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Due studi sul verbo greco tardoantico: il perfetto e l'aoristo di γίγνομαι e l'imperfetto narrativo

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Academic year: 2021

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Corso di laurea magistrale in Filologia e Storia dell'Antichità

Tes i di laurea m agist ral e

Due studi sul verbo greco tardoantico:

il perfetto e l'aoristo di γίγνομαι e l'imperfetto narrativo

Relatori:

Prof. FRANCO FANCIULLO; Prof. LUIGI BATTEZZATO

Correlatore:

Prof.ssa DOMENICA ROMAGNO

Candidato: LEONARDO DE SANTIS

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INDICE

Lista delle abbreviazioni usate nelle glosse 1

Premessa 3

1. La convergenza funzionale tra aoristo e perfetto 5

1.1. Il problema: breve rassegna bibliografica 5

1.2. Altri esempi di uso del perfetto nei primi secoli dopo Cristo 18 1.3. Il greco e le altre lingue: i sistemi verbali copto e aramaico 23

2.Aoristo e perfetto di γιγνομαι nei secoli IV-VII 28

2.1. Esposizione dei dati quantitativi 28

2.2. Aoristo e perfetto di γίγνομαι: un'analisi qualitativa 34 3.Aspetto e azionalità in greco: una breve introduzione 50 3.1. Il valore di presente e aoristo: perfettività, imperfettività e teorie precedenti 50

3.2. L'azionalità: breve introduzione 61

3.3. L'azionalità in greco: rassegna bibliografica e problemi aperti 65

4.L'imperfetto in contesti perfettivi 69

4.1. L'uso dell'imperfetto in contesti perfettivi e la sua relazione con l'aoristo 69 3.2. Imperfetto in contesti perfettivi: un'analisi qualitativa 84

3.2.1. Il caso dei verba dicendi 92

3.3. Considerazioni finali 104

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LISTA DELLE ABBREVIAZIONI USATE NELLE GLOSSE 1: prima persona 2: seconda persona 3: terza persona ART: articolo DET: determinativo F: femminile INDET: indeterminativo M: maschile

OGG: pronome suffisso dell'oggetto PL: plurale

PRF: «perfetto» (perfettivo) PST: passato

REL: relativo SG: singolare

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PREMESSA*

Questa tesi analizza due aspetti poco studiati del sistema verbale greco di età tardoantica. La prima parte del lavoro (capp. 1-2), dopo un'introduzione al problema della convergenza funzionale tra perfetto e aoristo (cap. 1), sarà dedicata all'uso di questi due tempi nel caso del verbo γίγνομαι.

Secondo la teoria più diffusa, in età post-classica perfetto e aoristo avrebbero subito una convergenza funzionale che li avrebbe portati ad assumere valori assai simili e che avrebbe causato la scomparsa del perfetto, divenuto identico all'aoristo nel significato. Sebbene sia assodato che, nei primi secoli dopo Cristo, questi due tempi diventino sempre meno distinti sul piano tempo-aspettuale, ad oggi gli studi sul loro uso in età tardoantica e proto-bizantina sono piuttosto scarsi e la letteratura tende a parlare di una semplice «confusione» nell'uso dei due tempi, senza ulteriori precisazioni.

* Si riportano in nota le edizioni dei testi citati che sono state impiegate. Per quanto riguarda i testi greci,

esse corrispondono nella maggior parte dei casi a quelle utilizzate dal TLG. Il testo della Vita di Antonio è quello di Bartelink, Bruzzese 2013; il testo dei dialoghi platonici è quello di Burnet 1899-1907; per le opere di Demostene si segue Butcher 1907; il testo della Storia Lausiaca utilizzato è quello di Butler 1904; per Teofilatto Simocatta si segue de Boor 1887; per le opere di Euripide si segue il testo di Diggle 1994; per la Vita di San Teodoro si segue il testo di Festugière 1970; per POxy. 1295 si seguono Grenfell, Hunt 1914; per Procopio di Cesarea si seguono Haury, Wirth 1962-1963; per il testo dello Scolio di

Stefano è edito in Hilgard 1901; il testo delle Storie di Tucidide è quello di Jones, Powell 1942; per le Storie di Agazia si segue Keydell 1967; il testo della Vita di Macrina a cui ci si attiene è quello di

Maraval 1971; per l'Apologia ci si attiene al testo di Munier 2006; il testo del Nuovo Testamento utilizzato in questo lavoro è quello di Nestle, Nestle, Aland, Aland, Karavidopoulos, Martini, Metzger 2012; per il testo del grammatico Ammonio si segue Nickau 1964; per la Vita di Golinduch si segue Papadopoulos-Kerameus 1897; per l'Antico Testamento si utilizzerà il testo di Rahlfs 1935; il testo della

Cronaca della Morea è quello di Schmitt 1904; per la Vita di San Simeone e la Vita di Santa Marta si

seguono rispettivamente van den Ven 1962 e van den Ven 1971; il testo dell'Iliade citato è quello di West 1998-2000; per le Storie di Erodoto si segue Wilson 2015; il testo siriaco della Dottrina di Addai è quello di Phillips 1876. L'unica frase in copto citata è presa dalla grammatica Layton 2000: 260. Per le altre opere citate si veda la bibliografia. Per quanto riguarda le traduzioni, la traduzione della Vita di Antonio usata è quella di Bartelink, Bruzzese 2013; la traduzione dello Scolio di Stefano usata è quella presente in Conti Eco 2010: 61; per il Nuovo Testamento la traduzione è quella di Merk, Barbaglio 2006; per la

Storia Lausiaca la traduzione utilizzata è quella di Mohrmann, Bartelink, Barchiesi 2001; per il Critone di

Platone si è utilizzata la traduzione di Valgimigli 1974.; per quanto riguarda gli altri testi, le traduzioni sono mie, ma nel caso dell'esempio copto la traduzione si basa su quella inglese fornita da Layton 2000: 260. Le abbreviazioni degli autori citati corrispondono alle sigle di LSJ o a quelle di Lampe 1961 e di

OBD, se l'autore non è presente in LSJ. Le abbreviazioni delle riviste citate in bibliografia corrispondono

alle sigle dell'Année Philologique. La Vita di San Simeone, la Vita di Santa Marta e la Vita di San

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L'indagine condotta sulle forme del verbo γίγνομαι mostrerà che, almeno in questo caso specifico, aoristo e perfetto non sono semplicemente confusi, ma sono usati in modo complementare. L'analisi quantitativa di tutte le occorrenze dei due tempi di γίγνομαι nei testi letterari di I-VII sec. mostra, a partire dal IV sec., un aumento della frequenza dell'indicativo perfetto e una parallela diminuzione della frequenza dell'indicativo aoristo. L'analisi qualitativa di 21 testi di IV-VII sec. mostra che i due tempi hanno lo stesso valore tempo-aspettuale, ma che il perfetto è usato all'indicativo, mentre l'aoristo agli altri modi. In questo caso, alla perdita di distinzione tempo-aspettuale tra perfetto e aoristo, non si accompagna necessariamente una confusione o una sovrapposizione nell'uso delle forme verbali: tra i due tempi di γίγνομαι si instaura infatti un'opposizione modale (cap. 2).

Il fenomeno osservato invita a considerare con maggior attenzione il processo di convergenza funzionale tra perfetto e aoristo, che non in tutti i casi potrebbe aver dato luogo a una semplice confusione, e contribuisce alla descrizione linguistica del greco di epoca tardoantica e proto-bizantina, di cui sembra essere un tratto piuttosto caratteristico.

Nella seconda parte del lavoro (capp. 3-4), dopo un'introduzione ai concetti di aspetto e azionalità (cap. 3) si analizzerà il problema dell'impiego dell'imperfetto in contesti perfettivi. I principali studi su questo uso dell'imperfetto in età tardoantica e bizantina (Moser 2016; Moser 2017) affermano che il fenomeno è in queste epoche assai ridotto e presenta una situazione identica a quella del greco moderno. La discussione di alcuni errori di valutazione negli studi di Moser e l'analisi di un corpus di tre testi agiografici di VII sec. mostrerà invece che gli impieghi dell'imperfetto in contesti perfettivi sono ancora piuttosto vitali, specialmente con i verbi di comunicazione (cap. 4).

I risultati ottenuti in questo lavoro mettono in luce fenomeni finora quasi del tutto ignorati, forniscono prospettive interpretative nuove e invitano ad ampliare il corpus di testi su cui condurre le indagini, in modo da pervenire ad analisi più esaustive. I due studi qui proposti contribuiscono inoltre alla descrizione del greco di età tardoantica e proto-bizantina, varietà ancora poco studiata dal punto di vista linguistico.

