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L'UOMO GRECO E IL MARE: NAVI, COLONIE, E ROTTE COMMERCIALI DALL'ETA' DEL BRONZO ALL'ETA' ARCAICA.

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE

Tesi di Laurea

L’uomo greco e il mare: navi, colonie e rotte commerciali dall’età

del Bronzo all’età Arcaica

Relatore:

Prof.ssa Margherita Facella

Candidata:

Alice Torti

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Indice

1.Introduzione………..3

2.Navigazione greca e fenicia. Navi, contatti e rotte commerciali dall'Età

del Bronzo all'Età arcaica………....5

3.La colonizzazione greca di epoca storica………...…33

• Magna Grecia e Sicilia………..41

• Mar Nero………...50

• Resto del Mediterraneo………53

4.Conclusione……….58

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1.Introduzione

Nel seguente lavoro intendo esaminare il rapporto che lega l'uomo greco al mare a partire dall'epoca minoica, alla quale risalgono le prime prove di attività di navigazione in Grecia, fino all'età Arcaica, periodo della seconda colonizzazione greca, che vede le coste del bacino mediterraneo e del Mar Nero riempirsi di centinaia di colonie, portando alla nascita della famosa immagine platonica del Fedone che paragona i greci stanziati intorno al mare a rane e formiche che abitano attorno a uno stagno. «Noi, che abitiamo dal Phasis [il fiume Rioni, nell'attuale Georgia] sino alle colonne d'Eracle, ne [della terra] occupiamo soltanto una piccola parte, abitando intorno al mare, come formiche o rane intorno ad uno stagno»1.

Ovunque si stanziassero i greci restavano sempre a contatto con il mare, che rimaneva il loro mezzo di comunicazione preferito, tant'è che se andiamo ad analizzare i luoghi di fondazione delle varie colonie, vediamo che per la maggior parte queste non venivano mai a trovarsi a più di 40 km dal mare e, se mai si trovavano a una distanza maggiore, mantenevano comunque rapporti con la costa.

Gli aspetti che vengono qui presi in considerazione sono quelli che legano l'uomo greco al mare principalmente nei seguenti ambiti: navi, navigazione, rotte commerciali marittime e creazione di colonie.

La nascita della navigazione greca e i suoi sviluppi sono esaminati in relazione alla ben più antica e avanzata navigazione fenicia. Quello che viene fuori è un quadro nel quale i greci non si limitano a copiare in toto i risultati ottenuti dai fenici, ma i due popoli antichi sono impegnati in una competizione secolare per superarsi a vicenda, cosa che comporta inevitabilmente un'imitazione reciproca nelle varie fasi della loro storia. Simbolo per eccellenza di questa imitazione sono gli occhi, ugualmente raffigurati sopra la linea di

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galleggiamento delle navi fenicie e greche, come se lo scafo fosse vivo, un grosso animale selvatico sul quale i marinai stanno in sella, pronto a infrangere le onde e a solcare il mare, raccogliendo informazioni sia dal mondo terrestre sia da quello sottomarino.

L'evoluzione delle varie rotte commerciali marittime greche viene esaminata in relazione alla creazione di empori e colonie lungo le coste ed è messo il luce il legame tra l'irradiazione via mare e l'ampliamento di mentalità, per il contatto con nuove terre e nuove popolazioni. Il mare è quindi visto come oppurtunità di scoperta e di conoscenza, di incontro e di arricchimento, di apertura verso il nuovo e di crescita e quello sguardo vigile degli occhi delle navi greche è forse il segno più inconfondibile di ciò.

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2.Navigazione greca e fenicia. Navi, contatti e rotte commerciali dall'Età

del Bronzo all'Età arcaica

La predisposizione mentale all'indagine da parte degli antichi greci era strettamente legata alla loro esperienza di navigatori. Ad esempio la vela, il più antico strumento inventato dall'uomo per catturare una forza non animale e usarla allo scopo di fornire energia2, rappresentava al contempo la forza elementare della natura e la sua applicazione pratica e mostrava chiaramente quanto la scienza pura e la scienza pratica3 fossero compenetrate tra

di loro4.

Tuttavia i greci non furono nè i primi nè i più esperti marinai del Mediterraneo. Sicuramente dovevano aver visto le grandi teste di cavallo che decoravano le prue delle navi fenicie5 e che li avevano indotti a scegliere proprio i cavalli come animali sacri al loro dio del mare, Poseidone6, e, altrettanto sicuramente, dovevano aver visto rappresentati su quelle navi

fenicie uno o più occhi, gli stessi che a partire dalla Tarda Età del Bronzo troviamo anche sulle navi greche7. Ma la cosa più importante è il fatto che, quando i greci cominciarono ad avventurarsi nel bacino mediterraneo, i loro rivali e ispiratori fenici ne avevano da tempo sperimentato le coste e creato in queste acque una rete di rotte commerciali8.

Se infatti le prime attività di navigazione dei greci risalgono al periodo minoico, quelle dei

2La vela mantenne tale primato fino all'invenzione del mulino ad acqua, quasi certamente opera di un greco del III secolo a.C. Si veda EDITH HALL,Gli antichi Greci, Einaudi ,Torino, 2016, pp.11-12. 3La scienza pura è quella interessata a sviluppare teorie scientifiche per migliorare la comprensione e la

predizione dei fenomeni naturali. Essa fa quindi uno studio teorico a prescindere dall'applicazione pratica, che è invece appannaggio della scienza pratica. Scienza pura e scienza pratica hanno comunque bisogno l'una dell'altra. Si veda, per quanto riguarda il caso greco, ANDRÈ PICHOT, La

nascita della scienza. Mesopotamia, Egitto, Grecia antica, edizioni Dedalo, Bari, 1993. 4E.HALL, Gli antichi greci, cit., pp. 11-12.

5GIOVANNI TODARO, Uomini e cani in guerra. Dagli egizi fino alla Tripolitana italiana, LULU PR Editore, Raleigh, 2018, p. 21.

6KÀROLY KERÉNYI, Gli dèi e gli eroi della Grecia. Il racconto del mito, la nascita della civiltà, Il Saggiatore, Milano, 2009, pp. 156-161.

7E.HALL, Gli antichi greci, cit., p.12.

8ROBERTA LEVRERO, Storia dei traffici commerciali attraverso i secoli, Edizioni Quasar, Roma, 2012, pp. 23-24.

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fenici hanno origine in un tempo più lontano, l'Età del Bronzo Antico9.

Nella Historia Naturalis10 Plinio (Como, 23 d.C.- Stabia, 25 Agosto o 25 Ottobre 79 d.C.)

ci dice addirittura che i fenici inventarono l'arte della navigazione11 e che vi applicarono i rudimenti di astronomia che impararono dai caldei12. In realtà oggi sappiamo che appresero

di astronomia non solo dai caldei ma anche dagli egizi e dai babilonesi13 e che da questi dovettero verosimilmente apprendere anche conoscenze riguardanti la navigazione stessa. Quello che è certo, però, è il fatto che i fenici furono i primi a praticare la navigazione notturna14. Per farlo si servirono della costellazione dell'Orsa Minore, che aveva al suo interno la Stella Polore, la quale nel nostro emisfero, l'emisfero boreale, indica sempre il nord15. I greci chiamarono significativamente questa stella “stella fenicia”16 e la sua luce guidò tutti i popoli marinai antichi nell'esplorazione dei mari.

Nonostante i fenici praticassero regolarmente la navigazione notturna, preferivano comunque spostarsi di giorno per avere riferimenti costieri, almeno fino a quando le loro mappe del cielo non furono sviluppate a tal punto da permettergli di muoversi di notte con la stessa sicurezza del giorno. Poichè le ore nelle quali si poteva essere illuminati dalla luce del sole erano maggiori nel periodo che andava da Marzo a Ottobre, era proprio in questo arco di tempo che i viaggi per mare si incrementavano, anche perchè le condizioni

9Ivi, pp. 21-22.

10L'Historia naturalis è un trattato enciclopedico scritto da Plinio il Vecchio. Il suo significato in italiano è propriamente “Osservazione della natura”.

11GABRIELE ROSA, Le origini della civiltà in Europa, Volume II, Editori del Politecnico, Milano, 1863, p.235

12I caldei furono un popolo semita che abitò la parte meridionale della Mesopotamia. La loro presenza è attestata fin dai testi assiri del IX secolo a.C.

13Si veda AMANDA NICOLE GOLDFARB, Canaanite and Phoenician Astronomy: from the Late Bronze Age to Early Iron Age, Melbourne University, 2012.

14STEFANO MEDAS, DE REBUS NAUTICIS, L'arte della navigazione nel mondo antico, “L'Erma,, di Bretschneider, Roma, 2004, p.157.

