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Il ruolo degli inquinanti atmosferici in ambienti museali: studio dell'effetto degli acidi organici volatili sul degrado della resina dammar mediante tecniche di spettrometria di massa.

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UNIVERSITÀ

DEGLI

STUDI

DI

PISA

DIPARTIMENTODICHIMICAECHIMICAINDUSTRIALE

TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN CHIMICA CLASSE LM-54

IL RUOLO DEGLI INQUINANTI ATMOSFERICI IN AMBIENTI MUSEALI:

STUDIO DELL’EFFETTO DELL’ACIDO ACETICO SULLA

DEGRADAZIONE DELLA RESINA DAMMAR MEDIANTE TECNICHE DI

SPETTROMETRIA DI MASSA

CANDIDATO: IACOPOCORSI

RELATORE: CONTRORELATORE: DOTT.SSA ILARIA BONADUCE PROF.SSA MARIA ROSARIA TINÈ

(2)
(3)

2

Alla mia famiglia e a Greta per il sostegno e l’affetto dimostratomi in questi anni di studio.

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3

Ringraziamenti

Desidero ringraziare la Prof.ssa Maria Perla Colombini e la Dott.ssa Ilaria Bonaduce per avermi dato l’opportunità di svolgere questo lavoro di tesi, facente parte di un progetto europeo, il progetto MEMORI; in particolare la mia relatrice Dott. Ilaria Bonaduce e la Dott.ssa Francesca Di Girolamo per la passione che mi hanno trasmesso, la pazienza e le esperienze che mi hanno fatto vivere durante questa attività di tirocinio; a tutti i membri del laboratorio SCIBEC del dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa, per l’aiuto e per i consigli che mi hanno fornito.

Inoltre vorrei ringraziare il Prof. Alessio Ceccarini, la Dott.ssa Silvia Ghimenti, per il sostegno dato e per aver eseguito le analisi mediante TD-GC-MS presso il CNR relative all’attività di monitoraggio ambientale al museo Stibbert; la Dott.ssa Celia Duce e il Dott. Alessio Spepi per aver eseguito le analisi mediante TGA-FTIR, oltre all’aiuto fornito per l’interpretazione dei dati termoanalitici ottenuti.

(5)

4

Indice

INTRODUZIONE E SCOPO DELLA TESI ... 1

CAPITOLO 1_STATO DELL’ARTE 1.1 Il problema ... 6

1.2 La conservazione preventiva ... 7

1.2.1 Le vetrine microclimatiche: funzione, vantaggi e svantaggi ... 9

1.3. Le sorgenti di inquinanti atmosferici in ambienti museali ... 12

1.4 Il dipinto... 14

1.5 Le vernici pittoriche ... 15

1.5.1 Proprietà ottiche delle vernici ... 17

1.5.2 Resine naturali triterpenoidi ... 22

1.5.3 Invecchiamento delle resine naturali triterpenoidi ... 26

CAPITOLO 2_PARTE SPERIMENTALE: materiali, strumentazione e procedure analitiche 2.1 Reagenti ... 40

2.1.1 Ionizzazione Elettrospray - Spettrometria di Massa (FIA-ESI-MS) ... 40

2.1.2 Gas Cromatografia-Spettrometria di Massa (GC-MS) ... 40

2.2 Descrizione dei campioni analizzati ... 41

2.2.1 Materiali puri ... 41

2.2.2 Preparazione stesure di riferimento di resina naturale dammar sottoposte a invecchiamento artificiale ... 42

2.3 Strumentazione e procedure analitiche ... 48

(6)

5

2.3.2 Solarbox ... 48

2.3.3 Ionizzazione Elettrospray - Spettrometria di Massa in modalità Flow Injection Analysis (FIA-ESI-MS) ... 48

2.3.4 Gas Cromatografia-Spettrometria di Massa (GC-MS) ... 49

2.3.5 Pirolisi accoppiata alla Gascromatografia - Spettrometria di massa (Py-GC-MS) ... 50

2.3.6 Spettrometria di massa ad esposizione diretta (DE-MS) ... 51

2.3.7 Analisi Termogravimetrica (TGA e TGA-FTIR) ... 53

CAPITOLO 3_CARATTERIZZAZIONE RESINA DAMMAR 3.1 TGA e TGA-FTIR ... 55

3.2 DE-MS ... 60

3.3 Py-GC-MS ... 62

3.4 GC-MS ... 68

3.5 FIA-ESI-MS ... 72

CAPITOLO 4_VALUTAZIONE DELL’EFFETTO DELL’ACIDO ACETICO SULLA DEGRADAZIONE DELLA RESINA DAMMAR 4.1 Analisi delle stesure di riferimento di resina dammar sottoposte a invecchiamento mediante esposizione a acido acetico (NILU) ... 87

4.2 Analisi delle stesure di riferimento di resina dammar sottoposte ad invecchiamento mediante esposizione a acido acetico e alla luce (DCCI) ... 99

CONCLUSIONI ... 120

APPENDICE A ... 1

(7)
(8)

1

INTRODUZIONE

E

SCOPO

DELLA

TESI

I dipinti sono tra i più preziosi e più visitati lavori artistici conservati nei musei, gallerie d’arte e case storiche. La salvaguardia di queste grandi opere deve far fronte, purtroppo, oltre all’instabilità dei materiali costitutivi, soprattutto alla loro interazione con l’ambiente circostante1.

È noto infatti che parametri ambientali quali temperatura, umidità relativa, radiazioni elettromagnetiche e qualità dell’aria all’interno degli ambienti museali, possano innescare o aggravare processi di degrado dei materiali pittorici attraverso meccanismi di tipo chimico, fisico o biologico che minacciano non solo l’aspetto estetico del dipinto, ma anche la sua conservazione1-6.

Risulta quindi evidente, come il controllo di questi parametri ambientali sia fondamentale per l’ottimale conservazione delle collezioni artistiche1. Il controllo

completo dei valori di temperatura ed umidità relativa è possibile mediante l’impiego di impianti di climatizzazione, caratterizzati però da costi elevati sia di installazione che di gestione7.

Un approccio alternativo usato per molti anni come un efficiente mezzo di conservazione preventiva per proteggere i dipinti contro questi rischi e come fondamentale strumento per ottenere una preservazione sostenibile, è l’adozione di vetrine o cornici microclimatiche.

Infatti è stato ampiamente dimostrato un reale effetto protettivo delle cornici microclimatiche contro le radiazioni UV, le variazioni termoigrometriche e verso gli inquinanti atmosferici urbani (NO2, O3 e particolato atmosferico) infiltrati negli

ambienti museali dall’esterno8,9. Negli ultimi anni, in contrapposizione a questi vantaggi, è stato mostrato che gli stessi materiali costitutivi delle vetrine sono in grado di emettere gas altamente pericolosi per il manufatto conservato al loro interno, come i composti organici volatili (VOC)10. In particolare gli acidi organici volatili (acido acetico e acido formico) sono stati trovati essere più abbondanti all’interno delle vetrine rispetto all’esterno10, evidenziando la necessità di studiare

approfonditamene l’impatto di questi inquinanti gassosi sui beni culturali.

Nell’intento di colmare le conoscenze attuali sul ruolo degli acidi organici volatili negli ambienti museali, la Comunità Europea ha promosso un ampio progetto che ha coinvolto numerosi centri di ricerca europei: il progetto MEMORI.

(9)

2 Il progetto EU P7 MEMORI, iniziato nel Novembre 2010 e terminato nell’Ottobre 2013, ha lo scopo di sviluppare per il mercato della conservazione, tecnologie innovative e non distruttive, volte alla valutazione dell’effetto degli acidi organici volatili sui beni culturali in ambienti museali.

