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Sintesi di nuovi potenziali inibitori duali MET e SMO per la terapia anticancro

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INDICE

INTRODUZIONE……….. 2

1.1) I TUMORI GENERALIT

À……….3

1.2) EZIOLOGIA……….6

1.3) TERAPIE ANTICANCRO……….12

2.0) TRANSIZIONE EPITELIO-MESENCHIMALE…18

2.1) LA CASCATA HEDGEHOG……….22

2.2) IL RECETTORE TIROSINCHINASICO MET…..29

INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE…32

PARTE SPERIMENTALE……….51

BIBLIOGRAFIA………..59

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INTRODUZIONE

1.1) I TUMORI: GENERALITÀ

I tumori rappresentano la principale causa di morte al mondo, dopo le malattie cardiovascolari. (1) Questo tipo di patologia rappresenta una neoformazione di tessuto

caratterizzata dalla presenza di cellule atipiche e da un accrescimento autonomo, afinalistico e progressivo. (2)

Il cancro è un disordine genetico delle cellule somatiche, che si manifesta a seguito dello sviluppo di mutazioni genetiche.

Le mutazioni responsabili della formazione del tumore coinvolgono tre diverse classi di geni:

Oncogeni: sono sequenze genomiche direttamente coinvolte nella trasformazione

neoplastica; la loro sovra-espressione o modifica funzionale altera la funzione regolatoria delle proteine coinvolte nella crescita cellulare. Le mutazioni che comprendono questi geni fanno sì che solo una singola copia del gene mutato sia sufficiente per l’azione oncogenica, poiché possiedono un fenotipo di tipo dominante.

Geni della soppressione tumorale: sono geni recessivi; quindi, entrambe le coppie

alleliche devono essere mutate per la perdita della loro funzione. Sono coinvolte nella delezione genica o nel silenziamento del gene che determina l’inattivazione dello stesso.

Geni mutati: la loro espressione serve per mantenere l’integrità e stabilità genomica,

modificazioni molecolari di essi portano ad aumentare la possibilità di mutazioni negli altri geni coinvolti in oncogenesi.

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Gli effetti provocati dalle mutazioni cancerogene sono responsabili dello sviluppo da parte di tutti i tipi di tumore di competenze che sono necessarie per la realizzazione del progetto di crescita neoplastica; queste competenze sono definite hallmarks e sono:

- La perdita del controllo della proliferazione cellulare sia in senso stimolatorio che inibitorio.

- Il meccanismo di resistenza all’apoptosi, o morte cellulare programmata.

- L’immortalità, poiché le cellule tumorali sono in grado di crescere all’infinito, in quanto, a differenza di quelle normali, non vanno incontro ad invecchiamento.

- L’angiogenesi, il processo di neo-vascolarizzazione, che presenta un duplice scopo, funge sia come via di approvvigionamento della massa tumorale, sia come via di fuga che consente alle metastasi di allontanarsi dal tessuto di origine e raggiungere siti distanti attraverso la circolazione.

- La capacità di invasione e la presenza di metastasi, che differenziano un tumore benigno da un tumore maligno.

- Instabilità genomica e capacità di acquisire mutazioni. - Modificazione del metabolismo di base.

- Infiammazione promossa dal tumore, infatti il tumore può creare un microambiente infiammatorio che favorisce la sua crescita.

- Capacità di evasione dal sistema immunitario, che esercita un processo di immuno-sorveglianza sul tumore affinché le cellule tumorali vengano eradicate sul nascere; il tumore grazie, alla sua capacità di reiventarsi dal punto di vista genetico, innesca invece dei meccanismi di evasione dal sistema immunitario. (3) (Figura 1)

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Figura 1: Immagine che raffigura le varie competenze dei tumori.

I tumori possono essere distinti in benigni e maligni:

I primi sono caratterizzati dalla crescita di alcune cellule che si sviluppano più del dovuto, mantenendo quasi inalterate le caratteristiche morfologiche e funzionali rispetto a quelle normali e dando vita a delle masse che possono assumere anche grandezze considerevoli, rimanendo però delimitate all’interno di una capsula fibrosa; conservano le caratteristiche del tessuto originario e non tendono né ad invadere gli organi circostanti, né a produrre metastasi.

I tumori maligni sono invece caratterizzati dalla presenza di cellule morfologicamente e funzionalmente diverse da quelle del tessuto di origine; sono generalmente più pericolosi in quanto invasivi e poiché possono migrare anche in siti distanti da quello di origine grazie alla presenza delle metastasi, o cellule maligne, che si staccano dal tumore originario e si diffondono in altri organi dove possono riprodursi e generare nuovi tumori.

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6 1.2) EZIOLOGIA

I tumori possono essere definiti una patologia ad eziologia multifattoriale, essendo chiamati in causa sia fattori intrinseci (fattori genetici, il sesso, l’età, la razza, gli squilibri ormonali e la predisposizione genetica alle mutazioni) che fattori estrinseci (fattori ambientali come il fumo, l’inquinamento atmosferico, la vita sedentaria, il consumo eccessivo di alcool, gli agenti fisici, le sostanze chimiche ed i virus oncogeni).

Gli Agenti Fisici considerati cancerogeni sono: 1. Radiazioni ultraviolette

2. Radiazioni ionizzanti 3. Corpi estranei

4. Fattori termici

1) Le radiazioni ultraviolette provenienti dalla luce solare, o da fonti artificiali, sembrano essere coinvolte nello sviluppo di tumori della pelle. I raggi UV si dividono in UV-A (da 400 nm a 315 nm), UV-B (da 315 nm a 280 nm) e UV-C (da 280 nm a 100 nm). Il potere oncogenico dei raggi UV è stato dimostrato per radiazioni di lunghezza d’onda compresa fra 290 e 320 nm, poiché sono capaci di indurre mutazioni genetiche nelle cellule che vengono colpite; i risultati di queste mutazioni possono essere un’inattivazione degli enzimi, un’alterazione della divisione cellulare, mutagenesi, morte cellulare (necrosi) e cancro.

2) Le radiazioni ionizzanti, X e γ, sono fattori di rischio per i tumori solidi (cancro polmonare) e per la leucemia. Hanno una azione tossica diretta; infatti, in seguito all’assorbimento, possono portare ad una rottura dei filamenti di DNA (di uno o di entrambi i filamenti), a distorsioni e rotture delle basi con conseguente morte cellulare o mutazioni. La loro azione tossica diretta è esplicata mediante un trasferimento di energia: l’energia

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associata alla radiazione viene assorbita dall’acqua che si trova nelle cellule, provocando la formazione e la liberazione di radicali liberi con conseguente danno ossidativo. (4)

3) Numerosi sarcomi sono stati indotti nei roditori a seguito dell’impianto di materiali inerti (pellicole di plastica o metalliche, fibre varie, ecc..) ovvero di corpi estranei. Questi tipi di tumori sono particolarmente specie-specifici: per esempio, i topi sono molto più sensibili alla cancerogenesi da corpo estraneo rispetto all’uomo che si è dimostrato piuttosto resistente.

4) Quanto ai fattori termici, il freddo applicato ripetutamente sulla cute mediante successivi congelamenti e decongelamenti nel topo, è stato dimostrato favorire lo sviluppo di tumori nella zona di applicazione. (5) Ancor più cancerogeno è il calore, capace di aumentare anche la sensibilità agli agenti cancerogeni chimici.

Le Sostanze chimiche che possono provocare lo sviluppo del cancro sia nell’uomo che negli animali, si dividono in tre classi principali:

- cancerogeni ad azione indiretta o procancerogeni: idrocarburi aromatici policiclici (PAH), ammine aromatiche, azocomposti, nitrocomposti, sostanze naturali, idrocarburi alogenati e farmaci. Queste sostanze devono essere metabolizzate nella cellula a cancerogeni;

- cancerogeni ad azione diretta: metalli, sostanze spontaneamente alchilanti; - cancerogeni non genotossici: asbesto, fibrati. (6)

Cancerogeni ad azione indiretta:

1. Idrocarburi aromatici policiclici (PAH)

Sono composti eterociclici derivati da fenantrene, antracene e pirene che di base non sono agenti cancerogeni; i loro derivati, caratterizzati da sostituenti come gruppi metilici o anelli

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benzenici, ad esempio il benzopirene, dibenzo-antracene e 1,4-dimetilfenantrene (Fig.2, strutture 1, 2, 3 rispettivamente), presentano attività cancerogena.

Figura 2

Analogamente il fluorene, il fluorantene e l’acridina sono eterocicli che di base non sono cancerogeni, mentre i loro derivati (benzofluorantene) presentano attività cancerogena. (Fig.3, strutture 4 e 5).