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1. LA CONVERGENZA FUNZIONALE TRA AORISTO E PERFETTO

1.1. Il problema: breve rassegna bibliografica

Il perfetto sintetico era una parte essenziale del sistema verbale greco: la sua originaria funzione era quella di indicare uno stato presente del soggetto, ma un lungo processo di mutamento semantico lo portò ad assumere un valore molto simile a quello dell'aoristo, fatto che ne determinò la scomparsa. La ricostruzione della storia di questo tempo verbale ad oggi più seguita è quella fornita da Chantraine1, ma in passato sono state proposte anche altre teorie che facevano del mutamento fonetico la principale causa della scomparsa del perfetto sintetico, come quella di Jannaris.

Secondo Jannaris il perfetto possedeva, nella lingua parlata, una forza espressiva maggiore rispetto all'aoristo e, alla lunga, avrebbe finito per prevalere su quest'ultimo. Tuttavia, la dissimilazione consonantica avrebbe intaccato il raddoppiamento caratteristico del perfetto rendendolo identico all'aumento dell'aoristo. A questo punto il perfetto, privo della sua caratteristica distintiva, sarebbe stato reinterpretato come un aoristo cappatico, uscendo definitivamente dall'uso. Tracce di questo fenomeno sarebbero gli aoristi greci di epoca postclassica e moderna che presentano la terminazione -κα dell'antico perfetto invece della più diffusa terminazione -σα2.

La teoria di Jannaris presenta, tuttavia, alcuni problemi. La debolezza principale è costituita dal fatto che non spiega cosa abbia innescato la scomparsa del raddoppiamento del perfetto: il raddoppiamento era, infatti, una caratteristica distintiva e peculiare e pertanto è difficile pensare che la sua scomparsa possa essere avvenuta unicamente per ragioni fonetiche, mentre la semantica del perfetto era ancora ben distinta da quella dell'aoristo. Più probabile, invece, è che la progressiva perdita di distinzione semantica tra questi due tempi abbia innescato mutamenti fono-morfologici

1 Chantraine 1926. 2 Jannaris 1897: 438-440.

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quali la perdita del raddoppiamento o l'estensione della desinenza di terza persona plurale -αν, tipica dell'aoristo, anche al perfetto3.

Questi mutamenti avrebbero a loro volta accelerato la convergenza funzionale e a questo punto, data la scarsa differenziazione morfologica e semantica tra i due tempi, sarebbe stata possibile la reinterpretazione degli antichi perfetti come aoristi cappatici, provocata dalla presenza di forme cappatiche nei paradigmi dell'aoristo dei verbi ad alta frequenza come δίδωμι o τίθημι.

Questo processo di reinterpretazione degli antichi perfetti come aoristi in -κα ha portato, in greco moderno standard, all'estensione del suffisso -κ- ad alcune classi di aoristi, estensione che risulta più consistente in zaconico e nei dialetti neogreci di Lesbo e del cosiddetto «gruppo ateniese arcaico», comprendente varietà parlate a Megara, in Eubea centrale e nella penisola di Mani nel Peloponneso4.

Infine, non è del tutto corretto affermare, come fa Jannaris, che il perfetto possedesse dei vantaggi espressivi rispetto all'aoristo5 e che l'unico motivo per cui non ha prevalso su quest'ultimo sia costituito dalla perdita del raddoppiamento: anche se le cause del successo finale dell'aoristo sul perfetto rimangono in parte incerte, esse sono probabilmente da ricercarsi nelle caratteristiche proprie dell'aoristo più che nell'erosione fonetica delle forme del perfetto6.

3 Moser 1988: 216-217. Mandilaras 1972 e Horrocks 2010: 176-178 trattano nel dettaglio anche i

mutamenti fono-morfologici subiti da perfetto e aoristo. Per la questione si vedano anche Duhoux 2000: 430-431; Bentein 2016: 153-157.

4 Mihevc 1959: 47; Horrocks 2010: 302-303. In greco moderno hanno un aoristo in -κα i composti di

βαίνω e χαίρω. Questa terminazione si è estesa anche agli indicativi aoristi passivi dei verbi regolari, come ad esempio αγαπήθηκα («io fui amato»). Tra le grammatiche consultabili si veda, ad esempio, Holton, Mackridge, Philippaki-Warburton, Spyropoulos 2012: 129, 134, 137, 196-206. Per quanto riguarda il gruppo dialettale ateniese antico si veda Horrocks 2010: 382.

5 Statistiche sul rapporto tra forme di aoristo e di perfetto nei papiri non letterari dei secoli III a.C.-IV

d.C. sono fornite da Mandilaras 1972: 19-20. Si riportano qui brevemente i numeri relativi al rapporto tra aoristi e perfetti nel II-I sec. a.C.: nei documenti privati del II sec. a.C. esaminati da Mandilaras, gli aoristi sono 20, a fronte di 66 perfetti, mentre nei documenti del primo secolo gli aoristi sono 17, a fronte di 26 perfetti. Per quanto riguarda i documenti ufficiali, il numero dei perfetti supera quello degli aoristi solo nel I sec. a.C.: nella documentazione ufficiale relativa al I sec. a.C. presa in considerazione da Mandilaras gli aoristi sono 16 e i perfetti 27. Bisognerà notare, tuttavia, che, specialmente per quanto riguarda il primo secolo, il numero totale dei casi è piuttosto basso, fatto che potrebbe inficiare la validità delle statistiche. A questo problema si aggiunge il fatto che, come afferma lo stesso Mandilaras, l'alto numero di perfetti trovati nella documentazione è dovuto non tanto all'uso generalizzato di questo tempo verbale quanto alla ripetizione delle medesime forme di perfetto appartenenti a verbi ad alta frequenza.

6 Si ricorda, comunque, che il perfetto ha lasciato abbondante traccia di sé nell'impiego del suffisso

cappatico nella formazione dell'aoristo di alcune classi verbali in neogreco e in alcuni suoi dialetti, come già notato. Il successo dell'aoristo, quindi, non è stato assoluto, almeno dal punto di vista morfologico.

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A questo proposito, è stato fatto notare che l'aoristo era maggiormente integrato nella coniugazione verbale e era impiegato comunemente non solo all'indicativo, ma anche in tutti gli altri modi del sistema verbale greco, a differenza del perfetto che, al di fuori dell'indicativo, era impiegato con una certa frequenza solamente al participio7 e all'infinito.

È quindi probabile che la maggior diffusione dell'aoristo nei modi diversi dall'indicativo abbia contribuito a proteggerlo dall'espansione del perfetto, limitata invece solo ad alcuni settori del sistema verbale, e abbia fatto sì che, nel lungo periodo, la morfologia dell'aoristo si imponesse definitivamente sulle forme concorrenti8.

Da non trascurare è, infine, il fatto che l'aoristo costituiva il mezzo più tipico con cui il greco esprimeva l'aspetto perfettivo: in questa sua funzione, il tema dell'aoristo era messo in opposizione con il tema del presente, che invece esprimeva l'aspetto imperfettivo. Le opposizioni aspettuali, e in particolare quella tra perfettivo e imperfettivo, acquisirono un'importanza sempre maggiore durante l'evoluzione della lingua greca e il fatto che l'aoristo fosse uno degli elementi fondanti del sistema aspettuale greco può aver contribuito alla sua conservazione ai danni del perfetto9.

Come già accennato, una spiegazione più convincente e non solo di natura fonetica delle cause della scomparsa del perfetto greco è fornita da Chantraine, che segue l'evoluzione di questo tempo verbale fino al I-II sec. d.C.

A parer suo, le prime avvisaglie della scomparsa del perfetto si possono osservare già in età classica: infatti, nell'attico del V-IV sec. a.C., oltre all'originario

7 In particolare, in epoca postclassica, è ampiamente diffuso l'impiego del participio perfetto

mediopassivo. Sulla questione si veda Chantraine 1926: 222-225.

8 Si vedano Mihevc 1959:3; Haspelmath 1992: 18-19, n. 10; Dickey 2009: 155; Bentein 2016: 155-156.

Sebbene sia probabile che l'aoristo abbia avuto la meglio sul perfetto per i motivi esposti sopra, rimane inspiegata la prevalenza del perfetto nei papiri non ufficiali del II-I sec. a.C., come notato da Duhoux 2000: 431. Una spiegazione dell'iniziale preminenza del perfetto è stata proposta da Moser 1988: 220-221: la convergenza funzionale tra aoristo e perfetto sarebbe iniziata, almeno per quanto riguarda la lingua parlata, tra fine dell'età classica e la prima età ellenistica. Il significato del perfetto finì, così, per avvicinarsi a quello dell'aoristo, rispetto al quale, però, il perfetto era sentito come stilisticamente marcato. L'uso frequente affievolì, però, la marcatezza stilistica del perfetto e ne causò la definitiva scomparsa a vantaggio dell'aoristo. Seguendo quest'ipotesi risulterebbe spiegata l'iniziale prevalenza del perfetto nei papiri non letterari. Tuttavia, la questione non è così semplice in quanto, come si vedrà, non c'è accordo sul momento in cui sia iniziato il processo di convergenza funzionale tra i due tempi verbali.

