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PERCORSI DIDATTICI PER LIBERARE LA FANTASIA

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Academic year: 2021

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FOSSILE

In geologia, ogni resto o traccia di organismo animale o vegetale conservato negli strati della crosta terrestre, vissuto in epoca anteriore a quella attuale. Sono fossili anche le tracce e impronte lasciate in sedimenti non ancora consolidati, nonché i fori dovuti all’azione di animali perforanti.

fonte: treccani.it FOSSILE URBANO

Ogni prodotto dell’attività dell’uomo nelle città contemporanee, resto o traccia della produzione e del consumo, che rimane “intrappolato” nell’asfalto, il “suolo” delle città.

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a cura di Massimo Delfino, Francesca Cirilli, Marco Giardino e Francesca Lozar

Fossili Urbani:

riflessioni semiserie

sui processi di fossilizzazione

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08 Fossili Urbani e PROGEO-Piemonte

09 Prefazione

Assessore alla Cultura, Turismo della Regione Piemonte

10 Prefazione GAI 11 Prefazione SGI e SPI 12 Introduzione

18 All’origine di Fossili Urbani: riflessioni personali di una fotografa 22 Volgere le spalle al futuro

32 Fossili dell’antropocene, l’era dell’uomo

38 Orme e tracce: gli icnofossili in città 44 Strati in città

54 I fossili e l’architettura

Fossili Urbani:

riflessioni semiserie

sui processi di fossilizzazione 67 Francesca Cirilli

109 Vincitori concorso

122 Percorsi didattici per liberare la fantasia

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PROGEO-Piemonte è un progetto di ricerca d’ateneo dell’Università degli Studi di Torino cofinan-ziato dalla fondazione bancaria Compagnia di San Paolo. I ricer-catori del Dipartimento di Scienze della Terra, insieme a colleghi di altri dipartimenti ed istituzioni scientifiche hanno studiato, inven-tariato e valutato la geodiversità ed il patrimonio geologico della Regione Piemonte. Per valorizzare, proteggere e divulgare questi contenuti, i ricercatori hanno compreso l’importanza di coinvol-gere il grande pubblico. Rendendo le persone consapevoli dell’im-portanza delle informazioni che ci derivano dallo studio di rocce e fossili anche vecchi di milioni di anni (il patrimonio geologico), si può costruire una società migliore, più rispettosa dell’ambiente e più sicura rispetto ai rischi naturali.

Fossili Urbani si è unito a

PROGEO-Piemonte per testimoniare che, oltre all’eredità che la Terra lascia all’umanità, leggibile nelle rocce, l’umanità stessa si sta trasfor-mando in agente geologico (per numerosità e magnitudine del suo impatto) e sta modificando,

spesso irreversibilmente, il Pianeta su cui abitiamo. È quindi impor-tante riflettere su quali tracce vogliamo lasciare nell’asfalto e in altri contesti urbani e non solo; da queste i paleontologi e geologi del futuro ricostruiranno le nostre abitudini quotidiane e valuteranno gli effetti dell’umanità come nuovo “agente geologico”, distruttivo come una frana o costruttivo come una barriera corallina…

Fossili Urbani e

PROGEO-Piemonte Marco Giardino e

Francesca Lozar

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Nell’assolvere al proprio compito di sostegno e di promozione della cultura nelle sue molteplici forme, la Regione Piemonte ha storica-mente esercitato la dimensione scientifica di tale ruolo attraverso l’attività condotta dal Museo Regionale di Scienze Naturali, luogo di divulgazione, approfon-dimento ed esperienza, oltreché spazio espositivo e di raccolta di straordinarie collezioni.

In un periodo in cui appare sempre più delicato il rapporto, più sottile l’equilibrio fra uomo e ambiente, l’osservazione e la comprensione del mondo che ci circonda si rivelano attività preziose. Attività che proprio nella “comunicazione scientifica” trovano il veicolo per divenire strumenti di conoscenza, di educazione, di consapevolezza verso il grande pubblico. Ecco quindi che i musei naturalistici e, in termini ampi, la diffusione della cultura scientifica, assumono la funzione di interpreti, chiavi di lettura del cambiamento in corso. Ma perché ciò avvenga, necessitano essi stessi di un rinnovato approccio metodolo-gico nei confronti di una società ormai abituata a confrontarsi

con la realtà per mezzo di nuovi linguaggi, nuovi modelli, nuovi veicoli, di cui dotarsi per trasmettere messaggi e portare la comunità a incuriosirsi e occuparsi di natura e scienza.

Un contesto in cui le iniziative di “citizen science“ si rivelano come importanti occasioni affinché il pubblico non sia mero spettatore od osservatore, ma vero e proprio ricercatore e attore. Il progetto sui “fossili urbani“ si propone pertanto come esempio di innovazione in tal senso, in quanto unisce argomenti e rigore scientifico a un sapore ludico raro in altri programmi scientifici. Sdoganando la Paleontologia semplifica di fatto una seriosità accademica e centra l'obiettivo di portare la scienza a una dimensione popolare. Un illustre studioso torinese del passato, Michele Lessona, guardava a questo orizzonte già nell’800, al tempo in cui dirigeva il Reale Museo di Zoologia, la cui eredità è stata raccolta proprio dal Museo Regionale di Scienze Naturali: mantenere oggi la stessa direzione, come nel caso di questa iniziativa, rappresenta forse il modo migliore per innovare nel solco della tradizione.

L’Assessore alla Cultura, Turismo della Regione

Piemonte Antonella Parigi

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Il progetto Fossili Urbani rappre-senta per il GAI, l’Associazione Circuito Giovani Artisti Italiani, un interessante modello di interazione tra Arte e Scienza.

I temi qui trattati sono infatti a cavallo tra due modi apparente-mente lontani e differenti nell’ap-proccio di fare ricerca.

Parlare di Paleontologia attraverso i linguaggi artistici contempora-nei è certamente una occasione che riesce qui con successo ad avvicinare visioni che trovano nella creatività una chiave di lettura trasversale.

Affascinante lasciarsi quindi guidare dalle tracce registrate nelle varie opere della fotografa Francesca Cirilli e in quelle vincitrici del concorso che, nella mostra, ci indicano un percorso inedito tra

reperti visivi: un contributo ludico

alla divulgazione attiva delle Scienze Geologiche che ci fa comprendere la loro importanza e, al contempo, è testimonianza del rapporto inscindi-bile tra l’uomo e l’ambiente.

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Il Presidente dell’Associazione GAI Maurizio Braccialarghe Assessore alla Cultura,

Turismo e Promozione della città

Città di Torino

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Il progetto Fossili Urbani ha il pregio di diffondere informazioni relative alle Geoscienze fra coloro che più che a questioni di carattere scientifico, sono interessati alla peculiarità dei dettagli insoliti e curiosi che possiamo notare lungo le nostre strade, alla fotografia e alle forme naturali o artificiali lette come arte in generale. Una sorta di piccolo cavallo di Troia che, con la scusa di proporre un’atti-vità di ricerca fotografica, invita i partecipanti a osservare le città, le strade, i parchi alla ricerca di fossili particolari: i “fossili urbani”. Lasciamo ogni giorno tracce che rimangono “fossilizzate” a

testimoniare processi artificiali dell’Antropocene. Così, mentre i processi naturali determinano la fossilizzazione di resti e tracce di vita di organismi animali e vegetali nei sedimenti e nelle rocce, i “fossili urbani” ci raccontano abitu-dini e gesti estemporanei della quotidianità.

