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Dal consenso alla consensualità nella relazione di cura

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Academic year: 2021

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Pacini

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RESPONSABILITÀ

Diritto e pratica clinica

Gennaio-Marzo 2019

Rivista trimestrale diretta da Roberto Pucella

UN NUOVO DIRITTO PER LA RELAZIONE DI CURA?

DOPO LA LEGGE N. 219/2017

Con i contributi di:

Francesco Donato Busnelli, Luciano Orsi, Lucia Fontanella, Nereo Zamperetti, Paolo Zatti, Gilda Ferrando, Michele Graziadei, Elisabetta Palermo-Fabris, Giovanni Di Rosa, Stefano Canestrari, Luigi Gaudino, Mariassunta Piccinni, Roberto Pucella, Vittorina Zagonel, Lucia Busatta, Marina Munari, Carla Faralli, Marco Azzalini, Attilio Terrevoli, Vincenzo Durante, Anna Aprile, Leonardo Lenti, Luciano Olivero, Silvio Riondato, Giuseppe Gristina, Francesca Giardina, Giovannella Baggio, Maria Chiara Corti, Antonio Scalera, Paolo Benciolini

MEDICA

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Diritto e pr

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o 2019

ISSN 2532-7607

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INDICE

Dialogo medici-giuristi*

La persona nella relazione di cura

Francesco Donato Busnelli, Premesse ...» 3

luciano orsi, La relazione in medicina ...» 9

lucia Fontanella, Le condizioni della relazione ...» 17

nereo Zamperetti, Progetto di vita e percorsi di cura ...» 23

paolo Zatti, Cultura della relazione e linguaggi normativi ...» 29

Principi e strumenti del nuovo diritto

GilDa FerranDo, Premesse ...» 35

michele GraZiaDei, Dal consenso alla consensualità nella relazione di cura ...» 37

elisaBetta palermo-FaBris, Orizzonte e limiti della cura ...» 43

Giovanni Di rosa, La rete di prossimità e il ruolo del fiduciario ...» 49

steFano canestrari, Rifiuto di cure e rinuncia ai trattamenti ...» 55

luiGi GauDino, DAT e pianificazione condivisa delle cure ...» 61

mariassunta piccinni, Modalità e forme del consenso ...» 67

roBerto pucella, La relazione di fiducia tra medico e paziente...» 75

Questioni cruciali: dialoghi

Ai confini della cura

vittorina ZaGonel, lucia Busatta, Limite e pianificazione condivisa ...» 79

marina munari, carla Faralli, marco aZZalini, Astensione vs. interruzione ...» 89

attilio terrevoli, vincenZo Durante, Palliazione, sedazione profonda ...» 103

Dare voce al paziente

anna aprile, leonarDo lenti, luciano olivero, silvio rionDato, I ruoli di protezione ...» 111

Giuseppe Gristina, Francesca GiarDina, Il limite in pediatria ...» 129

Giovannella BaGGio - maria chiara corti, antonio scalera, Le zone d’ombra della capacità ...» 133

paolo Benciolini, Sintesi ...» 141

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Principi e strumenti del nuovo diritto

Principi e strumenti del nuovo diritto

Responsabilità Medica 2019, n. 1

Principi e

strumenti del

nuo

vo dir

itto

1. Introduzione

Consenso, consensualità: questi vocaboli segna-lano una traiettoria, un movimento, che ha coin-volto il tema della cura e dell’autonomia della persona nella relazione terapeutica. Il riferimento al consenso, come punto di avvio del discorso; la consensualità, quale approdo della traiettoria, che è tracciata con l’abbandono del paternalismo nella relazione di cura.

La consensualità non si esaurisce in un momento, ma accompagna il paziente nel suo percorso di cura, e a questo riguardo hanno grande peso le norme sulle disposizioni anticipate di trattamento e sulla pianificazione condivisa delle cure conte-nute negli artt. 4 e 5 della legge n. 219/2017. Si tratta di rispettare la primazia delle scelte della persona che è protagonista della cura durante tut-ta la relazione terapeutica.

Qualcosa è dunque cambiato in materia di con-senso informato.

Il nuovo testo di legge si apre con i riferimenti costituzionali agli artt. 2, 13, 32 Cost., nonché agli artt. 1, 2, 3 della Carta dei diritti fondamentali UE, per ricordare all’interprete italiano e a tutti coloro che a vario titolo intervengono nella cura le nor-me e i valori più pregnanti che regolano questa relazione.

