratteristiche dei dati si distingue tra rapporti quantitativi e rapporti descrittivi/qualitativi;

• in funzione all’origine dei dati ovvero alla fonte informativa interna/esterna su cui si basano i dati oggetto dei reports potendo pertanto distinguere tra reports basati su dati interni e reports basati su dati esterni;

• in funzione del livello di dettaglio definito si distingue tra reports generali, che solitamente sono legati al controllo direzionale strategico, e reports analitici, solitamente invece legati al controllo operativo-direzionale;

• in funzione alle finalità manageriali che si intendono perseguire si distingue tra rapporti di pianificazione (contenenti previsioni,

(24)

24

simulazioni, ipotesi/obiettivo) e rapporti di controllo (normalmente di controllo su budget, dunque di analisi degli scostamenti);

• in funzione dell’articolazione temporale si possono avere report periodici (annuali, trimestrali, mensili, settimanali, giornalieri), su richiesta (ovvero su iniziativa specifica di un destinatario) o flash report (predisposti e comunicati ai destinatari al verificarsi di situazioni rilevanti in termini di rischio ed opportunità predefinite in sede di programmazione del sistema).

Occorre però sottolineare che i confini tra le diverse categorie per tutte le classificazioni elencate sopra sono spesso sottili; pertanto, risulta raro che vi siano reports solamente quantitativi o solo descrittivi, basati su dati soltanto interni o soltanto esterni, ma rapporti che presenteranno diverse tipologie di classificazione.

In sintesi, possiamo concludere che il sistema di reporting, all’interno di un sistema di controllo di gestione, svolge un ruolo cruciale in quanto è proprio grazie ad esso che vengono elaborate e trasmesse le informazioni ai managers in qualsiasi livello dell’organizzazione per poterle poi successivamente impiegare nel processo decisionale ai fini del conseguimento degli obiettivi stabiliti. Rappresenta pertanto la cerniera tra il sistema informativo ed il sistema di pianificazione, programmazione e controllo: viene prodotto dal sistema informativo, alimentato dal sistema

(25)

25

contabile e contestualmente utilizzato dal sistema di controllo come supporto al processo decisionale.

1.5 L’ANALISI

DEGLI

SCOSTAMENTI

COME

STRUMENTO

DI

SUPPORTO

AL

CONTROLLO

DI

GESTIONE

Passiamo adesso a descrivere e ad analizzare uno dei principali impieghi del sistema di reporting: la cosiddetta “analisi degli scostamenti”11.

Essa costituisce uno dei momenti più critici dell’intero processo di controllo e prevede il confronto tra i risultati ottenuti a consuntivo con specifici termini di paragone, quali i valori programmati al fine di valutare l’efficacia e l’efficienza dei corsi d’azione concretamente posti in essere in seguito alle linee guida fornite dalla pianificazione strategica.

Questo strumento si presenta come un valido ausilio per scomporre i differenziali manifestatisi tra consuntivo e budget o il consuntivo del periodo precedente; lo scopo è identificare e successivamente comprendere eventuali e possibili criticità presenti nell’azienda. L’analisi degli scostamenti può essere collocata sia all’interno del processo di controllo che all’interno della struttura informativa: nel primo caso la si

11 Per approfondimenti si veda MARASCA, MARCHI, RICCABONI,Controllo di gestione Metodologie

(26)

26

considera come processo di misurazione e valutazione del sistema di politiche aziendali, nel secondo caso ci si riferisce allo strumento matematico contabile per la produzione di report necessari alla definizione di un percorso di indagine in merito agli andamenti dei valori economici-finanziari. I due diversi significati sono in stretta correlazione.

Le prospettive di analisi di un sistema di reporting sono, come mostrato anche nella figura sotto, le seguenti:

1) natura dei valori su cui applicare lo strumento 2) le dimensioni e la sequenza di analisi

3) i termini su cui basare il confronto 4) le modalità di elaborazione informativa 5) le finalità di impiego

(27)

27

1) natura dei valori su cui applicare lo strumento - si distinguono valori economici e valori patrimoniali; l’utilizzo in ambito economico è quello più consolidato nella prassi mentre l’impiego in ambito patrimoniale svolge la funzione di valido ausilio per indagare nel dettaglio quelle che sono le determinanti alla base dell’andamento dei principali indici di redditività, come il ROI, il ROE ed il ROS;

2) le dimensioni di analisi - rappresentano le singole leve gestionali analizzabili con l’analisi degli scostamenti; si parla di scostamenti di volume, di efficienza, di prezzo, di vendita e scostamenti di mix. Relativamente a questi ultimi è possibile fare un’ulteriore classificazione tra clienti, fornitori, prodotti, materie, mercati e processi; è quindi su queste dimensioni che il management dovrà intervenire per concretizzare delle azioni correttive volte a migliorare le performance aziendali;

3) i termini su cui basare il confronto – si distinguono tra termini temporali e spaziali.

