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Utilizzo della Percutaneous Electrical Nerve Stimulation (PENS) e di Lidocaina Cerotto 5% nel trattamento della nevralgia del trigemino.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

DIPARTIMENTO DI PATOLOGIA CHIRURGICA, MEDICA, MOLECOLARE E DELL’ AREA CRITICA

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN ANESTESIA, RIANIMAZIONE E TERAPIA DEL DOLORE

Direttore: Prof. Forfori Francesco

Utilizzo della Percutaneous Electrical Nerve Stimulation (PENS Therapy) e di Lidocaina Cerotto 5%

nel trattamento della nevralgia del trigemino.

CANDIDATO PRIMO RELATORE Dott.ssa Ida Vasile Prof. Francesco Forfori SECONDO RELATORE Dott. Giuliano De Carolis

Anno Accademico 2016-2017 Sessione unica 2016

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Abstract

La Nevralgia del Trigemino è una condizione di dolore neuropatico localizzato, particolarmente difficile da trattare, a causa della scarsa efficacia e degli effetti collaterali sia dei farmaci che del trattamento chirurgico.

La letteratura scientifica mostra l’utilità, nel trattamento di tale patologia, della stimolazione nervosa periferica (PNS), con impianto di stimolatore sottocutaneo. Scarsi, invece sono i dati sull’utilizzo della Percutaneous Electrical Nerve Stimulation (PENS Therapy), che presenta diversi vantaggi, quali la facilità di esecuzione, la ripetibilità e la scarsa incidenza di eventi avversi.

La maggior parte delle linee guida internazionali ed il Neuropathic Pain Special Interest Group dell’International Association for the Study of Pain, inoltre, suggeriscono Lidocaina cerotto 5% come trattamento farmacologico di prima linea, in monoterapia o in

combinazione con farmaci sistemici.

Questo studio si propone di valutare l’efficacia, nel trattamento della nevralgia del trigemino, della PENS Therapy, da sola o in associazione con Lidocaina cerotto 5%, al fine evidenziare un eventuale potenziamento dell’effetto analgesico.

Un gruppo di 45 pazienti con nevralgia del trigemino è stato preso in esame. In maniera random, 21 sono stati trattati solo con PENS Therapy e 24 con PENS Thearpy in associazione a Lidocaina cerotto 5%. Alla visita basale (T0) sono stati raccolti i seguenti dati: sede del dolore, intensità del dolore e dell’allodinia meccanica dinamica mediante la Numeric Rating Scale (NRS), il questionario DN4 per la definizione del dolore neuropatico e le eventuali terapie concomitanti. I pazienti sono stati contattati dopo 15 (T1), 30 (T4) e 45 (T5) giorni e sono stati rivalutati i precedenti parametri, in aggiunta al grado di soddisfazione del paziente con la PGIC scale (Patients' Global Impression of Change).

L’analisi dei dati mostra un miglioramento della sintomatologia a T5 di tutta la popolazione in esame. La media dell’NRS per il dolore passa da 7.4 a T0 a 4.8 a T5

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(p<.0001); la media dell’NRS per l’allodinia passa da 4.5 a T0 a 2.9 a T5(p=. 0001); la media del DN4 passa da 4.5 a T0 a 3.5 a T5(p<.0001). L’analisi comparativa dei due gruppi, tuttavia, non ha mostrato differenze statisticamente significative per tutti i parametri presi in esame. L’analisi della PGIC scale a T1, ha mostrato una maggiore percezione di miglioramento da parte dei pazienti trattati con PENS e Lidocaina 5% cerotto, rispetto a quelli trattati con sola PENS (p=.0046). Tale differenza si mantiene anche a 30 giorni (p= .012), ma non a 45 giorni (p=.1156) dall’inizio del trattamento. I risultati preliminari ed a breve termine di questo studio, mostrano che la PENS Therapy è efficace nel trattamento della nevralgia del trigemino. L’associazione con Lidocaina cerotto 5%, invece, sembra dare, nel breve termine, una maggiore percezione di miglioramento da parte dei pazienti, che potrebbe essere dovuto ad un effetto placebo del cerotto.

Visto l’esiguo numero del campione esaminato e il breve periodo di follow-up, ulteriori studi sono necessari per confermare tali dati.

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Indice

1) Introduzione... pag. 1 2) Dolore cronico………... pag. 3

2.1) Definizione ed aspetti clinici……… pag. 3 2.2) Dolore cronico nocicettivo……… pag. 6 2.3) Dolore cronico neuropatico……… pag. 7 2.4) Dolore neuropatico localizzato……… pag. 10 2.5) Misurazione dell’intensità del dolore……… pag. 10 2.6) Terapie farmacologiche ed invasive……...pag. 13 2.7) Terapia del dolore neuropatico………...pag. 17

3) Neuromodulazione e PENS therapy………... pag. 23 3.1) Cenni storici………...pag. 23

3.2) PENS therapy………pag.24

4) Lidocaina cerotto 5%... pag. 27 5) Nevralgia del Trigemino………... pag. 29 6) Studio... pag. 33 6.1) Obiettivi………...pag. 33 6.2) Materiali e Metodi….………...pag. 33 6.3) Risultati………pag. 35 6.4) Discussione………...pag 36 7) Conclusioni……… pag. 38 8) Figure………. pag. 39 9) Tabelle……… pag. 45 10) Allegati………. pag. 46 11) Bibliografia... pag. 51

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1.Introduzione

Argomento di questa tesi è la “nevralgia del trigemino”, una condizione di dolore cronico particolarmente difficile da trattare. Essa, più nello specifico, è un esempio di dolore neuropatico periferico (DNP), una delle patologie dolorose croniche di più difficile inquadramento diagnostico e terapeutico.

Il DNP condiziona negativamente la qualità di vita dei pazienti in maniera significativa, non tanto per la sua intensità quanto per le caratteristiche semantiche stesse del dolore, che portano il paziente a ridurre progressivamente le sue attività quotidiane. Un articolo del 2013 pubblicato da Langley et al. (1) evidenzia come il dolore neuropatico possa essere associato a gravi disturbi del sonno, scarsa capacità di memorizzazione, disturbi di ansia e depressione.

Valutando i dati della letteratura non vi sono farmaci che possano essere considerati efficaci in tutte le sindromi dolorose neuropatiche periferiche, essendo diversi i meccanismi fisiopatologici che sottendono all’origine del dolore nelle singole situazioni. Attualmente la maggior parte dei farmaci per il trattamento del dolore neuropatico possiede un valore di NNT (“number needed to treat” ovvero “quanti pazienti devo trattare affinché almeno un soggetto risponda”) superiore a 3. Quindi, è auspicabile trovare modalità diagnostico-terapeutiche che aumentino la precisione di tale trattamento. Oltretutto, i farmaci comunemente utilizzati per il trattamento del dolore neuropatico localizzato comprendono classi farmacologiche, come gli antidepressivi triciclici, gli inibitori del reuptake della serotonina e noradrenalina e gli anticonvulsivanti, che si associano spesso a effetti indesiderati a livello dei sistemi nervoso centrale, cardiovascolare e gastrointestinale. Spesso il paziente non continua il trattamento (anche se efficace) per la comparsa di effetti collaterali che limitano ulteriormente la qualità di vita. Inoltre, tali farmaci sono metabolizzati da enzimi epatici, quali il citocromo P450, che possono essere indotti o inibiti da numerosi farmaci, oltre che da varianti genetiche,

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rendendo ulteriormente variabile sia l’efficacia, sia i possibili effetti collaterali.

In considerazione di tali limitazioni, è importante valutare la possibilità di trattamenti topici e/o non farmacologici nella terapia del DNP. A tale proposito, questo studio si propone di valutare l’efficacia, nel trattamento della nevralgia del trigemino, della PENS Therapy e di Lidocaina cerotto 5%, in quanto modalità terapeutiche non invasive e con scarse reazione avverse.

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2. Il dolore cronico

2.1 Definizione ed aspetti clinici

La parola dolore deriva dal latino “dŏlŏr, doloris”, che significa patimento, afflizione. Esso viene definito dall’OMS come “una spiacevole esperienza emozionale e sensitiva

associata ad attuale o potenziale danno tissutale, descritta in termini di danno...” (2).

È una condizione sempre soggettiva e ogni valutazione non può prescindere dal modo in cui il paziente percepisce e affronta il dolore (3).

Il dolore cronico è, invece, stato riconosciuto come quel dolore che persiste oltre il normale tempo di guarigione (Bonica, 1953), e furono identificate tre diverse categorie temporali (International Association for theStudy of Pain, Subcommittee on Taxonomy, 1994):

- inferiore a 1 mese - daa 1 a 6 mesi - superiore a 6 mesi.