Sappiamo però che il chiarimento del significato e degli effetti delle norme richiede la comprensione dei problemi sottesi ad esse.

Quali problemi si incontrano nel trattare la con-sensualità, cui si affida la relazione medico pa-ziente?

Senza volere né potere essere esaustivo - e quindi senza affrontare qui i temi legati alle disposizio-ni anticipate di trattamento e alla piadisposizio-nificazione condivisa delle cure - quattro aspetti mi sembra-no importanti. Mi riferisco, anzitutto, alle diverse concezioni della malattia che si colgono dal lato del paziente, e sul versante della medicina. In se-condo luogo, si deve considerare il trattamento medico, di cui è presupposto e parte la consen-sualità, dall’angolazione dei diritti della persona. Vi è poi il tema della (mancata) consensualità come problema di responsabilità sanitaria. Infine, rileva la dimensione organizzativa, in cui si inse-risce la relazione, e quindi la consensualità come modalità del rapporto terapeutico.

La trama che unisce questi aspetti ricorda la sce-neggiatura di uno di quei film in cui i protagoni-sti narrano la medesima vicenda da vari punti di vista. La prospettiva particolare di ognuno ren-de enigmatico il quadro d’insieme. È così, a mio parere, anche nel caso nostro1. Nel trattare della

1 Per ulteriori spunti e altre indicazioni: Graziadei,

Il consen-so informato ed i suoi limiti, in Lenti, Fabris PaLermo, zatti (a

cura di), I diritti in medicina, in rodotà e zatti (diretto da), Trattato di bio diritto, Milano, 2011, 191 ss. e gli altri

contri-buti sul tema raccolti nel volume; nonché: aLPa (a cura di), La responsabilità sanitaria, Pisa, 2017; CaCaCe,

Autodetermi-Dal consenso alla consensualità

nella relazione di cura

Michele Graziadei

Professore nell’Università di Torino

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Quali modelli di malattia si incontrano nella relazione di cura. – 3. La

sualità nel trattamento medico, come diritto del paziente. – 4. Il trattamento medico, di cui è parte la consen-sualità, e la traslazione del rischio al paziente. – 5. Il trattamento medico, di cui è parte la consenconsen-sualità, come problema organizzativo.

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Dialoghi

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relazione di cura, emergono punti di vista, cono-scenze, e esigenze diverse. Ricomporre il quadro d’insieme è una sfida.

Vediamo di dipanare la matassa.

2. Quali modelli di malattia si

incontrano nella relazione di cura

In primo luogo, nell’incontro tra il medico e il paziente si confrontano due modelli di malattia, e due prospettive diverse sulla malattia.

Il paziente si domanda quale sarà la sua sorte, quale l’esito del trattamento, quali i rischi e i be-nefici rispetto alla propria situazione.

Il medico esamina e tratta il singolo paziente, ma riferisce al paziente una conoscenza scienti-fica costruita su teorie e dati che hanno carattere generale, riguardanti una certa popolazione. Le indicazioni conseguenti non possono sempre es-sere “personalizzate”, come il paziente desidera, benché la medicina avanzi verso il trattamento medico personalizzato.

L’incontro tra il medico e il paziente è l’incontro tra due modelli di malattia anche da un diverso, e forse più radicale punto di vista.

Il modello di malattia all’origine dell’odierna me-dicina occidentale è in modo prevalente un mo-dello scientifico, di taglio biomedico. Secondo tale modello, in estrema sintesi e semplificazione, una persona è malata quando alcuni indicatori biomedici sono fuori norma. Un’azione biochimi-ca o fisibiochimi-ca li riporterà ad un equilibrio accettabile. Questo riduzionismo ha consentito alla medicina occidentale di compiere enormi progressi negli ultimi due secoli. Inutile dire che alcune malattie non rispondono pienamente al modello (si pensi ai disturbi dell’alimentazione), e che più in ge-nerale la scienza relativa alla malattia e alla cura conosce limiti.