Su base temporale, a seconda dell’articolazione del processo di controllo, in azienda potranno essere presenti valori a preventivo, a preconsuntivo ed a consuntivo ed in questi casi il modello di calcolo potrà essere utilizzato per approfondire gli scostamenti tra:

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28 • preventivo T / consuntivo T-1; • preconsuntivo T/ preventivo T; • consuntivo T / preconsuntivo T; • consuntivo T / preventivo T; • consuntivo T / consuntivo T-1.

Con queste sei diverse combinazioni è possibile approfondire alcuni

fattori causali seppur in distinti momenti del processo di controllo: i primi tre vengono solitamente impiegati in sede di pianificazione

periodica e di programmazione nei sotto periodi mentre gli ultimi tre invece sono utili ai fini della valutazione dei risultati ottenuti; ciascun confronto svolge pertanto un ruolo chiave in diverse fasi del processo di controllo.

La pianificazione dei valori su un certo periodo di tempo, è infatti svolta oltre che utilizzando informazioni esterne, con un’analisi del consuntivo del periodo appena concluso e degli obiettivi ad esso riferiti.

L’analisi degli scostamenti tra il preconsuntivo e il preventivo di ciascun periodo è considerata l’attività che vi è alla base del processo di feedforward; con questo tipo di controllo è possibile individuare il divario complessivo tra gli obiettivi stabiliti e il divario che l’azienda riesce a raggiungere avendo dunque la possibilità di revisionare le politiche realizzate qualora queste non permettano di

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29

raggiungere i risultati pianificati e/o di revisionare gli obiettivi qualora la loro realizzazione risulti ampiamente difficile da attuare. Il confronto preventivo/consuntivo costituisce invece l’ultima fase del processo di controllo ed essa è propedeutica per la corretta computazione di un’efficace retroazione correttiva a fronte degli scostamenti emersi. Laddove in azienda non sia usuale predisporre un budget il sopracitato confronto si applica tra il consuntivo del periodo appena concluso ed il consuntivo del periodo precedente rivelandosi sicuramente utile ai fini del monitoraggio ex post delle decisioni e dei comportamenti.

L’analisi spaziale compara invece valori omogenei per natura (economici o patrimoniali) e per modalità di calcolo, riferiti ad unità organizzative distinte poste in essere sotto la guida dello stesso soggetto. Il confronto è effettuabile sia tra unità poste sullo stesso livello gerarchico, sia tra unità con differenti responsabilità;

4) le modalità di elaborazione informativa - le categorie legate a questa prospettiva corrispondono alle formule di calcolo degli scostamenti ed ai supporti utilizzati per il loro svolgimento. Si potrà decidere di gestire questi dati in via contabile, utilizzando quindi un piano dei conti o in via extracontabile in modo da permettere agli addetti al Controllo di gestione di poter gestire i calcoli ed i dati in maniera separata;

(30)

30

5) le finalità di impiego - si distinguono in tre categorie, legate al motivo per cui viene utilizzata l‘analisi degli scostamenti.

La prima si riferisce all’analisi gestionale sulle performance aziendali in quanto questa tecnica permette di avere una visione dettagliata sugli andamenti dei valori di sintesi.

La seconda categoria invece si riferisce alla finalità di calcolare dei risultati particolari come ad esempio nel caso in cui sia necessario costruire un bilancio sulla base di dati che sono in parte preventivi ed in parte consuntivi.

La terza categoria infine riguarda il processo di assessment di un sistema di controllo, condotto in genere dai diversi controller e, qualora vi fossero, anche da parte di un Internal Auditor o da una società di consulenza esterna.

Dopo aver esaminato le diverse prospettive di analisi di un sistema di reporting adesso ci focalizzeremo sulle tecniche di analisi degli scostamenti12 al fine di individuare sotto scostamenti più leggibili dai

managers che detengono la responsabilità dei valori economici e patrimoniali calcolati durante l’analisi. Nello specifico però all’interno di questo elaborato ci concentreremo solo sulla parte relativa ai valori

12 Per una trattazione più completa si vedano tra gli altri: (Manfredi e Testoni, 1995) e (Roffia,

(31)

31

economici essendo stati questi aspetti oggetto di alcuni reports sui quali ho avuto la possibilità di lavorare.

