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I SOFISTI: la ragione in una strada senza uscita

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(1)

I Sofisti

La ragione in una strada senza

uscita

(2)

Il contesto storico

• I sofisti sono un gruppo di filosofi assimilabili per

dottrina, atteggiamento complessivo di fronte

alla realtà e contesto storico-geografico in cui

agiscono.

• La fioritura del movimento sofistico è da

collocarsi nell’Atene del V secolo, appena uscita

vittoriosa dalle guerre contro i Persiani e

governata, non senza discussioni, ripensamenti

e conflitti interni, da un regime democratico, il cui

(3)

Il termine “sofista”

• La parola deriva dal greco “sophistés” che significa “sapiente”. Quindi possiede una connotazione decisamente positiva. Tuttavia, anche a causa delle reazioni dei filosofi successivi (soprattutto Platone e Aristotele), il termine assunse un significato spregiativo. Infatti nei sofisti vennero indicati coloro che utilizzavano il sapere per il proprio vantaggio personale, adattandolo alle esigenze di coloro da cui venivano pagati, con una

sostanziale indifferenza per la verità delle cose, cui

associavano un’elevata competenza retorica, in grado di elaborare discorsi convincenti, belli, apparentemente giusti quanto capziosi e sottilmente ingannevoli.

(4)

Una rivalutazione?

La critica filosofica si è da tempo

emancipata dai giudizi di condanna

espressi da Platone e Aristotele (e da

molti contemporanei), cercando di valutare

con più equilibrio la loro filosofia. Di essa

oggi viene rivalutata la componente

“illuministica” particolarmente affine ai temi

della riflessione moderna.

(5)

Illuminismo 1

• A che cosa si allude con la locuzione “componente illuministica”? Si allude alla consonanza della riflessione dei sofisti con l’atteggiamento di un movimento filosofico nato nel secolo XVIII che, insistendo sul primato assoluto della ragione umana, le affidava il compito di emancipare l’uomo da tutte le credenze religiose, da tutte le tradizioni civili, sociali e culturali provenienti da un passato

considerato preda della superstizione e dell’ignoranza. Il tutto

per costruire un mondo umano e politico più a misura d’uomo, finalmente capace di riconoscere l’autonomia di ogni individuo,

l’uguaglianza universale tra gli uomini e la possibilità di una

grande impresa associata dell’umanità nel progresso tecnico

finalizzato al dominio su tutte le forze della natura.

• Di tale movimento bisogna sottolineare certo gli aspetti positivi della

promozione della critica razionale delle idee tradizionali e dei

luoghi comuni, cosa che peraltro è una caratteristica della filosofia di tutti i tempi.

(6)

Illuminismo 2

• Nondimeno non si può tacere la sua componente prometeica: cioè l’atteggiamento di orgoglio e superbia verso tutte le produzioni delle diverse tradizioni culturali e civili che non avessero con loro una sufficiente affinità. A ciò si aggiunga l’ambizione di dominio nei confronti della natura, considerata come il luogo di libera azione della volontà umana, non trattenuta da una verità superiore, non limitata da nulla se non da se stessa e dai propri scopi, ritenuti di per sé razionali.

• Questo generale atteggiamento di superbia, tramutatosi in azione politica, generò il Terrore durante la Rivoluzione francese e l’arrogante imperialismo napoleonico che, tra le altre cose, senza liberare nessuno dalla tirannia dell’autorità, depredò l’Italia di innumerevoli tesori d’arte e di civiltà.

(7)

Illuminismo sofistico

• L’illuminismo dei sofisti, influenzò molti personaggi della politica ateniese, anche se non determinò un grande rivolgimento sociale, civile e, diremmo, epocale, come la Rivoluzione francese della fine del XVIII sec. L’analogia con il periodo dei philosophes si deve pertanto prudentemente limitare

1) all’ esaltazione dell’autonomia della ragione umana;

2) alla critica serrata delle credenze religiose e delle filosofie che ambivano a giungere ad un concetto univoco di verità;

3) all’idea, presente solo in alcuni filosofi, di un’uguaglianza

universale degli uomini fondata sul possesso del logos, in

grado di superare le differenze culturali tra le varie civiltà e le differenze sociali all’interno di ciascuna di esse.