Chi è impegnato giornalmente nello sviluppo delle conoscenze e nella divulgazione delle Geoscienze sa quanto sia difficile attrarre l’attenzione del pubblico su concetti quali stratigrafia e fossilizzazione. In modo quasi “truffaldino”, questo progetto propone di riflettere su questi e altri concetti. L’iniziativa Fossili

Urbani rappresenta una peculiare

attività di comunicazione e di educazione attraverso l’osser-vazione di muri, pavimenti, monumenti, viali, marciapiedi, scalinate.

In ultimo, ma non meno impor-tante, il progetto ci svela che nelle rocce sedimentarie che vengono spesso utilizzate come materiale da costruzione possono essere imprigionati dei veri fossili. I veri fossili “urbani” sono questi, e sono molto meno rari di quanto si creda.

Il Presidente della Società Geologica

Italiana

Prof. Elisabetta Erba Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”

Università di Milano Il Presidente della Società Paleontologica

Italiana Prof. Lorenzo Rook Dipartimento di Scienze della Terra Università di Firenze

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Massimo Delfino, Francesca Cirilli, Marco Giardino e Francesca Lozar INTRODUZIONE

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La paleontologia viene quasi sempre presentata dai mass media come una disciplina che si occupa di scoperte sensazionali e di reperti fossili molto scenografici. Il dinosauro più grande o più aggres-sivo o addirittura nuotatore! L’uccello più antico. Il mammut liberato dal permafrost che conserva ancora il pelo. Le impronte di un uomo primitivo che ha camminato su una coltre di cenere eruttata da un vulcano africano. Il risultato è che i fossili sembrano essere qualcosa di lontano e irraggiungibile. In realtà, nella nostra vita quotidiana siamo costan-temente a contatto con i fossili e i loro derivati perché grazie al carbone, al metano e soprattutto al petrolio siamo in grado non solo di scaldarci e di cucinare i cibi che mangiamo, ma anche di produrre elettricità e soprattutto la plastica che si presta ad una miriade di utilizzi diversi. Si obietterà che questi esempi sono parzialmente fuorvianti perché riguar-dano fossili che sono semplicemente dei materiali, delle materie prime, ma anche i fossili macroscopici sono solo apparentemente lontani. Da un lato è vero che è difficile trovare dei fossili in un affioramento in natura perché questi sono rari (e protetti dalla legge) e perché comunque molti di noi vivono quasi costantemente in città e quindi lontano dagli affio-ramenti. Dall’altro, nelle pietre da costruzione di origine sedimentaria che costituiscono marciapiedi e palazzi di città possono nascondersi dei fossili: foraminiferi, esseri unicellulari grandi talora come monete, ma anche conchiglie di bivalvi, gasteropodi

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e ammoniti grandi come ruote di bicicletta. In alcuni casi, addirittura elefanti!

Ma le città ci offrono anche l’occasione di riflettere in modo giocoso sull’origine dei fossili. Cosa deve accadere affinché un organismo possa conservarsi nei sedimenti che diventeranno poi roccia? La risposta è semplice, ma riguarda un processo che in natura non è così comune. Per prima cosa i resti di un organismo devono essere in qualche modo protetti. Tutti i giorni, sotto i nostri occhi, alcuni oggetti sfuggono alla furia distruttrice (dovremmo dire “ripulitrice”) di scope, palette, mezzi per la pulizia delle strade, oppure all’acqua che tutto raccoglie e trasporta nei tombini (se avete fatto una passeggiata a Parigi avrete molto chiara questa immagine!). Non sono resti di organismi (sono solo le nostre tracce o i resti delle attività cittadine di noi esseri umani, gli organismi la cui presenza caratte-rizza le zone urbane) ma potremmo fare finta che lo siano e potremmo provare a cercali e fotografarli per farci raccontare delle storie. Tutti i giorni, sotto i nostri occhi, una moltitudine di oggetti molto diversi fra loro, quali tappi, bottoni e bulloni, più raramente lattine e perfino carcasse di cellulari, vengono

parzialmente “annegati” nell’asfalto che li trattiene e li protegge, in qualche modo li fossilizza... salvandoli temporaneamente dalla distruzione. Nel quartiere di San Salvario, a Torino, i tappi di birra incastrati nelle giunzioni bituminose dell’asfalto delle strade e

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dei marciapiedi indicano chiaramente i punti in cui si concentra la vita notturna e i locali che vendono bevande a poco prezzo. Ci raccontano quindi, di giorno, quello che è successo di notte.

Ancora a Torino, nella zona del mercato di Porta Palazzo, è addirittura possibile ritrovare, la sera quando i banchi del mercato hanno lasciato lo spazio a un enorme posteggio, le tracce dei banchi che vendono abbigliamento: incastrati nell’asfalto ci sono i ganci metallici delle grucce per abiti!

Ma non è tutto qui. In città, asfalto e cemento fresco raccolgono anche le impronte di cani, gatti, tacchi e mezzi di trasporto vari… che sono l’esatto equiva-lente delle tracce di antichi organismi che i paleon-tologi chiamano icnofossili e che rappresentano dei fossili a tutti gli effetti.

Una raccolta fotografica di questi oggetti “perduti e salvati”, in qualche modo dei “fossili urbani”, ci ricorda inoltre che dobbiamo agire in modo responsabile per gestire al meglio tutti quei prodotti di scarto che inevitabilmente produciamo (e che dovremmo cercare di ridurre al minimo). Un tappo di bottiglia perso per strada può rimanere per alcuni mesi intrappolato, “fossilizzato”, nell’a-sfalto, ma se perso in natura rimane certamente per degli anni. E la bottiglia (una vera trappola per molti piccoli animali) che inevitabilmente lo accompagna?

Camminare in città in cerca di fossili veri nei materiali da costruzione, ma anche di “fossili urbani”,

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siano essi oggetti incastrati nell’asfalto o impronte nel cemento, non è certamente un gioco fine a se stesso, ma un’occasione per riflettere sul fatto che la paleontologia non si occupa solo di fossili eccezio-nali, molto scenografici e sempre molto lontani da noi: un fossile non è importante per la sua bellezza ma per le informazioni che racchiude e che uno studio accurato ci può svelare. E anche un tappo di bottiglia incastrato nell’asfalto, se si è disposti a giocare, nasconde delle informazioni e ci può raccontare una storia.

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Francesca Cirilli

ALL’ORIGINE DI FOSSILI URBANI:

RIFLESSIONI PERSONALI DI UNA FOTOGRAFA

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Stavo riflettendo su quanto noi uomini lasciamo sul nostro cammino (in senso figurato) facendo paragoni con altri esseri viventi, mentre aspettavo un amico su un marciapiede romano. Nell’attesa, presa dai miei pensieri, camminavo su e giù

giocando come da bambina, attenta a non mettere i piedi sui bordi delle mattonelle e sulle giunture tra diversi strati di asfalto.

«Ma che fai chinata a terra?», mi chiede l’amico arrivato nel frattempo. Avevo notato un bottone e un cerotto rimasti “intrappolati” nell’asfalto sotto i miei piedi e la cosa mi aveva incuriosito: ciò che lasciamo sul nostro cammino, e in questo caso non in senso figurato.

La risposta è uscita rapida, insieme a una nuova e personale definizione coniata sul momento: «Ho trovato un “fossile urbano”!».

Riflettendo meglio, e ripescando dalla memoria pezzi di studi universitari (che sono passati dalle Scienze Naturali alla Storia contemporanea, prima di arrivare alla Fotografia), mi sono accorta dei molti parallelismi, delle analogie e dei contrasti che si potevano stabilire tra i fossili e quelli che io avevo definito “fossili urbani”, tra le modalità della loro creazione, gli ambienti in cui si possono trovare, l’origine dei materiali che li costituiscono e in cui si realizza il processo di fossilizzazione (o “fossilizzazione”).

