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La correzione dell'anemia in pazienti con malattia infiammatoria cronica intestinale: confronto tra terapia marziale per via orale ed endovenosa

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Academic year: 2021

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Scuola di Medicina

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

La correzione dell’anemia in pazienti con malattia

infiammatoria cronica intestinale: confronto tra terapia

marziale per via orale ed endovenosa

Relatore:

prof. Santino Marchi

Candidato:

Antonia Lecerase

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Sommario

1 COMPENDIO ... 2

2 MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI ... 4

2.1 EPIDEMIOLOGIA ... 4

2.2 EZIOPATOGENESI ... 9

2.3 DIAGNOSI DI RETTOCOLITE ULCEROSA ... 13

2.4 TERAPIA DELLA RETTOCOLITE ULCEROSA ... 19

2.5 COMPLICANZE DELLA RETTOCOLITE ULCEROSA ... 19

2.6 DIAGNOSI DI MORBO DI CROHN ... 20

2.7 COMPLICANZE DEL MORBO DI CROHN ... 24

2.8 TERAPIA DEL MORBO DI CROHN ... 25

3 L’ANEMIA NELLE MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI .... 28

3.1 EPIDEMIOLOGIA ... 30 3.2 EZIOPATOGENESI ... 32 3.3 SEGNI E SINTOMI ... 34 3.4 ALGORITMO DIAGNOSTICO ... 36 3.5 TRATTAMENTO ... 40 3.5.1 Sodio ferrogluconato ... 43 3.5.2 Ferro carbossimaltosio ... 45 3.5.3 Ferro sucrosomiale ... 49 4 STUDIO CLINICO ... 52 4.1 OBBIETTIVI ... 52 4.2 MATERIALI E METODI ... 53 4.2.1 Popolazione in studio ... 53

4.2.2 Disegno dello studio ... 53

4.2.3 Analisi statistica ... 56 4.2.4 Risultati ... 57 4.3 DISCUSSIONE ... 61 4.3.1 Ferro carbossimaltosio ... 62 4.3.2 Ferro sucrosomiale ... 63 4.3.3 Confronto ... 65 4.4 CONCLUSIONE ... 67 5 BIBLIOGRAFIA ... 68

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1 COMPENDIO

Introduzione: l'anemia è una delle più frequenti complicanze delle malattie

infiammatorie croniche intestinali (IBD) e spesso anche trascurata. Può essere legata sia a malassorbimento del ferro, sia, più frequentemente, a perdita acuta o cronica, che comporta un’anemia sideropenica, talora anche rischiosa per la vita del paziente. Il trattamento endovenoso con ferro carbossimaltosio è indubbiamente efficace, ma è molto dispendioso e sottopone il paziente ai rischi ed al discomfort di una infusione endovenosa, oltre al costo significativo per il SSN. Il ferro sucrosomiale, rispetto ai preparati a base di ferro somministrati endovena, presenta una minor invasività, non ha un impatto importante sulla qualità di vita del paziente con IBD, già sottoposto a terapia endovenosa per il trattamento della patologia di base, soprattutto se di età avanzata, e infine ha un costo notevolmente minore. Il ferro sucrosomiale, somministrato oralmente è stato recentemente confrontato in una popolazione di pazienti con malattia renale cronica con il ferro endovenoso gluconato e non ha mostrato una differenza

statisticamente significativa nell'efficacia del trattamento. Visto che tale confronto in pazienti con IBD non è mai stato effettuato, l’obbiettivo di questo studio è valutare le terapie marziali a base di ferro carbossimaltosio (endovenoso) e ferro sucrosomiale (per via orale), in termini di efficacia. Se l'efficacia del ferro sucrosomiale si confermasse simile a quella del ferro carbossimaltosio endovenoso, questo porterebbe ad una significativa riduzione dei costi per terapia marziale in questo gruppo di pazienti.

Materiali e metodi: sono stati inclusi 40 pazienti anemici con IBD (rettocolite ulcerosa

e morbo di Crohn a localizzazione colica) in fase di remissione clinica (Partial Mayo Score <2 per la rettocolite ulcerosa e Harvey-Bradshaw Index <5 per il morbo di

Crohn), tra i 18 e i 70 anni, con valori ematici di emoglobina tra 8 e 12 nelle donne e tra 8 e 13 negli uomini. Sono stati esclusi pazienti con ileite di Crohn, pazienti in

gravidanza, pazienti con altre malattie concomitanti (ematologiche, nefrologiche, cardiologiche, oncologiche, reumatologiche), pazienti sottoposti a resezioni intestinali. I pazienti sono stati randomizzati 1:1 alla somministrazione di:

• Ferro sucrosomiale (30 mg) 2 compresse al giorno per 60 giorni e successivamente 1 compressa al giorno per 20 giorni

• 2 infusioni endovenose di ferro carbossimaltosio (500 mg l’una) a distanza di 7 giorni o 1 infusione endovenosa da 1000 mg

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3 Sono stati valulati i valori ematici di emoglobina, sideremia e ferritina all’inizio della terapia, alla quarta, all’ottava e alla dodicesima settimana dall’inizio del trattamento.

Risultati: il ferro carbossimaltosio e il ferro sucrosomiale sono stati entrambi efficaci

nell’incrementare i livelli medi di emoglobina e sideremia nei 40 pazienti dello studio, mentre la ferritina è aumentata nei pazienti in terapia con ferro carbossimaltosio, ma non in quelli in terapia con ferro sucrosomiale, in cui i valori medi di ferritina sono rimasti invariati nel corso della terapia, rispetto al valore basale del paziente (o al massimo hanno subito lievi oscillazioni del valore evidenziato all’inizio del trattamento). L’anemia è stata corretta in quasi tutti i pazienti sottoposti a terapia marziale per via orale ed endovenosa.

Conclusioni: Lo studio svolto presso l’Unità Operativa di Gastroenterologia

Universitaria di Pisa è il primo studio di confronto delle due terapie marziali in pazienti IBD, in termini di efficacia: visto l’esito positivo dei risultati, ovvero trend dei parametri ematici simili nelle due terapie marziali, e considerati tutti i vantaggi che la terapia con ferro sucrosomiale offre (minor invasività, minor impatto sulla qualità di vita, costo minore, assenza di effetti collaterali, maggior compliance), il ferro sucrosomiale nella posologia somministrata potrebbe essere considerato un valido sostituto del ferro carbossimaltosio e, per estensione (dal momento che è la formulazione di ferro ev più efficace), delle altre terapie marziali ev per i pazienti con IBD senza coinvolgimento dell'intestino tenue. L'efficacia della terapia con ferro sucrosomiale nei soggetti sottoposti a resezioni intestinali è ancora tutta da dimostrare, dal momento che una ridotta possibilità di assorbimento del ferro potrebbe essere a vantaggio di una terapia endovenosa rispetto ad una per os. Ad ogni modo, poter utilizzare il ferro sucrosomiale in luogo del ferro endovenoso, anche se solo in un sottogruppo di pazienti con IBD, è indubbiamente un vantaggio.

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2 MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE

INTESTINALI

Le malattie infiammatorie intestinali (IBD) sono una serie di patologie croniche che, a causa di un’inappropriata attivazione immunitaria provocano un progressivo danno tissutale a carico dell’intestino. Le due patologie IBD principali sono la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa. Si tratta di malattie eterogenee a eziologia multipla, che presentano alcune caratteristiche comuni per quanto concerne la presentazione clinica. La distinzione tra le due patologie si basa in gran parte sulla distribuzione delle sedi coinvolte e sull’espressione morfologica della malattia in quelle sedi:

• La rettocolite ulcerosa (RCU) è una grave malattia infiammatoria ulcerativa che interessa sempre il retto, e talora tutto il colon con carattere di continuità, e che si estende solo alla mucosa e sottomucosa.

• La malattia di Crohn (MC), chiamata anche enterite regionale per il frequente coinvolgimento ileale, è una malattia caratterizzata da un processo infiammatorio cronico, focale e segmentario, spesso transmurale, che può colpire qualsiasi

tratto del tubo digerente, dal cavo orale all’ano.

2.1 Epidemiologia

Nelle ultime decadi, l’incidenza, soprattutto del MC, è in generale in aumento.

La distribuzione geografica delle IBD è estremamente variabile, ma è più comune in Nord America, Nord Europa e Australia. In Nord America, il tasso d’incidenza varia da 2,9 a 19,2 casi ogni 100000 abitanti per RCU e da 3,1 a 20,2 casi ogni 100000 abitanti per MC1,2.