Per raggiungere questo scopo, il progetto MEMORI si è posto i seguenti obiettivi:

• Integrazione di due dosimetri: EWO (Early Warning dosimeter for Organic materials, sviluppato da NILU nel progetto EU-MASTER) e GSD (Glass Slide Dosimeter, sviluppato nel corso del progetto EU-AMECP dal Fraunhofer ISC); al fine di realizzare un nuovo dosimetro, che permetta l'individuazione dei principali fattori di rischio causato dagli acidi organici volatili (VOC), dal clima interno e dalla luce, diventando un rapido sistema di allarme, di facile utilizzo e lettura;

• Divulgazione dei risultati ottenuti tramite la creazione un software e di una pagina web dedicati al progetto MEMORI;

• Valutazione dei possibili effetti degradativi ad opera di acidi organici su materiali presenti negli oggetti d’arte;

• Integrazione dei risultati ottenuti con strategie conservative già in uso.

I partner europei del progetto sono: NILU, Norwegian Institute for Air Reserch, Norway; BIRKBECK, Università di Londra, United Kingdom; FRAUNHOFER, Germany; ASSOCIATION CULTURE AND WORK, Germany; DCCI, Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa, Italy; GHENT UNIVERSITY, Belgium; ROYAL DANISH ACADEMY OF FINE ARTS, SCHOOL OF CONSERVATION, Denmark; UNIVERSITY OF NATURAL RESOURCES AND LIFE SCIENCES, Austria; UNIVERSITY OF ARTS “GEORGE ENESCU” LASI, Romania; ENGLISH HERITAGE, United Kingdom; SIT, Trasporti Internazionali, Spain; TATE, United Kingdom; DCU, Dublin City University, Ireland; NILU INNOVATION, Norway.

L’impatto dell’inquinamento ambientale sui materiali organici costitutivi degli oggetti d’arte, è stato valutato tramite l’applicazione di tecniche analitiche

(10)

3 avanzate e attraverso lo studio di materiali di riferimento invecchiati artificialmente. In particolare, sono stati presi in considerazione gli effetti degli acidi organici volatili su vernici naturali e sintetiche, pigmenti, cuoio, pergamena, materiali cellulosici e tessili, con lo scopo di fornire dei valori di soglia per l’esposizione di tali materiali agli acidi organici volatili.

Questo lavoro di tesi si inserisce all’interno del progetto MEMORI ed in particolare dello studio di competenza del Laboratorio SCIBEC - Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa, il cui obiettivo è valutare l’effetto degli acidi organici volatili nella degradazione di vernici pittoriche. In questa tesi è stato valutato esclusivamente l’effetto dell’acido acetico sulla degradazione della vernice pittorica a base di resina dammar, vernice pittorica tra le più utilizzate nel campo dei beni culturali.

Prerequisito di questo studio è implementare le attuali conoscenze sulla composizione chimica della resina dammar, in particolare per ciò che riguarda la natura della sua componente oligomerica e macromolecolare, non è ancora del tutto chiara nonostante i numerosi studi presenti in letteratura11-17.

Questa attività di ricerca è stata quindi suddivisa in due parti principali, utilizzando un approccio multianalitico:

1. Caratterizzazione della resina dammar, mediante l’utilizzo di tecniche termoanalitiche (Analisi Termogravimetrica,TGA e Analisi Termogravimetrica interfacciata con Spettrofotometria Infrarossa in trasformata di Fourier, TGA-FTIR) e tecniche di spettrometria di massa (Spettrometria di Massa a Esposizione diretta, DE-MS; Pirolisi accoppiata con Gascromatografia-Spettrometria di Massa, Py-GC-MS; Gascromatografia-Spettrometria di Massa, GC-MS e Ionizzazione Elettrospray-Spettrometria di Massa in modalità Flow Injection Analysis, FIA-ESI-MS), applicate all’analisi di materiali puri.

L’approccio multianalitico utilizzato ha permesso di identificare le principali componenti della resina dammar, sia monometriche, oligomeriche e polimeriche.

(11)

4 2. Valutazione dell’effetto dell’acido acetico sulla degradazione della resina

dammar, mediante l’utilizzo di tecniche termo analitiche (TGA) e tecniche di

spettrometria di massa (GC-MS, FIA-ESI-MS), applicate all’analisi di stesure di riferimento di resina dammar sottoposte a specifici protocolli di invecchiamento artificiale, mediante esposizione a dosi giornaliere crescenti di vapori di acido acetico, oltre che esposizione alla luce e all’effetto combinato di luce e acido acetico.

L’analisi delle stesure di riferimento sottoposte a invecchiamento artificiale mediante esposizione a vapori di acido acetico, ha permesso di evidenziare l’effetto dannoso dell’esposizione. L’analisi delle stesure di riferimento invecchiate artificialmente mediante esposizione alla luce e all’effetto combinato di acido acetico e luce, per valutare l’importanza del danno dovuto dell’esposizione all’acido acetico in relazione alla luce, notoriamente estremamente dannosa.

BIBLIOGRAFIA

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(12)

5 (10) S. L´opez-Aparicio, T. G., M. Odlyha, E. M. Dahlin, P. Mottner, D. Thickett, M. Ryhl-Svendsen, N. Schmidbauer and M. Scharff. e-PRESERVATION Science 2010, 7, 59–70.

(11) D.Scalarone. Caratterizzazione e studi di invecchiamento di materiali pittorici organici naturali e sintetici. Università di Torino, 200-2001.

(12) Scalarone Dominique, J. v. d. H., Jaap J. Boon e Oscar Chiantore. Direct-temperature mass spectrometric detection of volatile terpenoids and natural terpenoid polymers in fresh and artificially aged resins. J. Mass Spectrom. 2003, 38, 607–617.

(13) B.G.K. Van Aarssen, H. C. C., P. Hoogendoorn, and J. W. De Leeuw. A cadinene biopolymer in fossil and extant dammar resins as a source for cadinanes and bicadinanes in crude oils from South East Asia Geochim, Cosmochim. Acta 1990, 54, 3021-3031.

(14) Van Aarssen BGK, H. J., Abbink OA, de Leeuw JW. The occurrence of polycyclic sesqui-, tri-, and oligoterpenoids derived from a resinous polymeric cadinene in crude oils from South East Asia. Geochim, Cosmochim. Acta 1992, 56, 1231.

(15) Van Aarssen BGK, d. L. J., Collinson M, Boon JJ, Goth K. Occurrence of polycadinene in fossil and recent resins. Geochim., Cosmochim. Acta 1994, 58, 223.

(16) van der Doelen GA, v. d. B. K., Boon JJ, Shibayama N, de la Rie ER, Geniut WJL. Analysis of fresh triterpenoid resins and aged triterpenoid varnishes by high-performance liquid chromatography-atmospheric pressure chemical ionization (tandem) mass spectrometry. J.

Chromatogr. A 1998, 809, 21.

(17) Patrick Dietemann, C. H., Moritz Kalin, Michael J. Edelmann, Richard Knochenmuss, Renato Zenobi. Aging and yellowing of triterpenoid resin varnishes e Influence of aging conditions and resin composition. Journal of Cultural Heritage 2009, 10, 30-40.

(13)

6

CAPITOLO

1

STATO

DELL’ARTE

1.1 Il problema

I grandi artisti hanno creato le loro opere d’arte e le hanno offerte all’umanità, a testimonianza del genio dell'essere umano e come mezzo di contatto tra la storia e

il presente. Esse sono raccolte nei musei delle più importanti città del mondo e

attirano ogni giorno l’attenzione di un enorme numero di visitatori.