Con il concetto di “fossile urbano” potevo

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All’ origine di Fossili U rbani

: riflessioni personali di una f

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trattare attraverso un linguaggio che mi è proprio (quello fotografico) una serie di tematiche per me di primaria importanza. Un’immagine semplice intorno alla quale si possono sviluppare riflessioni legate ai problemi ambientali, e in particolare alla questione dei rifiuti, ai temi del consumo e del consumismo, del modo di vivere, organizzare e osservare lo spazio, della rapidità crescente che regola i tempi della nostra vita e del nostro rapporto con gli oggetti, con la natura e con il mondo in generale. Così scienza e fotografia, in maniera ironica e

giocosa, sono confluite in una serie di immagini che è andata avanti nel tempo e continua ad ampliarsi ad anni di distanza dal primo “ritrovamento”.

Nonostante la mia ricerca fotografica si muova adesso su terreni e binari stilistici un po’ diversi, continuo a raccogliere nuovi pezzi di questa serie, che si arricchisce e acquisisce con il passare del tempo sviluppi e sfumature ulteriori. Ad esempio, in una fotografia del 2008 si vede una parte di un noto modello di telefono cellulare, molto diffuso prima dell’arrivo degli smartphones; nel 2015, dopo soli sette anni, quel modello sembra ormai antico, obsoleto, come saranno tra pochi anni molti degli oggetti che oggi accompagnano le nostre vite e ci sembrano indispensabili.

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Stefano Riba

VOLGERE LE SPALLE AL FUTURO

Un giorno, avrò avuto sei o sette anni, ero con i miei genitori sulla balconata del Gianicolo. Sotto di noi il panorama di stratificazioni millenarie chiariva perché la chiamano la Città Eterna. Mia madre, che a Roma è nata, dava un nome agli edifici che le indicavo con il dito: la Basilica di Massenzio, l’Altare della Patria, la cupola del Pantheon, Castel Sant’Angelo, Trinità dei Monti. Ero affascinato da quella vista, ma anche un po’ perplesso. All’epoca vivevo in un paese all’im-bocco della Val Varaita, dalla finestra di camera mia vedevo il Monviso e le mie estati trascorrevano nei boschi e nei prati. Credo si possa dire, con una frase un po’ banale, che ero un amante della natura e dal mio punto di vista romantico l’uomo (e ancora di più il bambino) era solo un puntino nel paesaggio. Ma quello su cui mi trovavo affacciato quel giorno era un panorama interamente costruito dall’uomo e nella mia testa c’era un po’ di confusione, così chiesi: «Ma l’uomo può costruire le montagne?». Mia

madre rispose: «No, però ha costruito le piramidi in Egitto e le cupole che vedi».

Quello che intendevo domandare era altrimenti formulabile così: fino a dove può spingersi l’uomo nel costruire i suoi monumenti? Riuscirà mai a edificare qualcosa di ‘eterno e inscalfibile’ come una montagna? Potrà mai rivaleggiare con i tempi delle ere geologiche e con la vastità della natura e dell’universo?

Comunque sia, la domanda e la successiva risposta fecero nascere in me due passioni: quella

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per le pietre e quella per la storia dell’arte. Nella prima categoria rientravano anche i fossili, nella seconda musei, chiese, templi, pitture, incisioni rupestri. Negli anni successivi iniziai a collezio-nare minerali e fossili e le vacanze estive, per lo meno molte delle loro tappe, erano dettate dalle mie curiosità. Sono stato a Rovereto per vedere le orme dei dinosauri, sull’altopiano del Mondeval per osservare i fossili nel loro ambiente naturale, poi a Selva di Cadore per visitare il Museo Civico della Val Fiorentina che ne conserva una vasta collezione e che oggi ospita anche l’uomo del Mondeval, lo scheletro di un cacciatore mesolitico vissuto oltre settemila anni fa, che all’epoca era appena stato scoperto. Estate dopo estate ho visitato i templi di Paestum, di Agrigento, Segesta e Selinunte, le necropoli etrusche di Tarquinia, Cerveteri e Vulci, la Cappella degli Scrovegni, il mausoleo di Galla Placidia, il parco della preistoria di Rivolta d’Adda, e ancora Pompei ed Ercolano, Castel del Monte, le catacombe romane, le architetture arabe e

normanne di Palermo, gli antichi nuraghi e gli ipogei sardi. Ho scalato il Vesuvio e l’Etna, esplorato le grotte di Bossea, Frasassi, Castellana e Toirano, camminato tra le incisioni rupestri della Valcamonica e della Valle delle Meraviglie e girato le chiese, le basiliche, i musei archeologici e di arte antica di tutta Italia. Alle piramidi non ci sono stato perché era difficile arrivarci con la roulotte. Comunque sia, tra i sette e i quattordici anni mi sono fatto una

gran cultura e, a giorni alterni, sognavo di diventare geologo, paleontologo o archeologo.

Finite le scuole medie ho preso la strada del liceo scientifico perché, in fondo, l’amore per la scienza era più forte, anche se di poco, rispetto a quello per la storia classica. Ma durante gli studi superiori l’adolescenza mi ha un po’ rimbambito e l’espositore di fossili e minerali che mi ero costruito da solo e il relativo interesse nei confronti del suo contenuto finirono in soffitta. Due erano i motivi: l’espositore era difficile da spolverare (mai costru-ire una vetrinetta senza vetro) e non avevo nessun amico con cui condividere una passione che pareva non far colpo nemmeno sulle ragazze. La sbandata definitiva, tuttavia, l’ho presa scegliendo di far seguire alla maturità scientifica i corsi di Scienze della Comunicazione. Dopo tutto però, nulla è irreparabile e così, durante gli studi a Torino, ho avuto la fortuna di iniziare a frequentare il mondo dell’arte contemporanea. In breve tempo il tirocinio iniziale si è trasformato nel lavoro che porto avanti ancora oggi.

Tutte le mie passioni antiche, i fossili del Mesozoico, le incisioni del Neolitico, le piramidi egizie, i templi della Magna Grecia, le rovine

romane, i castelli normanni, i mosaici bizantini, sono state sostituite dallo studio di opere nate da pochi anni, mesi, giorni o, in alcuni casi, ancora non finite. Fin dal mio primo incarico, infatti, ho lavorato anche come allestitore. Affiancavo gli artisti, seguendoli

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e aiutandoli nella realizzazione dei loro lavori. Il momento della creazione prendeva forma davanti ai miei occhi, un processo che chi si occupa di fossili, minerali e storia antica può solo studiare a posteriori, ma che nell’arte contemporanea si può osservare in tempo reale. Alla creazione seguiva l’esposizione e a questa succedeva la conservazione e, infine, la memoria. Queste due ultime circostanze sono da sempre le più incerte. Se il problema

della conservazione dell’arte contemporanea è un tema dibattuto da artisti, filosofi e restauratori, le dispute su ciò che rimarrà per le generazioni future rientrano nel campo della preveggenza se non dell’i-gnoto più assoluto.