15«Siderum observationem in navigando Phoenices (inventerunt)», «l'osservazione delle stelle durante la navigazione fu introdotta dai Fenici» (Plinio, Historia Naturalis, VII, 209). Ivi, pp. 157-158. 16LUCIANO CRESCI, Le stelle celebri. Itinerari poetici, mitici, curiosi nel cielo stellato, Hoepli, Milano,

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atmosferiche erano migliori17.

Grazie alla conformazione fisica del bacino mediterrano, che permetteva quasi sempre una navigazione con la costa a vista d'occhio (se si fa eccezione per la traversata del canale di Sardegna e per quella del mare delle Baleari), i fenici furono i primi ad applicare il rilievo topografico18 alla navigazione e a disegnare mappe dettagliate delle coste19. Questo gli permise di essere i soli tra gli antichi popoli semitici a diventare esperti marinai, ammirati da tutti i loro contemporanei20.

Memorabile, tra i tanti, il viaggio che il farone Necho, attorno al 600 a.C., chiese loro di compiere e che li portò a circumnavigare per primi l'Africa. Lo fecero da est a ovest, passando attraverso il Mar Rosso21. A darci testimonianza di questo è lo storico Erodoto (Alicarnasso, 484 a.C.- Thurii, dopo il 430 a.C.), il quale nel IV libro delle sue Storie scrive: «essi raccontarono un particolare per me incredibile: che nel compiere la circumnavigazione dell'Africa, avevano avuto il sole sulla loro destra»22. Infatti i fenici partirono dal Mar Rosso, proseguirono per l'Oceano Indiano e terminarono, dopo tre anni, con il passaggio dello Stretto di Gibilterra e il ritorno sul Mar Mediterraneo23.

Dotati di un grande spirito di avventura e di importanti risorse tecnologiche, come l'ancora in ferro e legno, un'altra loro grande invenzione24, i fenici divennero un popolo marinaro per necessità, perchè il loro territorio, corrispondente all'incirca all'odierno Libano, stretto tra il

17S.MEDAS, DE REBUS NAUTICIS, L'arte della navigazione nel mondo antico, cit., p.37.

18Il rilievo topografico è la rappresentazione in scala di una zona o di un edificio. La topografia è la scienza che studia gli strumenti ed i metodi operativi, sia di calcolo sia di disegno, che sono necessari per ottenere una rappresentazione grafica, più o meno particolareggiata, di una parte della superficie terrestre.

19GAIA SERVADIO,Mozia. Fenici in Sicilia, Feltrinelli, Milano, 2018, p. 18. 20E.HALL, Gli antichi greci, cit., p.12.

21LUIGI SCHIAPPARELLI, Sulla circumnavigazione dell'Africa, compiuta dai Fenici nel secolo VII a.C., Guido Cora Editore, Torino, 1881.

22ERODOTO, Storie, IV, 42, in Erodoto. Le Storie. Libro IV, Associazione Culturale Larici, Brescia, 2008, p.18.

23L.SCHIAPPARELLI, Sulla circumnavigazione dell'Africa, compiuta dai Fenici nel secolo VII a.C, cit. 24E.HALL, Gli antichi greci, cit., p.12.

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mare e le montagne, non offriva grandi possibilità di sviluppo agricolo. Fu quindi nella vocazione commericiale marittima che fecero risiedere la propria fama e fortuna25.

I grandi itinerari percorsi dalle loro navi commerciali furono sempre costanti, anche se in alcune epoche cambiarono in parte il loro percorso per cause prevalentemente politiche26.

Erano una fitta rete di rotte marittime che copriva l'intero bacino mediterraneo, dalle coste atlantiche del Marocco e della Penisola Iberica fino al Mar Nero, come si può veder rappresentato nella cartina sottostante:

La prima rotta partiva dalla regione siro-palestinese e conduceva, passando lungo le coste dell'Africa settentrionale, fino alla Penisola Iberica. Questo percorso, che sviluppava oltre tremila miglia, rimase quasi costantemente attivo per tutto il periodo dell'attività marittima

25R.LEVRERO, Storia dei traffici commerciali attraverso i secoli, cit., p. 22. 26Ivi, pp. 23-25.

Illustrazione 1: Uomini nel tempo e nello spazio - le rotte marittime dei fenici, "loescher.it/Risorse/DAN/Public/O_D4076/DD4076/Uomini_nel_Tempo_e_nello_Spazio_Risorse_online/ unita1-capitolo4/rotte-marittime.html" (consultato il 30 Ottobre 2019).

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fenicia27.

Il secondo itinerario era molto più lungo e articolato del primo: partiva infatti da Cipro e andava a toccare la costa meridionale dell'attuale Turchia, l'isola di Creta, l'arcipelago delle isole Cicladi, il Peloponneso, fino a giungere alle coste ioniche d'Italia. Da questo punto si avevano due varianti a seconda dei luoghi che si volevano raggiungere. Se si voleva arrivare ai centri etruschi, si attraversava lo Stretto di Messina e si proseguiva lungo la costa tirrenica; se, invece, si voleva raggiungere la Sardegna e poi l'estremo occidente, si passava lungo la costa meridionale della Sicilia e si raggiungeva da ovest la Sardegna. Da qui si andava poi verso l'arcipelago delle Baleari e verso la Penisola Iberica meridionale28.

Accanto a queste due rotte maggiori esistevano poi numerosi itinerari minori. Tra i più antichi e importanti si possono ricordare quello che dalla costa meridionale della Turchia toccava le isole dell'Egeo, oppure quello che dalla Sardegna meridionale conduceva all'arcipelago campano, seguendo un ampio arco nel mar Tirreno che portava davanti alle coste dell'attuale Lazio29.

Gli oggetti del commercio fenicio che circolavano lungo queste grandi vie marittime erano molto vari: accanto ai metalli c'erano legno di cedro, spezie, profumi, vesti, gioielli, armi, schiavi, vino, cereali e derrate alimentari di diversa natura e provenienza. Alcuni prodotti venivano importati in patria allo stato grezzo e qui lavorati per poi essere rivenduti, altri venivano invece importati già finiti e, in quel caso, i fenici fungevano da intermediari.30 Per quanto riguarda l'Oceano Atlantico, fino al quale i fenici erano riusciti a spingersi31, diffusero la falsa notizia della difficoltà di navigazione, per ingannare i loro rivali e mantenere così il monopolio esclusivo dei commerci in queste acque. Ed ecco allora che

27Ibidem. 28Ibidem. 29Ivi, p.24. 30Ivi, p.23.

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uomini greci come Platone ed Erodoto ritenevano che l'Oceano Atlantico fosse un mare basso, fangoso e impaludato dalle alghe32.

Sicuramente i greci riconoscevano ai fenici l'indubbia abilità di commerciati e a tal proposito non si può non citare nuovamente33 Plinio, il quale afferma che, oltre ad aver inventato la

navigazione, i fenici avrebbero inventato anche il commercio34.

Al di là di questa affermazione, ovviamente esagerata, la maestria fenicia era ben nota ai greci e a tutti i popoli antichi loro contemporanei e risultava evidente sopratutto nella costruzione di navi35. Due erano i principali tipi di imbarcazione fenicia: la nave da guerra, cioè la bireme36, e la golah37, ovvero la nave da trasporto/commercio38.

32La rotta dei Fenici, Cultural route of the Council of Europe, Ancient civilizations on the Mediterrean – civilisation antiques de la Méditerranéè, 2017, “fenici.net/heritage/fenicio-punici/la-navigazione/” (consultato il 30 Ottobre 2019).

33Pagina 6.

34PLINIO, Historia Naturalis, VII, 57, 199.

35È noto, ad esempio, che gli egizi commissionassero spesso navi ai fenici. Si veda S.MEDAS, DE REBUS NAUTICIS, L'arte della navigazione nel mondo antico, cit.

36La trireme, l'innovazione tecnologica fondamentale dell' VIII secolo a.C., sarà proprio un'evoluzione della più antica bireme, con l'aggiunta di un'altra fila di rematori. Si veda E.HALL, Gli antichi greci,

cit. p. 14.

37Golah è un termine fenicio, che significa “rotondo”, data la forma per l'appunto rotondeggiante della nave commericiale fenicia. Da questo termine derivano probabilmente l'italiano goletta e l'inglese galleon.

