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"La Modulazione del Dolore: valutazione dell'efficacia dell'Analgesia Ipnotica"

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Mario Petrini

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica Direttore Prof. Paolo Miccoli

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Direttore Prof. Giulio Guido

_______________________________________________________________________________ _

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN PSICOLOGIA

CLINICA E DELLA SALUTE

“LA MODULAZIONE DEL DOLORE:

VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA

DELL’ANALGESIA IPNOTICA”

RELATRICE

Prof.ssa Antonella Ciaramella

CANDIDATO

Dalila Del Sole

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Abstract:

Il dolore cronico colpisce circa il 20% della popolazione europea, in particolare donne e persone anziane e nonostante l’ampia diffusione di questo disturbo la sua gestione continua ad essere insoddisfacente (Van Hecke et al., 2013). L’esperienza del dolore include una dimensione Sensoriale-Discriminativa e una Affettivo-Motivazionale, ognuna delle quali può essere più o meno modificata da tecniche psicologiche quali le suggestioni di analgesia ipnotica (Hardy et al., 1952; Buytendyck, 1961; Melzac & Wall, 1965; Melzac & Casey, 1968). L’uso di terapie non farmacologiche ha guadagnato in questi ultimi anni importante considerazione in ambito clinico come coadiuvante dei comuni analgesici utilizzati sia in ambito chirurgico nel dolore post operatorio o in procedure mediche invasive che per il trattamento del dolore cronico; l’ ipnosi è una delle più promettenti tecniche terapeutiche non farmacologiche con comprovata efficacia analgesica (Nørgaard, 2014). L’efficacia dell’analgesia ipnotica è stata confermata da una recente meta analisi che ha evidenziato gli effetti dell'ipnosi su diversi fattori pre e post-operatori, come il distress emotivo, il dolore, il consumo di farmaci, il recupero, e il tempo della procedura chirurgica (Tefikow et al., 2013). Lo scopo di questo studio è l’osservazione della risposta del dolore cronico, misurato sia clinicamente che con metodi psicofisici, ad un trattamento di autoipnosi le cui suggestioni sono mirate all’analgesia. Si è voluto osservare come la risposta analgesica all’autoipnosi possa differenziarsi in relazione al grado di aspettativa, di immaginazione e di suscettibilità ipnotica. Dai nostri dati infatti emerge che soggetti con un alto grado di aspettativa e di immaginazione tendono ad avere una migliore risposta analgesica all’ipnosi. Differentemente l’alta suscettibilità ipnotica non sembra influire in maniera rilevante sulla risposta analgesica all’ipnosi. Si è osservato che nonostante le suggestioni fossero mirate all’analgesia si è avuto un decremento dell’ansia, meno invece della depressione. Inoltre si è osservato che l’effetto DNIC, che permette la valutazione psicofisica della modulazione del dolore, viene bloccato dalla terapia ipnotica. Nella nostra osservazione questo blocco dell’effetto DNIC si è associato ad un miglioramento delle soglie dolorifiche ed ad una riduzione dei livelli di ansia e depressione. L’esiguità del campione ci ha impedito di trarre conclusioni di valido rilievo scientifico, tuttavia i risultati di questa osservazione possono fornire indicazioni per ulteriori approfondimenti nel merito dello studio dell’analgesia ipnotica.

Parole chiave: Analgesia ipnotica, Modulazione del dolore, Psicofisica, Psicopatologia,

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INDICE

PARTE I: INTRODUZIONE

CAPITOLO 1: IL DOLORE ... Pag.7

1. Il Dolore e la sua Modulazione ... Pag.7

1.1 Fisiologia della Modulazione del Dolore nel SNC ... Pag.8

1.2 Psicofisica del Dolore ... Pag.21

1.3 Psicopatologia e Dolore ... Pag.23

1.3.1 Psicopatologia e Percezione del Dolore ... Pag.26

CAPITOLO 2: L’IPNOSI ... Pag.30

2.1 Analgesia Ipnotica ... Pag.31

2.2 Correlati Neuronali dell’Analgesia Ipnotica ... Pag.33

2.3 Emozioni ed Analgesia Ipnotica ... Pag.36

2.4 Applicazione dell’Analgesia Ipnotica nella Clinica ... Pag.37

PARTE II: SEZIONE SPERIMENTALE

CAPITOLO 1: METODOLOGIA ... Pag.43

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4 1.2 Disegno dello Studio ... Pag.43

1.3 Strumenti ... Pag.44

1.4 Protocollo per induzione di Analgesia Ipnotica ... Pag.47

2. RISULTATI ... Pag.51

2.1 Descrizione del Campione ... Pag.521

2.2 Descrizione della valutazione delle Soglie Percettive e Dolorifiche valutate nella

sede del dolore ed in una regione non dolorosa al Baseline ... Pag.52

2.3 Descrizione della valutazione Clinica del Dolore e delle variabili

Psicopatologiche al Baseline ... Pag.54

2.4 Descrizione della valutazione delle Soglie Percettive e Dolorifiche valutate nella

sede del dolore ed in una regione non dolorosa Dopo il Trattamento ... Pag.56

2.5 Descrizione della valutazione Clinica del Dolore e delle variabili Psicopatologiche

Dopo il Trattamento ... Pag.58

2.6 Descrizione della valutazione clinica dell’outcome dell’Analgesia Ipnotica

mediante intervista telefonica bisettimanale ... Pag.59

2.7 Uno degli scopi di questa ricerca è stato quello di osservare l’outcome dell’analgesia ipnotica in relazione alla distinzione del gruppo in trattamento in base a tre variabili considerate molto importanti nel campo dell’analgesia ipnotica: Aspettativa, Suscettibilità, Immaginazione. Pertanto i dati relativi all’outcome verranno mostrati suddividendo il campione in base alle variabili aspettativa (tTES),

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5 2.7.1 Per quanto riguarda l’aspettativa è stato considerato con alta aspettativa quel soggetto con punteggio ≥7 alla TES l’altro gruppo è rappresentato da soggetti con

medio-bassa aspettativa (TES<7) ... Pag.61

2.7.2 Di seguito saranno riportati i dati distinguendo il campione in due gruppi: il primo con alta suscettibilità ipnotica (tHGSHS≥7) e con medio bassa suscettibilità

(tHGSHS<7) ... Pag.75

2.7.3 Abbiamo quindi distinto il campione in base al questionario che esplora la naturale immaginazione QMI i cui punteggi sono distribuiti in maniera inversa ai comuni standard. Cioè a bassi punteggi corrisponde un’alta immaginazione (con 1 si ha una immagine “chiara e vivida come se effettivamente stesse facendo l’esperienza”) mentre ad alti si ha bassa immaginazione (con 7 “non vi è alcuna immagine sa di stare solo pensando all’oggetto”). I soggetti con punteggi <300 sono stati considerati con alta immaginazione mentre i soggetti con punteggi ≥300 con

medio-bassa immaginazione ... Pag.89

2.8 Case Reports: Di seguito la descrizione di due casi particolarmente significativi .... Pag.103

3. DISCUSSIONE ... Pag.115

4. CONCLUSIONI ... Pag.123

RINGRAZIAMENTI ... Pag.125

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PARTE I

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CAPITOLO 1: IL DOLORE

1. Il Dolore e la sua Modulazione

Quando si parla di dolore dobbiamo distinguere quello acuto da quello cronico. Il dolore acuto generalmente ha un’insorgenza rapida e una funzione protettiva, ci mette in allarme per evitare un ulteriore danno fisico. Questo tipo di dolore svanisce una volta che la ferita è guarita. Solitamente non si ha esperienza di un distress emotivo perché il dolore acuto può essere facilmente controllabile. Proprio per questo i fattori psicologici associati con la maggior parte dei dolori acuti possono essere considerati positivi in quanto abbiamo un’accurata comprensione della fonte del dolore, un’aspettativa positiva di una risoluzione e un certo controllo percepito (Price & Bushnell, 2004). Una connotazione avversiva o di sgradevolezza è tuttavia riscontrabile anche nel dolore acuto in quanto strettamente legata all’intensità del dolore e alla sua capacità di disturbare le normali attività (Price & Bushnell, 2004). L’esperienza del dolore include una dimensione Sensoriale-Discriminativa e una Affettivo-Motivazionale, ognuna delle quali comprende diverse sottodimensioni che possono essere più o meno modificate direttamente da tecniche psicologiche quali le suggestioni di analgesia ipnotica (Hardy et al., 1952; Buytendyck, 1961; Melzac & Wall, 1965; Melzac & Casey, 1968). Il dolore infatti è accompagnato da sgradevolezza a connotazione negativa di sofferenza legata al tipo di stimolazione sensoriale ed alla quale parallelamente si aggiunge la sofferenza legata al significato attribuito alla percezione dolorosa; tale significato dipende dalla valutazione, dalle aspettative e dai comportamenti della persona sofferente oltre che dal contesto, spesso vissuto con un significato di minaccia o di intrusione (Ercolani & Pasquini, 2007) La dimensione affettiva del dolore è caratterizzata da due componenti (Price & Bushnell, 2004):

- Immediata Sgradevolezza del dolore la quale comprende emozioni che permangono a breve termine, spesso legata all’intensità e alla qualità della sensazione dolorifica (già presente nel dolore acuto).