Ecco, ho preso una lunga rincorsa perché lungo è stato il salto, ma anche se sono andato molto lontano dai miei vecchi interessi, sono arrivato al punto in cui essi mi hanno di nuovo raggiunto e oggi il mio lavoro sulla contemporaneità risente di queste influenze. Non è un caso che Passi Erratici, la mostra con programma triennale che curo per il Museo Nazionale della Montagna di Torino nell’am-bito del Festival Torino e le Alpi, prenda il nome da un fenomeno geologico, i massi erratici. Grandi rocce trasportate a valle da un ghiacciaio che, durante la sua fusione, vengono lasciate in un’insolita posizione in mezzo alla pianura a ricordo delle glaciazioni antiche e soprattutto dell’ultima, quella di Würm, conclusasi circa diecimila anni. L’aumento delle temperature segnò l’inizio dell’Olocene, l’epoca

geologica in cui ci troviamo ancora oggi, e fu fonda-mentale per la nascita della civiltà umana in una zona del Medio Oriente ribattezzata la Mezzaluna Fertile oggi compresa tra Israele, Palestina, Libano, Siria, Turchia e Iraq.

Mi interessano i fossili, le rocce e i monumenti e mi piace creare dei paralleli tra passato e presente perché questo porta a riflettere su forze naturali e spazi fisici e temporali che oltrepassano la nostra immaginazione e contestano la presunta onnipo-tenza umana. Ho tirato in ballo le glaciazioni e la Mezzaluna Fertile perché oggi, al contrario, ci preoccupiamo del riscaldamento globale mentre gran parte del Medio Oriente dove sono nate l’agri-coltura e l’allevamento (e di conseguenza la stanzia-lità umana, le prime città e i primi imperi) è sempre più sterile ed è governata da una banda di folli estre-misti. Più vicino a noi, giusto per fare un esempio, nella valle in cui scorreva un ghiacciaio enorme, la Val Susa, ora scorre il tracciato della TAV. Insomma, la storia non è solo un susseguirsi di eccezionali trionfi e scoperte, ma anche un lungo elenco di testi-monianze che aprono profondi interrogativi sull’ec-cessiva fiducia nell’opera dell’uomo. Fossili urbani compie la stessa azione critica mettendoci davanti a due importanti domande: quali saranno i fossili (fisici e metaforici) che stiamo lasciando? Cosa e come sopravviverà tutto ciò che stiamo producendo?

Le risposte arrivano attraverso i lavori di Francesca Cirilli e dei fotografi selezionati tra i

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partecipanti al concorso. Sono immagini che non appartengono più all’Olocene, ma all’antropocene, un termine coniato negli anni Ottanta dal biologo Eugene Stroermer (anche se oltre un secolo prima l’italiano Antonio Stoppani aveva già proposto la definizione di era antropozoica) che indica l’epoca geologica in cui l’uomo è la principale causa dei cambiamenti territoriali, geologici e climatici. In

Fossili Urbani la riflessione su questo periodo storico

è portata avanti non solo grazie ai soggetti ritratti, ma anche al mezzo usato, la fotografia: una delle arti più recenti eppure la più fragile ed effimera in termini di durata se paragonata ad altre forme d’arte. I colori delle Polaroid sbiadiscono dopo due o tre anni, di meglio offrono Fuji, Kodak ed Epson le cui carte più pregiate sono garantite per circa un secolo (ma in condizioni di luce museale), mentre chissà quanto sopravviveranno i miliardi di fotogra-fie digitali che affollano gli hard-disk dei nostri computer. O forse, in una visione meno romantica e più realistica, quando tutto sarà trasformato in un’eterna memoria in codice binario saranno proprio i byte a essere i fossili del futuro. Non è però di questo che ci dobbiamo preoccupare per l’immediato, piuttosto la questione è relativa a ciò che vogliamo lasciare ai nostri successori. Fanno sorridere i tappi di plastica incastonati nell’asfalto, la cover di un telefonino fusa nel bitume, le impronte dei pneumatici o di una scarpa nel cemento, ma non poi così tanto se li paragoniamo a uno gneiss

vecchio quasi quanto la Terra, a un fossile di trilobite di 500 milioni di anni, a pitture rupestri di 17 mila anni fa o a templi di migliaia di anni. Pensando a tutte le testimonianze del passato che abbiamo trovato o scoperto viene da chiedersi se siamo davvero sicuri che le tracce che vogliamo lasciare siano quelle che sembrano portare dritte all’Inferno.

Ma forse, come fa dire John Milton all’arcangelo caduto nel Paradiso Perduto, “è meglio regnare

all’In-ferno che servire in Paradiso”. Lui, come noi, è stato

scacciato dall’Eden, bandito dal giardino per antono-masia è da bandito che rientra nella natura, conqui-standola, devaconqui-standola, piegandola alla propria volontà. I “fossili urbani” di queste pagine sono il segno del nostro “regnare all’Inferno”, ma anche metafora della nostra finitudine e della dismisura della natura. Allora dovremmo, forse, cominciare a sforzarci nel tentativo di donare al futuro qualcosa di più nobile della spazzatura. Magari potremmo, dopo averne distrutte tante, costruire delle montagne.

Possiamo costruirle? La risposta è sì, mia madre si sbagliava, ed è possibile attraverso l’arte. In molti, e molto bravi, ci sono riusciti. Ricordo Hamish Fulton, Richard Serra, Francys Alys, Richard Long, Matteo Rubbi. Ma qui vi vorrei parlare di Fabrizio Prevedello e della sua opera che si intitola

Accumulazione per scomparsa. Fabrizio è uno

scultore e da millenni gli scultori usano la materia estratta dalle montagne. Da un semplice sillogismo ne deriva che gli scultori scolpiscono le montagne.

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In questo caso la deduzione funziona. Fabrizio l’ha creata usando due materiali, uno naturale l’altro umano. Il primo è il marmo, il secondo il cemento nella quale ha incastonato un piccolo fossile. In tutto e per tutto l’artificio umano e la natura si ricongiungono.

Ecco, in fondo è questo che l’arte e gli artisti possono insegnare, la sensibilità e la visione nel creare qualcosa che duri oltre i limiti di una vita terrena e la capacità di andare più in profondità, di guardare più indietro o più avanti nel tempo. In questo modo magari impareremmo a saper scegliere cosa lasciare e cosa evitare ai posteri, nell’esercizio di creare il nostro piccolo (o grande) fossile per un futuro a cui non dobbiamo volgere le spalle.

“C’è un quadro di Paul Klee che si chiama Angelus

novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in

procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessante-mente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricon-nettere i frantumi. Ma dal Paradiso soffia una bufera che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarre-stabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che chiamiamo progresso, è questa bufera”.

Walter Benjamin, Angelus Novus. Saggi e Frammenti Einaudi, 1976, pp.76-77.

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Francesca Lozar e Massimo Bernardi

FOSSILI DELL’ANTROPOCENE, L’ERA DELL’UOMO

Che cosa rimarrà di noi tra 1.000, 1.000.000, 10.000.000 di anni? Che cosa rimarrà del mondo come lo conosciamo oggi tra 65.000.000 (65 milioni!) di anni, un tempo equivalente a quello trascorso da quando l’ultimo dinosauro passeggiò sulle terre emerse durante il periodo Cretacico? Alcuni di noi, presumibilmente, finiranno in un museo (se ne esisteranno ancora) in bella mostra accanto ad altri mammiferi, primati e ominidi vari. La fossilizzazione è tuttavia un processo artico-lato, complesso e in buona sostanza improbabile: la maggior parte degli elementi di cui sono fatti gli organismi rientra in ciclo andando a costitu-ire la materia prima per l’organizzazione di nuovi composti (e per questo possiamo affermare che dentro ognuno di noi vi sono con tutta probabilità alcuni atomi che furono parte di un T. rex o di una tigre dai denti a sciabola). Solo ad alcuni frammenti degli organismi che attualmente popolano i conti-nenti e gli oceani toccherà in sorte di essere fossi-lizzato, e quindi “eternato”, nel registro stratigra-fico, diventando oggetto di studio dei paleontologi del futuro.