38Si veda MARCO BONINO, Navi fenicie e puniche, Lumières Internationales editore, Parigi, 2010. Illustrazione 2: I Fenici - Lessons. "tes.com/lessons/PUJrhsXxgrHI3Q/i-fenici" (consultato il 30 Ottobre 2019)

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La prima era lunga e affusolata, con una grande vela al centro issata sull'albero maestro e una vela un po' più piccola sostenuta da un albero a prua. Aveva una poppa molta ricurva e uno sperone39 a filo d'acqua, che era posizionato a prua e serviva ad agganciare la nave avversaria, impedendo che il rostro40 penetrasse così profondamente nello scafo del nemico

da bloccare anche la nave fenicia. C'erano due timoni ai fianchi della poppa ed erano presenti due file di rematori (da qui il nome di “bireme”), per aumentare la velocità di navigazione e per essere in grado di spostarsi, in caso di pericolo, anche in assenza vento e nel minor tempo possibile. Necessità che non aveva invece la golah, la cui unica forza propulsiva era una grande vela issata su un albero maestro al centro dello scafo, chiamata “quadrata”, anche se in relatà era rettangolare, in quanto leggermente più larga che alta.

Questa grande nave commerciale era di forma rotondeggiante a causa del rapporto lunghezza/larghezza di 4 a 1 e per questo era chiamata golah, “rotonda”, dai fenici e gaulos dai Greci. Era lunga di solito tra i 20 e i 30 metri e larga tra i 4 e i 7. Aveva una chiglia41 piatta, poppa e prua rialzate e fianchi molto ampi, capaci di accogliere al loro interno una elevata quantità di merci di ogni genere: legnami, cereali, marmi, spezie, ecc. La sua funzione era infatti prevalentemente quella di trasporto commerciale e la sua capienza doveva quindi essere notevole. Il pescaggio42 misurava circa un metro e mezzo, lunghezza analoga a quella della fiancata emersa. La carena43, fortemente convessa, era protetta in tutta la parte sommersa da una copertura di lamine di piombo, assicurate al fasciame con chiodi di bronzo, di rame o, più raramente, di ferro. Tra questo rivestimento e il fasciame veniva

39Lo sperone è una speciale forma del dritto di prua di una nave, formato in modo da sfondare, con l'urto, la parte subacquea dello scafo attaccato.

40Rostro è sinonimo di sperone.

41La chiglia è una trave longitudinale a sezione quadrata o rettangolare che percorre la nave da poppa a prua nello scafo, il quale è la parte sommersa destinata al galleggiamento.

42Il pescaggio è l'altezza della parte della nave che rimane immersa nell'acqua. 43La carena è la parte dello scafo di una nave che resta immersa nell'acqua.

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disteso uno strato di bitume44, grazie al quale la nave era resa stagna45.

Fino alla scoperta del relitto di Punta Scario46 non si sapeva molto circa le tecniche costruttive della carpenteria delle navi commerciali fenicie. Questa nave, recuperata a circa due metri e mezzo di profondità e un'altra imbarcazione, trovata accanto ad essa e chiamata

sister ship, “nave sorella”, furono entrambe costruite usando pezzi lignei prefabbricati

separatamente e assemblati in un secondo tempo. Sul bordo di ognuno di questi pezzi sono state individuate lettere dell'alfabeto fenicio-punico, dipinte sul fasciame di pino con un inchiostro nero, le quali costituivano delle vere e porprie linee guida per gli addetti al montaggio. Si è quindi supposto che i pezzi delle varie navi fenicie venissero realizzati separatamente con l'ausilio di sagome e modelli prestabiliti e poi trasportati e montati in altri luoghi, a seconda della necessità47.

Per quanto riguarda invece le decorazioni delle golah, la poppa terminava sempre con un motivo a spirale o a coda di pesce, mentre la prua era ornata con una testa di cavallo, animale sacro ai fenici, così come il cane. Per questo motivo i greci chiamarono queste navi anche con il nome di hippoi, “cavalli”48.

In basso, sopra la linea di galleggiamento, erano poi raffigurati due occhi, quasi come se la nave fosse un essere vivente.

44Il bitume è una miscela di idrocarburi naturali o residuati derivanti dalla distillazione o raffinazione del greggio.

45Una nave è stagna quando il materiale da cui è costituita o ricoperta impedisce sia l'entrata che la fuoriuscita di acqua.

46Il relitto fu scoperto nel 1971 presso Punta Scario, al largo dell'Isola Grande o Isola Lunga, posta davanti a Marsala, in Sicilia. Gli scavi in quella zona erano già cominciati nel 1969 e avevano portato alla luce vasi antichi. Oggi il relitto è conservato al Museo Archeologico Regionale Baglio Anselmi di Marsala. Per ulteriori approfondimenti a proposito si veda ROSSELLA GIGLIO, Lilibeo e il mare. Marsala. Il Museo Archeologico Regionale Baglio Anselmi ed il relitto della nave punica, Marsala, 2007 e CASTAGNINO BERLINGHIERI, The charming Lady of the punic warship Lady Frost, Honor and Pride of underwater archaeology, in Archeologia Marittima Mediterranea, International Journal on Underwater Archaeology, 8, 2011, pp. 213-18.

47Ibidem.

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Questi occhi dovevano al contempo vedere la rotta senza smarrirsi, incutere timore ai nemici e proteggere l'intero equipaggio dal malocchio, garantendo una navigazione serena, in quanto i fenici erano un popolo molto superstizioso49. La velocità con la quale la nave poteva prendere velocità e sfrecciare in lontananza doveva averli incoraggiati a immaginare che lo scafo fosse vivo, come un grosso animale sul quale erano in sella. Lo stesso pensiero dovevano aver avuto i greci che, come abbiamo detto50, a partire dalla Tarda Età del Bronzo, con ben in mente le navi fenicie, avevano anch'essi cominciato a decorare le proprie imbarcazioni con uno o più occhi. Significative a tal proposito sono le molte pitture vascolari del VI secolo a.C. che raffigurano navi da guerra greche con prua e sperone simile al muso di un cinghiale51, quasi che la nave fosse un animale selvatico, pronto a infrangere le onde e a solcare il mare come se si lanciasse all'attacco di un nemico nella foresta .

49Ibidem.

50Pagina 4.

51E.HALL, Gli antichi Greci, cit., p. 12.

Illustrazione 3: Golah fenicia. Le navi fenicie "nellabottegadellamaestra.altervista.org/alterpages/files/navifenicie.pdf" (consultato il 30 Ottobre 2019)

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Anche nel caso delle navi greche gli occhi, quasi ipnotici, sono disposti appena sopra la linea di galleggiamento, uno su ciascun lato della propra52. In questo modo, non appena la si vedeva, la nave sembrava vigile, attenta e pronta a raccogliere informazioni sia dal mondo terrestre sia da quello sottomarino.

Gli antichi greci riconoscevano sicuramente la grande capacità dei fenici di costruire navi, seppure non ne ammiravano la condotta morale53. Basta pensare all'elogio dell'ingegno fenicio scritto da Senofonte (Erchia, 431 a.C – Tracia, 354 a.C.), nel quale un uomo tesse le lodi dell'ordine e della virtù:

L'ordine più bello e più preciso, Socrate, mi sembrò di averlo visto una volta, quando salii per

52Ibidem.

53Ad esempio nei poemi omerici i Fenici appaiono come mercanti abili ma senza scrupoli, che non infrequentemente si abbandonano ad azioni piratesche e rapiscono donne e bambini per rivenderli come schiavi. Non commerciano solo i prodotti della loro patria ma fanno anche da intermediari nel trasporto di beni acquistati altrove e rivenduti in tutti i porti del Mediterraneo. OMERO, Iliade, XXIII, vv. 740-751 e Odissea, IV, vv. 613-619; XIII, vv.272-286; XIV, vv. 287-300; XV, vv.414-483.

Illustrazione 4: Pittura di una nave greca del ceramografo ateniese Exekias, attivo ad Atene tra il 550 e il 530 a.C., "it.wikipedia.org/wiki/Exekias" (consultato il 30 Ottobre 2019)

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una visita su una grossa nave fenicia. Notai, infatti, una grandissima quantità di attrezzi disposta in uno spazio ridottissimo. Infatti, è grazie a molti arnesi di legno e corde che la nave ormeggia e salpa, - aggiunse,- e grazie a molte delle cosiddette attrezzature sospese che naviga; è armata contro le navi nemiche con molte macchine da guerra, trasporta molte armi per gli uomini dell'equipaggio, e per ciascun pasto comune porta con sé tutti gli utensili di cui gli uomini si servono quando sono a casa54.

Questa ammirata descrizione senofontea dell'interno di una nave fenicia e le varie similitudini tra le navi greche e quelle fenicie non vogliono però dire che i greci si siano limitati a copiare in toto i risultati ottenuti dai fenici. Gli storici navali hanno anzi recentemente delineato un quadro che presenta i due popoli antichi impegnati in una competizione secolare per superarsi a vicenda, cosa che comportò invitabilmente un'imitazione reciproca nelle varie fasi della loro storia. Inoltre, a riprova del fatto che i greci non si limitarono soltanto a copiare i risultati dei fenici, ma apportarono alla navigazione idee proprie o mutuate da altri popoli non fenici, possiamo dire che nessuno dei termini greci che indicano le parti di una nave deriva da una radice semitica55.

