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Nietzsche: storia e storicita'

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Academic year: 2021

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Indice

Avvertenza ... p. 2 Introduzione ... p. 4 1. Illusione, storia, vita ... p. 8 2. Teleologia e divinizzazione del successo ... p. 27 3. Filosofare storico, genealogia e nichilismo ... p. 50 4. La questione dell’eterno ritorno ... p. 83 Bibliografia ... p. 114

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Avvertenza

Per le citazioni e i rimandi alle opere di Nietzsche, quando non diversamente esplicitato, il riferimento è l’edizione italiana Colli-Montinari, Adelphi, Milano 1964 sgg. Le sigle nelle note sono quelle usate negli apparati dell’edizione critica. Per le opere il numero di pagina si riferisce al volume in cui è contenuta l’opera singola; per i frammenti postumi ai volumi dell’edizione critica complessiva. Nelle opere pubblicate il numero di pagina è preceduto dal numero (in cifre romane) o dal titolo del capitolo o della sezione a cui si rinvia. Quando si è utilizzato un volume che comprenda più di un’opera singola è stato segnalato sostituendo le indicazioni bibliografiche alla notazione in sigle.

AC = Der Antichrist = L’anticristo

BA = Ueber die Zukunft unserer Bildungsanstalten = Sull’avvenire delle nostre scuole CV = Fünf Vorreden zu fünf ungeschriebenen Büchern = Cinque prefazioni per cinque libri

mai scritti

DS = Unzeitgemäße Betrachtungen I – David Strauss, der Bekenner und der Schriftsteller =

Considerazioni inattuali I – David Strauss, l’uomo di fede e lo scrittore

EH = Ecce Homo = Ecce homo

FW = Fröliche Wissenschaft = La gaia scienza GD = Götzen-Dämmerung = Il crepuscolo degli idoli

GM = Zur Genealogie der Moral = Genealogia della morale GT = Geburt der Tragödie =La nascita della tragedia

HL = Unzeitgemäße Betrachtungen II – Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben = Considerazioni inattuali II – Sull’utilità e il danno della storia per la vita

JGB = Janseits von Gut und Böse = Al di là del bene e del male M = Morgenröthe = Aurora

MA = Menschliches, Allzumenschliches = Umano, troppo umano NW = Nietzsche contra Wagner = Nietzsche contra Wagner

PHG = Die Philosophie im tragischen Zeitalter der Griechen = La filosofia nell’epoca tragica

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SE = Unzeitgemäße Betrachtungen III – Schopenhuaer als Erzieher = Considerazioni inattuali

III – Schopenhauer come educatore

VM = Vermischte Meinungen und Sprüche = Opinioni e sentenze diverse WA = Der Fall Wagner = Il caso Wagner

WB = Unzeitgemäße Betrachtungen IIII – Richard Wagner in Bayreuth = Considerazioni

inattuali IIII – Richard Wagner a Bayreuth

WL = Über Wahrheit und Lüge in außermoralischen Sinne = Verità e menzogna in senso

extramorale

WS = Der Wanderer und seine Schatten = Il viandante e la sua ombra ZA = Also sprach Zarathustra = Così parlò Zarathustra

FP = Frammenti postumi

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Introduzione

Nonostante i tentativi effettuati in questa direzione (Heidegger, Löwith), sembra che da tempo sia ormai stato definitivamente abbandonato il progetto di ricostruire il sistema filosofico di Nietzsche, l’impalcatura semi-nascosta sotto l’apparente frammentarietà dell’esposizione. Ma Nietzsche non elabora un sistema, poiché chi ne scrive uno, sa già a quali conclusioni desidera arrivare: la ricerca perde così di valore ai suoi occhi, dal momento che verrebbe scelto in precedenza il risultato a cui deve pervenire. Dall’altra parte è altrettanto infruttuoso considerare ogni parte di questa produzione come sostanzialmente autonoma, sia che con “parte” si intenda un periodo dell’iter filosofico nietzschiano, un’opera, un singolo aforisma ecc. e pensare in modo semplicistico ad una filosofia dell’esperimento che si spinge disordinatamente in tutte le direzioni.

Quello che fa Nietzsche è ritornare sui medesimi argomenti, sulle medesime posizioni, per ampliarli o effettuare delle correzioni alla luce di nuove esperienze o per interessi diversi. Non c’è un sistema né una frammentarietà esplosiva; c’è invece una certa linea di unità in grado di mantenere connesse le riflessioni su uno stesso tema ed indicare come esso entri in contatto con temi affini. Affrontando dunque un tema si finisce per includere parzialmente anche questioni concomitanti. Linea di unità non è per forza sinonimo di stabilità e coerenza: a volte si evidenziano della fratture, mentre altrove prevale la continuità. Se prevalga la rottura o meno, è una questione da valutarsi caso per caso; si trovano anche posizioni che risultano di una costanza sorprendente, sebbene a volte espresse con un vocabolario filosofico differente. Quindi anche quando l’interprete si propone di seguire un andamento tendenzialmente cronologico nell’analisi delle opere e dei temi trattati, in alcuni frangenti è spinto per forza di cose più avanti o più indietro rispetto al punto in cui si trova. Per numerose questioni il fattore che senza dubbio determina fratture rilevanti è il mutamento d’opinione rispetto alla figura di Wagner.

Uno di questi argomenti su cui Nietzsche ritorna a più riprese e sviluppa una linea di riflessione è la storia. Il presente contributo parte dall’idea che la discussione sul modo di occuparsi del passato e i giudizi sul valore della storia, sul suo “senso”, siano punti che non si

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possono trattare l’uno senza l’altro. Tentando di costruire un’interpretazione di Nietzsche, appare chiaro come essi si compenetrino tanto di risultare indissolubili. In Nietzsche sono in gioco molteplici tipi di storia e storicità1: lo sguardo che dal presente si rivolge verso il passato è oggetto di riflessione a diversi livelli di discorso e in diversi momenti della produzione filosofica nietzschiana. C’è la critica agli eccessi della storia come pratica demistificante, la lotta contro la divinizzazione della storia, la storia come ricostruzione di ciò che ha formato la moralità moderna ecc. Nietzsche parte opponendo storia ed illusione e finisce concependo la

storicità umana come presupposto teorico per l’avvento di un nuovo tipo umano. Come si avrà

modo di notare, ciò che rende possibile questo percorso è, tra gli altri fattori, un parziale slittamento semantico del termine “storia”. Nel mezzo il discorso si intreccia con temi concomitanti quali l’arte, la teodicea, la scienza, la Grecità, il nichilismo ed infine l’eterno ritorno. Lo scopo del lavoro è ricostruire questo percorso e fornire dove possibile alcune indicazioni interpretative alle quali si può fare brevemente cenno.

Si vuole sottolineare ad esempio come nella seconda delle Considerazioni inattuali, quella appunto sulla storia, la componente artistico-falsificatoria agisca su più piani. Nella lotta alla divinizzazione del processo storico non si potrà trascurare l’intento di attaccare alcune posizioni

effettivamente presenti nella filosofia hegeliana. Si proverà a mostrare come Nietzsche individui

come esito inevitabile l’apologia del presente (o meglio del fatto in generale), quando un processo logico viene chiamato in causa per spiegare un processo storico-concreto; in questo senso si è stabilito un paragone con il giovane Marx che, pur con tutte le differenze del caso, sembra aver riscontrato nel metodo hegeliano il medesimo pericolo. Con l’apologia del presente è in connessione polemica il concetto di inattualità; si tenterà di chiarire questo legame in conclusione del secondo capitolo. Altro passaggio da evidenziare è quello secondo cui, nell’ottica nietzschiana, il carattere storico dell’uomo indica indirettamente la soluzione al nodo problematico del nichilismo. In continuità con questa considerazione, l’eterno ritorno non è letto come una nuova filosofia della storia e solo in parte come esperimento di pensiero: esso è piuttosto lo strumento per allevare un individuo non più nichilista.