I ricavi di vendita sono ottenuti dal prodotto tra il prezzo di vendita medio e le diverse combinazioni di mercato, marchio, prodotto ed il volume di vendita complessivo. Al primo livello di indagine, l’analisi degli scostamenti si sofferma sullo studio della variazione di fatturato, scomponendolo nei sotto scostamenti di volume e prezzo. Esprimendo con V e P rispettivamente i volumi e i prezzi di vendita a budget e V’ e P’ i volumi e prezzi di vendita a consuntivo, possiamo individuare lo scostamento globale tra i ricavi a consuntivo e quelli a budget e i sotto scostamenti di volume e prezzo.

In formule avremo la seguente situazione: 1) V’ * P’ – V * P = Variazione Ricavi 2) V’ * P’ – V * P’ = Effetto Volume 3) V * P’ – V * P = Effetto Prezzo

Utilizzando queste formule è possibile identificare quanto lo scostamento complessivo di fatturato registrato tra budget e consuntivo è dovuto ad una variazione dei volumi e quanto ad una variazione dei prezzi di vendita; grazie a queste informazioni il manager quindi sarà portato ad attuare determinate forme di azioni correttive quali ad esempio un aumento dei quantitativi venduti o un aumento dei prezzi sul mercato finale.

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Ad un secondo livello di indagine sui ricavi di vendita è possibile considerare una variabile di mix riferita al mercato, al marchio o alla famiglia di prodotti ed ai singoli prodotti venduti; questo perché se per mercati, marchi e articoli differenziati vengono praticati prezzi distinti, una variazione rispetto al budget delle combinazioni mercati, marchi e articoli, determinerà una variazione di fatturato a parità di prezzi effettivamente praticati e volumi effettivamente venduti. Con i dati necessari a disposizione, i vari controllers possono inizialmente scomporre lo scostamento globale di ricavo aggiungendo ai sotto scostamenti di volume e di prezzo un sotto scostamento di mix. Traducendo tali considerazioni in termini algebrici occorre considerare:

• volumi complessivi V e V’;

• prezzi praticati in ogni singolo mercati “i” e derivanti dalla media ponderata dei prezzi per gli articoli venduti su quel mercato (Pi); • le percentuali di vendita sul mercato stesso (Mix i).

In formule si ottiene:

Dall’analisi delle formule e delle determinanti si può osservare che i prezzi medi di vendita e i volumi di budget e di consuntivo derivano da prezzi e V’ * (∑𝑛 𝑀𝑖𝑥 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑖′ ∗ 𝑃𝑖′)

𝑖=1 – V * (∑𝑛𝑖=1𝑀𝑖𝑥 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑖 ∗ 𝑃𝑖) = Variazione ricavi V’ * (∑𝑛𝑖=1𝑀𝑖𝑥 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑖′ ∗ 𝑃𝑖′) – V * (∑𝑛𝑖=1𝑀𝑖𝑥 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑖′ ∗ 𝑃𝑖′) = Effetto volume V * (∑𝑛 𝑀𝑖𝑥 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑖′ ∗ 𝑃𝑖′)

𝑖=1 – V * (∑𝑛𝑖=1𝑀𝑖𝑥 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑖 ∗ 𝑃𝑖′) = Effetto mix mercato V * (∑𝑛𝑖=1𝑀𝑖𝑥 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑖 ∗ 𝑃𝑖′) – V * (∑𝑛𝑖=1𝑀𝑖𝑥 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑖 ∗ 𝑃𝑖) = Effetto prezzo

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volumi di ogni singolo articolo e dalla distribuzione dei volumi di vendita su mercati diversi.

Da un punto di vista gestionale lo scostamento di mix mercato permette di valutare l’effetto che una diversa politica di portafoglio ha prodotto sul fatturato a parità di volumi e di prezzi effettivi; se volessimo proseguire l’analisi degli altri livelli di indagine è possibile individuare sotto scostamenti legati al mix di marchio e al mix di articolo; questi approfondimenti dell’analisi dei sotto scostamenti permettono al controller ed ai managers di individuare in maniera più specifica le aree di responsabilità e di intraprendere delle scelte gestionali più accurate e con una maggiore probabilità di successo.

Le tecniche descritte possono essere utilizzate anche per il calcolo dei costi specifici diretti quali le provvigioni che vedremo meglio direttamente nel terzo capitolo applicativo.

In sintesi, grazie all’analisi degli scostamenti, siamo in grado di definire uno strumento in grado di fornire informazioni rilevanti ai fini del controllo dei risultati ed il suo utilizzo diventa di estrema utilità soprattutto quando l’individuazione degli scostamenti e di strategie correttive sono fondamentali per risollevare la gestione aziendale.

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1.6 GLI

ATTORI

DEL

CONTROLLO

DI

GESTIONE

Passiamo a tracciare ed a delineare le caratteristiche e le competenze di cui devono dotarsi le tre figure aziendali chiave che prendono parte al processo di pianificazione e controllo: il Direttore Amministrazione Finanza e Controllo (da qui in poi Chief Financial Officer – CFO), il Controller ed il Planner.