(8)

Sofisti in politica

• I sofisti in politica usufruirono dei vantaggi del clima aperto alla discussione offerto dall’ordinamento democratico. Essi quindi in gran parte appoggiarono scelte politiche democratiche, quando i loro interessi non furono orientati più direttamente da una vicinanza a uomini politici di diversa estrazione. In tal caso i sofisti, (per esempio Callicle) non ebbero remore a stabilire che la legge di natura alla quale far riferimento nell’organizzazione dello Stato doveva identificarsi con il “diritto del più forte” e che le leggi civili non erano altro che stratagemmi inventati dai deboli per

salvaguardarsi dai potenti.

• In ogni caso essi furono oggetto di una severa accusa: l’aver favorito la decadenza di Atene con la loro educazione amorale, che avrebbe creato le condizioni per il successo di demagoghi senza scrupoli, ammaliatori del popolo, senza una precisa linea politica e

(9)

Caratteristiche teoretiche e culturali

del movimento sofistico

• Al di là delle diversità tra filosofo e filosofo, possiamo individuare ulteriori caratteristiche comuni alla speculazione dei sofisti:

Lo spostamento dell’asse della riflessione filosofica dalla PHYSIS all’UOMO. Consapevoli delle diverse e inconciliabili soluzioni che i fisici avevano proposto al problema fisico-cosmologico, i sofisti lo abbandonarono in quanto privo di reale interesse, per dedicarsi alle questioni ANTROPOLOGICHE, ETICHE e POLITICHE

• Coerentemente con la loro critica del sapere e delle usanze tradizionali, ritennero che la cultura potesse essere appannaggio di chiunque avesse ascoltato con seria applicazione i loro discorsi. Ebbero dunque a cuore il problema educativo, dedicandosi all’insegnamento e alla ricerca di allievi ai quali comunicare la loro prospettiva filosofica.

• L’insegnamento era per loro una «professione» nel senso che essi richiedevano un compenso ai loro allievi, con il quale potevano condurre la loro vita itinerante di città in città, al servizio di chiunque avesse voluto ascoltarli. Anche tale abitudine fu aspramente stigmatizzata da Platone e Aristotele, che li accusarono, non senza una qualche ragione, di offrire al committente di turno la verità che egli voleva sentirsi dire e gli strumenti

(10)

Il metodo argomentativo dei sofisti

• I sofisti sono considerati gli inventori delle

tecniche di persuasione, cioè di un

metodo atto a rendere ogni discorso

convincente e affascinante ossia di un’arte

della retorica.

• Essa

anzitutto

si

qualifica

come

un’eristica.

(11)

L’eristica

• Eris=contesa. I sofisti prediligevano la discussione con l’avversario. Cercavano il contrasto per far prevalere la propria tesi contro una tesi contraria. Il loro atteggiamento era dunque dialettico (cioè fondato sul

confronto di argomenti contrari) e polemico. La finalità

particolare e occasionale di far prevalere una tesi sull’altra indicava che l’atteggiamento dei sofisti non ambiva alla ricerca di una verità comune, ma semplicemente, grazie all’uso di specifiche tecniche del discorso, alla vittoria nei confronti dell’avversario. Per questo motivo, in Platone e Aristotele, l’eristica diverrà sinonimo di arte di ingannare, cioè di affermare una qualsiasi opinione a prescindere dalla sua verità.

(12)

Macrologia e brachilogia

• Il discorso a seconda delle circostanza poteva

essere lungo e articolato, per fornire un

adeguato sostegno ad una tesi e per anticipare

le possibili obiezioni (discorso macrologico da

macròs = lungo, grande + logos = discorso).

• Oppure poteva essere breve e pungente, per

far cadere con una battuta penetrante la tesi

avversaria (discorso brachilogico da brachýs =

breve + logos = discorso).

