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Caratterizzazione chimica e valutazione delle prestazioni di un impianto di bonifica elettrocinetica di sedimenti marini

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Scuola di Ingegneria

Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei Sistemi, del

Territorio e delle Costruzioni

Corso di Laurea Magistrale in

Ingegneria Idraulica, dei Trasporti e del Territorio

Tesi di Laurea:

CARATTERIZZAZIONE CHIMICA E VALUTAZIONE

DELLE PRESTAZIONI DI UN IMPIANTO DI BONIFICA

ELETTROCINETICA DI SEDIMENTI MARINI

RELATORE:

Prof. Ing. Renato Iannelli

CORRELATORE:

Ing. Matteo Masi

CANDIDATO:

Marco Ponzanelli

ANNO ACCADEMICO 2016-17

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Ringraziamenti

Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato nella stesura di questo elabora- to per mezzo di osservazioni, consigli e critiche indicandomi quindi la strada da percor-rere e le riflessioni dovute. Ringrazio innanzitutto il Prof. Ing. Renato Iannelli, Relatore, e l’Ing. Matteo Masi, Cor- relatore, per l’enorme disponibilità fornitami e per la professionalità che mi hanno de-dicato nel guidarmi verso il completamento di questo mio percorso. Proseguo con un ringraziamento per il Prof. Alessio Ceccarini del Dipartimento di Chi-mica e ChiProseguo con un ringraziamento per il Prof. Alessio Ceccarini del Dipartimento di Chi-mica Industriale per i consigli e per avermi concesso piena libertà nell’utilizzare i Suoi strumenti e laboratorio per lo sviluppo di una parte delle analisi necessarie alla tesi.

Doveroso è anche il ringraziamento alla Prof.ssa Annalaura Carducci del Dipartimento di Igiene per avermi consentito di utilizzare il laboratorio del Dipartimento durante un’ulteriore parte delle analisi eseguite per l’elaborato. Dello stesso Dipartimento, mi preme ringraziare tutte le persone che ivi ci lavorano ed in particolare il Dott. Giacomo Palomba che mi ha seguito durante tutte le operazioni svolte. Ringrazio tutta la mia famiglia, mia madre, mio padre e mio fratello Luca per il suppor- to che mi hanno regalato in questi anni e per i consigli utili forniti nei momenti più dif-ficili; è grazie a loro che il mio percorso di crescita si è potuto svolgere con la serenità giusta per affrontare gli ostacoli che si sono presentati in modo corretto e determinato. Infine, desidero ringraziare tutti i miei amici, tutte le persone con cui ho condiviso an-che solo un singolo istante di questi anni. Un “grazie” davvero speciale va ad Andrea e Maria Vittoria, amici e compagni, non solo d’Università, che hanno fatto passare gli an-ni condivisi in modo incredibilmente rapido, perché è saputo che quando i momenti si vivono con le persone giuste, passano più velocemente.

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Sommario

Introduzione ________________________________________________________________________________ 6 1 Normativa e regole per il dragaggio nei porti ______________________________________ 8 1.1 Quadro normativo internazionale ______________________________________________________ 8 1.2 Quadro normativo comunitario _______________________________________________________ 10 1.3 Quadro normativo nazionale ___________________________________________________________ 11 1.3.1 Cronologia normativa fino ai giorni nostri ___________________________________________ 11 1.3.2 Siti di interesse nazionale (SIN) ______________________________________________________ 17 1.3.3 Manuale per la movimentazione di sedimenti marini ______________________________ 20 2 Dragaggio e trattamenti di bonifica dei sedimenti dragati ____________________ 23 2.1 Attività di dragaggio nei porti __________________________________________________________ 23 2.1.1 Dragaggio con mezzi terrestri o mezzi marittimi ___________________________________ 24 2.1.3 Dragaggio meccanico e dragaggio idraulico __________________________________________ 26 2.1.4 Dragaggio ambientale __________________________________________________________________ 28 2.2 Trattamenti di bonifica per i sedimenti dragati _____________________________________ 30 2.2.1 Principali trattamenti chimico-fisici __________________________________________________ 31 2.2.2 Principali trattamenti termici _________________________________________________________ 34 2.2.3 Principali trattamenti biologici ________________________________________________________ 35 2.3 Trattamento elettrocinetico ____________________________________________________________ 39 3 Caratterizzazione dei sedimenti dragati ___________________________________________ 42 3.1 Campionamento dei sedimenti in un’area portuale ________________________________ 43 3.2 Analisi da eseguire sui sedimenti dragati ____________________________________________ 45 3.3 Indicazioni pratiche fornite dal Manuale per le indagini ambientali nei siti contaminati ____________________________________________________________________________________ 53 3.3.1 Il Piano di Qualità _______________________________________________________________________ 54

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3.3.2 Controlli di qualità sul campo _________________________________________________________ 55 4 Il porto di Livorno ed il progetto Life+ SEKRET __________________________________ 59 4.1 Il porto di Livorno ________________________________________________________________________ 59 4.1.1 Il progetto Piattaforma Europa _______________________________________________________ 62 4.1.2 Altri progetti di ricerca e sviluppo dell’Autorità Portuale di Livorno ______________ 66 4.2 Progetto Life+ SEKRET __________________________________________________________________ 68 4.2.1 INPUT di progetto: analisi per la caratterizzazione dei sedimenti e risultati _____ 69 4.2.2 Caratteristiche e progetto dell’impianto pilota ______________________________________ 73 4.2.3 Condizionamento e trattamento degli elettroliti durante il processo _____________ 78 4.2.4 Trattamento dell’effluente gassoso ___________________________________________________ 84 4.2.5 LCA ed applicazione al progetto Life+ SEKRET ______________________________________ 84 5 Caratterizzazione progetto Life+ SEKRET __________________________________________ 94 5.1 Metodi di analisi __________________________________________________________________________ 94 5.1.1 Analisi dati SCADA ______________________________________________________________________ 94 5.1.2 Campionamento ed analisi dei sedimenti ____________________________________________ 99 5.1.3 Analisi pH dei sedimenti campionati ________________________________________________ 103 5.1.4 Analisi chimiche degli elettroliti ____________________________________________________ 107 5.2 Risultati analisi di caratterizzazione _________________________________________________ 110 5.2.1 Elaborazioni dati SCADA _____________________________________________________________ 110 5.2.2 Risultati analisi pH dei sedimenti ___________________________________________________ 122 5.2.3 Risultati analisi chimiche dei sedimenti ____________________________________________ 126 5.2.4 Osservazioni sulle analisi chimiche degli elettroliti _______________________________ 134 6 Conclusioni ___________________________________________________________________________ 135 Appendice: Report analisi elettroliti _______________________________________________ 138 Fonti bibliografiche e sitografia _____________________________________________________ 159

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Introduzione

L’attività di dragaggio all’interno dei porti risulta spesso necessaria per il manteni- mento della profondità dei fondali su valori adeguati alla navigazione delle imbarca-zioni ospitabili. Tale operazione è di per sé piuttosto costosa, ma un’ulteriore grande problematica consiste nella contaminazione che caratterizza i sedimenti estratti in quanto rende necessari oneri aggiuntivi riguardanti la successiva gestione di tale ma-teriale. Il problema della contaminazione dei sedimenti di fondo è emerso qualche decennio fa ed è attualmente oggetto di attenzione sempre crescente. Ad oggi, esistono molte tecniche di bonifica delle matrici solide contaminate; le tecni- che biologiche come il landfarming ed il biopile sono le più convenienti per i conta-minanti organici mentre il lavaggio chimico è usato per i metalli ed altri contaminanti inorganici, mentre il fitorimedio è applicabile ad entrambi, ma con molti vincoli e li- mitazioni. Qualora la matrice contenga molti limi ed argille raggiunge valori di per-meabilità molto bassi e tutti i suddetti processi perdono efficacia. La tecnica che riesce ad avere il miglior rendimento in tal caso è la tecnica elettroci- netica; infatti, proprio la bassa permeabilità dei sedimenti favorisce il trasporto elet-trocinetico dei vari contaminanti. Tale soluzione prevede l’applicazione di un campo elettrico distribuito mediante elettrodi contenuti all’interno di pozzetti porosi posti all’interno del materiale da trattare. Costruita una rete di pozzetti e tubazioni colle- ganti, questa deve consentire la circolazione di soluzioni elettrolitiche affinché si rea-lizzi la chimica di progetto. Il sistema, simultaneamente all’attivazione degli elettrodi, produce il fenomeno dell’elettrolisi, capace di innescare l’avanzamento di un fronte acido nel percorso, interno al materiale, che va dall’anodo al catodo ed un fronte ba-sico nella direzione opposta. In pratica, all’anodo si producono ioni H+ e al catodo io-ni OH- che, migrando, provocano un gradiente di pH all’interno del materiale da trat- tare. L’acidificazione facilita il desorbimento di metalli e complessi polari che si por-tano in soluzione nel liquido interstiziale, mentre il fronte basico è contrastato do-sando in maniera controllata acidi all’interno del catolita.