Per il dolore cronico è difficile stabilire l’inizio della sintomatologia dolorosa, differenziare l’episodio iniziale da uno ricorrente, e stabilire l’affidabilità dei metodi clinici utilizzabili per definirlo (4).

Esso viene descritto anche come “... quel dolore persistente che ricorre in maniera

intermittente...” (5).

Nel 1979 John J. Bonica osservò che lo sviluppo, l’adozione e la diffusione di definizioni universalmente accettate dei termini per la classificazione delle sindromi dolorose fossero tra i più importanti obiettivi e responsabilità dell’ International Association for the Study of Pain (IASP), che fondò nel 1973, al fine di poter limitare l’eterogeneità di definizioni che descrivono e classificano il dolore cronico, e integrare il sistema internazionale per la classificazione delle malattie della International Classification of Disease -10 (ICD-10).

(9)

La definizione di dolore cronico della IASP (1994), lo identifica come quel dolore che ha un esordio temporale superiore a 6 mesi.

È noto, tuttavia, come solo l’aspetto temporale relativo all’esordio della sintomatologia dolorosa non può essere l’unico elemento necessario e sufficiente per diagnosticare il dolore cronico, senza un efficace supporto di indicatori clinici.

Il dolore cronico è una condizione molto complessa, che rappresenta non solo una esperienza di tipo fisico, ma anche il risultato dell’interpretazione dell’esperienza di un soggetto, relativa anche alla sua personalità, al suo umore, alle sue passate esperienze e alle relazioni sociali (6). Ciascun soggetto affetto da dolore rappresenta un caso unico, dove le proprie caratteristiche psicologiche, emozionali e cognitive sono parti integranti della personale percezione dello stesso (7).

Il dolore cronico, inoltre, non è semplicemente un sintomo legato ad una diagnosi ad etiologia nota (8), come accade nel dolore acuto (“dolore utile”), ma si configura come una malattia vera e propria in sé stessa (9).

Dal punto di vista fisiopatologico viene distinto in oncologico e non oncologico. Quest’ultimo è caratterizzato da innumerevoli condizioni cliniche che sottendono alla sua genesi, come patologie neoplastiche benigne, malattie del SNC e periferico, malattie muscolo scheletriche.

La natura del dolore cronico benigno può essere nocicettiva e neuropatica. La peculiarità di questa ultima è che il dolore neuropatico può persistere anche in assenza di stimoli nocicettivi o di danno tessutale (10). La comprensione di tale fenomeno come condizione patologica è fondamentale per garantire un trattamento che non può essere sempre di tipo etiologico, in quanto non sempre sono note le cause che lo generano e le condizioni fisiopatologiche sottese. Questo aspetto rende ancora più complessa la gestione dei trattamenti e degli interventi assistenziali di varia natura, finalizzati alla guarigione. Spesso, quindi, l’unico trattamento efficace diventa il miglioramento della sintomatologia dolorosa e conseguentemente della qualità di vita del paziente.

(10)

La sua complessa gestione impone la conoscenza delle parti che lo compongono e lo caratterizzano, al fine di scegliere trattamenti finalizzati alla gestione di quella specifica tipologia di dolore nella persona che ne soffre. Sono molti i modelli descritti in letteratura, ed uno dei più noti è quello di Loeser (11), che raffigura in cerchi concentrici i comportamenti disadattivi e la sofferenza che caratterizzano i pazienti con dolore cronico (Figura 1) (12):

- Nocicezione (primo livello): rappresenta una condizione puramente fisiologica, determinata dall’attività delle strutture nervose periferiche e centrali. L’attività nocicettiva è essenziale per la sopravvivenza delle specie animali;

- Dolore (secondo livello): esso si identifica nella dimensione sensoriale discriminativa. Il dolore avveritito come sensazione spiacevole, associato o non associato ad un danno tessutale;

- Sofferenza (terzo livello): essa è legata alla componente affettiva, fisica ed emozionale generata dal dolore, ma anche da altre spiacevoli esperienze, come una perdita affettiva, o ogni situazione caratterizzata da ansia. Non c’è una necessaria correlazione tra sofferenza e dolore fisico. La sofferenza è una condizione caratterizzata da un sentimento di impotenza, intollerabilità, ed apparente mancanza di significato. La sofferenza minaccia il concetto di sé, l’autostima, l'integrità personale, con conseguenze per il futuro (13). La componente motivazionale ed affettiva dovrebbe avere lo stesso peso non solo nella valutazione del dolore, ma anche durante la scelta dei trattamenti.

- Comportamenti nel dolore (quarto livello): si tratta dei comportamenti ad esso associati, che si esprimono in varie modalità̀, come per esempio le espressioni facciali. Tali espressioni comportamentali possono essere compromesse da deficit cognitivi, come esempio nell’anziano demente, che necessita di strumenti valutativi specifici e sensibili, in grado di dare una giusta dimensione alla sintomatologia algica. Tali comportamenti possono presentarsi anche in assenza di dolore.

(11)

Questo modello tenta di enfatizzare la complessità̀ e l’interdipendenza delle componenti che caratterizzano il dolore, necessarie anche a chi si occupa di comprenderlo e trattarlo. Infatti il dolore diviene una esperienza multidimensionale, modulata da meccanismi afferenti ed efferenti che determinano l’esperienza soggettiva come descritto dalla “gate

control theory”. Questa teoria definisce il dolore come una esperienza influenzata da

fattori fisici e psicologici unici per l’individuo (14). Inoltre la variabilità individuale, fattori culturali, inclusi la percezione e le credenze relative alla propria salute, devono essere presi in considerazione nel trattamento di pazienti, la cui cultura può̀ differire da quella degli operatori sanitari coinvolti nel processo assistenziale. Il grado di cultura, di scolarità̀, l’occupazione, lo status socio-economico ed i legami alle culture delle proprie comunità̀ possono avere effetti sulla risposta al dolore ed alle malattie (15).

2.2 Il dolore cronico nocicettivo

Il dolore nocicettivo è prodotto da meccano-recettori, termo recettori e chemiorecettori; è un indicatore di un danno tissutale ed il dolore percepito è proporzionale allo stimolo nocicettivo. Generalmente è gravativo, pulsante o continuo, è acuto ed i processi di guarigione hanno come risultato la riduzione della sua intensità.

Si divide, a sua volta in tre sottoclassi (16):

. Somatico: è il tipico dolore da danno tessutale, come ad esempio le fratture o il dolore post-operatorio. Esso si manifesta come dolore superficiale e profondo, chiaramente localizzato. Risponde bene alla terapia con FANS, cortisonici, oppioidi e farmaci che bloccano lo ione Na+; 


. Viscerale: è causato dalla distensione dei visceri ed è descritto come dolore crampiforme, non chiaramente localizzato, irradiato, diffuso e profondo. Ne sono esempio le coliti e le cistiti. Può essere trattato con FANS selettivi e non, antagonisti parziali agonisti dei recettori 5-HT4 (serotoninergici) e antispatici;

(12)

spontaneo, da ipersensibilità, iperalgesia e allodinia, associato a lesione tessutale e a flogosi; risponde prevalentemente all’uso di steroidi e coxib.

2.3 Il dolore cronico neuropatico

Il dolore neuropatico, secondo la definizione IASP, è “un dolore determinato da una lesione o da una malattia del sistema nervoso somatosensoriale”, ovvero delle fibre sensitive afferenti che portano il segnale dalla periferia (organi/tessuti) al sistema nervoso centrale, che rielabora tali impulsi. Il dolore si avverte anche se non esiste un input nocicettivo. Esso è generalmente di elevata intensità e non proporzionale allo stimolo algogeno ed è urente, talora acuto o improvviso, persistente o refrattario, spesso invalidante.

Il meccanismo che permette l’instaurarsi ed il mantenimento di questo tipo di dolore è

molto complesso e non del tutto chiaro.

Sembra che i nervi danneggiati diventino in qualche modo ipereccitabili e cambino la loro forma e funzione, provocando una modifica dell’organizzazione di quella parte del midollo spinale che accoglie i segnali dal SNP e li veicola al cervello, ove peraltro pare si

riscontrino modificazioni simili.

Di conseguenza, tutto il sistema deputato alla ricezione, alla trasmissione e all’interpretazione degli stimoli avvertiti dal nostro organismo (che siano di tipo sensoriale o doloroso), smette di funzionare correttamente.