(13)

L’antilogia

• Molto spesso di fronte ad un’affermazione di qualsiasi tipo, i sofisti opponevano l’esatto contrario, per evidenziare l’inconciliabilità tra i due opposti. Se ciò era possibile, diventava sufficiente sostenere la tesi preferita, per escludere necessariamente l’altra, oppure dimostrare l’inconsistenza della tesi avversaria per affermare automaticamente la propria (come già aveva fatto Zenone). Il problema stava tutto nel fatto che i sofisti si vantavano di possedere una tecnica tale per cui a seconda delle circostanze potevano far prevalere una qualsiasi delle due opinioni sull’altra, dissolvendo quindi l’idea che vi fosse una verità certa da raggiungere e su cui fondare il proprio modo di vedere le cose.

(14)

Il pregio dell’antilogia

Se utilizzata come metodo di confutazione dell’avversario, l’antilogia appare come uno strumento retorico senza ulteriore significato.

Tuttavia esso può essere estremamente utile al ragionamento filosofico in generale. Infatti attraverso l’antilogia noi siamo chiamati ad uscire dalla nostra

usuale opinione, per porre attenzione all’altra faccia delle cose, al lato nascosto che all’inizio non avevamo

considerato. Allora, lungi dal concludere che le cose non hanno né un senso, né una realtà, possiamo conoscerle in modo più completo ed esaustivo, tenendo adeguatamente conto di tutti i loro aspetti.

(15)

Il linguaggio

• Se era possibile, con consumata abilità, sostenere qualsiasi tesi e il suo contrario, ciò significa che il linguaggio, cioè le nostre parole che vogliono descrivere una realtà, perde la sua stretta correlazione con l’essere. Il linguaggio non dice più l’essere delle cose, diviene una convenzione umana, cioè l’invenzione di vocaboli e di regole grammaticali-sintattiche cui, grazie ad un accordo collettivo si assegnano, alcuni significati, senza relazione con la verità di ciò che di volta in volta viene detto e descritto. Se infatti posso sostenere qualsiasi tesi e il suo contrario, non vi è alcun rapporto tra quello che dico e l’unica realtà che ho di fronte. La finalità del linguaggio non è più quindi quella di “dire” l’essere, come in Parmenide, ma di convincere l’interlocutore: essa è perciò persuasiva e non descrittiva.

(16)

Protagora

• Nacque ad Abdera ,cittadina situata sulle coste della Tracia, nel 490 a.C. circa. Subì l’influenza di Eraclito e, nel corso della sua vita si spostò spesso di città in città per insegnare, ottenendo notevoli successi. Fu anche amico di Pericle, capo carismatico dell’Atene democratica al culmine della sua potenza politica. Ad Atene, malgrado l’appoggio di Pericle, le sue idee suscitarono scandalo ed egli dovette abbandonare la città. Morì in esilio nel 411, probabilmente in occasione di un naufragio. Tra le sue opere: le Antilogie e Sulla

(17)

L’uomo misura

• L’affermazione fondamentale della filosofia

protagorea è la seguente:

«L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle

che sono in quanto sono, di quelle che

non sono in quanto non sono» (fr. 1, in

Platone, Teeteto, 152a).

(18)

Che cosa significa dire che

«l’uomo è misura»?

• L’affermazione sostiene che la qualità di

tutte le cose dipende dal modo in cui

l’uomo le vede e le valuta.

• Insomma l’uomo è il metro di tutto ciò che

noi indichiamo con il nome di «cosa».

• Ma che cosa si intende per «uomo»?

• E che cosa si intende per «cosa»?

(19)

Secondo Platone

• Secondo l’interpretazione di Platone,

l’uomo cui si riferisce Protagora è il

SINGOLO INDIVIDUO e le cose sono gli

OGGETTI PERCEPITI CON I SENSI.

• Questa è la lettura che ha avuto più

successo nella storia della filosofia e che

ha contrassegnato la filosofia protagorea

come RELATIVISTA.

(20)

Il RELATIVISMO

• Il relativismo è quell’impostazione filosofica per la quale «tutto è relativo» e non vi è dunque un verità assoluta cui far riferimento.

Tutto è relativo vuol dire che tutto dipende dal modo in cui il singolo

individuo interpreta e legge la realtà sensibile.

Per esempio: relativamente a me il gelato è buono; relativamente a un’altra persona lo stesso gelato è cattivo.