Purtroppo questi beni preziosi sono inevitabilmente soggetti al degrado, sia in relazione al carattere instabile dei loro materiali costitutivi, che per l’interazione con l’ambiente circostante ottenendo, come risultato, un invecchiamento naturale e progressivo con alterazione delle proprietà chimico-fisiche dell’opera in esame1. Il carattere di multidisciplinarietà intrinseco della conservazione dei beni culturali ha portato nel tempo all’affermarsi di un interesse sempre più forte della comunità scientifica verso questo settore ricco di problematiche e di domande, a cui la ricerca può dare una risposta. L’attività di scienziati e tecnici, infatti, può coinvolgere molteplici campi, dalla chimica alla biologia, dall’ingegneria alla fisica. Uno dei settori in cui la scienza può dare un contributo importante riguarda lo studio di quei parametri ambientali che influenzano i naturali fenomeni di degrado dei manufatti (temperatura, umidità relativa, radiazione luminosa e qualità dell’aria). É ben noto che luce, inquinamento e variazioni termo-igrometriche portano alla degradazione dei materiali pittorici, minacciando non solo l’aspetto estetico del dipinto, ma anche la sua conservazione. Questi fenomeni purtroppo avvengono anche in ambienti protetti e confinati come i musei1-8.

Per i dipinti e in generale per tutti i manufatti di interesse storico-artistico si possono definire intervalli di temperatura e umidità relativa ottimali, che garantiscono una corretta conservazione dell’opera stessa1. Il raggiungimento e

la persistenza di valori di temperatura e umidità relativa, diversi da quelli che rientrano nell’intervallo idoneo per il particolare materiale o per il singolo oggetto,

(14)

7 producono danni sul lungo periodo. Inoltre brusche variazioni di temperatura e umidità relativa o fluttuazioni di breve periodo, dell’ordine dei giorni se non delle ore, possono indurre alterazioni spesso irreversibili e rappresentano così un rischio importante per la conservazione delle opere d’arte. Si avrà infatti un continuo adeguamento dell’opera d’arte alle variazioni termoigrometriche dell’ambiente, che determina a lungo andare uno “stress” nei materiali porosi come legno, tela, strati di preparazione a gesso ecc.1. Ad esempio, la continua variazione di umidità determina nel dipinto, continui movimenti nel legno del supporto e conseguenti modifiche strutturali, in quanto le tavole si possono fessurare, imbarcare o svirgolare. Inoltre per via della diversa risposta alla variazione di umidità relativa del legno rispetto a quella degli strati pittorici, si possono originare fenomeni di distacco dello strato pittorico.1 In generale, tenendo presente che qualsiasi oggetto si adatta nel tempo all’ambiente circostante entrando con esso in equilibrio, è quindi soprattutto l’entità e la velocità dello spostamento da tale equilibrio ad accentuare processi di deterioramento in atto1.

1.2 La conservazione preventiva

Come sottolineato dal codice deontologico dell’ICOM per i musei, “i professionisti museali hanno la responsabilità di agire in un’ottica di conservazione preventiva al fine di proteggere le collezioni loro affidate, in deposito, in esposizione o in transito, in modo che possano essere trasmesse indenni alle future generazioni”9.

La “conservazione preventiva”, teoria fondata sull’adozione di comportamenti e di precauzioni tecniche volte a prevenire o rallentare i fenomeni di degrado, riducendoli alla minima intensità,10 si distingue dal restauro, definito come momento di conservazione “terapeutica” finalizzato alla rimozione delle forme di degrado presenti, senza compromettere l’integrità dell’opera, e al rimediare agli effetti negativi da esse prodotte11.

Una corretta politica di gestione basata sulla “conservazione preventiva” permette di ridurre nel tempo il numero d’interventi di restauro, indispensabili quando il deterioramento compromette l’integrità dell’opera ma, allo stesso tempo invasivi e abbastanza onerosi .

(15)

8 Tale attività richiede la valutazione preliminare dei rischi di degrado per la collezione e la stesura di un “protocollo di conservazione preventiva” che definisca le strategie per minimizzare i rischi individuati. È importante, però, che un corretto piano di conservazione preventiva consideri contemporaneamente tutte le cause di degrado, non solamente quelle ambientali, e che ponga attenzione anche agli aspetti legati alla gestione delle collezioni e alla disponibilità di risorse economiche e umane del museo.

Il monitoraggio ambientale è lo strumento primario di analisi e di controllo delle cause di degrado dei materiali e dei manufatti e consiste nel controllo microclimatico degli ambienti destinati all’esposizione e alla conservazione delle opere, inteso come controllo dei parametri di temperatura, umidità relativa, radiazioni luminose e qualità dell’aria all’interno sia dei macro-ambienti (sale espositive, depositi, ecc.) che dei micro-ambienti (contenitori museali: cornici, vetrine, contenitori per il deposito e per il trasporto). Il monitoraggio ambientale fornisce con continuità informazioni che sono messe a disposizione del curatore e del restauratore; quest’ultimi, in questo modo, possono programmare interventi periodici di valutazione e prevenzione del danno alle opere con conseguente riduzione del numero di interventi di restauro.

Preliminare all’azione di monitoraggio resta la conoscenza sia dei principali processi fisici, chimici e biologici che governano l’interazione fra i materiali e l’ambiente circostante, sia degli strumenti più idonei per la misura dei relativi parametri.

Un aspetto non secondario del monitoraggio ambientale dei luoghi di conservazione è costituito dalla possibilità di ottimizzazione dei consumi di energia (riscaldamento, climatizzazione, illuminazione) negli ambienti museali attraverso l’effettivo controllo del microclima interno rilevato dalla rete di sensori, che agisce parallelamente ad altri impianti presenti (rivelatori, regolatori, termostati).

La ricerca sia in campo impiantistico che tecnologico propone diverse soluzioni che devono essere studiate accuratamente, valutando i costi non solo sul piano economico, ma anche su quello energetico e ambientale. Infatti, la richiesta di un controllo delle fluttuazioni delle grandezze termo igrometriche in ambiente confinato determina un incremento dei costi energetici (sia d’installazione che di gestione) e delle emissioni gassose in ambiente.

(16)

9 Un’alternativa molto comune al controllo dell’ambiente delle sale espositive e dell’ambiente museale nel suo insieme è rappresentato dall’adozione di vetrine e cornici microclimatiche all’interno delle quali collocare le opere12. In tal caso il

controllo del microclima sarà effettuato solo localmente all’interno delle stesse.

1.2.1 Le vetrine microclimatiche: funzione, vantaggi e svantaggi

L’utilizzo di vetrine microclimatiche è in genere determinato da tre diverse esigenze13:

• Sicurezza: intesa come protezione delle opere cosi preservate da azioni intenzionali o non intenzionali e da incendi;

• Gestione dell’allestimento: ovvero l’insieme delle azioni svolte per valorizzare e dare enfasi all’oggetto esposto;

• Valutazione del microclima: inteso come controllo della temperatura e dell’umidità relativa (sia in termini di valori assoluti che di gradienti temporali), delle concentrazioni d’inquinanti gassosi e dei livelli di esposizione a radiazioni luminose (radiazioni UV, IR e visibili).

Una vetrina consente la creazione di uno spazio confinato separato dall’ambiente esterno, che non solo delimita “geometricamente” l’ambiente controllato, ma ha anche la funzione di isolare, in certa misura, il comportamento dell’ambiente controllato da quello della sala espositiva.

Il controllo del microclima all’interno di una vetrina museale avviene operando su tre diversi livelli: controllo di frontiera, controllo passivo e controllo attivo.

Controllo di frontiera: si intende l’effetto fisico che la vetrina esercita e che permette di smorzare nel tempo le sollecitazioni termo-igrometriche, grazie all’azione di isolamento termico, di impermeabilità all’aria ed al vapore. Dunque, in termini di controllo di temperatura ed umidità relativa, il solo controllo di frontiera permette di assicurare sul breve periodo valori assoluti delle grandezze termo igrometriche diversi fra macro e microambiente.