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I fondali del porto di Livorno tendono ad interrirsi per i limi e le argille trasportate dallo scolmatore d’Arno ed introdotte nell’area portuale per mezzo dell’imbocco nel porto in corrispondenza dell’antico canale dei Navicelli. Questo materiale viene in-quinato dalle varie attività presenti all’interno del porto e, se la contaminazione è contenuta, viene, a seguito delle opere di dragaggio, inserito all’interno di vasche di colmata impermeabilizzate, costruite per evitare la dispersione della contaminazione verso il mare. Nel 2005 sono stati caratterizzati i fondali del porto per individuare le zone in cui le concentrazioni dei contaminanti, seppur modeste, eccedono i limiti consentiti per lo stoccaggio in vasca di colmata. Per prepararsi ad affrontare il problema della conta-minazione dei sedimenti di dragaggio, l’Autorità Portuale di Livorno ha intrapreso l’iniziativa del progetto pilota Life+ SEKRET con l’Università di Pisa ed altri partner per dimostrare la possibilità di decontaminare i sedimenti limo-argillosi in una vasca protetta ed opportunamente attrezzata. Il progetto ha avuto inizio nel gennaio 2014, l’impianto è entrato in funzione nel luglio 2015 e ha proceduto alla decontaminazio-ne dei sedimenti fino al termine del progetto stesso, ovvero al dicembre 2016. Il lavoro esposto nei capitoli che seguono riguarda prevalentemente la fase di carat- terizzazione dei sedimenti e di altri aspetti riguardanti il progetto al termine del trat-tamento fornito dall’impianto pilota.

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1 Normativa e regole per il dragaggio nei porti

L’attività di dragaggio rappresenta una pratica con un elevato impatto ambientale sia in termini quantitativi che in termini di qualità scadente provocata dalla presenza di un certo grado di contaminazione nei sedimenti. Risulta quindi necessario disporre di una normativa a livello internazionale, comunitario e nazionale in grado di rego-lamentare le operazioni. Tale necessità però non è, ad oggi, pienamente soddisfatta da una integrale legislazione capace di definire ogni aspetto relativo alle operazioni di dragaggio, bensì vi sono frazionate indicazioni non sempre esaustive. Nel presente capitolo si cerca di fornire una raccolta dei principali provvedimenti di-stinguendoli in base alla rilevanza territoriale fino a caratterizzare quella che è l’odierna normativa italiana.

1.1 Quadro normativo internazionale

All’interno di un vasto panorama di riferimenti normativi internazionali è necessario evidenziare l’importanza avuta dalla stipula di alcune convenzioni atte a definire uno smaltimento adeguato dei materiali dragati negli ambienti marini, tra cui quindi anche quelli portuali. L’obiettivo principale risiede nel regolamentare il versamento di tali materiali a mare in base alle loro caratteristiche (dumping). Si riportano di seguito alcune delle più importanti convenzioni definite nel passato: • Convenzione di Londra (1972): London convention on the prevention of ma- rine pollution by dumping of wastes and other matter” (LDC), dedicata alla re-dazione di due liste (“lista nera” e “lista grigia”) mediante le quali i sedimenti vengono classificati in base alle loro composizioni chimiche affinché possano essere definite le adeguate destinazioni d’uso. A tal proposito viene infatti vie-tato lo scarico in mare aperto dei sedimenti contenuti all’interno della “lista nera” mentre se ne limita l’applicazione ai sedimenti ricadenti all’interno della “lista grigia”. Nel 1996 la LDC viene revisionata attraverso importanti novità che vanno ad eliminare la definizione di “rifiuto” ai sedimenti di dragaggio e ad introdurre funzionalità più efficienti per essi in modo da definirli più pro-priamente una risorsa da recuperare. Sostanzialmente, con questa revisione viene a costituirsi un nuovo flow-chart capace di caratterizzare da vicino l’iter che i sedimenti dragati devono seguire in funzione delle loro caratteristiche. Alla LDC è annesso anche il “Dredged Material Assessment Framework”

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(D.M.A.F) attraverso il quale si definiscono le linee guida circa le operazioni di dragaggio nei porti;

• Convenzione di Oslo (1972): “Oslo Convention for the Prevention of Marine

Pollution by Dumping from Ship and Aircraft”

,

riguardante lo scarico di mate-riali nell’Atlantico nord-orientale e nel Mare del Nord

• Convenzione di Parigi (1974): “Paris convention of the Prevention of Marine

Pollution from land-based sources”

• Convenzione di Barcellona (1976): “Convenzione per la protezione del Mar

Mediterraneo contro l’inquinamento”. Entra in vigore nel 1978 e viene contrat-ta da 21 Paesi stati mediterranei. Nel 1995 viene registraMediterraneo contro l’inquinamento”. Entra in vigore nel 1978 e viene contrat-ta con il titolo di “Convenzione per la Protezione dell’ambiente marino e della Regione costiera

del Mediterraneo” ed insieme ad altri sei Protocolli viene a costituire il

“Si- stema di Barcellona”, ovvero il quadro giuridico del Piano d’Azione per il Me-diterraneo (MAP). • Convenzione di Oslo-Parigi (1992): “Oslo-Paris convention on the protection of the marine environment of the North-East Atlantic: revised guidelines for the management of dredged material” (OSPAR); revisionata nel 1992, adottata nel 1998 e rivisitata nel 2004, fissa standard di qualità dei sedimenti dragati che, diversamente da quanto viene proposto dalla Convenzione di Londra, si basa-no anche su livelli di concentrazione di contaminanti che le amministrazioni nazionali devono fare rispettare quando autorizzano lo scarico a mare

• Convenzione di Helsinki (1992): “Helsinki convention on the protection of

the marine environment of the Baltic Sea Area: Helcom recommendation dispo-sal of dredged spoils”

Le convenzioni appena citate hanno lo scopo di fornire un riferimento normativo agli Stati aderenti ed individuano alcuni principi cardine quali la caratterizzazione dei sedimenti per la corretta decisione delle destinazioni d’uso accettabili e l’applicazione dei sedimenti in attività differenti rispetto al semplice stoccaggio in mare. In modo riassuntivo si possono elencare i tre principi fondamentali che posso-no essere estrapolati dalle indicazioni fornite dalle Convenzioni elencate in prece-denza: principio precauzionale, principio di “chi inquina paga” e principio di gestione

integrata delle zone costiere.

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Il principio precauzionale consiste nel consentire lo scarico in mare solo di certe so- stanze che siano state sottoposte a caratterizzazione, ipotesi di impatto e monitorag-gio. Il principio di “chi inquina paga” si basa invece sul far ricadere le responsabilità sul soggetto che introduce nell’ambiente sostanze inquinate in termini di costi necessari per il risanamento. Infine, il principio di gestione integrata delle zone costiere indica una politica di inter-venti integrata con il contesto territoriale in cui si opera.