Nonostante la molteplicità con cui si offre il tema della storia, possono essere individuate delle costanti nel modo con cui Nietzsche se ne occupa. Innanzitutto l’anti-finalismo: gli avvenimenti non seguono una direzione che abbia di mira uno scopo. Questo punto non viene

1 Cfr. AA.VV., Les historicités de Nietzsche, a cura di B. Binoche e A. Sorosina, Publications de la Sorbonne, Parigi

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mai messo in discussione e sulla base di questo assunto vengono elaborati parallelismi fra storia umana e storia naturale. Un’altra costante è rappresentata dall’idea che lo studio del passato sia un problema che investe totalmente colui che lo svolge. Quale che sia il passato a cui si riferisce, il suo studio produce delle conseguenze su chi lo effettua. Come è risaputo Nietzsche scrive nel 1874 un’opera intitolata Sull’utilità e il danno della storia per la vita: anche quando sarà relativamente lontano per prospettive e tematiche da questo testo, egli rimarrà sempre in qualche modo interessato all’utilità e al danno causati dal sapere storico. E questo è chiaro dal modo con cui viene caratterizzata la figura e l’attività dello storico a partire dal primo volume di Umano, troppo umano ed Aurora. Che la morale e l’estetica siano solo sublimazioni della componente istintuale, che la coscienza non sia il nucleo originario dell’essere umano, che i valori siano temporanee condizioni di potenza ecc., sono scoperte che non possono lasciare indifferenti. Ecco che lo storico per forza di cose contraddice e offende, perché in definitiva sminuisce continuamente il valore dell’uomo. In fondo il sapere storico, seppure in senso differente, è per Nietzsche sempre distruttivo. Nella seconda Inattuale esso distrugge le illusioni di cui ci si deve circondare per vivere, poi mostrerà l’uomo come un essere banale, poco “Umano”, legato a necessità molto terrene ed esigenze di sicurezza.

Nel corso della lunga vicenda della ricezione di Nietzsche, il merito di aver messo in primo piano la storia come indagine genealogica è da ascriversi certamente all’interpretazione di Foucault. Nel testo del 1971 Nietzsche, la généalogie, l’histoire vengono individuate delle linee interpretative che non possono essere trascurate. Tuttavia indicazioni utili sulla valenza critica del metodo genealogico vengono da un capitolo relativamente trascurato della storia della ricezione nietzschiana, vale a dire la Scuola di Francoforte. Al di là di quanti o quali elementi nietzschiani possano affiorare o meno dalle loro opere, Marcuse e Adorno forniscono una caratterizzazione efficace del filosofo di Röcken della quale si è tenuto conto in questo studio2. Al netto di alcune imprecisioni esegetiche, in Eros e civiltà Marcuse sottolinea la capacità nietzschiana di distinguere tra fatti ed essenze, che è in fondo quella di comprendere la differenza fra ciò che è storico-contingente e ciò che è naturale3. Da parte sua Adorno in alcuni passaggi dei Minima Moralia trova in Nietzsche l’invito a diffidare dell’immediatezza, in quanto

2 In linea di massima si può dire che fra Nietzsche e questi autori esista una certa vicinanza sotto l’aspetto

dell’elaborazione di un indirizzo filosofico critico il quale rigetta le varie forme di idolatria del successo e di deificazione di ciò che c’è. Tale indirizzo si oppone cioè al pensiero “positivo” il quale si distingue per la considerazione del fatto come valore.

3 Cfr. Herbert Marcuse, Eros and Civilisation – A Philosophical Inquiry into Freud (1955), tr. di L. Bassi: Eros e civiltà,

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falsa, poiché storicamente mediata4. Da questi due autori (soprattutto Adorno) la valenza critica non è disgiunta da uno sfondo violento che comunque traspare dal pensiero nietzschiano.

Nel presente studio questo lato viene messo in luce soprattutto nella sezione dedicata all’eterno ritorno. Parlare di questo aspetto non significa riproporre modelli interpretativi obsoleti di cui si è fatta piazza pulita da decenni, ma semplicemente non tacere alcuni passaggi abbastanza eloquenti. Il progetto di “pensiero selettivo” presenta delle implicazioni che non vengono propriamente taciute. Del resto fare i conti con Nietzsche significa forse farlo anche con le sue concezioni più urtanti e con le sue mancanze, mancanze che, anche trattando il tema della storia, finiscono per emergere. L’idea che nella storia si assista spesso ad una specie di complotto dei deboli nei confronti dei forti risulta francamente insostenibile; del resto le categorie di forti e deboli per caratterizzare epoche e popoli appaiono fatalmente povere ed astratte. Altrettanto bizzarra appare la tendenza a spiegare fenomeni storici complessi in termini fisiologici. Inoltre sorprende notare come di fatto la massa sia considerata sempre in maniera semplicistica come amorfa ed astorica. Anche in questo caso quindi leggere Nietzsche, come sostenevano Colli e Montinari, è anche difendersi da lui, contraddirlo risolutamente e non esitare a marcare i suoi difetti.

4 Cfr. Theodor W. Adorno, Minima moralia – Reflexionen aus dem beschädigten Leben (1951), tr. di R. Solmi:

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1. Illusione, storia, vita

Negli scritti della maturità, ritornando sulle proprie posizioni giovanili, scrive Nietzsche in un frammento del 1883 che il suo primo periodo risulta caratterizzato dal “gesuitismo”, inteso come il persistere consapevolmente sull’importanza dell’illusione incorporandola come base per la cultura5. Il concetto di illusione è infatti un asse portante delle sue prime riflessioni, il quale si interseca con le nozioni di genio, vita, arte, storia, forze socratiche. Dopo la lettura della

Geschichte des Materialismus di Friedrich Albert Lange avvenuta nel 1866, Nietzsche inizia a

considerare le costruzioni metafisiche come illusioni necessarie alla vita, libere creazioni alla stregua di arte e religione dove il contenuto di verità risulta nullo. A questo proposito si legge in una lettera a Deussen dell’aprile-maggio 1868:

Il regno della metafisica, e con esso l’area della verità «assoluta», è stato innegabilmente inserito in un’unica categoria insieme con la religione e la poesia. Chi vuole conoscere qualcosa, si limita ora a una conoscenza della cui relatività egli stesso è consapevole, come per esempio tutti i famosi studiosi di scienze naturali. Per alcuni la metafisica appartiene dunque alla sfera dei bisogni dell’animo, è essenzialmente edificazione. Per altro verso essa è arte, quella cioè della poesia concettuale. Una cosa è certa però: la metafisica, sia come religione che come arte, non ha nulla a che vedere con il cosiddetto «vero o essere in sé»6.

Unitamente a questa considerazione, viene quindi negato il contenuto di verità del sistema schopenhaueriano, basato sul dualismo fra volontà e rappresentazione dove al primo termine corrisponde la cosa in sé ed al secondo il fenomeno. In un serie di appunti stesi tra il 1867 ed il 1879, tramite un’argomentazione strettamente kantiana, Nietzsche ribadisce che le forme di conoscenza umana non possano spingersi oltre la sensibilità, fino a toccare l’ambito della cosa in sé7. Leggendo l’opera di Schopenhauer come tentativo di dare alla cosa in sé una forma possibile, concludeva infine con nettezza «il tentativo è fallito»8. Il motivo semplicissimo è che

5 Cfr. FP VII, I, II, 16 [23], p. 167.

6 Friedrich Nietzsche, Epistolario (vol. I 1850-1869), a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1976, pp.

575-576.

7 Cfr. Friedrich Nietzsche, Appunti filosofici 1867-1869 – Omero e la filologia classica, a cura di G. Campioni e F.

Gerratana, Adelphi, Milano 1993, p. 98.

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non si può attribuire un qualche predicato, ricavato dalla sfera dei fenomeni semplicemente per antitesi, a ciò che risiede oltre la possibilità di conoscenza umana.

Schopenhauer pretende insomma che qualcosa che non può essere mai oggetto sia nondimeno pensato in maniera oggettiva: ma per questa via possiamo arrivare solo a un’apparente oggettività, in quanto a una x del tutto oscura e inafferrabile vengono appesi, come vestiti variopinti, dei predicati presi da un mondo a essa estraneo, il mondo fenomenico9.

La volontà è al massimo un’«intuizione poetica» che si spiega in base alla vocazione fondamentalmente etica di quel pensiero10. Il filosofo di Danzica «voleva trovare la x di una equazione: e dal suo calcolo risulta che essa è uguale a x, ossia non l’ha trovata»11.