Relativamente a me un corpo è pesante, relativamente ad Hulk Hogan lo stesso corpo è leggero.

• Ciò è particolarmente evidente quando noi ci affidiamo ai nostri

sensi, la cui conformazione cambia da persona a persona (diverso

sarebbe per le verità logico-matematiche, in cui è più difficile dire «relativamente a me 2+2=4 e relativamente a te 2+2=5).

(21)

Una seconda interpretazione

• La stessa affermazione di Protagora sull’ «uomo

misura» potrebbe essere intesa in modo da attribuire

alla parola «uomo» il significato di «umanità»,

«razza umana» e alla parola «cosa» il significato di

«realtà in generale».

• In questo caso il relativismo verrebbe meno, perché

ci troveremmo sempre, di fronte alla realtà, ad

essere concordi fra gli uomini, cioè fra tutti coloro

che posseggono la ragione. Le nostre valutazioni

sarebbero allora stabili e non cambierebbero da

(22)

Umanismo

• In quest’ultimo caso ci si troverebbe di fronte

solamente ad una filosofia umanista (e non

come prima umanista e relativista).

• Per umanismo si intende un pensiero che si

concentra sull’uomo, inteso quale centro

primario dell’interesse filosofico, attorno a cui

ruota tutto l’universo delle cose e della realtà.

Ciò avviene in modo tale che senza l’uomo, in

fondo, la realtà non avrebbe alcun senso.

(23)

Una terza interpretazione

• Nicola Abbagnano suggerisce anche la possibilità di una terza interpretazione, quella per cui «uomo» significa

«persona che appartiene ad una data civiltà». In

quest’ultimo senso la frase di Protagora affermerebbe che la valutazione sulle cose in generale cambierebbe a seconda dei popoli e delle culture, infatti la cultura di una data comunità sarebbe «metro» di tutte le cose. Per esempio (l’esempio non è ovviamente di Protagora) se per un cristiano mangiare maiale non è un’azione sbagliata, per un mussulmano lo è. Per gli uni la carne di maiale va benissimo, per gli altri è «impura».

(24)

Relativismo

• In questo caso ci si troverebbe di fronte ad una

diversa

forma

di

relativismo,

che

assumerebbe come criterio di riferimento non il

singolo, ma la collettività. Non vi potrebbero

essere giudizi stabili e veritieri, giacché la verità

cambierebbe da regione a regione a seconda

dei popoli e dei gruppi umani che le abitano. La

terza interpretazione dunque, quanto alle

conseguenze filosofiche, sarebbe del tutto

assimilabile alla prima.

(25)

In ogni caso

• Ogni interpretazione della frase protagorea

dovrebbe comunque convenire sul fatto che a

Protagora interessa comprendere come le cose

APPAIONO all’uomo. L’essere delle cose, cioè

la loro verità più profonda, dipende dal modo in

cui le cose appaiono al soggetto che le vede,

le pensa, le soppesa e le valuta. Questa

impostazione si può chiamare FENOMENISTA

(feonomeno=ciò che appare).

(26)

L’interpretazione preferibile: il

relativismo

• Due delle tre interpretazioni fornite dagli studiosi insistono sul carattere relativistico della filosofia di Protagora. Se fosse vera la rimanente, cioè quella che afferma l’idea che le cose appaiono all’uomo in quanto «umanità fornita di logos», difficilmente il pensiero del nostro filosofo avrebbe suscitato le reazioni che ha prodotto nei contemporanei e nei filosofi immediatamente successivi e difficilmente la sofistica successiva avrebbe proseguito su questa strada, radicalizzando addirittura le impostazione del pensatore di Abdera. Dunque possiamo definire la filosofia di Protagora umanista, fenomenista e relativista. L’uomo è il metro di valutazione, le cose hanno una loro consistenza in quanto appaiono all’uomo che le valuta, ma le valutazioni divergono da uomo a uomo e quindi non esiste una

(27)

Conseguenze del relativismo

• Per essere coerente con un’impostazione relativista bisogna abituarsi a convivere con il caos e il disordine

più assoluto nella propria e nell’altrui vita. Infatti se

tutto è relativo, nulla è propriamente vero, e se nulla è vero, come debbo regolarmi per agire nella mia vita? Poiché i giudizi sulle cose dipendono dallo stato momentaneo di una persona o dalla casualità che lo ha posto a vivere in una regione della terra piuttosto che in un’altra, manca un criterio assoluto per agire e

(28)

Per esempio

• Per esempio ci si può domandare:

• È giusto compiere un sacrificio umano ad

un dio?