La secolare competizione tra greci e fenici ebbe origine in epoca minoica. Proprio a questo periodo risalgono infatti, come abbiamo detto56, le prime prove di attività di navigazione in Grecia.

Già a partire dal III millennio a.C. abbiamo le prime rappresentazioni di navi in Grecia. Queste si mostrano distinte in due forme principali: una snella e allungata e un'altra più corta, entrambe spinte a pagaie57.

54SENOFONTE, Encomio, VIII, 11-17, in E.HALL, Gli antichi Greci, cit., p. 14. 55E.HALL, Gli antichi Greci, cit. p.14.

56Pagina 5.

57La pagaia è lo strumento che permette di muovere un'imbarcazione e si distingue dal remo per il fatto che, diversamente da quest'ultimo, non ha uno scalmo, ovvero un appoggio che la vincola allo scafo. La pagaia è infatti tenuta nella mani di colui che manovra l'imbarcazione ed è manovrata senza ricorrere ad appoggi sul fianco o su altre parti della canoa.R.LEVRERO, Storia dei traffici commerciali attraverso i secoli, cit. p. 25.

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Dal XX secolo a.C. i cretesi cominciarono a commerciare nel Mediterraneo orientale, insieme non solo ai fenici, coi quali avevano vari punti di contatto nelle diverse rotte marittime, tra cui la stessa Creta58, ma anche coi cananei59 e con varie popolazioni stanziate sia nella Penisola Balcanica, sia nel Peloponneso. Il commercio che veniva effettuato era soprattutto di bronzo e rame. Anche se risulta al momento impossibile stabilire quali fossero le modalità con cui avvenivano gli scambi, è comunque probabile che in epoca tanto antica gli spostamenti di oggetti fossero legati più alla pratica del dono che a rapporti commerciali veri e propri, come li intendiamo noi oggi60.

Per quanto riguarda il Mar Egeo, ben presto i cretesi riuscirono a imporsi su tutte le altre popolazioni che, come abbiamo visto, commerciavano con loro nel Mediterraneo, cosicchè nel periodo di massimo splendore della civiltà minoica, vale a dire tra il XX e il XVII secolo a.C., si poteva a buon titolo parlare di talassocrazia (“dominio del mare”) cretese61. L'isola di Creta vantava infatti una posizione geografica molto favorevole, in quanto costituiva un ponte tra il mondo mediterraneo e quello mesopotamico e mediorientale ed era quindi l'unico importante referente dell'area egea per i commerci a lunga distanza.

A partire dal III millennio a.C. aveva cominciato a commerciare con l'Egitto, la regione siriana e la Grecia continentale. Dall'oriente e dall'Egitto provenivano oro, avorio e pietre dure, mentre da Creta si esportavano prodotti artigianali di varia natura come armi, prodotti tessili, sandali e la famosa ceramica minoica62.

A testimoniare questi traffici commerciali abbiamo la diffusione della ceramica cretese nelle zone di traffico sopra citate e documenti scritti provenienti sia dalla Mesopotamia sia

58Si vedano le rotte commerciali fenicie a pagina 8.

59Coloro che abitavano la Cananea, una regione che comprendeva, grosso modo, il territorio dell'attuale Libano, Israele, Palestina e parti di Siria e Giordania.

60R.LEVRERO, Storia dei traffici commerciali attraverso i secoli, cit. p. 25. 61Ibidem.

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dall'area siro-palestinese. Un esempio di notevole importanza è un inventario ritrovato a Mari, un'antica città mesopotamica situata sull'alto Eufrate. Questo documento, databile tra il 1780 e il 1760 a.C. circa, elenca una serie di prodotti cretesi come armi, tessili, sandali, ceramica, ecc. inviati come dono per il re di Ugarit63, città che costituiva per i mercanti del

Mediterraneo la porta d'accesso all'oriente64.

Lungo le proprie tratte commerciali non di rado i cretesi davano inoltre vita a empori, è questo il caso dell'isola di Egina65, dove confluivano prodotti provenienti dalle varie regioni dell'Egeo66.

Quello che non si può tuttavia stabilire con certezza è se a Creta i commerci fossero gestiti direttamente da un'autorità statale con sede nei diversi palazzi, oppure se esistesse un ceto mercantile, totalmente o in parte indipendente, come accadeva in ambiente mediorientale e mesopotamico. Infatti, anche se i vari palazzi minoici comprendevano un settore destinato all'immagazzinamento delle merci e all'amministrazione, non si può escludere l'esistenza di una libera iniziativa privata da parte di singoli commercianti67.

Nel periodo Tardo Minoico, cioè a partire dal 1600 a.C., i traffici commerciali cretesi subirono un notevole incremento.

Nei palazzi minoici erano in questo periodo importati, lavorati e messi in circolazione metalli, quali argento, rame, piombo, stagno, oro, pietre da costruzione e prodotti di natura esotica come avorio, alabastro, lapislazzuli e altre pietre semi-preziose. Queste merci rimanevano in parte in patria e in parte venivano rimesse sul mercato, cosicchè i cretesi andavano a gestire quello che si può definire un “commercio di transito” tra l'area egea, l'Oriente e

63Era la capitale dell'antico regno di Ugarit, situata allo sbocco sul Mar Mediterraneo di un'antica via proveniente dalla Mesopotamia, in corrispondenza dei confini tra la potenza ittita a nord e la sfera d'influenza egiziana, a cui appartenne, a sud. Si trovava nella zona dell'attuale Siria.

64R.LEVRERO, Storia dei traffici commerciali attraverso i secoli, cit. p. 25. 65Egina è un'isola del Mar Egeo centro occidentale.

66R.LEVRERO, Storia dei traffici commerciali attraverso i secoli, cit. p. 25. 67Ivi, pp. 25-26.

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l'Egitto. Creta era infatti, come abbiamo detto, uno snodo fondamentale tra le varie rotte marittime che si incrociavano nel Mediterraneo orientale, e costituiva una pericolosa concorrente per i fenici68.

Man mano che i traffici commerciali cretesi andavano incrementandosi, si andava sviluppando di pari passo anche la tecnologia navale minoica. Alcuni modelli e raffigurazioni pittoriche, rinvenute sia ad Akrotiri, nell'isola di Creta, sia a Pilo, nel Peloponneso, mostrano navi cretesi decisamente più sviluppate rispetto a quelle iniziali, che, come abbiamo visto69, erano molto semplici e spinte probabilmente a pagaie. Le navi raffigurate presentano infatti ora un albero maestro con una vela di forma quadrata e sono dotate di remi, proprio come le navi fenicie loro contemporanee, alle quali dovettero, almeno in parte, ispirarsi, dopo averle viste solcare i mari70.

Esistono traffici cretesi anche verso occidente, ma sono meno intensi, a riprova del fatto che i minoici erano più interessati agli scambi con il mondo orientale. Dall'Europa occidentale giungevano comunque a Creta alcuni prodotti, come l'ambra, la pregiata resina fossile originaria delle isole britanniche e delle regioni baltiche. Essa giungeva attraverso l'odierna Svizzera e il Mar Adriatico71.

Sul Mediterraneo occidentale e sull'Atlantico erano dunque sempre i fenici a mantenere la leadership nei commerci marittimi.

Possiamo tuttavia affermare con sicurezza che i minoici avevano il controllo diretto su tre rotte: una settentrionale, che collegava Creta al Peloponneso; una orientale, che di isola in isola giungeva al Dodecanneso e alla costa anatolica e una sud-orientale, che passando per Cipro, portava alla regione siriana.

68Ivi, p. 26.

69Pagina 15.

70R.LEVRERO, Storia dei traffici commerciali attraverso i secoli, cit. p. 26.

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Era sopratutto con le isole Cicladi che Creta deteneva rapporti privilegiati, in quanto queste costituivano un sistema di difesa dalle rotte commerciali nell'intero Egeo. Dall'altra parte si è visto invece che, in Asia Minore, i prodotti minoici di rado si spingevano molto profondamente verso l'interno. Questo ha fatto pensare che i cretesi privilegiassero il commercio costiero, da loro direttamente gestito nelle tre rotte commerciali di cui abbiamo parlato72.

Tra il XIV e il XIII secolo a.C. i micenei si sostituirono gradualmente ai cretesi nei vari traffici marittimi, in seguito all'improvviso crollo della civiltà minoica73. La diffusione, in

72Ibidem

73Sulla fine della civiltà minoica, avvenuta intorno al 1425 a.C., esistono varie teorie e il caso è ancora dibattuto. Si veda ad esempio RODNEY CASTLEDAN, I Minoici: vita a Creta nell'Età del Bronzo, ECIG Editore, Genova, 2005 e LOUIS GODART, Popoli dell'Egeo: civiltà dei palazzi, Silvana editoriale, Cinisello Balsamo, 2002.