9 A questo proposito si veda Moser 1988: 225. Sulla crescente importanza delle opposizioni aspettuali

in greco si veda Moser 2014. Si precisa che i termini «perfettivo» e «imperfettivo» sono utilizzati nel senso che attribuisce loro Comrie 1976: 16-19, 24-26. L'aspetto perfettivo indica, pertanto, una situazione vista nella sua completezza, mentre l'aspetto imperfettivo esprime un processo visto dall'interno, senza porre attenzione al suo inizio o alla sua conclusione. I concetti di imperfettività e perfettività saranno trattati più ampiamente nel capitolo 3.

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perfetto stativo e intransitivo10 viene creato il perfetto «resultativo» (résultatif), che designa la condizione presente di un oggetto in seguito al compimento di un'azione che lo aveva coinvolto.

La comparsa di questa nuova tipologia di perfetto provoca una sempre più netta distinzione tra il nuovo valore resultativo del perfetto e il suo originario valore stativo, per esprimere il quale iniziano ad essere impiegate con sempre maggiore frequenza le desinenze medie. Le desinenze attive verranno invece utilizzate sempre più spesso per il senso resultativo e quest'uso accentua sempre più l'opposizione tra diatesi attiva e medio-passiva nel perfetto, che in origine mostrava una scarsissima distinzione per quanto riguarda la voce verbale. Il perfetto resultativo, inoltre, dava più rilevanza all'azione compiuta nel passato che al suo risultato presente e quindi, per questo motivo, la dimensione temporale del perfetto inizia a situarsi sempre più nel passato e ad avvicinarsi a quella dell'indicativo aoristo11. La differenza di valore tra perfetto di stato medio-passivo e perfetto «risultativo» attivo è visibile nei due esempi seguenti, tratti da Chantraine:

E. IA. 536-537 (Chantraine 1926: 100)

(1) ὦ τάλας ἐγώ,

ὡς ἠπόρημαι πρὸς θεῶν τὰ νῦν τάδε. O me sventurato!

Come mi trovo ora in difficoltà di fronte agli dei.

Pl. Cri. 45b (Chantraine 1926: 100)

(2) ξένοι οὗτοι ἐνθάδε ἕτοιμοι ἀναλίσκειν· εἷς δὲ καὶ κεκόμικεν ἐπ' αὐτὸ τοῦτο ἀργύριον ἱκανόν.

Ci sono, qui a Atene, questi forestieri pronti a spendere. E anzi uno di loro ha portato con sé, appunto per questo scopo, il denaro occorrente.

Nel primo dei due esempi Agamennone lamenta lo stato di difficoltà in cui si trova, visto che le profezie dell'indovino Calcante lo costringono a sacrificare sua figlia Ifigenia. In questo caso il verbo designa lo stato di disperazione in cui si trova

10 Che il perfetto esprimesse originariamente uno stato presente, ponendo poca enfasi sul processo

precedente a tale stato, è sostenuto anche da Wackernagel 1926: 168-169 e Humbert 1960: 135-136, che nella sua trattazione del perfetto segue le argomentazioni di Chantraine. Perel'muter 1988; Romagno 2005 sostengono, invece, che il perfetto omerico designi semplicemente uno stato, derivato o meno dal compimento di un'azione precedente. Tale tesi è sposata anche da Willi 2018: 225-246, che ritiene che il valore originario del perfetto indoeuropeo fosse quello di designare uno stato presente.

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Agamennone, ossia una condizione presente del soggetto, senza necessariamente far riferimento a un momento passato in cui Agamennone è entrato in tale stato.

Un valore diverso ha il perfetto del secondo esempio, in cui Critone sta cercando di convincere Socrate ad utilizzare le risorse economiche dei suoi amici per evadere dal carcere. In questo caso il riferimento al passato è più evidente e il verbo κεκόμικεν designa un'azione passata i cui effetti sono visibili nel presente su un oggetto: qualcuno ha portato il denaro da utilizzare per la fuga e, come risultato dell'azione, il denaro è ora ad Atene.

Il perfetto entra dunque in crisi a partire dall'età ellenistica, quando questi due tempi vanno incontro a un processo di convergenza funzionale che porta il perfetto ad avere una semantica sempre più simile a quella dell'aoristo e, infine, ad assumere il valore tipico di questo tempo. Quest'evoluzione è osservabile nel Nuovo Testamento, in cui il perfetto è usato come tempo narrativo insieme all'aoristo.

La convergenza funzionale determina, infine, il progressivo abbandono del perfetto da parte dei parlanti e la sua scomparsa a favore dell'aoristo. Il perfetto rimase in uso, così, soltanto nella lingua scritta, che recuperava le sue forme dagli autori classici e dalla Bibbia, con un valore molto simile a quello dell'aoristo12.

La ricostruzione dell'evoluzione del perfetto greco proposta da Chantraine presenta dei vantaggi notevoli rispetto alle teorie che facevano della scomparsa di questo tempo un semplice risultato del mutamento fonetico: infatti, il mutamento semantico ricostruito da Chantraine per il perfetto greco, oltre a spiegare la causa dei mutamenti fono-morfologici subiti da questo tempo, trova un ampio riscontro tipologico. Lo slittamento semantico che porta i perfetti di stato ad assumere gradualmente il valore di un passato perfettivo è chiamato «deriva aoristica» (aoristic drift) ed è un processo diffuso in varie lingue: un'evoluzione simile a quella del perfetto greco hanno avuto, ad esempio, i perfetti perifrastici delle lingue romanze o del tedesco,

12 Chantraine 1926: 214-245. Occorre tuttavia precisare che, se perfetto e aoristo finirono per assumere

lo stesso significato, il suffisso -κ- del perfetto non scomparve del tutto, ma fu riutilizzato per la formazione di alcune classi di aoristi in neogreco e, soprattutto, in alcuni suoi dialetti, come visto a pp. 6-7. Sulla questione si vedano Mihevc 1959: 47; Horrocks 2010: 302-303; Holton, Mackridge, Philippaki-Warburton, Spyropoulos 2012: 129, 134, 137, 196-206.

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il cui significato ha spesso finito per avvicinarsi o a quello dei corrispondenti passati perfettivi, fino a divenire, in alcuni casi, completamente sovrapponibile ad esso13.

La proposta di Chantraine è stata largamente accettata e seguita, con poche modifiche, negli studi successivi: Leroy, ad esempio, nel suo lavoro sull'aspetto verbale greco ipotizza per il perfetto un'evoluzione del tutto parallela a quella tracciata da Chantraine, che viene espressamente citato più volte. L'unica differenza rispetto allo studio di quest'ultimo consiste nel fatto che Leroy, nella trattazione del valore originario del perfetto, conferisce una rilevanza maggiore all'idea di compiutezza che sarebbe veicolata dal perfetto omerico14.

Posizioni non dissimili presentano anche Schwyzer e Humbert, che tracciano per il perfetto un'evoluzione del tutto simile a quella proposta da Chantraine: dall'antico perfetto intransitivo-stativo, ben attestato nel greco omerico, si sviluppò il perfetto resultativo transitivo, che indicava la condizione dell'oggetto del verbo in seguito al compimento di un'azione. Questa nuova tipologia di perfetto ebbe una rapida diffusione e, dopo un graduale processo di convergenza funzionale, il suo significato finì essere assimilato a quello dell'aoristo, fatto che portò il perfetto a uscire progressivamente dall'uso15.

La ricostruzione di Chantraine ha influenzato anche studi che non si limitano all'analisi del solo perfetto greco, ma ne inquadrano l'evoluzione all'interno di una prospettiva tipologica più ampia. Un buon esempio è fornito, a questo proposito, da un articolo di Haspelmath, risalente al 1992, che considera le analogie e le differenze tra l'evoluzione subita dal perfetto greco e quella subita dal perfetto delle lingue germaniche16.

13 Sulla questione si vedano Maslov 1988; Bybee, Dahl 1989: 67-77; Lindstedt 2000: 366-374;

Squartini, Bertinetto 2000; Bentein 2016: 105-107.

14 Leroy 1958: 129-132. Un altro autore che, a proposito del perfetto, dà all'idea di compiutezza

maggior risalto rispetto a Chantraine è Friedrich 1974: S16-S19. Almeno per il perfetto omerico, l'idea di azione precedente non deve essere eccessivamente enfatizzata: nei poemi omerici esistono, infatti, degli esempi di perfetti che designano una condizione che non deriva dal compimento di un'azione, ma è semplicemente propria del soggetto del verbo. Su questi verbi, definiti «perfetti intensivi», si vedano Schwyzer 1950: 263; Haspelmath 1992: 208-209; Romagno 2005: 62-81; Willi 2018: 236-237. Si riporta qui in nota un esempio di perfetto intensivo: Il. 17.263-264. ὡς δ' ὅτ' ἐπὶ προχοῆισι διιπετέος ποταμοῖο/ βέβρυχεν μέγα κῦμα ποτὶ ῥόον[…]. In questo caso il verbo βέβρυχεν («mugghia») designa unicamente la condizione dei flutti, che mugghiano a contatto con la corrente del fiume.