• Il relativista coerente risponderebbe: «Se

per chi lo compie è giusto, allora è giusto;

se per un altro è sbagliato, allora è

sbagliato»

(29)

Per uscire dall’impasse

• Per tentare di superare questo scoglio,

Protagora

opta

per

una

soluzione

UTILITARISTA. Cioè elegge, in mancanza di

una verità valida per tutti, il criterio dell’utile

come modello per orientare l’azione. Pertanto

quando ci si appresta a compiere un’azione, ci si

domanderà sempre quale sia l’utilità di

quell’azione per chi la compie. Tale utilità i

sofisti, però, agganciavano alla comunità in

modo da ricercare sempre l’utile collettivo più

(30)

Razionalità debole: il criterio

dell’utile

È tuttavia innegabile che anche il criterio dell’utile o è vero e giusto per tutti (cioè tutti dovrebbero farlo proprio in quanto superiore agli altri), e allora contraddice l’impostazione relativista, oppure non lo è, e allora non può essere assunto in maniera filosoficamente giustificata. Per questo si parla di una razionalità “debole”, cioè di un’indicazione di massima, senza pretese di universalità e validità, ma solo come rimedio particolare alla mancanza di criteri, data la necessità per gli individui di prendere comunque delle decisione su che cosa fare nella quotidianità della vita.

La razionalità debole ha un carattere dunque provvisorio, locale, limitato nello spazio e nel tempo, non pienamente giustificato e non giustificabile, senza pretese di verità, di contro alla ricerca di una verità autentica e stabile propria della razionalità “forte”.

(31)

La religione

• L’atteggiamento di Protagora nei confronti della

religione è fondamentalmente agnostico

(a-gnosis= non-conoscenza; quindi degli dei non

possiamo dire nulla perché non si possono

conoscere):

“Degli dei non sono in grado di sapere né se sono,

né se non sono, né quali sono: molte sono infatti

le difficoltà che si frappongono: la grande

oscurità della cosa e la limitatezza della vita

umana” (fr. 4).

(32)

La politica e le leggi

Le leggi civili non hanno una natura divina, bensì

sono esclusivamente convenzioni umane, cioè

norme che l’uomo ha deciso, di elaborare al fine

di poter rendere possibile la convivenza. Ciò è

avvenuto attraverso un accordo dei singoli su

alcuni comportamenti che è necessario

mantenere o evitare. Dunque non possiedono

una verità superiore, ma sono ugualmente da

rispettare, perché altrimenti la società non

potrebbe sussistere, e senza la società non

sarebbe possibile nemmeno la vita del singolo.

(33)

Il nichilismo di Gorgia

• Gorgia di Lentini, città situata nelle colonie della

Magna Grecia (in Sicilia, nell’odierna provincia di

Siracusa), nacque nel 485 circa e morì a 109

anni a Larissa in Tessaglia (Grecia). Fu

discepolo di Empedocle e scrisse, tra le altre

opere, Sul non essere e l’Encomio di Elena (di

cui rimangono solo alcuni frammenti). Egli è

l’altra grande personalità del movimento

sofistico, insieme a Protagora.

(34)

Nichilismo

• Il termine è ovviamente successivo, e

deriva dal latino NIHIL=niente, nulla.

Una filosofia si dice nichilistica quando

giunge a negare la possibilità di conoscere

la realtà da parte dell’uomo. Anzi, quando

tale negazione è associata all’idea che

nulla può esistere, e che l’essere delle

cose in realtà è pura illusione.