Tuttavia, secondo un numero sempre maggiore di studiosi, l’impatto delle attività umane è destinato a rimanere per sempre impresso nella “memoria” del nostro pianeta sotto forma di rocce e fossili (in particolare tracce fossili) prodotti dall’uomo. Con le sue attività, l’uomo ha infatti prodotto cambia-menti significativi nel ciclo dei sedicambia-menti, idrico e

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atmosferico che possono essere registrati nelle rocce in via di formazione. Ogni anno vengono prodotte 1.600 milioni di tonnellate di asfalto, 3.400 miliardi di tonnellate di cemento e vengono movimentati sedimenti pari a 3 volte quelli traspor-tati naturalmente da fiumi e torrenti. Strade e palazzi, integri o ridotti a macerie, costituiranno con tutta probabilità una delle più durevoli evidenze geologiche dell’antropocene. Questi tecnofossili sono il nuovo orizzonte di interesse dei geologi e degli (ossimorici) “paleontologi dell’attuale”. I tunnel e i condotti scavati dalla mano dell’uomo non sono dopotutto concettualmente diversi dalle gallerie

realizzate dai granchi nel sedimento molle del Giurassico che, trasfor-mate in tracce fossili (icnofossili), vengono ora classificate come

Thalassinoides Fig. 1.

La produzione di sostanze chimiche industriali, dai pesticidi ai ritardanti di fiamma, dai radio-nuclidi associati alle esplosioni nucleari ai prodotti dell’industria petrolifera, ha portato a signi-ficative perturbazioni dei cicli biogeochimici (dall’effetto serra all’acidificazione degli oceani). Già rilevate nei sedimenti in accumulo oggigiorno, i picchi nella concentrazione di tali

Fig. 1 Tunnel e gallerie conservatesi per lungo tempo, posso essere considerate tracce fossili, siano esse state scavate da un granchio che perforava il sedimento molle di un basso mare giurassico (sinistra, Foto M.A. Wilson) o dalla mano dell’uomo, come nella miniera cinquecente-sca di Rio Ricet Vignola Falesina (destra, rilievo 3D Gruppo Naturalistico Montelliano 2012).

sostanze potrebbero essere usati dai geologi del futuro per riconoscere l’inizio dell’antropocene 1.

Indipendentemente dall’opportunità o meno di

definire una data esatta per l’inizio dell’età dell‘uomo, il dibattito attorno al concetto di antropocene, un argomento trasversale alle scienze umane e alle scienze “dure”, è testimone della recente consapevo-lezza dell’impatto che Homo sapiens ha su processi di magnitudine infinitamente maggiore rispetto a quelli in cui interviene ogni altra specie.

Stiamo peraltro già producendo strati di

cemento, detriti di asfalto o il “plastiglomerate” (una

1 Alla base dell’antropocene

Il limite che identificherà l’inizio dell’antropocene nelle successioni rocciose di tutto il globo, come ogni altro limite tra le ere geologiche in cui è suddivisa la storia della Terra, separerà strati rocciosi che raccon-teranno momenti della storia della Terra ben diversi tra loro a causa di cambiamenti irreversibili nella biosfera e nella geosfera del pianeta. Gli studiosi tuttavia sono alla ricerca del segnale più facilmente rico-noscibile a scala planetaria per identificare la nuova era. Ad oggi, tra i più convincenti sono stati proposti: 1— l’avvento delle culture stanziali, in particolare l’inizio della coltivazione di riso, che provocò, dopo una lunga fase di declino, un drastico aumento del metano nell’atmosfera terrestre (intorno a 5000 anni fa); 2— il 1610, che segna una diminuzio-ne diminuzio-nella concentraziodiminuzio-ne di anidride carbonica in atmosfera e il concomi-tante sensibile abbassamento della temperatura globale, probabilmente provocato dall’abbandono delle terre coltivate da circa 50 milioni di nativi americani, morti a seguito dell’espansione degli europei nel Nuovo Mondo, e dalla conseguente espansione delle aree forestate; 3— l’inizio del rapido aumento di gas serra in atmosfera, correlato con la massiccia combustione di idrocarburi fossili iniziata con l’era industriale (evento databile intorno al 1900, ma distribuito in un arco di circa 200 anni a scala globale); 4— gli effetti dei primi test nucleari, che fecero deposita-re nei sedimenti di tutto il globo i prodotti del fall-out atomico (intorno al 1964).

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roccia antropogenica costituita di plastica, sabbia e legno di recente identificata sui fondali al largo delle Hawaii), evidenze che con tutta probabilità permetteranno a un geologo del futuro (a qualsiasi specie appartenga e da qualsiasi pianeta provenga), di assegnare i livelli rocciosi che si stanno formando oggigiorno all’“età dell’uomo”. Come lo scheletro dell’ultimo dinosauro marca (anche se non definisce) la fine del periodo Cretacico, così, un giorno, il

nostro cellulare incastonato nell’asfalto, tecnofossile dell’antropocene, potrà marcare l’età dell’uomo, lontana nel tempo ma per sempre riconoscibile.

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ORME E TRACCE: GLI ICNOFOSSILI IN CITTÀ

Tutti i giorni percorriamo strade asfaltate o cemen-tate per raggiungere la scuola, l’ufficio, il super-mercato o la palestra, e infine per tornare a casa. Osservando con un po’ di curiosità, potremmo cominciare, come da bambini, a giocare con le tracce che riconosciamo lungo il nostro percorso. L’asfalto e il cemento che calpestiamo ospitano – preservano – infatti oggetti intrappolati o impronte del passaggio di cani, gatti, persone, biciclette, motorini, “per sempre congelati” lungo le strade di

città Fig. 2. Il cemento è un materiale

estremamente resistente, si potrebbe quasi dire una roccia prodotta dall’uomo. Se per caso il marciapiede si conservasse per migliaia o milioni di anni, forse seppellito da altri sedimenti e poi riesumato, le nostre impronte potrebbero diventare vere tracce fossili, se pur conservate in un materiale artificiale, e finire quindi in un museo insieme ad altri fossili, tra gli oggetti di studio del paleontologo! Lo studio di un’orma fossile (icnofossile) è infatti parte delle attività di uno studioso della vita del passato e consente di integrare alle informazioni anatomiche derivanti dallo studio degli scheletri fossili, alcuni aspetti del dinamismo, del movimento e delle

attività di un organismo. Lo studio delle tracce fossili permette ad esempio di capire se l’autore cammi-nava su due zampe (se, cioè, era bipede) oppure su quattro (quadrupede); in questo secondo caso

Fig. 2 Foto: Francesca Cirilli

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si riconoscono solitamente due orme più grandi (le zampe posteriori, i “piedi”) associate a due più piccole (le zampe anteriori, le “mani”). In linea generale, la forma delle orme suggerisce anche se l’animale che le ha lasciate era carnivoro o erbivoro: per cacciare servono (spesso) unghie appuntite – come gli artigli di un leone – che saranno dunque visibili nell’orma; per brucare, invece, queste non sono per nulla utili: l’orma sarà allora più tondeg-giante. Una delle difficoltà principali di chi studia le tracce fossili è poi quella di riconoscere l’autore della traccia. La complicazione sta nel fatto che differenti animali, infatti, possono lasciare orme simili; peraltro uno stesso animale, in base al suo comportamento o alle differenti tipologie di terreno sul quale si muove (fangoso, umido, secco, ecc...), può lasciare tracce differenti. Per questo motivo i nomi che si danno alle tracce sono indipendenti da quelli degli animali che le hanno lasciate e, spesso, servono a descrivere il comportamento che le ha prodotte (per es. Repichnia, tracce di movimento). Per identificare l’autore di una traccia solitamente si confronta lo scheletro fossile di animali con orme fossili della stessa età; in generale gli invertebrati lasciano piste o solchi, mentre i vertebrati lasciano impronte discontinue. Chi lavora con le impronte è quindi un po’ come il principe che, nella celebre favola, cerca Cenerentola. Una volta trovata la scarpetta (l’orma) è necessario trovare il piede giusto che la calzi (la zampa dell’animale).