Figura 3

Sono sostanze insolubili in acqua e solubili nei lipidi, che passano facilmente attraverso le membrane cellulari. Si trovano nel fumo di sigaretta, nei derivati del petrolio in seguito a combustione, negli scarichi delle automobili, nel fumo prodotto dagli impianti di riscaldamento a gasolio o a carbone, nei fumi delle industrie, nel catrame, nella fuliggine, nella combustione di materie organiche.

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Nell’uomo i tumori indotti da queste sostanze si sviluppano a carico della cute, dell’apparato respiratorio e dell’apparato gastro-enterico. I PAH sono procancerogeni e diventano cancerogeni se le cellule sono in grado di metabolizzarli; il composto attivo è un epossido, che essendo instabile tende ad unirsi con grosse molecole nucleofile come il DNA, le proteine e i lipidi. (6)

2. Ammine aromatiche

Sono derivati dell’anilina e del diamino-difenil-metano, che di per sé non sono cancerogeni. A differenza degli idrocarburi policiclici, le ammine aromatiche non agiscono nel punto d’ingresso dell’organismo, ma soprattutto nelle vie di eliminazione producendo carcinomi

della vescica. Queste richiedono un lungo tempo d’azione (fino a 20 anni), sono precedute da manifestazioni precancerose (papillomatosi vescicale) e per agire devono prima venir metabolizzate dai sistemi microsomiali epatici in N-idrossi derivati.

3. Azocomposti

Gli azocomposti sono sostanze che contengono nella loro molecola due atomi di azoto uniti fra loro da un doppio legame; quelli cancerogeni contengono anche anelli benzenici. Sono dei coloranti per i quali è stata dimostrata la cancerogenicità sugli animali. Tra questi abbiamo il rosso scarlatto che contiene la molecola procancerogena 4-ammino-azotoluene e il dimetil-ammino-azobenzene (DAB) (Fig.4 composti 6 e 7). Danno tumori al fegato, dove sono metabolizzati a composti attivi per introduzione di un gruppo ossidrilico e coniugazione con acido solforico.

CH3 N N NH2 6 N N N CH3 CH3 7 Figura 4

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4. Nitrocomposti

Si dividono in: nitrosammine, dinitrosammine e nitrosammidi. Sono composti solubili in acqua e quindi diffondono facilmente attraverso i liquidi biologici portando allo sviluppo di tumori che possono colpire quasi tutti gli organi.

5. Aflatossine

Sono micotossine prodotte da specie fungine appartenenti alla classe degli Ascomiceti (genere Aspergillus), oppure da altre muffe. Le aflatossine sono altamente tossiche, vengono metabolizzate nelle cellule a epossidi che si possono legare al DNA formando addotti, oppure possono essere attivati attraverso l’enzima epossido idrossilasi e coniugati con il

glutatione.

Cancerogeni ad azione diretta: 1. Composti metallici

Molti metalli o composti metallici possono indurre il cancro (arsenico, ferro, cromo…). I cationi bivalenti possono interagire con le basi del DNA o con i gruppi fosfato. I tumori indotti dall’arsenico sono i più diffusi tra gli agricoltori; essendo esposti a insetticidi, i soggetti appartenenti a questa categoria presentano una maggiore tendenza a sviluppare tumori della pelle, per contatto diretto, o polmonari, per inalazione. (6)

2. Composti alchilanti

Sono sostanze capaci di cedere gruppi alchilici e non richiedono attivazione metabolica. Il meccanismo d’azione varia e dipende da sé sono monofunzionali (alchilazione di specifiche basi di DNA) o polifunzionali (ponti intramolecolari tra catene di DNA).

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L’asbesto o amianto ha una struttura a fibre costituite da catene di silicati con presenza di ferro, magnesio o calcio ed è stato ampiamente utilizzato per le sue proprietà ignifughe come impasto per cemento, costruzioni di navi ecc…

L’asbesto può indurre tumore:

- direttamente: induce stimolazione di sintesi proteica, sintesi di prostaglandine e dell’attivatore del plasminogeno danneggiando il citoscheletro cellulare oppure penetrando nel nucleo.

- indirettamente: viene fagocitato dai macrofagi che liberano enzimi lisosomiali e specie reattive dell’ossigeno causando inattivazione degli enzimi, denaturazione di proteine

e danno agli acidi nucleici. Virus Oncogeni

La capacità dei virus oncogeni di produrre affezioni nell’uomo è molto dibattuta. I virus oncogeni a DNA contengono due tipi di geni: quelli per gli eventi precoci (integrazione e replicazione del DNA virale) e quelli per gli eventi tardivi (sintesi proteine virali capside e assemblamento del virone).

In un’infezione virale normale, il ciclo produttivo del virus viene completato con la formazione di numerose particelle, che, a seguito della lisi cellulare vengono rilasciate all’esterno; nella trasformazione neoplastica invece avvengono solamente i cosiddetti eventi precoci, come l’integrazione del DNA nel genoma cellulare e la codifica di proteine che hanno un ruolo importante nella trasformazione di uno o più geni virali.

I virus a DNA esplicano la loro azione legandosi e inattivando delle proteine prodotte dai geni soppressori tumorali (p-53 e retinoblastoma), oppure si può avere l’attivazione di prodotti genetici di proto-oncogeni attivatori (polioma virus). (6) I virus oncogeni a RNA (retrovirus) costituiscono un gruppo eterogeneo di virus umani ed animali, responsabili dello sviluppo di molti tumori nell’animale (tumore mammario nel topo, leucemia e sarcomi),

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mentre nell’uomo determinano un tipo di leucemia acuta a cellule T osservata in Giappone e nei Caraibi, sostenuta principalmente dal virus HTLV-I e raramente da un secondo virus HTLV- II.

I retrovirus sono costituiti da una doppia copia di un filamento di RNA a singola catena, che, durante la replicazione virale, viene trascritto dalla trascrittasi inversa e integrato nel genoma, rimanendo per sempre nel DNA cellulare, replicandosi con esso e rilasciando virus per gemmazione. Questi virus possono dividersi in 3 classi: a trasformazione lenta, a trasformazione veloce e i virus umani HTLV-I e HLTV-II. (6)

1.3) TERAPIE ANTITUMORALI

Le terapie più comunemente utilizzate contro il cancro sono: ➢ La chirurgia

➢ La chemioterapia ➢ La radioterapia

Le terapie sono diverse a seconda del tipo di tumore e in base allo stadio in cui il tumore si trova.

La chirurgia è un trattamento loco-regionale, ovvero cura il tumore primitivo nelle zone dove è presente senza interessare l’organismo nel suo complesso; è il trattamento più appropriato per i tumori solidi ed è utilizzato per rimuovere la massa tumorale e i tessuti circostanti ad essa che possono contenere residui di cellule tumorali.

La chemioterapia è una procedura che consiste nella somministrazione di particolari farmaci citotossici, allo scopo di distruggere le cellule tumorali; idealmente, quindi, il farmaco antitumorale dovrebbe avere una massima tossicità sulle cellule tumorali e nessuna tossicità sulle cellule sane circostanti la massa; tuttavia, questi farmaci agiscono anche sulle cellule adiacenti.

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La radioterapia è utilizzata come terapia primaria per i tumori locali e può essere utilizzata in associazione alle altre due terapie sopra citate, riducendo così la possibilità di recidive. Distrugge le cellule tumorali, ma con danno anche alle cellule sane che circondano la massa neoplastica, anche se queste hanno una capacità riparativa.

Recentemente sono stati studiati approcci terapeutici alternativi nel tentativo di ridurre gli effetti collaterali; tra questi le cosiddette “terapie mirate” rappresentano una delle strategie più innovative. Queste rappresentano uno dei più importanti strumenti della medicina personalizzata: la cura non è più scelta solo in base alla sede di sviluppo del tumore e al suo stato di avanzamento, ma anche in relazione alle sue caratteristiche molecolari, che possono essere diverse da paziente a paziente. L’aspetto peculiare delle terapie mirate risiede nell’identificazione di specifiche proteine o target molecolari che siano diversamente espressi nelle cellule tumorali rispetto alle cellule sane, e che quindi possano costituire nuovi bersagli terapeutici per la ricerca in medicinal chemistry.

Le terapie mirate differiscono dalla chemioterapia per i seguenti fattori:

- Agiscono su specifici targets molecolari, mentre la chemioterapia standard colpisce le cellule tumorali agendo sulla loro tendenza a moltiplicarsi più di quelle normali, ma per questa ragione danneggia anche i tessuti dell'organismo, come la pelle, i capelli, le pareti dell'intestino, che sono soggetti ad un maggior ricambio.

- Sono progettate per interagire con uno specifico bersaglio, mentre molte chemioterapie standard sono caratterizzate dalla loro capacità di uccidere in modo a volte aspecifico tutte le cellule.

- Sono citostatiche (bloccano la proliferazione delle cellule tumorali), mentre gli agenti chemioterapici standard sono solitamente citotossici (uccidono le cellule tumorali).