L’incidenza e la prevalenza di entrambe le patologie sono minori in Asia e nel Medio Oriente, mentre nei paesi in via di sviluppo industriale tendono ad aumentare. Grazie ad una metanalisi basata su diversi studi di popolazione, viene evidenziato il seguente trend

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5 temporale: in Brasile, la variazione percentuale annua (APC) è aumentata per MC dell’11,1% (incidenza cumulativa 95%, 4,8-17,8) e per RCU del 14,9% (IC 95%, 10,4-19,6), e a Taiwan, l’APC è aumentata per MC dell’4% (IC 95%, 1-7,1) e per RCU dell’4,8% (IC 95%, 1,8-8)3.

In Europa, l’incidenza è di 4-15/100.000 abitanti all’anno (in Italia intorno a 8-10, in Inghilterra è un po’ più elevata).

Nel nostro stato, pur mancando dati epidemiologici nazionali, vengono stimate oltre 200000 persone affette da RCU o MC. Con buona approssimazione, si può dire che il 40% di questi 200000 pazienti è affetto dalla malattia di Crohn, mentre il restante 60% dalla rettocolite ulcerosa. In relazione a ciò, si possono stimare tassi di incidenza di 3,5-4/1000000 abitanti, mentre la prevalenza si attesta intorno a 81-91/1000000 abitanti, variabile sulla base di vari studi da 15/1000000 in Sardegna a 322/1000000 in Sicilia4,5.

Inoltre, sembra che i tassi di incidenza siano più elevati, sia per MC che per RCU, nella località a latitudini più settentrionali rispetto alle nazioni a latitudini più meridionali: tale trend potrebbe essere correlato con la minor esposizione alla luce solare, con conseguente ridotto assorbimento di vitamina D, che rappresenterebbe un fattore di rischio per le IBD4. L’etnia più colpita, soprattutto per il MC, è quella ebraica, con un’incidenza 3-5 volte maggiore rispetto a quella delle popolazioni di bianchi non ebrei, afroamericani e spagnoli, i quali hanno i tassi di incidenza più bassi per le IBD a livello internazionale. In particolare, l’aumento dell’incidenza riguarda gli ebrei dell’Europa orientale, gli ashkenaziti, e sarebbe collegato, secondo alcune ipotesi, ai trattamenti e alle condizioni igienico-sanitarie, cui era sottoposta la popolazione ebraica durante la Seconda guerra mondiale. Nel 30% dei pazienti ebrei è presente una mutazione del gene NOD2/CARD15 posto sul cromosoma 16, codificante per una proteina che modula la risposta dei monociti e dei macrofagi ai lipopolisaccaridi della parete batterica. Persone con varianti alleliche su entrambi i cromosomi hanno un rischio di 40 volte superiore di sviluppare la malattia. Il polimorfismo è associato ad età di insorgenza più precoce, a localizzazione ileale e a tendenza stenosante6,7.

Come già accennato all’inizio, dagli anni Settanta del secolo scorso si è registrato un aumento dell’incidenza per quanto riguarda entrambe le IBD, maggiormente per MC. L’ipotesi dell’igiene suggerisce che l’aumento dell’incidenza, che si osserva in molte nazioni, possa essere imputato al miglioramento dei metodi di conservazione degli alimenti e alla riduzione della contaminazione dei cibi, che porterebbero ad una riduzione della frequenza di infezioni enteriche. A causa di un’insufficiente esposizione ai parassiti

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6 ed ai microbi nell’infanzia, si verificherebbe un inadeguato sviluppo dei processi regolatori che limitano le risposte immunitarie a tali patogeni, provocando un’abnorme attivazione del sistema immunitario dell’ospite8. Si parla di una disregolazione della

risposta del sistema immunitario: ritroviamo un’esagerata risposta del sistema

immunitario e una mancanza del sistema “frenante”.

La familiarità gioca un ruolo importante nello sviluppo della malattia: nel MC, nei gemelli monozigotici il rischio di sviluppare la malattia se il gemello omozigote è affetto, è pari al 44-50% e per i dizigoti il rischio scende all’8%, mentre per RCU il rischio per i monozigotici è intorno al 5-14% e per i dizigoti 0%. La componente ereditaria acquista maggiore importanza nel MC rispetto alla RCU: nei parenti di primo grado dei soggetti affetti da MC, vi è un incremento del rischio del 15%, con un aumento intorno al 30% nei figli di genitori entrambi affetti9. Inoltre, tra i componenti del nucleo famigliare, decorso

e severità della malattia sono variabili e discordanti, suggerendo il ruolo fondamentale, nella determinazione delle IBD, di fattori di rischio esterni:

1. Demografici:

a. Età: per una gran parte dei pazienti, l’età di esordio è tra i 15-30 anni, soprattutto per i pazienti con MC, la cui incidenza è più alta nella fascia di età compresa tra i 20 e i 29 anni. Alcuni studi dimostrano la presenza di un secondo picco di inizio della malattia nella fascia 50-80 anni, propendendo per una distribuzione dell’età bimodale, tuttavia non è chiaro se possa essere correlato alla maggiore suscettibilità fisiologica alle malattie in età avanzata, alla manifestazione tardiva della malattia o al maggior utilizzo dell’assistenza sanitaria nelle persone anziane10.

b. Sesso: il tasso di incidenza del MC nella popolazione femminile è più alto rispetto a quello maschile, suggerendo un ruolo dei fattori ormonali nell’espressione della patologia. Al contrario, nella RCU il tasso d’incidenza è più alto nella popolazione maschile (13/100000 abitanti contro 9/100000 abitanti nel sesso femminile)1.

c. Etnia: differenze etniche potrebbero essere correlate con fattori ambientali, stili di vita e caratteristiche genetiche.

2. Ambientali:

a. Fumo di sigaretta: è un fattore di rischio per MC ma non per RCU, in quanto la nicotina e i suoi derivati possono influenzare direttamente le risposte immunitarie della mucosa, il tono della muscolatura liscia e la

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7 permeabilità intestinale, agendo a livello vascolare. Sempre nel MC, oltre a rappresentare un fattore di rischio non trascurabile, il fumo agisce sul decorso della malattia, incrementando il rischio di complicanze e di conseguenza il ricorso alla chirurgia per la correzione delle stesse11. Al contrario, nella RCU il fumo sembra svolgere un ruolo protettivo nei confronti della malattia: diversi studi hanno dimostrato come in ex fumatori la cessazione del fumo porti all’esacerbazione della patologia e ad un aumento del rischio di ospedalizzazione12.

b. Attività fisica: è stata associata ad una riduzione del rischio di MC, ma non di RCU. In due grandi studi prospettici di coorte, è stata evidenziata una correlazione inversamente proporzionale tra MC e sport, basata sulla diminuzione degli eventi di riacutizzazione della patologia (6-8 eventi l’anno contro i 14-16 di coloro che non svolgevano regolarmente attività fisica)13.

c. Fattori dietetici (molti alimenti ricorrono nelle diete di questi pazienti): i. Possibile associazione con aumentato consumo di carboidrati

raffinati (dolci e farine 00), margarina (uno dei grassi vegetali maggiormente incriminati), grassi animali, alto consumo di latte, proteine animali e proteine del latte (soprattutto un precoce utilizzo di latte vaccino nella fase dello svezzamento è correlato con un aumento del rischio).

ii. Possibile associazione con ridotto consumo di frutta e verdura di stagione, proteine di origine vegetale, carenza di zinco e vitamina D

Si suppone che alcuni antigeni alimentari possano attivare un’abenorme risposta immunologica che possa essere a sua volta una concausa nella genesi delle IBD. Tuttavia, non sono ancora stati identificati antigeni alimentari specifici direttamente correlati alla genesi di tale rischio nota 14. d. Durata del sonno: la privazione del sonno è associata ad un aumento del rischio di incidenti e di episodi di riacutizzazione nei pazienti con IBD. Inoltre, uno studio di coorte prospettico ha evidenziato che le donne con durata del sonno di 6 o 9 ore avessero un rischio maggiore di sviluppare RCU nel corso della vita, rispetto alle donne che dormivano dalle sette alle otto ore al giorno15. Al contrario, la durata del sonno non ha modificato il

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8 rischio di malattia di MC. Al giorno d’oggi, non si conosce bene il meccanismo con cui il sonno influenzerebbe l’infiammazione della mucosa intestinale.

e. Infezione e risposta immunitaria: come già accennato precedentemente, diversi studi hanno identificato ruoli per fattori sia ospiti che microbici nella patogenesi dell'IBD, portando in ultima analisi a risposte immunitarie inappropriate ai microbi intestinali. Una gastroenterite da Salmonella o Campylobacter, con conseguente aumento della permeabilità intestinale, è correlata con un aumento della probabilità di 10 volte di sviluppare RCU nell’anno seguente16. Diversi studi hanno valutato

il possibile ruolo di diversi agenti infettivi come micobatteri, virus, funghi, non riuscendo ad identificarli come fattore casuale.

f. Stress psico-fisico: stress psichici come la perdita del lavoro, un lutto o una separazione possono essere la causa scatenante delle riacutizzazioni di malattia in soggetti in fase di quiescenza, attraverso l’attivazione del sistema nervoso enterico e la produzione di citochine proinfiammatorie. g. Altri: inquinamento, forti variazioni climatiche, igiene eccesiva, alta

scolarizzazione, alta classe socioeconomica. L’influenza esercitata da tali fattori nei confronti delle IBD trova la sua spiegazione nella teoria dell’igiene spiegata nelle pagine precedenti (scarsa esposizione ad allergeni durante l’infanzia e/o eccessiva risposta del sistema immunitario nei confronti di patogeni scarsamente virulenti).