In un gruppo di frammenti che risalgono al 1872-1873 Nietzsche continua a sviluppare il pensiero della natura puramente artistica della filosofia, priva della capacità di cogliere le strutture ultime del reale, assimilandola in maniera inscindibile all’arte propriamente detta ed alla religione sotto la categoria comune dell’illusione. Spinto dall’impulso della natura che lo anima, il genio (senza distinzioni fra filosofico ed artistico) produce una forma permanente, pura, stabile che si sottrae alla storia umana e si situa in una sfera puramente estetica: «la bellezza e la grandiosità di una costruzione del mondo (alias filosofia) decide oggi sul valore di tale costruzione - in altre parole questa viene giudicata in quanto arte»12. Il senso di queste frasi si svela se si pensa ad un Nietzsche pienamente all’interno dell’orbita intellettuale e politica di Wagner13. La creazione filosofico-artistica è pensata per assumere appunto uno statuto religioso o pseudo-religioso: «filosofia e arte si presentano a sostituire il mito declinante»14. L’illusione religiosa, la ricostituzione di un fondo mitico ha il compito di unificare una società che sta andando incontro ad un processo di disgregazione fatto di egoismo, scetticismo,

9 Op. cit., p. 99. 10 Op. cit., p. 95. 11 Op. cit., p. 104.

12 FP III, III, II, 19 [47], p. 20.

Cfr. anche FP, IIII, III, II, 19 [76], p. 29.

13 Nietzsche conosce Wagner l’8 novembre 1868 a Lipsia e discute subito con lui della filosofia di Schopenhauer.

L’amicizia con Wagner è di importanza capitale per la vita ed il pensiero de filosofo di Röcken, anche quando avverrà una definitiva rottura fra i due. Dal maggio 1969 Nietzsche si reca frequentemente a Tribschen, alla residenza di Wagner, dove conosce la moglie Cosima, figlia di Franz List; da questi incontri sorgono alcune considerazioni che saranno alla base della Nascita della tragedia. Wagner (insieme a Schopenhauer) è la figura centrale del periodo che giunge fino alle Inattuali; alcune posizioni e riferimenti all’interno delle opere che cadono in questa fase vengono illuminate solo tenendo presente lo stretto rapporto con il musicista, anche quando non esplicitamente nominato.

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individualismo atomistico e logica mercantile del profitto15. Nel rinnovato fondamento religioso è un popolo a doversi riconoscere per compattarsi in un mito patrio, poiché senza mito «ogni civiltà perde la sua sana e creativa forza di natura: solo un orizzonte delimitato da miti può chiudere in unità tutto un movimento di civiltà»16. Se la cultura è l’unitarietà dei modi espressivi della nazione, essa deve avere il mito come proprio garante.

La figura del genio è al centro di questo progetto. Innanzitutto egli, stagliandosi al di sopra degli individui comuni, risulta l’unico esemplare umano degno di attenzione. «Esiste un ponte invisibile, che unisce un genio ad un altro genio»17; al di là di questa che altrove è analogamente definita «cresta montuosa dello spirito» non ha senso dirigere il proprio sguardo, il quale non ottiene nulla dal concentrarsi invece sui comportamenti delle masse18. Ma soprattutto il genio intrattiene un rapporto reciproco con il popolo cui appartiene; se quello schopenhaueriano è dipinto come un individuo irrimediabilmente isolato dal consorzio umano, tramite la mediazione di Wagner qui il genio è posto in simbiosi con la propria comunità, con la

Gemeinschaft19. Da una parte la comunità lo nutre con i suoi istinti religiosi, leggende popolari,

costumi, lingua ecc., tutto quello che potremmo chiamare Volkgeist20. Dall’altra, emergendo

dalla collettività, con la sua creazione egli rende eterni questi elementi di cui si è nutrito in un sfera di bellezza eterna, atemporale (ed illusoria) in modo che il popolo si ricompatti in un credo, in una qualche identità21. Nietzsche riassume così la relazione reciproca, il “mutuo scambio” fra genio e popolo in un passaggio di Sull’avvenire delle nostre scuole:

Ma il suo [sott. del genio] apparire, il suo emergere da un popolo, il fatto che egli rappresenti quasi l’immagine riflessa, il cupo giuoco cromatico di tutte le forze peculiari di questo popolo. Il fatto che egli riveli la destinazione suprema di un popolo attraverso la natura simbolica di un individuo e attraverso un’opera eterna, ricollegando così il suo stesso popolo all’eternità, e liberandolo dalla sfera mutevole di ciò che è momentaneo, tutto ciò il genio può farlo solo

15 Cfr. S. Barbera – G. Campioni, Il genio tiranno – Ragione e dominio nell’ideologia dell’ottocento: Wagner, Nietzsche, Renan, Franco Angeli Editore, Milano 1983, pp. 43, 48-49 ed anche G. Campioni, Individuo e comunità nel giovane Nietzsche, in «Prassi e teoria», 1979/1, (pp. 145-177), p. 146.

16 GT, XXIII, p. 151. 17 FP III, III, II, 19 [1], p. 3. 18 FP III, III, II, 19 [33], p. 11.

Cfr. anche PHG, p. 145. Per la stessa espressione anche se in un contesto e con un significato parzialmente mutati cfr. HL, II, P. 17.

19 Cfr. Barbera – Campioni, Il genio tiranno, cit., p. 39 e anche Campioni, Individuo e comunità nel giovane

Nietzsche, cit., p. 157.

20 Cfr. BA, III, p. 67.

21 Per esprimere questo concetto, in un frammento risalente alla fine del 1870 Nietzsche scrive in termini del tutto

analoghi che «il genio agisce gettando al di sopra della massa una nuova rete dell’illusione entro la quale essa può vivere». (FP, III, III, I, 6 [3], p, 130).

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quando sia maturato e nutrito nel grembo materno della cultura di un popolo. Senza questa patria, che possa difenderlo e riscaldarlo, egli non riuscirà invece a spiegare le ali per il suo volo eterno, e tristemente dovrà andarsene per tempo – come uno straniero sospinto in una solitudine invernale – lontano da quella terra inospitale22.

È tuttavia implicito nella funzione del genio un valore reazionario: egli ha bisogno che il lavoro materiale ed intellettuale della massa sia al proprio servizio. Il genio, per essere tale, è libero dalle preoccupazioni per la propria sopravvivenza e perciò ha bisogno che altri lavorino per lui; un punto stabilito nello scritto Lo stato greco è che la condizione imprescindibile per l’avvento del genio è costituita dalla disuguaglianza sociale;

Perché esista un terreno vasto, profondo e fertile per lo sviluppo dell’arte, la stragrande maggioranza degli uomini deve essere al servizio di una minoranza, dev’essere sottomessa – in una misura superiore alla sua miseria individuale – alla schiavitù dei bisogni impellenti della vita. A spese di questa maggioranza e attraverso il suo lavoro supplementare quella classe privilegiata dev’essere sottratta alla lotta per l’esistenza, per produrre un nuovo mondo di bisogni e per soddisfare a questi23.

(Qui si arriva addirittura a sostenere che la schiavitù rientri nell’essenza della cultura24; quest’ultima è quindi impossibile se non si amplia quello iato fra uomini olimpici dediti all’arte e uomini dediti alla nuda fatica. Nietzsche teme che nel proprio tempo questo iato si stia irrimediabilmente ricucendo). Il genio giustifica questo sfruttamento realizzando la forma idealizzata del mito. Nella compattezza che essa offre rinsalda la comunità occultando le differenze di classe, di ceto, con la conseguente rinuncia alle rivendicazioni civili e sociali, specialmente da parte delle classi più basse25.

Del resto per produrre il genio il popolo deve rimanere ad uno stato di placidità, di

incoscienza, nel senso di attaccamento ingenuo alle proprie tradizioni, al Volkgeist26. Quando

viene compromesso lo stato di inerzia, di immediatezza non turbata in cui esso giace, allora entra in crisi il sorgere del genio. Il personaggio che nella Nascita della tragedia opera questa

22 BA, III, p. 68.

Non a caso le conferenze intitolate Sull’avvenire del nostre scuole ricevono l’approvazione indiscussa di Wagner e del suo ambiente. (Cfr. C. Piazzesi, Nietzsche, Carocci, Roma 2016, p. 55).

23 Friedrich Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei greci e scritti 1870-1873, Adelphi, Milano 1991, p. 98. 24 Cfr. ibidem.

25 Cfr. Campioni, Individuo e comunità nel giovane Nietzsche, cit., passim. 26 Cfr. BA, III, p. 67.

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rottura dell’immediatezza è Socrate27. Egli, privo di quell’occhio che permette di scrutare nel fondo della tragedia dionisiaca, non è in grado di avere una forma di sapere intuitiva, istintiva; egli non riesce cioè a comprendere che i personaggi sul palco sono maschere di Dioniso, “copie” che rimandano al dio senza esaurire il significato in loro stessi. Parallelamente Socrate si scandalizza del fatto che gli individui da lui interrogati nella città di Atene conoscano solo per istinto e non siano in grado di attuare un’autoriflessione razionale sulle nozioni etiche e scientifiche di cui si avvalgono28.