Le terapie mirate in ambito oncologico agiscono su uno o più fenomeni che favoriscono la crescita e lo sviluppo del cancro.

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Le principali terapie mirate sono gli anticorpi monoclonali e le cosiddette “piccole molecole”; i primi prendono di mira antigeni specifici presenti sulla superficie cellulare, come recettori transmembrana o fattori di crescita extracellulare. In alcuni casi queste molecole sono coniugate con radioisotopi o tossine che poi vengono rilasciate a livello del target previsto, inducendo la morte della cellula tumorale. Il limite più grande degli anticorpi monoclonali è che devono essere somministrati per via parenterale, a causa del loro elevato peso molecolare, ed una somministrazione parenterale in cronico può causare una riduzione della compliance. Al contrario, le piccole molecole, grazie alla loro massa molecolare ridotta, hanno il vantaggio di poter essere somministrate anche per via orale; queste possono penetrare attraverso la membrana cellulare per interagire con specifici bersagli all’interno della cellula causandone la morte. (7)

Diversi sono gli approcci con cui agiscono le terapie mirate, tra questi abbiamo: ➢ Le terapie ormonali: possono essere definite la prima terapia mirata utilizzata nel trattamento dei tumori endocrino-correlati. L’utilizzo di farmaci che inibiscono la stimolazione ormonale nasce dal presupposto che gli ormoni possano causare un’eccessiva proliferazione nelle cellule ormono-responsive, fino a determinare una vera a propria trasformazione neoplastica.

➢ Gli inibitori della trasduzione del segnale: bloccano le molecole che partecipano alla trasduzione del segnale, processo attraverso il quale la cellula risponde ai segnali dell’ambiente. Una volta che la cellula ha ricevuto un segnale specifico, questo viene trasmesso attraverso le cellule con reazioni biochimiche al fine di produrre risposte appropriate; in generale nei tumori, invece, le cellule maligne sono stimolate a dividersi in maniera incontrollata, senza essere stimolate da fattori esterni: gli inibitori della trasduzione del segnale interferiscono con questa segnalazione inappropriata.

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➢ I modulatori dell’espressione genica: modificano la funzione delle proteine che svolgono un ruolo nel controllo dell’espressione genica.

➢ Gli induttori dell’apoptosi: stimolano le cellule tumorali ad andare incontro ad apoptosi.

➢ Gli inibitori dell’angiogenesi: bloccano la crescita di nuovi vasi sanguigni nei tumori (angiogenesi tumorale) e, quindi, la proliferazione dei tumori stessi. I tumori, infatti, necessitano di un notevole apporto di sangue per proliferare, poiché esso fornisce ossigeno e sostanze nutritive; i trattamenti che interferiscono con l’angiogenesi possono, quindi, bloccare la crescita tumorale. Alcune terapie mirate che inibiscono l’angiogenesi interferiscono con l’azione del VEGF (fattore di crescita dell’endotelio vascolare), il quale stimola la formazione di nuovi vasi sanguigni e quindi promuove la migrazione del tumore. ➢ Le immunoterapie: attivano il sistema immunitario per distruggere le cellule

tumorali. Il sistema immunitario normalmente esercita un processo di immuno-sorveglianza sul tumore affinché le cellule tumorali vengano eradicate sul nascere; il tumore è però in grado di reinventarsi dal punto di vista genetico e così può entrare in equilibrio con il sistema immunitario ed evadere i meccanismi di difesa messi in atto da quest’ultimo. (8)

Nonostante i numerosi vantaggi che offrono le terapie mirate, queste presentano anche delle limitazioni; la prima è che le cellule tumorali possono sviluppare resistenza alla terapia, che si può manifestare, per esempio, attraverso una modifica del bersaglio a seguito di una sua mutazione, così che la terapia non riesce più ad interagire con il target; oppure nel caso in cui il tumore riesce a trovare una via alternativa per accrescere. Per questa ragione, è stato dimostrato che le terapie mirate funzionano meglio in combinazione tra di loro. Un ulteriore limite è che a seconda della struttura del bersaglio in questione non è semplice sviluppare questo tipo di farmaci.

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Grazie alla loro peculiarità, le terapie mirate agiscono in maniera specifica su uno o più target responsabili dell’insorgenza del tumore e per questo rispetto ai farmaci chemioterapici presentano un minor numero di effetti collaterali, anche se non ne sono prive. Gli effetti collaterali più comuni delle targeted therapies sono problemi a livello epatico, come epatiti o aumento degli enzimi epatici e la diarrea; oltre a questi possono insorgere problemi alla pelle (eruzioni cutanee, arrossamenti e comparsa di manifestazioni simili all’acne), problemi alla coagulazione del sangue, abbassamento dei valori dei globuli bianchi, piastrine ed emoglobina, aumento della pressione sanguigna, perforazioni gastrointestinali ed affaticamento; è importante però sottolineare che, in genere, questi disturbi tendono a diminuire nel tempo durante l’assunzione della terapia; inoltre, spesso possiamo correlare l’effetto collaterale all’effetto terapeutico e in particolare maggiore è il primo più efficace sarà il trattamento; adesempio, è stato dimostrato che le persone trattate con inibitori della trasduzione del segnale, come erlotinib (Tarceva®) o gefitinib (Iressa®) che sviluppano eruzioni cutanee, rispondono meglio a questi farmaci rispetto a chi non sviluppaquesti effetti indesiderati. (9)

Gli inibitori della tirosina chinasi (TKI) che agiscono sul recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR) rappresentano il primo esempio di agenti mirati sviluppati nel trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) e sono attualmente utilizzati dopo il fallimento della chemioterapia di prima linea e, ancora più importante, per il trattamento di prima linea di pazienti i cui tumori hanno mutazioni del gene attivante l'EGFR.(10)

L’EGFR è un recettore trasmembrana tirosinchinasico, membro della famiglia ErbB, la cui espressione è stata ampiamente studiata in tutti i tumori consentendo lo sviluppo di diverse molecole target soprattutto nel tumore del polmone e nel tumore del colon.

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L’EGFR è una glicoproteina di membrana che lega specifici ligandi, come l’EGF (epidermal growth factor) ed il TGFα (transformin growth factor alpha) nel suo dominio extracellulare. Questa interazione porta alla fosforilazione del dominio intracellulare tirosin-chinasico e così si ha il reclutamento e l’attivazione di molecole effettrici intracellulari, come Ras, Rho, Rac e Src che regolano la proliferazione, la migrazione, l’adesione, la differenziazione e la sopravvivenza della cellula. Nell’ambito degli anti-EGFR sono stati sviluppati anticorpi monoclonali diretti contro il dominio extracellulare del recettore (cetuximab, panitumumab) e piccole molecole inibitrici del dominio intracellulare tirosin-chinasico (TKI: gefitinib, erlotinib). (11, 12) (Figura 5)

Figura 5: Nell’immagine è riportata la struttura dell’EGFR

e a cosa porta la sua attivazione mediante EGF e TGFα; inoltre sono raffigurati i principali inbitori tirosinchinasici del recettore.

Gli inibitori tirosinchinasici dell’EGFR hanno consentito un significativo miglioramento nella prognosi del tumore al polmone non a piccole cellule. Sfortunatamente, spesso si sviluppano fenomeni di resistenza a questi farmaci;lo step fondamentale nello

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sviluppo di metastasi e nell’acquisizione di resistenza agli agenti citotossici e mirati esistenti, inclusi EGFR-TKIs, è il processo di transizione epitelio-mesenchimale (EMT). Questo processo è coinvolto nel rimodellamento tissutale durante lo sviluppo embrionale e in diversi processi fisiopatologici nella vita adulta, quali ad esempio l’invasione e la diffusione delle metastasi tumorali.

2.0) TRANSIZIONE EPITELIO-MESENCHIMALE

Il termine transizione epitelio-mesenchimale (EMT) definisce una serie di eventi attraverso i quali le cellule epiteliali perdono le loro caratteristiche e acquisiscono un fenotipo mesenchimale. (13)

Le due popolazioni cellulari che caratterizzano il processo si distinguono in base alle loro proprietà morfologiche e alla loro capacità di adesione. In particolare, le cellule epiteliali formano generalmente un unico strato continuo in cui sono strettamente unite mediante complessi giunzionali, come le giunzioni occludenti, fasce aderenti, desmosomi e gap junctions. Sono cellule polarizzate, in cui cioè è possibile individuare un polo basale, un polo apicale e dei poli laterali. Il polo basale è a contatto con la membrana basale, uno strato continuo di matrice extracellulare specializzata a cui le cellule sono ancorate. Le molecole per l’adesione cellula-cellula coinvolgono membri della famiglia delle caderine, come la E-caderina, e hanno una localizzazione preferenziale sulle superfici laterali delle cellule, mentre le principali molecole per l’adesione con la matrice extracellulare si trovano al polo basale e appartengono alla famiglia delle integrine. Le cellule epiteliali possiedono inoltre filamenti intermedi di citocheratina, sono in grado di proliferare, ma non migrano al di fuori dell’epitelio e in coltura crescono in gruppi restando in contatto tra loro attraverso le

giunzioni intercellulari.