3. Farmaci:

a. Antibiotici: è stato dimostrato che un uso inappropriato ed eccessivo di tali farmaci, soprattutto fluorochinoloni e metronidazolo, nel corso degli anni aumenterebbe il rischio di malattia del MC, ma non di RCU17.

b. FANS: i farmaci antinfiammatori non steroidei aumentano in modo poco significativo il rischio di IBD. I FANS influenzano l’interazione tra il microbioma intestinale e le cellule immunitarie tramite inibizione di COX, alterano l’aggregazione delle piastrine, il rilascio di mediatori dell’infiammazione e la risposta vascolare allo stress, i quali sono eventi chiave nella patogenesi delle IBD.

c. Estrogeni e contraccettivi orali: possono aumentare il rischio di sviluppare IBD, ma in modo poco significativo. Tale rischio diminuisce nel corso

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9 degli anni successivi alla sospensione dell’utilizzo della pillola estro-progestinica.

4. Altri fattori:

a. Appendicectomia: il rischio di MC è aumentato dopo appendicectomia, se il paziente si è sottoposto ad intervento dopo i 20 anni, mentre prima dei 20 l’appendicectomia può risultare protettiva, riducendo il rischio di MC. Tuttavia una meta-analisi ha proposto che l’apparente aumento fosse dovuto alla mancata diagnosi di MC, già presente al momento dell’intervento18. Al contrario, in RCU potrebbe ridurre il rischio di

sviluppare la patologia (il meccanismo di tale effetto protettivo non è noto).

b. Obesità: non è chiaro se l’obesità sia associata ad un aumento del rischio, tuttavia l’accumulo di grasso intra-addominale potrebbe contribuire ad aumentare l’infiammazione della mucosa intestinale, influenzando in tal modo il decorso clinico della patologia19.

2.2 Eziopatogenesi

Nel processo di esecuzione dell'assorbimento di nutrienti essenziali, l'intestino deve discriminare tra antigeni alimentari innocui e agenti infettivi o tossici. Per proteggerci da questi ultimi, utilizza una barriera efficace, basata sull’integrità della mucosa, la produzione di muco, su un sistema immunitario innato e acquisito e sul microbioma. L’ipotesi dell’igiene suggerisce che il miglioramento dei metodi di conservazione degli alimenti e la riduzione della contaminazione dei cibi porterebbero ad una riduzione della frequenza di infezioni enteriche. A causa di un’insufficiente esposizione ai parassiti ed ai microbi nell’infanzia, si verificherebbe un inadeguato sviluppo dei processi regolatori che limitano le risposte immunitarie a tali patogeni, provocando un’abnorme attivazione del sistema immunitario dell’ospite8. Inoltre, in soggetti geneticamente predisposti alcuni

stimoli ambientali e/o provenienti dalla flora batterica intestinale determinano una perdita dei meccanismi di controllo dell’infiammazione con conseguente squilibrio dei mediatori della flogosi (pro-infiammatori), a favore di un’amplificata produzione di citochine proinfiammatorie. Nonostante l’eventuale utilizzo di terapia, non si innesca il sistema frenante del SI che risulta perciò aggressivo. Le sostanze di origine alimentare o

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10 sostanze/antigeni batterici attraversando gli spazi intercellulari o le porosità che si vengono a creare oppure attraversando le cellule M, vengono fagocitati, processati e presentati dalle APC ai Th1, creando così il danno, poiché i Th1 attivati liberano citochine che attivano i macrofagi che a loro volta liberano ulteriori citochine proinfiammatorie. Le condizioni nell'ambiente intestinale, così come il sistema nervoso enterico, possono influenzare il modo in cui le cellule immunitarie, le quali sono dotate di alta plasticità, si differenziano, attraverso processi infiammatori, mediatori secreti, microbiota, prodotti metabolici, fattori dietetici e precedenti esposizioni infettive.

Si parla di disregolazione del sistema immunitario che è alla base della patogenesi delle IBD e può essere dovuta sia ad una eccessiva reattività immunitaria, sia ad inadeguate risposte al microbiota intestinale. Le alterazioni delle risposte immunitarie osservate nelle IBD riguardano tre livelli:

1. Disregolazione a livello della barriera epiteliale: sono state associate alle IBD alterazioni qualitative e quantitative del muco intestinale, un elevato numero di batteri all’interno del muco e una maggiore permeabilità della mucosa. Diversi studi hanno evidenziato una maggiore suscettibilità allo sviluppo di colite nei topi che presentavano tali difetti nella funzione di barriera epiteliale, in seguito a trasfezione di cellule staminali embrionali con N-caderina mutata (δ-NCAD), glicoproteina essenziale, nella sua forma wild-type, per il normale sviluppo e l’adesione cellulare20. Inoltre, nelle IBD sono state evidenziate una presentazione

anomala dell’antigene da parte delle cellule epiteliali attraverso l’interazione con i linfociti intraepiteliali e irregolarità nel rimaneggiamento delle proteine intracellulari unfolded all’interno delle cellule epiteliali, in particolare nelle cellule del Paneth, in cui è presente una disregolazione nella produzione di proteine antimicrobiche21.

2. Disregolazione delle cellule immunitarie: sono stati rilevati un eccessivo reclutamento e una sproporzionata attivazione di cellule immunitarie. In particolare, possiamo apprezzare livelli aumentati di citochine prodotte dalle cellule mieloidi con fenotipo infiammatorio nel contesto della lamina propria, una maggiore proliferazione e produzione di citochine nelle cellule T e un aumento del numero di cellule B nella mucosa o circolanti, con conseguente incremento degli anticorpi diretti contro componenti microbici. Il processo di homing per il richiamo di neutrofili nella lamina propria risulta più rappresentato e più efficiente nei pazienti IBD22.

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11 3. Disregolazione delle citochine

infiammatorie: i linfociti T CD4 + isolati da pazienti con MC secernono grandi quantità di INF-γ e TNF-α, citochine con marcato effetto proinfiammatorio, con conseguente coinvolgimento delle cellule Th1. La secrezione di interleuchine 4, 5, e 13 da parte delle cellule Th2 sopprime le risposte mediate da Th1, ma porta anche all'infiltrazione di eosinofili, contribuendo al peggioramento del quadro infiammatorio. Si ritiene che una

risposta immunitaria Th1 anormale provochi un’infiammazione intestinale nel MC, con quantità più elevate di IL-2 e INF-γ rispetto alle cellule T dei pazienti con RCU. È stato anche dimostrato che nella RCU, le cellule NK atipiche rilasciano quantità più elevate di IL-13 rispetto alle cellule T dei pazienti con MC. Inoltre, è stato identificato un incremento della secrezione di citochine dipendenti da IL-23 da parte delle cellule Th17. Gli studi in corso stanno prendendo di mira l'asse IL-12/IL-23, dato il suo ruolo critico nella generazione di cellule Th1/Th1723. Altra citochina implicata in MC è TL1A, la quale interagisce con il dominio di morte citosolico DR3 e porta ad un aumento della produzione di citochine da parte di cellule Th1, Th2, Th17, NK, mieloidi e linfoidi innate. Oltre ai mediatori proteici, diversi altri prodotti biologici sono stati implicati nella patogenesi dell'IBD se trovati in eccesso, come l’acido arachidonico e suoi sottoprodotti, ossigeno reattivo e prodotti azotati.

Altro ruolo fondamentale nella patogenesi delle IBD, con maggior rilevanza nel MC, viene svolto dal microbiota, particolarmente espresso nel colon e nell’ileo distale, che viene acquisito dalla nascita ma si modifica durante il primo anno di età e, nel corso degli anni, in risposta a fattori ambientali, stile di vita, come dieta, esposizione ad elminti e uso di antibiotici. Tali cambiamenti possono contribuire all’innesco e/o al perpetuarsi dell’infiammazione, osservazione confermata dalla presenza di una risposta immune

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12 diretta contro specifici componenti microbici: anticorpi anti-dsDNA sono stati rilevati all’interno della mucosa affetta nel 54% dei pazienti con MC e sono stati riscontrati anticorpi anti-flagellina batterica nei pazienti con MC complicato24. In generale, l’immunoreattività contro antigeni microbici è correlata con forme di IBD più gravi, anche se non è noto se tali anticorpi contribuiscano alla patogenesi delle IBD e se vengano prodotti in risposta alla maggiore esposizione a batteri intestinali a causa delle modificazioni della barriera epiteliale e/o all’aumentata reattività immunitaria delle cellule del sistema immunitario intestinale.