Illustrazione 5: Rotte commerciali cretesi. "dizionaripiù.zanichelli.it/storiadigitale/p/mappastorica/273/le-rotte-commerciali-cretesi" (consultato il 30 Ottobre 2019).

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questo periodo, della ceramica micenea nelle varie aree che prima erano interessate dalla presenza della caramica cretesa, è una chiara testimonianza di questa sostituzione. La ceramica micenea era presente anche nella stessa Creta, oltre che nelle isole egee e nella Grecia continentale74.

I micenei ampliarono notevolmente il raggio dei commerci greci, comparendo in mercati del tutto o in parte nuovi. Ad esempio in Oriente, nella regione compresa tra la Giordania e la Siria, tra Amman e Karkemish, due città situate sull'alto Eufrate, e sulla costa siro-palestinese sono stati ritrovati circa ottanta siti archeologici che hanno restituito materiale ceramico miceneo75. Inoltre con i micenei divenne molto intensa la frequentazione delle isole

di Rodi e di Cipro, che probabilmente avevano per loro un ruolo di intermediarie con il medioriente e costituivano forse il punto più estremo dell'avanzata marittima verso est76. Per quanto riguarda i rapporti con il Mediterraneo occidentale e l'Europa centrale, che erano stati molto scarsi nel caso della civiltà minoica, subirono ora un notevole incremento, tant'è che le rotte commericiali micenee in queste zone andarono quasi a sovrapporsi a quelle fenicie. Attraverso l'Epiro, le isole Eolie, la Sicilia, Ischia, la Puglia e la Sardegna il materiale miceneo e orientale circolava non solo nei centri costieri, ma talvolta penetrava anche in siti più interni77.

A riprova del fatto che la frequentazione delle rotte in direzione est-ovest andò intensificandosi in questo periodo, abbiamo il ritrovamento di due importanti relitti micenei lungo la costa anatolica: quello di Uluburun78, risalente al XIV secolo a.C., e quello di Capo

74R.LEVRERO, Storia dei traffici commerciali attraverso i secoli, cit. p. 27. 75Ibidem.

76Ibidem. 77Ibidem.

78Il relitto fu scoperto al largo di Uluburun, a circa dieci chilometri a est di Kaş, in Turchia sud-occidentale. Il relitto fu visto la prima volta nell'estate del 1982 da Mehamed Çakir, un cercatore di spugne locale originario di Yalikavak, un villaggio nei pressi di Bodrum. Undici campagne di recupero, lunga ognuna dai tre ai quattro mesi, si susseguirono sul posto dal 1984 al 19994, per un totale di 22.413 immersioni, riuscendo a portare alla luce il relitto. SI veda CEMAL PULAK, Discovering a Royal Ship from the Age of King Tut: Uluburun, Turkey, in Beneath the Seven Seas, George F.Bass, 34-47,

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Gelydonia79, databile al XIII secolo a.C.

Entrambe le navi trasportavano lingotti di rame a forma di pelle di bue, stagno e utensili in bronzo, prodotti tutti provenienti dal Mediterraneo occidentale e dall'Europa continentale. Anche se la loro nazionalità è impossibile da precisare, a giudicare dai resti sembra che si tratti di elementi misti, di varia provenienza80.

Per quanto il commercio con l'occidente avesse subito un notevole incremento in epoca micena, fondamentale importanza continuavano comunque a rivestire le rotte orientali, sia perchè attraverso di esse giungevano le merci più pregiate, sia perchè si connettevano direttamente a luoghi di scambio a loro volta legati ad un grande percorso terrestre che attraversava l'intera Anatolia meridionale e portava fino alla Mesopotamia81.

In epoca micenea si incrementò anche la presenza di metalli e di oggetti esotici di lusso. Per fare degli esempi, da Cipro proveniva il rame, dall'Africa l'avorio, dall'oriente lo stagno e dal Baltico la pregiatissima ambra82.

Le modalità con le quali avvenivano gli scambi commerciali continuano però, come in epoca minoica, a rimanere sconosciute, e non sappiamo, quindi, se i mercanti agissero indipendentemnete dalle strutture palaziali micenee (che presentavano le stesse caratteristiche di quelle minoiche83, con però l'aggiunta di un sistema difensivo di fortificazioni) o per conto di queste84.

Dall'analisi dei testi minoici in Lineare B85 si può notare che i termini tipici dei traffici

New York, Thames & Hudson Inc., 2005.

79Capo Gelidonya è un promontorio della penisola di Teke, in Anatolia, che separa la baia di Finike, a ovest, dal golfo di Antalaya a est. In questa zona fu scoperto il relitto nel 1958 da alcuni pescatori di spugne. Si veda SILVIA FESTUCCIA, La ricerca archeologica nel Vicino Oriente. Siria, Anatolia e Iran, Gangemi Editore, Roma, 2011, p.104 .

80R.LEVRERO, Storia dei traffici commerciali attraverso i secoli, cit. p. 27. 81Ivi, p. 28.

82Ivi, p. 27.

83Anche nei centri micenei, infatti, il palazzo costituiva il centro di raccolta, conservazione e redistribuzione delle merci, nonchè la sede della produzione artigianale. Si veda L.GODART, Popoli dell'Egeo, cit.

84R.LEVRERO, Storia dei traffici commerciali attraverso i secoli, cit. p. 27.

85Il Lineare B è un sistema di scrittura sillabica utilizzato dai micenei per denotare graficamente la loro lingua.

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commerciali, come “mercante”, “prezzo”, “comprare”, sono assenti, tranne nel caso specifico dell'acquisto degli schiavi, ma è comunque documentato lo scambio di merci tra i diversi centri miceni. Le merci di scambio internazionale sono invece significativamente indicate da termini semitici o anatolici oppure da parole di origine sconosciuta.

Il fatto che le tavolette il Lineare B, provenienti dagli archivi dei palazzi micenei, menzionino gli scambi locali più frequentemente rispetto al commercio internazionale, ha fatto ipotizzare che quest'ultimo fosse in mano a mercanti indipendenti o stranieri o, comunque sia, non legati all'amministrazione centrale del palazzo86.

Attraverso i vari ritrovamenti archeologici e attraverso l'analisi dei toponimi presenti nelle tavolette in Lineare B, è stato possibile definire in modo abbastanza preciso le principali rotte commerciali marittime micenee. Queste possono essere raggruppate, come nel caso dei minoici, in tre direttrici fondamentali: la prima era la via sud-orientale, che partiva da Rodi e raggiungeva, navigando verso nord-est, le regioni anatoliche, e, navigando verso sud, l'isola di Cipro e i centri fenici; la seconda era la rotta marittima nord-anatolica, che dalle isole di Ceo e di Chio, costeggiando la penisola anatolica, arrivava fino alla Lidia, alla Triada e alla regione danubiana; l'ultima via marittima era infine quella occidentale, la quale, attraverso l'isola di Corcira (l'attuale Corfù), si dirigeva in Epiro e nella penisola italica, press'a poco all'altezza della Puglia87.

Per quanto riguarda le navi micenee, le raffigurazioni di questo periodo mostrano alcuni mutamenti. Prima di tutto i rematori sono disposti su due file sovrapposte e talvolta sembrano stare in gallerie chiuse da un ponte. Abbiamo quindi, anche per il mondo greco, l'adozione della bireme, già da tempo in uso, come abbiamo visto, nelle navi da guerra fenicie. A parte poche eccezioni, le imbarcazioni sono tutte lunghe e strette, con una chiglia poco curva.

86R.LEVRERO, Storia dei traffici commerciali attraverso i secoli, cit. p. 27. 87Ibidem.

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Hanno un albero maestro munito di vela e castelli a poppa e prua.

Anche se sono rappresentate navi di vario tipo, più o meno grandi, non sembrano tuttavia esistere raffigurazioni di navi mercantili o, comunque sia, di imbarcazioni che si differenzino così tanto dalle altre da far pensare ad un loro utilizzo specifico in senso commerciale88.

La fiorente civiltà micenea scomparve però nell'XI secolo a.C., all'inizo dell'età dal Ferro. Questa scomparsa, qualunque ne fu la causa89, inaugurò per il mondo greco un periodo di generale impoverimento, passato alla storia come Medioevo ellenico (XII-VIII secolo a.C.)90. Proprio durante i cosidetti Dark Ages, precisamente nel IX secolo a.C., avvenne la prima colonizzazione greca, nella quale ci fu uno spostamento dei greci verso le coste dell'Asia Minore e la nascita, in questa zona, di tre regioni. Elencate da nord a sud le regioni sono: Eolide, Ionia e Doride. I loro nomi fanno riferimento alle diverse stirpi greche che vi si stabilirono. Nell'Eolide si stanziarono gli Eoli provenienti dalla Tessaglia e dalla Beozia, nella Ionia gli Ioni provenienti dall'Attica e nella Doride i Dori provenienti dall'omonima Doride situata in Grecia.91

A confermare, ancora una volta, quanto la storia dello sviluppo della civiltà greca sia strettamente connessa a quella della civiltà fenicia, c'è da dire che nel IX secolo a.C. la prima

88R.LEVRERO, Storia dei traffici commerciali attraverso i secoli, cit. p. 27.