15 Schwyzer 1950: 263-264; Humbert 1960: 135-136. 16 Haspelmath, 1992.

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Secondo l'interpretazione di Haspelmath l'antico perfetto omerico designava uno stato subìto dal soggetto in seguito al completamento dell'azione espressa dal verbo e possedeva un valore che lui definisce «resultativo» (resultative)17. Il soggetto del perfetto omerico era tipicamente un paziente, ossia un ente, animato o inanimato, che subisce una determinata azione e ha un basso controllo su di essa: per definire questa caratteristica del perfetto omerico Haspelmath parla di «perfetto attivo orientato sul paziente» (patient-oriented)18. Non facevano eccezione i verbi di possesso e di esperienza-sensazione come «patire» o «temere», gli unici verbi omerici che possedevano perfetti transitivi: questi predicati, infatti, designano situazioni in cui l'ente che ha minor controllo dell'azione e che, quindi, la subisce in misura maggiore è il soggetto. Si pensi, ad esempio, ad un verbo come «subire», in cui il soggetto del verbo è un paziente che possiede uno controllo scarso o nullo sulla situazione che sta subendo19.

L'antico resultativo omerico diede origine, in epoca classica, a un perfetto vero e proprio, ossia a una forma verbale che esprimeva non uno stato, ma un evento le cui conseguenze perdurano nel tempo. Come conseguenza di questo mutamento semantico, il soggetto del perfetto non è più un paziente che subisce uno stato, ma un agente che compie un'azione le cui conseguenze sono osservabili nel tempo: a questo proposito, Haspelmath parla della creazione di un perfetto «orientato sull'agente» (agent-oriented)20. La creazione di questo tipo di perfetto non impedì o danneggiò l'antico resultativo, per formare il quale si iniziò a fare un uso sempre maggiore delle desinenze medie. Occorre notare, inoltre, che numerosi perfetti con desinenze attive, come ad esempio γέγονα, mantennero l'antico senso resultativo.

La differenza tra perfetto patient-oriented e perfetto agent-oriented è del tutto analoga alla differenza di significato osservata tra i perfetti degli esempi (1) e (2).

Come conseguenza di questa situazione la produttività del perfetto risultò accresciuta, in quanto alla possibilità di impiegare un resultativo si aggiunse quella di

17 Occorre precisare che il termine «resultativo» è usato da Haspelmath in modo diverso rispetto a come

impiegato da Chantraine: per quest'ultimo la parola «resultativo» designa un tipo di perfetto che esprime un'azione transitiva le cui conseguenze sono osservabili nel presente su un oggetto, mentre per Haspelmath il termine indica il perfetto omerico con valore intransititvo-stativo. La tipologia di perfetto chiamata «perfetto resultativo» da Chantraine viene definita da Haspelmath semplicemente «perfetto». Nell'uso della terminologia Haspelmath segue Maslov 1988. Bisogna notare che il termine «resultativo» è utilizzato nel senso di Haspelmath da buona parte della letteratura linguistica posteriore a Maslov, come ad esempio quella già citata alla nota 13.

18 Haspelmath 1992: 194. 19 Haspelmath 1992: 201-205. 20 Haspelmath 1992: 213.

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creare numerosi perfetti transitivi agent-oriented in cui l'azione compiuta dall'agente coinvolgesse anche un oggetto, come ad esempio il perfetto κεκόμικε in (2)21.

L'evoluzione del perfetto greco continuò in età ellenistica: questo tempo verbale, similmente a quanto accaduto al perfetto tedesco o francese, finì per diventare un passato perfettivo e, pertanto, si confuse sempre più con l'aoristo. A differenza, però, di quanto accaduto in francese o in alcune varietà di tedesco, in greco le forme del perfetto non rimpiazzarono quelle dell'aoristo e fu l'antico perfetto sintetico a scomparire dall'uso22.

Tralasciando le differenze terminologiche e i paralleli tipologici presenti nel suo studio, la ricostruzione di Haspelmath non differisce, nella sostanza, da quanto ipotizzato da Chantraine: a un antico perfetto con valore stativo si affiancò un nuovo tipo di perfetto che designava un'azione passata la cui rilevanza perdura nel presente23. Quest'ultima caratteristica era ciò che distingueva il perfetto dall'aoristo, che designava semplicemente un'azione completa24. A questo punto, i significati dei due tempi verbali iniziarono a divenire meno distinti e il perfetto, ponendo sempre più enfasi sul fatto compiuto rispetto alla sua rilevanza nel presente, finì per avvicinarsi in misura sempre maggiore al senso dell'aoristo, uscendo gradualmente dall'uso: anche secondo Haspelmath la scomparsa del perfetto fu, quindi, dovuta alla sua convergenza funzionale con l'aoristo più che al mutamento fonetico.

Una volta appurato che l'avvicinamento di senso tra aoristo e perfetto fu dovuto a cause di natura semantica e non solo a motivi fonetici, resta da stabilire in che periodo

21 Haspelmath 1992: 209-217.

22 Haspelmath 1992: 217-221. A questo proposito si veda anche Bentein 2016: 105.

23 A proposito del concetto di rilevanza dell'azione nel presente, è lo stesso Haspelmath 1992: 214, n. 7

ad affermare che tale formulazione è sovrapponibile a quella di «condizione dell'oggetto derivante dal compimento di un'azione» impiegata da Chantraine: nel caso dei verbi transitivi è, infatti, chiaro che gli effetti dell'azione espressa dal verbo si manifesteranno nel suo oggetto diretto. È opportuno ricordare che molte lingue hanno la possibilità di formare perfetti che non possiedono valore stativo ma che designano un evento concluso con effetti nel presente non solo a partire da verbi transitivi, ma anche da verbi intransitivi e stativi, come notato da Maslov 1988: 65. In questo caso ad essere enfatizzata non sarà tanto la condizione presente derivata dalla conclusione dell'azione intransitiva o dello stato, bensì la situazione precedente, la cui fine ha prodotto tale condizione. A livello tipologico è, dunque, preferibile usare termini come «rilevanza nel presente» piuttosto che «stato dell'oggetto», perché così facendo possono essere raggruppate insieme delle tipologie di perfetto che hanno in comune il fatto di attribuire maggiore importanza all'azione precedente piuttosto che alla sua conseguenza. I perfetti transitivi, che designano un'azione le cui conseguenze si manifestano nell'oggetto del verbo, sono una particolare categoria all'interno di questo più grande gruppo, definito «actional perfect» da Maslov 1988: 65-66.

24

Un esempio di perfetto che designa un'azione passata con rilevanza presente è Th. 5.26.1. γέγραφε δὲ καὶ ταῦτα ὁ αὐτὸς Θουκυδίδης Ἀθηναῖος, in cui Tucidide fa riferimento alla scrittura della sua opera storica. In questo caso l'azione dello scrivere operata dallo storico ha una rilevanza nel presente, dato che l'opera può essere fruita nel presente dal lettore.

(15)

perfetto e aoristo cessarono di avere significati distinti. A tal proposito, le datazioni proposte sono piuttosto varie e oscillano anche di secoli. La difficoltà nello stabilire una data certa è dovuta al fatto che decidere se un verbo al perfetto possieda o meno un valore sovrapponibile a quello di un aoristo è spesso un'operazione assai ardua e, specialmente nei casi ambigui, largo spazio è lasciato all'interpretazione del singolo autore. Si riporterà qui di seguito un breve esempio tratto dal lavoro di Mandilaras:

POxy. 1295. 16-17 (Mandilaras 1972: 17)

(3) δήλωσόν μοι/ πόσου χαλκοῦ δέδωκες αὐτῶι. Fammi sapere quanto denaro gli hai dato.

In questo caso la brevità del testo e l'ignoranza del contesto in cui è stato prodotto non permettono di sapere se il perfetto δέδωκες25 sia usato col medesimo valore di un aoristo o se, invece, per l'autore del testo il pagamento del denaro avesse una specifica rilevanza nel presente.

Ben consapevole di questi problemi è stato Mandilaras, che propone tre criteri fondamentali per stabilire se un perfetto sia impiegato o meno con il senso di un aoristo: il primo è quello di privilegiare i casi in cui i due tempi verbali siano connessi sintatticamente; il secondo è controllare che il contesto non permetta di stabilire alcuna relazione tra l'azione passata espressa dal perfetto e il presente; il terzo è verificare se il perfetto in questione sia impiegato in unione con espressioni che designano un tempo passato.