I canali del Na+ si sono dimostrati attivi, non solo nella generazione, ma anche nella propagazione di potenziali d’azione aberranti nel tessuto nervoso danneggiato (17), come dimostrato dalle proprietà̀ analgesiche degli inibitori dei canali del Na+, quali la carbamazepina, la lidocaina, la lamotrigina, il topiramato, di molti antidepressivi tri- ciclici e di nuove classi di benzodiazepine.

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indicato dal meccanismo d’azione della gabapentina, che agisce regolando l’afflusso intracellulare del calcio e svolgendo un meccanismo di antagonismo sui recettori NMDA. La sintomatologia non sembra dipendere dal tipo e dalla sede della lesione, ma piuttosto dai meccanismi fisiopatologici che insorgono sia a livello dei tessuti somatosensoriali sia all’interno del sistema nervoso periferico e centrale. Per tale motivo, nelle più recenti classificazioni, il dolore neuropatico viene considerato una vera e propria malattia, in cui non sono più rintracciabili i legami fra lesione e dolore (18).

Rappresenta circa il 20% delle sindromi dolorose, complessivamente intese, con una prevalenza stimata dell’1,5%, ma la sua reale incidenza è resa difficoltosa dalla distinzione con le altre forme di dolore cronico, di cui rappresenta una percentuale significativa, per le non infrequenti sovrapposizioni sindromiche.

Il dolore neuropatico si presenta con una varietà di sintomi negativi e positivi. I sintomi positivi possono essere:

- motori (miochimia, fascicolazione, distonia)

- sensitivi (parestesia, disestesia, allodinia, iperestesia, dolore, fotopsia, tinnito) - autonomici (vasocostrizione, iperidrosi, piloerezione)

Quelli negativi, allo stesso modo, possono essere distinti in:

- motori (paresi e paralisi)

- sensitivi (ipoestesia, ipoalgesia, anosmia, amaurosi, debolezza)

- autonomici (vasodilatazione ipo/anidrosi, deficit della piloerezione).

I criteri diagnostici del dolore neuropatico si fondano sulla semiotica e sulla metodologia neurologica.

Generalmente, il dolore neuropatico, presenta una localizzazione plausibile in relazione alla struttura del sistema somatosensoriale malfunzionante. Se si pensa, ad esempio, che l’alterazione di funzione coinvolga un nervo terminale, i sintomi devono essere limitati

(14)

all’area di innervazione del nervo stesso.

Si utilizzano, quindi, criteri topografici supportati dal sospetto clinico di lesione nervosa, confermati dall’esame clinico-strumentale e/o dagli accertamenti che consentono di formulare la diagnosi di malattia o di lesione del sistema nervoso.

Esistono, infine, divere scale validate per identificare pazienti con sintomatologia dolorosa di origine neuropatica:

• LANSS and S-LANSS

• Neuropathic Pain Questionnaire • DN4

• ID Pain • PainDetect

Queste scale sono poco specifiche, ma importanti per valutare le componenti sensoriali e affettive del dolore, per comprendere le conseguenze sulla qualità della vita e per misurare l’efficacia terapeutica.

In questo lavoro viene utilizzato il questionario DN4 (Allegato B), sviluppato e validato in Francia e tradotto in altre lingue. Esso è stato testato in 160 pazienti con dolore sia neuropatico che nocicettivo e consta di 7 items collegati ai sintomi e 3 collegati all’esame clinico. Tale questionario è facilmente compilabile e un punteggio totale di almeno 4 su 10 suggerisce presenza di dolore neuropatico. Il DN4 mostra una sensibilità del 83% e una specificità del 90%, quando è comparato con la diagnosi clinica.

Tre esempi classici di dolore neuropatico sono:

1) la nevralgia del trigemino, riferita come scarica elettrica a livello di uno dei tre dermatomeri V1, V2, o V3, è altamente invalidante, se non trattata. È associata a compressione del nervo nella zona d’entrata, non infrequentemente da parte di un vaso anomalo, con aspetti talora demielinizzanti (19)

2) la neuropatia diabetica, avvertita come dolore urente, bilaterale, a livello dei piedi, per la maggiore vulnerabilità degli assoni più lunghi, è associata paradossalmente

(15)

a ridotta sensibilità al dolore (20).

3) la nevralgia post-herpetica, che è un esempio di come il dolore possa seguire un’infezione, data dalla riattivazione di un virus herpes zoster e dalla sua localizza- zione a livello di un ganglio dorsale. Il dolore persiste oltre la risoluzione dell’eruzione vescicolare a livello dei dermatomeri di uno o più nervi spinali.

2.4 Dolore neuropatico localizzato

Nell’ottica di una sempre maggiore accuratezza diagnostica, nel campo del dolore neuropatico periferico, così come definito dalle linee guida (21), è stato negli ultimi anni suggerito anche uno specifico sottogruppo di sindrome dolorosa cronica, definito come dolore neuropatico localizzato (localized neuropathic pain, LNP), ovvero “un tipo di

dolore neuropatico caratterizzato da una o più aree costanti e circoscritte di massimo dolore, associate a segni sensoriali negativi o positivi e/o sintomi spontanei caratteristici del dolore neuropatico” (22). Tale “nuova” classificazione tassonomica delinea

un’importante entità nosologica, che purtroppo, nonostante la gravità del problema clinico, molto spesso viene parzialmente non considerata perché localizzata in una “piccola” area del corpo, non superiore alle dimensioni di un foglio A4).

2.5 Misurazione dell’intensità del dolore

Non è semplice valutare l’intensità del dolore, essendo quest’ultimo un’esperienza complessa, che coinvolge più sfaccettature dell’essere umano.

Esistono, tuttavia, diverse scale che misurano l’intensità del dolore, al fine di guidare l’azione terapeutica e renderla più adeguata. Queste possono essere “unidimensionali” o “multidimensionali”.

(16)

questo ha sulle attività̀ quotidiane, la funzionalità̀, lo stato psicologico –cognitivo e affettivo del paziente. Per tale motivo ha più rilevanza l’utilizzo dei questionari multidimensionali.

Le più comuni scale soggettive unidimensionali per la valutazione dell’intensità del dolore sono la scala visuo-analogica (VAS), la Numeric Rating Scale (NRS) e la Verbal Rating Scale (VRS). Queste scale danno risultati sovrapponibili e vengono considerate equivalenti.

La scala VAS (figura 2) è una scala rappresentata da una riga di 10 cm, nella quale al “punto 0” corrisponde “dolore assente”, al “punto 10” il “massimo dolore possibile”. Il paziente deve segnare lungo la linea una X in base all’intensità del suo dolore. Successivamente viene misurata con un righello la distanza dal punto più basso della scala. Tale scala però non è di facile comprensione soprattutto per pazienti anziani e con un basso livello di cultura. Si considera che il 7-11% dei pazienti giovani e circa il 25% di quelli anziani non comprendano la scala VAS.

La scala NRS (figura 3) è una scala numerica che va da 0 a 10, corrispondenti rispettivamente all’assenza di dolore e alla presenza di dolore massimo. Può essere presentata al paziente con una semplice domanda: ”su una scala da 0 a 10, dove 0 è assenza completa di dolore e 10 il massimo dolore che lei abbia provato, che valore ha adesso il suo dolore?”. Un valore che va da 7 a 10 è un’emergenza da trattare immediatamente, un valore di 5-6 è di moderata entità e valori da 0 a 4 è considerato un dolore lieve e sopportabile. Questa scala è di facile impiego e di buona comprensione da parte dei pazienti, infatti solo il 2% ha difficoltà a farne uso e buona parte preferisce questa rispetto alla scala VAS.

La scala VRS è una scala caratterizzata da aggettivi per descrivere l’intensità del dolore: “nessuno, medio, moderato, forte”. È veloce e di facile impiego ma non sempre valuta esattamente l’intensità del sintomo dato che, con gli aggettivi utilizzati, non crea una scala omogenea. Non risulta idonea alla valutazione, in quanto la distanza di valore fra il primo

(17)

termine e il secondo è maggiore della distanza relativa fra i termini successivi caratterizzando una scala di valori non lineare. Si nota un miglioramento dell’efficienza di tale scala se si utilizzano almeno 6 termini, di minor distanza relativa.

I questionari multidimensionali, invece, sono rappresentati dal McGill Pain Questionnaire(MPQ) e il Brief Pain inventory (BPI).

Il MPQ è stato realizzato da Melzack nel 1975 ed è costituito da 78 descrittori del dolore che comprendono tre dimensioni: sensoriale, affettiva, valutativa e venti sottoclassi con aggettivi in ordine di intensità crescente. Il paziente deve scegliere un descrittore per ogni sottogruppo e descrivere anche l’intensità del dolore attuale secondo una scala numerico-verbale. Si possono ottenere 4 tipi di punteggi:

- PPI (present pain index): descrive l’intensità del dolore presente sulla scala numerico-verbale

- NWC (number of Words Chosen): numero di descrittori che il paziente sceglie - PRIr ( pain rating index): indica l’ordine in cui il paziente sceglie i descrittori nelle

sottoclassi

- PRIs (pain rating index): indica la somma dei punteggi attribuiti ai descrittori scelti dal paziente.