Durante la transizione epitelio-mesenchimale le cellule epiteliali perdono il loro fenotipo epiteliale per acquisire quello di cellule mesenchimali; queste a differenza delle

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prime, non formano strati organizzati, prendono contatto con la matrice extracellulare grazie alle integrine, non sono polarizzate, presentano una forma irregolare, fusata o stellata e sono in grado di migrare.

In un epitelio in transizione scompare la polarizzazione, le giunzioni si disaggregano e i filamenti intermedi di citocheratina vengono sostituiti da fibre di F-actina.

In seguito alla dissociazione delle giunzioni specializzate le cellule perdono i contatti intercellulari, riorganizzano il citoscheletro, acquisiscono nuovi recettori per la matrice extracellulare ed esprimono le metalloproteasi, che permettono alle cellule di attraversare la membrana basale, invadere la matrice sottostante e migrare. (Figura 6)(14)

Figura 6: Caratteristiche morfologiche delle cellule epiteliali (A) e mesenchimali (B).

Il processo EMT ha un ruolo centrale nella progressione dei tumori in quanto, quando le cellule cancerose diventano in grado di metastatizzare, le loro proprietà adesive cambiano ed acquistano una motilità cellulare che gli consente di migrare in sedi diverse dalla massa tumorale dando luogo ad un tumore secondario distante da quello di origine.

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La fuga iniziale dal sito primario richiede che le cellule tumorali epiteliali diventino mobili e degradino la membrana basale sottostante e la matrice extracellulare; la rottura di queste barriere provoca l'invasione del parenchima tissutale vicino (fase I: invasione). Successivamente le cellule tumorali attraversano la lamina endoteliale, insinuandosi nel sangue o nei vasi linfatici, entrando così nella circolazione sistemica (fase II: intravasazione). A questo punto, solo poche cellule metastatiche riescono a sopravvivere a vari insulti all'interno della circolazione (fase III: trasporto sistemico). Queste potranno attraversare l'endotelio capillare ed invadere il parenchima degli organi distanti (fase IV: stravaso). Nel nuovo ambiente stromale, le cellule metastatiche potranno proliferare dando luogo a tumori secondari, clinicamente rilevabili e potenzialmente pericolosi per la vita (fase V: colonizzazione) (15) (Figura 7)

Figura 7: Immagine che raffigura le fasi del processo metastatico.

Per definire chiaramente il ruolo dell'EMT nelle metastasi, discutiamo le fasi individuali della progressione delle metastasi tumorali.

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L'attivazione del processo EMT è considerata essenziale per consentire alle cellule del carcinoma di perdere le giunzioni cellula-cellula e dissociarsi l'una dall'altra per la migrazione e l'invasione di una singola cellula. In particolare, la perdita di E-caderina è associata alla progressione del carcinoma e alla prognosi infausta in vari tipi di tumori umani, in linea con il ruolo di E-caderina come custode dello stato epiteliale (16)

A seguito dell'invasione locale, le cellule tumorali devono subire un processo di intravasazione per entrare nel sistema vascolare (linfatico o vasi sanguigni) per la disseminazione sistemica. Il processo EMT modula le proprietà migratorie ed invasive delle cellule del carcinoma per favorirne l'ingresso nel sistema vascolare.

Dopo essere entrate nella circolazione sistemica, le cellule tumorali sopravvissute devono attaccarsi alla parete dei vasi sanguigni per prepararsi allo stravaso dalla circolazione. Studi suggeriscono che l'attivazione dell'EMT promuove la formazione di microtentacoli che consentono l'adesione delle cellule tumorali all'endotelio e promuovono la sopravvivenza cellulare. Studi in coltura cellulare hanno dimostrato che l'induzione dell'EMT reprime direttamente la divisione cellulare inibendo l'attività di Ciclina D, proteina che regola la progressione del ciclo cellulare. (17) In un modello di tumore cutaneo in vivo, l'attivazione di EMT è risultata associata a una ridotta proliferazione delle cellule tumorali.

(16) Poiché la colonizzazione richiede che le cellule tumorali ricomincino a dividersi, sarà

necessario che le cellule riacquistino un fenotipo endoteliale per fornire tale vantaggio di crescita. (Figura 8)

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Il processo EMT è regolato dall’attivazione sia del pathway Hedgehog che porta all’attivazione del recettore Smoothened (SMO), sia all’attivazione della cascata del recettore tirosinchinasico MET, anche chiamato recettore del fattore di crescita degli epatociti (HGFR).

2.1) LA CASCATA HEDGEHOG

Il gene Hedgehog (Hh), identificato nel 1980 attraverso studi effettuati sul moscerino della frutta (Drosophila melanogaster), è un importante regolatore per la differenziazione e e per la proliferazione cellulare. (20)

La via Hedgehog è fondamentale nella fase di sviluppo embrionale degli organi e nel corretto posizionamento di questi nell’organismo; inoltre, è importante per garantire ai tessuti in via di sviluppo di crescere nella loro esatta dimensione. L'inattivazione di questa via causa difetti dello sviluppo come l'oloprosencefalia, malformazione cerebrale complessa caratterizzata dalla separazione incompleta del prosencefalo, che evolve in quadri neurologici e difetti facciali di gravità variabile. (21) Diversamente, la sua iperattivazione porta allo sviluppo di carcinomi a cellule basali (BCC) o tumori extracutanei (22).La via Hedgehog è per lo più inattiva o scarsamente attiva nell'organismo adulto. Se necessario, può essere attivata, ad esempio, nella guarigione delle ferite. (23) Inoltre, tale pathway è coinvolto nel mantenimento delle cellule staminali somatiche e pluripotenti, cellule importanti per la riparazione dei tessuti come la cute, il tessuto neurale, nonché per alcune cellule epiteliali di organi interni. (22) Il pathway è poi fondamentale, tra le altre cose, per lo sviluppo del polmone. Infatti, l’aumento della segnalazione Hh si ha a livello delle cellule epiteliali bronchiali esposte al fumo di sigaretta. (25,26)

In alcuni tessuti, la via di segnalazione Hh si manifesta solo a livello di quelle cellule che presentano le ciglia primarie (PC), organelli costituiti da microtubuli che si trovano sulla

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superficie cellulare e che ricevono segnali meccanici, chimici e termici.(27) Tutti i componenti del percorso di trasduzione del segnale Hh si trovano a livello delle ciglia primarie, questi sono: i ligandi di Hedgehog (Sonic Hh [SHh], Indian Hh [IHh] e Desert Hh [DHh]), il recettore Patched (PATCH), distinto nel recettore PTCH1 e PTCH2 eil recettore accoppiato alle proteine G di Frizzled (GPCR) Smoothened (SMO). In assenza di ligandi Hh, PTCH impedisce l’attivazione della via di segnalazione di Hedgehog inibendo SMO; quando invece si ha il legame tra il ligando e PTCH, SMO viene attivato, e innesca il fattore di trascrizione Gli, che, a sua volta, migra nel nucleo e stimola la trascrizione di determinati geni target, i quali sono principalmente coinvolti nella proliferazione cellulare, nello sviluppo degli organi e nella riparazione dei tessuti. (Figura 9)

Figura 9: Un modello semplificato della segnalazione Hedgehog nelle

cellule di mammiferi. (a) In assenza dei ligandi Hh, il recettore PATCH inibisce la segnalazione SMO tramite un meccanismo sconosciuto. (b) In presenza dei ligandi Hh, PTCH non è in grado di inibire SMO. SMO subisce cambiamenti conformazionali che portano all’attivazione di Gli.

Analizziamo più nel dettaglio i singoli elementi della cascata Hedgehog e come questi siano coinvolti nel regolare il processo:

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• I ligandi Hedgehog. A differenza del Drosophila melanogaster, dove è stato

identificato un solo gene Hh, nei vertebrati sono stati rilevati tre membri della famiglia del gene Hh: il gene Sonic Hedgehog (SHh), l’Indian Hedgehog (IHh) e il Desert Hedgehog (DHh). I prodotti di questi tre geni si legano al recettore Ptch ed attivano la via di segnalazione Hh, agendo come mitogeni, morfogeni o fattori di differenziazione durante diversi stadi di sviluppo ed in diversi tessuti. (28) Il ligando Hh più studiato è SHh; questo è coinvolto nello sviluppo di vari organi durante l'embriogenesi, ed è espresso nel sistema nervoso centrale, nei polmoni, nei denti, nell'intestino e nei follicoli piliferi. L’attivazione di SHh può essere autocrina, quando si lega alla stessa cellula da cui è prodotto, o paracrina, quando lega o induce cambiamenti alle cellule vicine.

