Introduzione
Il trauma rappresenta la principale causa di morte per le fasce d'età fino ai 45 anni. Nonostante i notevoli miglioramenti nella conoscenza del trauma e del suo trattamento, circa la metà dei decessi avviene nei primi 10 minuti dopo l'incidente, periodo chiamato “platinum”, per arresto respiratorio, lesioni ad encefalo e midollo, emorragia massiva. Questo perché è praticamente impossibile riuscire ad intervenire in modo appropriato in questo breve lasso di tempo.
Nell'ora che segue, la “golden hour”, si verificano circa il 30% dei decessi, che sono do-vuti per lo più ad emorragie intracraniche, emopneumotorace, rottura di milza, rottura di fegato, fratture di bacino, emorragie massive da lesioni multiple. È in questo lasso di tempo che un trattamento tempestivo ed adeguato può fare la differenza.
Un ulteriore 20% dei decessi si verifica a giorni di distanza dall'incidente e rientra sotto le “complicanze”. L'instaurarsi di una MOF (insufficienza multiorgano) e la sua gravità, sono inversamente proporzionali alla qualità del trattamento ricevuto nella “golden hour”.
Il protocollo più accreditato per il trattamento del trauma, le procedure di primo soccor-so volte alla stabilizzazione del paziente, è l'ATLS (Advanced Trauma Life Support). L'emorragia è la prima causa di morte nel trauma, nonché la più grave complicanza pe-rioperatoria; ne consegue che fermare l'emorragia sia l'imperativo fondamentale.
L'infusione di liquidi, necessaria a mantenere un adeguato volume circolante, contribui-sce enormemente alla coagulopatia che, insieme all'ipotermia e all'acidosi, forma la “triade letale”, una condizione che compromette seriamente la sopravvivenza del pa-ziente.
Recentemente si è rilevato che la coagulopatia è presente nel 25% dei pazienti con trau-ma grave (Injury Severity Score superiore a 151) già al momento dell'ammissione e sen-za precedente somministrazione di liquidi.
Le linee guida dell'ATLS raccomandano un trattamento infusionale aggressivo, ma si è visto che tale prassi può invece aggravare la coagulopatia tramite la diluizione dei fatto-ri della coagulazione2. La TIC (coagulopatia indotta da trauma) si sviluppa in presenza di grave danno anatomico ed ipoperfusione tissutale (da emorragia). Le cause della TIC
1 SP. Baker et al., The injury severity score: a method for describing patients with multiple injuries and evaluating emergency care, J Trauma, vol. 14, nº 3, Mar 1974, pp. 187-96
2 Johansson et al., Current management of massive hemorrhage in trauma, Scandinavian Journal of Trauma, Resuscitation and Emergency Medicine 2012, 20:47
sono una complessa combinazione di infiammazione, anticoagulazione e disfunzioni cellulari dalla varia eziologia.
Ne consegue che quei pazienti che abbiano subito una trasfusione massiva (più di 10 sacche di sangue nelle 24 ore3) siano particolarmente soggetti allo sviluppo della coagu-lopatia.
È in questo contesto che la tromboelastografia ha assunto, col tempo, una rilevanza sempre maggiore. Diversi studi suggeriscono una grande utilità delle tecniche tromboe-lastografiche nel guidare la somministrazione degli emocomponenti4 5 e minimizzare quindi il fattore emodiluzione tra quelli concorrenti nell'instaurarsi della TIC. Inoltre, le tecniche tromboelastografiche consentono di valutare la funzionalità delle piastrine -cosa che i test standard di laboratorio non fanno - e sembrerebbe che possano servire da indicatori dello stato del sistema della coagulazione, meglio di quanto possano fare il Tempo di Protrombina (PT) e il tempo di Tromboplastina parziale (aPTT)6.
Quest'ultima prospettiva consentirebbe di applicare le tecniche tromboelastografiche non solo come guida alla somministrazione di fluidi ed emoderivati, ma anche come strumento di monitoraggio del sistema coagulativo durante la degenza dei pazienti nell'unità di terapia intensiva.
Nel corso della degenza, la bilancia emostatica può variare molto rapidamente dall'anti-coagulazione ad uno stato di ipercoagulabilità. La sepsi, molto frequente in terapia in-tensiva, è uno dei fattori che contribuiscono a questa variazione, per lo più in senso ipo-coagulativo, e ci sono alcune evidenze a riguardo7.
Scopo di questa tesi è valutare l'utilità delle tecniche tromboelastografiche nel follow-up del paziente politraumatizzato e politrasfuso.
3 L. M.McDaniel et al., State of the art: massive transfusion, Official Journal of the British Blood Transfusion Society
4 Linda M. Trapani: Thromboelastography: Current Applications, Future Directions, Open Journal of Anesthesiology, 2013, 3, 23-27
5 Luis Teodoro da Luz, Bartolomeu Nascimiento, Sandro Rizoli: Thromboelastography (TEG®):
practical considerations on its clinical use in trauma resuscitation, Scandinavian Journal of Trauma, Resuscitation and Emergency Medicine 2013, 21:29
6 Myung S. Park et al., Thromboelastography as a Better Indicator of Postinjury Hypercoagulable State Than Prothrombin Time or Activated Partial Thromboplastin Time, J Trauma. 2009 August ; 67(2): 266–276
7 Marcella C Müller et al., Utility of thromboelastography and/or thromboelastometry in adults with sepsis: a systematic review, Müller et al. Critical Care 2014, 18:R30
Capitolo 1
Emorragia e shock: uno sguardo generale
1.1 Emorragia e shock
L'emorragia massiva richiedente trasfusioni rimane una delle cause principali di decessi potenzialmente prevenibili. Il trauma e le trasfusioni conseguenti sono associati ad una coagulopatia secondaria a danno tissutale, ipoperfusione, diluizione e consumo dei fat-tori della coagulazione e delle piastrine, e quindi coagulopatia che, insieme all'ipotermia e all'acidosi, formano la cosiddetta “triade letale”8.
L'emorragia massiva può indurre uno shock emorragico, che rientra nella categoria de-gli shock ipovolemici, dei quali, peraltro, rappresenta la causa principale.
Per “shock circolatorio” si intende “una riduzione del flusso sanguigno in tutto
l'orga-nismo tanto marcata che i tessuti subiscono dei danni per l'insufficiente apporto a livel-lo cellulare dell'ossigeno e degli altri nutrienti9.
Ad una emorragia l'organismo risponde tramite una serie di meccanismi neurovegetativi e tramite il sistema della coagulazione.
L'emostasi nel complesso non è però regolata soltanto da fattori ematici (il sistema della
coagulazione), ma da una serie di sistemi strettamente collegati tra loro:
• il sistema vascolare • il sistema della fibrinolisi • le piastrine
• il sistema della kinina
• gli inibitori della serin-proteasi • il sistema del complemento
Questi sistemi sono in grado di reagire ai diversi insulti che l'endotelio può subire, siano essi insulti meccanici, agenti fisici o chimici.
Uno sbilanciamento di questi sistemi verso l'ipercoagulabilità o l'ipocoagulabilità può portare rispettivamente a trombosi od emorragia.
L'emostasi può essere categorizzata sia come processo primario che secondario. L'emo-stasi primaria coinvolge la risposta vasale e delle piastrine al danno vascolare. Essa ha luogo quando venga a realizzarsi un danno ai piccoli vasi, che si spasmizzano per chiu-dere la ferita, e le piastrine vengono mobilizzate e vanno ad aderire alle componenti del
8 Johansson et al., op. cit.
subendotelio.
L'emostasi secondaria consiste nella risposta del sistema della coagulazione al danno vascolare. E' necessaria per controllare il sanguinamento da ampie ferite ed è la naturale continuazione dell'emostasi primaria.
In sintesi, il risultato dell'emostasi primaria è la formazione di un aggregato piastrinico, di quella secondaria la formazione del trombo.
La perdita dell'integrità dell'endotelio è la condizione per la quale le piastrine acquistano la facoltà di legarsi ad esso e quindi aggregarsi. Le piastrine sono infatti attivate dal col-lagene presente nella membrana basale. Le cellule endoteliali secernono inoltre il fattore di Von Willebrand (vWF), che è fondamentale per l'adesione delle piastrine al collagene esposto, ed altre molecole di adesione come la P-selectina, le molecole di adesione in-tercellulare (ICAM) e le molecole di adesione piastrine-endotelio (PECAM).
I fibroblasti e le cellule della muscolatura liscia rilasciano fattore tissutale (TF) che atti-va il fattore VII della coagulazione.
Per evitare una emostasi incontrollata, il sistema vascolare è, come detto, dotato di po-tenti proprietà anticoagulanti. Una di queste è la trombomodulina, capace di inibire la coagulazione, che promuove l'attivazione della proteina C e dell'eparan-solfato (HS), il quale attiva l'antitrombina III (AT-III) che accelera l'inibizione della trombina.