Il Brief Pain Inventory si basa su scale da 0 a 10 che misurano l’intensità del dolore e la sua interferenza con le abituali attività (7 aree di attività psicosociali e fisiche). Deve essere valutato il dolore peggiore, minimo e medio riferiti nelle ultime 24 ore e il dolore attuale. Vi sono anche scale del sollievo con la percentuale da 0 al 100%. Questo test è stato tradotto in varie lingue e sono state valutate la sua affidabilità e validità anche nelle versioni tradotte.

Sono stati valutati varie modifiche sulla scala VAS e NRS del dolore corrispondente ad un significativo o minimo o moderato miglioramento. Ferrar ed al. hanno concluso che nei pazienti con dolore cronico oncologico e non, una riduzione del 30-33% del dolore

(18)

corrisponde ad un significativo miglioramento.

2.6 Terapia del dolore cronico: farmacologica ed intervetistica

L’obiettivo della terapia del dolore è quello di modificare la sorgente del dolore, alterare la sua percezione e bloccare la sua trasmissione nel sistema nervoso.

Secondo la Legge 38/2010 Art. 2 (23), per terapia del dolore di intende: “...terapia del

dolore»: l’insieme di interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore...”

Essa comprende trattamenti farmacologici (24)e non farmacologici, a volte utilizzati in combinazione (25). I pazienti che non rispondono ai trattamenti conservativi, dove il dolore ha un elevato impatto sul peggioramento della qualità di vita, possono essere suscettibili a trattamenti invasivi (26).

Le tecniche interventistiche sono numerose, e consistono in iniezioni dei punti trigger, iniezioni ai ligamenti, iniezioni intra-articolari, epidurali, blocchi delle faccette articolari, procedure di neurolisi.

Il trattamento più comunemente usato per il controllo del dolore è sicuramente quello farmacologico, indicato a tutti i livelli di intensità del dolore (27).

Il range di sostanze utilizzate è molto ampio e complesso, e possono essere assunti per forme diverse, quali per via enterale (a rilascio veloce e lento, specie per gli oppiacei) o parenterale, per mucosa (spray nasali), per via topica (unguenti, liquidi), via transdermica, o utilizzando presidi più complessi, quali ad esempio pompe antalgiche controllati dal paziente (PCA) (28).

La scelta dei medicamenti si basa soprattutto sulla origine o natura del dolore (nocicettivo versus neuropatico), sulla sua durata, severità ed evoluzione, sulla storia

(19)

farmacologica del paziente ed eventuali controindicazioni (29). I trattamenti farmacologici possono essere suddivisi in 4 classi (30):

. Farmaci analgesici che agiscono direttamente sul meccanismo che genera il dolore di origine centrale o periferico; 


. Farmaci psicotropi che afferiscono alle componenti motivazionali-affettive: alcuni di questi hanno la capacità di agire sulla nocicezione o/e sui meccanismi discendenti inibitori. Gli aspetti motivazionali-affettivi sono da considerare oltre a quelli fisiologici nel trattamento del dolore. Infatti molti pazienti affetti da molti anni da dolore cronico, mostrano sintomi di depressione che ostacola la valutazione oggettiva dell’origine del dolore stesso. Il dolore inizialmente causa depressione, crea un deterioramento dello stato mentale del paziente, che incrementa la stessa sintomatologia algica in un meccanismo vizioso senza fine, con una forte associazione tra dolore cronico e cambiamento dei fattori psicologici, con significative differenze di genere (31). 


. Farmaci con azione specifica, esempio gli anticonvulsivanti nel dolore neurogenico; 


. Farmaci adiuvanti, che non hanno un effetto intrinseco analgesico, ma che hanno 
effetti indiretti, come ad esempio gli antispastici.
Si ricorda che nelle condizioni di dolore cronico, l’eliminazione dell’agente causale è raramente possibile, ed il trattamento sintomatico è spesso il migliore obiettivo da poter raggiungere. 


Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), prima riferite alla gestione del dolore oncologico cronico, e poi estese anche al dolore cronico di tipo non oncologico, sono basate su un approccio terapeutico sequenziale, che naturalmente deve essere adattato alle esigenze di ogni singolo paziente.

(20)

- STEP 1: dolore lieve (VAS da 1-4): è suggerito trattamento con FANS o paracetamolo ± adiuvanti

- STEP 2: Dolore di grado lieve-moderato (VAS 5-6): è suggerito trattamento con oppioidi deboli ± FANS o paracetamolo ± adiuvanti

- STEP 3: Dolore grave o da moderato a grave (VAS 7-10): è suggerito trattamento con oppioidi forti ± FANS o paracetamolo ± adiuvanti

La scala fornisce una strategia per alleviare il dolore, che sfrutta l’utilizzo di farmaci con crescente potenza analgesica, in base all’intensità del dolore riferita dal paziente. Ad essi si possono aggiungere i farmaci adiuvanti che comprendono sostanze che possono migliorare l’analgesia o controllare gli effetti collaterali.

Attualmente l’algoritmo di riferimento è rappresentato dalla piramide della World Health

Organization (Figura 4) che deriva dalla storica scala dell’OMS tramite integrazione delle

tecniche invasive di neuromodulazione spinale e di neurolesione.

L’utilizzo delle suddette classi di farmaci, tuttavia, è accompagnato da noti effetti collaterali che spaziano dalla comparsa di ulcere gastriche e sanguinamenti per i FANS a fenomeni di tolleranza, dipendenza e depressione respiratoria per gli analgesici oppioidi. Oltre a questo bisogna considerare che, soprattutto chi soffre di dolore neuropatico, raramente risponde ai FANS, ed è molto comune l’insorgenza di resistenza agli analgesici oppioidi. Di conseguenza la terapia farmacologica, in particolare per il dolore neuropatico, risulta spesso inadeguata e difficoltosa.

Ci sono altre importanti classi di farmaci utilizzati principalmente in casi di dolore neuropatico: gli antidepressivi triciclici e gli antiepilettici, la cui azione viene ricondotta, rispettivamente, all’aumento del tono serotoninergico e adrenergico delle vie discendenti inibitorie e al blocco dei canali Na+ e Ca++ dipendenti. Purtroppo anche questi farmaci sono caratterizzati da effetti avversi che spesso ne limitano l’utilizzo (ad esempio effetti anticolinergici come disturbi urinari, o effetti a livello cardiaco per gli antidepressivi; fenomeni di sedazione e vertigini per gli antiepilettici).

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Quando gli effetti collaterali prevalgono sull’analgesia o quando il dolore non è più controllato, per gli oppiodi, si passa al quarto gradino della piraminde: lo switching. Esso può essere effettuato tra oppioidi della medesima potenza analgesica, tra oppioidi deboli e forti (Figura 5), tra forme farmaceutiche e vie di somministrazione diverse (Figura 6). Quando, infine, anche lo switching non è più sufficiente a coprire il dolore senza produrre intollerabili effetti collaterali, si può ricorrere al trattamento invasivo.

La tecnica più semplice e più utilizzata è l’infiltrazione di farmaci, quali anestetici locali e/o steroidi a vari livelli:

- trigger point

- blocchi nervosi periferici - intrarticolare

- epidurale

- faccette articolari della colonna vertebrale

Opzioni più complesse sono quelle della “neuromodulazione invasiva”. Questa può essere ottenuta per farmacologicamente o mediante neurostimolazione.

La neuromodulazione farmacologica si avvale della somministrazione di farmaci a livello intratecale, tramite un catetere connesso ad una pompa, a sua volta impiantata sottocute. Il farmaco oltrepassa la barriera emato-encefalica, raggiungendo direttamente il liquor cefalorachidiano. La minore concentrazione plasmatica di farmaco fa si che diminuiscano gli effetti sistemici e la probabilità di sviluppare malattie iatrogene. È indicata nel dolore oncologico, nel dolore cronico non oncologico, nella spasticità. I farmaci utilizzati sono: oppiodi, ziconotide, baclofen, clonidina, anestetici locali.

La neurostimolazione comprende diverse metodiche più o meno invasive.

La tecnica più invasiva è la “spinal cord stimulation” (SCS). si effettua mediante impianto di elettro-cateteri a livello di specifiche aree nello spazio epidurale, a livello dei nervi periferici o a livello sottocutaneo. Gli elettrodi sono collegati ad un

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neurostimolatore, impiantato nella regione addominale destra o sinistra.