L'IHh è coinvolto nello sviluppo del tratto gastrointestinale e delle ghiandole mammarie. Di tutti i ligandi, il DHh è quello che presenta le caratteristiche che più si avvicinano al moscerino. La sua espressione è in gran parte limitata alle gonadi, dove svolge un ruolo chiave nella differenziazione delle cellule germinali.

• Recettore Patched (PTCH). La proteina PTCH rappresenta il recettore per i ligandi

Hh. Esistono due omologhi di PTCH, Ptch1 e Ptch2.I ligandi SHh, IHh e DHh si legano con affinità simili alle due proteine ed entrambe possono reprimere l'attività della proteina Smo. Il meccanismo con cui Ptch regola Smo non è ancora del tutto compreso, ma è stato dimostrato che il legame di Hh causa l'internalizzazione di Ptch dalla superficie cellulare e promuove l'accumulo di Smo a questo livello. Le proteine Ptch e i ligandi Hh regolano il ciclo cellulare in due modi. Innanzitutto, quando Ptch non è legato a Hh, si lega al fattore di promozione della maturazione (MPF), caratterizzato dalla ciclina B1 e dalla chinasi ciclino dipendente 1 (CDK1). Legare o trattenere MPF, gli impedisce di svolgere la sua attività. Quando Hh si lega a Ptch, la ciclina B1 viene rilasciata e il ciclo cellulare riparte. In secondo

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luogo, la via di trasmissione del segnale Hh porta alla trascrizione della ciclina D e della ciclina E, che promuovono la progressione del ciclo cellulare. (29)

• Proteina Smootheened (SMO). È una proteina caratterizzata da sette domini

transmembrana, strutturalmente simile ai recettori accoppiati a proteine G; presenta inoltre un dominio ricco di cisteina extracellulare (CRD) che è indispensabile per la sua funzione. Smo è una proteina che attiva la cascata Hedgehog in assenza degli inibitori Ptch. Dopo il legame dei ligandi Hh a Ptch1, Smo viene fosforilato da PKA e CK1 e trasmette un segnale al citoplasma attraverso una cascata di fosforilazione, dove la proteina Gli è l'obiettivo finale. • Proteine Gli. Il nome deriva da “glioblastoma” da cui sono state isolate la prima volta.

La famiglia delle proteine Gli presenta domini contenenti atomi di zinco (Zinc finger); nei vertebrati riconosciamo tre proteine Gli: Gli1, Gli2 e Gli3. Le prime due fungono da attivatori della trascrizione, mentre Gli3 funziona principalmente come repressore nella segnalazione Hh. (30,31) Secondo studi recenti, la via di segnalazione Hh contribuisce allo sviluppo di un terzo di tutti i tumori maligni. (32) La perdita del controllo di uno qualsiasi dei componenti che prendono parte al pathway Hh porta alla sua attivazione aberrante, con conseguente trasformazione maligna.

Tre sono i meccanismi proposti per l’attivazione anormale del pathway Hedgehog nei diversi tipi di cancro:

Tipo I - autonomo e indipendente dal ligando Hh (Figura 10A);

Tipo II - dipendente da ligando Hh in modalità autocrina/juxtacrina (Figura 10B); Tipo IIIa / b - dipendente da ligando Hh in modo paracrino (Figura 10C).

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Figura 10: Tre meccanismi di base dell'attivazione aberrante della segnalazione di

Hedgehog. (A)Tipo I - Attivazione Hedgehog indipendente dal ligando. Questo processo è dovuto alla mutazione inattivante Ptch1 (asterisco verde) o alla mutazione attivante Smo (asterisco rosso). Il risultato è un'attivazione del pathway di Hedgehog in assenza del ligando Hh. Nel carcinoma a cellule basali, più del 90% dei tumori presentano mutazioni che inattivano Patched o attivano SMO innescando la via di segnalazione Hedgehog in modo improprio. (B) Tipo II - Attivazione autocrina / juxtacrina Hedgehog dipendente da ligando. Il ligando Hh è secreto dalla cellula tumorale e utilizzato dalla stessa (attivazione autocrina) o dalle cellule tumorali vicine (attivazione juxtacrina), attivando così la cascata del segnale a valle della via di segnalazione di Hedgehog.

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(C-1) Tipo IIIa – Attivazione paracrina dipendente da ligando. Il ligando di Hedgehog è secreto dalle cellule tumorali e utilizzato dalle cellule stromali, le quali, una volta attivate, sintetizzano e secernono segnali, come il fattore di crescita dell'endotelio vascolare, che vengono poi riportati nelle cellule tumorali per supportare la loro sopravvivenza e crescita. (C-2) Tipo IIIb - Attivazione paracrina opposta. Il ligando Hh è direttamente secreto dalle cellule stromali e assorbito dalle cellule tumorali. Pertanto, il ligando aiuta la proliferazione e la crescita delle cellule tumorali.

Quindi il pathway Hedgehog, se attivato non correttamente, porta allo sviluppo dei tumori; in particolare i principali avvenimenti innescati e responsabili dell’insorgenza del tumore sono:

➢ Una riduzione di E-caderina, che ha il compito di mantenere unite le cellule epiteliali, cosicchè le cellule tumorali potranno invadere e metastatizzare;

➢ Facilitazione del processo di angiogenesi, mediante l’aumento di angiopoietina-1 e angiopoietina-2;

➢ Avvio del ciclo cellulare (proliferazione cellulare), che, in particolare, porta alla stimolazione delle Cicline (ciclina D1 e B1), alla diminuzione dell’espressione dei geni responsabili dell’apoptosi ed al potenziamento dei geni antiapoptotici in modo da permettere alle cellule tumorali di sopravvivere.

➢ Miglioramento del microambiente del tumore, mediante attivazione delle cellule stromali, che poi secernono fattori per sostenere la crescita del tumore. (33)

2.2) IL RECETTORE TISOSINCHINASICO MET

Oltre alla attivazione aberrante della via Hedgehog, anche la sovraespressione del recettore tirosin-chinasico MET, chiamato anche recettore del fattore di crescita degli epatociti (HGFR), e/o la sua attivazione è stata dimostrata un mediatore cruciale del processo EMT ed è stata correlata allo sviluppo di resistenza alla chemioterapia e agli inibitori dell’EGFR.

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Il recettore MET, è formato da una catena α, interamente extracellulare, unita ad una subunità β transmembrana mediante un legame disolfuro. Il suo ligando, HGF, una glicoproteina multidominio di 90 kDa, è secreto dalle cellule mesenchimali come un peptide inattivo a singola catena e viene poi attivato ad opera di proteasi in un eterodimero α/β extracellulare. (34) Il legame del ligando HGF attivo al dominio extracellulare di MET causa

la polimerizzazione e la fosforilazione del recettore sui residui di tirosina nel dominio intracellulare di MET. (35)

Durante lo sviluppo normale, la segnalazione HGF/MET è fondamentale per il rimodellamento del tessuto e la differenziazione morfogenica. In particolare, diversi studi hanno dimostrato che MET è essenziale per lo sviluppo della placenta e del fegato. (36) La via metabolica svolge anche un ruolo fondamentale nella rigenerazione degli organi e nella cicatrizzazione delle ferite, supportata da aumentati livelli di HGF in pazienti con insufficienza renale o epatica, o in seguito a danno tissutale come cirrosi epatica e fibrosi renale. (37)

Il recettore tirsonchinasico MET e il suo ligando, HGF, svolgono un ruolo centrale nel pathway del processo oncogenico; infatti regolano la proliferazione cellulare, l'invasione e l'angiogenesi. Elevati livelli di MET e HGF, così come numerose alterazioni genetiche MET sono state evidenziate nei tumori umani.

Studi in vitro e in vivo hanno dimostrato che un’aumentata e sregolata attivazione di MET porta ad una vasta gamma di risposte biologiche associate al fenotipo maligno. Queste risposte includono un’aumentata motilità/capacità invasiva, aumentata cancerogenesi, una maggiore angiogenesi, una protezione delle cellule tumorali dall’apoptosi indotta da agenti che danneggiano il DNA come raggi UV, radiazioni ionizzanti e un tasso maggiore di errori nella riparazione del DNA. (38) In base a questi dati, è probabile che HGF aumenti la mutagenesi in seguito al danneggiamento del DNA, permettendo alle cellule tumorali con il

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DNA danneggiato di sopravvivere, e determinando così la resistenza alla chemioterapia e alla radioterapia. (39) (Figura 10)

Figura 10: Immagine che raffigura l’attivazione del recettore

MET e cosa ne consegue.