89Anche nel caso della civiltà micenea, come per quella minoica, sono state addotte varie cause circa la scomparsa. Si veda MASSIMO CULTRANO, I Micenei: archeologia, storia, società dei Greci prima di Omero, Carocci, Roma, 2006.

90Con “Medioevo ellenico” o “Dark Ages” si indica il periodo della protostoria greca che va dal XII secolo a.C., epoca della fine della Civiltà Micena, all'VIII secolo a.C. E che è caratterizzato da un generale impoverimento, segnato, tra le altre cose, da un notevole calo demografico, dalla diminuzione degli scambi commerciali con l'esterno, dalla scomparsa delle scrittura e dal ritorno alla pastorizia a scapito dell'agricoltura. L'espressione “Dark Ages” divenne popolare all'inizio degli anni 70' del 900', quando fu usata nell'opera di ANTHONY SNODGRASS, The Dark Age (1971) e in quella di R.A.DESBOROUGH, The Greek Dark Ages (1972) e fu contrapposta alla “Rinascita Greca”

dell'VIII secolo a.C. Oggi gli storici si mostrano scettici verso la presentazione di questi secoli come totalmente oscuri e tendono a considerare singolarmente le varie aree del mondo greco, nei loro lati non solo negativi ma anche positivi. Ciò che ne emerge è un quadro per niente omogeneo, dove accanto a zone buie ce ne sono altre, come l'Acaia e l'Eubea, che vivono, in questo periodo, il loro momento di massimo splendore. Per ulteriori approfondimenti si veda STEPHEN COLVIN, The Dark Ages, John Wiley & Sons, Oxford, 2013.

91Per ulteriori approfondimenti sulla prima colonizzazione si veda JOHN BOARDMAN, The Greek Overseas. Their Early Colinies and Trade, Penguin, Harmondsworth, London 1994, pp. 22-109, 225-66, 267-82.

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colonizzazione greca avvenne in concomitanza con la prima colonizzazione fenicia, già cominciata nel XIII secolo a.C. Gli storici preferiscono chiamare questa prima colonizzazione fenicia “precolonizzazione”, per distinguerla dalla colonizzazione vera e propria di età arcaica92.

Come i greci, anche i fenici vivevano in città-stato indipendenti e, dunque, la precolonizzazione ebbe carattere autonomo per ogni città, senza essere gestita da un unico potere centrale93.

La necessità di creare insediamenti lungo le varie rotte del commercio marittimo nacque proprio in seguito all'incremento dei traffici commerciali che si registrò a partire dal XIII secolo a.C. e che creò l'esigenza sempre maggiore di approdi sicuri lungo le coste, anche solo per il semplice bisogno di effettuare piccole riparazioni alle navi o per attendere il nuovo giorno, quando la navigazione notturna non era ancora stata sufficientementec sviluppata94. Per questa prima fase è inappropriato parlare di colonie, sono invece più adatti i termini di

scali commerciali o empori. Questi insediamenti, infatti, dopo essere stati fondati, erano poi

scarsamente popolati dai fenici e venivano usati solo come basi commerciali, dove ci si poteva rifornire di viveri e acqua e dove avveniva lo scambio di manufatti particolari e merci di vario genere con prodotti del luogo. Dunque i precolonizzatori non avevano intenti di conquista di nessun tipo95.

Empori commerciali esemplificativi, che risalgono a questa prima fase, precisamente all'XI secolo a.C., e sono collocati in punti stretegici lungo le varie rotte commericali. Tra questi ricordiamo Lixus, Cadice e Utica. Lixus fu fondata sulla costa atlantica del Marocco, Cadice

92FEDERICO MAZZA, I Fenici nel Mediterraneo centro-occidentale. Gli inizi della colonizzazione, Il Mondo dell'Archeologia, 2014, il Enciclopedia Trecciani, “trecciani.it/enciclopedia/i-fenici-nel-

mediterraneo-centro-occidentale-gli-inizi-della-colonizzazione_%28II-Mondo-dell%27Archeologia%29/” (consultato il 30 Ottobre 2019). 93Ibidem.

94Ibidem. 95Ibidem.

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sulla costa orientale della Spagna e Utica in Tunisia96.

Per il fatto che la navigazione avveniva soprattutto lungo la costa, i punti dove fondare gli empori erano scelti a distanze sempre regolari, che corrispondevano a circa una giornata di navigazione, il che aiutava molto il senso di orientamento dei marinai.

La maggior parte delle volte le basi commerciali nascevano in luoghi facilmente riparati dal vento e dalle intemperie, in prossimità di promontori o isolette o in zone lagunari, oppure presso la foce di fiumi97.

Al pari dei greci, i fenici furono sempre ben disposti verso i prestiti culturali durante la colonizzazione. I loro manufatti giunti fino a noi, come avorio intagliato, ciotole di metallo, rasoi, monumenti in pietra, maschere in terracotta, ecc. sono riconoscibili proprio per il loro stile così eclettico, in cui si fondono elementi del linguaggio estetico greco e sopratutto egizio98.

Durante la precolonizzazione fenicia le grandi golah, che solcavano numerose i mari, dovevano aver sicuramente influenzato le conoscenze nautiche dei greci e averli, allo stesso tempo, scoraggiati, almeno in un primo momento, ad andare a colonizzare l'area mediterranea dell'Italia, dell'Africa e della Penisola Iberica, zone dove la presenza dei fenici era massiccia e predominante. Soltanto in età Arcaica i greci della madrepatria e delle nuove colonie dell' Asia Minore andarono a colonizzare queste zone, dando inizio alla seconda colonizzazione greca (VIII-VI secolo a.C.), di cui si parlerà ampiamente nel prossimo capitolo di questa tesi.

C'è da dire, invece, che in età Arcaica avvenne, in concomitanza con la seconda colonizzazione greca, la prima colonizzazione fenicia, che cominciò nel IX secolo a.C. e terminò nel VI secolo a.C., e che fu distinta dalla precolonizzazione, di cui abbiamo parlato,

96Ibidem. 97Ibidem.

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in quanto diede origine non solo a empori, ma anche e sopratutto a vere e proprie colonie99. La prima area ad essere colonizzata dai fenici fu Cipro 100, nel IX secolo a.C., successivamente, sempre nello stesso secolo, si colonizzò l'Italia insulare101. In Sicilia i maggiori centri fenici furono Mozia, Solunto, Palermo e Lilibeo (l'odierna Marsala). C'erano presenze puniche anche a Selinunte, colonia fondata dai greci a metà del VII secolo a.C., e a Erice, città elima102, nelle isole Egadi. In Sardegna, invece, dove la penetrazione fenicia fu più vasta, specie nella parte meridionale, i maggiori centri di fondazione furono Cagliari, Nora, Bitia, Sulky, Monte Sirai e Tharros.

Dopo la colonizzazione delle due grandi isole italiane, fu la volta della Spagna meridionale103, colonizzata sempre nel IX secolo a.C. Questa terra interessava ai fenici per l'estrema ricchezza di metalli e per la posizione strategica nella rotta marittima che conduceva fino all'Oceano Atlantico e alle isole britanniche. I più grandi centri urbani spagnoli furono a Cadice e a Ibiza. Mentre tra l'VIII e il VI secolo a.C. furono fondate numerose colonie nell'Andalusia: Villãricos, Almuñécar, Morro de Mezquitilla, Chorreras, Toscanos, Malaga, Guadalhorce, Doñablanca, ecc.

Nel IX secolo a.C. furono colonizzate anche l'Africa settentrionale104 e l'isola di Creta, mentre dall'VIII secolo a.C. i fenici colonizzarono Malta, Pantelleria, la Corsica e le Baleari105.

I motivi che spinsero i fenici a creare delle colonie stabili sono determinati dal convergere di più fattori: il primo fu la crisi delle città fenicie che, a causa dell'espansionismo dell'impero

99 Sulla prima colonizzazione fenicia si veda MASSIMO GUIDETTI, Storia del Mediterraneo nell'antichità. IX-I secolo a.C., Editoriale Jaca Book, Milano, 2004, pp.34-45.

100 Ivi, pp. 35-36. 101 Ivi, pp. 41-42.

102 Gli Elimi erano un antico popolo della Sicilia occidentale. Si veda STEFANIA DE VIDO, Gli Elimi. Storie di contatti e di rappresentazioni, Scuola Normale Superiore, Pisa, 1997.