In questo contesto il sapere storico, diretto alla verità, col suo metodo scrupoloso e micrologico che viviseziona l’oggetto di studio, con la sua capacità di mostrare l’inconsistenza del mito, la relatività delle morali ecc., è una forza che si oppone all’illusione, la sgretola29. Quando un popolo comincia a concepirsi storicamente e ad abbattere il recinto mitologico in cui si manteneva saldo va incontro alla mondanizzazione, all’individualismo, alla perdita della propria sostanza etica30. Insieme alla scienza moderna, la storia appartiene a quell’impulso conoscitivo dal potenziale dissolvente che dilaga nella contemporaneità31. Anteponendo la verità all’illusione, essa si configura come una forza di tipo socratico-alessandrino che conduce alla distruzione del mito32:

La ricerca storica si è sviluppata con una tale ampiezza, soprattutto come forma antitetica al mito teologico, ma anche in opposizione alla filosofia: in questa ricerca, e nelle scienze matematiche della natura, il conoscere assoluto celebra i suoi Saturnali, il minimo risultato che venga realmente raggiunto in questo campo è considerato di più che non tutte le idee metafisiche33.

27 In generale la Grecia antica funge da modello per leggere alcune tendenze contemporanee, in particolare per

quanto riguarda l’opposizione tra comunità compatta e processo di disgregazione. Parlando del senso della tragedia scrive Nietzsche che «dobbiamo ora porci con sguardo libero di fronte agli analoghi fenomeni del presente». (GT, XVI, p. 104). Su questo punto cfr. C. Gentili, A partire da Nietzsche, Marietti, Genova 1998, p. 71 e Campioni, Individuo e comunità nel giovane Nietzsche, cit., p. 146.

28 Cfr. GT, XIII, p. 90.

Questa idea verrà ripetuta in JGB, V, p. 89.

29 Cfr. FP III, III, II, 19 [52], p. 22.

30 Prima di essere salvato dalla potenza della musica per divenire la componente apollinea dello spettacolo tragico,

sarebbe stato questo il pericolo corso dal mito greco. Quest’ultimo era sul punto di venir meno davanti alla considerazione storica, che avrebbe terminato presto o tardi per mostrarlo come una favoletta inconsistente. Su questo punto si veda GM, X, pp. 73-74.

31 Cfr. FP III, III, II, 27 [81], p. 208.

Nietzsche si muove già nell’ottica di arginare, di limitare questo impulso: su questo punto si veda FP, III, III, I, 19 [38], p. 16 e 19 [62], p. 24.

32 «Ogni conoscenza della verità è improduttiva». (FP, III, III, I, 5 [44], p. 101). 33 FP, III, III, II, 19 [37], p. 14.

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La storia impedisce l’illusione, che è ciò che conferisce forza, vita alla comunità34; essa si oppone all’intenzione di Nietzsche di trattenere i movimenti disgreganti della società odierna. Del resto il sapere storico, o meglio in questo caso la sua diffusione a livello delle masse, il fenomeno della divulgazione, verso cui Nietzsche si mostrerà sempre avverso, appare pericoloso in un ulteriore senso. Esso cioè, sempre in quanto forza socratica, turba l’incoscienza del popolo, la sua istintiva religiosità, i suoi racconti, le sue tradizioni ecc. stimolandolo a mettere ciò in discussione, spingendolo ad una riflessione critica. In questo senso la storia attenta alla nascita del genio, dissolvendo quell’humus, quel nutrimento di cui egli si avvale e distruggendo quindi il materiale che egli fonde per creare la forma idealizzata:

Ma noi sappiamo quale è la mira di coloro che vogliono interrompere quel sano e salutare sonno del popolo, che gli gridano continuamente: “Svegliati, si cosciente, sii avveduto!” […] Sono proprio costoro che distruggono le radici di quelle supreme e più nobili forze formative, sgorganti dall’incoscienza del popolo, le quali trovano la loro destinazione materna nel generare il genio, e poi nell’educarlo rettamente e nel prendersi cura di lui35.

Questo ordine di idee dove la storia si trova in pura e semplice opposizione all’illusione salvifica e al genio e viene identificata come potenza demistificante da arginare, caratterizza un periodo iniziale e relativamente limitato del pensiero nietzschiano che comprende in linea di massima la Nascita della tragedia, Sull’avvenire delle nostre scuole (entrambe pubblicate nel 1872) ed una serie di frammenti affini per tematiche e motivi che arrivano fino al 1873. Dall’Inattuale sulla storia la posizione di Nietzsche si fa meno generica e più articolata. Si assiste all’apertura verso alcuni modi di fare storia e ad un loro possibile valore positivo, fermo restando che l’azione dell’illusione continua a rimanere centrale a più livelli del discorso e che Nietzsche resta ancora nel suo momento “gesuitico”.

In Sull’utilità e il danno della storia per la vita non viene presentato un rifiuto tout court dello studio storico, della conoscenza storica in quanto tale. Non siamo di fronte ad un antistoricismo netto ed unilaterale36. A riprova di ciò la saggezza degli uomini sovrastorici, espressione con cui si allude parzialmente anche a Schopenhauer, viene accantonata in partenza. Per l’uomo

34 Cfr. FP III, III, II, 19 [150], p. 51. 35 BA, III, pp. 67-68.

(Cfr. anche BA, I, p. 33).

36 Per questa valutazione cfr. anche E. Mazzarella, Attualità della seconda inattuale, in «Criterio», 1984/4, pp.

65-70 e F. Tessitore, Introduzione a Lo storicismo, Laterza, Bari 1991, pp. 165-173. In questo senso non risulta totalmente condivisibile la definizione che Colli dà della seconda Inattuale come «canone dell’antistoricismo». (HL,

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sovrastorico tutte le epoche sono fondamentalmente uguali e la conoscenza storica risulta del tutto superflua, ma Nietzsche non si arresta sulla loro posizione poiché, come si è già accennato, egli si muove nell’ottica di delineare un certo utilizzo positivo della storia37.

Il criterio con cui il sapere storico va valutato, e quindi assunto o rigettato, è appunto la vita, cioè occorre vedere se esso la favorisca o se, al contrario, produca un effetto svilente: da questa prospettiva si comprendono i vari giudizi contenuti nell’opera, da questa prospettiva il testo assume una forma unitaria. La condanna dell’ideale scientifico-positivistico che si è impossessato della materia è uno dei primi bersagli ad essere colpito. Sin dalle prime pagine è stabilito con chiarezza la priorità indiscutibile della vita sul sapere storico in sé il quale, al contrario, deve essere in funzione della prima:

In essa [sott. nella considerazione sul valore e sulla mancanza di valore della storia] si esporrà infatti perché un’istruzione senza vivificazione, perché un sapere in cui l’attività si infiacchisce, perché la storia in quanto preziosa superfluità di conoscenze e in quanto lusso, ci debbano essere sul serio, secondo il detto di Goethe, odiosi […]. Certo, noi abbiamo bisogno di storia, ma ne abbiamo bisogno in modo diverso da come ne ha bisogno l’ozioso raffinato nel giardino del sapere […]. Ossia ne abbiamo bisogno per la vita e per l’azione, non per il comodo ritrarci dalla vita e dall’azione, o addirittura per l’abbellimento della vita egoistica e dell’azione vile e cattiva. Solo in quanto la storia serve la vita, vogliamo servire la storia [corsivo mio]: ma c’è un modo di coltivare la storia e una valutazione di essa, in cui la vita intristisce e degenera38.

Questa priorità della vita, questa primarietà di una forza che guida e soggioga la storia, che se ne avvale quasi come di un mezzo per un fine, è ribadita a più riprese. Marcando lo iato che separa scienza e cultura, Nietzsche si preoccupa di mantenere la storia in posizione nettamente subordinata (di contro alla tendenza dominante del proprio tempo):

L’educazione storica è invece qualcosa che è salutare e promette futuro solo al seguito di una corrente vitale nuova, per esempio di una cultura in divenire, cioè solo quando viene dominata e guidata da una forza superiore e non quando è essa stessa a dominare e a guidare. La storia in quanto sia al servizio della vita, è al servizio di una forza non storica, e perciò non potrà né dovrà diventare mai, in questa subordinazione, pura scienza, come per esempio è la matematica39.