(17)

10

Controllo passivo: si basa sull’utilizzo di un materiale tampone (tipicamente Silica-gel, Art-sorb®, Pro-sorb®), introdotto nella vetrina, con la funzione di ridurre le fluttuazioni annue dell’umidità relativa all’interno della vetrina, entro i campi di tolleranza richiesti per la corretta conservazione dell’oggetto esposto.

Ad oggi, in pratica, il controllo passivo è limitato unicamente alla gestione dell’umidità relativa, anche se in via teorica è possibile ipotizzare tecnologie equivalenti da applicarsi anche per la gestione della temperatura, attraverso un opportuno incremento della capacità termica del microambiente.

Controllo attivo: prevede un vero e proprio impianto di climatizzazione meccanica a servizio della singola vetrina (o di gruppi di vetrine) per consentire un controllo di temperatura e umidità relativa completo ed indipendente dal microclima presente nella sala espositiva. Inoltre, grazie alle prestazioni del sistema meccanico e alle sue potenzialità e rapidità di risposta, sarà concettualmente possibile garantire variazioni dei parametri microclimatici all’interno di intervalli di tolleranza molto stretti. Una vetrina con controllo attivo, dunque, consente di garantire le migliori condizioni di conservazione risultando particolarmente adatta alle esigenze dei conservatori. Occorre, tuttavia, osservare che all’atto pratico si riscontra un utilizzo delle vetrine alquanto diverso, dato che la maggior parte dei musei non dispone delle risorse economiche necessarie ad attuare un’idonea gestione microclimatiche delle stesse. Un sistema di climatizzazione meccanico, infatti, per assicurare il corretto funzionamento e l’ottenimento duraturo delle prestazioni di progetto attese, deve essere oggetto di un’accurata e periodica manutenzione e richiede una gestione attenta e continua nel tempo (effettuata, per altro, da parte di personale appositamente istruito e preparato in relazione alle peculiarità del contesto museale).

L’effetto protettivo delle vetrine microclimatiche contro le radiazioni UV, umidità relativa e le variazioni termoigrometriche è stato ampiamente studiato e dimostrato14-17.

I possibili effetti negativi, invece non sono ancora completamente chiari, ma la ricerca scientifica si sta muovendo nell’ultimo decennio proprio in tale direzione. La vetrina ideale dovrebbe preservare le opere esposte al proprio interno, ma studi recenti dimostrano che in alcuni casi non ne garantiscono l’integrità18. I vetri

(18)

11 più comunemente utilizzati per la costruzione delle vetrine, sono Plexiglas (polimetilmetacrilato), policarbonato, polietilene e polipropilene; caratteristica comune è la non completa trasparenza alla radiazione IR, rendendo la vetrina una vera a propria serra. Le vetrine non ermetiche consentono: la penetrazione e l'aderenza delle particelle di polvere, che si depositano soprattutto attraverso sedimentazione; forniscono un habitat favorevole per la colonizzazione microbiologica e d’insetti; infine consentono l'assorbimento di sostanze inquinanti18. Invece le vetrine, soprattutto quelle a chiusura ermetica presentano il

rischio di consentire l’accumulo al loro interno di gas pericolosi come i VOC (Volatile Organic Compounds)18 comunemente emessi dai materiali stessi che costituiscano la vetrina21, 35.

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12

1.3. Le sorgenti di inquinanti atmosferici in ambienti museali

Nel corso degli ultimi decenni, l’inquinamento atmosferico negli ambienti museali, insieme ai relativi effetti degradanti per la conservazione degli oggetti artistici conservati al loro interno, ha ricevuto un crescente interesse per la comunità scientifica19-22.

Gli inquinanti atmosferici presenti negli ambienti museali possono essere classificati in due categorie, in base alla loro sorgente:

• inquinanti outdoor, provenienti dalle aree urbane altamente trafficate, in cui sono collocati gli edifici museali. Questi inquinanti si infiltrano all’interno dell’ambiente museale entrando a far parte del clima interno delle sedi espositive;

• inquinanti indoor, provenienti dagli elementi costruttivi, decorativi, dagli stessi arredi, dai visitatori e dal personale degli ambienti museali.

Ossidi di azoto (NOx), ozono (O3), anidride solforosa (SO2) ed il particolato

atmosferico, sono di gran lunga i più comuni ed i più importanti inquinanti outdoor, che agiscono sugli oggetti artistici contribuendone al degrado23-26.

Gli inquinanti indoor invece, sono principalmente di natura organica, tra cui i più abbondanti sono i VOC. Sorprendentemente tra questi l’acido acetico e l’acido formico sono stati dimostrati essere abbondantemente presente nei musei27-31. Se gli studi sull’effetto degli inquinanti inorganici sono già in uno stato avanzato, lo stesso non si può dire per i VOC. L’interesse della ricerca verso i VOC si è concentrata sullo studio delle loro possibili sorgenti indoor: oltre che da solventi utilizzati per la pulizia degli oggetti, possono essere anche emessi da alcuni materiali che costituiscono le stesse vetrine microclimatiche21,22,32,33. Alcuni effetti sulle opere d’arte degli inquinanti organici, come acidi organici e aldeidi riportati in letteratura, sono la corrosione di metalli, l’efflorescenza di materiali calcarei e la depolimerizzazione della cellulosa24,25,34.

Soltanto recentemente, e per la prima volta, uno studio35 ha presentato i risultati di misurazioni di inquinanti organici (VOC, acido formico e acetico e formaldeide) e inorganici (NO2, SO2 e O3) in 15 diverse vetrine microclimatiche e 12 diversi luoghi

(20)

13 diverse vetrine microclimatiche e sul confronto tra le concentrazioni osservate dentro e fuori. Lo studio ha dimostrato un reale effetto protettivo delle vetrine microclimatiche nei confronti dei dipinti contro gli inquinanti generati dall’esterno, infatti i risultati hanno dimostrato che la concentrazione di gas inorganici è più bassa all'interno della vetrine microclimatiche che fuori. Al contrario, le concentrazioni più elevate di composti organici potenzialmente aggressivi come acido acetico e formico, toluene, α-pinene, xileni e limonene risultano più alte all'interno, rispetto all'esterno delle vetrine. Elevate concentrazioni di alcuni di questi VOC, all'interno delle vetrine, possono essere molto dannose per i dipinti: α-pinene e limonene possono reagire con agenti ossidanti causando emissioni secondarie di VOC quali acido formico ed acetico, aldeidi e acidi grassi35.

All’interno del progetto FP6EC PROPAINT sono così stati studiati gli effetti degli inquinanti inorganici (NO2 e O3) e organici (acido acetico) su stesure di riferimento

di vernici pittoriche, per valutare lo stato di conservazione di dipinti conservati in vetrine microclimatiche in ambienti museali, durante le fasi di immagazzinamento ed esposizione.

Campioni di vernici pittoriche sono stati sottoposti a invecchiamento artificiale con differenti livelli di inquinanti e in seguito analizzati. I risultati hanno dimostrato che le cornici microclimatiche utilizzate per la protezione dei dipinti, non sempre rappresentano il miglior metodo di prevenzione del degrado delle vernici pittoriche, a causa del possibile intrappolamento di acidi organici volatili, emessi dal legno della cornice stessa e dal pannello di supporto. Infatti lo studio dimostra che gli acidi organici hanno un potere ossidante comparabile a quello di NO2 e O3 ed è

possibile stabilire una relazione tra la dose di inquinante e i fenomeni di degrado, per ossidazione e reticolazione, delle resine36,37.