(35)

Nulla esiste e nulla è conoscibile né

comunicabile

• L’atteggiamento relativistico di Gorgia viene portato alle estreme conseguenze. Se tutto dipende dal modo in cui io vedo le cose, e se il mio punto di vista è diverso da quello degli altri, che pure è ugualmente sostenibile attraverso un discorso adeguato, ciò significa che

• 1) Nulla esiste cioè non c’è una realtà univoca a

cui fare riferimento,

• 2)e se anche ci fosse non riuscirei a conoscerla,

• 3)e se anche la conoscessi, non potrei comunque

(36)

La dimostrazione

• Queste tesi vengono dimostrate con un

abile utilizzo di quella stessa modalità di

ragionamento inaugurata da Zenone e da

Melisso di Samo (seguaci di Parmenide),

consistente, da un lato, nel sostenere

razionalmente le proprie conclusioni,

dall’altro, e soprattutto, nel portare

(37)

Prima affermazione: l’essere non esiste, ma

se l’essere ci fosse

• Secondo le testimonianze convergenti di un testo pseudo aristotelico e di Sesto Empirico, il ragionamento gorgiano avrebbe il seguente andamento.

• Nulla esiste (tesi di Gorgia, da dimostrare)

• Se qualcosa esistesse (ammissione della tesi contraria) potrebbe essere (discussione delle conseguenze, fino all’assurdo):

• 1) Essere (potrebbe esistere l’essere) O

(38)

L’essere che è, è eterno

• …ma

1) Se l’essere è, può essere

a)eterno, b)generato,

c)oppure eterno e generato insieme.

a) Se l’essere è eterno, non ha principio, cioè non ha un inizio nel tempo. Se non ha un inizio nel tempo, è illimitato. Questo è il passaggio critico del ragionamento. Infatti assume come identici il non aver inizio nel tempo e l’illimitatezza nello spazio, deduzione che appare del tutto arbitraria, ma che Gorgia intende vera. Dunque se l’essere è eterno e non ha principio, esso è illimitato nello spazio. Se l’essere è illimitato, non è in alcun luogo, perché essere in un qualche luogo significherebbe che l’essere è CONTENUTO in quel luogo. Ma non è possibile che qualcosa di illimitato possa essere contenuto in qualche luogo.

(39)

L’essere che è, è generato

• B) se l’essere, invece, fosse generato sarebbe

x) generato dall’essere, ma se così fosse,

sarebbe generato da se stesso, e quel se

stesso già c’era prima. Quindi non sarebbe

generato (e si ritorna al punto A);

y) generato dal non essere, ma ciò è impossibile

perché dal nulla non può venire nulla.

(40)

L’essere che è, è generato ed

eterno assieme

• Questo non è possibile perché

generazione ed eternità sono

termini in contraddizione e si

escludono a vicenda.

• Quindi se l’essere, che è, non è

né eterno, né generato, se ne

deduce che non può esistere.

(41)

Seconda possibilità: esiste ciò

che non è

• 2) Passiamo ora al secondo punto. Si era detto all’inizio che se qualcosa esiste, può esistere ciò che è e ciò che non è. Al primo punto abbiamo dimostrato che non è possibile che l’essere sia esistente, adesso si dimostra che non è parimenti possibile che il non essere sia esistente.

• Infatti dire che esiste il non essere significa dire che ciò che è in

realtà non è, cioè attribuire, in palese violazione del principio di non

contraddizione, due predicati contrari allo stesso soggetto nello stesso tempo e sotto il medesimo punto di vista. Infatti dire «essere» = dire «ciò che è», e dire che l’essere non è significa dire «ciò che è, al tempo stesso , non è». Questo è manifestamente assurdo.

(42)

Seconda affermazione: se l’essere esistesse

non sarebbe conoscibile

• Possiamo pensare cose non esistenti: per esempio la chimera, o il sarchiapone (l’esempio ovviamente non è di Gorgia … o forse…?)? Evidentemente sì. Ma se è così, semplificando la complessa deduzione gorgiana, la conclusione è che ciò che è esistente non lo possiamo pensare. Infatti Gorgia la mette così:

• SE le cose pensate (P) non sono esistenti (non E) • ALLORA ciò che esiste (E) non è pensato (non P).