Infine, le cellule endoteliali secernono anche l'inibitore della via del fattore tissutale (TFPI), che blocca il fattore VIIa, il complesso VIIa (FVIIa)-TF/fattore Xa (Fxa) e l'annessina V, che previene il legame dei fattori della coagulazione.10
Nel meccanismo di coagulazione vengono riconosciuti tre stadi essenziali. (1) In seguito alla rottura di un vaso, vengono attivati una serie di fattori procoagulanti. Questo porta, infine, alla formazione di un gruppo di sostanze attivate, note come attivatore della
pro-trombina. (2) Questi fattori catalizzano la conversione della protrombina in trombina
che (3) andrà ad agire enzimaticamente sul fibrinogeno trasformandolo in filamenti di
fibrina. Su questi filamenti andranno a restare intrappolate piastrine, cellule ematiche e
plasma, venendosi così a formare il coagulo. In tutto questo processo, il fattore che limi-ta il processo di coagulazione è, di solito, la formazione dell'attivatore della protrombi-na (oltre che un'adeguata quantità di Ca++ ionico).
Le piastrine possono accelerare il processo di conversione della protrombina in trombi-na tramite il legame della protrombitrombi-na a siti specifici sulla superficie delle piastrine
10 Henry O. Ogedegbe, An Overview of Hemostasis, Laboratorymedicine, december 2002, number 12, volume 33
stesse.
Una volta che il coagulo si è formato, questo tende ad estendersi al sangue circostante, dando inizio ad un feedback positivo. Ciò è possibile perché l'azione proteolitica della trombina si esplica, oltre che sul fibrinogeno, anche su altri fattori della coagulazione. Il coagulo può quindi continuare a crescere finché non sopraggiunga qualche evento capa-ce di interrompere il fenomeno.
Nello specifico, nel meccanismo che porta alla formazione dell'attivatore della protrom-bina possiamo individuare due vie: la via estrinseca e la via intrinseca.
La via estrinseca si avvia quando la parete vasale o i tessuti extravasali subiscono un danno ed è caratterizzata dalle seguenti fasi:
1. Liberazione del fattore tessutale
2. Il fattore tessutale, con il fattore VII e in presenza di ioni calcio, attiva il fattore X, formando il fattore Xa (attivato)
3. Il fattore Xa, in presenza di fosfolipidi e di fattore V, forma un complesso deno-minato attivatore protrombinico. Questo scinde la protrombina in trombina. La via intrinseca invece si avvia quando si venisse a realizzare un danno sul sangue stesso o con l'esposizione del sangue al collagene di una parete vasale traumatizzata. La via intrinseca consta delle seguenti fasi:
1. Attivazione del fattore XII e conseguente liberazione di fosfolipidi. Il fattore XII al contatto con collagene o con altra superficie bagnabile altera la sua conforma-zione e si attiva. Anche le piastrine cambiano la loro conformaconforma-zione per le stesse ragioni e liberano fosfolipidi (tra cui il fattore piastrinico III)
2. Il fattore XIIa attiva enzimaticamente il fattore XI 3. Il fattore XIa attiva il fattore IX
4. Il fattore IXa, insieme con il fattore VIII, i fosfolipidi e il fattore III, attiva il fat-tore X. La carenza di fatfat-tore VIII è la causa dell'emofilia classica e viene detto pertanto fattore antiemofilico.
5. Da ultimo, il fattore Xa si unisce al fattore V ed ai fosfolipidi formando un com-plesso, noto come attivatore della protrombina
Ovviamente le due vie non sono totalmente separate, infatti in caso di danno vasale la coagulazione inizia seguendo entrambe le vie (Figura 1).
Una differenza importante tra il meccanismo intrinseco e quello estrinseco è quest'ulti-mo ha un carattere esplosivo; infatti una volta avviato, al velocità di evoluzione è
limita-ta esclusivamente dalla quantità di tromboplastina tissulimita-tale disponibile e dai fattori X, VII e V. Questo meccanismo è in grado di avviare la coagulazione in 15 secondi, mentre invece quello intrinseco necessita da 1 a 6 minuti11.
Per quanto riguarda i meccanismi neurovegetativi di risposta all'emorragia, si può sinte-tizzare dicendo che lo scopo finale di questi meccanismi è mantenere, per quanto possi-bile, la pressione media di riempimento del letto circolatorio ed assicurare un adeguato ritorno venoso al cuore.
Il mancato raggiungimento di questi obiettivi comporta la riduzione della gittata cardia-ca ed, infine, l'instaurarsi dello shock. E' ovvio che l'entità dello shock che ne risulterà sarà dipendente dalla quantità di sangue perso.
L'organismo è in grado di fronteggiare la perdita di un certo volume di sangue senza che
11 Guyton, Hall, op. cit., pp.433-435
Figura 1: le due vie della coagulazione e le loro interazioni.
Tratto da Henry O. Ogedegbe: An Overview of Hemostasis. Laboratorymedicine, decem-ber 2002, numdecem-ber 12, volume 33
questo comporti la riduzione della gittata cardiaca e della pressione arteriosa; questa quota di volume ammonta a circa il 10% del volume ematico totale. Per valori superiori, la pressione e la gittata cardiaca progressivamente si riducono, finché cadono entrambi a zero per valori superiori al 35%-45%.
La deplezione del volume ematico attiva, in prima istanza, i barocettori e i recettori di stiramento dei vasi a bassa pressione. La risposta simpatica che ne deriva porterà a: (1) costrizione della quasi totalità delle arteriole, (2) costrizione delle vene, meccanismo che aiuta a mantenere un adeguato ritorno venoso al cuore, (3) spiccato aumento dell'attività cardiaca; si possono avere frequenze di 170-200 battiti per minuto.
L'importanza di questi meccanismi è dimostrata dal fatto che, in loro assenza, un indivi-duo può sopportare una deplezione del volume ematico del 15-20% per non più di 30 minuti, mentre grazie a questi riflessi, si può giungere fino al 30-40%.
Quando la pressione arteriosa scende al di sotto di 50 mmHg, entrano in gioco meccani-smi mediati dal sistema nervoso centrale, che possiamo considerare come il tentativo estremo di sopravvivenza. La risposta simpatica non ha grande influenza sulla costrizio-ne dei vasi cardiaci e cerebrali, infatti il loro calibro viecostrizio-ne per lo più conservato per va-lori pressori superiori a 70 mmHg, ma quando interviene quest'ultimo meccanismo, an-che a livello di questi distretti la perfusione ne risente fortemente.
Lo shock può essere risolto e il paziente può andare incontro a recupero, ma solo se il volume perso non va oltre un certo limite. Una perdita troppo marcata può infatti rende-re impossibile il rende-recupero, nonostante un ripristino del volume circolante. Si può quindi parlare di shock non progressivo – o compensato – e shock progressivo – o
scompensa-to.
Il recupero di un individuo da uno shock non grave, è reso possibile da una serie di mec-canismi a feedback negativo: (1) i riflessi barocettivi, di cui sopra, (2) la risposta ische-mica del sistema nervoso centrale, di cui sopra, (3) lo stress-rilasciamento inverso del sistema circolatorio, che adegua il calibro dei vasi al volume circolante, (4) la sintesi di
angiotensina, potente vasocostrittore delle arterie periferiche e stimolatore della
riten-zione idrica e di sali, (5) la sintesi di vasopressina, potente antidiuretico, con meccani-smo simile a quello dell'angiotensina, (6) tutta una serie di meccanismi regolatori, come l'elevato assorbimento di acqua dal contenuto intestinale, dagli interstizi, l'aumento della sete e dell'appetito per il sale.
I riflessi simpatici sono quelli che intervengono immediatamente, venendo attivati entro 30 secondi dall'inizio dell'emorragia; la sintesi degli ormoni antidiuretici e i meccanismi
di risposta vasale sono quelli che intervengono in seconda istanza, richiedendo da 10 minuti ad 1 ora per l'attivazione. Infine, i meccanismi di riassorbimento dei liquidi ri-chiedono da qualche ora ad un paio di giorni.
Se questi meccanismi riescono ad attivarsi senza che lo shock si sia aggravato, il pazien-te può andare incontro a recupero.
Falliti i meccanismi fin qui descritti, lo shock diventa scompensato ed entrano in gioco tutta una serie di feedback positivi che formeranno un circolo vizioso di deterioramento cardiovascolare che porteranno il paziente a morte.
Quando la pressione arteriosa scende ad un livello molto basso, il flusso coronarico di-viene deficitario rispetto alle esigenze del cuore. Ciò causa un indebolimento del cuore con riduzione della gittata, ma questo non fa che aggravare ancora di più il deficit di perfusione coronarica, portando ad un ulteriore indebolimento del cuore.
Altro fattore importante nel progressivo deterioramento cardiovascolare è la progressiva desensibilizzazione del centro vasomotore. Se questo è il principale responsabile dell'attivazione dei meccanismi simpatici nei primi istanti dello shock, quando il centro vasomotore non viene più adeguatamente perfuso cessa progressivamente di funzionare e il sistema simpatico non viene più adeguatamente stimolato.
A tutto ciò si aggiungono l'aumento della viscosità del sangue nel microcircolo, l'aumento della permeabilità capillare e la probabile liberazione di tossine dai tessuti ischemici.