L’amplificazione di MET gioca un ruolo critico nella mediazione della resistenza del tumore polmonare non a piccole cellule all’“Erlotinib” (Tarceva®) e al “Gefitinib” (Iressa®). (40,41) MET è stato identificato come marcatore prognostico in molti tumori tra cui quelli a polmone, rene, fegato, testa e collo, stomaco e seno; per questo sono stati sviluppati numerosi agenti terapeutici mirati all'attivazione di questo recettore, per ritardare così la progressione del tumore e migliorare gli esiti clinici nei pazienti. Esiste una grande quantità di dati preclinici e clinici che supportano l'uso di inibitori (anticorpi o piccole molecole) che hanno come bersaglio MET o HGF in terapie oncologiche.

La resistenza agli inibitori di EGFR si manifesta frequentemente e risulta essere correlata sia al pathway Hedgehog (SMO), sia all’attivazione della cascata del recettore tirosinchinasico MET; è stato dimostrato che agire solo su quest’ultimo non è sufficiente per contrastare lo sviluppo della resistenza e il modo migliore per superarla è un approccio

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combinato, in cui viene eseguita la contemporanea inibizione dei due pathway MET e Hedgehog. (42)

È stato evidenziato da studi in vitro e in vivo l'interazione funzionale dei pathway Hh e MET e l'importanza di bloccare entrambe le vie di segnalazione per ripristinare l'EMT e migliorare la sensibilità del tumore agli inibitori tirosinchinasici dell’EGFR. Sono stati così studiati e scoperti i primi inibitori duali MET e SMO che sono in grado di superare la resistenza alla terapia nel tumore al polmone non a piccole cellule; questi due bersagli farmacologici non sono correlati dal punto di vista strutturale, ma sono in grado di riconoscere chemiotipi che condividono caratteristiche strutturali comuni.

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Introduzione alla parte

sperimentale

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INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE

Un tumore, o neoplasia, indica una massa di tessuto che cresce in eccesso ed in modo scoordinato rispetto ai tessuti normali e che persiste in questo stato dopo la cessazione degli stimoli che hanno indotto il processo.(43) In seguito a mutazioni, le cellule tumorali acquisiscono caratteristiche di crescita autonoma, afinalistica e progressiva, unite alla perdita della capacità di differenziazione e della possibilità di andare incontro al processo apoptotico. (2)

Come detto precedentemente, le terapie più comunemente utilizzate contro il cancro sono: chirurgia, chemioterapia e radioterapia.

La chirurgia è indicata per rimuovere tumori localizzati e in fase non troppo avanzata, rimuovere metastasi isolate, ridurre i sintomi provocati dalla compressione degli organi circostanti il tumore. Quando la diagnosi è precoce e la massa ha dimensioni ridotte, la chirurgia può costituire l’unica terapia necessaria. In altri casi, va affiancata ad altre tipologie di cura. Quando il tumore è situato in una posizione molto delicata, ricorrere alla chirurgia potrebbe provocare danni ad organi e tessuti adiacenti. In questo caso è preferibile ricorrere ad altre terapie. Le più comuni complicazioni post-operatorie sono costituite da infezioni della ferita, polmoniti, trombosi e raccolte di liquido intorno alla ferita.

La chemioterapiaè una procedura che consiste nella somministrazione di particolari farmaci citotossici, allo scopo di distruggere le cellule tumorali; idealmente, quindi, il farmaco antitumorale dovrebbe avere una massima tossicità sulle cellule tumorali e nessuna tossicità sulle cellule sane circostanti la massa; tuttavia, questi farmaci agiscono anche sulle cellule adiacenti.

La radioterapia, è utilizzata come terapia primaria per i tumori locali e può essere utilizzata in associazione alle altre due terapie sopra citate, riducendo così la possibilità di recidive.

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Distrugge le cellule tumorali, ma con danno anche alle cellule sane che circondano la massa neoplastica, anche se queste hanno una capacità riparativa.

Recentemente sono stati studiati approcci terapeutici alternativi nel tentativo di ridurre gli effetti collaterali; tra questi, le “terapie mirate” costituiscono una delle strategie più innovative.

Queste rappresentano uno dei più importanti strumenti della medicina personalizzata; infatti, la cura non è più scelta solo in base alla sede di sviluppo del tumore e al suo stato di avanzamento, ma anche in relazione alle caratteristiche molecolari del tumore, che differiscono da paziente a paziente.

L’aspetto peculiare risiede nell’identificazione di specifiche proteine o target molecolariche siano diversamente espressi nelle cellule tumorali rispetto alle cellule sane, e che quindi possano costituire nuovi bersagli terapeutici.

In questo contesto si inseriscono gli inibitori tirosin-chinasici del recettore EGFR (recettore del fattore di crescita epidermico). L’attivazione di questo recettore è in grado di indurre

nella cellula neoplastica una proliferazione sregolata e favorire la sopravvivenza cellulare, la capacità invasiva e metastatica e l’angiogenesi. In particolare, il legame del recettore con alcuni fattori di crescita, quali il fattore di crescita epidermico (EGF) o il fattore di crescita trasformante α (TGFα), attiva un meccanismo di trasduzione intracellulare “a cascata”, che innesca una catena di processi cellulari coinvolti nella crescita tumorale.

Alcuni farmaci sono in grado di bloccare la via di trasduzione del segnale dell’EGFR a monte, inibendo il legame ligando-recettore (Cetuximab), o a valle, inibendo l’autofosforilazione del recettore (Gefitinib, Erlotinib).

Gli inibitori tirosinchinasici dell’EGFR hanno fornito significativi miglioramenti nelle terapie antitumorali. Tuttavia, la resistenza a questi agenti si manifesta frequentemente e risulta essere correlata sia al pathway Hedgehog che porta all’attivazione del recettore

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Smoothened (SMO), sia all’attivazione della cascata del recettore tirosinchinasico MET, anche chiamato recettore del fattore di crescita degli epatociti (HGFR). In particolare, la cascata Hedgehog (Hh) è stata correlata allo sviluppo del cancro e alla progressione metastatica, in quanto regola questi eventi attraverso l'induzione dell'EMT, ovvero la transizione epitelio-mesenchimale; questo processo è coinvolto nel rimodellamento tissutale durante lo sviluppo embrionale e in diversi processi fisiopatologici nella vita adulta, quali ad esempio l’invasione e la diffusione delle metastasi tumorali. Il termine transizione epitelio-mesenchimale (EMT) definisce una serie di eventi attraverso i quali le cellule epiteliali perdono le loro caratteristiche e acquisiscono un fenotipo mesenchimale, che a differenza delle prime, presenta una forma irregolare, fusata o stellata ed è in grado di migrare. (13)

La cascata Hedgehog è caratterizzata da diversi componenti che sono: i ligandi Sonic, Indian e Desert Hedgehog (Shh, Ihh, Dhh, rispettivamente), la proteina di superficie cellulare Patched (PTCH) e il recettore accoppiato a proteine G (GPCR) di Frizzled Smoothened (SMO). In assenza di ligandi Hh, PTCH impedisce l’attivazione della via di segnalazione di Hedgehog inibendo SMO, mentre quando avviene il legame tra il ligando Hh e PTCH, SMO viene attivato, innescando il fattore di trascrizione Gli, che migra nel nucleo e stimola la trascrizione di determinati geni target, i quali sono principalmente coinvolti nella proliferazione cellulare, nello sviluppo degli organi e nella riparazione dei tessuti. Oltre alla attivazione aberrante della via Hedgehog, anche la sovraespressione del recettore tirosin-chinasico MET e/o la sua iperattivazione è stata dimostrata un mediatore cruciale del processo EMT ed è stata correlata allo sviluppo di resistenza alla chemioterapia e agli inibitori tirosinchinasici dell’EGFR. Il recettore tirosinchinasico MET e il suo ligando, HGF, svolgono un ruolo centrale nel pathway del processo oncogenico; infatti regolano la

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proliferazione cellulare, l'invasione e l'angiogenesi. Elevate concentrazioni di HGF, così come numerose alterazioni genetiche di MET sono state evidenziate nei tumori umani. Diversi inibitori tirosinchinasici di MET sono stati sottoposti a studi clinici di fase II e di fase III in pazienti che presentano carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), con diversi risultati.