1.2 Quadro normativo comunitario

A livello europeo, la normativa si articola in direttive concernenti soprattutto la ge-stione delle acque e dei rifiuti. Come fatto in precedenza, si riportano alcuni esempi significativi per la regolamentazione delle attività di dragaggio e della gestione del materiale estratto:

• Direttiva 75/442/EC (European Waste Directive), in cui si chiarisce ciò che si intende per “rifiuto” e al cui interno vi è un elenco di categorie di rifiuto (All. I), di operazioni di smaltimento (All. IIA) e di operazioni di recupero (All. IIB)

• Direttiva 2000/532/EC (European Waste Catalogue) in seguito aggiornata con le direttive 2001/118/EC, 2001/119/EC e 2001/573/EC, capace di fornire un elenco di rifiuti (Catalogo CER, recepito dal Decreto Ronchi, All. D, si veda il paragrafo dedicato alla normativa nazionale) e di identificare i “fan- ghi di dragaggio” con i codici 17 05 05 nel caso essi contengano sostanze peri-colose o 17 05 06 altrimenti Direttiva 1999/31/EC (European Landfill Directive), da applicare ai sedi-menti destinati al landfarming

• Direttiva 2000/60/EC (Water Framework Directive-WFD), per la prote- zione dei corpi idrici superficiali naturali ed artificiali, delle acque marine, del-le acque di transizione e dei corpi idrici sotterranei dall’inquinamento. Questa direttiva si propone di coordinare la fruizione della risorsa idrica di livello na-zionale a livello europeo, andando ad introdurre un univoco sistema di ge-stione basato sull’unità elementare del bacino idrografico anziché sui confini politico-amministrativi. Proprio per questo aspetto si prevede l’integrazione dei “Piani di gestione dei sedimenti dragati” con ampi “Piani di gestione del

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bacino idrografico” (River Basin Management Plan). Tale ultima indicazione propone un’ottica per cui i sedimenti dragati siano una parte integrante del corpo idrico. Sempre nella stessa direttiva vi è anche una diretta indicazione alla gestione sostenibile del materiale dragato (SSM, Sustainable Sediment

Management) che prevede il lavoro simultaneo di più autorità territoriali.

1.3 Quadro normativo nazionale

Il quadro normativo del nostro Paese risente della frammentarietà che caratterizza l’intero sistema normativo vigente in materia ambientale. Ciò si riflette in un com-plesso legislativo disorganico e molto spesso incompleto. Solitamente è stato perseguito un approccio meramente cautelativo senza tener con-to della reale pericolosità dei sedimenti dragati, il che comporta costi spropositati e tempi d’intervento eccessivi e non competitivi. Vi è dunque un’evidente necessità di individuare una chiara ed univoca disciplina re-lativa alla gestione dei materiali prodotti durante la movimentazione dei sedimenti sui fondali portuali. 1.3.1 Cronologia normativa fino ai giorni nostri Uno tra i primi provvedimenti legislativi in materia di gestione di sedimenti dragati è il D.M. 24.1.1996, “Direttive inerenti le attività istruttorie per il rilascio delle autoriz- zazioni relative allo scarico nelle acque del mare o in ambienti ad esso contigui, di ma- teriali provenienti da escavo di fondali di ambienti marini o salmastri o di terreni lito-ranei emersi, nonché da ogni altra movimentazione di sedimenti in ambienti marini“. Nell’anno successivo, il cosiddetto Decreto Ronchi (D.Lgs. 22/1997, “Attuazione delle direttive 91/56/CEE sui rifiuti, 91/698/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli im- ballaggi e sui rifiuti di imballaggio”) introduce una maggiore attenzione nella regola-mentazione relativa al materiale solido prelevato e poi immerso nei fondali marini. Più precisamente all’All.A, previsto dall’art.6, comma1, lettera a, vengono elencati come categoria di rifiuti all’interno del CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti) le voci “terra e materiali di dragaggio” (17 05 00) e “terra di dragaggio” (17 05 02). Il De-creto Ronchi verrà poi abrogato dall’art. 264 del D.Lgs. 152/2006.

Successivamente, il D.L. 11 maggio 1999, n.152 “Disposizioni sulla tutela delle acque

dall’inquinamento”, in corrispondenza dell’art.35 “Immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo e attività di posa in mare di cavi e condotte “ cita al c.1

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“Al fine della tutela dell'ambiente marino ed in conformità alle disposizioni delle con-venzioni internazionali vigenti in materia, è consentita l'immersione deliberata in mare da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o in ambiti ad es-so contigui, quali spiagge, lagune e stagni salmastri e terrapieni costieri, dei seguenti materiali: a) materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi; b) inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità ambientale e l'innocuità; c) materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto duran-te l'attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri. Nei restanti commi dell’articolo viene disciplinata l’autorizzazione e gli enti compe- tenti necessari nella movimentazione delle tre categorie di materiali appena elenca-te. La Direttiva Ministeriale del 9 aprile 2002, “Indicazioni per la corretta e piena applicazione del regolamento comunitario n.2557/201 sulle spedizioni di rifiuti ed in

relazione al nuovo elenco rifiuti”, che recepisce la Decisione della Commissione Euro-pea 2000/535/EC e la successiva Decisione 2001/573/EC, identifica i sedimenti di dragaggio con i fanghi di dragaggio, che presentano i codici CER 17 05 05* e 17 05 06, a seconda se contengono o meno sostanze pericolose al loro interno

.

L’articolo 35 del D.L. 152/99 viene ripreso anche dal Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/2006) al suo art.109; vengono riconfermate le stesse 3 categorie di ma-teriali di cui è consentita l’immersione deliberata in mare e regolamentato il regime di autorizzazione, affidato alle Regioni per quelli che sono i materiali ricadenti nelle categorie a) e b) (i materiali ascrivibili alla classe c) non sono soggetti ad alcuna au-torizzazione). Riguardante la gestione dei sedimenti di dragaggio è anche l’art.184 del D.Lgs 152/2006; tale articolo, poi modificato dal D.Lgs. 205/2010, identifica i ri-fiuti pericolosi all’interno dell’All.D della parte IV e tiene conto dell’origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose.

Altro aspetto concernente l’attività di dragaggio presente all’interno del Testo Unico Ambientale del 2006 è sicuramente la definizione di Sito di Interesse Nazionale (SIN). Tali siti sono individuati dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Mare e

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del Territorio d’accordo con le Regioni “in relazione alle caratteristiche del sito inqui-nato (estensione, densità di popolazione), alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell’impatto sull’ambiente circostante in termini sanitari ed ecologici nonché pregiudizio per i beni culturali e ambientali”.

Nel 2012, sono entrati in vigore due decreti significativi rispetto ad alcuni fattori trattati in precedenza riguardanti caratteri dell’attività di dragaggio. Il primo è il

D.Lgs 1/2012, convertito poi con la L.27/2012, al cui art.48 “Norme in materia di

dragaggi” ha introdotto una modifica alla normativa di cui alla L.N. 84/94 per quel che riguarda i SIN. Il secondo provvedimento normativo è il D.M. 161 del

10/08/2012,

un regolamento atto a descrivere le caratteristiche necessarie per at- tribuire ad un determinato materiale la definizione di “sottoprodotto”. Questo rego- lamento mira a migliorare l’uso delle risorse naturali e prevenire la produzioni di ri-fiuti andando a stabilire gli standard, basati sulle condizioni previste al comma 1, dell’art. 184-bis del D.Lgs. 152/06 e successive modifiche, che i materiali di scavo de- vono possedere affinché siano considerati “sottoprodotti” e non “rifiuti”. Fra i “mate- riali di scavo” definiti dal suddetto D.M. troviamo “materiali litoidi in genere e comun- que tutte le altre plausibili frazioni granulometriche provenienti da escavazioni effet-tuate negli alvei, sia dei corpi idrici superficiali che del reticolo idrico scolante, in zone golenali dei corsi d'acqua, spiagge, fondali lacustri e marini” . Quest’ultimo regolamento riesce ad aprire una visione differente nella qualificazione dei sedimenti dragati poiché essi, per la nostra normativa, non vengono ad essere considerati rifiuti a meno che non risultino essere contaminati e pericolosi anche do-po operazioni di trattamento (CER 17 05 05 o 17 05 06). In tal caso lo smaltimento in discarica risulta essere lo stadio ultimo inevitabile della gestione del materiale. L’attività di recupero del materiale contaminante si spinge al fine di riuscire ad otte- nere, qualora la destinazione finale sia “suolo”, concentrazioni dei contaminanti infe- riori rispetto a soglie (CSC) imposte dalla Tabella 1 dell’All.5 alla parte IV del TU Am-bientale. Tale Tabella riporta due differenti limiti di concentrazione (col.A e col.B) in funzione del fatto che i sedimenti abbiano concentrazioni idonee per qualsiasi desti-nazione d’uso o solo per siti a carattere commerciale e industriale. Nelle due pagine seguenti si presenta tale All.5 alla parte IV estratto dal D.Lgs 152/2006. È da precisa- re che la stessa Tabella 1 presenta, per ogni categoria chimica, alcune sostanze rile- vate più comunemente all’interno di siti contaminati. Qualora sia necessaria la verifi-ca della concentrazione di una sostanza non elencata bisognerà rifarsi a valori limite relativi alla sostanza tossicologicamente più affine.