La stasi, ma anche un marcato rallentamento del flusso sanguigno nel microcircolo, por-ta ad un locale aumento dell'acidità ematica. I prodotti del mepor-tabolismo non vengono portati via, così come non giunge abbastanza ossigeno, ed essendo questi prodotti acidi (acido carbonico, acido lattico) l'abbassamento del pH fa agglutinare le cellule del san-gue, ostacolando ancora di più il flusso. Con il passare del tempo l'ipossia tissutale porta ad un aumento della permeabilità capillare, con spostamento di fluidi nell'interstizio e conseguente riduzione del volume circolante.
Man mano che lo shock si aggrava, tutti gli organi inizieranno a soffrire, ma più di tutti il fegato, insieme con i polmoni (che alla fine svilupperanno edema ed ARDS) ed il cuo-re, ovviamente, come precedentemente detto. Anche i reni cesseranno di funzionacuo-re, portando ad insufficienza renale ed uremia.
In uno shock di tale gravità, anche le trasfusioni non sono in grado di salvare il paziente. Nonostante una trasfusione possa riportare i valori pressori entro la normalità, presto la funzione circolatoria riprende a deteriorarsi e successive trasfusioni sortiranno effetti
sempre più modesti. In queste condizioni, il paziente è destinato a morire in poco tem-po.
Si è ipotizzato che questo inarrestabile declino sia dovuto alla deplezione dei composti fosfati ad alta energia, una deplezione così importante che le basilari funzioni di pompa della membrana cellulare siano tanto compromesse da non consentire l'internalizzazione dei precursori di questi composti per la sintesi di nuove molecole energetiche12.
1.2. Coagulopatia indotta da trauma
Volgendo lo sguardo più nello specifico ai pazienti politraumatizzati, non si può non prestare fondamentale attenzione all'aspetto della coagulopatia, che in questo contesto prende appunto il nome di TIC (trauma-induced coagulopathy). Questa può essere causa di risanguinamento in un paziente già andato incontro ad emorragia, ma anche di una difficoltosa gestione del sanguinamento attivo.
La TIC si sviluppa in presenza di ipoperfusione tissutale da emorragia e grave danno anatomico. Le condizioni fisiologiche nelle quali la TIC si sviluppa è una complessa combinazione di infiammazione, anticoagulazione e disfunzioni cellulari dalla diversa eziologia. La bilancia emostatica inoltre può variare molto rapidamente dall'anticoagu-lazione ad uno stato di ipercoagulabilità nel giro di ore o giorni. L'anticoagudall'anticoagu-lazione è però la principale componente della TIC. Anche l'eparinizzazione endogena potrebbe contribuire: è stato dimostrata infatti la possibilità di invertire la tendenza all'anticoagu-lazione, tramite l'eparinasi in sangue intero, nel tracciato tromboelastografico.
La correlazione tra TIC, grave danno anatomico e ipoperfusione, è probabilmente dovu-ta ad un effetto sinergico dei materiali rilasciati in circolo dalle cellule danneggiate. Una elevata concentrazione di istoni, ad esempio, è stata ritenuta una delle possibili cause, essendo stata rilevata da Kutcher et al in pazienti con test di coagulazione anormali, ele-vati marker di fibrinolisi ed eleele-vati livelli di proteina C attivata.
Sembrerebbe inoltre che siano coinvolti anche i fattori neurormonali e l'attivazione dell'endotelio in risposta all'emorragia acuta. Johansson et al infatti hanno rilevato che nei pazienti non sopravviventi vi fossero alti livelli di adrenalina circolante, e ciò è asso-ciato in modo indipendente a mortalità, disfunzioni della coagulazione e marker di dan-no endoteliale.
Inizialmente la TIC venne descritta da Brohi et al come un aumento dell'INR misurato, all'arrivo in pronto soccorso, in pazienti gravemente traumatizzati. Anche l'aPTT risultò
essere elevata nello stesso tipo di pazienti. Per tale ragione si ipotizzò che questi due pa-rametri di laboratorio non fossero influenzati dalle manovre di rianimazione e dall'infu-sione di fluidi. Infatti è stato dimostrato che la TIC fosse già presente in questi pazienti ben prima dell'inizio del trattamento13.
La TIC è inoltre associata a mortalità precoce e tardiva e all'aumentata incidenza di dan-no polmonare acuto, insufficienza multiorgadan-no e infezioni. Tutto ciò ovviamente si ri-percuote in un aumento del numero di giorni di ventilazione meccanica ed in un allun-gamento del tempo di degenza del paziente (LOS).
Sono molti i meccanismi patologici che contribuiscono alla coagulopatia indotta da trauma ed ognuno di questi meccanismi può diventare quello predominante durante le diverse fasi del decorso clinico. Nonostante ciò, i sottostanti processi patologici riman-gono tuttora non chiariti, anche se alcuni studi suggeriscono un importante ruolo della proteina C, e in quest'ottica si potrebbe interpretare la coagulopatia indotta da trauma come una risposta maladattativa ad un trauma grave14. Brohi et al. ha riscontrato aumen-tati livelli di trombomodulina circolante che si correla con diminuiti livelli di proteina C, probabilmente a causa della sua attivazione da parte della trombina legata alla trom-bomodulina. Peraltro questo particolare pattern anticoagulante è presente soltanto in quei pazienti che presentino sia il danno anatomico che l'ipoperfusione. Le proprietà an-ticoagulanti della proteina C attivata (aPC) derivano dalla degradazione che essa opera a carico dei fattori V e VIII, diminuendone quindi la concentrazione e, conseguentemente, l'attività.
Modelli umani e sperimentali indicano che la concentrazione del fibrinogeno sia la pri-ma a diminuire, mentre altri fattori procoagulanti non sembrano essere così interessati quanto il fibrinogeno.
Studi murini hanno dimostrato che le proprietà anticoagulanti della aPC possono media-re l'incmedia-remento dell'aPTT nel caso della combinazione di shock emorragico e danno tis-sutale.
Il consumo del fibrinogeno è un altro caposaldo nella patogenesi della TIC. Come dimo-strato da Rourke et al, bassi livelli di fibrinogeno all'ammissione ospedaliera sono asso-ciati indipendentemente alla gravità del danno anatomico, shock e volume di fluidi som-ministrati.
Nonostante le linee guida dell'Advanced Trauma Life Support raccomandino un
tratta-13 Nathan J. White, Mechanisms of trauma-induced coagulopaty, Hematology 20tratta-13
mento aggressivo a base di cristalloidi, è stato dimostrato in diversi studi che questo ap-proccio causi acidosi, formazione di edema interstiziale con imbibizione dei tessuti, dif-ficoltà alla microcircolazione ed infine una compromissione dell'ossigenazione.
L'acidosi e l'ipotermia sono classicamente considerate i meccanismi centrali dello svi-luppo della coagulopatia.
L'ipotermia sembra indurre un disfunzione delle piastrine e dei fattori della coagulazio-ne, soprattutto ad una temperatura corporea inferiore ai 35°C. Inoltre indurrebbe la fibri-nolisi.
L'acidosi contribuisce alla coagulopatia causando anch'essa una riduzione dell'attività dei fattori della coagulazione, soprattutto per valori di pH<7.2, quindi in caso di acidosi grave. Inoltre la formazione di trombina viene ad essere ostacolata e la degradazione del fibrinogeno aumentata.
Da sottolineare che la correzione dell'acidemia, da sola, non ripristina la normale fun-zionalità enzimatica.
Per quanto riguarda le piastrine, nonostante il loro ruolo nella coagulazione, non si è an-cora riusciti a quantificare il contributo che una loro disfunzione può dare all'instaurarsi della coagulopatia. Nelle fasi iniziali del trauma, infatti, la conta piastrinica rimane pres-soché inalterata, ma alcune evidenze ne suggeriscono sostanziali disfunzioni in alcuni stati di coagulopatia indotta da trauma15, per cui si ritiene che la loro diluizione o consu-mo non contribuisca in consu-modo rilevante nelle fasi precoci della TIC. Tuttavia una dimi-nuzione della conta piastrinica è un grande predittore di mortalità nei pazienti traumatiz-zati. E' stato inoltre rilevato, tramite tecniche tromboelastomeriche, che il contributo piastrinico alla forza del coagulo è significativamente diminuita nei pazienti che non sopravvivono16.
Paradossalmente, anche una spiccata tendenza alla coagulazione può esitare in un au-mento del sanguinaau-mento: è il caso della coagulazione intravasale disseminata (CID) caratterizzata da una attivazione massiva e sistemica dei meccanismi della coagulazio-ne, che porta alla formazione di trombi di fibrina e ad una coagulopatia da consumo. I trombi sono responsabili di insufficienza multiorgano (da ischemia trombotica), mentre la coagulopatia da consumo di sanguinamenti clinici. La CID non fa parte della
coagu-lopatia precoce secondaria a trauma descritta da Brohi et al., ma può instaurarsi
succes-15 Russell et al., op. cit. 16 Nathan J. White, op. cit.
sivamente durante il decorso.
Anche il microcircolo ricopre un suo ruolo, dimostrato tramite la microscopia in vivo. L'emorragia e la successiva rianimazione inducono nei tessuti i cambiamenti cellulari ti-pici dell'ischemia; si viene quindi a realizzare un danno da riperfusione, per la formazio-ni di specie reattive dell'ossigeno, attivazione dell'infiammazione e conseguente morte delle cellule per apoptosi.