Molto probabilmente bloccare solo MET non è sufficiente per risolvere la resistenza ai farmaci antitumorali in quanto quest’ultimo è implicato in diversi processi intracellulari e quindi il modo migliore per superare il problema è un approccio combinato, dove si utilizzano contemporaneamente inibitori di MET e del pathway Hh. A questo riguardo, è stato individuato da recenti studi effettuati su un modello di cellule del NSCLC resistenti agli inibitori tirosinchinasici con EGFR mutato, che sono presenti sia l’amplificazione di SMO che l’iperattivazione di MET. Nello stesso modello, l’inibizione di SMO in combinazione con l’inibizione di MET riduce significativamente la proliferazione delle cellule tumorali, induce apoptosi, blocca la capacità di migrazione e l’invasività delle cellule

tumorali e induce la completa regressione (100%) del tumore nei topi xenotrapiantati. Inoltre, il blocco del pathway Hh inverte EMT ed è anche associato ad un aumento della sensibilità del tumore agli agenti citotossici testati su EGFR wild type. Recentemente è stato dimostrato che un’attivazione aberrante del pathway Hh è correlata all’acquisizione di resistenza agli inibitori dell’EGFR ottenuta somministrando in sequenza inibitori di prima generazione (erlotinib), seconda generazione (afatinib) e terza (osimertinib); tale teoria è stata confermata su modelli in vivo. (45)

L’interazione dei due pathways supporta fermamente il razionale per una terapia combinata

per superare la resistenza agli inbitori tirosinchinasici.

Nonostante il consolidato significato farmacologico delle terapie combinate, si possono prospettare diversi vantaggi con l'impiego di composti scoperti razionalmente che sono in

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grado di colpire contemporaneamente due diversi target farmacologici, come una migliore descrizione del profilo farmacocinetico rispetto alla terapia di combinazione e minori rischi di interazioni farmaco-farmaco.

Per questo, recentemente è stato condotto uno studio volto all’identificazione di nuovi composti ad azione antiproliferativa in grado di bloccare simultaneamente i recettori MET e SMO. (46) Così, tra i 1911 inibitori noti di MET, è stato identificato un set di 12 composti che sono risultati promettenti per la loro potenziale doppia attività inibitoria contro MET e SMO, e che sono stati validati in modelli in vitro e in vivo di resistenza agli anti-EGFR TKI. Per identificare gli inibitori di MET, che potrebbero mostrare interessanti caratteristiche per il recettore SMO e viceversa, è stato utilizzato il database BindingDB. Così, a partire da un set di 1911 molecole conosciute come inibitori selettivi o non selettivi di MET, sono stati effettuati degli studi di Virtual Screening sul recettore SMO; seguendo questo protocollo, sono stati così identificati una serie di composti in grado di interagire con il recettore SMO. In particolare, sono state selezionate 421 molecole in grado di legare anche il recettore SMO; di queste, 25 molecole erano disponibili in commercio e, tra queste sono state selezionate quelle in grado di svolgere la loro azione inibitoria nell’ordine del micromolare, selezionando così 12 composti (Figura 11). (47)

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Figura 11: i 12 composti selezionati quali potenziali inibitori duali MET e SMO.

Nel presente la voro di tesi è stato preso in considerazione il composto 9 quale composto lead ed è stato intrapreso uno studio di ottimizzazione.

Considerando la posa di legame del composto 9 all'interno del sito attivo di MET in Figura 12, possiamo osservare che il lead si alloca all'interno della tasca di legame stabilendo una serie di interazioni idrofobiche con i residui Ile1084, Val1092, Ala1108, Leu1140, Leu1157, Met1160, Met1211, Ala1221 ed Ala1226. Il carbonile adiacente alla porzione idrazonica instaura un legame idrogeno con Met1160. In letteratura, un legame idrogeno con questo residuo è ritenuto fondamentale per l'attività inibitoria. Di notevole importanza ai fini della potenza di un inibitore MET è anche un un'interazione di tipo π-stacking con la Tyr1230, che in questo caso viene effettuata dal p-toluene. Si può ipotizzare che l'introduzione di sostituenti elettron-attrattori sul fenile, o la sostituzione del singolo anello aromatico in favore di un sistema aromatico biciclico, sia correlata ad un aumento della forza

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dell'interazione con la catena laterale di Tyr1160, e che questo aumenti anche la potenza del composto.

Sulla base di queste considerazioni durante questo lavoro di tesi sono state sintetizzate una serie di molecole (composti 1-6) nelle quali il gruppo p-toluenico del composto 9 viene sostituito da un nucleo eteroaromatico biciclico, legato all’atomo di azoto isatinico mediante un linker di una o due unità metileniche.

Figura 12: Posa di legame del composto 9 all'interno del sito attivo di MET. Il ligando è rappresentato in verde e la proteina in arancione. Il legame a idrogeno tra il ligando ed il residuo Met1160 è mostrato in blu, mentre l'interazione tra il p-toluene del ligando e la catena laterale del residuo Tyr1230 è mostrata in rosso.

I Br OH H N N O N O NH O 1-6 Br OH NH O N N O Y Z * n R

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La procedura sintetica generale per l’ottenimento dei composti target 1-6 è riassunta nello

Schema 1. SCHEMA 1 N H O O Z Y * nX Z Y * nN O O i Z Y * nN N O HN O Br OH ii OH Br N H O NH2 7- 12 13-18 1-6 R R R

i = DMF anidra, K2CO3, KI; ii = etanolo e acido acetico, MW

1, 7, 13: n = 1; Z= O; Y= CH; X = Br; R= H 2, 8, 14: n = 1; Z=S; Y= CH; X = Br; R= H 3, 9, 15: n = 2; Z= N; Y= CH; X = Br; R= H 4, 10, 16: n = 1; Z=S; Y= CH; X=Br; R= Cl 5, 11, 17: n = 1; Z= N; Y= N; X = Cl; R= H 6, 12, 18: n = 1; Z= CH=CH; Y=CH; X = Br; R=H

Nel primo step la reazione è stata svolta sotto N2; in un pallone l’isatina commerciale e il

K2CO3 vengono sospesi in DMF anidra; contemporaneamente in un altro pallone vengono

aggiunti KI e l’opportuno metil alogenuro;dopo circa mezz’ora le due miscele vengono riunite e la miscela risultante viene fatta reagire a temperatura ambiente, controllando l’andamento della reazione con TLC (miscela eluenteAcOEt: Etere di petrolio 40-60°C= 1:9). Successivamente, la miscela viene versata cautamente in ghiaccio; si forma un

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precipitato che viene filtrato a pressione ridotta; infine, il composto è purificato attraverso cromatografia flash su gel di silice (miscela eluenteAcOEt: Etere di petrolio 40-60°C = 1:9), fornendo i derivati 13-18.

Una sospensione costituita da 5-bromo-2-idrossibenzoidrazide e dal derivato isatinico opportuno (13-18) in una miscela di etanolo ed acido acetico, viene irradiata in un microonde a 110°C per 20 minuti; si forma una sospensione gialla che viene filtrata e lavata con etanolo a freddo per tre volte e quindi con diclorometano, etile acetato, etere etilico ed esano per ottenere il prodotto desiderato.

Il 3-(bromometil)-5-cloro-benzotiofene, 2-(clorometil)benzotiazolo ed il 2-(bromometil)naftalene sono disponibili in commercio. Al contrario, i bromometil derivati 7,

8 e 9 sono stati ottenuti per via sintetica durante questo lavoro di tesi.

Lo schema 2 descrive la procedura sintetica eseguita per l’ottenimento del derivato 7.

SCHEMA 2

i = etilbromoacetato,carbonato di cesio; MeCN/DMF; ii = LiAlH4, THF anidro; iii = PBr3, THF anidro

Il primo step consiste nello scaldare a riflusso una soluzione di salicilaldeide, etilbromoacetato e carbonato di cesio in MeCN /DMF per 48 ore.

Successivamente, la sospensione risultante viene filtrata a pressione ridotta ed il residuo lavato con acetato di etile; il filtrato ottenuto viene evaporato a secco, ripreso con

acqua ed estratto con diclorometano; infine, dopo essiccamento su MgSO4, la fase organica

i 19 OH O O ii O 20 iii O 7 H O O OH Br

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viene evaporata a pressione ridotta, fornendo il derivato 19.

Il composto è stato ottenuto sufficientemente puro da poter essere utilizzato come tale nello step successivo.

In seguito, l’etil benzofuran-2-carbossilato (19) è fatto reagire con una soluzione di LiAlH4

in THF anidro. La miscela risultante viene lasciata in agitazione a temperatura ambiente per tre ore. Successivamente, viene aggiunta cautamente una soluzione satura di K2CO3. Il

residuo risultante viene filtrato e lavato con acetato di etile; infine, dopo essiccamento su MgSO4, la fase organica viene evaporata a pressione ridotta fornendo il derivato 20. Il

composto è stato ottenuto sufficientemente puro da poter essere utilizzato come tale nello step successivo.

Infine, il derivato 20 viene solubilizzato in THF anidro ed è fatto reagire con PBr3, a 0 °C.

La miscela risultante viene lasciata in agitazione a temperatura ambiente per due ore. Il residuo viene recuperato con acqua ed estratto con diclorometano; dopo essiccamento su MgSO4 , la fase organica viene evaporata a pressione ridotta e si ottiene il composto

desiderato grezzo, il quale è successivamente purificato mediante cromatografia flash su gel di silice (miscela eluente AcOEt: Etere di petrolio 40-60 °C = 2:8).