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Alta curiosità estraibile dalla citata Tabella è collegata alla concentrazione limite proposta per l’amianto. Il valore di 1000 mg/kg (espressi come ss) è sostanzialmente corrispondente al limite di rilevabilità della tecnica analitica utilizzabile ovvero della diffrattometria a raggi X oppure I. R.-Trasformata di Fourier).

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Nei siti ordinari, la caratterizzazione dei sedimenti può anche dimostrare che i sedi-menti siano idonei nel loro riutilizzo tal quale ed in questo caso il materiale diventa una risorsa utilizzabile in svariati modi tra i quali il riempimento di vasche di colma-ta, modifica della linea costiera ecc. La stessa reimmissione in mare, già trattata in precedenza (art.109 D.Lgs. 152/2006) può rappresentare uno sbocco applicativo al-ternativo. Arrivando ai giorni nostri, il provvedimento normativo in materia di dragaggio più recente è sicuramente il Decreto 172/2016 riguardante la gestione del materiale di dragaggio nei SIN. Questo Decreto rappresenta un vero e proprio Regolamento che disciplina le modalità e le norme tecniche al fine del reimpiego dei materiali dragati; predispone che tutte le operazioni di dragaggio, inclusa la movimentazione del sedi-mento, il trasporto, la collocazione finale siano realizzate secondo modalità tali da prevenire o ridurre al minimo gli impatti sull’ambiente circostante, e in particolare “escludendo ogni deterioramento significativo e misurabile delle risorse naturali in- teressate e delle loro utilità, nonché eventuali dispersioni e rilasci accidentali di ma-teriale”. 1.3.2 Siti di interesse nazionale (SIN) “I siti d’interesse nazionale, ai fini della bonifica, sono individuabili in relazione alle ca-ratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell’impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, non-ché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali.” (art. 252 comma 1 del D.Lgs. 152/2006). È necessario specificare che la definizione dei Siti di Interesse Nazionale (chiamati di seguito SIN) nasce però con il Decreto Ronchi (D.Lgs. 22/97), viene ripresa dal D.M. 471/99 e poi specificata così come riportata dal TU Ambientale. La natura dei SIN può essere differente in termini di destinazioni d’uso; infatti, rica- dono all’interno della definizione aree industriali dismesse, in attività, ma anche por- ti, aree interessate da attività produttive ed estrattive di amianto, ex miniere, discari-che abusive ecc. I SIN sono individuati attraverso norme varie e perimetrati mediante decreto del Mi-nistero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), d’intesa con le Regioni interessate.

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La procedura di bonifica dei SIN è attribuita alla competenza del MATTM, che può avvalersi anche di ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambienta- le), delle ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale), dell’Istituto Supe-riore della Sanità ed altri soggetti pubblici e/o privati. Tabella 1. Fonte: Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Direzione per la Salva-guardia del Territorio e delle Acque) Nella Tabella 1 viene riportato l’elenco delle superfici per ciascuna Regione e per na-tura ricadenti all’interno di SIN, aggiornato al 30 giugno 2016. In seguito, l’art. 36-bis della Legge del 7 agosto 2012 (n.134) ha apportato delle mo-

difiche sostanziali ai criteri d’individuazione dei SIN. In conformità a queste modifi-REGIONE Numero ha (a terra) ha (a mare) ha (totali)

Piemonte 4 110151 0 110151 Valle d’Aosta 1 23 0 23 Lombardia 5 3752 0 3752 Trentino Alto Adige 1 24 0 24 Veneto 1 1621 0 1621 Friuli 2 714 1196 1910 Liguria 2 2113 167 2280 Emilia-Romagna 1 25 0 25 Toscana 4 1457 5339 6796 Umbria 1 655 0 655 Marche 1 108 1165 1273 Lazio 1 Riperim. Sacco - - Abruzzo 1 232 0 232 Molise 0 0 0 0 Campania 2 1083 2886 3969 Puglia 4 10465 13458 23923 Basilicata 2 3645 0 3645 Calabria 1 874 1448 2322 Sicilia 4 7488 16910 24398 Sardegna 2 21625 35164 56789 ITALIA 40 166055 77733 243788

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che è stato rielaborato un nuovo elenco di siti d’interesse nazionale rispetto a quello vigente nel periodo precedente all’entrata in vigore della Legge n.134 del 2012. Per quel che riguarda le procedure amministrative ed operative da seguire nella trat-tazione dei SIN bisogna rifarsi alle indicazioni proposte dal TU Ambientale nella sua Parte IV, al Titolo V. Rispetto ai siti ordinari, per i SIN tutti gli interventi nonché gli elaborati progettuali che vengono redatti dalla caratterizzazione alla bonifica devono essere sottoposti all’autorizzazione del MATTM in quanto risulta essere indicata dal- la normativa come Amministrazione competente in questi procedimenti. Sostanzial-mente la procedura di bonifica si svolge nei seguenti step: • piano di caratterizzazione delle aree da bonificare • analisi di rischio sito specifica (ARSS) • progetto preliminare di bonifica • progetto definitivo di bonifica • esecuzione dei lavori • certificazione finale di conformità

L’approvazione dei primi tre step elencati è a carico del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (previa consultazione con la Conferenza dei Servizi) ed essa sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente, ivi compresi, tra l'altro, quelli relativi alla realizzazione e all'esercizio degli impianti e delle attrezza- ture necessarie alla loro attuazione. L'autorizzazione costituisce, altresì, variante ur- banistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei la- vori. Se il progetto prevede la realizzazione di opere sottoposte a procedura di valu- tazione d’impatto ambientale, l'approvazione del progetto di bonifica comprende an-che tale valutazione. (art. 152 co. 6-7 D.Lgs. n.152/06)

Il riferimento normativo più recente relativo alle attività di dragaggio eseguite all’interno di SIN è il già citato Decreto 15 luglio 2016, n.172; tale Decreto contiene in allegato un Regolamento vero e proprio. Ai sensi dell’art. 5-bis della L.84/94 (Legge sull’attività portuale) ed in base alla Legge “Green Economy” (n.221/2015) nell’appena citato Decreto si disciplinano le modalità e le norme tecniche applicabili ai progetti di dragaggio dei sedimenti marini di aree portuali e marino-costiere ri-comprese nei siti di interesse nazionale. Le operazioni di dragaggio devono essere

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realizzate secondo modalità tali da prevenire o ridurre al minimo gli impatti sull’ambiente circostante. A fianco al Decreto n.172/2016 è entrato in vigore il 21 settembre 2016 anche il Decreto n.173; questo disciplina i criteri per il rilascio dell’autorizzazione (ex art. 109, comma 2, D.Lgs. 152/2006) per l’immersione in ma-re di materiali da escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi, e i principi uniformi a livello nazionale per l’utilizzo di questi materiali per il ripasci-mento o all’interno di ambienti definiti.

1.3.3 Manuale per la movimentazione di sedimenti marini

Redatto da APAT ( Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici) e da ICRAM (Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare) su incarico del MATTM, affronta le problematiche relative alla movimentazione di materiale sedimentario in ambito marino-costiero con particolare riferimento ai dragaggi portuali, al ripascimento di aree costiere soggette ad erosione, all’immersione in mare di materiale di escavo sviluppando gli elementi tecnici con-nessi alla materia specifica. In termini più precisi, il Manuale definisce metodologie di campionamento del sedimento, le metodiche di analisi dei campioni e i criteri di clas-sificazione qualitativa del materiale.