Chissà se, in assenza di altre documentazioni, i paleontologi del futuro sarebbero in grado di riconoscere che le impronte impresse nei marcia-piedi da scarpe con suole diverse, o da pneumatici di biciclette, motorini e automobili, costituiscono tracce lasciate da un solo tipo di organismo per spostarsi, seppur con velocità e “mezzi” diversi. Sarebbe possibile risalire a quale organismo le ha prodotte? E a quale comportamento?

Risolvere questo rompicapo sarebbe molto più complicato del tentativo di identificare un capriolo e la sua andatura alla vista di poche tracce lasciate sul terreno. Nel caso delle impronte sui marciapiedi, orme molto diverse materializzano i diversi modi di spostarsi dell’uomo, e la loro grande variabilità lascerà probabilmente spazio a ipotesi anche molto diverse tra loro su quale organismo abbia lasciato le tracce regolari di pneumatici sull’asfalto (uno strano invertebrato strisciante?) e le impronte di suole scanalate (un bipede con zampe molto irregolari?). Il paleontologo del futuro identificherebbe corretta-mente il comportamento (spostamento = Repichnia) ma potrebbe immaginare due “organismi” diversi come i produttori di impronte così diverse. La verifica finale potrà avvenire solo se sarà possi-bile confrontare la morfologia dello scheletro e l’impronta stessa. Chissà cosa diranno di noi quando troveranno la traccia di una lattina impressa nell’asfalto vicino a quella di un pneumatico! E quale organismo avrà lasciato quelle strane tracce

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ondulate o circolari su alcune pareti di cemento non intonacate Fig. 3? Servirà probabilmente la fantasia

di Isaac Asimov per ipotizzare scenari credibili sulla base di tali evidenze.

Speriamo però che, oltre a documentare i comportamenti dell’umanità negli ultimi decenni, i “fossili urbani” diventino dei fossili guida utili a caratterizzare un intervallo geologico breve. Non ci auguriamo ovviamente che l’umanità si estingua presto, ma che impari molto presto ad avere un impatto meno devastante per il pianeta Terra, senza tracce invadenti che possano perdurare dei millenni.

Fig. 3 Le assi di legno usate in edilizia, possono lasciare una traccia organica sulla superficie del cemento.

Foto: Simone Lucenti, Foresta Fossile 2

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STRATI IN CITTÀ

I “fossili urbani” intrappolati lungo le strade e sulle facciate dei palazzi appartengono a superfici che definiscono la cronologia delle fasi di sviluppo della città e ci offrono la visione di una stratigrafia urbana. Possiamo “viaggiare” nella stratigrafia delle nostre città e attraversarle in una dimensione diversa dal semplice percorso urbano: entreremo così in una sorta di “macchina del tempo”. Anche senza scavare, limitandosi ad osservare quello che affiora e ci

circonda, è possibile percorrere lo spazio definito dalle strade, dai marciapiedi, dalle rotaie, e leggere la sovrapposizione di edifici, di stili e di arredi che hanno scandito la storia cittadina. In questo modo potremo ricostruire una storia che, dagli edifici più profondi e più antichi fino ai più recenti, ci racconta il modo di vivere in città e come questo sia cambiato nel tempo. Si svela così la stratigrafia della città.

Proviamo noi stessi a guardare con occhi diversi ciò che ci circonda nella nostra città. Cominciamo dai muri degli edifici: scopriremo con sorpresa che, a parte le costruzioni più recenti, il tessuto urbano conserva traccia della sovrapposizione di diverse fasi architettoniche. Nei cantieri stradali spuntano, anche solo sotto pochi centimetri di suolo contem-poraneo, i lastricati delle antiche vie e magari le tracce di antiche tubature o di cavidotti. È la prova che, durante la vita di una città, questo processo stratigrafico non si arresta mai e che, anzi, possiamo cogliere le evidenze di processi in atto anche sulle superfici più recenti.

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Strade un tempo lastricate e percorse da rotaie, lasciano oggi spazio a percorsi stradali liberi, in cui autobus ed automobili hanno sostituito i tram come principali mezzi di mobilità urbana Fig. 4. I

binari isolati registrano l’abban-dono di un mezzo di trasporto (il tram), la cui esistenza si può dedurre dai tratti di rotaia super-stiti. Il materiale colorato che

spunta dal terreno Fig. 5 dimostra che

la plastica con cui sono prodotti gli oggetti di uso quotidiano ha iniziato ad accumularsi sotto forma di rifiuto nella stratigrafia urbana: si tratta di un processo di deposizione (verosimilmente ad opera dell’uomo) molto rapido e può accumulare anche qualche decimetro di materiale in poche decine di anni (dagli anni ’50 del ’900, quando i primi oggetti di plastica sono entrati in produzione, ad oggi). In alcuni casi gli strati della città sono già oggetto di studio degli archeologi, perché registrano il tessuto urbano, vie e case, di città che hanno preceduto le città attuali. L’impronta di piede calzato sulla strada di età longobarda scoperta sotto il duomo della città di Alba è un evidente esempio di uno dei cambia-menti nella mobilità urbana, registrato nella sua traccia di antico percorso pedonale Fig. 6.

Fig. 4 Foto: Nicolò Fiori e Massimiliano Mozzone

Fig. 5 Foto: Alessandro Tomaselli

Sorprende anche riconoscere su pareti verticali, che quindi non si possono strettamente considerare “superfici stratigrafiche”, la sovrap-posizione di fasi costruttive di edifici urbani successivi. La sagoma della casa che a sua volta ne include un’altra ed è impressa sul muro di una casa più grande Fig. 7, definisce

lo sviluppo verticale dei prodotti urbani, conservandone la crono-logia relativa basata sul principio d’intersezione, ben noto in strati-grafia. Interpretando le tracce sulla parete verticale possiamo dedurre che la casa piccola è stata costru-ita prima di quella più grande, come indicano anche i materiali da costruzione, ed entrambe sono precedenti alla parete che contiene le due sagome.

In altri casi, possiamo osser-vare i processi che formano gli strati della città quasi contempo-raneamente a quando avvengono. Un accumulo di detrito Fig. 8

rappre-senta l’effetto combinato del crollo improvviso di un muro di contenimento durante un evento piovoso estremo e del successivo processo di colata detritica; quest’ultimo ha mescolato oggetti

Fig. 6 Foto: Giorgio Bertolino

Fig. 7 Foto: Marco Giardino Montreal, Canada

Fig. 8 Foto: Marco Giardino Cannes, Francia

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di uso quotidiano, come il secchio e i mattoni, ed elementi naturali (i ciottoli, il legno), e seppellito istantaneamente la panchina blu Fig. 8. L’evento di

instabilità ha creato una nuova stratigrafia urbana, in cui la vecchia superficie topografica è nascosta sotto l’accumulo, ma se ne può ricostruire l’ubicazione sulla base della posizione della panchina. Il carattere effimero di questa stratigrafia è comprensibile dalla distribuzione caotica del deposito, evidentemente instabile e passibile di ulteriori modificazioni in caso di nuove piogge intense o frane.