Solo chi guarda alla storia per una ragione che sia diversa dal mera conoscenza, chi cerca forza nella venerazione, chi è attivo, chi è rivolto alla produzione del nuovo è legittimato ad occuparsi

37 Cfr. HL, I, pp. 13-15. 38 HL, Prefazione, p.3. 39 HL, I, pp. 15-16.

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di storia, tutti gli altri ne sono esclusi. La categoria di “vita”, spesso chiamata in causa, pur scontando una certa genericità, si può dire che indichi la capacità di rinsaldarsi nelle proprie origini, ma anche l’impulso, la spinta all’accrescimento, all’azione politica, artistica, alla creatività e l’apertura verso il cambiamento. Del resto quello che interessa a Nietzsche è che la cultura storica non sia finalizzata a se stessa, che in definitiva non venga alterato quel rapporto che vede la vita prioritaria rispetto alla storia.

In quanto vivente (cioè quando è appunto la vita in posizione sovraordinata), l’uomo si occupa del proprio passato sostanzialmente in tre modi: storia monumentale, storia antiquaria e storia critica. Ognuna presenta opportunità e minacce per la vita:

Ciascuna delle tre specie di storia che esistono è nel suo diritto su un solo terreno e in un solo clima: su ogni altro terreno cresce come erbaccia distruttiva40.

Con questo Nietzsche intende dire che all’interno di questi tre indirizzi l’utilità per la vita è messa a repentaglio da alcuni pericoli talvolta inevitabili, talvolta provocati da modi eccessivi o degenerati di approcciarsi al passato. Similmente si hanno effetti di indebolimento se la storia viene esercitata da individui sbagliati. È presente inoltre un invito armonizzare, bilanciare le tre specie per correggere gli inconvenienti che provengono dal dedicarsi unilateralmente ad una di esse.

La storia monumentale è quella che guarda alle azioni dei grandi individui che con le loro imprese, opere e dottrine hanno segnato le epoche dell’umanità. Essa è vivificatrice quando funge da esempio o da stimolo per nuove azioni, poiché la contemplazione della grandezza ha l’effetto di rafforzare chi guarda:

La storia occorre innanzitutto all’attivo e al potente, a colui che combatte una grande battaglia, che ha bisogno di modelli, maestri e consolatori, e che non può trovarli fra i suoi compagni nel presente41.

D’altro canto è pericolosa se spinge al fanatismo causando la violenza degli esaltati. In secondo luogo è paralizzante se lasciata in mano a individui inattivi e con scarse capacità: in questo caso essi se ne appropriano per indurci a pensare che tutto ciò che è degno d’ammirazione sia già

40 Cfr. HL, II, p. 23. 41 Cfr. HL, II, p. 16.

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stato realizzato e noi non possiamo eguagliarlo. L’idolatria del passato da essi costruita sbarra la via a coloro che sono capaci di «convertire quanto hanno appreso in una prassi potenziata»42.

La storia antiquaria, quella che conserva e custodisce i resti e le tradizioni del passato, è benefica quando sviluppa un senso di appartenenza ad una comunità, l’attaccamento alle proprie radici. È dannosa quando, spingendo a venerare ottusamente la propria stirpe, si riduce a sterile collezionismo acritico ed incapacità di evolversi verso il nuovo. Allora la storia mummifica la vita e «si osserva il ripugnante spettacolo di una cieca furia collezionistica, di una raccolta incessante di tutto ciò che una volta è esistito»43. La storia critica è facilmente predisposta a questa degenerazione perché è in sì grado di conservare la vita, ma non di farla evolvere.

La storia critica è quella che guarda al passato per liberarsene, o meglio, per liberarsi di ciò che nel nostro presente deriva dal passato. Essa si assume l’arduo compito di affrancarci da ciò da cui deriviamo, pur senza nasconderci che proprio da ciò deriviamo, al fine di modificare la nostra odierna identità. Quella della storia critica è, in fondo, un tentativo di mutamento, di dirigersi verso il nuovo, di sostituire il nostro essere, la nostra prima natura con una seconda natura; a questo tentativo contribuisce, tra l’altro mostrandoci che «anche tale prima natura è stata una volta, quando che sia, una seconda natura, e che ogni seconda natura che vinca diventa una prima natura»44. La storia media il presente con ciò che è “altro”, squalifica la sua presunta assolutezza (la prima natura non è prima); lo rivela quindi come contingente e, infine, passibile di essere superato. Il pericolo per la vita consiste nel fatto che le seconda nature sono dapprima deboli e gli orizzonti futuri sono in quanto tali incerti45.

Tuttavia queste tre forme possono avere una possibilità vivificatrice proprio perché in esse la conoscenza della verità è limitata, circostanziata, in qualche modo contraffatta. La vita è appunto una forza non storica, e l’antistorico, come capacità di poter dimenticare e di restringersi in un certo orizzonte, è insito nel modo stesso in cui la vita si riferisce alla storia46. In breve, affinché essa porti qualche utilità, un certo grado di illusione deve sempre accompagnare il sapere storico.

42 HL, II, p. 22. 43 HL, III, p. 27. 44 HL, 2, p. 30. 45 Cfr. HL, II, p. 29.

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Affinché la storia monumentale sia efficace, occorre una forte semplificazione che permetta di tralasciare tutte le differenze storiche tra la nostra situazione e quella in cui operarono coloro che prendiamo come esempio. Dal momento che queste specifiche diversità possiedono un potenziale paralizzante, non devono penetrare nel nostro orizzonte:

Come sarebbe fluido e fluttuante, come sarebbe inesatto quel paragone! Quanta diversità dev’essere al riguardo trascurata, se esso vuole avere quell’effetto corroborante, quanto violentemente l’individualità del passato deve essere costretta in una forma generale e smussata in tutti gli angoli acuti, e le linee spezzate a favore di una concordanza47.

Due contesti storici perfettamente uguali non si danno mai, ma non è certo la piena veracità a realizzare l’effetto benefico, a corroborare: la storia monumentale «sempre avvicinerà, generalizzerà e infine parificherà il dissimile, sempre attenuerà la diversità dei motivi e delle occasioni»48.

Analogamente chi si dedica alla storia antiquaria ne trae giovamento se ciò che non riguarda le proprie origini, la propria comunità ecc. viene lasciato fuori dalla sua ottica, mentre ciò che in questa ottica rientra assume indiscriminatamente un’importanza ed una grandezza eccessive:

Il senso antiquario di un uomo, di una cittadinanza o un intero popolo ha sempre un campo visivo molto limitato; la maggior parte delle cose esso non la scorge neanche, e il poco che vede, lo vede troppo vicino e isolato; non lo sa misurare e perciò da uguale importanza a tutto, e perciò troppo importanza alla cosa singola49.

Anche qui alla completa veracità subentra una deformazione:

Anche qui constatiamo ciò che abbiamo constatato per la storia monumentale, che il passato stesso soffre finché la storia serve la vita e viene signoreggiata da impulsi vitali50.

47 HL, II, p. 19. 48 HL, II, p. 20. 49 HL, III, p. 26.

A questo proposito sembra utile segnalare che infatti la forza artistica per Nietzsche opera sempre una scelta: si veda FP III, III, II, 19 [79], p. 31.

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Infine anche nella storia critica è impedito un giudizio completamente oggettivo sul passato, poiché l’esigenza della vita non è la completa verità sul passato; ma in questo caso la vita cerca solo una condanna che possa liberare il campo per un futuro differente51.

Il passato soffre, alla sua peculiarità viene fatta violenza, lo sguardo non è obiettivo ecc.: è la componente artistico-falsificatoria a rendere utile la storia. Il tratto “scandaloso” della tesi di Nietzsche è che nella storia la conoscenza totale, la verità, l’obiettività, risultano solo dannose, mentre parallelamente un certo grado di cecità, di falsificazione è legittimato. Nietzsche arriva a dire:

Solo quando la storia sopporta di essere trasformata in un’opera d’arte, cioè di diventare pura creazione d’arte, essa può forse conservare istinti – o perfino suscitarli. Ma una tale storiografia contraddirebbe in pieno il carattere analitico e antiartistico del nostro tempo, anzi verrebbe da questo sentita come una falsificazione52.

Questo modo di avvalersi della storia Nietzsche lo ravvisa nella capacità creativa di Wagner:

Non appena la sua forza plasmatrice lo prende, la storia diventa nelle sue mani una morbida argilla; allora il suo atteggiamento verso la storia è a un tratto diverso da quello di qualunque altro dotto e piuttosto simile a quello che il Greco aveva verso il suo mito, come verso qualcosa su cui si forma e si poeta, con amore e con una certa timorosa devozione sì, ma anche col diritto di sovranità del creatore53.