L'esagerata e disfunzionale risposta infiammatoria che si viene ad instaurare, potrebbe essere la causa dei danni secondari ad insufficienza multiorgano.
A questa risposta infiammatoria segue una forte riposta antinfiammatoria, presumibil-mente consequenziale, che porta però ad immunosoppressione ed al conseguente au-mentato rischio di infezioni nosocomiali17.
Capitolo 2
Il tromboelastogramma
La tromboelastografia non è un'invenzione recente. Essa è infatti nata durante la secon-da guerra mondiale, in Germania, ad Heidelberg, ad opera di tale Harter. Inizialmente questa metodica fu creata con propositi di ricerca, e si saranno dovuti attendere ben 25 anni prima che fosse trovato un impiego clinico, nel trapianto di fegato (a Pittsburgh, USA) e, successivamente, nella chirurgia cardiaca.
Oggigiorno l'impiego della tromboelastografia si sta spostando verso la gestione del sanguinamento acuto poiché, per le caratteristiche del test, può dare informazioni sulla funzionalità piastrinica e sulla fibrinolisi.
La tromboelastografia offre dei vantaggi teorici rispetto ai test standard di laboratorio, ad esempio il fatto che il test può essere eseguito “vicino al paziente” e che i primi risul-tati sono disponibili entro 30 minuti circa. Inoltre è in grado di fornire un quadro della situazione generale della coagulazione nel paziente in analisi e per tale ragione può
gui-Figura 2: tracciato TEG® di esempio.Tratto da: Nina Salooja and David J. Perry:
dare la somministrazione degli emoderivati.
La tromboelastografia fornisce una rappresentazione grafica (Figura 2) della formazione del trombo e della successiva lisi (tromboelastogramma). Il suo principio di funziona-mento è molto semplice: una piccola quantità di sangue intero (0.35 ml) viene posta in una coppetta riscaldata a 37°C. Questa coppetta oscilla di 4° 45' in entrambe le direzioni ogni 4,5 s. All'interno di queste coppette (Figura 3) è sospeso uno “spillo”, collegato ad un trasduttore di torsione, che poi riporterà i dati a schermo (o su carta).
All'inizio del test, quando non c'è coagulo, lo spillo ha piena libertà di muoversi all'interno della coppetta. Man mano che il coagulo si forma, lo spillo incontrerà resi-stenza crescente, oscillando consensualmente alla coppetta. Questa oscillazione, è l'ele-mento che ci fornisce i dati di cui abbiamo bisogno.
I parametri routinariamente misurati sono quattro:
1. Tempo K, è il tempo necessario affinché il tracciato raggiunga l'ampiezza, deci-sa arbitrariamente, di 20 mm.
2. Tempo R (tempo di reazione), è la latenza tra il riempimento della coppetta e l'inizio della formazione del coagulo. Viene rilevato quando l'ampiezza del trac-ciato del TEG® raggiunge i 2 mm.
3. Angolo
α
, è determinato da una retta passante per R e K4. Ampiezza massima (MA), è la maggior ampiezza verticale nel tracciato del TEG®
Ci sono poi due indicatori di lisi del coagulo, che sono A60 e LY30. Il primo indica, in percentuale, la riduzione di ampiezza di MA dopo 60 minuti dal suo raggiungimento; il secondo dopo 30 minuti.
In sintesi, i parametri R, K e
α
rappresentano i fattori coinvolti nell'attivazione da con-tatto e la formazione di fibrina, quindi la funzionalità dei fattori della coagulazione pla-smatici, i loro inibitori e le piastrine.Il parametro MA invece rappresenta la forza del coagulo18.
18 Nina Salooja, David J. Perry, Thromboelastography, Blood Coagulation and Fibrinolysis 2001,
12:327-337
Figura 3: La coppetta a sinistra non è pretrattata, quella a destra è pretrattata con eparinasi
In aggiunta si può citare il parametro CI, calcolato tramite una formula matematica de-terminata dal produttore, che integra i suddetti parametri, rappresentando una sintesi della condizione coagulativa del paziente (normo, iper o ipocoagulabilità).
I valori per ognuno dei parametri sopra elencati possono essere comparati ai valori noti di tutta una serie di condizioni. Ad esempio i fattori che causano un allungamento del tempo R includono la carenza di produzione dei fattori della coagulazione o una loro di-sfunzione qualitativa, ma anche la presenza di eparina. Una riduzione di MA invece ri-flette una disfunzione piastrinica, o trombocitopenia, o anche una ipofibrinogenemia. Ovviamente, le alterazioni in senso opposto sono suggestive di uno stato di ipercoagula-bilità.
L'uso del TEG® è consolidato per adesso solo in alcuni ambiti specifici, quali ad esem-pio il trapianto di fegato, il bypass cardio-polmonare (CPB) ed in ambito ostetrico. Nel trapianto di fegato il TEG® riesce a ridurre la necessità di trasfusioni ed a stabilire la giusta quantità di piastrine e fattori della coagulazione da trasfondere.
Nel bypass cardio-polmonare il TEG® consente di monitorare lo stato della coagulazio-ne nonostante i livelli di eparina utilizzati siano tali da eccedere le capacità dell'aPTT di fare lo stesso.
In ostetricia il TEG® trova impiego nel predire il rischio di morbidità conseguente al collocamento del catetere epidurale. Inoltre il TEG® consente di distinguere uno stato fi-siologico di ipercoagulabilità gravidica da una pre-eclampsia ed una sindrome HELP. Il TEG® potrebbe anche ricoprire un importante ruolo clinico nell'emorragia post
par-tum, aiutando i clinici ad individuare e correggere i relativi deficit.
Oltre a questi ambiti, l'uso del TEG® si è andato diffondendo, in questi anni, anche in
cardiologia, in neonatologia e pediatria, ed in traumatologia. L'uso del TEG® qui non è così consolidato come negli ambiti elencati precedentemente, ma si ritiene che la trom-boelastografia possa avere anche qui un ruolo di primo piano.
In cardiologia, ad esempio, il TEG® trova impiego nel monitoraggio delle terapie anti-trombotiche, siano esse anti-GP IIb/IIIa o aspirina, specialmente in quei pazienti “non-responders” alle terapie anticoagulanti.
In neonatologia e pediatria il TEG® non ha ancora un ruolo ben definito, ed è tuttora in fase di studio. Viene usato sia per determinare eventuali coagulopatie, specie nei casi di CPB, che per individuare precocemente le sepsi.
Ma è nella gestione del trauma e della coagulopatia traumatica acuta (ATC) che il TEG® sembra essere molto promettente. Per la sua caratteristica di usare sangue intero, il TEG® può consentire di individuare rapidamente quei pazienti che necessitano di trasfu-sioni e guidarne la somministrazione19.
Nonostante le promettenti prospettive nell'impiego del TEG®, è importante tenere pre-sente che la tromboelastografia non è da considerarsi un sostituto dei test di laboratorio convenzionali, quali INR e aPTT; piuttosto fornisce informazioni aggiuntive.
Certamente i dati più importanti che il TEG® può fornirci sono la forza di aggregazione, parametro MA (che si è visto essere direttamente collegato alla conta logaritmica delle piastrine), e la fibrinolisi, che è un forte elemento predittivo della prognosi nelle prime 24 ore dal trauma. Il TEG® può così dirci se il sanguinamento sia dovuto ad una coagu-lopatia oppure no. Tra l'altro uno studio ha riportato che meno della metà dei pazienti con grave sanguinamento diventino coagulopatici, dimostrando così che sanguinamento e coagulopatia non vanno necessariamente di pari passo. Questa è prova ulteriore che la somministrazione indiscriminata di plasma e piastrine a tutti i pazienti emorragici non sia sempre appropriata.
Il TEG®, per le sue caratteristiche può essere considerato un test ideale da usare nella rianimazione precoce, ma le sue limitazioni lo rendono attualmente un test addizionale. Sono stati effettuati diversi studi per ricercare l'eventuale correlazione dei parametri del TEG® con i test di laboratorio tradizionali; in uno di questi si è visto che ACT, tempo R e tempo K sono fortemente correlati con PT, INR e aPTT, mentre l'angolo
α
con la con-ta piastrinica. Alcuni studi hanno inoltre dimostrato una più stretcon-ta correlazione dei sud-detti parametri nel caso dell'impiego del ROTEM® piuttosto che del TEG®.La validità dei risultati dei test effettuati tramite TEG® può essere inficiata da diversi fattori, primo fra tutti l'esecuzione degli stessi test da personale non addestrato. Inoltre i risultati dei test possono variare in base alla tecnica usata per il campione, se ad esempio viene usato un attivatore (quale ad esempio il kaolino) oppure no, tant'è vero che ormai si tende ad utilizzare sempre un attivatore per standardizzare.
Le citate limitazioni, aggiunte ai risultati di alcuni studi che indicano che il TEG® po-trebbe non essere più veloce dei test standard di laboratorio, non gli hanno ancora con-sentito di entrare a pieno titolo negli algoritmi diagnostici dei pazienti emorragici20.