Il paziente ha invece in primo luogo mente un modello di malattia biopsicosociale. È un modello

nazione in salute, Torino, 2017; de matteis, Le responsabilità in ambito sanitario, Padova, 2017; FoGLia, Consenso e cura. La solidarietà nel rapporto terapeutico, Torino, 2018.

meno riduzionista, in cui contano, ad esempio, le relazioni che il paziente coltiva e il suo vissuto. La stessa medicina da sempre riflette sui model-li di salute e di malattia, e il riposizionamento a favore di un modello biopsicosociale di medicina è ormai acquisito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Si tratta di un modello che trova or-mai ampio spazio nella pratica medica, special-mente nel trattamento di alcuni pazienti, come i bambini.

Quale parte prende il diritto in questo scenario? La Costituzione accoglie il principio personalisti-co; le ricadute sono puntuali anche sul terreno del rapporto medico-paziente, come stabilisce la nuova legge. Lo ricorda già il Consiglio di Stato nella decisione sul caso Englaro:

«La “cura” non è più (...) un principio

autoritati-vo, un’entità astratta, oggettivata, misteriosa o sa-cra, calata o imposta dall’alto o dall’esterno (…), ma si declina e si struttura, secondo un fonda-mentale principium individuationis che è espres-sione del valore personalistico tutelato dalla Co-stituzione, in base ai bisogni, alle richieste, alle aspettative, alla concezione stessa che della vita ha il paziente»2.

Nella nuova legge abbiamo indicazioni significa-tive al riguardo. Infatti, essa consente presenze ulteriori a fianco al paziente, secondo la sua vo-lontà: dai parenti, al congiunto e al convivente, alla persona di fiducia (art. 1, comma 2°, 3°, l. n. 219/2017).

3. La consensualità nel trattamento

medico, come diritto del paziente

Come diritto del paziente, la consensualità nella relazione di cura nasce sul terreno familiare all’o-peratore giuridico: l’autonomia del soggetto. Tuttavia, è sorprendente che il requisito del con-senso al trattamento medico abbia tardato così tanto ad imporsi come norma. Il ritardo non de-nuncia la fragilità di tutta l’impalcatura su cui si regge il principio di autonomia?

2 Consiglio di Stato, Sez. III, 2.9.2014, n. 4460, in Nuova

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Ricordo che (anche) la riflessione filosofica – il ri-ferimento è a Kant – ha posto una pietra d’inciam-po al riguardo, quando ha affermato che l’uomo non può disporre di se stesso, perché non è una cosa. Nascono così una serie di equivoci maturati all’interno della scienza giuridica, da cui non sarà facile liberarsi.

D’altra parte, un robusto paternalismo medico, nell’epoca della fondazione della clinica, si è le-gato a scoperte in grado di giustificare non solo sul piano scientifico, ma anche sul piano etico, agli occhi di larga parte della professione medica il principio doctor knows best. È bene ripensare alla fragilità della scienza che ha sviluppato un assunto di questo genere.

La nuova legge fotografa il mutamento interve-nuto sul piano delle idee e dei valori; rimango-no però tuttora problemi aperti, che rimango-non toccarimango-no unicamente il tema dell’informazione da dare al paziente, ma tutto l’arco della relazione di cura. Cosa sappiamo della relazione di cura, come rela-zione imperniata alla consensualità?

La cura non è più imposta dall’alto, è orientata ai bisogni del paziente e alle sue scelte di vita. Tuttavia, perché esse possano essere compiute, il paziente deve essere informato, e per essere informato deve essere sollecitato a esprimere le proprie esigenze, così come emergono dal pro-prio vissuto, in rapporto alla cura.

Questo taglio del discorso nasce dalla riflessione interna alla stessa medicina, ed è sostenuto dal di-ritto, come vediamo. Su questa via, però, si incon-trano numerosi ostacoli. Si enfatizza l’asimmetria informativa che corre tra le parti. L’espressione nasconde anche qualche trappola: la persona può essere in possesso di elementi di conoscenza per-tinenti rispetto alla propria malattia, che il medico e chi lavora al suo fianco ignora.

Resta il fatto che, senza il consenso, il trattamento non deve procedere, anzi, non deve procedere senza il consenso “informato”, se non nei casi pre-visti tassativamente dalla legge.

La nuova legge rende chiaro che il “consenso” non è un atto; è uno stato che perdura nell’arco della relazione di cura. Pertanto, secondo l’art. 1, comma 8°, l. n. 219/2017: “Il tempo della

comuni-cazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”. Come per altre norme, il precedente è

il Codice di deontologia medica del 2014 (art. 20, comma 2°).