(21)

14

1.4 Il dipinto

Da un punto di vista chimico-fisico i dipinti sono complessi sistemi multistrato, costituiti da strati sovrapposti, con caratteristiche e funzioni ben precise1. In Figura

1 è rappresentato uno schema della struttura del dipinto, nel quale si possono distinguere:

• SUPPORTO: ha la funzione di sostenere l’intera struttura del dipinto. Può essere in legno ed è realizzato con tavole assemblate, incastrate ed eventualmente ricoperte da uno strato di tessuto per isolare il film pittorico dai movimenti del legno. A partire dal XV secolo la tela entra in uso sostituendo gradualmente l’utilizzo del supporto ligneo perché più economica e più pratica per il trasporto e la conservazione;

• STRATO PREPARATORIO: finalizzato alla realizzazione di una superficie liscia ed impermeabile ed è applicato sul supporto prima di ricevere lo strato pittorico. Sulle tavole tradizionalmente è realizzato attraverso la stesura di colla animale e gesso; • DISEGNO PREPARATORIO: fatto a carboncino o a pennello;

• STRATI PITTORICI: rappresenta la pittura vera e propria ed è costituito da pigmenti, materiali generalmente sotto forma di polvere d’origine minerale, dispersi in un legante, che ha la funzione di far aderire i pigmenti alla superficie dello strato sottostante e, allo stesso tempo, di mantenere unite tra loro le particelle del pigmento. Il legante deve essere trasparente e senza colore, in quanto la funzione ottica cromatica è svolta solo dal pigmento e deve inoltre possedere proprietà filmogene. A seconda del tipo di tecnica pittorica utilizzata, il legante varia la propria natura chimica e, a eccezione della tecnica dell’affresco, è a base di un materiale organico (olio siccativo, materiale proteico (uova, colla animale, caseina), o polisaccaride).

• VERNICE: strato finale del dipinto costituito da resine naturali o sintetiche, con funzionalità protettiva e di esaltazione delle proprietà ottiche della superficie pittorica (saturazione cromatica).

(22)

15 Figura 1. Cross section e schema della struttura del dipinto.

1.5 Le vernici pittoriche

Le vernici pittoriche rappresentano per il dipinto la prima barriera verso l’ambiente esterno38-40 e sono costituite da resine naturali o sintetiche, materiali organici usati nella produzione dei dipinti, ma anche per manufatti in legno, sculture e strumenti musicali.

Le resine naturali sono conosciute e usate fin da tempi molto antichi, infatti la presenza della resina mastice e della resina di pino è stata rivelata nelle mummie egiziane, nei materiali d’imbalsamazione e negli oggetti funerari. Le resine naturali triterpenoidi più utilizzate nel campo dei beni culturali come vernici pittoriche sono mastice e dammar, in virtù della loro capacità di esaltare la saturazione cromatica degli strati pittorici e grazie alle loro proprietà filmogene, adesive e idrorepellenti1.

Le vernici ad olio, preparate mescolando a caldo resine naturali essudate dalle piante con oli siccativi, erano conosciute in Cina, India e Persia anche prima della civiltà Greca1. A partire dal XVI secolo in Italia e dal XVII secolo in tutta Europa, le

vernici a olio sono state sostituite dalle vernici a spirito, soluzioni di resine naturali in solvente volatile come l’olio di trementina1.

Le resine naturali utilizzate per le vernici pittoriche esposte all’aria sono soggette a fenomeni d’ingiallimento e opacizzazione, alterando l’effetto cromatico anche del film pittorico sottostante1. In Figura 2 si può osservare come una vernice fortemente ingiallita modifichi considerevolmente l’aspetto del dipinto; non solo i colori diventano più scuri, ma anche il contrasto e il bilanciamento tra gli stessi.

(23)

16 Inoltre l’immagine appare più piatta. Pratica comune nell’atto del restauro, sono l’assottigliamento progressivo oppure la completa rimozione della vernice ingiallita. Entrambe le azioni, prevedono la successiva applicazione di un nuovo strato di vernice, al fine di ridare al dipinto l’aspetto originario. Solitamente le vernici sono rimosse tramite un’azione meccanica e chimica con un tampone di cotone imbevuto di solvente organico debolmente polare. Il trattamento di vernici altamente ossidate, comporta l’utilizzo di solventi maggiormente polari, che possono danneggiare il dipinto: oltre alla solubilizzazione della vernice ingiallita, può essere solubilizzato perfino lo strato pittorico, con il conseguente distaccamento di alcune sue parti41.

Figura 2. Ingiallimento delle vernici. Madonna del Cardellno, Raffaello – Cortesia del Dr. Marco Ciatti, Opificio delle Pietre Dure, Firenze.

A causa dei danni provocati dai frequenti interventi di rimozione e sostituzione delle vernici, sono stati introdotti materiali sintetici con l’obiettivo di prolungarne nel tempo la trasparenza, dilatando gli interventi di restauro. Le resine sintetiche risultano più resistenti all’ingiallimento e all’ossidazione, rispetto alle resine naturali, rendendo l’eventuale intervento di rimozione meno aggressivo nei confronti degli strati pittorici sottostanti. A partire dal 1930, il polivinil acetato (PVA)

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17 comincia ad essere usato come vernice e nei dieci anni successivi sono state introdotte delle resine acriliche, che insieme al PVA diventano le vernici più utilizzate negli interventi di sostituzione di vernici ingiallite nei dipinti antichi. Resine chetoniche AW2, MS2, Keton Resin e Laropal K80, sono state introdotte invece negli anni 50, presentando proprietà ottiche migliori rispetto alle altre resine sintetiche. Negli ultimi anni sono state introdotte resine idrocarburiche, tra le quali Regalrez 1094 e l’Arkon P 90. Si tratta di composti relativamente apolari, solubili in solventi idrocarburici alifatici e aromatici, e insolubili in acetone e alcool a basso peso molecolare.

1.5.1 Proprietà ottiche delle vernici

Il colore esprime la sensazione fisiologica, soggettiva dell’occhio umano che è sensibile alle sole radiazioni elettromagnetiche dello spettro nell’intervallo del visibile, ovvero tra 380 nm e 750 nm. L’assorbimento della radiazione visibile è responsabile di ciò che noi vediamo come colore dell’oggetto irradiato; infatti, per alcuni di essi, è dovuto alla radiazione non assorbita.

Quando un fascio di luce investe la superficie di un corpo, la radiazione può essere respinta da esso o penetrare al suo interno. La porzione della radiazione respinta può a sua volta subire una riflessione speculare o diffusa, mentre la porzione che penetra il corpo può subire assorbimento o rifrazione.

La riflessione è il fenomeno per cui la luce, incontrando una superficie che separa due mezzi, con indici di rifrazione diversi, viene riflessa propagandosi nello stesso mezzo da cui proviene. La rifrazione è la deviazione del percorso della luce nell’oltrepassare la superficie che separa due mezzi con indice di rifrazione diversi.

Le superfici pittoriche mostrano generalmente una combinazione di riflessione speculare e diffusa e la loro lucentezza è funzione della loro scabrosità (Figura 3). Superfici lisce sono più lucide in seguito all’alto grado di riflessione speculare, mentre superfici scabre a seguito di imperfezioni superficiali anche microscopiche, hanno un’area superficiale più elevata aumentando così la quantità di luce riflessa in maniera diffusa e producendo una riduzione della lucentezza.

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18

superficie pittorica liscia: minore area superficiale e alto grado di riflessione speculare

superficie pittorica scabra: maggiore area superficiale e alto grado di riflessione diffusa

Figura 3. Riflessione della radiazione su una superficie pittorica scabra o liscia.

Per una superficie si ha la somma della radiazione colorata restituita dagli strati pittorici e la luce diffusa bianca, che ha come risultato una desaturazione dei colori. Quest’ultima, se provocata da una superficie scabra, sarà più visibile nelle zone scure a causa dell’effetto combinato dell’elevata quantità di luce assorbita dalle particelle di pigmento scure e dalla quantità di luce bianca retro diffusa che è proporzionalmente più alta.