Il ragionamento sembra tenere. Proviamo a metterlo in forma di equazione:

(43)

Il problema

• Il guaio è che il ragionamento contiene anche qui un piccolo inganno. Infatti se io dico che POSSO pensare qualcosa di non esistente, come la chimera e il sarchiapone, non significa che tutto ciò che penso sia inesistente. Ma il ragionamento di Gorgia dà per scontato, quando dice «se le cose pensate non sono esistenti», che TUTTO ciò che penso sia inesistente. Solo così il ragionamento funziona. Infatti solo se tutto ciò che penso non esiste, ciò che esiste non lo penso. Ma in realtà bisognerebbe metterla così: qualche cosa che penso non esiste, allora…con questa premessa il ragionamento di Gorgia non funziona. Inoltre un parmenideo direbbe comunque che ciò che non esiste e che tuttavia si pensa non è altro che una composizione di ciò che esiste, se infatti lo descriviamo nei particolari, chiedendoci che cosa è, descriveremmo particolari tratti da cose realmente esistenti: nel caso della chimera la testa di leone, la testa di capra, il corpo di leone e la coda di serpente…

(44)

Terza affermazione: se anche l’essere fosse

conoscibile non sarebbe comunicabile

• Se l’essere fosse e fosse conoscibile non sarebbe comunicabile. Infatti quando io pronuncio una parola, essa manifestamente non

è la cosa che io intendo comunicare con la parola. Infatti la parola

«ruota», non è la ruota della mia Opel corsa, poiché la auto non vanno su quattro parole, ma su quattro ruote. Vi è cioè una

differenza ontologica fondamentale tra le parole e le cose. Le parole non sono le cose e le cose non sono le parole. Questo

secondo Gorgia rende impossibile alle parole significare le cose, cioè essere usate per dire le cose nella loro vera consistenza di cose.

• Il problema è che le parole, non essendo le cose, nascono come SEGNI per indicare le cose e questo è tutt’altro che impossibile, come non è impossibile che una freccia indichi la direzione in cui

(45)

Le affermazioni gorgiane…

• Nonostante i problemi che si sono

sottolineati in questo breve percorso,

Gorgia sostiene, dunque, e ritiene di aver

dimostrato

il

suo

triplice

assioma

nichilistico.

• Esso va soggetto ad un altro più generale

problema che è proprio anche del

relativismo protagoreo:

(46)

…sono assai problematiche

• In Protagora dire che tutto è relativo significa dire: «è vero che tutto è relativo», con un evidente contraddizione tra ciò che si dice nella prima parte della frase (qualcosa è vero in senso assoluto), e ciò che si dice nella seconda (tutto è relativo e quindi non esiste una verità assoluta).

• In Gorgia dire che nulla esiste, implicherebbe l’inesistenza di colui che parla, delle parole che dice, dei significati che esse esprimono…cosa che renderebbe inutile ogni affermazione e ogni idea.

• Inoltre dire che nulla è conoscibile implica che almeno una cosa è conoscibile: il fatto che nulla è conoscibile…siamo ancora in palese contraddizione.

• Infine dire che se qualcosa fosse conoscibile non sarebbe comunicabile, analogamente implicherebbe che almeno una cosa sia comunicabile: il fatto che nulla è comunicabile (altrimenti per quale ragione si dovrebbe dire che «nulla è comunicabile»)…terza e finale contraddizione! Così la dialettica

(47)

Scetticismo

• Il nichilismo che dice «nulla esiste» possiamo considerarlo come una diretta conseguenza dello scetticismo, cioè del dubbio sulle possibilità che l’uomo ha di dire realmente come stanno le cose.

• Se da un lato tale impostazione lascia grande libertà all’uomo di dire e fare quello che vuole, dall’altro lo consegna ad una disperata consapevolezza della sua fragilità e nullità.

• Il destino umano è di conseguenza assolutamente privo di un senso superiore, senza alcuna via d’uscita oltre la semplice morte dell’individuo, che è la fine di tutto, la cancellazione di ogni speranza e desiderio, di ogni bellezza e verità, nell’abisso del nulla in cui tutte le cose sono condannate a scomparire.

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