Il principio del consenso, meglio la consensualità, attraversa tutta la relazione di cura, fino alla fase del fine vita, attraverso le disposizioni anticipa-te di trattamento, e alla pianificazione delle cure (artt. 4, 5, l. n. 219/2017).

Nella nuova legge il “consenso informato” pro-muove e valorizza: “la relazione di cura e di

fi-ducia tra paziente e medico, in cui si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la compe-tenza, l’autonomia professionale e la responsabi-lità del medico” (art. 1, comma 2°, l. n. 219/2017).

Quale specifica informazione deve essere data al paziente nel quadro ora descritto?

È difficile trovare una risposta generale alla do-manda. I trattamenti sanitari sono molto diversi. L’informazione pertinente è frequentemente arti-colata e precisata dalle società scientifiche, grazie al sapere specialistico.

Rispetto ai moduli in cui è racchiusa questa cono-scenza, Paolo Zatti propone una diagnosi netta: sono una “istigazione alla finzione”.

Si vuole offrire al personale sanitario e alla strut-tura una coperstrut-tura rispetto al rischio dell’evento avverso sul piano della responsabilità civile e pe-nale, postulando che il paziente abbia potuto as-sorbire e ponderare l’informazione contenuta nel documento, prima di consentire al trattamento. Una divaricazione tanto ampia e profonda tra eti-ca e diritto è davvero ammissibile?

I giudici hanno ripetutamente stracciato il velo della finzione, negando in varie circostanze effi-cacia al consenso raccolto nel documento. Nel valutare questo strumento, non abbiamo pie-na contezza della sua efficacia, già in astratto. Non disponiamo infatti di una indagine scientifica approfondita sulla qualità dei moduli utilizzati. In Germania una recente indagine ha vagliato i mo-duli per dieci interventi comuni, tra cui la resezio-ne della prostata e la cataratta: gli aspetti critici sono numerosi3.

3 Lühnen, mühLhauser, steCkeLberG, The Quality of Informed

Consent Forms – a Systematic Review and Critical Analysis,

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Sappiamo, inoltre, che i pazienti non leggono il modulo, e ancor più frequentemente non com-prendono l’informazione che esso veicola, con problemi maggiori per i pazienti più vulnerabi-li (anziani, soggetti con minore istruzione, o più a lungo ospedalizzati...). Emergono in ogni caso forti difficoltà a ritenere l’informazione ricevuta. Infine, l’atteggiamento del personale sanitario nei confronti della comunicazione può essere molto diverso. Si può prendere sul serio il compito di co-municare con il paziente, o agire superficialmente su questo terreno. L’una e l’altra scelta non sono però puramente casuali. Un’indagine antropologi-ca condotta presso alcuni ospedali torinesi rileva come il fattore tempo sia gestito diversamente dai medici, e come questa “moneta di scambio” sia tesaurizzata o elargita in modo diverso, in rela-zione alla persona che si ha davanti e al contesto in cui la relazione si svolge4. La comunicazione è

spesso unilaterale, il medico raramente domanda al paziente cosa pensa della sua malattia, come si proietta sul suo futuro, ma anche a questo pro-posito vi sono differenze notevoli, in relazione ai diversi contesti e trattamenti.

Un effetto di inibizione deriva dal fatto di essere in un ambiente non familiare, a confronto con un linguaggio specialistico, non di rado in evidenti condizioni di debolezza e di dipendenza.

La nuova legge stabilisce i parametri generali del-la comunicazione, salve le norme speciali (art. 11, comma 11°, l. n. 219/2017).

È da ritenere che le norme speciali non deroghi-no quanto la nuova legge stabilisce in generale, poiché essa attua norme costituzionali. Pertanto, il “fatto salvo”, riguarda unicamente i particolari requisiti di forma, o gli ulteriori requisiti prescritti dalle leggi apposite in materia, affinché il consen-so sia validamente espresconsen-so.

La norma stabilita al riguardo è formulata in modo ampio (l. n. 219/217, art. 1, comma 3°): “Ogni

per-sona ha il diritto di conoscere le proprie

condizio-4 QuaGLiarieLLo, Fin, Il consenso informato in ambito medico

– Un’indagine antropologica e giuridica, con Prefazione di

V. Zagrebelsky, Bologna, 2016. FontaneLLa, La comunicazione diseguale. Ricordi d’ospedale e riflessioni linguistiche, Roma,

2011.

ni di salute e di essere informata in modo com-pleto, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefìci e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiu-to del trattamenrifiu-to sanitario e dell’accertamenrifiu-to diagnostico o della rinuncia ai medesimi”.