Nonostante le poche conoscenze in merito ai rapporti tra microbiota ed IBD nell’uomo, l’importanza dei microbi nella protezione dalla malattia è dimostrata chiaramente nei murini. Essi non sviluppano infiammazione intestinale in presenza di una normale microflora, ma trasferendo i batteri del topo infetto in un topo sano si instaura un quadro infiammatorio, soprattutto in individui con predisposizione genetica. È emerso da diversi studi che esiste una biodiversità significativamente ridotta nel microbiota fecale instabile dei pazienti con IBD. Nell’intestino sano prevalgono popolazioni batteriche come Firmicutes e Bacteroides phyla, mentre tali specie sono ridotte a favore di altre popolazioni di enterobatteri, soprattutto di E. Coli nei pazienti con IBD (nella RCU si nota soprattutto una riduzione di Clostridium spp.)25.

I batteri che guidano preferenzialmente l’infiammazione sono i batteri intestinali rivestiti di IgA26: ulteriori analisi hanno evidenziato che specifici componenti microbici, come il polisaccaride A, componente del residente Bacteroides fragilis, e gli acidi grassi a catena corta derivanti dal metabolismo batterico, modulano a livello intestinale lo sviluppo del sistema immunitario e l’infiammazione27, soprattutto in pazienti con loci di suscettibilità

genetica che guidano risposte innate contro la flora microbica.

Ultima componente da prendere in considerazione nell’analisi della patogenesi delle IBD è la suscettibilità genetica. Studi di associazione genome-wide (GWAS) hanno identificato 163 loci implicati nella predisposizione genetica alle IBD, di cui 110 associati ad entrambe le malattie, 30 specifici per MC e 23 specifici per RCU28. Di seguito vengono riportati alcuni geni coinvolti nella manifestazione delle IBD:

1. Immunità innata: il primo gene di suscettibilità identificato codifica per la proteina NOD2, espressa da cellule epiteliali intestinali e macrofagi, la quale nel MC è in quantità minore, portando alterazioni qualitative del microbiota ed a sensibilità a patogeni enterici. Le varianti di NOD2 conferiscono la suscettibilità di sviluppare in età precoce sia MC, con un aumento delle complicanze fibrostenosanti, sia

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13 RCU, con esiti peggiori a seguito di anastomosi ileo-pounch-anale29. Oltre a NOD2, sono stati individuati altre varianti di diversi geni dell’immunità innata, alcune delle quali (IRF5, TPL2, JAK2) contribuiscono ad un incremento della produzione di citochine in presenza di prodotti microbici, altre invece (INAVA, LACC1) riducono la risposta del sistema immunitario innato.

2. Immunità adattativa: varianti a livello dei geni PTPN2 e PTPN22 comportano un incremento delle cellule Th1 e Th17, ma diminuiscono i marcatori Treg nella mucosa intestinale, provocando tutte quelle disregolazioni delle citochine infiammatorie discusse precedentemente.

2.3 Diagnosi di Rettocolite Ulcerosa

La RCU può essere classificata in base all’estensione di malattia in: o Proctite 10-15% dei casi.

o Proctosigmoidite 30-40% dei casi. o Colite sinistra 20% dei casi. o Pancolite nel 15% dei pazienti. Pertanto, la prognosi è correlata con l’estensione della malattia al momento della diagnosi. Altri fattori di rischio determinanti la prognosi sono l’età al momento della diagnosi inferiore ai 50 anni, la mancata guarigione della mucosa,

fumo di sigaretta, il rischio di stenosi intestinale e il rischio di sviluppare displasia e/o carcinoma colonrettale: tutto ciò determina una mortalità complessiva leggermente superiore rispetto alla popolazione generale, soprattutto nel primo anno dopo la diagnosi di RCU.

La RCU come tutte le malattie croniche è caratterizzata da un andamento fasico, con periodi di quiescenza alternati a fasi di attività, che possono essere esacerbate da fattori ambientali come stress fisici e psicologici ecc.

Nella storia naturale della malattia, vengono riscontrati più di frequente i seguenti quattro quadri ipotetici:

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14 1. Nel 55% dei casi è presente da subito un quadro molto grave, con difficoltà a trovare una terapia adeguata, che tende dopo i primi tre anni ad affievolirsi con riduzione del numero di complicanze.

2. Nell’1% dei casi viene diagnosticata per caso, con sintomi abbastanza scarsi, che caratterizzano la malattia nei primi 4-5 anni, seguiti poi da un aggravamento del quadro clinico: sono le forme di RCU potenzialmente più candidate all’intervento chirurgico.

3. Nel 6% dei casi la malattia è cronica, in perenne fase di attività, con manifestazioni sempre abbastanza gravi.

4. Nel 37% dei casi è presente una forma intermittente con fasi di quiescenza lunghe fino a 2-3 anni, durante le quali il paziente sospende la terapia.

I pazienti con RCU presentano manifestazione cliniche sia gastrointestinali che extraintestinali:

• Segni e sintomi intestinali

1. Rettorragia e/o ematochezia, spesso associata a muco e pus.

2. Dolore addominale, prevalentemente a sinistra, con dolorabilità addominale alla palpazione, tenesmo ed urgenza defecatoria, con risvegli notturni.

3. Dimagramento: si tratta spesso di un’apparente perdita di peso, per riduzione dei liquidi a causa della diarrea; oppure una riduzione della massa magra e grassa secondaria a malassorbimento All’esame obbiettivo si possono avere segni di deperimento muscolare, perdita di grasso sottocutaneo ed edema periferico a causa della riduzione del peso e della malnutrizione.

4. Febbre: può essere ricorrente e generalmente si presenta come febbricola. 5. Anemia da carenza di ferro, da malattia conica o anemia emolitica

autoimmune, con conseguenti dispnea, palpitazioni, astenia, ipotensione, tachicardia e pallore.

L’inizio dei sintomi è graduale, proseguono per diverse settimane e possono essere preceduti da un episodio autolimitante di sanguinamento rettale. Il sistema di punteggio Mayo Score viene utilizzato per valutare la gravità della malattia e soprattutto per monitorare i pazienti durante la terapia, con punteggi tra 0 e 1230. Altro sistema molto utilizzato è la classificazione di Montreal che stratifica la gravità della colite in lieve, moderata e grave in base alla frequenza e gravità della diarrea e alla presenza di sintomi sistemici e anomalie di laboratorio. Una gran

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15 parte dei pazienti all’esordio presenta una forma lieve della patologia, circa il 27% una malattia moderata e l’1% una forma grave30.

• Manifestazioni extra-intestinali

1. Articolari, come artrite, sacroileite, spondilite. L’artrite periferica non distruttiva che coinvolge principalmente le grandi articolazioni è la malattia più frequentemente associata sia a RCU che MC. I pazienti possono avere anche osteoporosi, osteopenia e osteonecrosi (principalmente secondarie a terapie steroide di lunga data).

2. Cutanee, come eritema nodoso e pioderma gangrenoso. 3. Oculari, come uveite, episclerite, che possono

manifestarsi in modo asintomatico o con bruciore, rossore oculare e prurito.

4. Epatiche, come epatiti autoimmuni, steatosi epatica e colangite sclerosante. I pazienti possono presentare astenia, prurito, febbre, brividi, sudorazione notturna.

5. Ematiche, come tromboembolia venosa e arteriosa e anemia emolitica autoimmune, che può presentarsi in forma asintomatica o in modo aspecifico con dispnea, affaticamento e palpitazioni.

6. Polmonari, come polmoniti, malattie del parenchima e tromboembolia polmonare, anche se raramente. I quadri variano da asintomatici o lievi a gravi con bronchiectasie accompagnate da tosse con espettorato mucopurulento. Per la RCU possiamo tracciare il seguente algoritmo diagnostico:

1. Anamnesi personale e familiare, con la valutazione dei vari fattori di rischio e rilevazione delle manifestazioni cliniche della patologia.

Lieve Moderata Severa Molto grave/fulminante

Feci/giorno < 4 4-5 > 6 > 10

Sangue nelle feci

Intermittente Moderato Frequentemente Continuamente

Temperatura (°C)

<37.5 <37.8 > 37.8 > 37.8

FC Normale <90 > 90 > 90

Emoglobina Normale >10.5 < 75% del normale

Richieste trasfusione (anemizzazione)

VES (o ESR) < 20 <30 > 30 > 30

Tabella 2 Classificazione di Montreal sulla gravità del quadro di RCU

(17)

16 2. Esame obiettivo dell’addome ed esplorazione digitale del retto

3. Esami di laboratorio di prima istanza:

• VES, PCR, fibrinogeno: sono aumentati, eccetto in alcuni casi di proctite in cui possiamo rilevare soltanto l’aumento della PCR, vista la più alta sensibilità.