Il momento falsificatorio appare nel modo in cui Wagner tratta l’ampio materiale storico, di cui non si avvale come un ordinatore e raccoglitore passivo: per animarlo l’arte ha infatti bisogno di semplificarlo54.

Quando il sapere storico è smisurato, ipertrofico la forza artistica, antistorica ecc. non è più

in grado di arginarlo, di manipolarlo, perciò la storia dispiega senza freni il suo potenziale

corrosivo e distruttivo tramite la considerazione analitica, la ricerca micrologica:

51 Cfr. HL, III, pp. 28-29. 52 HL, VII, p. 58.

Analogamente Nietzsche scrive: «Il fatto storico ha qualcosa di raggelante, di meduseo, che svanisce solo davanti all’occhio del poeta. Dobbiamo essere noi a scolpirci statue nei blocchi di fatti storici». (Nietzsche, Appunti filosofici

1867-1869 – Omero e la filologia classica, cit., p. 60).

53 WB, III, p. 92. 54 Cfr. WB, IV, p. 96.

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Il senso storico, quando domina incontrollato e trae tutte le su conseguenze, sradica il futuro, poiché distrugge le illusioni e toglie alle cose esistenti la loro atmosfera, nella quale soltanto possono vivere55.

Ciò che viene dal passato per agire deve essere immerso in un’atmosfera che lo difenda dalla conoscenza scientifica, dev’essere protetto da una sorta di involucro vaporoso56. All’interno della medesima ottica nell’Inattuale sulla storia giocano nuovamente un ruolo centrale l’arte e la religione come forze sovrastoriche che mostrano il persistere della fedeltà all’idea wagneriana di ricostituire la Kultur nella sua organicità57. Esse riattivano il potere dell’illusione e distolgono lo sguardo dal divenire, rivolgendolo all’eterno ed all’immutabile; si affiancano all’affine potere antistorico in un’azione di cura e pulizia. Le potenze antistoriche e sovrastoriche sono dirette contro gli eccessi, le storture del sapere storico (la cosiddetta «malattia storica»)58. Sono infatti definite veleni di cui si soffrirà, sebbene indispensabili59. Non sono tuttavia considerate come fini a se stesse, ma appunto rappresentano una sorta di cura temporanea con lo scopo di far tornare gli uomini allo studio della storia in un secondo momento60. In questo modo, guariti ormai dalla malattia storica, potranno tornare a servirsi di quelle tre modalità in cui, nonostante le insidie che vi si nascondono, la storia è comunque subordinata alla vita:

Rimando questi dubbiosi al tempo che tutto porta alla luce […], al momento in cui saranno un’altra volta abbastanza sani per coltivare di nuovo la storia e per servirsi del passato sotto il dominio della vita, nel triplice senso detto, cioè monumentale, antiquario e critico61.

Quando il sapere storico aumenta a dismisura, la gerarchia si altera e la vita non si trova più in posizione sovraordinata. Si ha ora la storia come pura scienza, tendenza che Nietzsche

55 HL, VII, p. 57. 56 Cfr. HL, VII, p. 60.

57 Cfr. Barbera – Campioni, Il genio tiranno, cit., p. 119. 58 Cfr. HL, X, pp. 95-96.

59 Cfr. ibidem. 60 Cfr. HL, X, p. 97. 61 Ibidem.

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vede imperante al suo tempo62. Quest’ultima ha come unica idea-guida l’aumento del sapere63; e contro di essa vengono lanciate a più riprese le dure accuse di sterilità, ammuffimento, barbarie: la storia come scienza è danno da molteplici punti di vista, essendo l’esatto contrario del movimento che scaturisce da quel bisogno di vivificazione strenuamente difeso. La critica di Nietzsche si allarga qui in più direzioni nel tentativo di illustrare tutte le problematiche e le mancanze di questo approccio prettamente contemporaneo.

La storia in quanto scienza conduce innanzitutto ad una cultura soltanto apparente, esteriore, o meglio interiore, nel senso che viene incamerata a forza una quantità superflua di nozioni e conoscenze che non si scarica mai all’esterno nei comportamenti, nelle azioni, nel modo di approcciarsi alla realtà e leggerla, cioè non diventa mai cultura autentica:

Il sapere che viene preso in eccesso, senza fame, anzi contro il bisogno, oggi non opera più come motivo che trasformi e spinga vesto l’esterno, ma rimane nascosto in un certo caotico mondo interno, che l’uomo moderno designa con strana superbia come l’«interiorità» a lui propria64.

Si tratta soltanto di un godimento egoistico del superfluo, vale a dire di un lusso, poiché non c’è alcuna vera necessità, alcuna necessità vitale che spinga l’uomo a rivolgersi al passato65. La storia si riduce ad una semplice decorazione, appuntata come un fiore di carta o versata sopra come un’inzuccheratura66. Per questo la cultura più raffinata può facilmente convivere con la barbarie più spinta, con la mancanza di spiritualità e l’ottusità più esplicite, tanto che Nietzsche paragona con scherno il dotto odierno ad un manuale di cultura interna per barbari esterni67.

Se l’incremento delle conoscenze è il fine stesso, gli istituti di cultura odierni costituiscono allora una vera a propria «fabbrica della scienza»68. Poiché devono entrarvi al più presto, ai

62 A questa inversione delle priorità e sui suoi effetti nefasti Nietzsche aveva già fatto cenno: «Il segno che distingue

una scienza degenerata è invece il fatto di concentrarsi tanto sui mezzi da perdere di vista il fine. Ad esempio nella storia della letteratura e nell’ermeneutica. All’inizio si ricercano dati letterari per comprendere un particolare poeta; poi si mettono insieme i dati letterari per giungere a uno conoscenza storico-letteraria». (Nietzsche, Appunti

filosofici 1867-1869 – Omero e la filologia classica, cit., p. 71). Il punto verrà ribadito con chiarezza anche al termine

dell’iter filosofico nietzschiano: «Si perde lo scopo, ossia la civiltà – e il mezzo, cioè la pratica scientifica moderna, viene barbarizzato…». (EH, Le considerazioni inattuali, p. 74).

63 Cfr. SE, II, pp. 10, 65. 64 HL, IV, p. 32.

65 Cfr. HL, Prefazione, p. 3.

Allo stesso modo è un lusso l’arte moderna che è svago e non risponde al bisogno artistico profondo e rigenerante. Su questo punto cfr. ad. es. WB, VIII, p. 125.

66 Cfr. HL, X, p. 90. 67 Cfr. HL, IV, p. 33. 68 HL, VII, p. 62.

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giovani è impedita una reale maturazione intellettuale. All’interno di questa fabbrica si assiste alle stesse dinamiche che regolano in generale il mondo ed il mercato del lavoro.

Io deploro che sia ormai necessario servirsi del gergo dei padroni di schiavi e dei datori di lavoro per designare quei rapporti, che di per sé dovrebbero essere pensati liberi da utilità, sottratti alle miserie della vita; ma involontariamente vengono in bocca le parole «fabbrica», «mercato del lavoro», «offerta», «utilizzazione» - o comunque suonino i verbi ausiliari dell’egoismo – quando si vuol descrivere la generazione di dotti più recente69.

È criticata la divisione del lavoro per cui il dotto diventa uguale all’operaio specializzato in grado di svolgere al meglio un’unica mansione70. Egli si occupa infatti di un specifico campo d’indagine su cui conosce ogni dettaglio trascurando di spaziare al di là di quei limiti:

Un siffatto studioso, esclusivamente specialista, è dunque simile all’operaio di una fabbrica, che per tutta la sua vita non fa altro se non una determinata vite e un determinato manico, per un determinato utensile o una determinata macchina, raggiungendo senza dubbio in ciò un’incredibile maestria71.

Ciò lo fa incagliare in uno specialismo arido e ipertrofico che si alimenta in maniera autoreferenziale: egli è la talpa avida di polvere che se una zolla è stata scalzata per dieci volte, la scalza e la smuove per l’undicesima72. L’esito di una simile pratica è una deformazione intellettuale che viene a coincidere con l’incapacità di assumere altre abilità. Tale deformazione intellettuale sarà resa a volte da Nietzsche con la metafora di quella fisica: il libro dell’erudito dà una sensazione di oppressione poiché ne traspare sempre «lo «specialista», il suo zelo, la sua serietà, il suo rovello, la sua sopravvalutazione del concetto in cui se ne sta seduto a filare, la sua gobba – ogni specialista ha la sua gobba»73. Questa miopia, giustificata eticamente dalla

69 HL, VII, p. 62.

Analogamente si legge in Ecce Homo: «La seconda Inattuale (1874) mette in luce quanto c’è di pericoloso, di corrosivo e venefico per la vita nel nostro modo di praticare la scienza – : la vita malata a causa di questo ingranaggio e meccanismo disumanizzato, a causa della «impersonalità» del lavoratore, di questa falsa economia della «divisione del lavoro». (EH, Le considerazioni inattuali, p. 74).