Riconosciamo così che la stratigrafia delle città è prodotta da diversi processi, alcuni volontariamente indotti dall’attività antropica, altri che sono innescati indipendentemente dalla volontà dall’uomo; entrambi però hanno un unico agente “geologico”, l’uomo.

L’osservazione delle sovrapposizioni di forme, stili e oggetti avvenute durante lo sviluppo della città ci permette quindi non solo di ricostruire in modo più preciso la loro storia, ma anche di comprendere meglio quali siano state le relazioni fra gli agenti dei cambiamenti urbanistici e i fattori che li hanno condizionati. Ad esempio, sul piano orizzontale, il passaggio da una pavimentazione stradale in pietra ad un rilevato stradale in asfalto ci permette di comprendere il cambiamento avvenuto nei sistemi di trasporto che regolano la mobilità di una metropoli. Sul piano verticale, la lettura dei cambia-menti volumetrici di un edificio (ad esempio, la sua progressiva sopraelevazione) evidenzia la crescente

necessità di spazi connessa all’aumento demogra-fico. Alcuni processi di cambiamento si manifestano con estrema rapidità e “congelano” una situazione rendendola emblema dell’impatto dell’attività umana sulla stessa vita delle città. Altri processi lasceranno invece solo tracce effimere, difficilmente

“fossiliz-zabili”, perché l’opera dell’uomo le cancellerà quando non saranno più utili Fig. 9.

La creazione e sovrapposi-zione di strati sedimentari non è quindi un processo “esclusivo” della natura, in grado di produrre cambiamenti nell’ambiente fisico del nostro Pianeta. Anche l’uomo con la sua attività è in grado di produrre “strati” (con forme e materiali propri, quali l’asfalto) che nel tempo si sovrappongono tra loro e sui prodotti naturali; questi strati costituiranno le successioni stratigrafiche dell’antropocene. In queste nuove successioni sarà registrato non solo il substrato delle nostre città, ma anche il loro sviluppo verticale, dando origine ad una stratigrafia tradizionale, “normale”, ovvero orizzontale, ed una “eccezionale”, verticale, entrambe prodotte da un nuovo agente geologico: l’uomo. Due facce della stessa medaglia, entrambe essenziali per conoscere nei dettagli la storia delle nostre città.

Fig. 9 Foto: Marco Giardino Nizza, Francia

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I FOSSILI E L’ARCHITETTURA

Siamo circondati dai fossili. Costantemente. E la nostra vita dipende da essi. Potrebbe sembrare l’affermazione provocatoria di un paleontologo estremista e fanatico, ma non lo è. Materiale prove-niente dai fossili entra nel serbatoio della nostra auto quando facciamo rifornimento (benzina, diesel, gpl o metano… è lo stesso), si incendia in cucina per cuocere i nostri cibi o nella caldaia quando ci facciamo la doccia o scaldiamo la casa. Costituisce una porzione significativa dell’asfalto che pavimenta strade, piazze e anche alcuni marciapiedi. Ma è soprattutto la plastica a circondarci costantemente. Combustibili, asfalti e materiali plastici derivano dal petrolio: resti organici di microorganismi marini che sono vissuti nei mari del Mesozoico (l’età dei dinosauri, ma anche di moltissimi altri organismi) sono all’origine degli eccezionali accumuli di materia organica che ha prodotto gli idrocarburi che sfrut-tiamo per la nostra vita quotidiana. Il carbone che un tempo veniva bruciato nella stufa di casa, e che ora viene, almeno in alcuni Paesi, ancora utilizzato per alimentare numerose centrali termoelettriche, non è altro che l’insieme dei resti compattati di piante preistoriche. Plastiche e fonti energetiche alterna-tive non derivate dai fossili sono disponibili e sempre più utilizzate, ma attualmente sono ancora molto più costose delle plastiche tradizionali e delle fonti energetiche dipendenti dal petrolio, gas e carbone. Sebbene i ricercatori suggeriscano che sia necessa-rio diminuire l’estrazione di combustibili fossili per

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mantenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi centigradi, al momento sembra piuttosto improba-bile che questo avvenga a breve termine e sembra quindi verosimile che la nostra vita continuerà ancora a lungo a dipendere dai fossili.

Chi è interessato alla paleontologia e apprezza la bellezza dei fossili non sarà certamente soddi-sfatto dalle affermazione precedenti. In tutti i casi citati, i fossili rappresentano semplicemente un materiale e in molti casi non sono più percepibili neppure le tracce della loro microstruttura. Quindi, sebbene siamo costantemente circondati dai fossili durante la nostra vita quotidiana, questi non ci danno molte informazioni di carattere biologico sugli organismi che li hanno prodotti. Ci sono però delle eccezioni interessanti, e l’obiettivo di questo capitolo è quello di sottolineare la loro presenza.

I fossili sono generalmente rari e sono presenti solo in alcune rocce sedimentarie. Le rocce magma-tiche non ne contengono mai, mentre in quelle metamorfiche, derivanti da rocce sedimentarie, i fossili, anche se originariamente presenti, sono andati distrutti a causa dalle alte temperature e pressioni a cui le rocce sono state sottoposte. Per trovare dei fossili bisogna quindi cercare delle rocce sedimentarie di età compatibile con quella degli organismi che ci interessano. Poiché molti di noi vivono in città, gli affioramenti di rocce sedimenta-rie fossilifere sono spesso lontani e inarrivabili, ma in realtà le nostre città nascondono delle grandi

sorprese. Le rocce sedimentarie utilizzate come materiale da costruzione e da rivestimento possono nascondere fossili molto interessanti. In alcuni casi queste rocce sono state scelte di proposito per il valore ornamentale dei fossili che contengono. Sono semplicemente belle! Ne sono un esempio l’androne di un palazzo privato in via Tommaso Valperga Caluso numero 30 a Torino che è in gran parte rivestito da un calcare rosso intenso che

ospita numerosissimi fossili bianchi di rudiste (bivalvi marini che sono scomparsi a fine Cretaceo con i dinosauri Fig. 10). Oppure il caminetto

nella Burden Room della Low Library della Columbia University a New York, i cui numerosi coralli bianchi risalenti al Devoniano impreziosiscono il calcare scuro che li circonda.

Più comunemente, la roccia non è stata scelta per il suo contenuto fossilifero e i fossili che si trovavano accidentalmente al suo interno sono stati messi in luce dalle operazioni di taglio. Questi possono essere particolarmente evidenti nei casi in cui la roccia sia stata levigata e il loro colore o la loro struttura siano molto diversi dal colore e dalla tessi-tura di quest’ultima. Gli esempi potrebbero essere tantissimi e in alcuni casi se ne sono occupati anche i quotidiani. È il caso del “dinosauro” che si trova nella balaustra dell’altare del Duomo di Vigevano, caso a cui ha dedicato spazio anche La Repubblica il

Fig. 10 Foto: Francesca Cirilli

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25 ottobre 2010. Il fossile, inizialmente considerato il cranio di un dinosauro si è successivamente rivelato essere in realtà una ammonite, un mollusco marino estintosi contemporaneamente ai dinosauri, ma molto meno interessante di questi ultimi per i mass media ed il grande pubblico (cosa che ha ridimensio-nato l’interesse generale per questo ritrovamento inaspettato). Altro caso curioso e molto recente è quello riportato dal Quotidiano di Ragusa il 3 aprile 2015. Gianni Insacco, responsabile scientifico del Museo Civico di Storia Naturale di Comiso, ha identificato dei resti di elefante nano Fig. 11 negli stipiti

delle porte e delle finestre dell’o-spedale Maria Paternò Arezzo di Ragusa mentre attendeva la nascita di suo figlio. Resti di molari, zanne e vertebre riferibili agli elefanti nani che hanno abitato la Sicilia durante il Pleistocene medio sono stati ricoperti da sedimenti che hanno poi dato origine ad un travertino. Strano destino il loro, perché circa 500 mila anni dopo questa roccia è stata tagliata e levigata per rivestire alcune parti di un ospedale.