Il CFO rappresenta uno degli attori chiave dei sistemi di governo e controllo aziendale ed esso è stato al centro di molte delle novità normative degli ultimi anni che ne hanno delineato in generale un aumento delle sue responsabilità ed un suo maggiore coinvolgimento nelle decisioni strategiche dell’azienda. L’evoluzione del ruolo del CFO si muove nel senso di un bilanciamento tra le attività rivolte al controllo del rispetto delle procedure, di compliance e della qualità dei dati economico-finanziari con le attività rivolte a supportare il management e le diverse funzioni nella comprensione dei fenomeni di business. Non sempre però la funzione del Controllo di gestione è posta sotto la responsabilità diretta o indiretta del CFO in quanto gli organigrammi aziendali possono essere abbastanza differenziati ed il CFO, seppur assimilabile alla più consueta figura del Direttore Amministrazione, Finanza e Controllo (Direttore AFC), rappresenta nella realtà italiana una figura relativamente nuova, non avente mansioni universalmente riconosciute ed una ben definita ed

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immutabile collocazione nella gerarchia aziendale, a differenza di quanto accade invece nel contesto statunitense.

Molto spesso, infatti, non esiste la figura del CFO o del Direttore AFC e la funzione Controllo di gestione viene affidata ad un Controller o ad un Planner, che avranno poi il compito di riportare al CEO (Chief Executive Officer) oppure al Managing Director. Contrariamente, qualora fosse istituita in azienda la figura del CFO, questo risulterà gerarchicamente

sovraordinato rispetto alle figure del Controller o del Planner13.

Passiamo ad analizzare le altre due figure: il Controller è una figura professionale che solitamente rientra nel reparto Finance di un’azienda e che è stata definita a gennaio 2016 dalla Norma UNI:11618 evidenziandone

quali sono i 7 compiti fondamentali14 a cui esso deve far fronte:

• predisporre la architettura informativa; • auditing Interno;

• coordinare e supportare le attività di controllo di gestione; • comunicare e supportare la formazione specifica;

• misurare le prestazioni di sistema;

• supportare la attività di pianificazione strategica; • supportare la leadership dei Manager.

Tale figura quindi ha, o meglio dovrebbe possedere, delle competenze trasversali al fine di intervenire a supporto delle varie aree aziendali.

13 Per ulteriori approfondimenti si veda: (BERTOLI, 2008) 14WWW.ASSOCONTROLLER.IT

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Avrà quindi conoscenze specifiche in tema di: sistema e valutazione d’azienda, rilevazione contabile e processo di formazione del bilancio di esercizio, risorse umane e processi organizzativi, sistemi di controllo e di reporting, modelli di simulazione economico-finanziaria, sistemi informatici e modalità di configurazione del sistema informativo aziendale. Il Controller si distingue, pertanto, per la sua cultura multidisciplinare che porterà ad un distaccamento dalla semplice elaborazione contabile dei dati economico-finanziari.

Esso dovrà essere in grado di segnalare, suggerire e formulare osservazioni in modo da promuovere una consapevole riflessione sul futuro, permettendo di cogliere le opportunità e di gestire i rischi focalizzandosi sia sui risultati prodotti dalle variabili di controllo concordate e sulle potenzialità che altre tipologie di variabili finora non considerate potrebbero avere sul processo di pianificazione e controllo progettato. Il compito ultimo sarà quello valutare ambienti e scenari futuri legati a prodotti, mercati, tecnologie, e verificare se il sistema di misurazione e di controllo sia in linea o meno con l’orientamento strategico di fondo della gestione.

Dopo aver trattato la figura del Controller delineiamo quali sono le caratteristiche principali dell’altra figura, il Planner, ricordando che ciò non è di così semplice lettura in quanto nonostante ci siano degli elementi distintivi tra questi due ruoli aziendali, spesso nel linguaggio comune essi vengono confusi.

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Il Planner all’interno dell’azienda svolge la funzione di attivatore, produttore e coordinatore delle informazioni relative alle varie fasi che compongono il processo di pianificazione strategica; la figura è a conoscenza delle caratteristiche di tale processo sia da un punto di vista statico che da un punto di vista dinamico, il processo in sé, ed è colui che crea le condizioni affinché il processo decisionale strategico possa svilupparsi nel modo migliore; rappresenta pertanto una figura che va a completare ed integrare le attività svolte dal Controller pur anche non possedendo quell’autorevolezza ed autonomia di ruolo che permette di configurare una specifica e definita identità professionale.

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2. IL

SETTORE

FARMACEUTICO

2.1 DETERMINANTI

E

PECULIARITA’

Il settore farmaceutico da sempre viene considerato un settore atipico e rispondente a regole di mercato anomale ed obiettivo di questo paragrafo sarà proprio quello di descrivere i diversi aspetti che giustificano questa visione particolare.