Capitolo 3
Terapia attuale del paziente emorragico traumatizzato
Nel corso degli anni, le varie scoperte in merito alla fisiologia della coagulopatia post-traumatica, le evidenze cliniche e le innovazioni tecnologiche (es. la tromboelastografia) hanno consentito un approccio sempre migliore e più accurato al paziente emorragico politraumatizzato e l'affinarsi delle procedure terapeutiche.
Attualmente, il protocollo applicato per il trattamento delle emorragie massive e della coagulopatia conseguenti a trauma grave è quello descritto nelle linee guida Europee21. Tali linee guida sono costituite da trentasette raccomandazioni, che coprono tutti i vari aspetti del trattamento del paziente emorragico: dalle fasi immediatamente successive al trauma fino al monitoraggio del paziente dopo aver raggiunto la stabilità emodinamica, e la conseguente attenzione ai rischi di risanguinamento e di trombosi.
E' ovvio che l'accorgimento principale sia quello di ridurre al minimo l'intervallo di tem-po tra il trauma e il raggiungimento della stabilità emodinamica, particolarmente in quei pazienti che richiedano un controllo chirurgico dell'emorragia. Si parla quindi di Dama-ge Control, diviso in DamaDama-ge Control SurDama-gery (DCS), DamaDama-ge Control Radiology, e Damage Control Resuscitation (DCR).
La DCS ha come concetto fondamentale “Stop the bleeding”, cioè fermare l'emorragia tramite procedure non definitive. Gli interventi definitivi verranno poi effettuati quando le condizioni del paziente saranno più stabili.
I pazienti candidati alla DCS vanno però scelti con attenzione; le principali indicazioni alla conversione chirurgica in favore di una DCS sono: emorragia massiva richiedente trasfusioni (più di 10 sacche di sangue), grave acidosi metabolica (pH<7.30), ipotermia (temperatura corporea inferiore a 35°C), tempo operativo superiore a 90 minuti, coagu-lopatia, lattati superiori a 5 mmol/litro22, ricordando che vanno tenute in considerazione anche le modalità e le circostanze del trauma stesso, come ad esempio la quantità di san-gue perso visibile sul luogo dell'incidente (Figura 5), perché ciò può aiutare a fornire una valutazione iniziale, sebbene poco accurata, sulla gravità del trauma.
La Damage Control Radiology prevede invece l'esecuzione di test di base (Rx torace, Ecofast, Rx bacino) a tutti i pazienti con trauma maggiore, benché instabili e ad
effet-21 Spahn et al., Management of bleeding and coagulopathy following major trauma: an updated Euro-pean guideline, Critical Care, 17:R76
22 C. M. Lamb et al., Damage control surgery in the era of damage control resuscitation, British Journal of Anaesthesia 113 (2): 242–9 (2014)
tuare le indagini più approfondite (come la TAC total body) soltanto ai pazienti stabili.
L'ecografia è particolarmente utile per individuare la presenza di fluidi liberi nei pazien-ti con sospetto di trauma al tronco. Il rilievo di grandi quanpazien-tità di fluidi liberi ed instabi-lità emodinamica rendono il paziente candidato all'intervento d'urgenza.
La stabilizzazione di eventuali fratture pelviche è fondamentale, poiché i sanguinamenti che da li derivano sono causa di molti decessi23.
La Damage Control Resuscitation, che è quella che interessa più da vicino l'anestesista rianimatore, si basa su due concetti fondamentali:
• ipotensione permissiva
• somministrazione di fluidi ed emocomponenti
E' comprovato che, specie nelle prime fasi, una infusione massiva di fluidi, volta a ripri-stinare una normale pressione arteriosa, non da' beneficio al paziente, per cui ormai ci si basa sul concetto di “ipotensione permissiva”, cioè raggiungere un target di 80-90 mmHg finché non si sia arrestata la principale fonte di sanguinamento. Nei casi di trau-matismi cerebrali è tassativo mantenere la pressione arteriosa al di sopra di 80 mmHg. L'ipotensione permissiva è indicata comunque solo per brevi periodi24.
La scelta di quali e quanti fluidi o emocomponenti somministrare per il rimpiazzo vole-mico è ancora oggetto di acceso dibattito. Recentemente si è visto che il rapporto tra
23 Spahn et al., op. cit. 24 Spahn et al., op. cit.
Figura 5: classificazione ATLS dell'emorragia, basta sulla presentazione iniziale del paziente.
Tratto da Spahn et al., Management of bleeding and coagulopathy following major trauma: an updated European guideline, Critical Care, 17:R76
quantità di plasma o piastrine somministrate e la quantità di sangue può fare la differen-za nella prognosi. Nelle prime 6 ore, i pazienti trasfusi con un rapporto minore di 1:2, mostravano una mortalità superiore di 3-4 volte rispetto ai pazienti con rapporto supe-riore o uguale a 1:1. Dopo le 24 ore invece, i rapporti di plasma e piastrine si mostrano non associati con la mortalità25.
Certo è però che i pazienti shockati, quelli che rientrano cioè nelle classi III e IV dell'ATLS (Figura 3), hanno necessità di essere trasfusi sin da subito sia con cristalloidi che con sangue. La somministrazione di cristalloidi va iniziata immediatamente nel pa-ziente emorragico ipoteso, ma bisogna evitare la somministrazione di sostanze ipotoni-che (come il ringer lattato) nei pazienti con grave trauma cranico. In tali casi, alcuni stu-di riportano che le soluzioni ipertoniche si siano stu-dimostrate più efficaci del destrano/mannitolo, quando paragonate in dosi equimolari. Le soluzioni ipertoniche si sono rivelate essere utili anche nei traumi penetranti del tronco.
Agenti vasopressori quali la noradrenalina sono d'aiuto nel mantenere la pressione arte-riosa target in quei pazienti non rispondenti all'infusione di fluidi. In presenza di disfun-zione del miocardio è preferibile trattare il paziente con agenti inotropici quali dobuta-mina o adrenalina26.
In mera sintesi, la DCR ha come scopo prevenire l'instaurarsi della triade letale27.
Oltre agli emocomponenti ed ai fluidi, la somministrazione di acido tranexamico è fon-damentale e va somministrato prima possibile, comunque entro 3 ore, perché sia effica-ce28.
Tornando alle Linee Guida Europee, un'altra importante raccomandazione riguarda la ventilazione. Spesso è uso iperventilare il paziente nelle prime fasi del trattamento, ma si è visto che ciò non è utile, se non addirittura dannoso. Per tale ragione è consigliata una PaCO2 target compresa tra 5.0 e 5.5 kPa. Nei pazienti in cui è possibile sospettare una imminente erniazione cerebrale, invece, l'iperventilazione può essere di giovamen-to. Nei pazienti con danno polmonare acuto è consigliata una precoce ventilazione pro-tettiva con basso volume tidalico (<6 ml/kg) e una moderata PEEP.
Dal punto di vista laboratoristico, importantissimi parametri da monitorare sono i livelli
25 John B. Holcomb et al., The Prospective, Observational, Multicenter, Major Trauma Transfusion (PROMMT) Study: Comparative Effectiveness of a Time-varying Treatment with Competing Risks, JAMA Surg. February, 148(2): 127-136 (2013)
26 Spahn et al., op. cit. 27 C. M. Lamb et al., op. cit.
28 Roberts I. et al., The CRASH-2 trial: a randomised controlled trial and economic evaluation of the ef-fects of tranexamic acid on death, vascular occlusive events and transfusion requirement in bleeding trauma patients, Health Technol Assess. 2013 Mar;17(10):1-79
sierici di lattati e/o il deficit di basi. I lattati sono indicatori indiretti dell'ossigenazione dei tessuti e sono i principali indicatori prognostici per le prime 48h. In presenza di con-sumo di alcool, però, i livelli di lattati potrebbero essere mendaci dacché l'alcool stesso è uno dei fattori che portano al loro aumento. In tali casi si preferisce usare come indica-tore prognostico il deficit di basi.
Altri parametri da monitorare sono quelli che riguardano il sistema della coagulazione: PT, a PTT, fibrinogeno e piastrine. In questo contesto può essere d'aiuto il ricorso a me-todiche viscoelastiche quali la tromboelastografia, ad esempio può guidare la sommini-strazione di fibrinogeno identificandone eventuali deficit.
Ematocrito, emoglobina e ione calcio sono altri parametri da monitorare. Nello specifi-co, tra gli elettroliti il calcio è quello che risente maggiormente delle trasfusioni, per via del citrato (che è un chelante del calcio) usato come anticoagulante. L'ipocalcemia va di pari passo con l'infusione di plasma fresco congelato (FFP) e di colloidi. Nonostante ciò, l'infusione di FFP (o di fibrinogeno) rimane il presidio più opportuno nei pazienti con emorragia massiva.
La somministrazione di piastrine è suggerita in quei pazienti che abbiano avuto sangui-namenti di una certa importanza o emorragia intracranica, trattati con agenti antipiastri-nici.
Il fattore VII attivato ricombinante può essere utile nei sanguinamenti persistenti, nono-stante l'applicazione di tutte le pratiche comprovate, eccetto che nei casi di emorragia intracerebrale da trauma cranico isolato.