- Componente Affettiva Secondaria la quale comprende le emozioni strettamente connesse alle implicazioni a lungo termine del dolore, come ad esempio un senso di sofferenza legato ad un significato più ampio del dolore ovvero alla disabilità che può generare (presente nel dolore cronico).

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8 Mentre la prima fa riferimento in particolare all’esperienza di minaccia, la seconda è il risultato di un processo molto più complesso influenzato da fattori cognitivi e da rappresentazioni interne soggettive. L’esperienza del dolore è sottesa dall’attivazione di strutture cerebrali che interagiscono nel codificare le diverse dimensioni del dolore quali: l'arousal, l'identificazione delle qualità sensoriali e della loro intensità, la selezione della risposta, le sensazioni emotive, e infine, l’espressione emotiva e la motivazione (Price & Bushnell 2004). Il dolore cronico invece non è una semplice permanenza del dolore acuto né necessariamente una conseguenza di malattia o di un danno tissutale (Price & Bushnell, 2004). Nel dolore cronico manca il significato protettivo riconoscibile nel dolore acuto ed anche se esso è conseguente ad un danno tissutale, il dolore non svanisce con la risoluzione della lesione ma si cronicizza diventando permanente. La persistenza del dolore può influire negativamente nelle relazioni interpersonali e in ogni aspetto della vita quotidiana. I soggetti affetti da dolore cronico possono andare incontro a distress psicologico, ad una compromissione del funzionamento fisico, e una ridotta indipendenza. Di conseguenza la percezione del dolore cronico può essere influenzata da diverse componenti tanto che nelle cliniche del dolore diventa necessario un approccio multimodale che comprende terapie a base farmacologica, fisioterapica e psicologica.

1.1 Fisiologia della Modulazione del Dolore nel SNC

La principale via ascendente del dolore ha origine in recettori specializzati all’interno dei tessuti del nostro corpo chiamati nocicettori. Questi recettori sono specializzati nel rispondere agli stimoli che raggiungono i tessuti ed in base alle loro caratteristiche intrinseche questi stimoli (meccanici, chimici o termici) possono generare danno tissutale o d’organo. I nocicettori sono le terminazioni libere degli assoni dei neuroni afferenti primari (A  e fibre C amieliniche). Gli afferenti primari instaurano una sinapsi con i neuroni del corno dorsale. Il corno dorsale del midollo spinale riceve informazioni somato-sensoriali da gran parte del corpo, mentre il corno dorsale del midollo allungato riceve input dalla zona oro-facciale attraverso il nervo del trigemino.

I neuroni del corno dorsale del midollo spinale (e allungato per il trigemino) si possono distinguere in tre tipi (Almeida et al., 2004):

- Neuroni Nocicettivi Specifici (NS), i quali rispondono esclusivamente a stimoli nocivi;

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9 - Neuroni ad Ampio Range Dinamico (WDR), i quali rispondono a stimoli

nocicettivi e non meccanici, termici e chimici;

- Neuroni Non Nocicettivi (N-NOC), i quali rispondono a stimoli non nocivi, a bassa intensità, meccanici, chimici e termici.

A livello spinale a causa della convergenza di fibre nocicettive e non nocicettive nei neuroni WDR si instaura un processo di modulazione del dolore in ambito spinale in quanto, questo gruppo di neuroni (WDR) ha un ruolo fondamentale nei meccanismi di soppressione del dolore (Almeida et al., 2004) coinvolti nella Gate Control Theory di Melzack & Wall (1965). Questi autori avevano ipotizzato l’esistenza di una modulazione del dolore già a livello spinale. Infatti, quando le fibre a grosso e piccolo diametro raggiungono il corno posteriore del midollo spinale, possono incontrare degli interneuroni inibitori che riducono la trasmissione del segnale. Le fibre a piccolo diametro inibiscono l’azione degli inteneuroni, mentre quelle a grosso diametro li attivano; di conseguenza una maggiore stimolazione delle fibre a grosso diametro (come per esempio una pressione) simultanea alla stimolazione di quelle a piccolo diametro, ne causerà un blocco della trasmissione e quindi una ridotta percezione del dolore (meccanismo GATE).

Dai neuroni spinali originano le principali vie ascendenti del dolore: il Tratto Spinotalamico, il Tratto Spinoreticolare e il Tratto Spinomesencefalico.

Il Tratto Spinotalamico può essere a sua volta suddiviso in 3 diverse vie (Teixeira et al., 1990; Zhang et al., 1990):

- La Via Neospinotalamica Monosinaptica o Tratto Spinotalamico Ventrale, che proietta direttamente ai nuclei del complesso laterale del talamo, coinvolto nella componente sensoriale-discriminativa del dolore;

- La Via Paleospinotalamica Multisinaptica o Tratto Spinotalamico Dorsale, che proietta ai nuclei del complesso postero mediale e intralaminare del talamo, coinvolto negli aspetti affettivo-motivazionali del dolore;

- La Via Spinotalamica Monosinaptica, che proietta direttamente al nucleo ventrale posteriore del talamo, coinvolto nella componente affettiva dell’esperienza dolorifica.

Il Tratto Spinoreticolare ha due proiezioni al tronco encefalico; una diretta al nucleo precerebellare nella formazione reticolare laterale, coinvolta nel controllo motorio, e l’altra diretta alla formazione reticolare pontobulbare coinvolta nei meccanismi nocicettivi

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10 (Millan, 1999). La vera importanza funzionale di questo tratto sembra essere dovuta alle connessioni stabilite nel tronco cerebrale perché le proiezioni ai nuclei intralaminari del talamo sono sparse e probabilmente hanno luogo per mezzo delle branche collaterali del Tratto Spinotalamico (Haber et al., 1982; Melzac & Wall, 1965).

Le afferenze del Tratto Spinoreticolare sono coinvolte nelle caratteristiche affettivo-motivazionali. Questo tratto è molto importante per la modulazione dei percorsi segmentali nocicettivi attivando strutture del tronco cerebrale responsabili della soppressione discendente (Brouker et al., 1990; Haber et al., 1982; Melzac & Wall, 1965, Zhang et al., 1990).

Nel Tratto Spinomesencefalico si possono distinguere due tipi di sistemi afferenti. Uno che proietta alla materia grigia Periacqueduttale (PAG) e l’altro che raggiunge gli strati profondi del collicolo superiore (Menetrey et al., 1982; Millan, 1999). Le proiezioni alla PAG hanno origine nei neuroni WDR e SN e sono funzionalmente distinte. Quelle che raggiungono la PAG nella porzione più dorsale hanno una funzione eccitatoria nella trasmissione nocicettiva afferente, mentre quelle che raggiungono la parte più ventrale attivano meccanismi inibitori (Almeida et al., 2004). Questo pattern di eccitazione seguita da inibizione è comunemente osservata quando viene stimolata la PAG, così come in altre regioni del mesencefalo. Questo suggerisce che vi sia un’attività autoregolatoria midollare / mesencefalica racchiusa nei meccanismi di modulazione del dolore (Dongherty et al., 1999; Yezierski, 1988; Yezierski, 1990). Oltre alle caratteristiche di elaborazione somatosensoriale e all'attivazione dei meccanismi di analgesia discendente, la stimolazione delle regioni innervate dal Tratto Spinomesencefalico produce diverse risposte implicate nell’elaborazione degli stimoli nocicettivi. La stimolazione di queste regioni è in grado di provocare comportamenti avversivi in presenza di stimoli nocivi, risposte motorie e risposte affettive (Almeida et al, 2004). Dall’interazione degli impulsi sensoriali del midollo spinale, le vie afferenti nocicettive danno origine a diversi modelli di proiezione a strutture subcorticali e corticali. Questa interazione trova espressione nelle componenti sensoriale-discriminativa e affettivo-cognitiva associate all'impulso nocicettivo.