Questa disciplina è integrata da altre norme della legge che regolano la formazione del personale sanitario, e che hanno carattere organizzativo. Poiché la norma è molto generale, è probabile che il lavorio della giurisprudenza prosegua su diversi aspetti sensibili.

Ad esempio, cosa si deve intendere per informa-zione “completa”? Chi decide in proposito? Il pa-ziente deve apprendere anche i rischi molto bassi? In proposito, indicazioni giurisprudenziali recenti puntualizzano il criterio da seguire.

È stata infatti cassata la sentenza di rigetto della domanda di risarcimento proposta dagli eredi di una paziente deceduta a seguito di un intervento chirurgico. La Corte di merito aveva ritenuto che il medico non fosse obbligato ad illustrare alla paziente i rischi letali, statisticamente inferiore al 1%, i quali venivano trattati alla stregua del for-tuito.

La Cassazione, invece, ha stabilito che: “la

valu-tazione del rischio appartiene esclusivamente al paziente e costituisce un’operazione di bilancia-mento che non può essere annullata a favore del medico che interviene, sia pure con interventi sal-vifici”5.

Ritengo l’impostazione corretta. Ma va ricordato che la nozione di rischio è polisemica: vi sono rischi legati a condizioni di incertezza che sono commensurabili, e rischi incommensurabili. Sono da mettere tutti sullo stesso piano?

Infine, si insiste molto sui bias cognitivi che ri-guardano i pazienti, ma vi sono bias relativi alla decisione medica. Se il paziente interpella un chi-rurgo, avrà più probabilità di vedersi proporre un intervento chirurgico, semplicemente perché il

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chirurgo conosce meglio le possibilità che offre la sua arte, rispetto al clinico, e viceversa.

Rimane vero che la medicina è in grado di con-tribuire in modo importante alla qualità della re-lazione tra medico e paziente e alla sua valoriz-zazione, non solo perché in essa si impegna il medico sul piano etico, ma anche perché lavora sull’evidenza scientifica relativa alla qualità della comunicazione, con strumenti che il giurista può solo sognare. Il risvolto del discorso, sul piano del diritto, è importante. La regola giuridica deve te-nere conto dell’evidenza scientifica, altrimenti, si cade nella trappola della finzione: entra in scena la maschera del diritto, la sua ombra, non la sua luce.

4. Il trattamento medico, di cui

è parte la consensualità, e la

traslazione del rischio al paziente

In relazione a questo tema, si deve aver presen-te il doppio volto della comunicazione medi-co-paziente. Infatti, il consenso è manifestazione dell’autonomia della persona, ma è anche il mez-zo per traslare sul quest’ultima il rischio inevitabi-le connesso al trattamento.

Mi riferisco all’eventuale evento avverso che si può materializzare pur in presenza di trattamento eseguito secondo la lex artis. Nessun paziente ha forse davvero ben chiaro che, tanta più informa-zione riceve, tanto è più probabile che l’evento avverso rimanga a suo carico, qualora si verifichi. Nessuno dei moduli di consenso informato che ho letto nel corso del tempo prende posizione espressamente sul punto. Né ho avuto occasio-ne di apprendere che i medici illustrino in modo esplicito il punto relativo al trasferimento del ri-schio al paziente. Siamo ancora una volta nella dimensione dell’implicito, del non detto.

Questa soluzione è equilibrata? È opportuno che il paziente subisca tutte le conseguenze dell’even-to avverso inevitabile, per effetdell’even-to della manifesta-zione di consenso informato? Pensiamo, ad esem-pio, al danno da infezione ospedaliera. È giusto che sia traslato sic et simpliciter sul paziente? Certamente l’obbligo del servizio sanitario nazio-nale di curare colui che patisce l’evento avverso – se tuttora in vita – attenua le conseguenze del

pregiudizio. Le provvidenze erogate dal sistema previdenziale possono a loro volta essere d’aiuto. Tuttavia l’interrogativo rimane aperto: alcuni ser-vizi sanitari stranieri (segnatamente quello france-se) indennizzano le vittime di eventi avversi ine-vitabili, per invalidità superiori al 25%.