L’applicazione della vernice su una superficie scabra permette di ottenerne una più liscia, quindi con maggiore lucentezza e colori più saturi. Una buona vernice quindi deve essere in grado di rendere visibile anche le minime differenze di colore, specialmente nelle aree più scure, eliminando la luce bianca che viene retro diffusa dalla superficie.

Indice di rifrazione e viscosità sono i parametri che definiscono le proprietà ottiche di una vernice42.

• Indice di Rifrazione (ƞ): è un parametro macroscopico che tiene conto della

velocità di propagazione di una radiazione elettromagnetica che viene rallentata, rispetto alla sua velocità nel vuoto, quando questa attraversa un materiale.

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19 Maggiore sarà la differenza tra gli indici di rifrazione di due strati, più grande sarà la quantità di luce riflessa all’interfaccia. La riflessione può avvenire all’interfaccia aria-vernice oppure all’interfaccia vernice-dipinto; in quest’ultimo caso è importante che la vernice abbia un indice di rifrazione molto simile a quello del legante usato nel film pittorico e che ci sia contatto tra lo strato di vernice e il film pittorico. Secondo quanto riportato in letteratura, l’olio di lino fresco ha un indice di rifrazione ƞ = 1.48 e aumenta durante l’invecchiamento, fino ad un massimo di ƞ = 1.57. La differenza minima di ƞ percepibile dall’occhio umano è stato osservato essere pari a 0.06. Pertanto vernici con indice di rifrazione più piccolo di 1.51, risultano visibili in quanto producono una quantità di luce riflessa all’interfaccia vernice-dipinto di un dipinto ad olio, tale da essere percepibile dall’occhio umano. Come è possibile vedere dalla Tabella 1 vernici a base di PVA o acriliche e quindi ad alto peso molecolare, hanno un indice di rifrazione più basse rispetto a resine chetoniche e naturali: di conseguenza la differenza di ƞ tra vernice e strato pittorico di un dipinto a olio risulta maggiore di 0,06.

Tabella 1. Indice di rifrazione delle vernici usate nei dipinti e differenza tra gli indici di rifrazione dell’olio usato come legante e della resina per la vernice42.

ƞ Ƞ olio di lino - ƞ resina

Olio di lino invecchiato 1.57 -

Dammar 1.54 0.03 Mastice 1.54 0.03 Sandracca 1.54 0.03 Colofonia 1.52 0.05 Laropal K80 1.53 0.04 MS2A 1.51 0.06 PVA 1.47 0.10 Paraloid B72 1.48 0.09 Regarlez 1094 1.52 0.05

Inoltre, minore è la differenza di indice di rifrazione tra la vernice e lo strato pittorico, maggiore è la quantità di luce che non penetra gli strati pittorici, perché riflessa all’interfaccia vernice-dipinto e si hanno così colori meno intensi42.

(27)

20

• Viscosità: è una grandezza fisica che quantifica la resistenza dei fluidi allo scorrimento. La viscosità di una vernice all’applicazione è un altro fattore che può influenzare la qualità della superficie dopo l’essiccamento e dipende da diversi parametri tra i quali il più importante è sicuramente il peso molecolare delle resine impiegate.42 In Figura 4 sono mostrati i cromatogrammi in Size Exlusion

Chromatography (SEC) di alcuni materiali naturali e sintetici, impiegati per la realizzazione di vernici. Si osserva che alcune resine sintetiche presentano in generale, un peso molecolare (Mw) maggiore rispetto alle resine naturali. A causa

di questa differenza, soluzioni di resine naturali e chetoniche hanno una viscosità così bassa da poter essere applicate in concentrazioni di 40-50 % in peso, mentre polimeri sintetici possono essere applicati a concentrazioni più basse, di 10-20 % in peso. Peso molecolare Laropal K80 colofonia dammar AYAF 27 h B67 AYAC

Tempo di ritenzione (min) Peso molecolare Peso molecolare Laropal K80 colofonia dammar AYAF 27 h B67 AYAC

Tempo di ritenzione (min) Peso molecolare

Figura 4. Cromatogrammi in SEC di alcune resine usate nei dipinti: AYAF e AYAC sono resine viniliche, 27H e B67 sono resine acriliche; Laropal K80 è una resina chetonica; Dammar e Colofonia sono resine naturali42.

La differenza nella viscosità è responsabile del diverso aspetto delle vernici. La concentrazione delle soluzioni occorre a rendere la superficie più liscia e quindi ad una maggiore saturazione dei colori. La Figura 5 rappresenta schematicamente il processo di evaporazione del solvente quando uno strato di vernice è applicato su un film pittorico. In particolare sono stati presi in considerazione una vernice con bassa viscosità (A) e una con alta viscosità (B). La vernice con bassa viscosità richiede una maggiore quantità di solvente per l’applicazione. Quando il solvente evapora, arriva ad un punto, detto “no-flow

(28)

21

point”, in cui le molecole della resina non riescono più a riarrangiarsi l’una sull’altra: come conseguenza il film di vernice diventa rigido. Da questo momento in poi, lo strato di vernice riprodurrà essenzialmente la tessitura del film pittorico sottostante. La riproduzione delle microscopiche imperfezioni superficiali sullo strato di vernice asciutto sarà maggiore se la quantità di solvente presente in questa fase è elevata, portando alla formazione di una superficie che riproduce la scabrosità del film pittorico sottostante. Le vernici con bassa viscosità necessitando di una minore quantità di solvente durante l’applicazione, arriveranno al “no-flow point” con una quantità minima dello stesso; il film di resina proseguirà la fase di asciugatura, formando una superficie più liscia, permettendo così una maggiore saturazione dei colori del film pittorico sottostante42.

film bagnato

film bagnato no-flow-point

no-flow-point

film asciutto film aciutto

50%

15%

50%

80%

superficie pittorica (a) vernice a bassa viscosità (b) vernice a elevata viscosità

resina naturale resina sintetica

Figura 5. Riproduzione della scabrosità superficiale delle vernici durante la fase di evaporazione del solvente: A, vernice a bassa viscosità; B, vernice ad alta viscosità42.

(29)

22

1.5.2 Resine naturali triterpenoidi

Le resine naturali sono comunemente classificate in base alla loro origine, in resine vegetali (oleoresine, balsami, resine e resini fossili) e resine animali.

Le resine vegetali vengono prodotte spontaneamente delle piante, come prodotti del loro metabolismo per proteggersi da eccessiva perdita di acqua, o in risposta al ferimento, all’infezione della pianta (basti pensare alle resine prodotte in seguito a incisioni del tronco di molte conifere) o da attacchi di microrganismi.

La composizione delle resine vegetali è molto complessa e varia a seconda del genere e specie vegetale da cui la resina è estratta, oltre che dalla natura del suolo e dal tipo di clima.

Le resine naturali sono principalmente caratterizzate dalla presenza di terpenoidi, biomolecole lineari o cicliche costituite da multipli dell'unità isoprenica (C5).

I terpeni sono classificati in base al numero di atomi di carbonio in: monoterpeni (C10), sesquiterpeni (C15), diterpeni (C20) e triterpeni (C30), le cui strutture sono riportate in Figura 6. I terpeni modificati con reazioni tali da portare alla formazione di gruppi funzionali contenenti atomi diversi dal carbonio, come gruppi idrossilici, carbonilici o contenenti azoto, vengono chiamati terpenoidi.

Figura 6. Formule di struttura di alcuni terpeni, formalmente derivanti dall’unità isoprenica (al centro): monoterpeni (in alto a sinistra), sesquiterpeni (in alto a destra), diterpeni (in basso a sinistra) e triterpeni (in basso a destra).