Mandilaras stesso, tuttavia, si rende conto che questi criteri non consentono di determinare con assoluta certezza il valore di un perfetto. In particolare, per quanto riguarda il primo criterio, la presenza di una connessione sintattica tra un aoristo e un perfetto non significa automaticamente che le forme verbali in questione abbiano il medesimo valore: è infatti possibile che verbi al perfetto e all'aoristo vengano accostati pur mantenendo distinto il loro significato, come si può vedere nel seguente esempio:

25 Per l'estensione della desinenza di seconda persona singolare -ες anche al perfetto si veda Horrocks

2010: 176. In età tardoantica emerse chiaramente la tendenza a creare un'unica serie di desinenze per imperfetto, aoristo e perfetto. Il risultato finale fu costituito da desinenze che utilizzavano sia la vocale -α- dell'aoristo sigmatico sia, alla seconda persona singolare e plurale, la vocale -ε- degli antichi imperfetto e aoristo tematico. Per la terza persona singolare si usava la vocale -ε, presente sia nelle desinenze sigmatiche sia in quelle tematiche. Per la questione, si veda Horrocks 2010: 143-144.

(16)

Just. 2 Apol. 2.11.

(4) καὶ τὸν Πτολεμαῖον, ϕιλαλήθη ἀλλ' οὐκ ἀπατηλὸν οὐδὲ ψευδολόγον τὴν γνώμην ὄντα ὁμολογήσαντα ἑαυτὸν εἶναι Χριστιανόν, ἐν δεσμοῖς γενέσθαι ὁ ἑκατόνταρχος πεποίηκεν, καὶ ἐπὶ πολὺν χρόνον ἐν τῷ δεσμωτηρίῳ ἐκολάσατο.

E il centurione ha fatto mettere in carcere Tolomeo, che ama la verità e non è ingannatore né bugiardo, poiché aveva confessato di essere cristiano. E per molto tempo egli fu punito nel carcere.

In questo caso l'uso del perfetto è giustificato dal fatto che gli effetti dell'azione del centurione continuano nel presente, dato che Tolomeo è ancora rinchiuso in prigione. L'aoristo, invece, designa un singolo evento accaduto e conclusosi durante la sua prigionia, ossia la tortura prolungata, a cui seguì una lunga serie di interrogatori.

A proposito del secondo criterio di Mandilaras, bisogna invece ricordare che il contesto spesso è incerto e non consente di disambiguare con sicurezza il significato di una forma verbale. Ciò è vero in particolare per testi di breve lunghezza o parchi di informazioni contestuali, casi in cui diventa assai arduo stabilire se un verbo al perfetto denoti o meno un'azione con rilevanza presente. È questo il caso di molti testi papiracei non letterari26, come già visto in (3).

Per quanto riguarda l'epoca in cui aoristo e perfetto avrebbero subito una completa sovrapposizione funzionale, Jannaris crede che il processo abbia avuto un picco tra I e III secolo d.C., periodo in cui il perfetto assume in misura sempre maggiore funzioni tipiche dell'aoristo, come ad esempio l'impiego come tempo narrativo o l'uso insieme alla particella ἄν per esprimere irrealtà27.

Concorde con questa datazione è anche Chantraine, che ritiene però che alcuni esempi di perfetto utilizzato in luogo dell'aoristo siano attestati già nel dialetto attico del IV sec. a.C.28. Per lo studioso, il processo di convergenza funzionale procedette per tutta l'età ellenistica fino a giungere alla situazione che si osserva nei Vangeli, in cui il perfetto è un tempo narrativo che tende ad essere usato in coordinazione con l'aoristo. Con l'avanzare del tempo, a partire dal I-II secolo d.C., il perfetto divenne una forma sempre più artificiale, finché, in epoca tardoantica e bizantina, il suo valore non fu più percepito con chiarezza neppure dagli scrittori più colti29.

26 Mandilaras 1972: 17-18. 27 Jannaris 1897: 439-440. 28 Chantraine 1926: 184-190. 29 Chantraine 1926: cap. 9.

(17)

La datazione proposta da Jannaris e Chantraine è accettata in molti studi, come ad esempio la sintassi di Humbert o la grammatica del Nuovo Testamento di Turner30.

Tuttavia, tale datazione ha incontrato alcune opposizioni, in particolare da parte di Mckay e Porter, che ritengono che la confusione tra perfetto e aoristo non possa essere avvenuta prima del IV-V secolo31. Un'affermazione di questo tipo è eccessivamente perentoria: già nel Nuovo Testamento esistono, infatti, attestazioni di perfetti impiegati in coordinazione con degli aoristi senza che tra le due forme verbali sia osservabile una differenza di significato. Si riporterà qui di seguito un esempio in cui questo fenomeno è evidente:

Apoc. 5.5-8

(5) καὶ εἷς ἐκ τῶν πρεσβυτέρων λέγει μοι· μὴ κλαῖε, ἰδοὺ ἐνίκησεν ὁ λέων ὁ ἐκ τῆς ϕυλῆς Ἰούδα, ἡ ῥίζα Δαυίδ, ἀνοῖξαι τὸ βιβλίον καὶ τὰς ἑπτὰ σϕραγῖδας αὐτοῦ. […] καὶ ἦλθεν καὶ εἴληϕεν ἐκ τῆς δεξιᾶς τοῦ καθημένου ἐπὶ τοῦ θρόνου. καὶ ὅτε ἔλαβεν τὸ βιβλίον, τὰ τέσσαρα ζῷα καὶ οἱ εἴκοσι τέσσαρες πρεσβύτεροι ἔπεσαν ἐνώπιον τοῦ ἀρνίου.

Uno dei vegliardi mi disse: «Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli». […] Giunse e prese il libro dalla destra di Colui che era seduto sul trono. E quando l'ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all'Agnello.

In questo passo viene descritto come l'agnello-Cristo prenda il Libro della Vita, tenuto chiuso da sette sigilli l'apertura dei quali provocherà sulla terra una serie di catastrofi. In questo caso siamo all'interno di una narrazione e il verbo εἴληϕεν non sembra far riferimento a nessuna condizione presente che si verifica successivamente al momento in cui l'agnello prende il libro. Al contrario, il perfetto sembra essere qui impiegato con un valore equivalente a quello dell'indicativo aoristo ἦλθεν, ossia per indicare un'azione conclusa nel passato32.

Mckay tenta di giustificare questo impiego del perfetto affermando che in questo caso εἴληϕεν ha il valore di un presente storico e viene impiegato per conferire una particolare vivacità all'azione33, ma questa spiegazione non è soddisfacente: il presente storico, infatti, viene utilizzato per designare eventi conclusi nel passato, ossia con un

30 Humbert 1960: 135-136; Moulton, Turner 1963: 81-85. Un altro autore che condivide questa proposta

di datazione è Leroy 1958: 131-132;

31 McKay 1965; Porter 2003: 273. Sulla questione si veda anche McKay 1981: 318-320. 32 Questo perfetto è interpretato così anche da Fanning 1990: 301.

(18)

valore molto simile a quello dell'aoristo. Rimane, dunque, oscuro come sia possibile che un perfetto venga impiegato in un senso assai vicino a quello dell'aoristo e, soprattutto, quale sia la connessione tra il valore proprio del perfetto, che indica un'azione passata con rilevanza nel presente, e quello del presente storico, che designa semplicemente un'azione conclusa nel passato.

Rifiutare l'ipotesi di McKay e Porter non significa affermare che perfetto e aoristo possedessero un significato identico già nel Nuovo Testamento: come notato da molte grammatiche del greco neotestamentario, infatti, il numero dei casi simili a quello osservato in (5) è piuttosto limitato34.

Anche per quanto riguarda l'epoca successiva al Nuovo Testamento, non è possibile parlare semplicemente di confusione tra perfetto e aoristo, come fa Chantraine. A proposito dei primi secoli dopo Cristo, lo studioso si limita a notare che nei testi successivi al Nuovo Testamento è osservabile una grande confusione nell'uso di queste due forme verbali e che ormai il perfetto era sentito come un equivalente dell'aoristo, ma anche in questo caso la questione sembra essere più complessa35.

A questo proposito, sono molto interessanti i problemi destati dall'interpretazione di una nota frase del grammatico Ammonio (IV sec. ca.):

Ammon. Diff. 70

(6) ἀπέθανε καὶ τέθνηκε διαϕέρει. ἀπέθανε μὲν νῦν, τέθνηκε δὲ πάλαι.

Tra «morì» (ἀπέθανε) e «è morto» (τέθνηκε) c'è questa differenza: morì ora, è morto da tempo.

In questo breve passo Jannaris e Chantraine hanno visto la conferma del fatto che nel IV sec. d.C. neanche i grammatici più zelanti riuscissero più a percepire la differenza semantica tra perfetto e aoristo36: Ammonio, non comprendendo i distinti valori delle due forme verbali, tenterebbe di reinterpretarle in base alla distanza

34

A questo proposito, si vedano Blass: 1896: 195-196, che, nel Nuovo Testamento, nota un numero piuttosto scarso di perfetti con valore aoristico; Burton 1898: 39; Moulton 1908: 143-146; Blass, Debrunner 1949: 153; Blass, Debrunner, Funk 1961: 177; Fanning 1990: 299-303. Ha la medesima posizione anche Haspelmath 1992: 218.