Dal 2010 la nostra giurisprudenza risarcisce il mero pregiudizio recato all’autonomia decisio-nale. Il risarcimento, nel caso di evento avverso inevitabile, ripara la lesione determinata dalla mancata previa accettazione del rischio inevitabi-le, conseguente ad una informazione carente, nel caso in cui il paziente avrebbe scelto di operarsi comunque.

Lo stato dei precedenti delinea un implicito con-trasto giurisprudenziale circa la riparazione del danno su base presuntiva, ovvero solo in seguito all’allegazione e alla prova di circostanze che ri-conducono il discorso alle scelte di cui il paziente fu privato, e alla sua effettiva impreparazione a sostenere il trattamento. Vedremo per quale via si incammina la giurisprudenza.

Le liti intorno alla violazione della norma che im-pone la consensualità nel rapporto di cura non sono tuttavia così frequenti. Difficile nuovamente disporre di dati precisi. Quanto è pubblicato dalle riviste giuridiche non rappresenta in modo esatto la realtà del contenzioso. Per raccogliere i dati che ci darebbero la chiave del problema bisognereb-be un’indagine a tappeto su tutte le cause civili e penali da responsabilità medica, e sulle liti che si concludono con transazione. Si tratta di un com-pito che nessuno ha affrontato anche se alcuni dati oggi sono più accessibili di ieri.

Un effetto incongruo della legge Gelli-Bianco (l. 8 marzo 2017 n. 24) è l’incremento nella rilevazione di sinistri, ricollegabile all’obbligo di comunica-zione previsto dall’art. 13 della legge, esteso alle trattative stragiudiziali intraprese dalle strutture sanitarie. Poiché la legge impone tempi brevi per l’invio delle relative comunicazioni, e colpisce con sanzioni le comunicazioni tardive o incomplete, le strutture propendono per un’applicazione indi-scriminata della norma, che finisce per coinvolge decine di medici in ogni sinistro.

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5. Il trattamento medico, di cui è

parte la consensualità, come

problema organizzativo

L’ultimo aspetto del discorso riguarda il controllo del rischio clinico. Il tema ha un peso maggiore nell’orientare in concreto le pratiche relative alla consensualità. La medicina ha imponenti aspetti organizzativi; la comunicazione medico-paziente considerati dal punto di vista della scienza dell’or-ganizzazione, acquistano una nuova dimensione, come si è già detto nel considerare il tempo de-dicato alla cura.

Le grandi strutture sanitarie hanno di fronte a sé compiti immensi, per l’elevatissimo numero di trattamenti che avvengono quotidianamente. Ri-torniamo sul modulo, per considerare una delle ragioni del ricorso ad esso, vale a dire la stan-dardizzazione della comunicazione che è utile al controllo del processo che si svolge. L’informazio-ne convogliata è in larga misura determinata dalla comunità scientifica di riferimento; oltre duecento società scientifiche in medicina sono attive in pro-posito.

Credo che alcuni sviluppi importanti siano dietro l’angolo a questo riguardo; per ora la letteratura

prodotta nell’ambito del diritto non ne discute. Ne accenno qui per parlare di uno dei temi all’o-rizzonte.

Possiamo attenderci l’ingresso negli ospedali di nuove tecnologie in grado di consentire l’acquisi-zione e la registral’acquisi-zione di dati relativi al paziente; l’interazione del paziente con un sistema informa-tivo, può dunque modificare i termini del discorso in questa materia.

Con l’intervento di una società di software, può fare ingresso in ospedale un sistema informatico che consente di gestire in modo digitalizzato, in tutti i Dipartimenti e unità, il processo che condu-ce a stabilire che il trattamento si sviluppa su base consensuale. I dispositivi attualmente in commer-cio, già introdotti in alcuni ospedali, possono aiutare a superare alcune difficoltà organizzative, evidenti per ospedali con numeri importanti. Po-tremmo scoprire che questi ausili sono destinati a far parte del patrimonio tecnologico di cui oggi la medicina, al pari del diritto, si giova. Si profila allora il rischio collegato alla nuova tecnologia: la deresponsabilizzazione della struttura e il perso-nale quanto allo sviluppo della consensualità nel-la renel-lazione di cura. In questo caso, non saremmo in linea con quanto richiede la nuova legge.

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