Non si tratta di casi isolati: è possibile scoprire resti fossili in ogni città. I monumenti del Barocco Leccese sono stati costruiti con un’arenaria a grana fine facilmente lavorabile chiamata Pietra Leccese che può contenere fossili di invertebrati

Fig. 11 Molare e vertebra parziali di Elephas mnaidriensis

Foto: Gianni Insacco

e di vertebrati marini risalenti al Miocene. Una passeggiata nella città di Lecce potrebbe consentire di scoprire numerosi fossili sia nei muri sia alla loro base, se gli agenti atmosferici hanno alterato l’arenaria e liberato i fossili che questa conteneva. Ammoniti simili a quelle del Duomo di Vigevano sono talora presenti nelle lastre di Rosso Ammonitico, un calcare (non marmo!) che viene spesso usato per pavimentare i marciapiedi. Per esempio, numerose sono le ammoniti presenti nei marciapiedi di Verona e Modena, ma una grande ammonite campeggia nel sottopas-saggio della stazione di Santa Maria Novella a Firenze Fig.12 e un’altra è

presente sulle gradinate dell’Arena di Verona Fig. 13. Bivalvi e gasteropodi

sono comunissimi nei muretti e nei pavimenti anche in luoghi famosi, come il Foro di Pompei Fig. 14 o la

banchina nord-orientale dell’Ile de la Cité a Parigi Fig. 15.

La presenza di questi fossili è così frequente negli ambienti urbani che sono nati dei progetti di catalogazione. Di interesse locale

Fig. 12 Foto: Stefano Dominici

Fig. 13 Foto: Luca Barale

Fig. 14 Foto: Simone Colombero

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sono Fossils in the architecture

of Washington, DC: a guide to Washington’s accidental museum of paleontology 1 , Amsterdam fossils 2

e altri progetti simili che riguar-dano la metropolitana della città di Mosca 3, la città di Londra 4 o varie

città portoghesi 5, spagnole 6 e

italiane 7. Il progetto Paleourbana 8

di Rubén Santos Alonso ha invece l’ambizione di raccogliere in un unico luogo virtuale tutti i fossili imprigionati nelle rocce che costitui-scono le città del Pianeta, un progetto che potrebbe favorire lo sviluppo di percorsi cittadini tematici.

Ma attenzione, non tutto ciò che ha un aspetto organico e si trova sulla superficie di un muro, di un pavimento, di un muretto o di un davanzale è un fossile. Rare ma non impossibili da trovare nei materiali da costruzione sono particolari strutture dendritiche simili a resti di alghe o piante primitive Fig. 16.

Questi pseudofossili sono in realtà il prodotto di infil-trazioni, lungo una superficie di discontinuità della roccia, che hanno rilasciato sostanze quali l’ossido

1 www.dcfossils.org 2 www.amsterdamfossils.com 3 www.paleometro.ru 4 http://londonpavementgeology.co.uk 5 http://webpages.fc.ul.pt/~cmsilva/Paleourbana/Paleourbana.htm 6 https://rajoles.wordpress.com 7 http://anellomancante.blogspot.it/2012/10/paleontologia-urbana.html 8 http://paleourbana.com/

Fig. 15 Foto: Luca Barale

di manganese. Altro caso, forse unico, è quello della Arcidiocesi Metropolitana di Quito, in Ecuador, il cui chiostro è decorato da file di estremità distali di metapodiali bianchi di bovino, allineati nei pavimenti di colore scuro Fig. 17:

certamente di origine organica e particolarmente scenografici, ma attuali e collocati in quella posizione da un bravo artigiano. I fossili sono un’altra cosa!

Fig. 16 I dendriti sono degli pseudofossili che pur avendo un aspetto organico sono il prodotto della precipitazione di ossidi di manganese lungo una superficie di discontinuità fra due strati di roccia. Lastricato del Centro Storico di Spotorno. Foto: Elisabetta Bosco

Fig. 17 Foto: Lorenzo Rook

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Fossili Urbani:

riflessioni semiserie

sui processi di fossilizzazione Francesca Cirilli

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Fossili Urbani:

riflessioni semiserie

sui processi di fossilizzazione

Le fotografie di questa sezione sono quelle dei vinci-tori del concorso fotografico nazionale Fossili Urbani, parte integrante del progetto.

Vincitori concorso

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attono,

Scia nel cielo

Porta P alazz o, P iazza della R epubblica, T orino

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D aniele P attono, L’Astr onauta Porta P alazz o, piazza della R epubblica, T orino Amelia D e Lazzari Arsenale – T esa 106-107 , C astello 2737 /F , V enezia

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Amelia D e Lazzari Arsenale – T esa 106-107 , C astello 2737 /F , V enezia Annalisa M alaguti, Il G rillo

Pista ciclabile sulla via E

milia, F orlì

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N iccolò L uigi F iori e M assimiliano M ozz one via G aribaldi, T orino Stef ania L ucchesi via M assimi 114, R oma

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Alessandr o C atellino, Pesce pr eistorico via G aribaldi, T orino M ar co Cherin, Valv a di mollusco metallico via M aqueda, P alermo

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Patrizia M aria C occhiar ella via E nrico de M arinis, N apoli V incitrice P

remio del pubblico

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Alessandra Magagna, Francesca Lozar e Elena Ferrero

PERCORSI DIDATTICI PER LIBERARE LA FANTASIA

Quando troviamo “fossili urbani” o fossili incasto-nati nell’architettura delle nostre città, non

possiamo raccoglierli come fa il paleontologo e poi custodirli in un museo, conservandoli così per le generazioni future. Eppure sappiamo che le città sono ambienti molto dinamici, in cui questi fossili sono a rischio di distruzione: le ripavimentazioni delle strade, la demolizione dei palazzi e la costru-zione di nuove infrastrutture può provocarne velocemente la scomparsa.

I “fossili urbani” però possono essere “cattu-rati” e preservati grazie alle nostre osservazioni, e soprattutto grazie alla condivisione delle nostre scoperte con amici, conoscenti e persino con la comunità scientifica. Registrarne la precisa ubica-zione, archiviarne le fotografie, annotarne forma e caratteristiche sono tutte attività utili per conser-varli nel tempo, anche nel caso in cui i fossili siano distrutti durante le trasformazioni della città.

Le attività seguenti vi serviranno per diven-tare “esperti di fossili urbani”: potrete scoprire il patrimonio dei “fossili urbani”, imparare a ricono-scerli, cercare i luoghi in cui si possono trovare, indovinare la diversità dei modi in cui si sono formati e quali informazioni nascondono. Anche senza cercarli in città, sarà possibile costruire con facilità i “fossili urbani” con gli oggetti della vita quotidiana, per arricchire la vostra personale collezione paleontologica. Tutti i “fossili” di cui raccoglierete le informazioni potranno essere

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