Vari studi hanno evidenziato che il mesencefalo, il talamo, l’ipotalamo, il nucleo lentiforme, la corteccia somatosensoriale, insulare, prefrontale, cingolo anteriore e parietale sono le strutture alla base di questo circuito (Cadden & orchardson, 2001; Day et al., 2001; Derbyshire et al., 2002; Rosen et al., 2001).

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11 Il talamo rappresenta la struttura relè principale per le informazioni sensoriali destinate alla corteccia ed è coinvolto nella ricezione, integrazione e trasferimento del potenziale stimolo nocicettivo. Le diverse proiezioni ai suoi nuclei e da questi la proiezione alla corteccia costituiscono il circuito funzionale dell’elaborazione del dolore (Millan, 1999).

Il complesso nucleare laterale è costituito dai nuclei Ventroposterolaterale (VPL), Ventroposteromediale (VPM) e Ventroposteroinferiore (VPI). Vari studi hanno dimostrato che la convergenza delle fibre e la funzione di questi nuclei si verificano dalle proiezioni del Tratto Spinotalamico; quindi, è stato dimostrato che i neuroni WDR sono maggiormente concentrati nei nuclei VPL e VPM, e che i neuroni SN si trovano nel nucleo VPI (Almeida et al. 2004). Il nucleo VPL è riconosciuto come il principale relè somatosensoriale. La convergenza di stimoli nocivi e innocui di origine cutanea, muscolare e articolare è stata dimostrata in diversi studi (Chandler et al., 1992, Jensen & Yaksh, 1992; Labuda et al., 2000) così come le interconnessioni con la corteccia somatosensoriale primaria (SI), responsabile degli aspetti della localizzazione e intensità del dolore (Weng et al., 2000; Willis et al., 2001). Il nucleo VPM presenta tipi di cellule e un’organizzazione simili al nucleo VPL, essendo anch’esso coinvolto negli aspetti sensoriali-discriminativi di informazioni termiche, meccaniche e tattili (Willis et al., 2001). Per via delle sue proiezioni alla corteccia prefrontale, la convergenza delle fibre provenienti dalla regione parabrachiale e dal nucleo paratrigeminale, insieme alle interconnessioni con l'amigdala, l'ipotalamo e la PAG, si può dedurre un coinvolgimento del nucleo VPM in aspetti affettivi, psicomotori e risposte autonomiche al dolore (Gaurian & Bernard, 2002; Monconduit et al., 2002). Considerando i molteplici aspetti dell’esperienza dolorosa, i modelli di afferenza ai nuclei del talamo e le loro proiezioni corticali, due sistemi di proiezione nocicettiva che agiscono in modo parallelo e complementare vengono distinti in due sistemi funzionalmente diversi : quello Laterale e Mediale. Queste proiezioni hanno come target regioni corticali molto importanti: la Corteccia Somatosensoriale Primaria (S1), la Corteccia Somatosensoriale Secondaria (S2) e la Corteccia Cingolata Anteriore (ACC) (Almeida et al., 2004).

Il sistema laterale partecipa direttamente nell’attribuzione sensoriale-discriminativa della nocicezione e coinvolge specifici nuclei talamici, i quali proiettano ai neuroni SN e WDR delle cortecce S1 e S2. La capacità di codificare topograficamente gli stimoli nocivi di diversa intensità è una funzione dei neuroni nocicettivi presenti nella S1 (Weng et al., 2000; Willis et al., 2001). Anche se i neuroni SN e WDR sono in grado di codificare l'intensità di tali stimoli, questa funzione sembra essere più legata a quelli di tipo WDR,

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12 mentre i neuroni SN agiscono principalmente nella localizzazione topografica di stimoli periferici. Questa caratteristica può indicare che sia la localizzazione dello stimolo che la discriminazione della sua intensità vengono eseguite da due diversi canali del sistema nocicettivo. Inoltre, i neuroni nocicettivi situati nella S2 codificano lo stimolo doloroso in termini temporali (Timmermann et al., 2001; Treede et al., 1999). Le cortecce S1 e S2 sono interconnesse con la zona posteroparietale e con l'insula attraverso una via somatosensoriale cortico-limbica e a questo livello l’input somatosensoriale è associato ad altre modalità sensoriali e con l'apprendimento e la memoria.

Il sistema mediale ha delle proiezioni meno definite, le quali dalla regione mediale del talamo si estendono alle aree corticali (S1 e S2), comprese le strutture limbiche come ad esempio l'insula e la corteccia cingolata anteriore (Picard et al., 1996). Per questo motivo, il sistema mediale contribuisce principalmente alla componente affettivo-motivazionale del dolore.

L'insula riceve gli impulsi dal sistema laterale e le sue proiezioni sono dirette al sistema limbico, soprattutto amigdala e ad alcune regioni della corteccia prefrontale coinvolte nella componente emotiva e affettiva e di memoria dell'esperienza dolorosa ( Almeida et al., 2004).

La corteccia cingolata anteriore (ACC) riceve proiezioni da diverse aree compresa la corteccia insulare. Inoltre la ACC fa parte del network attenzionale e motivazionale perché proietta alle aree prefrontali, implicate nel controllo delle funzioni esecutive e all’area supplementare motoria che è coinvolta nella selezione della risposta. Parti della ACC sono attivate durante l’esperienza dolorifica ed in particolare la ACC sembra essere coinvolta nell’elaborazione della componente di spiacevolezza del dolore (Price & Bushnell, 2004). La componente di spiacevolezza del dolore nel corso del tempo impegna aree corticali coinvolte nella riflessione e rimuginazione sulle implicazioni nel futuro di una condizione di dolore persistente. L'ACC sembra essere coinvolta in questa funzione, coordinando le caratteristiche somato-sensoriali del dolore con meccanismi cerebrali prefrontali coinvolti nell’attribuzione di significato al dolore, una funzione associata alla componente affettiva secondaria del dolore.

La modulazione del dolore a livello encefalico avviene grazie ad un circuito con ingressi che si presentano in molteplici settori, tra cui l'ipotalamo, l'amigdala e la corteccia cingolata anteriore rostrale (rACC), che proiettano alla PAG e con uscite dalla PAG al midollo. I neuroni all'interno del nucleo del rafe magno e del nucleo reticolare gigantocellulare, i quali sono inclusi all'interno della sezione rostrale ventromediale

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13 (RVM) del midollo, proiettano direttamente o indirettamente alle corna dorsali spinali, aumentando o diminuendo il traffico nocicettivo, cambiando l'esperienza del dolore (Fields et al., 2005). Questo circuito discendente risulta essere "oppioide-sensibile" e parte integrante del sistema inibitorio discendente e che modula la percezione del dolore, risulta quindi essere importante per l'esperienza umana in molti contesti, anche in stati di dolore cronico, e per le azioni dei farmaci antidolorifici.

L'esplorazione dell’analgesia endogena (EA) attraverso i sistemi di modulazione del dolore discendenti è iniziata circa tre decadi fa (Pud et al., 2009). La generazione di analgesia nel ratto tramite la stimolazione del grigio periacqueduttale (PAG) è stata la prima prova dell'esistenza di capacità analgesiche endogene in un sistema di funzionamento normale del sistema nervoso centrale (SNC). Conseguenti prove hanno dimostrato l’esistenza di un comune sito di modulazione discendente nel tronco encefalico, il midollo rostrale ventromediale (RVM), che riceve i segnali direttamente dal PAG, entrambi con neuroni capaci di produrre endorfine e che presentano recettori per gli oppioidi esogeni (Ossipov et al. 2010). L’RVM inoltra i segnali verso il basso al midollo spinale; questo funicolo dorsolaterale discendente inibitorio, costituito da assoni dei neuroni serotoninergici (contenuti nel nucleo del rafe magno in connessione con la PAG) e da quelli noradrenergici (contenuti nel locus coeruleus anch’esso in comunicazione con PAG ed RVM), è sotto il controllo 'top-down' cerebrale, mediando la modulazione della percezione dolorifica, da parte di fattori emozionali, motivazionali e cognitivi. L’analgesia placebo è un esempio di modulazione cognitiva del dolore. Rappresenta un complesso fenomeno che può essere attribuito a diversi meccanismi psicologici, tra cui le aspettative, il condizionamento classico e la riduzione di ansia (Benedetti et al., 2005). Studi con la PET hanno rivelato una rete neurale condivisa comprendente la ACC rostrale e la PAG sottostante i meccanismi di analgesia oppioide e placebo (Petrovic et al., 2005). Questi studi, che hanno utilizzato diverse procedure per indurre una risposta analgesica placebo (tra cui l’applicazione di false creme analgesiche), supportano l’esistenza di un meccanismo di aspettativa indotto dall’analgesia placebo che è mediato da un maggiore scambio della rACC con le strutture sottocorticali come la PAG e l'amigdala. L'analgesia placebo comporta l'attivazione del sistema discendente modulatorio (Bingel & Tracey, 2008). Le interazioni tra la corteccia prefrontale e l'amigdala forniscono una modulazione emotivo-affettiva delle funzioni cognitive nel dolore, guidando compiti come il “decision making”, la valutazione del rischio/ricompensa contro il dolore o l’evitamento della punizione (Neugebauer et al., 2009). L'amigdala svolge un ruolo importante nella risposta emotiva,