70 In Così parlò Zarathustra per sottolineare il carattere banale e meccanico dell’attività dei dotti, Nietzsche li

definisce «coloro per cui conoscere è come schiacciare le noci». (ZA, II, p. 143).

71 BA, I, p. 34.

Un eventuale accostamento di questa critica alla divisione del lavoro con quelle di Marx è fuorviante, poiché Nietzsche la dirige esclusivamente sulle mansioni dell’intellettuale indirizzandola sostanzialmente al mondo accademico. Egli non la estende mai al di fuori di questi confini, non la orienta anche sul lavoro materiale; Nietzsche non ha nulla da opporre a che le classi più bassi si degradino in attività manuali dal carattere ripetitivo ed avvilente. (Cfr. in contrario A. Negri, Nietzsche. Storia e cultura, Armando Armando Editore, Roma 1978, pp. 77-78 e idem,

Nietzsche e/o l’innocenza del divenire, Liguori Editore, Napoli 1986, p. 217).

72 Nietzsche, Appunti filosofici 1867-1869 – Omero e la filologia classica, cit., p. 221. 73 FW, V, p. 296.

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moderazione, dalla sobrietà, va contro la formazione di una reale cultura, anzi conduce al suo annientamento74.

Come in tutti gli altri settori produttivi, al buon lavoratore si apre la possibilità di avanzare nella propria carriera, perciò la ricerca della verità storica diventa soltanto il pretesto per entrare in una competizione intellettuale che non rappresenta altro che uno dei numerosi ambiti in cui si può ricercare il successo personale ed il guadagno. Non c’è differenza qualitativa fra attività culturale e tutte le altre, cade il forte discrimine fra lavoro intellettuale e gli altri tipi di occupazione: si tratta sempre di scegliere un campo ed adoperarsi per costruirsi una carriera ed ottenere un buon salario. Anche l’uomo colto è all’interno della lotta per l’esistenza come tutti gli altri e la cosiddetta cultura è degradata a mezzo di sussistenza.

L’ambito in cui il dotto opera è quello degli istituti e delle mansioni statali, il funzionamento della fabbrica della scienza avviene sotto il giogo dello Stato il quale ne promuove l’estensione (e causa quindi, nell’ottica di Nietzsche, l’indebolimento della cultura stessa)75. Questa situazione di soggezione non rimane senza conseguenze, poiché essendo un impiegato statale colui che riflette sulla cultura, naturalmente non può andare in una direzione che cozzi con i valori, gli interessi e le disposizioni dello Stato. (Quest’ultimo, dal lato suo, si conferisce un’aura di moralità permettendo l’esercizio intellettuale, quando è tuttavia implicito che tale servizio non debba risultare temibile nei suoi confronti e con ciò la sua efficacia risulta già minata in partenza)76. La frase di Schopenhauer secondo cui

Un governo non assolderà della gente per contraddire, direttamente o anche indirettamente, ciò che esso fa proclamare da tutti i pulpiti per opera di migliaia di preti, o di insegnanti di religione, suoi impiegati77

74 Cfr. BA, I, pp. 34-35.

75 Se lo Stato, favorendo l’estensione della cultura, la indebolisce ponendole limiti precisi, un indebolimento della

cultura è insito già nell’estensione stessa. Infatti in Sull’avvenire delle nostre scuole si sostiene a più riprese che tale tendenza si oppone alla natura: «la natura come tale destina a un vero sviluppo culturale solo un numero estremamente piccolo di uomini». (BA, III, p. 65. Cfr. anche BA, Prefazione, pp. 6, 8.) Il concetto di “natura”, che in questo teso indica una forma di ordinamento eterno ed intangibile, qui finisce per giustificare sempre la posizione sovraordinata dei pochi sui molti che li servono, del genio sulla massa. (Cfr. BA, III, p. 66 e V, pp. 127-128). Questa posizione presentata in maniera arbitraria e mai argomentata, probabilmente si avvale del termine “natura” in maniera retorica, poiché, come si vedrà nel capitolo 2, il Nietzsche del 1872 è già lontano dal concetto di natura come essenza fissa, prestabilita. Tuttavia per Nietzsche sempre una condizione di sviluppo si da quando individui superiori dominano su una massa che li serve. Per questo motivo alcuni tratti del genio si ritroveranno in quelli del superuomo. (Su quest’ultimo punto cfr. ad. es. G. Campioni, Leggere Nietzsche – Alle origini dell’edizione critica

Colli-Montinari, ETS, Pisa 1992, p. 191 e E. Fink, Nietzsches Philosophie (1960), tr. di P. Rocco Traverso: La filosofia di Nietzsche, Marsilio Editore, Venezia 1993, p. 38).

76 Cfr. SE, VIII, pp. 87-88.

77 Arthur Schopenhauer, Parerga und Paralipomena: kleine philosophische Schriften (1851), tr. di G. Colli: Parerga

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è totalmente sottoscritta da Nietzsche, il quale scrive in maniera del tutto analoga:

Almeno finché è favorito e impiegato [sott. il filosofo], deve riconoscere al di sopra della verità qualche cosa di superiore, lo Stato. E non soltanto lo Stato, ma anche tutto ciò che lo Stato richiede per il suo bene: per esempio una determinata forma di religione, dell’ordinamento sociale, dell’organizzazione dell’esercito: su tutte queste cose sta scritto noli me tangere78. Questa situazione conduce tanto al facile carrierismo delle figure più obbedienti, delle menti più piatte ed innocue quanto a squalificare ogni contenuto potenzialmente eversivo riducendo la filosofia ad erudizione filosofica.

In questo orizzonte di discorso si situa infatti l’esaltazione della figura di Schopenhauer, personaggio antiaccademico, rappresentante di un pensiero ancora capace di tramutarsi in stile di vita come per i greci, e fortemente critico nei confronti della professionalizzazione delle attività intellettuali (in particolare la filosofia) e appunto della compromissione fra pensiero e Stato79. Nietzsche si fa continuatore della polemica e riprende in Schopenhauer come educatore gli attacchi portati dal proprio maestro in testi come Sulla filosofia delle università80.

Vuota erudizione, specializzazione, asservimento allo Stato: sono state esposte quindi alcune caratteristiche salienti di quel tipo umano da Nietzsche definito Bildungsphilister, il filisteo colto, il quale in sintesi si adopera affinché la cultura storica rimanga infeconda. Un altro atteggiamento stigmatizzato da Nietzsche è propria quella tanto decantata “oggettività” di cui il filisteo colto si vanta ed ascrive a proprio merito. Al di là dell’utilizzo puramente strumentale ed intellettualmente disonesto che alcuni storici ne fanno, l’oggettività è il distacco dall’interesse personale, la condizione in cui il materiale trattato non produce alcun effetto sull’osservatore. Nietzsche intende innanzitutto demistificare questo concetto mostrando l’ambiguità che contiene e poi svelare la sua vera funzione nell’ottica della scienza pura.

Questo stato di distacco non sarebbe quindi immediatamente sinonimo di capacità di cogliere passivamente la verità storica empirica. Infatti questa stessa condizione è quella in cui l’artista è attivo nei confronti della storia, in cui la plasma, la manipola per i suoi fini creativi e

78 SE, VIII, p. 88.

79 Sulle considerazioni del rapporto fra filosofia e Stato, le quali si connettono alla critica nei confronti

dell’hegelismo, della sua concezione della storia e della religione, si tornerà nel capitolo 2. Per quanto riguarda il giudizio su Schopenhauer, si nota come alla svalutazione del sistema filosofico si accompagni al contrario la stima per il pensatore in quanto persona, modello di integrità e guida per i giovani. Sebbene non ne venga esplicitato il nome, Schopenhauer è il personaggio del filosofo in Sull’avvenire delle nostre scuole il quale avvia i due studenti che lo incontrano per caso sulla strada della critica e dell’inattualità.