Da ultimo, per prevenire le trombosi, e nello specifico l'embolia polmonare – causa di un terzo dei decessi nei pazienti sopravvissuti oltre la terza giornata – è consigliato l'uso di calze elastiche e/o la compressione pneumatica intermittente (IPC)29.
Quando infine venisse ripristinata l'emostasi, le procedure successive dovrebbero mirare al completo ripristino della stabilità del macro e microcircolo, nonché della funzionalità degli organi.
Gli obiettivi basilari sono rappresentati da una pressione sistolica superiore a 100 mmHg, una frequenza cardiaca inferiore a 100 bpm, normale volume di escrezione uri-naria, normalizzazione del pH. Naturalmente questi obiettivi possono essere modificati ed adattati allo specifico paziente, caso per caso30.
29 Spahn et al., op. cit.
30 Roger F Shere-Wolfe et al., Critical care considerations in the management of the trauma patient fol-lowing initial resuscitation, Scandinavian Journal of Trauma, Resuscitation and Emergency Medicine 2012, 20:68
Capitolo 4
Lo studio col TEG
®4.1. Materiali e metodi
La raccolta dei dati per questo studio osservazionale è stata effettuata presso la U.O. Anestesia e Rianimazione 6° di Pronto Soccorso della A.O.U. Pisana dal 15/06/2014 al 15/11/2014.
I pazienti inclusi nello studio, per un totale di 8, sono stati selezionati in quanto politrau-matizzati e politrasfusi che avessero subito trasfusione di almeno 2 sacche di sangue en-tro 48 ore dall'accesso in Pronto Soccorso.
Di ogni paziente sono stati registrati, dal Verbale di Pronto Soccorso, i parametri di: pH, pCO2, pO2, Na+, K+, Cl-, Ca++, Glicemia, Lattati, pressione arteriosa (il valore più basso, in caso di misurazioni multiple), frequenza cardiaca (il valore più alto, in caso di misu-razioni multiple), sPO2, emoglobina e, qualora disponibili, PT, aPTT, INR e aPTT Ratio. Sono state registrate, inoltre, eventuali trasfusioni eseguite in Pronto Soccorso. L'assen-za di apparecchiature per la tromboelastografia in Pronto Soccorso, non ha consentito l'esecuzione di alcun tracciato nei pazienti ivi giunti.
Una volta trasferito il paziente in UTI, la raccolta dati ha rispettato il seguente schema: ogni giorno sono stati registrati pH, pCO2, pO2, Na+, K+, Cl-, Ca++, Glicemia, Lattati, Fi-brinogeno, D-Dimero, eventuali trasfusioni (indicandone tipologia e quantità), terapia anticoagulante, terapia antibiotica e referti di doppler venoso, acquisendoli dai dati disponi-bili in cartella. Tra questi, in caso di multipli rilievi nelle 24 ore, sono stati selezionati i pa-rametri della prima rilevazione della giornata. Inizialmente, per quanto riguarda i tracciati tromboelastografici, era stata prevista l'esecu-zione a giorni alterni. Successivamente però, a raccolta già avviata, la frequenza è stata modi-ficata, per ragione di carente fornitura di rea-genti, nel modo seguente: esecuzione dell'esa-me a giorni alterni per la prima settimana, poi una volta la settimana, a meno di aver riscontrato anomalie sul tracciato stesso. La
colta dei dati di ogni paziente è stata interrotta al momento del trasferimento, dimissione o decesso.
In aggiunta a quanto detto, dei casi ritenuti utili da studiare più approfonditamente, nei quali cioè fossero state rilevate interessanti anomalie tromboelastografiche, sono stati acquisiti per intero i parametri laboratoristici presenti in cartella.
Tutti i pazienti studiati, eccetto uno (che è deceduto), hanno ricevuto terapia anticoagu-lante entro 3 giorni dal ricovero in UTI. L'intervallo tra ricovero ed inizio della terapia non è stato costante, basandosi sulle condizioni del paziente e sulla presenza o meno di trauma cranico.
Per l'esecuzione del tracciato tromboelastografico si è fatto ricorso all'Haemoscope TEG® 5000, in dotazione all'U.O di Anestesia 6° (Figura 6). L'esecuzione di ogni test ha richiesto il prelievo di 1ml di sangue intero, tramite siringa non eparinata, processato immediatamente. Per ogni paziente sono stati eseguiti, ad ogni rilevazione, due tracciati contemporaneamente. In un canale del TEG® è stato usato come reagente di attivazione il Kaolino, nell'altro Kaolino in associazione con Eparinasi. Si dispone inoltre di alcuni tracciati eseguiti dal personale della U.O. ove, al posto dei suddetti reagenti, sono stati usati il Rapid-TEG e/o il Fibrinogeno Funzionale. Il Rapid-TEG è una miscela di kaoli-no e fattore tissutale; consente di avere dei risultati in tempi brevi. Il Fibrikaoli-nogekaoli-no Fun-zionale è composto da fattore tissutale ed inibitore piastrinico (abciximab); permette di eliminare il contributo piastrinico alla MA, consentendo così la visualizzazione del con-tributo del solo fibrinogeno.
Ogni test è stato protratto fino all'automatica interruzione dello stesso da parte del mac-chinario o fino all'ottenimento del parametro LY30.
4.2. Risultati
Degli 8 pazienti osservati, uno è andato incontro a decesso in terza giornata dal ricovero in UTI (paziente 6); due sono stati trasferiti ad altra U.T.I. e lì deceduti (paziente 1 e 7); tre trasferiti ad altra U.T.I. e dimessi vivi (paziente 2, 4 e 8); un paziente trasferito in ria-bilitazione e dimesso vivo (paziente 3); un paziente è stato dimesso vivo (paziente 5). In totale sono stati eseguiti 38 tracciati con kaolino, 36 con kaolino+eparinasi, 2 con fi-brinogeno funzionale, per un totale di 76. Tra i tracciati eseguiti con solo kaolino, sia all'ingresso che durante la degenza, nessun paziente ha avuto un tracciato con tutti i va-lori nel range della normalità.
Quattro pazienti hanno mostrato valori medi di MA31 fuori norma: 2 hanno presentato
infatti un MA al di sopra del limite superiore (73,8mm; 73,9mm; val. norm. 54-72 mm), 2 invece al di sotto del limite inferiore (51,1mm; 49,6mm; val. norm. 54-72 mm), per un MA medio complessivo di tutti i pazienti, di 63,5mm.
Il valor medio del parametro CI32 è stato riscontrato normale soltanto in un paziente
(-2,3; val. norm. -3 – +3), mentre gli altri 7 si presentavano al di sotto della norma, talvol-ta anche spiccatalvol-tamente (-10,7; -4,4; val. norm. -3 – +3). Il valore CI medio è stalvol-tato -6,3. Tra i tracciati eseguiti con kaolino ed eparinasi, 2 pazienti su 7 (del paziente 6, deceduto in terza giornata, non si dispone di tracciati TEG® kaolino+eparinasi) hanno mostrato entrambi i valori medi di MA (71,5mm; 67,6mm; val. norm. 54-72 mm) e di CI (0,7; -1; val. norm. -3 – +3) nella norma. Il valore MA medio complessivo di tutti i pazienti è stato di 76,2mm.
Il valor medio del parametro CI, invece, è rimasto nel range della normalità in tutti i pa-zienti (CI medio = 0,8; val. norm. -3 – +3). I dati, elencati per singolo paziente, sono ri-portati nella Tabella 1.
Volgendo lo sguardo più nello specifico al primo tracciato, cioè il primo eseguito entro 48h dall'accesso in P.S., i tracciati eseguiti con solo kaolino (disponibili solo per 6 pa-zienti su 8) presentavano soltanto 2 MA su 6 nel range della normalità: 60,8mm; 71,6mm (val. norm. 54-72 mm).
Per quanto riguarda CI, 2 tracciati su 6 hanno presentato un valore normale (-1,8; -0,3; val. norm. -3 – +3), negli stessi paziente con MA normale, mentre i restanti 4 hanno
31 Rappresenta la forza del coagulo ed è determinato dai livelli di fibrinogenemia, conta e funzionalità piastrinica.
32 Viene calcolato tramite una formula matematica determinata dal produttore, che integra i parametri del TEG®, rappresentando una sintesi della condizione coagulativa del paziente (normo, iper o
presentato valori tutti al di sotto del range di normalità (-18,7; -10; -3,8; -15,7; val. norm. -3 – +3).
I tracciati eseguiti con kaolino+eparinasi (disponibili soltanto per 6 pazienti su 8) hanno mostrato uno scenario molto diverso.
Su 6 pazienti, due hanno mostrato un valore di MA fuori range (75,4mm; 52,7mm; val. norm. 54-72 mm). Il parametro CI è stato rilevato fuori range in 2 pazienti su 7 (-3,6; -5,7; val. norm. -3 – +3). Nel paziente con CI=-3,6 è stato rilevato anche l'MA anomalo (52,7mm). Dai dati a disposizione, sono stati riscontrati valori anomali sia nel canale solo kaolino, che kaolino+eparinasi, nel solo paziente 7. I valori sopra indicati, sono ri-portati nella Tabella 2.