Nello schema 3 è riportata la sintesi attraverso la quale è stato ottenuto il derivato 8.

SCHEMA 3

i = K2CO3, DMF anidra; ii = LiAlH4, THF anidro; iii = PBr3, THF anidro

i ii NO2 H O O O SH S O O S OH iii S Br 21 22 8

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Una miscela di 2-nitrobenzaldeide e K2CO3 in DMF anidra viene raffreddata a 0°C,

dopodiché viene aggiunto il metiltioglicolato; la miscela risultante viene lasciata a 0°C per mezz’ora e dopo viene scaldata a 60°C per circa venti ore. Successivamente la miscela viene ripresa con acqua; si forma un precipitato che si filtra a pressione ridotta, ottenendo il derivato 21. Il composto è stato ottenuto sufficientemente puro da poter essere utilizzato come tale nello step successivo.

In seguito, ad una soluzione di LiAlH4 in THF anidro a 0°C, viene aggiunto il metil

benzo[b]tiofene-2-carbossilato (21). La soluzione è lasciata reagire a temperatura ambiente per 12 ore. Successivamente, viene aggiunta cautamente una soluzione satura di K2CO3 e la

sospensione risultante viene filtrata e il residuo lavato con acetato di etile; dopo essiccamento su MgSO4, la fase organica viene evaporata a pressione ridotta fornendo il derivato 22. Il

composto è stato ottenuto sufficientemente puro da poter essere utilizzato come tale nello step successivo.

Infine, ad una soluzione di (benzo[b]tiofene-2-il)metanolo (22) in THF anidro a 0°C, è aggiunto PBr3. La soluzione è lasciata reagire per circa tre ore; il residuo viene ripreso con

acqua ed estratto con diclorometano; dopo essiccamento su MgSO4, la fase organica viene

evaporata a pressione ridotta e si ottiene il composto desiderato grezzo, il quale è successivamente purificato mediante cromatografia flash su gel di silice (miscela eluente AcOEt: Etere di petrolio 40-60°C = 1:9).

(43)

43

Lo schema 4 illustra il procedimento di sintesi utilizzato per ottenere il composto 25.

SCHEMA 4

i: acido para-toluensolfonico, toluene; ii: LiAlH4, THF anidro

Ad una sospensione di fenilidrazina cloridrato in toluene viene aggiunto etilpiruvato ed acido para-toluensolfonico; la sospensione viene scaldata a riflusso per 24 ore. Successivamente

viene evaporato il toluene a pressione ridotta, il residuo viene ripreso con acqua ed estratto con diclorometano; infine, dopo essiccamento con MgSO4, la fase organica viene evaporata

a pressione ridotta fornendo il derivato 23. Il prodotto è stato poi purificato attraverso cromatografia flash su gel di silice (miscela eluente AcOEt: Etere di petrolio 40-60 °C = 1:9).

In seguito, ad una soluzione di LiAlH4 in THF anidro viene aggiunto l’etil

indolo-2-carbossilato (23), precedentemente solubilizzato nello stesso solvente; la soluzione ottenuta viene lasciata reagire a temperatura ambiente overnight. Successivamente viene aggiunta cautamente una soluzione satura di K2CO3 e la sospensione formatosi viene filtrata a

pressione ridotta e lavata con etile acetato; infine, dopo essiccamento con MgSO4, la fase

organica viene evaporata a pressione ridotta fornendo il derivato 24. Il composto è stato ottenuto sufficientemente puro da poter essere utilizzato come tale nello step successivo.

O O O NHNH2. HCl i H N O O 23 H N OH ii iii H N Br 24 25

(44)

44

Infine, l’ottenimento del derivato alogenato ha creato qualche difficoltà; sono stati eseguiti diversi procedimenti per ricavare il prodotto desiderato, ma nessuno ha dato il risultato sperato; nella maggior parte dei casi si formano prodotti di degradazione:

• Utilizzo di trifenilfosfina: ad una soluzione costituita dal derivato 24 in

diclorometano, è aggiunta PPh3 e si porta a 0°C. Dopodiché si aggiunge CBr4 e si

lascia la soluzione ottenuta in agitazione overnight. Successivamente, il residuo viene recuperato con acqua ed estratto diclorometano; infine dopo essiccamento con MgSO4, la fase organica viene evaporata a pressione ridotta.

• Utilizzo di cloruro di tionile: ad una soluzione costituita dal derivato 24 in

cloroformio viene aggiunto SOCl2, la soluzione viene lasciata reagire a temperatura

ambiente. L’analisi con TLC evidenzia solo prodotti di degradazione. Abbiamo così deciso di non trattare la reazione.

• Utilizzo di acido bromidrico: una soluzione costituita dal derivato 24 e HBr 48% viene scaldata a 110° C per 3 ore. L’analisi con TLC evidenzia solo prodotti di degradazione. Abbiamo così deciso di non trattare la reazione.

• Utilizzo di tribromuro di fosforo: ad una soluzione costituita dal derivato 24 in THF

anidro, in bagno di ghiaccio, viene aggiunto PBr3, la soluzione viene lasciata reagire

a temperatura ambiente per quattro ore. Successivamente il residuo viene recuperato con acqua ed estratto con diclorometano; infine, dopo essiccamento con MgSO4, la

fase organica viene evaporata a pressione ridotta. L’analisi con TLC evidenzia solo prodotti di degradazione. Abbiamo così deciso di non trattare la reazione.

Abbiamo quindi pensato di procedere con sintesi dell’analogo indolico portante un gruppo metilico in posizione 1.

(45)

45 SCHEMA 5

i: DMF anidra, NaH, CH3I; ii: LiAlH4, THF anidro; iii: PBr3, THF anidro

Dopo aver ottenuto il derivato 23 seguendo lo stesso procedimento riportato nello schema

4, l’azoto indolico è stato metilato attraverso la seguente procedura: ad una soluzione del

derivato 23 in DMF anidra, viene aggiunto NaH a 0°C; la soluzione così ottenuta è lasciata reagire per mezz’ora; dopodiché viene aggiunto CH3I e si lascia reagire a temperatura

ambiente overnight.

Successivamente, la DMF viene evaporata a pressione ridotta, ed il residuo viene recuperato con acqua ed estratto con diclorometano; infine, dopo essiccamento con MgSO4, la fase

organica viene evaporata a pressione ridotta fornendo il derivato 26.

In seguito, ad una soluzione di LiAlH4 in THF anidro viene aggiunto 1-metil-etil

indolo-2-carbossilato (26), precedentemente solubilizzato nello stesso solvente; la soluzione ottenuta viene lasciata reagire a temperatura ambiente overnight. Successivamente, viene aggiunta cautamente una soluzione satura di K2CO3 e la sospensione risultante viene filtrata a

pressione ridotta e lavata con etile acetato; infine, dopo essiccamento con MgSO4, la fase

organica viene evaporata a pressione ridotta fornendo il derivato 27.

i ii H N O O N O O 23 26 N OH 27 iii N Br Br 28

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46

Nell’ultimo step, ad una soluzione costituita da 1-metil (indolo-2-il)metanolo (27) in THF anidro, viene aggiunto PBr3, la soluzione viene lasciata reagire a temperatura ambiente per

due ore. Successivamente il residuo è recuperato con acqua ed estratto con diclorometano; infine, dopo essiccamento con MgSO4, la fase organica viene evaporata a pressione ridotta

fornendo il derivato 28. Il composto è stato purificato mediante cromatografia flash su gel di silice (miscela eluente AcOEt: Etere di petrolio 40-60 ° C = 1:9).

L’analisi attenta dei dati di spettroscopia 1H NMR e 13C HNMR ha evidenziato che il prodotto ottenuto è il 3-bromo-2-bromometil-1-metil indolo (28).

SCHEMA 6

i: LiAlH4, THF anidro; ii: PBr3, THF anidro

Viste le difficoltà incontrate nella preparazione di derivati indolici sostituiti alla posizione 2, abbiamo pensato di preparare composti sostituiti in posizione tre a partire dall’acido 3- indoloacetico commerciale.

Il composto è stato ottenuto seguendo lo schema 6.

Nel primo step, ad una soluzione di LiAlH4 in THF anidro è aggiunto l’acido 3-indoloacetico

precedentemente solubilizzato nello stesso solvente; la soluzione è lasciata reagire per tre ore. Successivamente, viene aggiunta cautamente una soluzione satura di K2CO3 e la

sospensione risultante viene filtrata a pressione ridotta; infine, dopo essiccamento con MgSO4, la fase organica viene evaporata a pressione ridotta fornendo il derivato 29.

N H OH O N H OH N H Br i ii 29 9

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