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14 nello stress e nell'ansia e si pensa sia una componente fondamentale della matrice del dolore. Questa regione può contribuire in modo significativo all'integrazione del dolore e le risposte associate come la paura e l'ansia. Vari ricercatori ritengono che l’inibizione discendente del dolore è mediata dai neuroni serotoninergici che dal nucleo RVM proiettano al midollo spinale attraverso il funicolo dorsolaterale DLF (Basbaum & Fields, 1978). La stimolazione della PAG o del RVM causa il rilascio di serotonina nel midollo spinale (Cui et al., 1999). Diversi studi hanno dimostrato la presenza di proiezioni serotoninergiche al corno dorsale derivanti dal nucleo rafe magno, che è una struttura mediana all’interno del RVM (Kwiat & Basbaum, 1992). La stimolazione elettrica della PAG o del RVM per suscitare antinocicezione aumenta i livelli di noradrenalina nel liquido cerebrospinale poiché è in stretta connessione con il locus coeruleus, questi risultati suggeriscono un forte contributo della noradrenalina associato all’inibizione discendente (Ossipov et al., 2010).

Le sensazioni di dolore che raggiungono il SNC non sono delle repliche fedeli in termini di intensità e qualità degli input che originano dai nostri recettori (Villanueva 2009). La selezione è il principale meccanismo che genera una sensazione di dolore e perciò attraverso meccanismi modulatori, il cervello può modificare l’efficacia degli input nocicettivi. L’attenzione che il soggetto presta alle proprie sensazioni facilita la percezione del dolore con due meccanismi: da una parte determina una selezione degli impulsi afferenti, dall’altra, quando è sollecitata da motivazioni forti determina una inibizione corticale generalizzata. La modulazione del dolore è quindi il risultato un bilancio tra l’attività dei circuiti inibitori, antinocicettivi, e quelli facilitatori, pronocettivi, sul messaggio doloroso. Sulla regolazione centrale dello stimolo agiscono numerosi fattori, alcuni di tipo cognitivo, altri di tipo motivazionale-affettivo, altri ancora di analisi spazio-temporale, ma anche variabili endogene sia di tipo congenito, geneticamente stabilito, sia determinate da stimoli ambientali cronici (Ercolani & Pasquini 2007).

Studi di neurofisiologia e con risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno mostrato che l’attenzione e la distrazione possono modulare le attivazioni nocicettive nelle regioni cerebrali adibite all’elaborazione del dolore, con variazioni concomitanti nella percezione (Tracey & Mantyh 2007). In uno studio di Bantick et al. (2002) ad un gruppo di soggetti è stato chiesto di contare una serie di parole presentate su uno schermo e di premere il tasto con il numero corrispondente. Nella condizione con interferenze venivano inserite parole come “uno” “due” “tre”, nella condizione neutrale venivano proposti nomi di animali. Durante questi compiti venivano somministrati degli stimoli dolorosi e veniva chiesto ai

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15 soggetti di stimarne l’intensità. Sono state evidenziate delle riduzioni significative nella percezione di stimoli dolorosi durante i compiti con interferenze rispetto alla condizione neutrale. Questa ridotta percezione si associava ad una minore attivazione di alcune componenti chiave della matrice del dolore, quali l’insula e il talamo. Inoltre sono stati evidenziati incrementi nell’attività del cingolo pregenuale e delle regioni orbito frontali, coinvolte nei compiti cognitivi e nell’attenzione, durante la condizione di interferenza cognitiva accoppiata al dolore. Alcuni ricercatori hanno studiato se un’alterazione dell’attenzione possa influenzare l'attività del tronco encefalico e, di conseguenza, l'elaborazione nocicettiva. Nello studio di Tracey et al. (2002) è stato dimostrato un significativo incremento dell’attività all'interno della PAG in soggetti che erano stati distratti rispetto a quando avevano prestato attenzione al loro dolore, con cambiamenti concomitanti nelle valutazioni del dolore. In conclusione la variazione del rating del dolore in individui normali nella condizione di attenzione o distrazione correla con il cambiamento dell’attività della PAG, in quanto si ha una maggiore attivazione del PAG durante la distrazione con attivazione del sistema inibitorio discendente (Tracey et al., 2002).

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Figura 1.

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Figura 2.

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Figura 3.

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Figura 4.

Tratta da: Price & Bushnell, 2004. Schema delle vie ascendenti, strutture corticali e sottocorticali coinvolte

nell’elaborazione del dolore. AAC=corteccia cingolata anteriore; PO=complesso nucleare posteriore;AMYG= amigdala; HT=ipotalamo; M1=area motoria primaria; MDvc=parte ventrocaudale del nucleo dorsale Mediale; NS=neuroni nocicettivi specifici; PAG=grigio periacqueduttale; PB=nucleo parabrachiale; PCC=corteccia cingolata posteriore; S1,S2=cortecce somatosensoriali primaria e Secondaria; SMA=area supplementare motoria; VPL=nucleo ventroposterolaterale; WDR=neuroni ad ampio range dinamico.

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Figura 5.

Tratta da: Ossipov et al., 2010. Rappresentazione schematica del circuito di modulazione del dolore. In

rosso la via ascendente in verde la discendente. LA=amigdala laterale; BLA=amigdala basolaterale; CeA=nucleo centrale dell’amigdala; PAG=grigio periacqueduttale; LC=locus coeruleus; RVM=midollo rostrale ventromediale; DRt=nucleo reticolare dorsale.

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1.2 Psicofisica del Dolore

Poiché il dolore è un’esperienza soggettiva e complessa, la sua misurazione risulta difficile, per questo si usano stimoli dolorosi indotti sperimentalmente affinchè lo stimolo doloroso risulti ben definito e quantificabile (Granovsky et al., 2013). L'esperienza ci ha insegnato che la valutazione delle soglie rappresentano parametri utili per la valutazione di deficit sensoriali che esprimono un danno ai nervi. In questo modo, soglie elevate nella percezione di stimoli caldi, freddi, meccanici ed elettrici sono spesso utilizzate per valutare la gravità del danno neurale, così, una soglia alta indica un danno neuropatico più grave. Questo è particolarmente importante per i danni alle piccole fibre (quelle del dolore). Per fare una stima della magnitudo degli stimoli dolorosi, si può chiedere al paziente di dare un punteggio che valuti l’intensità dello stimolo dato su una scala analogica visiva (VAS) (al paziente viene presentato un cartoncino sul quale vi è un segmento con colori che dal verde “assenza di dolore” gradualmente sfumano al rosso “massimo dolore immaginabile”, non vi sono riferimenti numerici e al paziente viene chiesto di indicare in che punto del segmento collocherebbe l’intensità del proprio dolore) o tramite una scala numerica (NRS), (al paziente viene chiesto di stimare l’intensità del proprio dolore su una scala da 0 a 10 dove “0= assenza di dolore” e “10= massimo dolore che possa immaginare”). Un ulteriore passo in avanti nella psicofisica del dolore è l'uso dei protocolli di stimolazione dinamici che danno una serie di stimoli, in varie combinazioni, per evocare un processo di modulazione del dolore. La valutazione psicofisica della modulazione (in questo caso inibizione) del dolore è determinata dall'effetto del DNIC. Si tratta di un fenomeno fisiologico descritto alla fine del 1970 negli animali, che esprime il fatto che gli stimoli dolorosi esercitano effetti inibitori sulle altre stimolazioni dolorose (Le Bars et al., 1979). Il termine modulazione del dolore condizionato (CPM) è stato recentemente coniato per i protocolli psicofisici che esplorano il fenomeno del DNIC e riflette la funzione delle vie discendenti che controllano e modulano la percezione del dolore. Dall’altra parte invece la facilitazione dolore è misurata utilizzando il protocollo di sommazione temporale (TS), in cui viene data una serie di stimoli identici con una frequenza maggiore di 0.5 Hz ed in cui il soggetto deve determinare attraverso una valutazione con NRS l’intensità del dolore percepito (Granovsky & Yarnitsky, 2013). La risposta comune è un’aumentata percezione dell’intensità del dolore lungo la serie di stimolazioni ripetute della stessa intensità; questo fenomeno rappresenta il fenomeno fisiologico del wind-up. Questo è un fenomeno cellulare che coinvolge i neuroni del midollo spinale ma anche del midollo allungato.