Tabella 1. Valori medi di MA e CI per singolo paziente, in grassetto i valori anomali (valori normali tra
parentesi) Paziente MA medio kaolino (54-72mm) MA medio kaolino+eparinasi (54-72mm) CI medio kaolino (-3 – +3) CI medio kaolino+eparinasi (-3 – +3) Paziente 1 68,9 76,8 -4,5 2,1 Paziente 2 73,8 79,7 -2,3 1,9 Paziente 3 73,9 71,5 -4,4 0,7 Paziente 4 65 75,4 -10,4 -0,2 Paziente 5 60,3 84,7 -4,4 1,8 Paziente 6 51,1 // -5,25 // Paziente 7 65,4 77,6 -10,7 0,4 Paziente 8 49,6 67,6 -8,2 -1 Valore medio 63,5 76,2 -6,3 0,8
Tabella 2. Valori di MA e CI della prima rilevazione TEG® per singolo paziente, in grassetto i valori
anomali (valori normali tra parentesi)
Paziente MA kaolino (54-72mm) CI kaolino (-3 – +3) MA kaolino+epari-nasi (54-72mm) CI kaolino+epa-rinasi (-3 – +3) Paziente 1 // // 54,5 -5,7 Paziente 2 71,6 -1,8 75,4 1 Paziente 3 n.d. n.d. 54,3 -0,6 Paziente 4 49,4 -15,7 66,2 -1,4 Paziente 5 60,8 -0,3 // // Paziente 6 45,6 -10 // // Paziente 7 47 -18,7 52,7 -3,6 Paziente 8 53,9 -3,8 58,6 -1,9
La Tabella 3 mostra l'andamento medio dei valori di MA e CI nel canale con solo kaoli-no, ordinati per paziente e settimana di degenza; la Tabella 4 mostra i valori medi di MA e CI, nel canale con kaolino+eparinasi.
Tabella 3. Valori medi di MA e CI per settimana di degenza; canale solo kaolino. In grassetto i valori
anomali. Settimana di degenza/Pa-ziente 1 MA CI MA CI2 MA CI3 Paziente 1 74,2 0,5 61,8 -7,9 78 -2,6 Paziente 2 77 -1 69,6 -4 // // Paziente 3 70,1 -8,4 79,4 -2 79,8 5,1 Paziente 4 49,4 -15,7 80,5 -5 // // Paziente 5 60,8 -0,3 59,8 -11,8 // // Paziente 6 51,1 -5,25 // // // // Paziente 7 57,6 -17 70,6 -6,5 // // Paziente 8 54,7 -0,6 39,5 -23,3 // // Valore medio complessivo 61,9 -6 65,9 -8,6 78,9 1,3
Tabella 4. Valori medi di MA e CI per settimana di degenza; canale kaolino+eparinasi. In grassetto i va-lori anomali. Settimana di degenza/Pa-ziente 1 MA CI 2 MA CI 3 MA CI Paziente 1 67,4 0 80,3 2,6 84,2 4,4 Paziente 2 80,6 1,8 78,5 2 // // Paziente 3 66,4 -0,68 80,6 1 82,8 5,7 Paziente 4 66,2 -1,4 84,5 1 // // Paziente 5 88,6 2,7 80,7 0,8 // // Paziente 6 // // // // // // Paziente 7 68,8 -1,8 83,7 1,2 79,6 3,7 Paziente 8 58,6 -1,9 76,6 0 // // Valore medio complessivo 70,9 -0,2 80,7 1,2 82,2 4,6
Nella prima settimana di degenza, nei tracciati ottenuti con kaolino, 4 pazienti su 8 han-no mostrato valori di MA fuori range: 2 al disopra, 2 al di sotto del valori han-normali (74,2mm; 77mm; 49,4mm; 51,1mm).
Sono stati riscontrati valori medi anomali di CI in 4 pazienti su 8, questi, però, a diffe-renza di MA, tutti al di sotto del valore di normalità (-8,4; -15,7;-5,25; -17).
I tracciati ottenuti con kaolino+eparinasi hanno mostrato valori di MA anomali in 2 pa-zienti su 7. In entrambi i casi, al di sopra del range di normalità (80,6mm; 88,6mm). I valori medi di CI sono risultati, invece, tutti nella norma.
Nella seconda settimana di degenza, nei tracciati ottenuti con kaolino, l'MA medio è ri-sultato alterato in 3 pazienti su 7: due al di sopra della norma (79,4mm; 80,5mm), uno al di sotto (39,5mm). Il valore medio di CI è risultato normale in un solo paziente su 7 (-2), tutti gli altri, si sono dimostrati al di sotto del range di normalità, talvolta anche spic-catamente: -7,9; -4; -5; -11,8; -6,5; -23,3.
Nei tracciato con kaolino ed eparinasi, tutti i valori medi di MA sono risultati superiori alla norma, pur essendo tutti i valori medi di CI perfettamente normali.
Per la terza settimana di degenza, disponiamo dei tracciati di 3 soli pazienti: gli altri 5 hanno terminato la loro degenza entro le prime 2 settimane. Più nello specifico, di questi 3 pazienti, del paziente 7 disponiamo di un solo TEG® eseguito con kaolino+eparinasi;
degli altri due, anche di quelli con solo kaolino.
Analizzando questi ultimi, possiamo rilevare che, in entrambi i pazienti, l'MA medio sia al di sopra del valore normale (78mm; 79,8mm), mentre i relativi CI siano uno normale ed uno al di sopra della norma (-2,6; 5,1).
Anche nel canale kaolino+eparinasi i valori medi di MA sono superiori alla norma (84,2mm; 82,8mm; 79,6mm), così come i valori di CI (4,4; 5,7; 3,7).
Degli 8 pazienti seguiti, 2 meritano di essere menzionati per il riscontro di iperfibrinolisi (LY30>8%)33 ad un certo punto della degenza.
Il paziente 2, in undicesima giornata di degenza (già in seconda giornata di terapia anti-biotica con cefazolina, per infezione da Klebsiella pneumoniae), ha mostrato spiccata iperfibrinolisi sia nel canale del kaolino (LY30 24,4%) che in quello del
kaolino+epari-nasi (LY30 16,6%; val. norm. 0-8%).
33 LY30 è un indicatore di lisi del coagulo. Indica, in percentuale, la riduzione di ampiezza di MA dopo
Vista la peculiarità del reperto, si è deciso di procedere con prelievi più ravvicinati. In corrispondenza di questo rilievo è stata riscontrata anche un'elevazione dei livelli di procalcitonina, passati da 0,32ng/ml (val. norm. < 0,5ng/ml) a 45,18ng/ml nel giro di 24 ore.
I tracciati eseguiti 48h dopo mostravano un ulteriore aumento della fibrinolisi (LY30
36,5%) nel canale del kaolino, ma una riduzione nel canale con kaolino ed eparinasi (LY30 14,4%).
In quel giorno, la procalcitonina risultava essere di 21,75ng/ml. Le variazioni dei livelli di procalcitonina ed LY30 sono riportati nella Tabella 5.
Non è stato possibile eseguire un tracciato di controllo, al termine della sepsi, per man-canza di reagenti.
Tabella 5. Variazione dei valori di PCT e LY30 dal giorno antecedente alla sepsi (giorno 10) fino al
quin-to. In grassetto, i giorni in cui è stato eseguito il TEG®.
Giorno di degenza 10 11 12 13 14 15 Valore PCT (ng/ml) 0,32 45,18 27,62 21,75 12,09 3,30 LY30(%) Kaolino // 24,4 // 36,5 // // LY30(%) Kaolino+e parinasi // 16,6 // 14,4 // //
L'altro paziente ad aver presentato iperfibrinolisi, è il paziente 5.
In questo caso l'alterazione TEG® è stata riscontrata in decima giornata di degenza. Nel canale con solo kaolino, il valore rilevato di LY30 è stato 22,3%; nel canale con
kao-lino+eparinasi, LY30 è stato rilevato il valore di 13,3%.
Il paziente presentava livelli elevati di PCT (2,5 ng/ml), quintuplicatisi nel giro di 4 giorni, ed elevati livelli di PCR (38,73 mg/l; val. norm. <8 mg/l).
Circa 5 ore dopo l'esecuzione dei tracciati, il paziente ha sviluppato febbre, per cui si è iniziata terapia antibiotica ad ampio spettro con Tazocin, Linezolid ed Amikacina. Gli
esami colturali hanno successivamente rilevato la presenza di S. epidermidis e S. au-reus.
Il successivo tracciato, eseguito 7 giorni dopo, ha mostrato LY30 nei limiti (3,6%).
Il valore di PCR rilevato è stato di 2,44 mg/l (PCT non disponibile).
In Tabella 6 le variazioni dei valori di PCR ed LY30, in Tabella 7 le variazioni dei valori di PCT ed LY30.
Tabella 6. Variazione dei valori di PCR ed LY30 dal giorno precedente il rilievo delle alterazioni TEG®
fino alla loro risoluzione. In grassetto i giorni in cui è stato effettuato il tracciato TEG®.