• Emocromo con neutrofili aumentati e la ferritina per valutare l’eventuale anemizzazione del paziente.

• Elettroliti e albumina.

4. Coprocoltura, coproparassitocologico e ricerca della tossina del C. difficile: i pazienti affetti da RCU hanno comparsa improvvisa di diarrea e sangue. Vengono effettuati sulle feci test specifici per valutare un’eventuale sovrainfezione che può mimare una riacutizzazione di malattia se nota o vengono impiegati come test per la diagnosi differenziale quando la diagnosi è ancora incerta. Vengono ricercati E.coli, parassiti come Giardia se il paziente ha effettuato di recente viaggi in aree endemiche, virus a trasmissione sessuale in pazienti con sintomi rettali gravi tra cui urgenza e tenesmo.

5. Calprotectina fecale, che si dosa in fase acuta e poi viene monitorata nel tempo per valutare l’efficacia della terapia.

6. In caso di forte sospetto clinico, avendo escluso le complicanze infettive, il paziente viene sottoposto ad ileo-colonscopia, con biopsie multiple, che consentiranno di avere una diagnosi certa. Si apprezza un coinvolgimento costante del retto. Il quadro patologico può sfumare in senso prossimale, ma l’interessamento è sempre continuo. Talvolta, a seguito di trattamento topico a livello della mucosa del retto con farmaci antinfiammatori, il soggetto può presentare un certo grado di guarigione, seguita da danno subito dopo: la biopsia risulta fondamentale per poter distinguere se il fenomeno sia dovuto a guarigione della mucosa o sia una situazione presente sin dal principio. Alla colonscopia i reperti apprezzabili sono:

• Ulcere superficiali, accompagnate da scomparsa della trama vascolare e della haustra, facendo apparire il colon come struttura rigida.

(18)

17 • Pseudopolipi e polipi,

frequentemente riscontrabili sul versante di passaggio tra mucosa colpita e sana. Rappresentano dei tentativi di rigenerazione del tessuto epiteliale. Tali pazienti, a causa della presenza di pseudopolipi all’interno della mucosa intestinale, hanno un rischio aumentato del 10% di sviluppare un tumore del colon, giustificando il ricorso a

colonscopie (circa una ogni 1-2 anni) durante la fase di remissione della malattia, al fine di evidenziare eventuali aree che potrebbero andare incontro a evoluzioni neoplastiche. I fattori di rischio per lo sviluppo del carcinoma sono rappresentati dall’estensione e dalla durata e severità della RCU.

• Granularità della mucosa, petecchie, essudati, edema, erosioni, friabilità al tocco e sanguinamento spontaneo, che nei casi più gravi diventa abbondante per la presenza di macroulcerazioni.

Lo score endoscopico Mayo permette di distinguere diverse tipologie di danno mucosale assegnando un punteggio da 0 a 3, in base all’attività della malattia:

• Il tipo 0 indica assenza di lesioni mucose o esiti di guarigione.

• Il tipo 1 indica attività lieve, in cui riscontriamo eritema e diminuito pattern vascolare.

• Il tipo 2 indica attività moderata, con eritema marcato, assenza di pattern vascolare, friabilità ed erosione

• Il tipo 3 rappresenta attività severa con sanguinamento spontaneo e ulcerazioni.

Il prelievo bioptico di tessuto intestinale consente di andare a determinare l’aspetto microscopico della patologia che si caratterizza per la presenza di:

• Infiltrato infiammatorio cronico, che si presenta con aumento di pasmacellule, linfociti ed eosinofili all’interno della lamina propria, che può portare a restringimento del calibro del lume. L’infiammazione è

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18 confinata a mucosa e sottomucosa, con andamento decrescente dal retto al cieco. La plasmocitosi basale può essere un fattore predittivo di recidiva in paziente con RCU in fase di quiescenza, con guarigione completa della mucosa.

• Distorsione ghiandolare e distruzione ghiandolare associate a perdita delle globet cells, con conseguente diminuzione delle mucine.

• Criptite e ascessi criptici, i quali insieme alla distorsione ghiandolare sono gli elementi cardine della patologia. Gli ascessi rappresentano la causa della diarrea e del sanguinamento e si sviluppano nel fondo delle cripte, dove le aree necrotiche, estendendosi, si uniscono slamellando la mucosa, con conseguente diarrea mucopurulenta, accompagnata da perdite di sangue. Le cripte si presentano ramificate, accorciate e atrofiche.

• Assenza totale di granulomi, tipici invece del MC.

7. Imaging addominale, in caso di necessità di approfondimenti diagnostici per quadri dubbi:

• RX addominale è generalmente normale nei pazienti con malattia lieve o moderata, ma diventa utile nei pazienti con RCU grave o fulminante, per escludere eventuali complicanze come la perforazione o il megacolon tossico.

• Clisma opaco con doppio contrasto sfrutta il bario per evidenziare microulcerazioni nella forma lieve ed ulcere e pseudopolipi con perdita di haustra e restringimento del lume nelle forme più avanzate. Non indicato nel caso di forme severe per l’elevato rischio di megacolon tossico • TC e RMN evidenziano un ispessimento marcato di parete, segno

aspecifico della malattia, e consentono di escludere l’interessamento dell’ileo, per diagnosi differenziale con MC. Permettono lo studio del colon ma con minore accuratezza.

• Ecocolordoppler mostra uno strato ipoecogeno addensato ed eventuali ispessimenti di parete, anche questi segni aspecifici.31-34

(20)

19

2.4 Terapia della Rettocolite Ulcerosa

La terapia della RCU si basa sulle misure di supporto e sull’uso di farmaci antinfiammatori e immunosoppressivi, oltre il ricorso alla chirurgia:

• Supporto: è necessario un sostegno psicologico per affrontare al meglio la malattia e prevenire recidive, causate anche dallo stress, e un programma alimentare, basato su una dieta bilanciata con restrizioni minime, per consentire un adeguato apporto calorico e per evitare la perdita di peso. Ai pazienti vengono prescritti integratori a base di ferro per correggere l’anemia da sanguinamenti cronici e integratori a base di calcio per la malattia metabolica ossea da uso di steroidi. Per prevenire la trombosi venosa, usano calze di supporto o eparina. • Induzione della remissione e mantenimento:

o Aminosalicitati: sono farmaci di prima scelta, sia nella forma topica che orale (sistemica), sia nell’induzione della remissione, che nel mantenimento, per i pazienti con forma da lieve a moderata.

o Corticosteroidi: sono impiegati per l’induzione della remissione, ma non nel mantenimento.

o Azatioprina, come terapia di mantenimento, avendo una latenza di effetto terapeutico.

o Anticorpi anti-TNFα e anticorpi anti-molecole di adesione: vengono utilizzati per indurre la remissione e nel mantenimento.

• Trattamento chirurgico: consiste in una colectomia totale o subtotale, che può essere di emergenza per colite acuta fulminante o megacolon tossico oppure elettiva nei casi in cui la terapia medica non riesce a ripristinare la mucosa.

2.5 Complicanze della Rettocolite Ulcerosa

Le complicanze prevalenti sono il megacolon tossico, l’emorragia e il carcinoma colonrettale. Il megacolon tossico è una complicanza a volte anche letale, caratterizzata da dilatazione colica segmentale o totale, non su base ostruttiva, a seguito di una condizione di tossicità sistemica. A causa della proliferazione batterica eccessiva, il paziente può giungere ad una condizione di setticemia, con possibilità di perdita della funzionalità di cuore e reni (conseguenza rara che si presenta nell’1% dei casi), soprattutto

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20 in seguito a proliferazione di batteri Gram- (la mortalità complessiva è piuttosto elevata, intorno al 12-30%).

Il rischio di sviluppare carcinoma colonrettale (CCR), dovuto all’infiammazione e allo stress ossidativo, aumenta con la durata della malattia, la gravità e l'estensione della malattia, con maggior rischio nei pazienti RCU con colangite sclerosante. Il CCR presenta un’evoluzione diversa nei pazienti con RCU: la mutazione p53 precede la mutazione del gene APC e talvolta anche la displasia. I pazienti devono sottoporsi a controlli periodici con colonscopia come screening per il rischio aumentato di CCR35.

2.6 Diagnosi di Morbo di Crohn

Le sedi preferenziali della malattia sono rappresentate nel 50% dei casi da localizzazione ileo-colica, nel 25-30% sede ileale, nel 20-25% sede colica. Per molti pazienti, i sintomi sono cronici e intermittenti, ma il decorso può essere variabile: una buona parte presenta un decorso continuo e progressivo, mentre un 20% manifesta una remissione prolungata dopo la presentazione iniziale36. I fattori di rischio in termini di prognosi sono l’età inferiore ai 40 anni, uso del tabacco, coinvolgimento perianale all’esordio, terapia con glucocorticoidi.