35

Chantraine 1926: 244. Bisogna, tuttavia, ricordare che lo studio di Chantraine si concentra sulla storia del perfetto greco dall'epoca omerica a quella del Nuovo Testamento. L'evoluzione successiva di questo tempo verbale è tracciata solo per sommi capi e non rientra tra gli obiettivi della ricerca dello studioso.

(19)

temporale e farebbe dell'aoristo e del perfetto, rispettivamente, un passato recente e un passato remoto.

Vista l'incertezza del periodo in cui si completò la convergenza funzionale tra perfetto e aoristo, un approccio più prudente, come quello adottato da Schwyzer, appare preferibile: lo studioso riconosce che, a partire dall'età ellenistica, le differenze di significato tra perfetto e aoristo diventano sempre meno evidenti, ma evita di stabilire troppo nettamente la data in cui i due tempi divennero completamente sovrapponibili per semantica.

Per quanto riguarda il passo in questione, Schwyzer ritiene che la frase sia troppo breve per poter trarre da essa conclusioni definitive e nota, inoltre, che la definizione di Ammonio, seppur poco chiara, non è del tutto incompatibile con i valori propri di perfetto e aoristo: il perfetto τέθνηκε può, infatti, indicare una morte avvenuta molto tempo prima, le cui conseguenze perdurino nel presente37.

Occorre inoltre notare che testi come quello in (6) rientrano nella pratica delle differentiae (διαφοραί), ossia brevi definizioni, tutte con una struttura molto simile a quella osservabile in (6), in cui viene spiegata la differenza di senso tra parole con significato simile38. La laconicità di queste note le rende ben poco chiare, specialmente in un caso come questo, in cui le parole di Ammonio sono interpretabili anche senza pensare che il grammatico ignorasse totalmente la differenza semantica tra perfetto e aoristo.

La definizione di Ammonio, dunque, non è una prova sufficiente per poter affermare che perfetto e aoristo fossero sentiti come completamente identici anche presso gli individui colti. Occorre inoltre notare che, sempre rimanendo nell'ambito della letteratura grammaticale, il cosiddetto Scolio di Stefano, di tre secoli posteriore ad Ammonio, definisce ancora il perfetto come «presente compiuto» (ἐνεστὼς συντελικός), probabilmente per indicare un'azione passata con rilevanza presente39

:

37 Schwyzer 1950: 287-288. 38

Su questa pratica si vedano Nickau 1964: LXVII-LXXI; Dickey 2007: 94-96; Mastronarde 2017: 70.

39

Su questo passo si veda Conti Eco 2010: 59-63, 76-77, la cui traduzione è stata qui impiegata. Lo studio nota come spesso i grammatici antichi tendano a descrivere il perfetto alternativamente come un presente compiuto o un passato recente. Tale oscillazione nelle definizioni potrebbe essere dovuta al valore semantico del perfetto, che indicava sia l'azione passata sia la condizione presente che ne derivava, o alle modificazioni subite in età postclassica dal significato di questo tempo verbale, il cui senso tendeva a conferire sempre più rilevanza all'elemento passato. Vale la pena notare che, tra i grammatici esaminati dalla Conti Eco, nessuno ritiene il perfetto un passato remoto, valore che viene attribuito di solito al piuccheperfetto: il caso di Ammonio risulterebbe, quindi, piuttosto strano se interpretato come vorrebbe

(20)

GG. I 3. 251.4-5

(7) ‘Ο δὲ παρακείμενος καλεῖται ἐνεστὼς συντελικός, τούτου δὲ παρῳχημένος ὁ ὑπερσυντέλικος.

Il perfetto è chiamato presente compiuto, e il suo passato è il piuccheperfetto.

1.2. Altri esempi di uso del perfetto nei primi secoli dopo Cristo

A proposito dell'uso del perfetto da parte degli autori colti, è opportuno segnalare che ancora nel IV sec. d.C. almeno alcuni testi di registro alto potevano impiegare il perfetto in maniera molto simile a quanto avveniva in epoca classica: un'analisi condotta sulla Vita di Santa Macrina di Gregorio di Nissa mostra che i perfetti impiegati in quest'opera non si discostano dall'uso classico. Si riportano qui di seguito due esempi:

Gr. Nyss. V. Macr. 15

(8) ϕήσαντος δὲ πρὸς ἡμᾶς αὐτὸν ἐξωρμηκέναι καὶ τετάρτην ἡμέραν ἄγειν, [...] τότε καὶ περὶ τῆς μεγάλης ἐπυνθανόμην.

Quando quello mi disse che egli era partito e che stava trascorrendo il quarto giorno, [...] allora chiesi informazioni sulla santa.

Questo passo racconta dell'arrivo di Gregorio al monastero di sua sorella Macrina: una volta giunto, il santo domanda a uno dei monaci dove sia suo fratello, che viveva con Macrina nel cenobio, e quello gli risponde che era partito tre giorni prima per andargli incontro.

In questo caso l'uso dell'infinito perfetto è giustificabile: la partenza del fratello di Gregorio continua infatti ad avere un effetto nel momento in cui è ambientato il racconto, dato che egli non è ancora tornato.

Chantraine. A livello tipologico, infine, è assai raro che un perfetto sviluppi il valore di passato remoto, mentre un passato perfettivo, quale è l'aoristo greco, si specializzi come passato recente. Molto più comune è la situazione opposta, cioè che sia il perfetto, nel corso del processo di «deriva aoristica», ad assumere la funzione di passato recente, valore che, appunto, è attribuito spesso al perfetto greco dai grammatici. Sulla questione si vedano Squartini, Bertinetto2000.

(21)

Gr. Nyss. V. Macr. 38

(9) τὸ ἀληθινὸν ἐκείνης ϕάρμακον τὸ τῶν παθημάτων ἰατικόν, ὅπερ ἐστὶν ἡ ἐκ τῶν εὐχῶν θεραπεία, καὶ ἔδωκε καὶ ἐνεργὸν ἤδη γέγονε.

La vera medicina che cura le sofferenze, cioè la cura che proviene dalle preghiere, lei ce la diede e ormai ha fatto effetto.

Il brano riporta le parole di un padre di famiglia che, con moglie e figlia, aveva passato un periodo di ritiro nel monastero della santa. Al momento della loro partenza, Macrina e il fratello li avevano pregati insistentemente di non affrettarsi e di trattenersi almeno per il pasto in comune. In cambio avevano promesso loro un farmaco speciale che avrebbe guarito immediatamente la bambina, affetta da una grave malattia agli occhi.

Quando la famiglia ha ormai compiuto metà del viaggio di ritorno, la madre si rende conto di aver dimenticato di chiedere la medicina alla santa e in quel momento la bambina guarisce: la medicina era costituita dalle preghiere di Macrina, che avevano ormai fatto effetto guarendo la malattia.

Anche in questo caso la forma verbale γέγονε è impiegata con valore di perfetto: la preghiera della santa ha già fatto effetto e tale effetto è visibile nel presente, dato che la bambina ormai ci vede bene.

Anche in testi di registro più basso, comunque, non sono rari i perfetti che conservano un valore distinto da quello dell'aoristo: si riportano qui di seguito due esempi tratti dall'Apologia di Giustino, opera annoverata da Chantraine tra quelle che presentano una grande confusione tra perfetto e aoristo. In realtà nel testo in questione, accanto a casi in cui perfetto e aoristo tendono a sovrapporsi, sono presenti anche esempi di perfetti che mantengono il loro valore:

Just. 1 Apol. 8.3

(10) ὡς μὲν οὖν διὰ βραχέων εἰπεῖν, ἅ τε προσδοκῶμεν καὶ μεμαθήκαμεν διὰ τοῦ Χριστοῦ καὶ διδάσκομεν ταῦτά ἐστι.

In breve, ciò che attendiamo, ciò che abbiamo appreso per mezzo di Cristo e ciò che insegniamo è questo.

(22)

La frase introduce un riassunto del discorso fatto nei paragrafi precedenti (Just. 1 Apol. 4-8) in cui Giustino rifiuta l'accusa di ateismo che veniva rivolta ai cristiani e espone per sommi capi la dottrina cristiana.

In questo caso il perfetto μεμαθήκαμεν mantiene il suo valore di perfetto: la forma verbale fa, infatti, riferimento non solo al processo passato di apprendimento della dottrina cristiana, ma anche alla condizione presente di sapienza che ne deriva e che di tale dottrina permette l'insegnamento. La connessione col presente è segnalata anche dal fatto che il perfetto μεμαθήκαμεν è coordinato nella frase con dei presenti.

Just. 1 Apol. 60.2.

(11) ὅτε ἐξῆλθον ἀπὸ Αἰγύπτου οἱ Ἰσραηλῖται καὶ γεγόνασιν ἐν τῇ ἐρήμῳ, ἀπήντησαν αὐτοῖς ἰοβόλα θηρία.