L’attività delle industrie farmaceutiche, come è noto, è rivolta a soddisfare il fondamentale bisogno di salute dei cittadini e la realizzazione di tale asserzione implica il coinvolgimento di una molteplicità di fattori che consentono di delineare le atipicità delle aziende farmaceutiche rispetto alle varie classi di organizzazioni produttive.

Il settore farmaceutico si differenzia da ogni altro settore industriale per la natura dei beni prodotti e per l’esistenza di una forte interdipendenza tra gli interessi economici e sociali dei numerosi agenti coinvolti:15

1) le imprese farmaceutiche; 2) il Sistema Sanitario Nazionale; 3) l’ordine dei farmacisti;

4) i pazienti.

15WWW.AGCM.IT, AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO,Indagine conoscitiva nel

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La molteplicità dei soggetti coinvolti è rilevante e ciò comporta un aumento nella complessità delle relazioni che possono instaurarsi nel settore.

Ma vediamo più nel dettaglio che cos’è il settore farmaceutico e quali sono le sue caratteristiche principali.

Il settore farmaceutico si occupa delle attività di ricerca, produzione e commercializzazione dei farmaci per la medicina umana o veterinaria. Un farmaco (o medicinale) è una sostanza o un’associazione di sostanze

impiegata per curare o prevenire le malattie16; esso è composto da un

elemento, il principio attivo, da cui dipende l’azione curativa vera e propria, e da uno o più “materiali” privi di ogni capacità terapeutica chiamati eccipienti che possono avere la funzione di proteggere il principio attivo da altre sostanze chimiche, facilitarne l’assorbimento da parte dell’organismo, oppure mascherare eventuali odori o sapori sgradevoli del farmaco stesso. Possiamo comprendere da questa definizione che il termine principio attivo comprende tutte le sostanze dotate di effetto terapeutico, benefico ma anche tossico. Pertanto, il farmaco, potrebbe produrre sul paziente sia effettivi positivi, sia effetti negativi ed è proprio la duplicità dei due effetti possibili che rende necessaria la presenza di un Medico che, prescrivendo il farmaco sulla base delle informazioni scientifiche fornitegli dall’azienda farmaceutica e delle sue conoscenze, funge da intermediario tra le case farmaceutiche ed i pazienti. La necessità di avere prescrizioni mediche e di

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convogliare più soggetti, con proprie esigenze e interessi, rende evidente una caratteristica del settore farmaceutico, cioè l’intervento pubblico da parte dello Stato. Ogni Stato cerca di garantire ai propri membri il diritto alla salute, ovvero “uno stato di completo benessere fisico, mentale e

sociale, e non semplicemente l’assenza di malattie o di stati di malessere”17;

ed è per tale motivo che i cittadini versano un contributo allo Stato, secondo il reddito e le loro attività, in modo tale da assicurare loro beni e servizi per soddisfare i bisogni primari. Per l’individuo risulta fondamentale trovarsi in un buono stato di salute. Da quanto riportato sopra ne consegue che l’oggetto della produzione, il farmaco appunto, è costituito da uno specifico composto chimico che incide, talvolta in termini vitali, sull’organismo degli esseri umani. Per questo motivo, la loro attività è soggetta ad uno stringente controllo da parte delle autorità pubbliche, le quali hanno rigidamente regolamentato ogni aspetto inerente alle loro scoperte, produzioni e diffusioni.

Riferendoci alla struttura del settore farmaceutico si possono evidenziare una serie di caratteristiche e particolarità che questo presenta, comuni a tutte le imprese presenti all’interno di esso indipendentemente dalle loro dimensioni:

1. presenza di molteplici soggetti: i consumatori, effettivi e potenziali, rappresentano l’intera popolazione mondiale ed essi sono diversi da coloro che prescrivono i farmaci ed in generale dalle persone, sia

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medici che farmacisti, che acconsentono al consumo del prodotto; da non dimenticare inoltre un altro soggetto, lo Stato, che finanzia l’acquisto del prodotto. La presenza di molteplici soggetti assicura, da un lato, un corretto utilizzo dei farmaci evitando usi eccessivi che potrebbero danneggiare la salute dei pazienti invece di curarla ma

dall’altro, come riporta Gianfrate18, crea anche delle asimmetrie

informative tra gli stessi; questo perché in tale contesto il consumatore di prodotti farmaceutici presenta alcune atipicità individuabili come segue:

• il paziente normalmente non può scegliere il farmaco e le quantità da assumere, pur essendone l’utilizzatore esclusivo, in quanto esso non conosce la malattia da curare quali sono i medicinali idonei a soddisfarlo, né il grado di maggiore o minore attitudine dei diversi beni a soddisfarlo; pertanto il paziente si rivolgerà al medico che dovrà individuare i bisogni concreti del paziente e curarlo in modo appropriato. Tra i due soggetti quindi si genera una specie di accordo dove il paziente delega al medico la tutela della propria salute e come in tutti gli accordi, anche il rapporto instauratosi tra medico e

paziente potrebbe generare dei comportamenti

opportunistici. Il medico potrebbe per esempio utilizzare le maggiori informazioni a disposizione per amplificare la

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diagnosi del paziente rendendo necessari anche prescrizioni o ricoveri clinici non strettamente necessari;

• come già accennato sopra il medico, dopo aver diagnosticato la patologia, ha il compito di prescrivere il farmaco senza doversi esporre ad un atto di consumo e senza subire il conseguente esborso finanziario;

• il Servizio Sanitario Nazionale può sostenere la spesa pur essendo estraneo sia alla fase della scelta che a quella dell’utilizzo.

Lo stesso comportamento opportunistico descritto tra medico e paziente si potrebbe rilevare anche tra il medico ed il soggetto che paga le prestazioni sanitarie o farmaceutiche. Tale fenomeno potrebbe causare ingenti costi aggiuntivi per il Sistema Sanitario Nazionale.

Queste atipicità rendono verosimile l’eventualità che il prezzo non sia percepito come un elemento discriminante per la scelta del farmaco, ovviamente a parità di efficacia terapeutica.

Maggioni19 a tal proposito aggiunge: “…può accadere che il fattore

prezzo non sia adeguatamente tenuto presente dal soggetto decisore (il medico) al momento della prescrizione. Appaiono in tutta la loro evidenza le conseguenze negative che potenzialmente possono

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derivare da questo consumo indotto di farmaci, in particolare la lievitazione della spesa per medicinali e della sua incidenza sulla spesa globale per prestazioni sanitarie, a parità di qualità e di mix di specialità acquistate”;

2. bassa elasticità della domanda20: una moltitudine di farmaci presenti

sul mercato sono essenziali per tutti gli individui della collettività e questo porta a una rigidità della domanda del bene;

3. alta intensità dell’attività di ricerca e sviluppo (R&D): ciò determina produzioni ad elevato valore aggiunto;

4. barriere all’entrata e all’uscita: sono richiesti elevati costi di ricerca e sviluppo per entrare all’interno del mercato; infatti per concorrere con le aziende già presenti occorrono ingenti investimenti che assicurino un minimo potere contrattuale all’industria entrante; ed altrettanti elevati costi dovranno essere sostenuti per uscire dallo stesso settore. Ecco che si generano i cosiddetti costi sommersi, ovvero dei costi non recuperabili che si generano quando un’impresa decide di uscire dal mercato e ha già sostenuto i costi di ricerca senza ritorni economici;

5. elevato costo del lavoro pro-capite;

6. necessità di lavorare su scala mondiale al fine di realizzare economie di scala e di scopo per assorbire i costi di R&D molto elevati;

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7. elevato grado di regolamentazione: i tempi, solitamente molto lunghi, richiesti dalle procedure per ottenere l’autorizzazione a commercializzare un nuovo prodotto sono in genere citati dalle imprese tra le cause di riduzione del tasso di innovazione nell’industria farmaceutica poiché essi aumentano i costi dell’innovazione e riducono la durata effettiva della copertura brevettale;

8. caratteristiche della catena distributiva: essendo i farmaci costantemente necessari nelle farmacie occorre rendere celere il tempo che intercorre tra quando i farmaci sono disponibili a livello di grossista e quando, da questo, passano alle farmacie;

9. presenza dei “farmaci orfani”: le aziende farmaceutiche, come del resto tutte le imprese industriali e commerciali, hanno come obiettivo ultimo la massimizzazione del profitto; nel settore farmaceutico però tale obiettivo si scontra con i costi derivanti dalla scoperta e dalla commercializzazione dei prodotti. In particolare, esistono malattie rare che colpiscono un piccolo numero di soggetti. Le malattie rare sono definite tali per la loro bassa frequenza nella popolazione. In Europa una malattia è considerata rara se colpisce meno di 1 abitante su 2000 ed i medicinali destinati alla cura di

queste malattie si definiscono farmaci orfani21. I consumatori di

questi farmaci sono numericamente molto pochi ed i capitali

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investiti per la ricerca e lo sviluppo di tali prodotti non verrebbero recuperati attraverso le vendite a causa della scarsa domanda e degli elevati prezzi. Pertanto, le aziende farmaceutiche sono solitamente restie a sviluppare questi farmaci secondo le normali condizioni di mercato in quanto l’impresa sarebbe in costante perdita. È per questo motivo che al fine di stimolare la ricerca e lo sviluppo nel settore dei farmaci orfani, le istituzioni pubbliche hanno adottato degli incentivi per la sanità e le industrie biotecnologiche poiché in assenza di uno specifico intervento di regolamentazione o di coordinamento del settore, le imprese non investirebbero nella ricerca in questi campi particolari;