La Pheripheral Nerve Stimulation (PNS), applica la neuromodulazione a livello del nervo periferico, mediante impianto di un elettrodo, similmente alla SCS.

La Radiofrequenza (RF), invece, è un trattamento estemporaneo e si distingue in radiofrequenza continua e pulsata. La radiofrequenza continua utilizza il calore prodotto dalla corrente continua e l’attrito a livello della punta non isolata dell’ago, arrivando ad una temperatura superiore ai 42° C con un’azione di tipo lesivo sul nervo stesso. A differenza di questa, la radiofrequenza pulsata fornisce corrente elettromagnetica ad alta intensità in impulsi alternati (spike di 20 msec, alternati a pause di 0,5 sec.), in maniera tale da dissipare, durante il periodo silente, il calore evitando il raggiungimento di temperature neurolesive. La RF non termolesiva può essere applicata in qualsiasi punto del SNC o SNP, purché le vie nervose siano integre, per il trattamento del dolore neuropatico.

La Percutaneous Nerve Stimulation (PENS) è la tecnica meno invasiva. È il trattamento utilizzato nel nostro studio per i pazienti con nevralgia del trigemino e sarà approfondita nel capitolo 3.

2.7 Terapia del dolore neuropatico

I diversi siti del sistema nervoso in cui l’ipereccitabilità neuronale si sviluppa non solo sono focolai per lo sviluppo del dolore, ma rappresentano anche potenziali bersagli per la modulazione del dolore, riducendo l’ipereccitabilità neuronale.

Se la farmacoterapia rimane una modalità importante per il trattamento del dolore neuropatico, i farmaci attuali utilizzati nella monoterapia sono spesso associati con limitata efficacia e con effetti collaterali dose-correlati. La combinazione di due o più farmaci diversi può migliorare l'efficacia analgesica, e in alcuni casi ridurre gli effetti collaterali generali (interazioni sinergiche). La pubblicazione di molteplici studi di alta

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qualità, in una revisione sistematica, suggerisce la superiorità di alcune combinazioni di farmaci (generalmente due), ampiamente utilizzati nella pratica clinica, rispetto alla monoterapia (32).

La gestione del dolore neuropatico può prevedere un trattamento sintomatico, mediante l’uso di farmaci analgesici in grado di agire sul sintomo in maniera aspecifica, ed un trattamento basato sul meccanismo fisiopatologico che genera il dolore, obiettivo della ricerca moderna, non sempre di facile da raggiungimento (33).

I trattamenti del dolore neuropatico si avvalgono di una serie di classi farmacologiche che prevede l’uso singolo o combinato di antidepressivi, anticonvulsivanti, oppiacei, antagonisti del NDMA (N-Metil-D-Acido Aspartico), agenti topici (lidocaina, capsacina), botulino (34).

L’ amitriptilina è un antidepressivo triciclico ampiamente usato nel trattamento del dolore neuropatico cronico e nella fibromialgia, ed è consigliato in molte linee guida. È stato uno dei trattamenti di prima linea per il dolore neuropatico per molti anni. Una revisione sistematica, però, descrive che il suo uso non è supportato da alcuna evidenza, ed il suo effetto benefico è deludente. L’uso dell’amitriptilina probabilmente dà veramente un buon sollievo dal dolore per alcuni pazienti con dolore neuropatico o con fibromialgia, ma solo ad una minoranza di essi. Informazioni limitate suggeriscono che il fallimento con un antidepressivo, non significa che essi possano fallire tutti nel trattamento del dolore neuropatico (35).

Altro antidepressivo utilizzato è la duloxetina, appartenente alla classe degli antidepressivi serotoninergici. Esso è stato approvato per il trattamento di alcune condizione di dolore cronico neuropatico, quali la neuropatia diabetica, e la fibromialgia (36). Vi è moderata forte evidenza che duloxetina sia efficace nel trattamento del dolore nella neuropatia diabetica periferica e nella fibromialgia. Gli effetti collaterali a dosi terapeutiche sono rari (37).

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Tra gli anticonvulsivanti si annoverano la carbamazepina, il pregabalin, il

clonazepam.

Gli antipsicotici (neurolettici) di nuova generazione sono farmaci utilizzati in diverse condizioni dolorose croniche (fibromialgia e neuropatia diabetica). Una revisione sistematica proveniente da cinque RCT a doppio cieco ha mostrato effetti benefici degli antipsicotici nel trattamento del dolore acuto e cronico. Tuttavia, gli effetti collaterali extrapiramidali e sedativi devono essere considerati prima di utilizzare gli antipsicotici (38).

L'uso di oppioidi per il dolore cronico benigno si è diffuso nel 1980 (39) e ha portato ad un dibattito ancora in corso in molti Paesi tra la comunità medica, con punti di vista discordanti per le indicazioni d’uso (40,41).

Per gli oppioidi bisogna considerare due importanti aspetti: la dipendenza fisica e la tolleranza. L’uso cronico degli oppiacei è sicuro quando sono correttamente prescritti e sono monitorati gli effetti, minimizzando il rischio di dipendenza ed abusi (42). Molti pazienti interrompono la terapia con oppioidi a lungo termine (in particolare oppioidi orali) a causa di eventi avversi o insufficiente efficacia terapeutica. Gli eventi avversi più comuni sono nausea, cefalea, prurito. Possono indurre anche alterazione del sonno e, a tal proposito, è stato ipotizzato che gli oppioidi a rilascio prolungato possono essere una alternativa agli oppioidi a rilascio immediato. Tuttavia non è possibile trarre conclusioni (43).

Gli oppiacei sono raccomandati per il trattamento del dolore neuropatico dalle linee guida internazionali, generalmente come trattamenti di seconda linea che può essere considerato per uso di prima linea, in particolare circostanze cliniche (44).

La brupenorfina ha tra le sue peculiarità quella di avere un marcato effetto anti- iperlgesico, che potrebbe indicare potenziali vantaggi nel trattamento del dolore neuropatico, oltre a limitate azioni sul sistema ormonale e immunitario. Il suo uso per

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via transdermica sembra dimostrare efficacia nel dolore neuropatico (neuropatia diabetica, e la nevralgia post-erpetica) (45).

Altro oppiaceo utile nel dolore neuropatico è il tapentadolo, che sembra avere efficacia simile all’ossicodone (46). Il tapentadolo ha una azione centrale con un meccanismo di azione complementare: agisce sui recettori μ-oppioidi, e l'inibizione della ricaptazione della noradrenalina (con aumento dei livelli di noradrenalina alla giunzione sinaptica e attivazione dei recettori alfa-2 a livello della membrana post-sinapitica). La prima azione gli conferisce una efficacia nel dolore acuto, la seconda via sembra essere efficace per il trattamento del dolore cronico. È considerato un oppioide forte, ma al confronto con gli altri oppiacei forti è un oppioide debole, in quanto ha una bassa affinità ai recettori degli oppiacei. La sua azione combinata e sinergica, gli conferisce la proprietà di ridurre gli effetti collaterali in termini di incidenza e severità, quali vomito, nausea e soprattutto la stispi. Esso sembra avere una maggiore efficacia nel dolore neuropatico, rispetto ad altri tipi di dolore (47, 48) e possiede anche una significativa inibizione della iperalgesia a dosaggi inferiori a quelli richiesti per l’antinocicezione (49). Esperti hanno dichiarato che il tapentadolo può essere utilizzato per la gestione del dolore da moderato a grave in varie indicazioni di dolore acuto e cronico, grazie al suo approccio analgesico multimodale (50).

Tra gli oppiacei, poi, si annovera l’idromorfone. Le limitate evidenze disponibili, in contrapposizione ad altri, non dimostrano alcuna differenza clinicamente significativa tra idromorfone e altri oppioidi forti, come la morfina (51). In termini di efficacia analgesica e tollerabilità, l’idromorfone si comporta come gli altri oppioidi forti. Per quanto la morfina è stata descritta come il gold standard per la gestione del dolore cronico da cancro moderato- severo (52), tale affermazione sembra essere smentita da studi più recenti, in quanto non viene descritta nessuna chiara superiorità in termini di efficacia e di tollerabilità rispetto ad altri oppiacei (53).

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Il metadone, infine, è considerato una pietra miliare del trattamento del dolore per moderato-grave, ma l’uso nel dolore cronico non oncologico è controverso. In una revisione sistematica i pochi studi inclusi hanno fornito prove di efficacia limitate (54). Quando il controllo del dolore è insufficiente oppure quando si presentano effetti collaterali difficili da gestire, dovrebbe essere considerata la rotazione degli oppiodi (Figura 5 e 6). Le tavole equi-analgesiche possono essere utilizzate come guida per sostenere una sicura rotazione degli oppioidi (55).