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quindi, in breve, la falsifica. Ciò porta al paradosso che una serie di avvenimenti osservati oggettivamente può nondimeno essere falsificato, e che quindi oggettività e verità storico-empirica siano disgiunte. Dirigersi alla verità-storico storico-empirica è ciò che invece viene chiamato giustizia. Giustizia è il desiderio di avere a disposizione tutti gli elementi ripuliti dalle falsificazioni per poi dare una valutazione81. L’oggettività può darsi senza giustizia82. Ma al di là di questa precisazione, l’esaltazione dell’oggettività è attaccata in quanto in realtà legittima sotterraneamente un modo di contemplare la storia in modo che essa non faccia alcun effetto83. Lo studioso frappone uno schermo fra sé e le potenzialità vivificatrice della storia squalificando a priori quella carica innovatrice che potrebbe mettersi al servizio della vita. In

Così parlò Zarathustra, marcando le distanze fra sé e i dotti del proprio tempo, Nietzsche li

caratterizza scrivendo che «siedono freddi nell’ombra fredda: in tutto non vogliono essere che spettatori, e si guardano bene dal mettersi a sedere dove il sole arde i gradini»84. Lo studioso sceglie con relativa indifferenza l’argomento dei propri studi, perché in ogni caso questo viene tenuto a distanza; egli è nella stessa situazione di un eunuco che deve scegliere quale donna preferisca:

É una generazione di eunuchi; per l’eunuco una donna vale l’altra, è soltanto donna, la donna in sé, l’eternamente inavvicinabile – e così è indifferente che cosa facciate, purché la storia stessa rimanga custodita in modo bellamente oggettivo, ossia da coloro che non potranno mai farsi essi stessi storia85.

La neutralizzazione della storia passa anche attraverso un’operazione di storicizzazione globale per cui ogni fenomeno viene presentato come avente senso esclusivamente nel proprio tempo: il suo significato, le sue motivazioni, i suoi destinatari si esauriscono totalmente all’interno della sua situazione storica che ne garantisce l’unico universo in cui risultano comprensibili. In questo modo è impedito agli uomini del passato il diritto di avere parole anche per l’oggi, si compie un’opera di profilassi per cui storicizzare diviene sinonimo di sterilizzare86:

81 In ogni caso, come si è avuto modo di notare, un certo grado di ingiustizia verso il passato a garantire l’effetto

vivificatore, poiché vivere ed essere ingiusti sono la stessa cosa. Su questo punto si veda anche HL, I, p. 12 e III, p. 29.

82 Cfr. HL, VI, p. 51.

83 Cfr. HL, 6, p. 50 e FP III, III, II 29 [96], pp. 274-275. 84 ZA, II, p. 143.

85 HL, V, p. 44.

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Appunto questa gente comoda si impossessò allo stesso scopo, per garantire la sua tranquillità, della storia, e cercò di trasformare in discipline storiche tutte le scienza da cui c’erano forse da aspettarsi ancora turbamenti per la comodità, specialmente la filosofia e la filologia classica. Con la coscienza storica si salvò dall’entusiasmo – giacché non era più questo ciò che la storia doveva generare, come invece poteva ancora presumere Goethe: al contrario proprio il rendere ottusi è oggi lo scopo di questi non filosofici ammiratori del nil admirari, quando cercano di intendere tutto storicamente87.

Nietzsche irride a più riprese i dotti a lui contemporanei sottolineandone spesso i difetti e le viltà, di cui si trova un elenco satirico nell’Inattuale su Schopenhauer88. Ma le battute e gli strali presi per sé rimangono fuorvianti se non rimandano all’idea sottostante, cioè che la figura del filisteo colto incarna tutto ciò che si oppone alla visione nietzschiana. La sua pericolosità consiste appunto nell’impedire che la storia sia un’occupazione di chi lavora e soffre per un cambiamento spirituale, artistico, politico; il filisteo storico-estetico della cultura è il simbolo di quell’atteggiamento imperante che dissecca ogni cosa. Egli è:

L’ostacolo di tutti i forti e i creatori, il labirinto di tutti i dubbiosi, la palude di tutti gli spossati, la catena al piede di tutti coloro che corrono verso altre mete, la nebbia che avvelena tutti i germi freschi, l’arido deserto di sabbia per lo spirito tedesco che cerca ed è avido di nuova vita89.

Tale disposizione intellettuale intrisa di conservatorismo e passività troverebbe il suo alleato nella generale mentalità hegeliana diffusa nelle istituzione tedesche, specialmente per il modo in cui questa filosofia legge la storia umana. Nietzsche individua alcuni punti in cui hegelismo e scienza storica realizzerebbero una collusione90.

Indicando nel presente il culmine di un processo razionale in cui lo spirito giunge a conoscere se stesso, essa dipinge il presente stesso come un momento di completezza e quindi

87 DS, I, p. 23.

Un passo del tutto analogo si ritrova nel breve scritto intitolato Il rapporto della filosofia schopenhaueriana con

una cultura tedesca: «Non è più l’entusiasmo suscitato dalla storia – come poteva credere Goethe – ma è proprio

l’attenuarsi di ogni entusiasmo, che risulta ora lo scopo di questi ammiratori del nil admirari, quando essi cercano di comprendere tutto quanto storicamente». (Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei greci e scritti

1870-1873, cit., p. 113).

88 Cfr. SE, VI, pp. 67-70. 89 DS, I, p. 20.

90 Ad una tale collusione si fa cenno, sebbene in termini lievemente differenti, in Mazzarella, Attualità della

seconda inattuale, cit., p. 69, dove l’autore afferma che Sull’utilità e il danno della storia per la vita è una critica

essenzialmente rivolta ad uno storicismo di stampo hegelo-positivistico: hegeliano perché si affida alla razionalizzazione teleologica del processo storico, al criterio del successo; positivistico perché incentrato sull’accertabilità filologica del dato storico ed intento a legittimare l’obiettivismo storiografico come neutralità spinta al disinteresse relativistico, al contemplativismo dello storico.

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in qualche modo vecchiaia, di canizie. Il senso di compitezza che induce, impedisce che la vita si serva della storia, perché la storia ha detto tutto ciò che aveva da dire, si è esaurita nel processo che porta all’apice dei tempi, ovvero all’oggi91. La soddisfazione genera inoltre un clima di stanchezza che scoraggia la tensione verso il nuovo e quindi la formazione dell’illusione che protegge la vita nel suo gettarsi in avanti. Se il passato ha detto tutto e gli individui attivi vengono soffocati, alla storia si guarda come ad un materiale da raccogliere e catalogare con freddezza e disinteresse92.

Quest’opera di neutralizzazione del sapere storico risulta particolarmente deleteria nei confronti della filosofia93: se ciascun pensatore è giustificato in un tempo, cioè trova il suo unico significato in una data “tappa” dello spirito che poi viene superata (e resa, per così dire, obsoleta), non ha senso discutere sul suo pensiero e ci si può quindi limitare in buona conoscenza alla sola ricostruzione storica del medesimo. Tutto ciò frustra l’autentico bisogno di sapere dei giovani che viene irrimediabilmente deviato e soffocato.

Il dotto inoltre, tramite un approccio esclusivamente intellettuale egli eventi passati, tentando di comprendere tutto con la ragione, finisce per concepire l’accadere come razionale e necessario, perciò lo giustifica tramite l’immissione di uno scopo:

Poiché si investe molto raziocinio per intendere così un qualsiasi frammento di passato, si finisce altresì nel pensare che la ragione stessa l’abbia prodotto. Così si crea la superstizione che la storia sia razionale; così l’assoluta necessità viene intesa come una manifestazione della razionalità e dell’opportunità94.

Se si si riesce a comprendere l’accadere storico, significa che è razionale, e quindi totalmente giustificato: giustificato è di conseguenza anche il presente che ne deriva, davanti al quale ci si inchina con rispetto95. Quello che contesta Nietzsche è il passaggio tanto facile quanto illegittimo tra comprendere e giustificare.

D’altronde l’attacco alla filosofia hegeliana della storia interpretata come una teleologia che divinizza il presente, legittimando un atteggiamento di passività e accettazione filistea nei suoi confronti, è un motivo ricorrente e centrale all’interno degli scritti di Nietzsche.

91 Cfr. HL, VIII, pp. 65-66. 92 Cfr. HL, VIII, pp. 67-68. 93 Cfr. BA, V, pp. 117-118.

94 FP, III, III, II, 29 [31], pp. 237-238. 95 FP, VIII, II, 9 [126], p. 65.

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