Quando gli Israeliti uscirono dall'Egitto e rimasero nel deserto, li assalirono delle bestie velenose.

Il passo è parte del racconto di come Mosè, innalzando il serpente di bronzo su un supporto a forma di croce, liberò gli Israeliti dai serpenti che li avvelenavano mentre erano nel deserto. La narrazione dell'episodio biblico si inserisce in un tentativo di Giustino di dimostrare che Platone si era ispirato all'Antico Testamento nel formulare le sue teorie cosmologiche.

In questo caso γεγόνασιν è impiegato all'interno di una narrazione per descrivere un evento concluso nel passato e senza rapporti col presente e possiede dunque un valore identico a quello di un aoristo, forma verbale con la quale il perfetto γεγόνασιν è coordinato.

Un ulteriore invito a trattare con prudenza i problemi posti dalla convergenza funzionale tra aoristo e perfetto e dalla sua datazione viene da un lavoro di Crellin40, che ha analizzato la traduzione del Nuovo Testamento in gotico approntata da Wulfila nel IV secolo. Il gotico, a differenza del greco, non distingue un aoristo e un perfetto, e quindi i perfetti presenti nel testo greco sono stati tradotti alternativamente con dei presenti o con dei passati. In particolare, i perfetti di verbi stativi o indicanti un passaggio di stato del soggetto sono stati resi alternativamente con dei presenti o con dei

(23)

passati, mentre quelli dei verbi transitivi che designano un passaggio di stato dell'oggetto sono stati resi soltanto con dei passati.

Crellin nota che questo comportamento è compatibile, almeno in parte, colla semantica del perfetto: nel caso del perfetto dei verbi stativi o indicanti passaggi di stato è possibile che Wulfila abbia dato maggior risalto allo stato presente del soggetto, mentre nel caso del perfetto dei verbi transitivi il traduttore avrebbe scelto di conferire più importanza all'azione passata.

A questo proposito, si può ricordare che Maslov nota che la tipologia di perfetto da lui denominata «perfetto azionale» designa un'azione passata con rilevanza presente, ma tende a enfatizzare più l'azione passata che le sue conseguenze nel presente41. Questo tipo di perfetto corrisponde a quello che Chantraine chiamava «perfetto resultativo», tipologia di perfetto tipica dei verbi transitivi greci42. Non è inverosimile dunque che Wulfila, non disponendo nella sua lingua di un tempo con valore analogo a quello del perfetto greco, avesse preferito rendere tali perfetti transitivi con dei semplici passati, conferendo maggiore rilevanza all'azione passata da essi designata.

Anche in questo caso è quindi possibile concludere che, se il perfetto fosse stato percepito all'epoca come perfettamente sovrapponibile all'aoristo in tutti i contesti e da parte di tutti gli scriventi, le traduzioni di Wulfila in cui è impiegato il presente risulterebbero inspiegabili.

Come si è visto, le proposte che mirano a stabilire con precisione la data in cui la convergenza funzionale tra aoristo e perfetto sia giunta a compimento producono numerose incertezze, anche per le difficoltà spesso riscontrate nell'analisi degli esempi.

Tutto questo non vuole negare la convergenza funzionale subita da aoristo e perfetto né affermare che nel IV sec. d.C. i due tempi fossero usati come in epoca classica43. Tuttavia, sarà giustamente più prudente adottare un atteggiamento che eviti di

41

Maslov 1988: 65.

42 Chantraine 1926: 11-16, 119-145. Si ricorda tuttavia che, a differenza di quanto postulato da

Chantraine, questa tipologia di perfetto non è attestata solo con i verbi transitivi e che è preferibile parlare, a questo proposito, di «rilevanza presente». Per la questione si veda il già citato Haspelmath 1992: 214, n. 7.

43 La situazione molto fluida presentata dai papiri, specialmente da quelli privati, fornisce numerosi

indizi del fatto che, nei primi secoli dopo Cristo, perfetto e aoristo stessero subendo un processo di avvicinamento semantico. Mandilaras 1972: 11-18 nota che la vicinanza di senso tra questi due tempi è molto maggiore nei testi papiracei che nella κοινή letteraria e che a volte perfetto e aoristo sono morfologicamente «fusi» in delle forme ibride, come ad esempio ἐπλήρωκα, attestato in P.Oxy. 2729.21-22 (IV sec.) (Mandilaras 1972: 12). Tuttavia, come nota lo stesso Mandilaras, la situazione del perfetto nei papiri è decisamente complessa e questo tempo verbale sembra mantenere, almeno in parte, un valore

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stabilire con troppa precisione quando la sovrapposizione semantica si sia completata, pur riconoscendo che i valori di perfetto e aoristo si sono progressivamente avvicinati a partire almeno dall'età ellenistica e che i due tempi erano largamente intercambiabili in età bizantina44. Sarà inoltre necessario, specialmente per quanto riguarda i primi secoli dopo Cristo, tenere in debito conto le possibili differenze presenti tra la coscienza linguistica posseduta da un autore colto e quella di autori meno acculturati.

A proposito della questione, Dickey ha fatto notare che i mutamenti che portarono alla scomparsa del perfetto furono graduali e che probabilmente giunsero a compimento solo dopo l'epoca per la quale sono stati conservati dei papiri: «The complexity of the verbal system as a whole was diminished by the decline of the optative mood, middle voice, and perfect tense. These losses were gradual, and none of them was completed within the period of the papyri»45.

Infine, parlare come spesso si è fatto46 di una generica confusione tra perfetto e aoristo è, in alcuni casi, fuorviante: in alcune circostanze, infatti, la convergenza funzionale tra aoristo e perfetto dà origine a tendenze ben precise e non a una semplice confusione di forme verbali. Nel prossimo capitolo si esaminerà una di queste tendenze, che riguarda il verbo γίγνομαι. Dall'esame risulterà che, almeno nei testi presi in considerazione, l'uso del perfetto o dell'aoristo del verbo è differenziato su base modale: in questo caso, quindi, non si potrà parlare di una semplice confusione tra i due tempi verbali.

distinto da quello dell'aoristo. Nella stessa direzione vanno le osservazioni sull'uso di aoristo e perfetto fatte da Mayser 1926: 139-141, 176-207.

44 A proposito del perfetto in età bizantina si veda Mihevc 1959: 30-40, che nota come i perfetti con

valore di aoristo siano in quest'epoca assai numerosi. Maggior resistenza al mutamento sembra aver manifestato il perfetto passivo, che mantenne il suo valore di perfetto più frequentemente e più a lungo rispetto alla sua controparte attiva. Quest'ultima, invece, sembra mantenere un valore di perfetto solo in qualche esempio isolato, probabilmente per imitazione della lingua classica: il perfetto, ad esempio, può essere ancora utilizzato per indicare la responsabilità presente di un'azione commessa nel passato. Una casistica è fornita da Mihevc 1959: 31-32. Per uno studio più recente sul perfetto in età bizantina si veda Hinterberger 2014, che nota che il perfetto transitivo attivo e medio tende ad essere usato con valore di aoristo, mentre i perfetti intransitivi o passivi possono essere usati con valore di aoristo, ma anche mantenere una connessione col presente. Un'analisi dettagliata è fornita da Hinterberger 2014: 188-198.

45 Dickey 2009: 155. Della stessa opinione è Bentein 2016: 155-156. È molto difficile stabilire una data

precisa per l'inizio e la fine di mutamenti linguistici graduali. Prendendo in considerazione un caso analogo tratto dall'italiano, si ricorda che sarebbe impossibile, ad esempio, stabilire con precisione quando l'uso del congiuntivo in questa lingua abbia iniziato a contrarsi.

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1.3. Il greco e le altre lingue: i sistemi verbali copto e aramaico

Prima di passare ad analizzare l'uso di aoristo e perfetto di γίγνομαι, sarà tuttavia necessario prendere in considerazione, anche solo in breve, la situazione linguistica presente in Egitto e nelle zone orientali dell'Impero romano, in cui il greco conviveva con i dialetti del copto e con le lingue semitiche: da queste zone, infatti, provengono la documentazione papiracea e molti dei testi utilizzati nel dibattito sulla fusione tra perfetto e aoristo.

La questione delle influenze del copto o delle lingue semitiche sul greco delle regioni in cui queste lingue erano parlate meriterebbe di essere approfondita con più attenzione. In questa sede ci si limiterà, tuttavia, ad analizzare il sistema tempo-aspettuale di queste lingue in relazione alla questione del perfetto greco e a verificare la possibilità che, ad esempio, un parlante copto o aramaico tendesse a non percepire chiaramente la differenza di valore tra perfetto e aoristo greci.