103M.GUIDETTI, Storia del Mediterraneo nell'antichità. IX-I secolo a.C., cit., p. 42. 104 Ivi, pp. 36-41.

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Assiro, persero la propria indipendenza politica e la possibilità di gestire autonomamente il tessuto dei commerci nel Mediterraneo. Il secondo motivo fu la contestuale colonizzazione greca, che indusse i fenici a consolidare la propria presenza nel Mediterraneo centro-occidentale per garantirsi il monopolio nel commercio di metalli. Infine, un ultimo motivo, risiede nel fatto che i fenici avevano bisogno di difendere i loro piccoli empori dagli attacchi delle popolazioni indigene106.

Una colonizzazione vera e propria fece sì che nei luoghi colonizzati non ci fossero soltanto penetrazioni commerciali e militari, come nella prima fase, ma anche e soprattutto influenze fenicie sulla cultura, l'artigiannato e l'arte locale. Basta vedere l'Italia insulare che va da Mozia a Tharros per una chiara testimonianza di ciò107.

In questa seconda fase si può parlare anche di imperialismo egemonico fenicio. Il declino della potenza egizia, avvenuto nell'XI secolo a.C., aveva infatti fatto sì che il dominio del mediterraneo fosse assunto dai fenici108.

La continua ricerca di nuovi mercati e delle fonti delle materie prime, come il legname, diede poi impulso a eccezionali viaggi di spedizione, che resero i fenici intrepidi esploratori109. Come abbiamo visto110, intorno al 600 a.C., secondo una fonte citata dallo storico Erodoto, avevano addirittura circumnavigato l'Africa. Altri viaggi sorprendenti saranno quelli che avverranno di lì a poco, nel V secolo a.C.111, segno della chiara maestria nella navigazione

106 Ivi, pp. 34-45. 107 Ibidem. 108 Ibidem.

109 Si veda ENRICO ACQUARO,DANIELA FERRARI, I Fenici. L'Oriente e l'Occidente, Biblioteca di via Senato Edizioni, Milano, 2004, p.51.

110 Pagina 7.

111

I cartaginesi nel 500 a.C. erano diventati i padroni indiscussi del Mediteraneo, sostituendosi ai greci. Andavano oltre lo stretto di Gibilterra lungo la rotta settentrionale che portava alla Cornovaglia e fondavano nuove colonie lungo la costa atlantica africana. In questo ambito si pone la grande impresa del capitano cartaginese Imilcone il quale, secondo le tesimonianze di Plinio e Avieno (politico e poeta romano, vissuto nella seconda metà del IV seolo d.C.), compì una spedizione di quattro mesi lungo le coste atlentiche europe, che culminò con l'approdo sulle coste della Bretagna , e del Mare del Nord. Inoltre alcuni dati in nostro possesso desunti dalle fonti classiche indicherebbero che Imilcone raggiunse anche le isole Azzorre, ma su questo non c'è alcuna conferma. Riveste enorme importanza anche l'impresa di Annone il quale, secondo Polibio (Megalopoli, 206 a.C. - Grecia, 118 a.C.), nel 470

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fenicia.

Anche gli antichi, come abbiamo più volte detto, riconoscevano la grande capacità dei fenici in materia di carpenteria navale, infatti ad essi i faraoni egizi avevano da sempre commissionato la costruzione di navi, ma l'innovazione tecnologica nautica fondamentale fu introdotta nell'VIII secolo a.C. e fu la trireme, ovvero la nave con tre ponti di rematori, prerequistito del rapido sviluppo della marina militare greca, destinata a diventare l'arma fondamentale di tutte le principali potenze navali mediterranee (fenici, punici, etruschi, romani) e la protagonista dei successivi momenti di svolta per i destini politici del Mediterraneo112.

Nei secoli precedenti le navi greche e fenicie avevano avuto tutte un singolo o doppio (per le biremi da guerra fenicie) ponte per rematori, situato a livello del bordo superiore dello scafo. La bireme era stata un'invenzione fenicia: dopo l'aggiunta di una piattaforma che poteva ospitare marinai armati in piedi, gli antichi maestri fenici si resero conto che avrebbero potuto aggiungere altre due file di rematori, provvisti di remi più lunghi, e creare, in tal modo, una bireme. Così la nave poteva essere resa molto più veloce senza aumentare la lunghezza e renderla quindi più difficile da manovrare113.

Mentre è sicuro che la bireme fu inventata dai fenici, esistono tesi contrastanti circa l'introduzione della nave con tre ponti di rematori, vale a dire la trireme. È infatti dibattuto se la sua invenzione derivi da una mente greca o da una fenicia e non abbiamo, allo stato attuale, ancora modo di saperlo.

Tucidide (460 a.C. - dopo il 404 a.C., ma, secondo altri, dopo il 399 a.C.) ci riferisce114 che,

a.C. fu incaricato di esplorare la costa africana oltre lo stretto di Gibilterra e di fondarvi nuove colonie alla ricerca della polvere d'oro. Dal racconto del viaggio di Annone si può desumere che egli abbia raggiunto la Sierra Leone. Altri studiosi dicono che arrivò in Gabon e in Camerun. Si veda ENRICO

ACQUARO,DANIELA FERRARI, I Fenici. L'Oriente e l'Occidente, Biblioteca di via Senato Edizioni, Milano, 2004, p.51.

112 E.HALL, Gli antichi Greci, cit., p.14. 113 Ibidem.

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all'epoca, alcuni greci sostenevano che la trireme fosse stata inventata nel 709 a.C. da un uomo di Corinto di nome Aminocle, mentre Clemente di Alessandria, un erudito greco-romano del II secolo, sostiene che le triremi siano state un'invenzione fenicia della città di Sidone115, dalla quale i greci avrebbero poi preso in prestito l'idea116. Anche Erodoto ci parla

delle triremi, menzionandole innanzitutto come le navi al servizio del faraone Necho (610-595 a.C.). In questo caso però il termine “trireme” potrebbe stare semplicemente per “nave da guerra”. Più credibile è invece la seconda menzione che Erodoto fa delle triremi, dicendo che di questo tipo erano le quaranta navi che il tiranno Policrate117 affittò ai persiani contro gli egizi nella battaglia di Pelusio (525 a.C.)118. Non si può tuttavia ancora stabilre quali

siano le fonti affidabili119.

Un altro problema è poi rappresentato dall'assoluto silenzio delle voci fenicie a riguardo, tanto nel levante quanto nella colonia punica di Cartagine, dove esisteva una biblioteca che fu però distrutta dai romani nel 146 a.C. Questo fa sì che non possiamo avere con i fenici lo stesso dialogo che abbiamo con la maggior parte delle antiche popolazioni del vicino oriente120.

Non si sa quindi, al momento, chi inventò la trireme. L'unica cosa certa è che la prima

115 Sidone era una città che si trovava a sud dell'attuale Libano. 116E.HALL, Gli antichi Greci, cit., p.14.

117 Policrate (574 a.C. - 522 a.C.) fu tiranno di Samo dal 537 a.C., anno in cui riuscì a prendere il controllo dell'isola, abbattendo il potere dell'aristocrazia dei proprietari fondiari.

118 La battaglia di Pelusio venne combattuta nel 525 a.C. tra i persiani, guidati dal re Cambise II, e gli Egiziani, condotti dal faraone Psammetico II, il quale era appena succeduto al padre Amasi, che aveva già iniziato ad organizzare la resistenza contro l'invasore persiano. La battaglia si concluse con una decisiva vittoria persiana.

119E.HALL, Gli antichi Greci, cit., pp. 14-15.

120

Ivi, p. 15, «l'unico possibile testo di una certa rilevanza, redatto in origine in fenicio, è in realtà in greco antico. Si presenta come la traduzione di un trattato riguardante un viaggio compiuto nel V secolo a.C. e noto come Il Periplo di Annone, o meglio: Il viaggio di Annone, comandante dei cartaginesi, intorno alle zone della Libia oltre le Colonne d'Eracle, che depositò nel tempio di Crono. La prima metà del testo elenca luoghi tuttora identificabili in Marocco; la seconda metà comprende invece una fantasia etnografica, in cui si parla delle pelli scorticate di donne indigene dal corpo peloso che venivano chiamate gorilla. Circa l'autenticità e la datazione del testo si sono aperti aspri dibattiti, anche se non vi è alcun motivo per cui non dovrebbe contenere almeno un'eco dell'originario rapporto in lingua punica del già citato Annone il Navigatore».

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potenza a generalizzarne l'uso, abolendo tutte le altre navi da guerra, come le biremi, fu Samo, sotto la tirannide di Policrate, il quale in circa sette anni (tra il 533 e il 525 a.C.) ne fece costruire più di un centinaio121.