Il rischio di intervento chirurgico è del 50% dopo 10 anni di malattia37 e rischio di cancro, in particolare carcinoma a cellule squamose dell’ano, adenocarcinoma dell’intestino tenue, tumore ai testicoli, leucemia: tutto ciò determina una mortalità complessiva leggermente superiore rispetto alla popolazione generale.

I pazienti con MC presentano manifestazione cliniche sia gastrointestinali che extraintestinali:

• Segni e sintomi intestinali che dipendono dalla sede primariamente interessata e dall’estensione della malattia:

o Diarrea, accompagnata da sangue soprattutto se MC colico. Riconosce molteplici cause tra cui eccessiva secrezione e ridotto assorbimento di liquidi, malassorbimento dei sali biliari per la presenza di infiammazione dell’ileo terminale, steatorrea correlata alla perdita dei sali biliari, fistole enteroenteriche che bypassano parti di intestino assorbenti. Diarrea e steatorrea sono cause di malassorbimento, il quale si manifesta con

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21 malnutrizione, perdita di peso, malessere, ipocalcemia, deficit di vitamine come B12.

o Dolore addominale, variabile a seconda della sede di interessamento della malattia: un paziente con MC limitato ad ileo distale presenta spesso dolore al quadrante inferiore destro oppure può essere simil appendicite, con febbricola e malassorbimento, quando interessa il colon destro, o ancora, crampiforme per la presenza di stenosi fibrotiche del lume, che possono portare ad un quadro di occlusione intestinale.

o Astenia, spesso associata a perdita di peso per malnutrizione.

o Febbre, dovuta all’infiammazione o alla presenza di un’eventuale complicanza infettiva.

o Anemia, dovuta alle perdite di sangue per la presenza di ulcere intestinali e all’eventuale deficit di vitamina B12 e ferro.

o Ricorrenti complicanze perianali:

▪ Fistole enterovescicali associate ad infezioni ricorrenti del tratto urinario, enterocutanee con possibile fuoriuscita in superficie di contenuto intestinale, enteroenteriche asintomatiche o presenti come massa palpabile, ed enterovaginali, con passaggio di gas o feci in vagina. In uno studio basato su una popolazione di 169 pazienti co MC, il 7% presentava una fistola di qualsiasi tipo almeno 30 giorni prima della diagnosi38.

▪ Flemmoni/ascessi soprattutto anali, che coinvolgono fino al 40% dei pazienti. I pazienti con fistola perianale possono presentare dolore e drenaggio perianali, mentre i pazienti con ascesso perianali presentano dolore perianale, febbre e secrezione purulenta. Gli ascessi possono essere inizialmente asintomatici o palpabili come massa addominale, fino ad evolvere in un quadro di peritonite acuta localizzata.

▪ Ragadi, soprattutto anali.

o Altri sintomi: ulcere aftoidi se MC ha coinvolto la cavità orale, odinofagia e disfagia per interessamento dell’esofago, nausea e vomito post-prandiale per coinvolgimento del tratto gastroduodenale.

• Segni e sintomi extraintestinali che sono generalmente correlati con l’attività infiammatoria:

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22 o Artrite o artropatia, manifestazioni extraintestinali più comuni nei pazienti con RCU. Coinvolgono principalmente le grandi articolazioni e le forme più comuni sono la spondilite anchilosante e la sacroileite.

o Manifestazioni oculari, come uveite, irite ed episclerite.

o Manifestazioni dermatologiche come eritema nodoso e pioderma gangrenoso.

o Colangite sclerosante primitiva che si presenta in circa il 5% dei pazienti con MC e spesso in forma asintomatica, ma con elevata concentrazione sierica di fosfatasi alcalina.

o Calcoli renali di ossalato di calcio e acido urico, come conseguenza della disidratazione e dell’acidosi metabolica, che derivano dalla steatorrea e dalla diarrea.

o Osteopenia per l’uso di glucocorticoidi, la diminuzione dei livelli di vitamina D e il ridotto assorbimento di calcio.

o Manifestazioni polmonari come bronchiectasie, bronchite cronica, malattia interstiziale polmonare, sarcoidosi.

Osservando la tabella, si può notare come la presentazione clinica si modifichi in base alla sede: il sanguinamento è legato soprattutto alla forma colica, la diarrea cronica intermittente più tipica invece della forma ileocolica.

L'indice di Harvey-Bradshaw è stato concepito nel 1980 come

una versione semplificata dello CDAI, per favorire una raccolta sistematica dei dati clinici relativi al MC. L’indice considera cinque parametri, esclusivamente clinici, per ciascuno dei quali assegna un punteggio: vengono valutati benessere del paziente, dolore addominale, numero di evacuazioni liquide o semisolide (tutti e tre i parametri fanno riferimento al giorno precedente), massa addominale, presenza di complicanze e in base al punteggio totale viene valutata l’intensità di attività della malattia.

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23 Altro step diagnostico importante riguarda gli esami di laboratorio che devono includere: ▪ Esami del sangue, in particolare emocromo completo, elettroliti, test di funzionalità renale ed epatica, livelli sierici di ferro, vitamina D e vitamina B12. I pazienti con MC presentano neutrofili, PCR, fibrinogeno, VES, alfa-1-glicoproteina acida e PLT tutti aumentati e occasionalmente possono presentare segni di anemizzazione.

▪ Test patogeni enterici, in pazienti con diarrea, per parassiti e per Clostridium difficile qualora fossero presenti fattori di rischio come uso recente di antibiotici. ▪ Test per marker d’infiammazione delle feci, come la calprotectina fecale o la lattoferrina, che consentono di distinguere i pazienti con infiammazione intestinale da quelli con malattia intestinale funzionale. I valori di calprotectina fecale nei pazienti con MC superano i valori normali di 50mcg/g: il cut-off per l’indicazione alla colonscopia è per valori superiori a 100mcg/g. In una metanalisi che includeva sei studi con 670 pazienti, è stato dimostrato che il test per la calprotectina fecale ha una sensibilità del 93% e una specificità del 96%. Tale marker viene utilizzato anche per la valutazione del pretrattamento e per il monitoraggio dell’attività della malattia nei pazienti con IBD39.

L’esame di prima linea rimane sempre la colonscopia con ileoscopia retrograda, associata a biopsie multiple, alla quale osserviamo:

1. Distribuzione discontinua con zone ulcerate alternate a zone normali.

2. Ispessimento parietale, con distribuzione transmurale, talvolta accompagnato dalla presenza di pseudopolipi.

3. Fissurazioni, che si accompagnano a peritonite circoscritta.

4. Stenosi della mucosa, dovute all’aumento dell’attività dei fibroblasti.

5. Aspetto a selciato romano (“cobblestone” = zone di estesa lesione ulcerosa). 6. Ulcere aftoidi.

Il prelievo bioptico di tessuto intestinale consente di andare a determinare l’aspetto microscopico della patologia che si caratterizza per la presenza di:

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24 1. Granuloma, che possono essere osservati in circa il 30 % dei pazienti con MC, ma

non è richiesto per stabilire la diagnosi.

2. Edema della mucosa e della sottomucosa, ispessimento muscolare, fibrosi. 3. Ulcere profonde e poco estese.

4. Infiltrati infiammatori perivascolari.

Le altre caratteristiche non rappresentano elementi distintivi, ma tutti i reperti precedentemente descritti consentono di fare diagnosi differenziale tra RCU e MC con interessamento colico.

In caso di necessità di approfondimenti diagnostici, si possono effettuare indagini di imaging addominale:

▪ Ecografia addominale specifica con polietilenglicole per os, con studio dello spessore delle anse.

▪ Entero-TC, soprattutto per la ricerca di ascessi addominali.

▪ Entero-RM, spesso con mdc, che consente l’individuazione di enhancement tissutale, ispessimento di pareti intestinali e studio di eventuali stenosi40.

▪ RX con bario, per evidenziare l’aspetto a catena di rosario, dato dall’interessamento discontinuo della parete.

▪ Scintigrafia con globuli bianchi marcati, esame svolto raramente, basato sull’accumulo delle cellule della linea bianca all’interno della zona infiammata.34,41-43

2.7 Complicanze del Morbo di Crohn

Le complicanze di MC possono essere distinte in: • Complicanze Locali

o Fistole, la cui incidenza è notevolmente diminuita in seguito all’introduzione della terapia con infliximab.

o Occlusione intestinale acuta o cronica, che si genera per fibrostenosi, derivante dai processi guarigione.

o Perforazione intestinale, a seguito di ascessi. o Sanguinamenti intestinali.