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22 Vi è una grande quantità di dati che mostrano un’alterata modulazione del dolore in pazienti affetti da sindromi dolorose idiopatiche e di altro tipo rispetto ai controlli sani. Nella fibromialgia stimoli nocivi condizionati non sembrano essere sufficienti per indurre una modulazione del dolore e quindi di una variazione nelle soglie ed inoltre sembra esserci un’alterazione del fenomeno del wind-up (Granovsky & Yarnitsky, 2013). Nei pazienti con cefalea cronica di tipo tensivo è stato riscontrata una situazione simile, così come nell’artrite e disturbi temporo-mandibolari. Le strutture sopraspinali responsabili del DNIC includono il sub nucleo reticolare dorsale (SRD) nel midollo caudale-dorsale, che contiene una popolazione omogenea di neuroni le cui proprietà rispecchiano le caratteristiche funzionali del DNIC, cioè sono attivati esclusivamente da stimoli nocivi applicati a qualsiasi regione del corpo e codificano con precisione l'intensità di tali stimoli. Il DNIC media il fenomeno del “dolore che inibisce il dolore” o “contro-stimolazione” (Villanueva, 2009), per cui vi è una reciproca inibizione tra le vie che generano sensazioni indotte contemporaneamente da due stimolazioni dolorose separate. Inoltre, il DNIC inibisce anche i neuroni della lamina I, un relè chiave per gli input nocicettivi alle aree del SNC che elaborano i segnali rilevanti per l'omeostasi. Ciò suggerisce che il DNIC esercita un ruolo di modulazione più ampio, probabilmente tramite reti supplementari situate nel tronco encefalico rostrale, come ad esempio la sostanza grigia periacqueduttale (PAG) e il midollo rostrale ventromediale (RVM). L’RVM invia proiezioni discendenti ai neuroni superficiali delle corna dorsali e questi neuroni, modulano a loro volta l'attività delle cellule più profonde delle corna dorsali che sono all'origine della vie nocicettive ascendenti spinali. Le cellule dell’RVM ricevono ingressi spinali anche indirettamente tramite la PAG, una regione che regola anche il sistema DNIC. Così come per il SRD, le reti dell’RVM sono sia eccitatorie che inibitorie. In questo modo gli input nocivi possono modulare l’uscita spinale attraverso queste strutture, in modo bidirezionale. Inoltre, queste reti sono sotto l’influenza delle strutture superiori del SNC, compresa la corteccia, il che potrebbe spiegare il motivo per cui l’aspettativa di iperalgesia può bloccare il DNIC nell'uomo, infatti la corteccia prefrontale dorso laterale e la ACC regolano le percezioni in relazione ai cambiamenti delle cognizioni o degli stati emotivi (Goffaux et al. 2007). Diversi sistemi discendenti del dolore vengono attivati contemporaneamente quando viene evocato un stimolo nocivo. Tali reti forniscono un circuito di feedback spino-bulbo-spinale positivo e negativo con cui i segnali nocicettivi possono essere attenuati o aumentati. I meccanismi del DNIC possono essere importanti per la comprensione delle sindromi di dolore cronico perché possono riflettere la funzione alterata dei sistemi inibitori

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23 discendenti centrali, che sono coinvolti nella genesi di alcune forme di dolore cronico (Wijk & Veldhuijzen 2010). Per poterlo misurare nell'uomo, il DNIC è di norma generato da uno stimolo doloroso (stimolo condizionante) applicato ad una zona remota del corpo (eterotopica o extrasegmentale) e induce l’inibizione della sensazione dolorosa di un altro stimolo doloroso (stimolo di prova). Gli effetti del DNIC generalmente si trovano solo in regioni eterotopiche (controlaterali) o extrasegmentali e non in regioni omotopiche (omolaterali adiacenti) (Graven-Nielsen et al., 1998; Svensson et al., 1999). Stimoli di prova e di condizionamento sono per lo più termici (caldo o freddo), ma anche elettrici, nocivi meccanici e chimici. L'entità dell’effetto del DNIC può dipendere da diversi fattori quali la durata della stimolazione, la regione del corpo stimolata e la forza della stimolazione. Una riduzione nella percezione del dolore di uno stimolo di prova dopo l'applicazione di uno stimolo condizionante potrebbe essere in gran parte causata dalla distrazione. Alcuni studi hanno esaminato questa ipotesi e suggeriscono che il DNIC è solo in minima parte legato a processi attentivi (vanWijk et al., 2010). L’attivazione del DNIC è stata studiata in diverse condizioni di dolore. Meccanismi del DNIC carenti sono stati prevalentemente riscontrati nella fibromialgia (Granovsky & Yarnitsky, 2013). Alcune ricerche hanno evidenziato che il DNIC ha un maggiore effetto negli uomini sani mentre tale effetto è carente nelle donne sane e affette da fibromialgia (Staud et al. 2003). Il DNIC risulta alterato anche nei pazienti affetti da cefalea tensiva (Pielsticker et al., 2005), artrite dolorosa dell’anca (Kosek & Ordeberg 2000) e sindrome dell’intestino irritabile (Wilder-Smith et al., 2004); risulta invece intatto in soggetti affetti da lombalgia, artrite reumatoide (Leffler et al., 2002) e mialgia del trapezio (Leffler et al., 2002b). Queste differenze potrebbero essere spiegate in base al tipo di dolore, intermittente o continuo, ma sono necessarie ulteriori ricerche che possano chiarire queste differenze..

1.3 Psicopatologia e Dolore

Esistono numerose prove a sostegno della stretta connessione tra depressione e dolore cronico, tuttavia non è ancora chiaro in che senso vada questa relazione. L’associazione tra queste due sindromi ha notevoli implicazioni sul piano diagnostico e terapeutico con elevati costi sul piano sociale in termini di utilizzazione dei servizi medici, di aumento della disabilità e di riduzione della produttività lavorativa. La presenza di dolore cronico influisce sulla durata dell’episodio depressivo e sulla probabilità di ricaduta, nonché sulla

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24 gravità della sintomatologia depressiva (Fava et al., 2011). Alcuni studi hanno evidenziato meccanismi biologici e psicologici comuni che giustificherebbero la frequente associazione tra depressione e dolore cronico. Tra i primi vi sono alterazioni dei sistemi neurotrasmettitoriali serotoninergico e noradrenergico e disfunzioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (Heuser, 1998). Studi di neuroimaging hanno anche rilevato un funzionamento anomalo dell’amigdala e della corteccia cingolata anteriore (Buffington et al., 2005). Inoltre un umore depresso sembra influire sulla soglia e sulla tolleranza del dolore associato ad una risposta eccessiva a stimoli dolorosi (Willoughby et al., 2002; Katon, 2003). Altri fattori comuni sono la tendenza alla catastrofizzazione, sentimenti d’impotenza e bassi livelli di autostima (Arnstein et al., 1999). Non è quindi ben chiaro l’effettiva relazione tra depressione e dolore in quanto è difficile stabilire chi dei due sia causa dell’altro. Recentemente molti studi si sono concentrati sul ruolo della depressione nell’insorgenza di malattie mediche. È stato riscontrato che i pazienti depressi riportavano un numero maggiore di patologie organiche, tra cui le più frequenti erano infarto miocardico, malattie del fegato, ulcera gastrica e artrite reumatoide (Farmer et al., 2008). Gli individui depressi hanno una probabilità due volte maggiore di sviluppare una malattia fisica rispetto ai controlli. Altri studi si sono concentrati invece sull’insorgenza di depressione a seguito di patologie mediche. Sintomi depressivi infatti, si possono riscontrare sia in condizioni di iperattivazione sia di ipoattivazione degli assi ipotalamo-ipofisi-tiroide, ipotalamo-ipofisi-surrene e nelle condizioni di iperprolattinemia (Fava et al., 2011). I modelli esplicativi teorici per comprendere la complessa relazione tra dolore cronico e depressione, fanno riferimento a tre modelli principali: il modello biologico, il modello psicodinamico e il modello cognitivo-comportamentale.