Per quel che riguarda il campionamento del sedimento, il Manuale apporta alcune modifiche rispetto alla normativa vigente in precedenza; infatti, per considerare l’eterogeneità batimetrica dei fondali marini, la variabilità qualitativa dei sedimenti e l’articolazione interna dei porti italiani si devono prevedere tre tipologie di aree uni- tarie, ciascuna da caratterizzare con un solo punto di campionamento. Questa indica-zione è differente rispetto a quanto era prescritto dal D.M. 24 gennaio 1996, ovvero una sola area unitaria con due stazioni di campionamento. Per la successiva attività di analisi, il Manuale tratta un elenco di parametri da dover ricavare nonostante si avvisi che devono essere aggiunte altre verifiche qualora si fosse in presenza di particolari forme di inquinamento. Da questa impossibile univo-cità nell’elencare i parametri da analizzare scaturisce un’elevata importanza delle analisi ecotossicologiche. Quest’ultime analisi, infatti, risolvono il problema affliggen- te le sole analisi chimico-fisiche, ovvero quello di non poter considerare l’intero cam- po di sostanze di origine antropica che può essere presente all’interno di una com- plessa struttura materiale qual è quella dei sedimenti di dragaggio, andando a con-sentire di trarre solo una stima dell’impatto ambientale che la movimentazione dei

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sedimenti andrebbe a provocare. Ad ogni modo, per quel che attiene all’elenco dei parametri chimico-fisici che devono essere estratti, vi sono numerose direttive, tra le quali la Direttiva 2000/60 CE. Sempre in termini di analisi, il Manuale pone l’accento sull’importanza di seguire le metodologie analitiche proposte dai protocolli nazionali e/o internazionali ufficialmente riconosciuti affinché sia possibile garantire la corret-tezza della procedura d’esame e l’inequivocabilità dell’informazione e la qualità del dato. Eseguite le analisi, il passo seguente è quello di compiere, nei confronti del sedimen-to, una corretta classificazione qualitativa; il Manuale propone un approccio tabellare che confronta i valori dei parametri chimico-fisici e ecotossicologici ottenuti nella fa-se di analisi con valori di riferimento. Risulta possibile in questo modo costituire 6 classi differenti con le relative gestioni compatibili: A1, A2, B1, B2, C1, C2 in ordine di contaminazione crescente. Le classi C1 e C2 sono relative alle qualità peggiori e il Manuale cita per esse: C1= Materiale da sottoporre a procedure di particolare cautela ambientale secondo la seguente priorità: Rimozione in sicurezza e avvio di specifiche attività di trattamento e/o partico-lari interventi che limitino l’eventuale diffusione della contaminazione Rimozione in sicurezza e deposizione in bacini di contenimento con impermea-bilizzazione laterale e del fondo • Rimozione in sicurezza e smaltimento presso discarica a terra e C2= Materiale da sottoporre a procedure di particolare cautela ambientale la cui ri-mozione e gestione devono essere valutate caso per caso. L’assegnazione dell’una o dell’altra classa scaturisce dall’integrazione delle informa-zioni fisico-chimiche ed ecotossicologiche in base al Livello Chimico di Base (LCB) e al Livello Chimico Limite (LCL). Il LCB rappresenta un requisito di qualità chimica per i sedimenti da riutilizzare tal quali in ambito marino mentre il LCL è invece un requisito di qualità chimica per i sedimenti destinati al riutilizzo in ambito portuale. Altro strumento importante introdotto dal Manuale è la Scheda di bacino portuale, documento capace di contenere la descrizione della natura del porto e delle opere di protezione, la cartografia di dettaglio, la descrizione approfondita delle caratteristi-che fisiche e meteomarine, le attività portuali precedenti, attuali e previste, il tipo e

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l’ubicazione delle attività di dragaggio eseguite negli ultimi anni ecc. Questo nuovo strumento consente di “conoscere” meglio la realtà portuale ed è in grado di fornire un solido sostegno nella strategia di gestione e programmazione. Infine è utile rilevare come, attraverso un’appendice, il Manuale riesce a indicare con forma matriciale e in maniera schematica le solite tipologie di analisi che devono es-sere fatte in funzione dell’area di prelievo e dell’area di deposizione dei sedimenti di dragaggio. I restanti concetti forniti da questo documento saranno trattati in maniera approfon-dita nel Capitolo 3 “Caratterizzazione dei sedimenti dragati”, in cui si discuterà sulle ordinarie caratteristiche del materiale dragato nonché delle procedure di analisi e dei parametri da rilevare per una ottimale caratterizzazione dei sedimenti.

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2 Dragaggio e trattamenti di bonifica dei sedimenti

dragati

2.1 Attività di dragaggio nei porti

I porti sono un’opera marittima capace di determinare una netta e sostanziale varia- zione di flusso longitudinale dei sedimenti comportando l’accumulo nel tratto di lito-rale sopraflutto e un’erosione nel tratto di sottoflutto. La variazione del volume di materiale delle due parti è spesso inaccettabile giacché nel tratto di sottoflutto si as-sisterebbe ad un arretramento della linea di riva tale da generare problematiche di vario genere; basti pensare che le modifiche del litorale si possono sviluppare per di- stanze molto notevoli, tali da poter interagire con tratti appartenenti ad enti territo-riali diversi e quindi provocando controversie che si riflettono in iter burocratici, e non, davvero dilatati nel tempo. Il dragaggio e la successiva trasmissione dei sedimenti nella parte sottoflutto risulta-no necessari al fine di risolvere questo problema. Oltre alla suddetta questione, l’attività di dragaggio si rende necessaria all’interno di un’area portuale anche per la formazione di barre sabbiose localizzate in determina- te zone caratterizzate da trasporti solidi di fondo molto scarsi, capaci quindi di pro- vocare accumuli di materiale. Queste barre sabbiose provocano, nel tempo, una ridu-zione della profondità dell’acqua tale da generare tiranti idrici non più adeguati alla navigazione delle imbarcazioni; quindi, affinché si riesca a mantenere l’efficienza vo-luta del porto, è necessario rimuovere il materiale accumulatosi. In generale, per la determinazione della profondità dei fondali marini, si fa ricorso ai rilievi batimetrici. La batimetria è una branca dell’oceanografia che si occupa della misura appunto della profondità, della rappresentazione grafica e dello studio morfo-logico dei fondali marini e lacustri. Il risultato di questi studi porta alla realizzazione di carte batimetriche che sono redatte attraverso l’individuazione d’isobate, ovvero di luoghi di punti sul fondale marino posizionati alla medesima profondità. La misura della profondità dei fondali avviene mediante l’utilizzo di strumenti che possono es-sere di vario genere, tra cui il sonar e dei quali si omette il processo utile al fine della misura perché non ritenuto inerente con il tema della tesi. Al fine di individuare la necessità di intraprendere le operazioni di dragaggio, si deve quindi valutare il tirante idrico minimo relativo alla “nave di progetto” considerata

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nelle varie zone portuali e confrontarlo con le profondità dei fondali che tendono a crearsi.

Inoltre ancora, l’attività di dragaggio è necessaria perché le imbarcazioni che circola- no all’interno del porto rilasciano in mare sostanze inquinanti che vanno a contami-nare i sedimenti dei fondali e rischiano di condiziono all’interno del porto rilasciano in mare sostanze inquinanti che vanno a contami-nare la sopravvivenza dell’ecosistema vivente. La mancata rimozione di tali sedimenti comporterebbe quindi impatti ambientali davvero notevoli e non giustificabili (dragaggio ambienta-le, vedasi §2.1.4). Le tre motivazioni riportate sopra con le quali si evidenzia l’importanza del dragag- gio in corrispondenza dei porti sono ovviamente legate tra loro, ma si può evidenzia-re come la problematica della modifica della linea di riva sia molto più complessa sia in termini di tempo che in termini economici e quindi rappresenta un intervento con carattere straordinario; infatti l’estrema urgenza con la quale l’operazione di dragag-gio deve essere eseguita, molto spesso fa sì che non vi sia il tempo necessario per analizzare i sedimenti così come andrebbe fatto e quindi li rende inutilizzabili nell’immediato per il ripascimento del tratto sottoflutto. In termini pratici, si può sommariamente suddividere le tecniche di dragaggio in base ai mezzi utilizzati; distinguiamo quindi il dragaggio con mezzi terrestri e i dragag-gio mediante draghe, nonché il dragaggio meccanico e il dragaggio idraulico. 2.1.1 Dragaggio con mezzi terrestri o mezzi marittimi − Dragaggio con mezzi terrestri che si muovono perpendicolarmente alla riva Questa tecnica può essere convenientemente utilizzata quando siano già a disposi-zioni opere che si sviluppano trasversalmente all’andamento della linea di riva, quali, per esempio, pontili a mare aperto costruiti per consentire l’attracco delle imbarca-zioni. L’utilizzo del molo di sopraflutto del porto è invece una via poco praticabile perché, il più delle volte, la quota cui si porta la sommità del molo non consente all’escavatore di operare in maniera efficiente. Non è da sottovalutare nemmeno il problema che si pone quando si è in presenza di mare avente una forza maggiore di 3. In tal caso, infatti, i mezzi terrestri sono impossibilitati nel proseguire le loro attivi-tà e le lavorazioni devono essere forzatamente interrotte comportando quindi costi inutili.