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23 I mono- e i sesquiterpenoidi sono presenti contemporaneamente nella maggior parte delle resine, mentre i diterpenoidi e i triterpenoidi non si trovano mai nella stessa resina, e pertanto consentono di dividere le resine in diterpenoidi e triterpenoidi.

Le resine triterpenoidi sono formate da miscele di molecole a struttura tetraciclica e penta ciclica. I triterpeni tetra ciclici includono le strutture dammaranica e lanostanica (Figura 7), caratterizzate dalla presenza di un gruppo idrossilico o chetonico in posizione 3 e da una catena laterale con un doppio legame. Le molecole del tipo lanostanico possono essere distinte dalle dammaraniche per la presenza di un secondo doppio legame in posizione 7 43.

struttura lanostanica R1 R2 R1=OH; O R2= CH3; COOH 7 8 R1=OH; O R2= CH3; COOH R1 R2 3 struttura dammaranica struttura lanostanica R1 R2 R1=OH; O R2= CH3; COOH 7 8 R1 R2 R1 R2 R1=OH; O R2= CH3; COOH 7 8 R1=OH; O R2= CH3; COOH R1 R2 3 R1=OH; O R2= CH3; COOH R1 R2 3 R1 R2 R1 R2 3 struttura dammaranica

Figura 7. Formule di struttura delle molecole dammaraniche (a sinistra) e lanostanica (a destra).

I triterpenoidi penta-ciclici, invece, possono essere suddivisi in quattro strutture principali: ursanica, oleanonica, lupanica e eufonica (Figura 8). I triterpenoidi ursanici e oleanonici differiscono solo nella posizione di un gruppo metilico, infatti gli ursani presentano un gruppo CH3 in posizione 19 e in posizione 20, mentre gli

oleanonici presentano due raggruppamenti metilici entrambi in posizione 20. I triterpenoidi con struttura lupanica ed eufanica sono costituiti da 4 cicloesani ed un ciclopentano condensati, con l’aggiunta un raggruppamento isopropilico, a differenza delle strutture ursanica e oleanonica che presentano ben 5 cicloesani condensati.43

(31)

24 Figura 8. Formule di struttura delle molecole ursanica (in alto a sinistra), oleanonica (in alto a destra), lupanonoica (in basso a sinistra) e eufanica (in basso a destra).

La resina dammar

La dammar è un naturale prodotto di essudazione degli alberi appartenenti alla famiglia delle Dipterocarpaceae, principalmente dei generi Shorea e Hopea, presenti in India, Asia Orientale e in Nuova Zelanda. É stata introdotta in Europa e utilizzata come vernice a spirito, per lo più in soluzione con olio di trementina, a partire dal XIXsecolo,in quanto più stabile rispetto alla resina mastice.

La resina dammar è costituita principalmente da triterpenoidi tetra- e penta ciclici, in massima parte a struttura dammaranica e in minor quantità a struttura ursanica e oleanonica.

I principali triterpenoidi costituenti la resina fresca individuati in letteratura, sono riportati, divisi in base alla loro natura neutra o acida, nella seguente Tabella 243-45:

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25 Tabella 2. Elenco dei principali triterpenoidi costituenti la resina dammar fresca individuati in letteratura. Sono riportati per ciascun composto, oltre al nome, la formula minima, la massa molecolare e la formula di struttura.

COMPOSTO FORMULA M.M. (Da) STRUTTURA TRITERPENOIDI NEUTRI dammaradienone C30H48O 424 nor-α-amirone C29H46O 410 aldeide ursonica C30H46O2 438 dammaradienolo C30H52O2 444 TRITERPENOIDI ACIDI acido ursonico C30H46O3 454 acido shoreico C30H50O4 474 acido oleanonico C30H46O3 454 acido dammarenolico C30H50O3 458

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26 La resine dammar, pur non essendo una resina fossili, è in parte costituite da una frazione polimerica già presente nella resina fresca: policadinene45.

1.5.3 Invecchiamento delle resine naturali triterpenoidi

Le resine naturali, quando sono esposte all’aria, sono soggette a fenomeni di ingiallimento e opacizzazione, che comportano un effettivo cambiamento dell'aspetto del dipinto. Per una migliore conservazione a lungo termine dell’opera d’arte è quindi necessario comprendere in maniera approfondita il comportamento di invecchiamento delle resine naturali utilizzate come vernici pittoriche.

Negli ultimi trent’anni la composizione e la degradazione delle resine naturali sono state ampiamente studiate mediante la combinazione di tecniche analitiche, quali GC-MS e HPLC-MS.46-55 Questi studi hanno permesso l’identificazione dei triterpenoidi presenti nelle resine fresche o invecchiate e lo sviluppo di modelli che descrivono i processi di invecchiamento: ossidazione, polimerizzazione e decomposizione dei composti iniziali47,48-49.

I processi ossidativi, rappresentano il più importante processo di degradazione ed avvengono attraverso reazioni autossidative radicaliche,50,51 schematizzate in Figura 9.

Figura 9. Schema delle reazioni autossidative radicaliche

Una volta formatesi (step 1), le specie radicali, reagiscono facilmente con l’ossigeno atmosferico per dare radicali perossido (step 2), che per cattura di un

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27 radicale idrogeno, danno origine agli idroperossidi e a nuovi radicali che propagano la reazione (step 3). Questi, a loro volta, possono decomporsi omoliticamente in radicali ossidrile e alcossile (step 4) che, per accoppiamento con altre specie radicali terminano la reazione, evolvendo ad alcoli, eteri o carbonili (step 5). La rottura omolitica del legame perossido può essere indotta sia attraverso il calore, sia dalla luce50,52.

Questi processi fanno assumere alle vernici pittoriche una composizione altamente complessa a causa della varietà dei prodotti d’invecchiamento di ogni singolo componente.

Ad aumentare la difficoltà nello studio di questi materiali, si aggiunge il fatto che le resine commerciali definite “fresche” sono in realtà in uno stato ossidativo avanzato. É necessario quindi considerare l’influenza sullo stato d’invecchiamento anche delle condizioni di raccolta. Uno studio sulla resina mastice raccolta sull’isola di Chios (Grecia), dimostra che il tempo di esposizione alla luce e le dimensioni delle gocce di resina al momento della raccolta, influiscono sullo stato di ossidazione iniziale41,53.

La resina che essuda dall’albero dopo aver effettuato il taglio della corteccia è incolore, ma l’esposizione immediata alla luce solare, provoca l’ingiallimento delle gocce di resina. Lo studio, infatti, dimostra che la resina mastice raccolta in assenza di radiazione solare è chiaramente meno ossidata rispetto ad un campione della stessa resina soggetta ad esposizione solare.

Questi risultati indicano che la formazione di radicali è causata principalmente dall’esposizione solare, mentre la concentrazione di radicali diminuisce notevolmente proteggendo la resina dalla luce.

Inoltre gocce di resina con rapporto superficie/volume basso (gocce grandi) presentano nel tempo un ossidazione minore rispetto a gocce di resina con rapporto superficie/volume alto (gocce piccole), che risultano al contrario più ossidate41.

L’esposizione alla luce solare durante la fase di raccolta sembra essere anche la causa della formazione di una frazione polimerica nella resina mastice, che invece non sembra essere presente durante la raccolta della resina eseguita in assenza di radiazione solare.

Nel suo lavoro pionieristico, De la Rie ha monitorato i cambiamenti di solubilità, ossidazione e della colorazione gialla della resina dammar invecchiata

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28 artificialmente mediante esposizione alla luce e al calore. In presenza di luce, si osserva una vasta ossidazione che procede principalmente attraverso meccanismi di autossidazione. L’ingiallimento è stato spiegato attraverso un processo secondario non autossidativo, ma termico che avviene tra i prodotti derivanti dalle reazioni autossidative, risultato essere particolarmente presente quando le vernici foto-invecchiate sono state successivamente invecchiate anche termicamente38,46,54.