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25 o Neoplasie maligne, soprattutto carcinoma del color-retto: chiaramente il rischio è minore rispetto ai pazienti con RCU. Possono sviluppare anche tumori reticoloendoteliali e melanoma.

o Malnutrizione, per cui si rendono necessarie la supplementazione vitaminica e supporto calorico, preferibilmente per via orale.44

2.8 Terapia del Morbo di Crohn

La gestione medica comprende una combinazione di corticosteroidi sistemici, budesonide (steroide a bassa biodisponibilità), agenti immunosoppressori, trattamento antibiotico e terapie biologiche come anticorpi anti-TNF-α (infliximab, adalimumab, certolizumb pegol), anti-integrine e anti IL-12/23.

La terapia può essere suddivisa in agenti efficaci per l'induzione e farmaci efficaci per il mantenimento della remissione:

• 5-aminosalicitati: alte dosi di mesalazina (4 g / die) sono efficaci nella MC da lieve a moderata, sebbene non tutti gli studi abbiano mostrato risultati coerenti. Una metanalisi di 15 studi sulla terapia di mantenimento con mesalazina che ha coinvolto 2097 pazienti ha mostrato l’efficacia del trattamento nel ridurre significativamente il rischio di recidiva sintomatica nel 13% dei pazienti, ma solo in ambito post-chirurgico e in pazienti con ileite e durata prolungata della malattia, risultando in ambito medico un beneficio non significativo45.

• Corticosteroidi, soprattutto prednisolone: inibiscono l’attivazione delle cellule T e la produzione citochine infiammatorie, anche se associati ad effetti collaterali a breve termine (intolleranza gastrointestinale, dispesia o psicosi). Solitamente non vengono prescritti nel lungo termine a causa degli eccesivi effetti collaterali: osteoporosi, cataratta, gastrite con ulcera peptica, acne, ritenzione idrica fino ad edema e gonfiore, insonnia, vulnerabilità aumentata alle infezioni, aumento di peso, virilismo nella donna, alterazioni mestruali, gravi anomalie dello sviluppo, ipertensione, aumento della coagulabilità del sangue. Budesonide è un glucocorticosteroide sintetico che fornisce l’efficacia di un corticosteroide senza gli effetti tossici collaterali46.

• Azatioprina e il suo metabolita 6-mercaptopurina: vengono utilizzati come farmaci per il mantenimento della remissione.

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26 • Metotrexate: è in genere usato come farmaco immunosoppressivo di seconda linea per i pazienti che non rispondono o intolleranti all'azatioprina, con lo scopo di migliorare i sintomi, ridurre l’utilizzo di prednisolone e di mantenere la remissione.

• Anticorpi anti-TNFα: uno dei primi trattamenti biologici utilizzati è l’infliximab, anticorpo monoclonale chimerico, che ha mostrato un tasso di risposta pari al 75-80% dopo infusione di una singola dose di 5mg/kg, con un massimo del 50% dei pazienti che entrano in remissione clinica, anche se la maggior parte recidiva 8-12 settimane dopo l’infusione iniziale47, rendendo necessario il ritrattamento ogni

8 settimane. Oltre ad essere utilizzato come farmaco sia per l’induzione che per il mantenimento della remissione, consente la guarigione della mucosa del colon, sia nell’adulto che nel bambino. Diversi studi hanno dimostrato una maggiore efficacia della terapia di combinazione infliximab + azatioprina rispetto alla monoterapia con solo infliximab, nei pazienti con MC moderato o grave, per indurre la remissione clinica e la guarigione della mucosa del colon48. È stato introdotto nella terapia del MC anche l’Adalimumab, un anticorpo monoclonale anti-TNFα completamente umanizzato, che presenta una buona efficacia per l’induzione e il mantenimento della remissione.

L’utilizzo di farmaci anti-TNFα comporta un aumento del rischio di episodi infettivi: si è visto che l’effetto indesiderato più frequentemente riportato in letteratura è l’infezione del tratto respiratorio superiore e, in particolare, la riattivazione di tubercolosi. In quest’ottica, le linee guida americane ed europee per l'uso di tali farmaci raccomandano che tutti i pazienti siano sottoposti a radiografia del torace e/o test di derivato proteico purificato dalla pelle (PPD) prima della somministrazione della terapia49. Inoltre, è controindicato l’utilizzo del farmaco in pazienti con insufficienza cardiaca ed è stato evidenziato che circa il 20% dei pazienti sottoposti a terapia nel lungo termine può sviluppare lesioni cutanee simil-psoriasiche. Infine, tali farmaci comportano un aumentato rischio oncologico, sebbene metanalisi recenti abbiano evidenziato come il rischio di sviluppare un tumore in pazienti sottoposti a terapia con anti-TNFα sia simile al rischio successivo a trattamento con farmaci non biologici o della popolazione generale, sia in pazienti senza precedenti tumori50, sia in pazienti con una storia di tumore in anamnesi51.

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27 • Antibiotici: oltre alla loro azione antibatterica, alcuni antibiotici, come metronidazolo e chinoloni, hanno potenziali proprietà immunosoppressive e vengono utilizzati per il trattamento di complicanze della malattia, come patologie perianali per quali viene somministrato il metronidazolo e fistole/ascessi per cui si utilizza la ciprofloxacina.

• Antimicobatterici: una recente metanalisi dell'effetto della terapia antimicobatterica nel MC ha evidenziato che questa terapia è efficace nel mantenere la remissione in alcuni pazienti a seguito di un ciclo di corticosteroidi combinato con la terapia antimicobatterica per indurre la remissione52.

• Lattobacilli probiotici

• Anticorpi contro le molecole di adesione che consentono di regolare il traffico dei linfociti verso la mucosa intestinale, come natalizumab (anticorpo anti-integrine α4) e vedolizumab (anticorpo anti-integrina α4β7).

• Trapianto di cellule staminali autologhe: può indurre una remissione di lunga durata in pazienti con MC grave, refrattaria ai principali trattamenti.

• Chirurgia nei pazienti con ascessi perianali per cui si renda necessario il drenaggio e nei pazienti con stenosi intestinale, che va trattata con stricturoplastica e/o resezione intestinale.

• Dieta, per ridurre il rischio di complicanze e, in alcuni casi, per incidere sull’attività della malattia.

• Elminti, una cui infezione potrebbe migliorare la patologia, inducendo una risposta immunologica con Th1 e Th2.

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28

3 L’ANEMIA NELLE MALATTIE

INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI

L’anemia consiste nella riduzione dell’emoglobina (Hb) al di sotto dei valori definiti fisiologici (uomini: 14-18 g/dl, donne: 12-16 g/dl), con una riduzione più o meno presente del numero dei globuli rossi (v.n. 4,5-5,8 milioni/mm³). L’anemia è una manifestazione extraintestinale comune nel paziente con IBD e spesso anche trascurata. Considerata la possibile asintomaticità della patologia, i livelli di Hb nei pazienti con IBD, spesso inferiori ai 12g/dl, devono essere regolarmente monitorati per poter effettuare una diagnosi precoce, vista l’associazione tra anemia sideropenica e scarsa qualità di vita53. Le prime indagini di laboratorio da svolgere in un paziente anemico affetto o meno da IBD devono includere:

1. Hb e Htc (v.n. uomini 40-52%, donne 36-48%) per definire il grado di anemizzazione.

2. MCV, che definisce la citosi: indica il volume corpuscolare medio. La classificazione più semplice delle anemie si basa sull’MCV:

a. Normocitica, globuli rossi con MCV di 85-95 μ³

b. Microcitica, globuli rossi con MCV < 80 μ³ (anemia sideropenica) c. Macrocitica, globuli rossi con MCV >100 μ³ (anemia da carenza di vit.

B12 e acido folico)

3. MCH e MCHC, per definire la cromia: il primo è rappresentato dal contenuto cellulare medio di Hb (v.n. 27,5-33,2), calcolato dividendo la quantità di Hb per il numero di globuli rossi presenti in un determinato volume di sangue, mentre il secondo valore è la concentrazione cellulare media di Hb (v.n. 33,4-35,5) calcolata dividendo la concentrazione plasmatica di Hb per l’ematocrito. Oggi il conteggio viene effettuato con contatori automatici e l’ematocrito viene calcolato sommando i volumi delle singole cellule.

4. Ferro, per definire una carenza. Il ferro totale presente nell’organismo è 2,5g nella donna e 4g nell’uomo, mentre i depositi di ferro corrispondono a 330mg nella donna e 400mg nell’uomo. L’assunzione mediante la dieta dovrebbe essere pari a 6mg/1000Kcal, con un assorbimento del 10% dipendente da acidità gastrica, alimenti o farmaci assunti, capacità assorbente del duodeno.