Altre opzione per il trattamento del dolore neuropatico sono farmaci ad uso topico, quali la lidocaina cerotto 5% e la capsaicina patch 8% (56). La capsaicina è un agonista altamente selettivo del recettore TRPV1, espresso nei nocicettori. La prolungata o ripetuta applicazione della capsaicina porta ad una riduzione della capacità di trasmettere lo stimolo nocicettivo. La defunzionalizzazione farmacologica ottenuta mediante capsaicina ad alto dosaggio, induce una recessione dei nocicettori dell’epidermide, facendo si che si riduca la risposa anomala della fibra nervosa. Le alte concentrazione di capsaicina topica trovano indicazione per il trattamento della nevralgia posterpetica e neuropatia da HIV. Un limite di questo trattamento è quello di essere costoso, ancora poco diffuso in Italia. Lidociana cerotto 5% verrà trattato nel capitolo 4.

Anche la Cannabis si sta dimostrando una valida alternativa nella terapia del dolore cronico, anche neuropatico. In particolare, in Toscana da maggio 2012 ne è consentito l’uso a scopo terapeutico con distribuzione tramite le farmacie ospedaliere e le unità sanitarie locali. Essa presenta un effetto antinocicettivo centrale ed uno periferico. Il primo si esplica attraverso un innalzamento della soglia dolorifica sia a livello centrale (mediante il potenziamento del GABA e inibizione del glutammato) che a livello spinale (promuovendo il rilascio di oppiodi nel sistema discendente di controllo del dolore). Il secondo effetto è mediato dall'inibizione del rilascio di sostanze algogene

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proinfiammatorie da parte delle cellule del sistema immunitario. Abbiamo poi le procedure invasive, descritte nel paragrafo 2.6.

Per quanto concerne l’uso delle Medicine Alternative e Complementari (CAM), nel trattamenti del dolore neuropatico si accenna ad uno studio recente, in cui una applicazione di CAM multiforme (agopuntura, erbe cinesi, integrate a meditazione e terapia iniettiva a base di procaina 1% usata sia per via intradermica che sottocutanea) sembri essere un approccio efficace nel ridurre rapidamente il dolore e migliorare la qualità della salute dei soggetti affetti da dolore persistente da nevralgia post-Herpetica moderato- grave (57). Approcci mente-corpo sono di interesse perché, coinvolgono gli aspetti cognitivi (per esempio, focalizzando l'attenzione in meditazione) ed i fattori emotivi. Una recente review ha evidenziato una crescente evidenza sulla capacità de queste pratiche sulla riduzione del dolore sia acuto che cronico, in quanto in grado di aiutare i cambiamenti cerebrali associati al dolore cronico e possono avere effetti protettivi. Infatti sembra che il dolore cronico può alterare il funzionamento e l'integrità anatomica delle varie regioni cerebrali, con conseguente perdita accelerata di materia grigia, aumento della sensibilità ai segnali algogeni, ridotta capacità encefaliche a rilasciare analgesici endogeni, con conseguenti cambiamenti emotivi (come i disturbi d'ansia e depressione) e deficit cognitivi (58).

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3.1 Cenni storici

L'applicazione dell'elettricità per il trattamento del dolore risale a migliaia di anni a.C. Gli antichi egizi e in seguito i Greci e i Romani riconobbero che i pesci elettrici sono in grado di generare scosse elettriche, capaci di alleviare il dolore. Nel XVIII e XIX secolo questi produttori di energia naturale furono sostituiti da dispositivi elettrici creati dall'uomo (Franklinismo, Galvanismo, Faradismo).

Il diciannovesimo secolo fu "l'età dell'oro" per l'elettroterapia, che veniva utilizzata per innumerevoli disturbi dentali, neurologici, psichiatrici e ginecologici. Tuttavia, all'inizio del 20° secolo l’uso dell'elettroterapia subì un forte declino. Fu respinto perché privo di una base scientifica e usato anche da ciarlatani per scopi poco seri. Inoltre, lo sviluppo di farmaci analgesici efficaci provocò una riduzione dell'interesse per l'elettricità.

Nella seconda metà del 20° secolo l'elettroterapia ha subito un risveglio. Sulla base di esperimenti su animali e indagini cliniche, i suoi meccanismi neurofisiologici sono stati chiariti in maggior dettaglio. L'azione antidolorifica dell'elettricità è stata spiegata in particolare da due meccanismi principali: primo, inibizione segmentale dei segnali del dolore al cervello nel corno dorsale del midollo spinale e secondo, attivazione della via inibitoria discendente con rilascio potenziato di oppioidi endogeni e altri composti neurochimici (serotonina, noradrenalina, acido gamma aminobutirrico (GABA), acetilcolina e adenosina). La moderna elettroterapia del dolore neuromusculo-scheletrico si basa in particolare sui seguenti tipi: stimolazione elettrica transcutanea del nervo (TENS), stimolazione elettrica del nervo percutaneo (PENS) e stimolazione del midollo spinale (SCS) (59).

3.2 PENS therapy

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gli impulsi elettrici delle fibre nervose legate al dolore (in particolar modo alle fibre C e fibre A delta). Questa interazione determina delle modificazioni della trasmissione dell’impulso doloroso, migliorando così la sintomatologia.

Come detto in precedenza, è stato ipotizzato un duplice meccanismo d’azione per l’effetto antalgica della PENS: uno riguarda l’inibizione della trasmissione del segnale doloroso al cervello (“gate control theory”); l’altro, invece, riguarda la stimolazione del rilascio di oppioidi endogeni da parte della corrente elettrica.

È una tecnica poco invasiva, che si esegue mediante una sonda, costituita da un ago elettrodo di 21 gauge, inserito per via percutanea vicino al nervo target o nel dermatomero affetto, ad una profondità di 0,5-3 cm. La sonda viene collegata al dispositivo neurostimolatore e viene avviato un test con il programma di stimolazione sensitiva a 100 Hz con intensità 0,2 V. Subito dopo aver ottenuto la parestesia lungo il percorso nervoso, viene fatto partire il trattamento. Generalmente viene applicata una stimolazione alternata, con frequenza degli impulsi 2 Hz - 100 Hz, cambiati automaticamente ogni 3 secondi. L'intensità della stimolazione potrebbe essere cambiata in base alla percezione del paziente, in modo che non risulti dolorosa o fastidiosa. Il trattamento dura dai 15 ai 60 minuti. Alla fine della stimolazione elettrica la sonda viene rimossa.

La stimolazione con impulso a bassa frequenza (2 Hz) induce il rilascio di encefaline, mentre quella con impulso ad altra frequenza (100 Hz) induce il rilascio di dinorfina. Quindi l’effetto analgesico a 2Hz potrebbe essere indotto dall’azione sui recettori mu e

delta, mentre quello a 100 Hz attraverso i recettori kappa. Pertanto, l’alternanza tra 2 e

100 Hz è considerata più efficace rispetto ad una corrente costante ad alta o bassa frequenza.

Il trattamento PENS, quando ben eseguito, permette di avere immediato sollievo dal dolore. Presupposto fondamentale per raggiungere tale obiettivo è l’individuazione di corretti trigger points al fine di posizionare correttamente la sonda ed applicare la corrente direttamente sul nervo periferico. A tale scopo, il test pre-trattamento, effettuato con

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stimolazione sensitiva è fondamentale per verificare il corretto posizionamento dell’ago, mediante l’evocazione della parestesia (60).

I vantaggi di questa tecnica sono chiari:

- scarsa invasività - velocità

- ripetibilità

- sicurezza (bassi rischi associati).

Alcuni campi di impiego sono:

- nevralgia occipitale - nevralgia del trigemino - dolore neuropatico al torace - dolore del moncone

- dolore neuropatico post- operatorio.

Le controindicazioni sono:

- infezioni sul sito di trattamento

- coagulopatie o terapie con anticoagulanti (INR>2) - disordini psichiatrici

- pace-maker o defibrillatori cardiaci impiantabili.

L’utilizzo della PENS therapy per il dolore neuropatico periferico è supportato da diversi studi in letteratura.

Masataka et al., in uno studio del 2004 (61), ne dimostra la maggiore efficacia nel Low Back Pain rispetto alla TENS (Transcutaneous Electrical Nerve Stimulation). Un analogo risultato è stato ottenuto in uno studio del 1999 di Ghoname (62), dove si evidenziava la maggiore efficacia della PENS, rispetto alla TENS, nel trattamento della sciatica.