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Questa tecnica presenta gravi inconvenienti anche dal punto di vista ambientale in quanto i viaggi che gli autocarri devono effettuare per trasportare i sedimenti dragati sono davvero numerosi e quindi le condizioni di traffico possono diventare inaccet- tabili per le strade in prossimità del porto. Altro problema con cui questa tecnica de-ve fare i conti è sicuramente la scarsità del volume di sedimenti che riesce a essere dragato, infatti, planimetricamente il dragaggio può svilupparsi solo all’interno di una ristretta fascia che parte da un limite più vicino alla via di movimento, ma co-munque con una certa tolleranza al fine di evitare cedimenti dannosi per la struttura e il raggio d’azione del mezzo che si utilizza.

Dragaggio mediante mezzi marittimi

La draga è una macchina per l’esecuzione di scavi subacquei capace di operare in aree di mare molto estese. Possono essere utilizzate draghe di due tipi differenti, ov-vero la draga aspirante e portante o la draga aspirante e refluente. La differenza sostanziale sta nel tipo di trasporto che deve essere fatto per i sedimen-ti una volta che sono stati dragati. La draga aspirante e portante, una volta compiuto le operazioni di estrazione dei sedimenti dai fondali marini sarà costretta a muoversi e lasciare la propria posizione al fine di portare a destinazione il materiale; la draga aspirante e refluente, invece, è dotata di una condotta di mandata dei sedimenti che le consente di non variare la propria ubicazione durante il periodo dell’attività di dragaggio.

Molti dei problemi che affliggono la tecnica di dragaggio facente uso dei mezzi terre-stri sono invece ininfluenti ora. Infatti, le draghe possono operare in maniera efficace

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anche con mareggiate più violente ed inoltre sono caratterizzate da un area di lavoro sicuramente più ampia. Di contro, il costo giornaliero di un mezzo come le draghe è ovviamente più elevato rispetto a quello dei mezzi terrestri sia in fase di attività che durante i giorni di fermo. Altre distinzioni possono essere fatte relativamente agli scopi perseguiti; a titolo di esempio, si possono citare le “bed levellers”, ovvero mezzi aventi il principale scopo di rendere i fondali più continui e meglio lavorabili per successive estrazioni eseguite da draghe più ordinarie. Fra quest’ultime risiederebbe un’ulteriore vasta classifica- zione basata sui dispositivi applicati nell’attività di dragaggio: alcuni esempi sono ri-portati nel paragrafo seguente. 2.1.3 Dragaggio meccanico e dragaggio idraulico Oltre alla necessaria distinzione dovuta esclusivamente ai mezzi utilizzati nelle ope-razioni di dragaggio, è utile evidenziare la differenza sostanziale, inerente alla prima, tra il dragaggio definito meccanico rispetto a quello idraulico per comprendere a pie-no le possibili modalità di esecuzione dell’attività. − Dragaggio meccanico Durante il dragaggio meccanico, i sedimenti sono rimossi per mezzo della diretta ap-plicazione di una forza meccanica utilizzata per spostare e scavare il materiale; quest’ultimo è in seguito sollevato in superficie con una densità uguale a quella pre-sentata in situ. Quest’aspetto è tutt’altro che indifferente rispetto alla gestione post

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attività, infatti è così minimizzata la quantità di materiale contaminato da trattare. Il dragaggio meccanico, essendo contraddistinto da una bassa produttività, risulta con-veniente quando i sedimenti dragati devono essere trasportati con una chiatta all’interno di un determinato impianto di trattamento, ovvero quando si è in presen-za di aree di modesto sviluppo o quando la volumetria del materiale asportato risulta bassa. I principali tipi d draghe meccaniche impiegate per i sedimenti contaminati sono la Benna Clamshell oppure i classici scavatori. La Benna Clamshell è costituita da una gru posizionata sopra ad una chiatta ed alla quale è collegata una benna che viene classificata in funzione della capacità (solita-mente i valori sono compresi tra circa 0,8 m3 e 40 m3). Il funzionamento consiste

nell’immergere la benna in acqua in modo che essa riesca a penetrare il fondale costi-tuito dai sedimenti da rimuovere; quando la benna è carica, viene sollevata e risulta efficace nel trattenimento dei sedimenti per mezzo della chiusura delle mascelle e successivamente rilascia il materiale scavato in apposite zone di stoccaggio sulla su-perficie della chiatta.

A differenza della Benna Clamshell che, solitamente, fa uso, come descritto, di mezzi marittimi per il supporto, gli scavatori operano prevalentemente da terra e rispetto al sistema appena definito, apportano minori problemi circa la risospensione dei contaminanti presenti nei sedimenti.

− Dragaggio idraulico

Il dragaggio idraulico prevede l’asportazione e il trasporto dei sedimenti sotto forma di fango. Questa pratica è più conveniente quando si ha a che fare con volumi di se-dimenti dragati notevoli. Il materiale dragato è pompato, attraverso una condotta,

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centuali di solido solitamente comprese tra il 10% e il 20%. Particolari accorgimenti riescono a mantenere sotto controllo le caratteristiche fisiche del fluido pompato in modo che non si incorra in frequenti interruzioni di attività delle pompe a causa di materiale troppo grossolano che ne ostruisce il regolare funzionamento. Una draga idraulica è costituita da 4 fondamentali parti:

• la testa dragante, ovvero la porzione che viene immersa all’interno dei sedi-menti e che può essere conformata in vari modi per l’allentamento iniziale e il successivo raccoglimento del materiale;

il supporto alla testa dragante, costituito solitamente da una semplice tubatu-ra o da più sofisticati bracci idraulici;

• la pompa idraulica, la quale provvede all’aspirazione del materiale raccolto dalla testa dragante e alla successiva trasmissione dell’energia meccanica al fango, necessaria al mantenimento di una certa velocità all’interno della con-dotta; • la condotta, necessaria per il trasporto dei sedimenti in forma fangosa. 2.1.4 Dragaggio ambientale La definizione di dragaggio ambientale viene utilizzata quando si vuole distinguere le attività di dragaggio finalizzate al ripristino dell’ambiente marino rispetto a quelle aventi lo scopo semplice di rimuovere i sedimenti per creare profondità idonee alla navigazione. Il cosiddetto dragaggio ambientale deve avere massima cura di ridurre al minimo il rilascio di contaminanti da parte dei sedimenti rimossi in modo che l’ambiente marino circostante non ne risenta. Sostanzialmente, ciò viene a realizzarsi

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tria fine poiché sono quest’ultimi ad essere maggiormente predisposti alla risospen-sione e quindi al successivo rilascio di contaminanti nelle zone limitrofe.

Allo scopo di perseguire tale finalità è necessario predisporre vasti programmi di monitoraggio di tutte le attività del dragaggio; con questo continuo monitoraggio, da operare in tempo reale, si riesce, infatti, a garantire il rispetto di programmi di con- trollo della salute e della sicurezza utilizzati per non superare i livelli soglia di espo-sizione. Altro punto fondamentale da tenere in considerazione per il perseguimento del dra-gaggio definito ambientale è la precisione sia verticale sia planimetrica dell’attività di estrazione. La precisione verticale è prevalentemente importante quando i fondali trattati presentano sottili strati di sedimenti caratterizzati da una più elevata conta- minazione; per una corretta esecuzione si utilizzano videocamere o strumenti acusti-ci, in grado di segnalare disomogeneità variabili con la profondità che richiedono particolari attenzioni. Il posizionamento planimetrico della zona di dragaggio è inve-ce aiutato da sistemi satellitari, capaci di monitore in continuazione l’ubicazione della zona operativa.

Nonostante siano prese in considerazione le suddette specifiche, insieme ad altret- tante, allo stesso modo importanti, è impossibile rimuovere i sedimenti con precisio-ne chirurgica in quanto le variabili in gioco durante le operazioni sono molteplici (correnti, maree, clima ecc.).