5. Conta dei reticolociti, per capirne il movente fisiopatologico. La normale percentuale dei reticolociti rispetto all’Hct totale si attesta per gran parte

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29 dell’infanzia intorno all’1%, con una conta reticolocitaria assoluta di 25000-75000/mm³. In presenza di anemia, la produzione di eritropoietina (EPO) e il numero assoluto di reticolociti dovrebbero aumentare, per cui:

a. Un numero di reticolociti ridotto o normale generalmente correla con un’inadeguata risposta all’anemia associata ad una condizione di insufficienza midollare e inadeguata eritropoiesi.

b. Un aumento del numero di reticolociti rappresenta la normale risposta del midollo osseo in caso di distruzione di globuli rossi, sequestro o perdita. La misura della produzione di globuli rossi viene fornita dall’indice reticolocitario (IR), il cui valore fisiologico è 2-2,5%: IR<2-2,5% è indice di produzione eritrocitaria inadeguata, mentre un IR>2,5% è indicativo di aumentata distruzione e perdita di emazie, con conseguente iperattivazione midollare.

Le Linee Guida ECCO sulla diagnosi e la gestione di carenza di ferro e anemia in malattie infiammatorie croniche intestinali, pubblicate dall’European Crohn’s and Colitis Organisation (2015), raccomandano che un iter diagnostico esteso per l’anemia comprenda anche il contenuto di emoglobina dei reticolociti (o, in alternativa: % degli eritrociti ipocromici), come utile marcatore di carenza funzionale di ferro per la diagnosi di eritropoiesi ferro carente54.

6. RDW, grado di distribuzione dei volumi eritrocitari, misura del grado di anisocitosi.

7. Striscio di sangue periferico, per valutare eventuali alterazioni morfologiche degli eritrociti.

8. Conta dei bianchi totale e frazionata e conta piastrinica.

9. Indici di distruzione eritrocitaria, ovvero LDH e bilirubina indiretta.

La valutazione di questi semplici parametri è in grado di permettere un inquadramento morfologico e fisiopatologico dell’anemia, guidando così, assieme all’anamnesi e alla storia clinica, nella richiesta di eventuali indagini.

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3.1 Epidemiologia

La prevalenza dell’anemia è più elevata nei pazienti con IBD rispetto alla popolazione generale e varia tra il 6% e il 74%55. Secondo lo studio ECCO-Epicom, colpisce circa il

42% nel primo anno dalla diagnosi di IBD56. In letteratura ci sono dati molto diversi tra loro:

• Secondo una review, la prevalenza media di anemia nei pazienti con IBD è del 17%57.

• In una metanalisi, la prevalenza di anemia in 2192 pazienti con IBD risultava del 24%: 27% nei pazienti con MC e 21% nei pazienti con RCU58.

Un recente studio, invece, svolto nell’arco di cinque anni su 1821 pazienti, ha riportato la prevalenza di anemia al 50,1%: 53,3% nei pazienti con MC e 44,7% nei pazienti con RCU59.

Comunemente, i pazienti con MC e RCU presentano anemia sideropenica secondaria a perdita di sangue cronica e ad alterazione nei processi di assorbimento del ferro a causa dell’infiammazione dei tessuti.

Altre cause di anemia includono la carenza di vit. B12 e folati e l’effetto tossico dei farmaci.

I cut-off generali dell’anemia, indicati nella seguente tabella, si applicano anche ai pazienti con IBD, di qualsiasi razza tranne l’afroamericana, che presenta limiti inferiori di Hb più bassi: 11,5g/dl per le donne e 12,9g/dl per gli

uomini. Al momento della diagnosi, circa il 40% dei pazienti adulti con IBD presenta anemia, percentuale che sale al 75% nella popolazione pediatrica60, in cui la carenza di ferro viene registrata nell’85% dei pazienti.

Uno studio, basato sul follow-up a 10 anni di oltre 700 pazienti, ha evidenziato che l’anemia fosse più comune nei pazienti con MC rispetto a quelli con RCU e più frequente nelle donne con MC dopo dieci anni di trattamento. Inoltre, ha evidenziato che i pazienti a maggior rischio di anemia sono quelli con PCR elevata e quelli con fabbisogno di

Tabella 6 Cut-off dei valori di Hb ed ematocrito (Ht) in base all'età del paziente

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31 corticosteroidi più elevato, indicatori rispettivamente di malattia in fase di attività e malattia a decorso più aggressivo61. A rimarcare la correlazione appena vista, è importante evidenziare che uno studio ha proprio dimostrato come la prevalenza e la gravità dell’anemia siano correlate all’attività della malattia e come la patogenesi cambi nel corso della malattia: alla diagnosi il meccanismo prevalente dell’anemia è rappresentato dall’infiammazione cronica intestinale, mentre nel follow-up dalla carenza di ferro, associata o meno a forme multifattoriali55.

Negli ultimi due decenni, l’epidemiologia dell’anemia nei soggetti affetti da IBD ha mostrato una diminuzione della prevalenza delle forme lievi e moderate grazie alla diagnosi più precoce delle IBD, con una loro migliore gestione globale e una maggiore efficacia delle terapie. Ciononostante, la prevalenza dell’anemia severa è rimasta invariata con tassi globali sempre elevati.

L’anemia influenza negativamente anche la prognosi delle IBD, come dimostrato in diversi studi, che evidenziano come tale condizione sia associata più spesso alla localizzazione colica nel MC e all’estensione nella RCU, determinanti una prognosi più sfavorevole. Inoltre, nei pazienti ospedalizzati, la presenza di anemia e la necessità di emotrafusioni si associano a una maggiore necessità di interventi chirurgici. Infine, l’anemia, persistente o ricorrente, per tre o più anni si associa a un decorso più aggressivo e a un maggior grado di disabilità essendo correlata ad un aumento del numero di visite ambulatoriali, ospedalizzazioni e interventi chirurgici.

L’anemia non è solo un fattore prognostico del decorso delle IBD, ma anche della risposta al trattamento: un basso valore di emoglobina al momento dell’attacco severo nella RCU rappresenta un fattore predittivo di mancata risposta allo steroide sistemico e, quindi, è associato a un maggior rischio di necessità di terapia di salvataggio e di colectomia nel lungo termine. Più di recente, bassi valori di emoglobina (< 14,5 g/dl) al momento della sospensione di farmaci anti-TNF sono stati associati a un maggior rischio di relapse in pazienti adulti affetti da MC62.

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3.2 Eziopatogenesi

L’anemia da disordini cronici, o anemia infiammatoria, si realizza in risposta al rilascio di citochine proinfiammatorie, come conseguenza di processi infiammatori cronici (IBD), infezioni, danno tissutale, neoplasie. L’IL-1 e il TNF sono i mediatori principali, agenti attraverso tre meccanismi principali:

1. Aumentano la produzione delle proteine di fase acuta da parte del fegato, tra cui la ferritina e l’epcidina, la quale svolge un ruolo fondamentale nell’omeostasi del ferro. L'epcidina, peptide antimicrobico formato da 25 aminoacidi, prodotto principalmente nel fegato in risposta al sovraccarico di ferro o all'induzione da parte di stimoli pro-infiammatori, come LPS e IL-6, si lega all’unico esportatore di ferro cellulare noto, la ferroportina (SLC40A1), portando all'internalizzazione e al degrado della ferroportina. L’aumento del ferro intracellulare riduce l’espressione del trasportatore dei metalli bivalenti (DMT1) sui villi degli enterociti duodenali, bloccando il trasferimento del ferro assorbito in circolo (effetto che può essere aggravato dal TNF-α5), e, in parallelo, provoca ritenzione di ferro nei macrofagi e monociti63.

2. Stimolano la ritenzione di ferro nei macrofagi. Normalmente, i macrofagi, dopo aver fagocitato gli eritrociti senescenti, riciclano il ferro attraverso la degradazione enzimatica dell’eme e lo rilasciano in circolo attraverso la ferroportina, coprendo circa il 90% del fabbisogno giornaliero di ferro. Nel corso del processo infiammatorio, tuttavia, l’emivita biologica degli eritrociti è minore a seguito dello stress ossidativo e della lipoperossidazione. Tale evento promuove i processi di fagocitosi da parte dei macrofagi verso gli eritrociti senescenti, con conseguente aumento della concentrazione intracellulare di Fe²⁺, e l’aumento dell’espressione del trasportatore dei metalli bivalenti (DMT1) e del recettore della transferrina sui macrofagi, stimolati, così, a catturare e internalizzare il Fe²⁺, senza poterlo rilasciare in circolo a causa dell’inibizione della trascrizione della ferroportina da parte delle citochine proinfiammatorie.

3. Inibiscono la produzione di EPO, direttamente attraverso l’inibizione di promotori della sintesi e indirettamente con la promozione della formazione di ROS indotti da citochine, i quali danneggiano le cellule deputate alla produzione di EPO nel rene. Inoltre, alcune citochine possono modificare la trasduzione del segnale derivante dal legame tra l’EPO e il suo recettore, attraverso il blocco dei processi

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