Il modello biologico considera depressione e dolore come espressioni dello stesso substrato biologico neurofisiologico che comprende il ruolo delle amine biogene, delle endorfine, della sostanza P, della 5 HT (Ercolani & Pasquini, 2007).

Il modello psicodinamico considera il dolore cronico non oncologico come un meccanismo di difesa dall’emergere di conflitti psichici inconsci. Il dolore “emotivo” trova la sua espressione utilizzando un linguaggio corporeo che permette al soggetto di mantenere l’equilibrio della sua personalità. Il dolore è stato messo in relazione con conflitti riguardanti l’espressione dell’aggressività e dell’ostilità, con la presenza di un Super-Io rigido, con i sensi di colpa, con il risentimento, con la difesa contro sentimenti di perdita reale o temuta, con la deprivazione affettiva durante l’infanzia. Diversi autori si sono occupati di questo argomento. Per Szasz (1957) il corpo è percepito dall’Io come un

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25 oggetto, perciò l’individuo ha la possibilità di utilizzare il corpo come qualcosa o qualcuno situato al di fuori di sé. Alcuni sentimenti possono essere proiettati nel corpo o in un altro oggetto e il dolore viene sperimentato come un attacco ostile inflitto dal corpo all’individuo che soffre. Per l’autore l’esperienza di dolore somatico può sostituire il lutto per la perdita dell’oggetto amato o, come nel caso dell’amputazione, la perdita di un arto, per cui il dolore corporeo permette al soggetto di negare o minimizzare l’angoscia associata con la perdita. Nel caso in cui al lutto per la perdita sono associati sentimenti aggressivi verso l’oggetto amato, il dolore può rappresentare un’espiazione del senso di colpa. Il dolore quindi rappresenta un mezzo di comunicazione con diversi significati incorporati e atto a esprimere diversi contenuti affettivi, in modo particolare l’aggressività e il senso di colpa (Ercolani, 1997). Per Engel (1959) l’individuo durante le fasi dello sviluppo costituisce una memoria delle esperienze di dolore associate o provocate da stimolazioni fisiche, per cui insieme all’esperienza dolorosa viene registrato il contesto in cui è stata vissuta l’esperienza stessa. Il significato assunto dall’esperienza dolorosa può diventare, in altri momenti della vita, un motivo per una nuova esperienza di dolore anche in assenza di sintomi somatici. Per esempio un bambino che piange per un dolore fisico suscita la reazione della madre che cerca di sostenerlo e confortarlo; queste esperienze ripetute possono determinare un legame associativo tra esperienza di dolore e ricongiungimento con la madre. Un’altra esperienza infantile ricorrente è quella di ricevere una punizione per comportamenti inadeguati. La punizione può quindi assumere il significato di espiazione della colpa per la messa in atto di tali comportamenti. Questa come altre esperienze possono portare certi soggetti ad usare il dolore per risolvere conflitti, difficoltà di crescita o per avere un sollievo dal senso di colpa (Ercolani, 1997). Il modello cognitivo-comportamentale applicato al dolore cronico è più centrato sui comportamenti di dolore che non sulle cause del dolore ma permette comunque di capire il comportamento dei pazienti con dolore cronico. Si può infatti notare una sostanziale riduzione dei rinforzi positivi in molte aree del funzionamento sociale e personale, quali l’attività sessuale, l’ambiente familiare, l’attività lavorativa. Questa riduzione può essere determinata apparentemente dal dolore ma comporta l’instaurarsi di un circolo vizioso tra dolore, riduzione dei rinforzi positivi e depressione. Rispetto ai fattori cognitivi è stata sottolineata l’importanza della depressione come fattore predittivo dei livelli di disabilità e della motivazione a intraprendere un trattamento efficace a lungo termine (Ercolani & Pasquini, 2007). Un ruolo importante per lo sviluppo della depressione nel paziente con dolore cronico sembra essere la percezione della perdita di controllo e di abilità personali.

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26 In questo modello l’elemento cognitivo-comportamentale gioca un ruolo di mediazione tra dolore cronico e depressione per cui elementi come la percezione dell’impatto del dolore e la capacità di controllo diventano variabili importanti, così come le distorsioni cognitive che determinano una visione negativa di sé e del proprio futuro predisponendo alla depressione (Ercolani & Pasquini, 2007).

Studi epidemiologici indicano nei pazienti emicranici un’associazione più forte con disturbi d’ansia e in particolare con attacchi di panico e disturbo d’ansia generalizzato che con la depressione. In un lavoro di McWilliams et al. (2004) sono state trovate associazioni positive significative tra dolore cronico, in questo caso emicrania, artrite e lombalgia, e depressione, disturbo da attacchi di panico e disturbo d’ansia generalizzato. Le principali componenti dell’ansia nel paziente con dolore cronico non maligno sono costituite dall’ipervigilanza e dalla catastrofizzazione, identificata come l’anticipazione del peggior scenario possibile (Ercolani & Pasquini, 2007); lo stesso meccanismo della catastrofizzazione e la paura del movimento sono forti predittori di gravi dolori lombari e disabilità. Le più recenti tecniche di visualizzazione e mappatura cerebrale hanno evidenziato in questi stati d’ansia, l’attivazione dell’amigdala, dell’ippocampo, della corteccia frontale visiva e altre regioni della corteccia prefrontale e interessanti sovrapposizioni di attivazioni di aree cerebrali durante stati dolorosi, di ansia e depressione (Porro, 2003). Come l’ansia amplifichi il dolore non è ancora del tutto chiaro, il potenziale collegamento tra ansia e dolore è costituito dal sistema nervoso simpatico, la cui stimolazione abbassa la soglia del dolore e aumenta l’attività spontanea dei nocicettori e dei neuroni (Symreng & Fishman, 2004). L’iperattività dell’asse HPA è stata associata con stati d’ansia e con l’analgesia discendente endogena mediata dagli oppioidi: i recettori per il releasing factor della corticotropina sono concentrati in aree cerebrali come l’amigdala e la corteccia cingolata, coinvolte sia nell’ansia che nel dolore (Ercolani & Pasquini, 2007).

1.3.1 Psicopatologia e Percezione del Dolore

In uno studio di Gureje et al. del 2008 è stata osservata la relazione tra la presenza di dolore in una o più parti del corpo e disturbi dell’umore ed ansia (disturbo di panico, disturbo d'ansia generalizzato, fobia sociale e lo disturbo post-traumatico da stress). Dai risultati emerge che questa relazione si osserva in campioni di popolazione generale in diversi paesi in tutto il mondo. I tassi di prevalenza di disturbo depressivo e disturbi d'ansia

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27 sono più elevati nei soggetti con dolori multipli (Gureje et al., 2008). Il dolore cronico, sia in sedi anatomiche singole o multiple, è tanto legato all'ansia quanto lo sia alla depressione. I dati suggeriscono che la presenza di una condizione di dolore cronico aumenta la probabilità d’insorgenza di un disturbo psichiatrico e che il rischio è ulteriormente elevato quando il dolore è presente in più siti. Varie ricerche e teorie indicano che l'ansia è un’importante concomitante emozionale del dolore cronico (Greenberg & Burns, 2003). Non solo misure di ansia di tratto sono moderatamente correlate con indici di adattamento, come la gravità del dolore e la disabilità percepita, ma pazienti affetti da dolore cronico sembrano soffrire in modo sproporzionato di disturbi d'ansia. L'ansia è una componente della pronunciata affettività negativa provata dai pazienti afflitti da dolore cronico; l'ansia può essere vista come solo un sintomo di un malessere generale composto anche da depressione e da rabbia repressa. Un'altra visione di come l'ansia e il dolore cronico sono collegati prende in prestito il modello bi-fattoriale del condizionamento alla paura di Mowrer (1947), e concettualizza le sindromi di dolore cronico come prodotti di paura ed elusione. Secondo questo modello, la paura è originariamente appresa attraverso il condizionamento classico e il comportamento di paura è poi mantenuto evitando le situazioni che si sono associate con la paura e l'ansia. Applicata al dolore cronico, la teoria bi-fattoriale suggerisce che gli individui prima fanno esperienza di paura o ansia durante l'attività che è diventata dolorosa a causa di lesioni o di altre patologie, diventano ansiosi di fronte alla prospettiva di tale attività dolorosa e quindi evitano le attività associate alla possibilità di provare dolore o una nuova lesione. Anche se l'ansia tra gli individui con dolore cronico potrebbe essere considerata parte integrante dell’affettività negativa generale, i ricercatori hanno recentemente sviluppato concettualizzazioni che si concentrano sul comportamento di evitamento (Greenberg & Burns, 2003). Un'altra teoria sostiene che l'ansia del dolore è in realtà una manifestazione di una paura più fondamentale: e cioè, la paura dei sintomi d’ansia (Asmundson & Norton, 1995) o sensibilità all’ansia (Reiss, 1991). Secondo questa teoria, l’evitamento di movimenti potenzialmente dolorosi si sviluppa in anticipazione del dolore suscitando la paura dei sintomi di ansia, che è alla base del fenomeno veramente temuto. Il dolore e la depressione condividono percorsi neuroanatomici e substrati neurobiologici comuni, il che potrebbero spiegare la maggiore vulnerabilità a lamentare problemi di dolore nella depressione e viceversa. Nello studio di Klaunberg et al. (2008) pazienti senza dolore che soffrono di un disturbo depressivo (DD), sono stati messi a confronto con un gruppo di controllo sano e un gruppo di controllo di pazienti con dolore cronico e fibromialgia