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Uno studio del 1998 di Ahmed et al (63), ne dimostra invece l’utilità, in associazione agli oppiodi, nel trattamento delle metastasi ossee, nei pazienti terminali.

Un altro studio di Ahmed sempre del 1998 (64), invece, sostiene l’utilità della PENS nell’Herpes Zoster in fase acuta, aiutando a ridurre il dolore e favorendo la guarigione delle lesioni cutanee.

Un trial controllato (PENS “attiva” vs PENS “con solo ago”) randomizzato su 50 pazienti di Hamza et al. del 2000 (65), dimostra l’utilità della PENS nel trattamento della neuropatia diabetica. In particolare, lo studi conlcude che la PENS è un'efficace opzione terapeutica non che, oltre a diminuire il dolore agli arti, migliora l’attività fisica e la qualità del sonno, aumenta il senso di benessere, riduce il fabbisogno di analgesici orali.

Più recentemente (2011), Raphael et al. Hanno condotto, su 31 pazienti, uno studio randomizzato controllato, in doppio cieco, che ha evidenziato l’efficacia almeno a breve termine della PENS nel trattamento del dolore neuropatico. In questo caso, la PENS therapy è stata comparata con un “finto” trattamento, ottenuto mediante un apposito apparecchio (66).

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Come discusso nei precedenti capitoli, il dolore cornico neuropatico è particolarmente difficile da trattare, sia per la scarsa efficacia dei farmaci, sia per i frequenti effetti collaterali o eventi avversi da questi causati. È, inoltre, importante considerare che spesso la popolazione affetta da dolore neuropatico presenta diverse comorbilità e assume terapie di vario genere, che possono creare delle interazioni con i farmaci analgesici.

Proprio la considerazione di tali limitazioni, nel caso in cui il dolore neuropatico periferico sia “geograficamente” localizzato, porta a valutare la possibilità di trattamenti topici, tramite i quali il farmaco possa agire localmente sull’area interessata, eliminando quasi completamente la possibilità di interazioni farmacologiche sistemiche e/o tossicità sistemica.

Infatti la maggior parte delle linee guida internazionali (67) e le raccomandazioni per il trattamento del dolore neuropatico formulate dal Neuropathic Pain Special Interest Group dell’International Association for the Study of Pain (NeuPSIG IASP), suggeriscono di utilizzare lidocaina cerotto 5% come trattamento farmacologico di prima linea, in monoterapia o in combinazione con farmaci sistemici, in caso di dolore neuropatico periferico localizzato. In Italia è approvato per l’utilizzo di Lidocaina cerotto 5% nella neuropatia post-erpetica dal maggio 2013.

Tale farmaco è costituito da un supporto in polietilene tereftalato (PET) su cui è “caricato” un idrogel adesivo contenente lidocaina al 5% che viene rilasciata in modo costante. Il farmaco è rilasciato a livello topico nell’area di dolore, agendo sulle fibre sensoriali, prevalentemente A delta e C, stabilizzando il potenziale di membrana alterato dalla lesione neurologica. In tal modo si viene a modulare la scarica ectopica di tali fibre ottenendo analgesia non mediata da anestesia. Infatti, è dimostrato (68) che non vi è blocco delle fibre A beta e quindi non si ottiene con tale somministrazione anestesia tattile nell’area di applicazione del cerotto (assenza della sensazione di cute “anestetizzata” da parte del paziente). Proprio perché l’effetto farmacologico è ottenuto con tale meccanismo di stabilizzazione a lungo termine del potenziale di membrana delle fibre danneggiate, il

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cerotto viene applicato per periodi di 12 ore (12 ore applicato e 12 ore rimosso).

Il cerotto, inoltre, svolge un’azione analgesica legata all’“effetto protettivo”, riparando l’area allodinica dalla stimolazione cutanea.

La letteratura (69,70) ha ampiamente dimostrato l’efficacia, anche a lungo termine (71), di tale trattamento in molti trials su pazienti con dolore neuropatico localizzato, sia in confronto a placebo sia a pregabalin.

Si è confermato, inoltre, l’ottimo profilo di sicurezza dovuto al minimo assorbimento sistemico (sempre molto al di sotto delle concentrazioni aritmiche e tossiche plasmatiche), che determina l’assenza sia di effetti collaterali sistemici sia del possibile rischio di interazioni con eventuali farmaci concomitanti.

In conclusione, è opportuno sottolineare che, in un lavoro di Correa-Illanes et al. del 2012 (72), è stato dimostrato come in pazienti con neuropatia localizzata dopo intervento chirurgico, il trattamento con lidocaina cerotto 5% abbia non solo avuto l’effetto di ridurre l’intensità del dolore, ma sia riuscito anche a ridurre l’area di dolore (riduzione dell’area di iperalgesia primaria o secondaria). Sarà interessante valutare se tale dato potrà essere confermato anche in altre sindromi neuropatiche localizzate. Se così fosse, tale trattamento avrebbe non solo le caratteristiche di efficacia e sicurezza importanti per tutti i trattamenti delle patologie dolorose croniche, ma anche la proprietà di modificare il decorso della “malattia dolore” stessa.

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La nevralgia del trigemino (NT) è un disordine neuropatico del nervo trigemino che causa episodi di intenso dolore localizzato a occhi, labbra, naso, cuoio capelluto, fronte, aree cutanee esterne, dentatura e mucose interne della mascella e della mandibola (73). Rientra nelle sindromi dolorose neuropatiche localizzate.

Più frequente nella donna, con un picco di prevalenza nella sesta o settima decade, può essere idiopatica (ma per lo più dovuta alla compressione del tronco nervoso da parte di un va- so ectasico e tortuoso a livello dell’angolo ponto- cerebellare) o secondaria a una patologia compressiva o demielinizzante (e in questo caso si associano alterazioni della sensibilità facciale o del riflesso corneale) (74).

Si stima che circa una persona ogni 10.000 soffra di nevralgia del trigemino, anche se i numeri veri potrebbero essere significativamente maggiori per via delle diagnosi frequentemente errate. Generalmente si sviluppa dopo i 40 anni, con una maggiore incidenza dopo i 65.

Il nervo trigemino è il quinto nervo cranico, un nervo misto responsabile di veicolare informazioni sensoriali come il tatto, la sensibilità termica, la sensibilità nocicettiva. Inoltre è anche responsabile della funzione motoria dei muscoli masticatori (muscoli massetere, temporale e pterigoidei, coinvolti nella masticazione, ma non nell'espressione facciale propriamente detta). È costituito prevalentemente da fibre sensitive somatiche e da un piccolo contingente di fibre motorie. Questi due componenti emergono direttamente dal nevrasse come due radici distinte: la radice sensitiva, più voluminosa, laterale rispetto a quella motrice ed appiattita in senso anteroposteriore, mette capo al ganglio semilunare del Gasser; la radice motoria, più piccola, mediale rispetto a quella sensitiva, passa al di sotto del ganglio medesimo e si unisce alla terza branca trigeminale. Il ganglio del Gasser è posto nella fossa cranica media, all'apice della piramide del temporale, in un ripiegamento della dura madre chiamato cavo del Meckel. Dal Gasser le fibre sensitive afferiscono al tronco encefalico nei tre nuclei del trigemino:

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mesencefalico, pontino e discendente. Il Gasser dà origine alle tre branche trigeminali, il nervo oftalmico, il nervo mascellare e il nervo mandibolare (Figura 7).

Numerose teorie esistono per spiegare le possibili cause di questa sindrome dolorosa. Tra le cause strutturali, il danneggiamento della guaina mielinica altera la trasmissione degli impulsi elettrici, attivando regioni algogene o disattivando regioni inibitorie del dolore nel cervello. Il danno può essere causato da un conflitto vascolo-nervoso dovuto ad un anomalo decorso di un'arteria che comprime il nervo, più frequentemente nell'area della radice del nervo a livello intracranico cerebello-pontino. Spesso è stata citata come responsabile l'arteria cerebellare superiore, le cui continue pulsazioni causerebbero microtraumi alla guaina mielinica. In rari casi la causa può essere dovuta ad un aneurisma. Circa il 2-4% dei pazienti con NT, specialmente i più giovani, sono affetti da sclerosi multipla. La nevralgia del trigemino può anche essere causata da compressione da parte di una massa, come un tumore o una cisti aracnoidea nell'angolo cerebello-pontino, oppure da un evento traumatico. Frequentemente la nevralgia del trigemino è idiopatica.