Giorno di degenza 9 10 11 12 13 14 15 16 17 PCR 31,57 38,73 35,78 29,78 18,23 10,61 7,36 4,54 2,44 LY30(%) Kaolino // 22,3 // // // // // // // LY30(%) Kaolino+ eparinasi // 13,3 // // // // // // 3,6
Tabella 7. Variazione dei valori di PCT ed LY30 dal giorno precedente il rilievo delle alterazioni TEG®
fino alla loro risoluzione. In grassetto i giorni in cui è stato effettuato il tracciato.
Giorno di degenza 9 10 11 12 13 14 15 16 17 PCT 2,71 2,15 1,64 1,09 0,75 0,51 0,36 0,21 // LY30(%) Kaolino // 22,3 // // // // // // // LY30(%) Kaolino+ eparinasi // 13,3 // // // // // // 3,6
Va comunque riportato che degli 8 pazienti inclusi in questo studio, 4 sono andati incon-tro ad infezione enincon-tro l'undicesimo giorno di degenza. Nonostante ciò, soltanto i due pa-zienti sopra riportati hanno mostrato le alterazioni TEG® in oggetto.
4.3. Discussione
Il presente è stato uno studio osservazionale nel quale si è deciso di analizzare, attraver-so il TEG®, l'assetto coagulativo dei pazienti politraumatizzati e politrasfusi, afferiti alla U.O. Anestesia e rianimazione 6° in un periodo di 5 mesi: da giugno a novembre 2014. Nel periodo di studio, solo 8 pazienti hanno soddisfatto i requisiti per l'inclusione: poli-traumatizzati di età compresa tra i 18 e gli 85 anni che avessero ricevuto trasfusione di almeno due sacche di GRC entro le 48h dall'accesso in Pronto Soccorso.
Visto il ristretto numero di pazienti e di tracciati (76 tracciati totali eseguiti), non è pos-sibile trarre delle conclusioni generali da applicare a tutti i pazienti nelle stesse condi-zioni di quelli inclusi in questo studio. E' però possibile fare alcune osservacondi-zioni.
La prima è che solo 2 di questi pazienti (paziente 1 e 7), al primo TEG® eseguito entro 48h dall'accesso in P.S., presentavano un tracciato TEG® alterato in senso ipocoagulati-vo (CI<-3), al canale kaolino+eparinasi (Tabella 8). Questi stessi pazienti sono poi de-ceduti presso un altro reparto di terapia intensiva.
Questo dato è interessante poiché in letteratura vi sono diversi riferimenti al valore pro-gnostico negativo di un basso valore di MA all'ammissione3435.
34 Luis Teodoro da Luz et al., Effect of thromboelastography (TEG®) and rotational thromboelastometry
(ROTEM®) on diagnosis of coagulopathy, transfusion guidance and mortality in trauma: descriptive
systematic review, Critical Care 2014, 18:518 35 Marcella C Müller et al., op. cit.
Tabella 8. Parametri delle prime rilevazioni TEG®, canale kaolino+eparinasi Paziente MA kaolino+epari-nasi (54-72mm) CI kaolino+epari-nasi (-3 – +3) Paziente 1 54,5 -5,7 Paziente 2 75,4 1 Paziente 3 54,3 -0,6 Paziente 4 66,2 -1,4 Paziente 5 // // Paziente 6 // // Paziente 7 52,7 -3,6 Paziente 8 58,6 -1,9
Del paziente 6, deceduto in terza giornata, non si dispone di tracciati con kaolino+epari-nasi, ma kaolino e fibrinogeno funzionale.
Nonostante ciò, è possibile notare come il suo valore di MA all'ammissione fosse il più basso mai riscontrato fra tutti i pazienti inclusi nello studio (Tabella 2). E' dunque possi-bile che si possano fare le stesse considerazioni, fatte sui pazienti 1 e 7, anche per il pa-ziente 6.
Ricordiamo che il controllo dell'emorragia in questi pazienti è stato effettuato basandosi su un protocollo che segue le linee guida europee per il controllo del paziente emorragi-co36.
Una seconda osservazione riguarda le variazioni dei tracciati TEG® nelle varie settima-ne di degenza.
Alla prima settimana, i profili TEG® (intesi come valore di CI) sono tutti normali; poi si assiste ad un progressivo sbilanciamento verso la fase ipercoagulativa, che trova massi-ma espressione alla terza settimassi-mana, nella quale sia i valori di MA che di CI sono al di sopra del range di normalità in tutti i pazienti (Tabella 4).
Tabella 4. Valori medi di MA e CI per settimana di degenza; canale kaolino+eparinasi. In grassetto i va-lori anomali. Settimana di degenza/Pa-ziente 1 MA CI 2 MA CI 3 MA CI Paziente 1 67,4 0 80,3 2,6 84,2 4,4 Paziente 2 80,6 1,8 78,5 2 // // Paziente 3 66,4 -0,68 80,6 1 82,8 5,7 Paziente 4 66,2 -1,4 84,5 1 // // Paziente 5 88,6 2,7 80,7 0,8 // // Paziente 6 // // // // // // Paziente 7 68,8 -1,8 83,7 1,2 79,6 3,7 Paziente 8 58,6 -1,9 76,6 0 // // Valore medio complessivo 70,9 -0,2 80,7 1,2 82,2 4,6
Recentemente stanno iniziando a venir fuori diversi studi dai quali sembrerebbe che il tromboelastogramma possa essere efficace nel monitorare le variazioni dell'assetto coa-gulativo, non solo durante l'evento emorragico, ma anche durante la degenza3738.
Potrebbe così aprirsi un ruolo per il TEG® come point of care nel valutare l'appropria-tezza della profilassi tromboembolica in questi pazienti.
Tornando al nostro studio, valutando i tracciati con solo kaolino, sebbene vi sia un au-mento progressivo del parametro MA nel corso delle settimane di degenza, il parametro CI risulta nei limiti in tutti i pazienti, tranne uno (paziente 3).
37 Myung S. Park et al., op. cit.
38 Bryan A. Cotton et al., Admission rapid thromboelastography predicts development of pulmonary embolism in trauma patients, J Trauma Acute Care Surg, Volume 72, Number 6
Lo stesso paziente è stato l'unico nel quale è stata rilevata la presenza di TVP, alla vena succlavia di sinistra, documentato all'ecocolordoppler. Nessuno degli altri pazienti ha invece mostrato evidenza di TVP (evento di frequente riscontro in questa tipologia di pazienti) durante la degenza nella U.O. oggetto di studio. Questi pazienti, quindi, pur avendo un MA elevato, con la terapia eparinica sembrano essere correttamente scoagu-lati.
Un'altra interessante osservazione è il riscontro di iperfibrinolisi in due degli 8 pazienti in studio: paziente 2 e 5.
L'iperfibrinolisi è un'aumentata fibrinolisi, che rappresenta la fase conclusiva della bi-lancia emostatica ed è difficilmente riscontrabile tramite i normali test della coagulazio-ne. Nel nostro caso, il TEG® ha permesso di rilevarlo in 2 pazienti su 8, suggerendo così che si possa trattare di un evento non poi così raro.
In entrambi i pazienti l'iperfibrinolisi è in qualche modo “tempo-correlata” con il riscon-tro di un'infezione. Che sepsi e coagulazione siano strettamente correlate è noto da tem-po, ma solo di recente si è evidenziato un ruolo dell'iperfibrinolisi, anche grazie all'uti-lizzo più diffuso di metodiche in grado di rilevarla.
Esistono anche studi che ipotizzano un ruolo dei valori di LY30 come possibili marker di
sepsi39. Tra l'altro è interessante vedere come, nel primo paziente, all'inizio sembrerebbe trattarsi di una iperfibrinolisi secondaria (cioè “reattiva” ad un elevato MA); una iperfi-brinolisi che possa quindi, in qualche modo, “compensare” un profilo sbilanciato in sen-so protrombotico.
Nel successivo tracciato, dopo 48h, il paziente tende invece a spostarsi nella fascia di “ipocoagulazione”, l'MA torna normale, ma l'iperfibrinolisi resta, quasi come se la scoa-gulazione del paziente, a questo punto diventato settico, fosse dovuta all'iperfibrinolisi che si è instaurata.
Nel secondo paziente invece l'iperfibrinolisi sembrerebbe essere primaria. Non possia-mo sbilanciarci nel dare una spiegazione sicura sul perché questo paziente, dopo 10 giorni, diventi iperfibrinolitico e tendente all'ipocoagulabilità, ma il fatto che, proprio in questo giorno, il paziente abbia presentato i segni di un'infezione tale da necessitare te-rapia antibiotica, ci fa pensare ad una possibile correlazione iperfibrinolisi-sepsi.
4.4. Conclusioni
Questo piccolo studio osservazionale sull'utilizzo del TEG® in U.T.I., sui pazienti poli-traumatizzati, ha permesso di riscontrare interessanti profili coagulativi in questi pazien-ti, che presentano il doppio rischio emorragico e trombotico, non riscontrabili con i clas-sici test della coagulazione, fornendo utili spunti di riflessione per il clinico nella gestio-ne di questi pazienti: 3 malati degli 8 studiati hanno presentato durante la degenza uno stato di tale ipercoagulabilità dimostrato dal TEG ma non dai routinari test, tale da ren-dere lecita una terapia antiaggregante e/o anticoagulante più decisa.