Tale fenomeno è negato da McKay: egli, pur affermando la possibilità che il copto e l'aramaico abbiano esercitato una certa influenza sul greco parlato in Egitto o in Palestina, nega che ciò abbia avuto un ruolo nella convergenza funzionale tra aoristo e perfetto greci e ribadisce che nel Nuovo Testamento e nei papiri egiziani non ci sono prove che questi due tempi verbali stessero subendo un processo di sovrapposizione semantica47. Come si è visto nella sezione precedente, un'affermazione di questo tipo è troppo perentoria: sia nei papiri egiziani sia nel Nuovo Testamento, infatti, sono attestati casi in cui perfetto e aoristo sembrano avere il medesimo valore.

Per quanto riguarda i sistemi tempo-aspettuali delle lingue in questione, si inizierà prendendo in considerazione il caso del copto.

La coniugazione dei verbi copti è piuttosto complessa e gli affissi che marcano la persona del verbo, se presenti, possono essere prefissi all'infinito del verbo o suffissi a delle particolari «basi di coniugazione», ossia delle particelle che conferiscono al tema verbale numerosi valori temporali, aspettuali o modali48. Il passato è espresso dalla base a-, a cui vengono aggiunti gli affissi personali e l'infinito del verbo. Questa forma

47 McKay 1981: 294-295; McKay 1980: 24-25, 31-32.

48 Sul verbo copto si vedano Tattam 1863: 45-99; Layton 2000: 125-142, 151-157, 233-296. Gli affissi

personali non sono presenti se il soggetto è costituito da un nome comune o un nome proprio. Si precisa che, oltre all'infinito, esistono altre due forme della radice verbale a cui possono essere aggiunti i prefissi personali, ossia l'imperativo, di solito identico all'infinito, e la forma stativa, che è la controparte stativa dei verbi dinamici.

(26)

verbale designa un'azione genericamente avvenuta e conclusa nel passato, senza specificare se essa abbia o no una relazione con il presente: può, dunque, avere sia il valore di un passato perfettivo, quale è l'indicativo aoristo greco, sia quello di un perfetto49. Si veda, ad esempio, la frase seguente:

Layton 2000: 260

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w-epistolē e- a- f- sah- es

ART.INDET.SG-lettera REL-PST-3.M.SG- scrivere- 3.F.SG.OGG

ša- ne- snēw et-hen- t- eksēne.

a- ART.DET.PL- fratello.PL REL-in- ART.DET.F.SG- estero

Una lettera che egli scrisse ai fratelli che stavano in terre straniere.

Il verbo afsah indica semplicemente che l'azione dello scrivere si è svolta nel passato, senza fornire alcuna informazione su un'eventuale connessione di tale azione con il presente: in assenza di un contesto adeguato che permetta di eliminare i dubbi, questa forma può, pertanto, corrispondere sia all'aoristo greco ἔγραψε sia al perfetto γέγραφε.

La situazione è simile nel caso delle lingue semitiche parlate nella parte orientale dell'impero: i dialetti aramaici, come ad esempio il siriaco, distinguono un «imperfetto», che designa un'azione incompleta e generalmente è impiegato come futuro, e un «perfetto», che, a dispetto del nome, designa semplicemente un'azione completa e è solitamente impiegato come passato. L'azione passata designata dal perfetto può anche intrattenere una relazione con il presente, ma tale relazione non è segnalata da nessuna marca morfologica specifica e può essere dedotta unicamente dal contesto in cui la forma verbale viene impiegata50.

49 Sul passato in copto si veda Layton 2000: 259-260, 438 che, quando traduce i verbi impiegati come

modello di coniugazione, fornisce sempre una doppia traduzione sia col past simple sia col present

perfect. Il copto possiede anche una base di coniugazione che ha un esplicito valore di perfetto (empate-),

ma il suo uso è limitato ai contesti in cui si vuole affermare che una certa azione non è ancora avvenuta. Per affermare, invece, che un'azione è già avvenuta nel momento presente il copto può ricorrere a varie perifrasi che sono, però opzionali: anche il solo passato può, infatti, avere questo valore. A proposito di questi usi si veda Layton 2000: 260-261.

50

Sul verbo siriaco e aramaico si vedano Nöldeke 1880: 178-186; Pazzini 1999: 52-60. Sul perfetto siriaco si veda anche Healey 2005: 28-29, che ricorda che questo tempo può essere tradotto in inglese sia con il past simple sia con il present perfect a seconda del contesto. È molto simile anche la situazione del sistema verbale ebraico, il cui «perfetto» designa semplicemente un'azione completa, di solito passata,

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Si vedano, a questo proposito, i seguenti esempi:

Dottrina di Addai, 3a

(13)

šem῾-et ῾lay-k w=῾al ᾿āsyutā-k.

sentire-1.SG.PRF a.proposito.di-2.M.SG e=a.proposito.di guarigione-2.M.SG

Ho sentito di te e della tua arte di guarire.

Il breve passo è tratto dalla Dottrina di Addai, opera che racconta la leggenda di re Abgar di Edessa: il re, che era malato, aveva sentito parlare di Gesù e delle sue capacità taumaturgiche e aveva quindi deciso di invitarlo nella sua città per essere guarito dalla malattia e per adorarlo. Purtroppo, quando il messo con la lettera di invito arriva a Gerusalemme, Cristo sta per essere processato in casa del gran sacerdote e non può andarsene, ma, ammirando la fede di Abgar, permette che venga eseguito un ritratto del suo volto, che viene poi portato a Edessa.

In questo caso l'azione designata dal perfetto šem῾et intrattiene una relazione con il presente: Abgar ha sentito parlare delle capacità di Gesù e pertanto le conosce, e proprio questa conoscenza lo spinge a invitare il Messia nella sua città. La connessione con il presente è apertamente espressa nella traduzione inglese di questo testo approntata da Howard, che traduce šem῾et con il perfetto I have heard51.

Diverso è, invece, il valore del perfetto nell'esempio seguente, tratto dalla stessa opera:

Dottrina di Addai, 4a

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šqal h

w=ṣār

prendere[3.M.SG.PRF] essere[3.M.SG.PRF] e=dipingere[3.M.SG.PRF]

ṣalm-eh d=Yešu῾.

immagine-3.M.SG REL=Gesù

Prese e dipinse un'immagine di Gesù.

che può intrattenere o meno una relazione con il presente. A questo proposito si vedano Kautzsch, Cowley 1910: 309-311 e Weingreen 1939: 56-57.

51 Howard 1981: 7. L'inglese, in questo caso, è particolarmente utile perché distingue nettamente il

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L'estratto proviene dalla sezione della Dottrina in cui il pittore di Abgar, che era andato in ambasceria a Gerusalemme insieme al messo del re, dipinge l'immagine del volto di Cristo. Tale immagine, una volta portata a Edessa, proteggerà la città dall'assalto di ogni nemico.

In questo caso i perfetti sono impiegati in una narrazione che descrive eventi avvenuti nel passato e senza relazione con il presente. Niente, tuttavia, differenzia morfologicamente queste forme verbali da quella vista nell'esempio precedente, in cui l'azione aveva degli effetti sul presente. In questo caso, Howard traduce i perfetti in questione con il past simple52.

Come si è già visto, la possibilità che il greco abbia subito gli influssi delle lingue con cui veniva a contatto, specialmente nella parte orientale dell'Impero romano, è stata spesso negata o non considerata, mentre meriterebbe di essere indagata più nel dettaglio, nei limiti del possibile. Spesso gli studi parlano, anzi, di «greco popolare», considerando il greco dei primi secoli dopo Cristo come una sistema linguistico sostanzialmente unitario53. È possibile, purtroppo, fare soltanto ipotesi su un'influenza semitica o copta sul greco parlato in zone come l'Egitto, la Palestina o la Siria, ma sembra improbabile che una lingua come il greco presentasse poche o nulle differenze regionali, soprattutto se si considera che era diffusa in tutta l'area del Mediterraneo Orientale, che si trovava a contatto con una grande varietà di lingue e dialetti differenti e che molti parlanti e autori di testi greci avevano il greco come seconda lingua.

È inoltre opportuno notare che un grande numero di dialetti e varianti regionali esiste anche in lingue parlate in epoca contemporanea e diffuse in un'area molto minore rispetto a quella in cui era diffuso il greco nei primi secoli dopo Cristo: è questo il caso, ad esempio, di molte lingue romanze.

A questo proposito, il già citato contributo di Squartini e Bertinetto sulla convergenza funzionale tra perfetto e passato perfettivo romanzi ha mostrato che la situazione è piuttosto complessa. In quasi tutte le varietà romanze il perfetto, solitamente una perifrasi formata con il verbo «avere» o «tenere» e il participio passato, tende ad assumere sempre più il valore di passato perfettivo e a soppiantare la vecchia

52 Howard 1981: 9. 53

La questione è complicata dal fatto che molti degli esempi di «greco popolare» che possediamo sono attestati proprio in testi papiracei, testi che però provengono in massima parte dall'Egitto, ossia da un'unica area ben delimitata. I problemi derivati dalla visione del greco parlato come un sistema linguistico unitario e omogeneo sono messi in luce anche da Manolessou 2008: 73; Bentein 2013a: 6.

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