La trireme era una nave relativamente piccola e facile da costruire. Si potevano usare per fabbricarla anche legni poco stagionati, in quanto veniva usata più che altro per brevi spedizioni di guerra e non per la navigazione ordinaria, perciò si poteva costruire in tempi brevi, in modo da andare così a potenziare rapidamente la flotta122. Solo per fare un esempio, sembra che Atene inventò la propria flotta quasi dal nulla per la battaglia di Salamina (480 a.C.), dopo aver scoperto le miniere di argento di Maronea (483 a.C.), arrivando a schierare almeno 200 unità123.

Per quanto riguarda le sue caratterstiche, la trireme era una nave leggera con un solo albero, sul quale veniva issata una vela di forma rettangolare (raramente di forma triangolare) durante la navigazione. Al momento della battaglia la vela veniva invece ammainata. Anche se l'albero maestro ordinario era uno solo, ne veniva sempre imbarcato anche un altro: l'akateion, ovvero albero piccolo/albero di servizio, il cui montaggio doveva, in caso di necessità, favorire una rapida fuga dai nemici.

Le triremi erano lunghe dai 36 ai 41 metri e lo scafo era largo dai 3 ai 4 metri, se considerato da solo, e dai 5 ai 6 metri, se considerato insieme allo scalmiere, ovvero all'apertura rotonda o a forcella metallica che tratteneva i remi. L'ingombro laterale ovviamente raddoppiava quando i remi erano protesi fuoribordo. Il pescaggio misurava poco più di un metro e l'opera morta124 della linea di galleggiamento saliva fino a 2,10-2,20 metri. Ogni vogatore era a due

121 SALVATORE SETTIS, I Greci: storia, cultura, arte, società, Einaudi, Torino, 2002, p. 525.

122 PLINIO FRACCARO, “trireme” in Enciclopedia Trecciani, “trecciani.it/enciclopedia/trireme_(Enciclopedia-Italiana)” (consultato il 30 Ottobre 2019).

123 Si veda BARRY STRAUSS, The battle of Salamis. The Naval encounter that saved Greece and western civilisation, Simon & Schuster, New York, 2004.

124 L'opera morta è la parte dello scafo di una nave situata al di sopra del piano di galleggiamento. Dalla sua estensione più o meno ampia, dipende un'importante grandezza per la sicurezza della nave, chiamata riserva di galleggiabilità.

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cubiti (82 cm) dal precedente, su ognuno dei tre livelli di voga, leggermente scalati.

Nella parte inferiore della prua c'era il rostro, uno sperone in legno, lungo circa due metri, rivestito di bronzo, con lame taglienti, che si trovava a pelo dell'acqua e serviva a sfondare e successivamente affondare le navi nemiche. Nei modelli più veloci erano presenti murate allo scopo di proteggere tutti i rematori dai colpi del nemico, è questo il caso delle triremi fenicie, che avevano anche ponti più larghi rispetto a quelle greche, adatti ad ospitare più uomini. Il timone, invece, era doppio e si trovava a poppa125.

La trireme era il perfetto esempio del connubio tra manovrabilità e velocità elevate in una nave di dimensioni ridotte. Facile e veloce da costruire, era però anche frequentemente soggetta a danni, anche a causa del legno con il quale era costruita, che si deteriorava facilmente e la rendeva soggetta ad imbarcare acqua, cosicchè difficilmente un'unità era ancora operativa dopo 10 anni dal varo. Per questo era anche sconsigliato a queste navi di navigare di notte e, soprattutto, spingersi in mare aperto. Si preferiva quindi la navigazione

125 P. FRACCARO, “trireme” in Enciclopedia Trecciani, cit.

Illustrazione 6: Trireme- Ancient History Encyclopedia, "ancient.eu/trireme/" (consultato il 30 Ottobre 2019).

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diurna con la costa possibilmente a vista d'occhio.

Durante un viaggio su una trireme era, inoltre, necessario fare molti scali, in quanto l'angustia dei suoi spazi interni non permetteva lo stivaggio di una grossa quantità di prodotti di scorta. Le triremi non erano nemmeno capaci di affrontare le tempeste: nel caso se ne prevedesse una, queste navi difficilmente uscivano dal riparo delle baie, in quanto, se si verificava una burrasca, intere flotte potevano affondare. Per questo motivo la maggior parte delle città che adottavano queste navi, mantenevano comunque un piccolo numero di biremi per le esplorazioni lontane126.

Anche se non sappiamo chi inventò le triremi, la loro nascita coincidette con l'accelerazione del progresso intellettuale dei popoli di lingua greca dell'VIII secolo a.C. e con l'inizio della prima colonizzazione greca, di cui si parlerà nel capitolo seguente.

Forse «il mistero dell'accelerazione impressa al progresso intellettuale dai popoli di lingua greca nel VIII secolo e nei successivi può trovarsi sul fondo del mare, nascosto in relitti di navi fenicie ancora da scoprire»127.

126 Trireme- Ancient History Encyclopedia, "ancient.eu/trireme/" (consultato il 30 Ottobre 2019). 127 E.HALL, Gli antichi Greci, cit., p.12.

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3.La colonizzazione greca di epoca storica

128

Tra VIII e VI secolo a.C. gruppi di uomini greci provenienti sia dalla Grecia continentale sia dalla Ionia d'Asia andarono a colonizzare varie zone attorno al bacino Mediterraneo e al Mar Nero.

La cartina sottostante mostra le varie aree colonizzate e le principali colonie e città di origine dei colonizzatori.

Per quanto la colonizzazione presentò caratteri diversi a seconda delle varie zone

128Si fa qua riferimento alla colonizzazione greca che si svolse in epoca storica, dall'VIII al VI secolo a.C., e che non va confusa con la prima ondata colonizzatrice greca che prese vita nel IX secolo a.C., quindi in epoca non storica. In questa prima colonizzazione ci fu uno spostamento dei Greci verso le coste dell'Asia Minore e la nascita, in questa zona, di tre regioni. Elencate da nord a sud le regioni sono: Eolide, Ionia e Doride. I loro nomi fanno riferimento alle diverse stirpi greche che vi si stabilirono. Nell'Eolide si stanziarono gli Eoli provenienti dalla Tessaglia e dalla Beozia. Nella Ionia gli Ioni provenienti dall'Attica e nella Doride i Dori provenienti dall'omonima Doride situata in Grecia. Per ulteriori approfondimenti sull'argomento si veda JOHN BOARDMAN, The Greek Overseas. Their Early Colinies and Trade, London 1994, pp. 22-109, 225-66, 267-82.

Illustrazione 7: Storia digitale Zanichelli Linker Mappastorica Site, “https://images.app.goo.gl/UwbvDFDWcJdmHoB99” (consultato il 30 Ottobre 2019).

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geografiche, è comunque possibile individuare all'interno di questo fenomeno degli elementi comuni, a partire dal fatto che prese avvio quando nella madrepatria la polis era ancora in via di formazione e rappresentò il il contesto nel quale questo nuovo modello statale potè sperimentarsi, perfezionarsi e affermarsi. Le colonie furono dei veri e propri laboratori sociali e di pensiero, dove l'uomo greco, che si trovava lontano da casa, poteva mettersi alla prova nell'autogestione della nuova comunità e nel confronto con i suoi compatrioti e con le varie popolazioni indigene 129.

Le colonie greche, a differenza di quelle di età moderna, furono politicamente indipendenti dalla madrepatria, con la quale mantennero soltanto rapporti di natura economica e religiosa. Anche se la polis di origine forniva ai coloni navi, mezzi e informazioni, quella che nasceva era poi una città del tutto autonoma. Ciò nonostante la madrepatria rivestiva una certa importanza a livello culturale e sociale. I coloni portavano infatti con sè la loro identità locale, di cui ereditavano, in partenza, amici e nemici, dialetto, divinità, culti, abbigliamento, architettura, idiomi musicali e altro ancora. Questa eredità si mescolava poi con quella delle varie popolazioni indigene, andando ad ampliare notevolemente gli orizzonti del mondo greco130.

Il termine con il quale vennero indicate in questo periodo le colonie è apoikiai. Questo vocabolo, composto dalla preposizione απο ("lontano") e dal verbo οικέω ("abitare"), esprime già in sè l'idea del distacco dalla madrepatria ed esclude inoltre ogni intenzione di conquista131.

Le cause della colonizzazione non furono certo queste ma altre, molto varie e spesso intrecciabili tra di loro. Uno dei principali bisogni che spinse i Greci ad andare alla ricerca

129VITTORIA CALVANI e ANDREA GIARDINA, Civiltà degli antichi, Preistoria, Grecia, Roma, Editori Laterza, Roma-Bari, 1980, pp. 119-130.

130SARA PROSSOMARITI, Il secolo d'oro dell'antica Grecia, Newton Compton Editori, Roma, 2017, pp. 29-30.

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