10. logiche di determinazione del prezzo dei farmaci: in Italia, per i farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale, il prezzo si determina attraverso una negoziazione tra Autorità Regolatoria pubblica (Agenzia del Farmaco – AIFA) ed impresa farmaceutica, mentre per i farmaci a totale carico del paziente il prezzo è definito

dal produttore, seppur con vincoli agli aumenti22. Più

specificatamente, la determinazione del prezzo di un prodotto viene attuata sulla base della media europea per farmaci analoghi. Infatti, pur in assenza di una determinazione diretta da parte dello Stato, perché considerata deleteria per la concorrenza e l'innovazione

22Settore farmaceutico e sistema Paese: contributi ed esigenze per uno sviluppo sostenibile.

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farmaceutica, i criteri che il produttore deve seguire nel calcolare il prezzo di cessione al pubblico dei farmaci sono molto rigidi e non permettono di lasciare alcun margine di discrezionalità. Risulta quindi evidente la presenza di una sorta di prezzi imposti. Ed è in questa situazione che le aziende farmaceutiche devono organizzare e sviluppare i propri investimenti in funzione dei prezzi e dei rischi relativi ad acquisizioni di quote di mercato e derivanti da tutte quelle variabili che possono essere influenzate dai prezzi.

2.2 L’EVOLUZIONE

DELL’INDUSTRIA

FARMACEUTICA

Le origini dell’industria farmaceutica moderna vengono poste tra la fine

del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo23.

Nei decenni dal 1860 allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si registrò la nascita di alcune tra le più importanti società farmaceutiche, presenti anche oggi sul panorama internazionale, soprattutto in Germania, Italia e Svizzera (è il caso per esempio della tedesca Bayer e della svizzera Roche) che, dopo l’esordio nel settore dei coloranti, fecero il loro ingresso nell’industria dei prodotti farmaceutici sintetici diventandone, da lì a poco,

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leader a livello mondiale; successivamente fu il turno di Stati Uniti, Regno Unito, Belgio ed Olanda.

I primi anni del Novecento, grazie ai capitali economici ed allo sviluppo della ricerca scientifica nelle Università e negli Istituti pubblici e privati, videro la nascita di nuove scoperte in ambito farmacologico e la produzione di nuovi medicinali, quali l’insulina e la penicillina, che portarono ad un forte sviluppo di quello che era ancora un settore emergente ma che conobbe un’ulteriore spinta con l’avvicinarsi alla Seconda Grande Guerra.

Tra il 1935 ed il 1960, a seguito anche della manifestazione di alcuni effetti collaterali significativi tra la popolazione, si avvertì la necessità di emanare normative riguardanti una corretta sperimentazione farmacologica e clinica dei farmaci che ne precedesse l’immissione in commercio ed è per questo che nel 1938 venne approvato negli USA il Federal Drug and Cosmetic Act, con il quale per la prima volta si chiese alle aziende farmaceutiche di effettuare, per i nuovi farmaci, studi di tossicità sugli animali e di sottoporre i dati alla Food and Drug Administration (FDA) per poter ottenere l’autorizzazione al commercio. In Giappone le norme riguardanti la registrazione dei farmaci entrarono in vigore solo nel 1950, in Europa negli anni Sessanta; questi studi vennero registrati dopo un intervento legislativo volto ad uniformare le fasi di test e di approvazione dei farmaci ed a richiederne un’adeguata etichettatura; occorreva distinguere legalmente i farmaci senza obbligo di prescrizione da quelli per cui invece questa risultava necessaria.

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Seguì una maggiore comprensione della biologia umana e di tecniche manifatturiere più sofisticate che portarono negli anni Sessanta alla produzione e alla commercializzazione di nuovi farmaci tra i quali il cortisone nonché i primi tranquillanti impiegati in psichiatria ed i primi farmaci per la cura del cancro; questi prodotti vennero protetti da brevetti permanenti introdotti da una legislazione specifica.

Dopo quanto stabilito nel 1938 e negli anni a seguire, a seguito della tragedia del Talidomide (dove la somministrazione a donne in gravidanza del farmaco causò gravi alterazioni congenite dello sviluppo degli arti neonatali), si verificò un aumento dei controlli obbligatori sulle prove cliniche, che portò ad un aumento considerevole dei costi di sviluppo dei farmaci, ed un intervento legislativo che andava a definire un periodo fisso e limitato per la validità della protezione brevettuale (corrispondono, già allora, i 20 anni che ritroviamo anche oggi dalla data di registrazione della nuova scoperta), determinando così la nascita dei farmaci generici.