Per limitare la propagazione dell’inevitabile, seppur modesta, dispersione dei conta-minanti nelle aree marine limitrofe è necessario predisporre delle vere e proprie barriere fisiche. Queste possono essere distinte in barriere non strutturali, quali, per esempio, schermi galleggianti di schiuma sintetica, ed in barriere strutturali che con-sistono in veri e propri artefici, come le dighe in cassoni che spesso necessitano di scavi eseguiti all’asciutto e quindi di sistemi di palancole e pompe. Infine, risulta utile capire quelli che sono i meccanismi con i quali il problema della dispersione della contaminazione viene a generarsi: • rilascio di materiale particolato; dipende ovviamente sia dal tipo di dragaggio utilizzato sia dalle caratteristiche dei sedimenti. Alcune osservazioni hanno evidenziato come il materiale particolato sia spinto alla propagazione qualora si operi con sedimenti fini e poco coesivi;

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• rilascio di contaminanti disciolti; l’attività di dragaggio espone i sedimenti a variazione di potenziale redox e di rapporto liquido/solido cosicché possa aumentare la solubilità dei contaminanti; rilascio di volatili; la volatilizzazione di alcuni contaminanti organici può esse- re impedita grazie all’utilizzo di ricoprimenti plastici da apporre sulla superfi-cie dell’acqua oppure prevedendo opere di dragaggio in periodi più freschi e poco ventilati. Allo scopo di riassumere ciò che è stato esposto nel corrente paragrafo, è necessario capire che l’attività di dragaggio ha un elevato impatto ambientale; ciò è dato preva-lentemente dal possibile rilascio da parte dei sedimenti di alcuni contaminanti nel mare aperto e quindi dalla possibilità di danneggiare gli ecosistemi viventi in am-biente marino. Per la trattazione della caratterizzazione e delle analisi da eseguire sui sedimenti di dragaggio si rimanda al Cap.3, ma si può già far notare come un dragag- gio ambientalmente accettabile deve prendere in considerazione fattori quali la con-figurazione del sito, l’accuratezza dell’intervento e la protezione degli habitat svol-gendosi sotto strette indicazioni riguardanti la sicurezza in senso lato.

2.2 Trattamenti di bonifica per i sedimenti dragati

La scelta della miglior tecnica di decontaminazione per i sedimenti estratti durante le operazioni di dragaggio all’interno di un’area portuale non è sempre semplice a cau- sa dei molteplici fattori in gioco; infatti, partendo da problematiche prettamente tec- niche, non è assolutamente di secondo piano anche l’aspetto economico. Oggi si an-noverano molte metodologie per eseguire un intervento di bonifica per una matrice solida ed è quindi necessario applicare studi specifici per valutare una scelta ben precisa. Si deve quindi compiere un bilancio tra la scelta della tecnica che meglio si applica a determinati sedimenti, in funzione delle caratteristiche della matrice stessa e di quelle dei contaminanti, e l’esborso economico che ne deriva.

La molteplicità delle tecniche di bonifica oggi presenti fa sì che risulti impossibile operare un confronto tra l’una e l’altra in termini pratici e di efficacia; per questo so- no stati programmati software capaci di assistere il progettista nelle scelte più ade-guate.

Nonostante, come già detto, l’elenco delle tecnologie di bonifica oggi conosciute sia ampio, è necessario proseguire negli studi di applicazioni innovative, che riescano ad

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ottimizzare ancor di più i fattori presenti durante il progetto. Quest’aspetto riguar-dante lo sviluppo scientifico deve andare di pari passo con l’esigenza sempre più spinta della valorizzazione del territorio e dello sviluppo socio-economico.

La premessa che sembra sia necessario fare per comprendere a pieno ciò che i se- guenti paragrafi esporranno è che molti dei termini usati, nonché le procedure am-ministrative utili nel processo di analisi e di progetto sono esplicitamente spiegati da apposita normativa e di seguito non verranno riportati per non dilungarsi e porre maggior attenzione sulla classificazione e sugli aspetti più pratici delle tecniche di bonifica. Nelle pagine seguenti si riportano i trattamenti più diffusi atti a migliorare le caratteristiche qualitative di una matrice solida proveniente da operazioni di dra- gaggio; vengono elencate le denominazioni nonché spiegati i principali processi co- stituenti la tecnica e, per non fuoriuscire dalla traccia dilungandosi troppo, si premet-te fin da subito che esistono altre metodologie di decontaminazione oltre quelle che vengono esposte. Introducendo un aspetto meglio specificato nel capitolo seguente, si può evidenziare già ora come la natura della contaminazione presente all’interno dei sedimenti di un fondale marino interno ad un’area portuale sia davvero eterogenea. Per questo moti- vo, le varie tecniche di bonifica avranno come principale scopo quello della rimozio-ne di una determinata categoria di inquinamento. Nell’intenziovo, le varie tecniche di bonifica avranno come principale scopo quello della rimozio-ne di creare una di- stinzione tra queste varie nature di decontaminazione, si potrebbero separare le tec-niche mirate alla decontaminazione della sostanza organica presente nei sedimenti di dragaggio rispetto a quelle volte al trattamento nei confronti di composti inorgani- ci; riferendoci ai sedimenti estratti da un’area portuale, si può dire che la frazione or-ganica degli inquinanti è costituita prevalentemente da idrocarburi di vario genere, mentre quella inorganica soprattutto da metalli. 2.2.1 Principali trattamenti chimico-fisici − Sediment washing La tecnica del sediment washing consiste nell’andare ad effettuare un’operazione di lavaggio della frazione di suolo contaminata in modo tale da catturare i contaminanti all’interno della soluzione utilizzata. Tale soluzione può essere costituita semplice-mente da acqua oppure da acqua additivata.

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Il processo di lavaggio trasferisce i contaminanti presenti nel materiale da trattare mediante due meccanismi principali, ovvero la dissoluzione nella soluzione di lavag- gio e la sospensione all’interno della stessa per effetto di un’azione intensiva di attri-to ed abrasione tra le particelle di terreno nonché per la presenza di reagenti chimici (tensioattivi) capaci di poter rimuovere la parte degli inquinanti adese alle particelle di terreno. L’esperienza dimostra come la tecnica del sediment washing fornisca una buona effi- cacia nel caso di terreni con matrice prevalentemente sabbiosa, mentre porti a risul-tati insufficienti se è elevata la frazione limo-argillosa. La soluzione di lavaggio, così come anticipato, può essere costituita o da semplice ac- qua o da acqua additivata. Per meglio comprendere la variabilità, di seguito sono ri-portate alcune scelte perseguibili: • acqua fredda o calda, l’effetto dell’incremento di temperatura fa sì che si ridu-ca la viscosità di buona parte dei contaminanti cosicché aumenti di conse-guenza la mobilità e la solubilità; • acqua con tensioattivi, ovvero con ioni o molecole che, avendo una struttura costituita da una parte idrofobica ed una idrofilica, tendono a costituire delle micelle distribuite nell’acqua. All’interno delle stesse micelle si vengono a ge- nerare condizioni tali da essere capaci di dissolvere molti composti poco so-lubili come PCB, solventi organici, pesticidi ecc.

• soluzioni acide, molto utili per la rimozione di metalli pesanti in quanto au-mentano esponenzialmente la capacità di adsorbirli. Lo svantaggio dell’uso

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di tali soluzioni è la forte aggressività chimica nei confronti dell’intera matrice solida; • soluzioni alcaline, usate nei sedimenti a prevalente matrice argillosa nei quali, a causa dell’aumento del pH, facilitano l’immobilizzazione di alcuni composti contaminanti; A seconda del tipo di sedimenti e soprattutto della natura dei contaminanti, si sceglie la soluzione di lavaggio più efficace. − Ossidazione Il processo di ossidazione prevede l’utilizzo di additivi chimici per trasformare, de-gradare o immobilizzare contaminanti di tipo organico. I reagenti maggiormente utilizzati sono l’ozono, il perossido d’idrogeno, il perman-ganato di potassio e l’ossigeno; questi elementi possono essere utilizzati singolar-mente o in combinazione con l’utilizzo di raggi ultravioletti.