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28 (FMS), una malattia in cui la depressione e l'ansia sono sintomi comuni. L'obiettivo primario di questo studio è stato quello di indagare sistematicamente la percezione somatosensoriale in pazienti depressi rispetto a pazienti con dolore e sintomi depressivi concomitanti. Questo studio ha dimostrato per la prima volta che il fenomeno del wind-up è associato alla presenza di depressione più che al tipo di dolore in corso. Il wind-up si manifesta con un progressivo incremento della percezione del dolore quando viene registrato nelle corna posteriori e anteriori del midollo spinale il numero dei potenziali d’azione scatenati in seguito ad una stimolazione delle fibre C ad una frequenza maggiore di 0,5 Hz. Quando la frequenza di stimolazione di una singola radice dorsale raggiunge questa frequenza, il potenziale eccitatorio post-sinaptico totale delle cellule del corno anteriore produce una depolarizzazione cumulativa che si esprime in una raffica di potenziali d’azione invece che in un singolo potenziale d’azione per ogni stimolo a livello della radice posteriore (Ercolani, 2007). Di conseguenza, il wind-up è aumentato in alcuni processi come nella fibromialgia in cui si riscontra una maggiore eccitabilità del midollo spinale con persistenza del dolore cronico. Sorprendentemente si evidenzia tuttavia che fino al 40% dei pazienti con DD per lo più senza dolore mostrano un fenomeno del wind-up patologico, pertanto, questo risultato sembra essere legato alla depressione piuttosto che al dolore (Klauenberg et al., 2008). In linea con questo, in più di un quarto dei pazienti con DD è stata riscontrata un’iperalgesia al freddo, un ulteriore sintomo di sensibilizzazione centrale che suggerisce una ipereccitabilità centrale in questi pazienti. È stato più volte dimostrato che le soglie sperimentali del dolore per stimoli nocivi applicati alla pelle sono aumentate nei pazienti con disturbo depressivo maggiore (MDD) e malattie correlate. Nello studio di Boettger et al. (2010), si è voluto verificare l'ipotesi che l’iposensibilità descritta nel dolore cutaneo indotto sperimentalmente in pazienti con depressione maggiore si riflette anche in una ridotta risposta autonomica allo stimolo nocivo. Sorprendentemente, tuttavia, i dati suggeriscono il contrario, vale a dire un aumento della risposta autonomica come indicato da una latenza ridotta e un aumento dell’ampiezza della risposta cutanea simpatica (SSR) a seguito di una forte stimolazione elettrica. Allo stesso tempo, i pazienti hanno valutato l'intensità del dolore percepito con valori inferiori rispetto ai controlli, confermando così una diminuzione della sensibilità al dolore. La discrepanza tra una ridotta sensibilità al dolore e una risposta autonomica aumentata nella depressione maggiore può essere attribuita alla disfunzione autonomica presente nei disturbi depressivi. Studi recenti (Schwier et al., 2010) indicano inoltre che la percezione del dolore nei pazienti con MDD dipende dalla modalità dello stimolo nocivo applicato e si differenzia

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29 tra applicazione endogena ed esterna. In particolare, sono stati osservati incrementi nella soglia del dolore in pazienti con MDD o disturbo dell’adattamento (AD) con l’applicazione di stimoli termici o elettrici. Le soglie del dolore termico in pazienti depressi sono state per lo più studiate attraverso il metodo ascendente dei limiti, al paziente vengono somministrati stimoli termici crescenti o decrescenti che partono da una soglia base di 32°C, e gli viene chiesto di premere un bottone di stop non appena percepiscono dolore. Le soglie del dolore da freddo sono state raramente analizzate con questo metodo. In questa valutazione, ai partecipanti viene chiesto di mettere la mano in acqua fredda fino al loro polso e lasciarla immersa finché non sono più in grado di tollerare il dolore (tolleranza al dolore). La percezione del dolore studiata con il Cold-Pressure Test ha rivelato risultati non omogenei nei pazienti depressi (Schwier et al., 2010).

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CAPITOLO 2: L’IPNOSI

L’American Psychological Association (1994) definisce l’ipnosi come “una procedura durante la quale un professionista della salute o un ricercatore suggerisce che il paziente o il soggetto faccia esperienza di cambiamenti nelle sensazioni, percezioni, pensieri o comportamenti” (Elkins et al., 2015). Le moderne teorie di ipnosi si basano sulla complementarietà di interpretazioni psicosociali, cognitive e neurobiologiche (Fromm & Nash, 1992). La ricerca sperimentale ha fornito evidenze oggettive che l’ipnosi ha effetti fisiologici robusti e in molti casi specifici. Inoltre, recenti metodi di brain imaging cerebrale hanno fornito una maggiore comprensione dei meccanismi alla base degli stati ipnotici e delle risposte specifiche ai vari tipi di suggestioni ipnotiche, comprese quelle volte a ridurre il dolore. Tali progressi sono supportati da studi clinici controllati, fornendo prove conclusive sull’efficacia dell’ipnosi nel controllo del dolore (Rainville & Marc, 2008). Hilgard e Hilgard (1975) avevano ipotizzato che la suggestionabilità ipnotica fosse un tratto misurabile attraverso scale standardizzate. Dai loro studi emergeva che gli individui classificati come altamente ipnotizzabili su tali scale, mostravano una maggiore analgesia in risposta al dolore indotto sperimentalmente rispetto agli individui classificati come meno ipnotizzabili. Tuttavia anche se l’ipnosi aveva ridotto il dolore in alcuni pazienti, i loro parametri fisiologici (ad esempio, la frequenza cardiaca) non erano cambiati (rimanendo elevati in risposta a stimoli dolorosi). Questo fenomeno chiamato “Osservatore Nascosto” (un livello di coscienza che ha una consapevolezza dissociata dagli altri processi consci) ha contribuito a formulare la Teoria Neodissociativa dell’ipnosi (Hilgard and Hilgard, 1975), nella quale parti della coscienza sono considerate come una scissione durante l’ipnosi. Bowers e LeBaron (1986) hanno rielaborato questa teoria. La loro nuova concettualizzazione, che viene indicata come Teoria del Controllo Dissociato, sottolinea l’automaticità del comportamento durante l’ipnosi (ad esempio, i soggetti hanno spesso la sensazione di mettere in atto i suggerimenti senza averli premeditati). In questa visione, quando l’ipnosi fornisce un naturale controllo del dolore, i pazienti sono in grado di controllare il loro dolore senza alcuno sforzo mentale. I teorici socio-cognitivi spiegano l’ipnosi facendo riferimento alla aspettative dei soggetti, al role playing, al contesto sociale e ai segnali sociali. In questa prospettiva, i suggerimenti possono alleviare il dolore anche se non sono stati dati durante una induzione ipnotica; l’ipnosi è pensata per ridurre il dolore non con la creazione di uno stato speciale di coscienza ma impiegando meccanismi

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31 cognitivo-comportamentali in cui i cambiamenti nelle cognizioni alterano gli stati affettivi (emotivi) associati al dolore (Patterson, 2004).