La NT, clinicamente, è caratterizzata da episodi di dolore improvvisi, solitamente unilaterali, molto intensi, lancinanti e brevi, simili ad una scossa elettrica, nel territorio di innervazione di uno o più branche del nervo trigemino (73), talvolta innescati da attività comuni o dall'esposizione al freddo. È una patologia invalidante, in quanto semplici attività della vita quotidiana, come lavare il viso o i denti, mangiare e parlare, e la stimolazione dei punti trigger possono scatenare gli attacchi dolorosi di TN (75).

Dal punto di vista terapeutico, la NT è una condizione di dolore neuropatico localizzato, particolarmente difficile da trattare.

La carbamazepina è il farmaco di prima scelta nella terapia, ma presenta frequenti effetti collaterali, spesso non tollerabili, che portano il paziente ad interrompere il trattamento. Gli effetti avversi segnalati sono sonnolenza, vertigini, instabilità, iponatremia, nausea e vomito, reazioni di ipersensibilità (es. eruzione cutanea) e disturbi ematologici (anemia, leucopenia e trombocitopenia) (76,77).

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Altri farmaci usati per la NT includono altri anticonvulsivanti, baclofen, pimozide e tocainide (73).

La terapia farmacologica sistemica può essere, inoltre, associata ad infiltrazioni con anestetici locali, praticati nei punti di emersione delle tre branche.

I pazienti refrattari ai farmaci possono essere sottoposti a procedure chirurgiche, che includono:

• tecniche periferiche, sulle porzioni del nervo trigeminale distali al ganglio gasseriano

• la tecnica percutanea, in cui si agisce sul ganglio stesso

• la radiochirurgia a raggi gamma, mirata alla radice del trigemino • le tecniche di decompressione vascolare della fossa posteriore .

Le complicanze di queste procedure sono variabili, a seconda della tecnica. La perdita sensoriale nel territorio del nervo trigemino è molto frequente, e raramente i pazienti possono lamentare anche anestesia dolorosa o intorpidimento della cornea, con conseguente rischio di cheratite (73).

Un trattamento di prima scelta per il dolore neuropatico localizzato è il cerotto medicato lidocaina al 5%, commercializzato per nevralgia post-erpetica come Lidoderm in Nord America e come Versatis in Europa (75,78). La sua efficacia nella NT, però, è stata poco esplorata fino ad oggi. Sono stati pubblicati case reports che mostrano una riduzione della gravità del dolore e del numero di parossismi (78).

Altra opzione terapeutica è la neuromodulazione, attraverso la stimolazione nervosa periferica.

In letteratura esistono diversi studi e case report che mostrano l’efficacia della Peripheral nerve stimulation (PNS), con impianto di elettrodo sottocutaneo (79,80,81,82). Pochi sono invece gli studi che supportano l’uso della PENS therapy (60,79) nella nevralgia del trigemino, a differenza invece del suo utilizzo in altri tipi di dolore neuropatico, per il

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quale ci sono diversi studi che ne supportano l’utilizzo.

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6.1 Obiettivo dello studio

La nevralgia del trigemino rappresenta per il clinico una grande sfida terapeutica, data la scarsa efficacia e la forte incidenza di reazioni avverse dei farmaci sistemici utilizzati, nonché dei trattamenti invasivi.

Pertanto, dalla necessità di validare trattamenti alternativi, nasce questo studio che si propone di valutare l’efficacia, nel trattamento della nevralgia del trigemino di due trattamenti poco invasivi e gravati da scarsi effetti collaterali: la PENS Therapy e Lidocaina cerotto 5%.

L’efficacia della PENS Therapy viene valutata singolarmente o in associazione con Lidocaina cerotto 5%, al fine evidenziare un eventuale potenziamento dell’effetto analgesico.

6.2 Materiali e metodi

Nell’Unità di Terapia Antalgica e Cure Palliative dell’Azienda Ospedaliera Pisana sono stati studiati 45 pazienti con nevralgia del trigemino. La popolazione in esame è composta per il 73% da femmine (33 pazienti) e per il 27% da maschi (12 pazienti) ed ha un’età media di 67,4  15,0 anni.

Alla visita basale (T0), prima del trattamento, è stato somministrato un questionario

(Allegato A) per la raccolta dei seguenti dati: la sede, l’epoca di insorgenza e l’intensità

del dolore; la presenza e l’intensità dell’allodinia meccanica; il questionario DN4 (allegato B) per la definizione del dolore neuropatico; le eventuali terapie concomitanti; il grado di soddisfazione del paziente, attraverso la PGIC scale (Patients' Global Impression of Change). Con la PGIC scale, il paziente esprime il proprio grado di soddisfazione, indicando la percezione di cambiamento della propria condizione dopo l’inizio della terapia. Questa può essere indicata come “migliorata moltissimo, molto migliorata, minimamente migliorata, stazionaria, minimamente peggiorata, molto

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peggiorata, peggiorata moltissimo”. L’intensità del dolore e dell’allodinia sono stati valutati, invece, con la Numeric Rating Scale (NRS).

Le caratteristiche della popolazione studiata sono riassunti in tabella 1 e nella tabella 2. Secondo uno schema randomizzato, 21 pazienti sono stati trattati solo con PENS Therapy e 24 con PENS Thearpy in associazione a Lidocaina cerotto 5%.

Ogni paziente è stato poi ricontattato dopo 15 (T1), 30 (T4) e 45 (T5) giorni e sono stati rivalutati tutti i parametri.

Il trattamento PENS è stato eseguito in maniera standardizzata in tutti pazienti arruolati. Una sonda, costituita da un ago elettrodo di 21 gauge, è stata inserito per via percutanea, nell’area dolente, in prossimità del punto di emersione della branca trigeminale interessata, ad una profondità di 1 cm. La sonda è stata collegata al dispositivo neurostimolatore ed è stato avviato il programma di stimolazione sensitiva a 100 Hz con intensità 0,2 V. Subito dopo aver ottenuto la parestesia lungo il percorso nervoso, viene fatto partire il programma C con i seguenti parametri:

- frequenza degli impulsi 2 Hz - 100 Hz cambiati automaticamente ogni 3 secondi; - intensità di 0,5 V;

- durata della stimolazione 25 minuti per tutti i pazienti arruolati nello studio.

L'intensità della stimolazione è stata cambiata in base alla percezione del paziente, in modo che non fosse fastidiosa. Alla fine della stimolazione elettrica la sonda è stata rimossa e i pazienti sono stati tenuti sotto osservazione per 2 ore e poi dimessi.

Il confronto tra le medie dei valori ottenuti è stato analizzato mediante l’ANOVA, mentre l’analisi dei PGIC è stato utilizzato il Chi quadrato.

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Alla visita basale (T0), in tutti pazienti esaminati, la media dell’NRS per il dolore è di 7,4, quella dell’NRS per l’allodinia è di 4,5 e quella per il DN4 è di 4,5. Dopo 45 giorni (T5), queste passano rispettivamente a 4,8 (p<0.0001), 2,9 (p<0.0001) e 3,5 (p<0.0001). L’analisi dei dati, quindi, mostra un miglioramento, statisticamente significativo, della sintomatologia dopo 45 giorni (T5) in tutta la popolazione in esame (Figura 8).

L’analisi comparativa dei due gruppi, tuttavia, non ha mostrato differenze statisticamente significative per tutti i parametri presi in esame.

Il valore dell’NRS per il dolore, infatti, passa da 7,4 a 4,8 e da 7,3 a 4,7, rispettivamente nel gruppo 1 e nel gruppo 2, non evidenziando alcuna differenza statisticamente significativa fra le due metodiche di trattamento in esame (Figura 9).

Anche per gli altri due parametri, presi in esame, non è stata evidenziata alcuna differenza statisticamente significativa tra i due gruppi di pazienti, al controllo T5. Per l’allodinia, infatti, il valore NRS riscontrato in T0 è 4,3 e 4,7, nel gruppo 1 e nel gruppo 2 e passa in T5 a 2,4 e 3,3, rispettivamente (Figura 10). Il DN4, infine, passa da 4,2 a 3,1 nel gruppo 1 e da 4,6 a 3,7 nel gruppo 2 (Figura 11).

Per quanto riguarda l’analisi della PGIC scale (Figura12), al primo controllo dopo 15 giorni (T1), quest’ultima ha mostrato una maggiore percezione di miglioramento da parte dei pazienti trattati con PENS e Lidocaina 5% cerotto, rispetto a quelli trattati con sola PENS, con una differenza statisticamente significativa (p=.0046). Tale differenza si mantiene anche a 30 giorni (p= .012), ma non a 45 giorni dall’inizio del trattamento, dove la significatività statistica viene persa (p=.1156).

6.4 Discussione

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