Per definizione, l’ossidazione consiste nell’aggiunta di ossigeno o nella perdita di elettroni da una parte di composto ed essa è prevalentemente usata per scindere un composto in altri meno tossici, mobili e biologicamente disponibili. La tecnica dell’ossidazione non è un processo selettivo, quindi tutti i materiali ossi-dabili chimicamente sono in competizione tra loro. L’utilizzo dei raggi ultravioletti, accennato in precedenza, rappresenta una soluzione efficace in termini di ossidazione, ma spesso, per i sedimenti, a causa della scarsa pe-netrabilità della matrice da trattare, trova scarso impiego. − Chelazione Il processo di chelazione prevede una reazione in cui viene utilizzato un agente che-lante, ovvero un legante polidentato che può formare diversi gruppi coordinati con uno ione metallico, dando luogo così ad una struttura ciclica che avvolge come una tenaglia il metallo, da qui il nome “chelante”. In funzione del numero di coordinazio- ne dell’agente chelante, si parla di leganti bidentati, tridentati ed, in genere, poliden-tati. Quando la quantità totale di metalli pesanti supera la solubilità dei loro idrossidi, carbonati e/o idrocarbonati corrispondenti ad un certo valore di pH, i metalli preci-pitano come solidi e rimangono intrappolati nel suolo o nei sedimenti

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2.2.2 Principali trattamenti termici

I trattamenti termici di decontaminazione di sedimenti dragati consistono nel riscal- dare la matrice a centinaia o migliaia di gradi ed ottenendo così la completa distru-zione dei contaminanti di stampo organico, quali PCB, diossine, pesticidi ecc.. Gli svantaggi di questi processi sono sicuramente l’elevato costo, ma anche la poca effi-cacia nei confronti dei metalli particolarmente volatili che si disperdono legandosi ai gas esausti di processo e per i quali si rende quindi necessaria un’apposita unità di trattamento post operazioni. Di seguito si elencano i trattamenti termici tradizionalmente usati, elencando alcune specifiche, l’efficacia e i difetti. − Incenerimento Tecnica maggiormente usata nel passato, consiste nel riscaldare il materiale alla pre-senza di ossigeno in modo tale da bruciare e distruggere la sostanza organica. L’utilizzo dell’incenerimento a matrici umide come i sedimenti non è così usuale in quanto è necessario eliminare ogni traccia d’acqua dal materiale per procedere e tale operazione risulta piuttosto dispendiosa, anche in termini economici. L’azione dell’incenerimento risulta efficace solo nei confronti della frazione organica dei contaminanti, mentre nei confronti dei metalli si ha una scarsa applicazione in quanto il riscaldamento aumenta la loro lisciviabilità, consentendo quindi di legarsi alle particelle di particolato che fuoriescono con i gas prodotti dall’attività e facendo, quindi, necessitare di sezioni di trattamenti post combustione. I processi di incenerimento possono essere distinti in tradizionali, realizzati in forni prevalentemente a letto rotante o a letto fluido, e in innovativi, ancor non completa- mente sviluppati e che hanno l’obiettivo di essere efficaci anche nei confronti dei ma-teriali più tossici e pericolosi innalzando la temperatura di operazione e di conse-guenza anche i costi.

Nei forni tradizionali, a valle della sezione di combustione primaria vi è una camera di post-combustione che garantisce la completa distruzione dei composti volatili e che, in una certa ottica, può essere interpretata come il primo stadio di trattamento

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− Pirolisi

In questa tecnica, il materiale viene riscaldato in assenza di ossigeno. Questa è la grande differenza rispetto ai processi di incenerimento.

Anche in impianti di pirolisi si riscontra la presenza di una camera di combustione, una camera di post-combustione e una sezione di controllo di emissioni; le elevate temperature che in esse si producono in camera di combustione (tra i 540 °C e 760 °C) fan sì che si realizzi la decomposizione di molecole grandi e complesse in altre più semplici. I gas così prodotti vengono successivamente convogliati in camera di post-combustione, all’interno della quale di realizzano temperature ancor maggiori, intorno ai 1200 °C.

− Vetrificazione

Tecnica emergente che consiste nell’utilizzo dell’elettricità per il riscaldamento del materiale da decontaminare in modo da distruggere i composti organici ed immobi-lizzare i contaminanti inerti. Nella pratica le sostanze contaminanti sono vetrificate attraverso il passaggio di ele-vate correnti elettriche attraverso il materiale provocate dall’inserimento all’interno della matrice di elettrodi che solitamente sono rivestiti superficialmente con grafite per aumentare la loro conducibilità elettrica. Il riscaldamento del materiale è rapido e comporta lo scioglimento dei componenti silicei; il composto che si ottiene ha una consistenza simile a quella del vetro, estre-mamente resistente alla lisciviazione. 2.2.3 Principali trattamenti biologici Queste tecniche prevedono l’azione di microrganismi quali batteri e funghi e di pian-te durante la decontaminazione di parte dei sedimenti; di fatto, l’utilizzo dei metodi biologici per la decontaminazione di matrice solida presuppone sollecitazioni am-bientali molto modeste e sono capaci quindi di mantenere un giusto equilibrio nelle aree limitrofe al trattamento senza che sia necessaria l’applicazione di particolari se-zioni di controllo. Fra gli svantaggi vi è un’efficacia, in alcuni casi, ridotta e dei tempi d’attesa per il raggiungimento degli obiettivi piuttosto lunghi.

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− Fitorimedio

Questa tecnica utilizza specie vegetali per la decontaminazione dei sedimenti sfrut- tando la capacità naturale di esse nel captare, accumulare e degradare alcune tipolo- gie di contaminanti. Le piante riescono a mineralizzare ed immobilizzare sia i conta-minanti organici nella loro zona radicale sia eventuali metalli pesanti presenti nell’aria, nella loro parte aerea. Complessivamente, esistono vari processi che una specie vegetale riesce ad esprimere all’interno del trattamento di fitorimedio:

• fitoestrazione, accumulo dei contaminanti presenti nella matrice da decon-taminare in prossimità delle radici e della parte aerea della pianta;

• rizofiltrazione, processo specifico nel caso di presenza di acque con percolati; • fitodegradazione, trasformazione di molecole organiche complesse in mole- cole più semplici e nell’eventuale accumulo di cataboliti non tossici nei tessu-ti vegetali;

• fitostabilizzazione, produzione di composti chimici da parte della pianta che riescono a tollerare anche elevate concentrazioni di metalli e che riescono nell’immobilizzazione di altri contaminanti nell’interfaccia radici-suolo; • fitostimolazione, stimolo della degradazione microbica attraverso il rilascio

di determinati composti;

• fitovolatilizzazione, trasformazione di metalli ed altre sostanze organiche in forme chimiche volatili, rilasciate successivamente in atmosfera.

Come si può ben capire, l’impiantistica di questi processi è molto semplice.

Sono state utilizzate, a oggi, varie specie di piante per il processo di fitoestrazione come quelle arboree, alcune erbacee e altre coltivazioni specifiche.

Le migliori condizioni di applicabilità di tale tecnologia si hanno nel caso di contami- nazione del suolo superficiale, nonché di poco lisciviabili e che non possono di con-seguenza migrare verso altri comparti

ambientali, quali le acque di falda. In par-ticolare, tali trattamenti si applicano a siti con contaminazione di livello medio-basso estesa su vaste aree.

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− Landfarming Il landfarming è una tecnica di biorisanamento. Il principio del metodo consiste nella incentivazione dei processi metabolici aerobici attuati dalla microflora batterica ga- rantendo una buona esposizione all’ossigeno atmosferico ed ottimizzando le condi-zioni operative in termini di apporto di nutrienti, temperatura ed umidità. Affinché vi sia un adeguato contatto tra il materiale e l’ossigeno dell’atmosfera, la matrice da de-contaminare viene stesa su di un sottile strato sopra un letto drenante di sabbia o ghiaia. Quest’ultimo è posto sopra uno strato impermeabile, in genere in PVC, che impedisce l’eventuale percolazione dei contaminanti nel sottosuolo. Attraverso pra-tiche e specifiche attività si riescono a mantenere le condizioni ottimali del terreno; per esempio, al fine di mantenere un grado di umidità adeguato, si prevedono sistemi di irrigazione a spruzzo o mediante ricircoli del percolato stesso, il quale viene appo-sitamente raccolto da sistemi di drenaggio. Il processo può anche essere accelerato mediante l’inoculo, per esempio, di fango biologico proveniente da un impianto di depurazione.

Il landfarming trova maggior impiego nel trattamento di sedimenti contaminati pre-valentemente da idrocarburi facilmente biodegradabili; è inoltre importante che il materiale da trattare presenti caratteristiche omogenee. La durata del trattamento è variabile in base a tutte le variabili in gioco quali la concentrazione degli inquinanti e le condizioni ambientali. Questa tecnica risulta essere evidentemente economica sia a livello impiantistico che a livello gestionale.

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