2.1 Analgesia Ipnotica

Vi sono due principali teorie che spiegano perché l’ipnosi funziona nel dolore. La teoria socio-cognitiva del dolore che attribuisce all’aspettativa, alla motivazione ed all’ambiente le condizioni di risposta individuale alle suggestioni ipnotiche in quanto influiscono sulla componente affettiva del dolore (Patterson & Jensen, 2003). L’altra teoria attribuisce alla suggestionabilità la base dell’efficacia analgesica dell’ipnosi. La suggestionabilità ipnotica è una caratteristica di tratto che si differenzia fra gli individui ed è rappresentata dalla tendenza generale di rispondere all’ipnosi ed alle suggestioni ipnotiche (Green et al., 2005). Alcune ricerche in cui vengono utilizzate delle misure standardizzate di suggestionabilità ipnotica hanno dimostrato che ci sono notevoli differenze individuali in questa variabile. Come riportato da Evans & Paul (In Hilgard and Hilgard, 1994) le suggestioni di analgesia sono efficaci sia da svegli che in ipnosi tuttavia in soggetti con elevata suscettibilità l’analgesia è maggiore quanto più alta è la suscettibilità ipnotica anche senza induzione ipnotica. A differenza dei precedenti autori Hilgard and Hilgard (1994) trovano invece che il grado di analgesia in soggetti con alta suscettibilità ipnotica è maggiore in stato di ipnosi piuttosto che da svegli. Jensen e collaboratori hanno condotto diversi studi sull’efficacia dell’analgesia ipnotica in soggetti con lesioni spinali (2005). Gli autori hanno identificato nell’aspettativa il predittore più importante di analgesia ipnotica evidenziando una significativa, moderata associazione con l’efficacia del trattamento. Con tali studi gli autori mostrano come non sia necessario che i pazienti con lesioni spinali abbiano alti livelli di suscettibilità ipnotica per rispondere alla terapia. Anche la frequenza delle sessioni non sembra essere così importante. Infatti i risultati del trattamenti giornalieri e settimanali si equivalgono.

Un altro meccanismo psicologico responsabile dell’analgesia ipnotica sembra essere l’immaginazione. Diversi studi hanno messo a confronto l’efficacia di suggestioni ipnotiche e suggestioni immaginative non ipnotiche per la tolleranza di stimoli dolorosi, i risultati non hanno mostrato molte differenze (Greene & Reyher, 1972; Braffman & Kirsch. 1999; Milling et al., 2005). Sembra, infatti, che suggestioni immaginative non ipnotiche generino analgesia allo stesso modo delle suggestioni ipnotiche di analgesia (Milling et al., 2005).

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32 Le suggestioni ipnotiche per alterare il dolore possono essere descritte in termini di processi psicologici coinvolti (Price & Bushnell, 2004). Un tipo di meccanismo fornisce un Immaginario Dissociativo attraverso l’induzione di esperienze che sono scisse dalla percezione sensoriale del corpo. Un altro tipo di meccanismo è l’Analgesia Focalizzata che tende a rimpiazzare le sensazioni dolorifiche con altre, come per esempio sensazioni di calore, intorpidimento oppure la completa assenza di sensazione (Price & Bushnell, 2004). A differenza dell’analgesia dissociativa, quella focalizzata richiede una maggiore attenzione diretta alla parte del corpo affetta da dolore. Un terzo tipo di suggestioni coinvolge la Reinterpretazione del Significato attribuito all’esperienza sensoriale. In questo caso il significato dell’esperienza per l’integrità del corpo è ridotto o del tutto annullato, in modo che le sensazioni dolorifiche non vengano più associate a sentimenti di minaccia. Processi neuronali e psicologici correlati con le qualità sensoriali del dolore possono essere considerati come fattori chiave nella produzione di emozioni negative legate all’esperienza dolorifica. In uno studio di Rainville et al. (1999) questa interazione viene direttamente dimostrata. Questi studiosi scoprirono che le suggestioni ipnotiche dirette alla sgradevolezza potevano selettivamente aumentare o diminuire le valutazioni soggettive di sgradevolezza immediata ad uno stimolo a 47° senza cambiare la sensazione dell’intensità dolorifica. Al contrario quando le suggestioni erano rivolte esclusivamente al cambiamento dell’intensità dolorifica, le valutazioni relative alla sensazione di sgradevolezza e intensità del dolore cambiavano contemporaneamente. Questi risultati hanno portato alla conclusione che l’intensità percepita del dolore è la causa della sgradevolezza e non viceversa. La sgradevolezza immediata in compenso provoca ampie risposte emotive relative al dolore perché fornisce un indizio immediato per il significato che assumono le emozioni negative (Price & Bushnell, 2004). Le suggestioni ipnotiche possono avere effetto su diverse dimensioni dell’esperienza dolorifica, incluse la sensazione dolorifica (intensità del dolore), sul senso di minaccia e sull’immediata sgradevolezza del dolore oppure sul significato più generale del dolore e delle risposte cognitive associate (aspettativa di sollievo) e delle emozioni (rabbia, tristezza). Il fattore principale che influenza l’efficacia dell’analgesia ipnotica è la suscettibilità ipnotica che sembra essere indipendente da altre variabili psicologiche individuali come le abilità cognitive o la personalità. Ad ogni modo esiste un fattore che è stato ripetutamente associato con la suscettibilità ipnotica ed è la capacità di fare esperienza di un profondo assorbimento mentale (Nandon et al., 1987; Radtke & Stam, 1991; Balthazard & Woody, 1992), ovvero

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33 uno stato di totale attenzione che coinvolge le capacità rappresentazionali di un soggetto risultando in una totale impermeabilità a distrazioni.

2.2 Correlati Neuronali dell’Analgesia Ipnotica

I cambiamenti neurali che avvengono a seguito dell’induzione ipnotica, dipendono da ciò che il soggetto sta facendo nel momento in cui si effettuano le osservazioni. L’azione reale nell’ipnosi si verifica quando il soggetto risponde positivamente a suggerimenti specifici per risposte motorie, allucinazioni, regressione di età, amnesia, ed altri fenomeni ipnotici. Ci si è chiesto quindi che cosa avvenga effettivamente a livello cerebrale in questi specifici momenti (Kihlstorm, 2013). Prima che i metodi di brain-imaging come la risonanza magnetica funzionale diventassero ampiamente disponibili (e relativamente poco costosi), la maggior parte della ricerca in questo settore si basava su EEG potenziali evento-correlati (ERP) e in particolare, sui componenti che mettono in relazione il processamento cognitivo ed emotivo degli input (Ray & DePascalis, 2003). In alcuni di questi studi, gli ERP sono stati utilizzati come misura della risposta alla suggestione ipnotica, anche nell’analgesia ipnotica. Un esperimento, che coinvolge la stimolazione elettrica, ha mostrato una maggiore componente N140 e N250 (particolari onde con deflessione negativa che si presentano in risposta a stimolazioni somatosensoriali e che riflettono l’eleaborazione dello stimolo in determinate aree cerebrali) durante l’analgesia, in particolare sulle regioni frontali, l’analgesia ipnotica comporta processi inibitori attivi implicanti l’attribuzione di attenzione e disattenzione, associata con le aree frontali del cervello (Crawford et al. 1998). Maquet et al. (1999) hanno esplorato i meccanismi cerebrali '' a riposo '' alla base dell’ipnosi ed è stato dimostrato che lo stato ipnotico era legato all’attivazione metabolica delle aree corticali occipitale, parietale, precentrale, premotoria e prefrontale ventrolaterale, mentre vi era una diminuzione di attività nel precuneo, nella regione temporale bilaterale, nella corteccia mediale prefrontale e nelle cortecce premotorie di destra. In un altro studio di Fingelkurts et al. (2007) con l’utilizzo dell’EEG, è stata mostrata una differenza tra la condizione di ipnosi e la condizione a riposo nelle frequenze delta, theta, alfa, beta e gamma. Gli autori hanno suggerito che riduzioni delle dimensioni e stabilità nell’attività delle onde delta, beta e gamma potrebbe essere indicativo di un aumento dell’indipendenza di processi cerebrali. L’efficacia dell’analgesia ipnotica è stata confermata da una recente meta analisi che ha evidenziato

Figura

Tabella 2: Soglie, Wind-Up e DNIC pre-trattamento.
Tabella  3: Risultati  degli scoring dei questionari  QUID, HADS,  TES, HGSHS, QMI  pre-trattamento  Baseline  N
Tabella 4 : Soglie, Wind-Up e DNIC Post-Trattamento.
Tabella  5 :  Risultati  dei  questionari  QUID,    HADS,  TES,  HGSHS,  QMI  post- post-trattamento  Controllo  N
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