L’introduzione dei generici portò sì dei benefici per la società (farmaci a prezzi più bassi) ma dall’altro provocò per le case farmaceutiche un calo rilevante delle vendite allo scadere della copertura ventennale ed una perentoria riduzione dei tempi di recupero dei costi di ricerca e sviluppo, con la conseguenza di un incremento della pressione sui prezzi, di una spinta all’innovazione ed alla competizione su scala mondiale. Negli anni Ottanta e Novanta si poté assistere al concentramento dei governi dei paesi (in qualità di acquirenti) sull’Industria Farmaceutica incrementando la

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pressione sulle aziende attraverso forme di riduzione dei prezzi e di rimborsi con lo scopo di limitare la crescita della spesa sanitaria; questi sono gli anni in cui registriamo inoltre nuove regolamentazioni in tema di ambiente e sicurezza, studi sul DNA e medicinali per combattere una nuova patologia, la cosiddetta “peste del secolo”, ovvero l’AIDS per cui occorrerà però aspettare, per un controllo quasi totale, gli anni 2000.

Durante gli anni Novanta l’obiettivo per il comparto farmaceutico fu quello di realizzare prodotti sempre più innovativi, avvicinandosi alle biotecnologie ed è in questi anni che si registrò una forte internalizzazione delle imprese farmaceutiche, dovuta principalmente a tre aspetti

principali24: il prodotto, che soddisfa bisogni diffusi a livello mondiale, la

correlata necessità di un mercato il più esteso possibile ai fini del raggiungimento dell’economicità complessiva del sistema, e l’inadeguata dimensione dei mercati nazionali.

Le dinamiche strutturali dell’industria farmaceutica furono caratterizzate quindi da molteplici fusioni, acquisizioni, fusioni, joint-venture che costituirono anche un modo per le singole imprese di recuperare gli investimenti effettuati per la scoperta di un nuovo prodotto; con il XXI secolo poi, grazie ad Internet, fu possibile acquistare in modo diretto i medicinali, da parte dei consumatori, e le materie prime da parte dei produttori di medicinali. Ad esso poi si aggiunse anche una sempre più

24 ASCENSIONATO RAFFAELLO CARNÀ,L’economia delle aziende farmaceutiche, Giuffrè Editore,

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crescente pubblicità direttamente rivolta al consumatore finale, mediante l’utilizzo di radio e tv, che provocò un’evoluzione nelle regole del business e del marketing nel settore farmaceutico.

2.3 IL

SETTORE

FARMACEUTICO

IN

ITALIA

25

Le imprese del settore farmaceutico operanti in Italia sono complessivamente 306 delle quali circa 200 aderenti a Farmindustria, l’Associazione delle imprese del farmaco, che ha definito per tali imprese un Codice Deontologico - ad oggi fra i più rigorosi in Europa - per regolamentare i rapporti tra industrie e tra queste ed il mondo scientifico e sanitario.

Nel 2015 in Italia l’industria farmaceutica, da sempre settore trainante per lo sviluppo della nostra Economia, si conferma al top non solo nel settore manifatturiero, ma in genere nel confronto con tutti gli altri comparti industriali italiani. La produzione è cresciuta del 5% raggiungendo i 30 miliardi di euro registrando un record storico nell’export in valore assoluto (21,8 miliardi) e in percentuale sulla produzione (73%) mentre gli investimenti in ricerca e sviluppo e nella produzione hanno toccato quota 2,6 miliardi con un balzo in avanti del 4,6%, massimo livello da dieci anni a questa parte. Particolarmente

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importante la ripresa dei livelli occupazionali e degli investimenti. Il numero degli addetti cresce (+1%), spinto da circa 6.000 assunzioni che hanno superato le uscite, soprattutto per l’aumento in produzione e alla Ricerca.

Numeri importanti per questo comparto come è stato evidenziato anche dal Presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, durante l’assemblea annuale tenutasi nel giugno 2016 e che possiamo osservare anche dal grafico:

(milioni di euro, dati al 31 dicembre 2015)

Valori che testimoniano come le imprese del farmaco siano ormai un punto di forza dell’industria in Italia e nei territori. Un patrimonio industriale che il Paese non può perdere e che deve valorizzare, in un contesto internazionale estremamente concorrenziale. Ed è per questo che bisogna superare prima possibile alcuni vincoli di Sistema, che rischiano di mettere a rischio lo sviluppo dei prossimi anni. A partire dal sottofinanziamento della spesa farmaceutica pubblica, la più bassa in Europa in termini pro capite (-30% rispetto alla media dei Big Ue).

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