Van der Doelen et al. si è focalizzata sullo studio dell’invecchiamento naturale e artificiale delle resine dammar e mastice e ha studiato la loro degradazione identificando i singoli prodotti di ossidazione a livello molecolare. Ha identificato differenti meccanismi di degrado tra l’invecchiamento naturale e artificiale: vernici invecchiate artificialmente mediante esposizione alla luce UV mostrano un’elevata ossidazione attraverso la reazione di Norrish, che al contrario non si verifica durante l'invecchiamento naturale47,55,49,56.

I composti di ossidazione presentano polarità e pesi molecolari più elevati a seguito dell’aggiunta di atomi di ossigeno e sono quindi difficilmente eluiti e identificati mediante gascromatografia.

Negli anni successivi l’utilizzo di tecniche quali Matrix Assisted Laser Desorption Ionization-Mass Spectrometry (MALDI-MS) e Graphite Assisted Laser Desorption Ionization-Mass Spectrometry (GALDI-MS), hanno permesso di ottenere nuove informazioni sull’invecchiamento alla luce e al buio di vernici triterpeniche dammar e mastice57.

Zumbuhl et al. hanno applicato la GALDI-MS allo studio di dammar e mastice invecchiate artificialmente con la luce. È stato dimostrato che l'invecchiamento di un singolo composto triterpenoide porta alla formazione di numerosi prodotti di ossidazione, contenenti fino a sette atomi di ossigeno in un'unica molecola triterpenoide. In contrasto con le ipotesi fatte negli anni precedenti è stato dimostrato che l'ossidazione avviene anche al buio ed in tempi relativamente brevi, nel giro di settimane o mesi57-59.

L’applicazione della spettroscopia EPR ha confermato questa ipotesi. Grandi quantità di radicali si sviluppano in poche settimane dopo l’applicazione della vernice pittorica e questo è vero per tutte le condizioni di invecchiamento, compreso l'invecchiamento al buio. Dopo alcuni mesi, la maggior parte dei triterpenoidi iniziali sono ossidati e l’invecchiamento naturale alla luce e al buio

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29 portano agli stessi prodotti principali di invecchiamento. Questi risultati indicano che l'invecchiamento alla luce e al buio, procedono attraverso gli stessi processi ed in particolare attraverso meccanismi di autossidazione, con l’unica differenza che al buio l’invecchiamento procede in maniera più lenta51,60.

Questo può essere facilmente visibile dagli spettri GALDI-MS della resina dammar invecchiata, riportati in Figura 10.

Figura 10. Spettro GALDI-MS di dammar fresca (a) e invecchiata naturalmente per 7 mesi e 31 mesi alla luce solare attraverso una finestra (b) e (e), al buio per 31 mesi (c) e alle condizioni museali per 31 mesi (d) 60.

L'ossidazione dei composti triterpenici porta alla formazione di una vasta gamma di prodotti nel range di massa intorno a 500-600 m/z, con incrementi di massa di 14 e 16 Da. Questi incrementi sono dovuti all’incorporazione di atomi di ossigeno (16 Da) e eventuale perdita di atomi di idrogeno da parte delle singole molecole triterpenoidi. L’ossidazione di una funzionalità ossidrilica ad un doppio legame C=O porta ad un incremento di massa di 14 Da. Dalla Figura 10 si può osservare che il grado di ossidazione è simile dopo 7 settimane di esposizione alla luce e di 31 settimane al buio, suggerendo che i percorsi di invecchiamento sono simili, ma mostrano velocità differenti. L'ossidazione sotto condizioni museali non è molto più pronunciata rispetto al buio. Questo dimostra che una moderata quantità di luce

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30 senza radiazione UV (condizioni museali) porta ad una leggera diminuzione dell'ossidazione rispetto a quella che si verifica al buio. Al contrario, un’intensa luce solare attraverso una finestra (fino a 30.000 lux), provoca una maggiore ossidazione60.

Le resine triterpenoidi possono contenere anche materiale polimerico in proporzioni diverse a seconda della loro origine botanica e geografica. Per quanto riguarda la resina dammar, alcuni studi, mediante Py-GC-MS,61-63 hanno dimostrato la presenza di una frazione polimerica a base di policadinene (Figura 11), il cui monomero cadinene è un sesquiterpene (C15H24).

Figura 11. Polimerizzazione di cadine (204 Da) a policadinene. 64

Per quanto riguarda la frazione solubile a più alto peso molecolare, oltre alla tecnica MALDI-TOF, Scalarone et al. hanno utilizzato la tecnica DTMS per indagare la frazione polimerica di campioni di resina dammar fresca e invecchiata artificialmente mediante esposizione alla luce. Sono stati rivelati oligomeri di cadinene con diversi gradi di ossidazione, a seconda del tipo di invecchiamento, derivanti dalla degradazione pirolitica della frazione polimerica di policadinene presente nella resina dammar65.

La Figura 12 (a) mostra lo spettro di massa EI-DT-MS della resina dammar fresca. I picchi a 204, 408, 612 e 816 m/z rappresentano secondo gli autori gli ioni molecolari di monomeri, dimeri, trimeri e tetrameri, di cadinene rispettivamente, mentre le sequenze di picchi a 628, 642 832 m/z, indicano che si è verificata un’ossidazione dei trimeri e tetrameri di cadine, a seguito della formazione di nuovi

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31 gruppi funzionali ossigenati con un relativo aumento di massa molecolare di 14 o 16 Da, a seconda della formazione di un alcool o di un chetone65.

In realtà la situazione sembra essere più complicata, in quanto le masse molecolari di alcuni dei picchi più intensi possono corrispondere anche a dimeri di molecole triterpeniche,51 dando così una miscela di segnali che sono di difficile

interpretazione.

Figura 12.65 Spettro di massa EI-DT-MS della resina dammar: (a) fresca, (b) invecchiata 600 h sotto luce fluorescente (c) invecchiata 100 h sotto luce UV.

Gli studi descritti precedentemente hanno focalizzato la loro attenzione sull’invecchiamento delle vernici pittoriche alla luce e al buio e solo recentemente sono stati presi in considerazione gli effetti degli inquinanti atmosferici naturali. I.Bonaduce et al.,36 hanno rivolto per la prima volta l’attenzione verso gli inquinanti atmosferici organici (acido acetico), confrontando il loro effetto a livello molecolare

(39)

32 con quello degli inquinanti atmosferici inorganici (NO2 e O3), sulla degradazione

della vernice dammar in ambienti museali. Sono stati analizzati, mediante GC-MS e tecniche termoanalitiche DMA e AFM, dei campioni di riferimento di dammar sottoposti a invecchiamento artificiale a diversi livelli di inquinanti (NO2 e O3 e

acido acetico) e intervalli di umidità relativa (RH). I risultati hanno rivelato che, aumentando il dosaggio della sostanza inquinante, aumenta anche il grado di ossidazione e di reticolazione della resina. In particolare è stata osservata una considerevole diminuzione della somma dei triterpenoidi liberi, indice di una perdita di solubilità.

Inoltre è stato dimostrato per la prima volta che l'esposizione della resina dammar a vapori di acido acetico ha un effetto paragonabile all’esposizione a NO2 e O3 per

quanto riguarda l’ossidazione e la reticolazione.

Lo stato di degrado della resina dammar è stato valutato prendendo in considerazione quali diversi composti possono essere correlati tra loro in funzione dell’invecchiamento, tenendo in considerazione semplicemente la formula di struttura (Figura 13).

L’aldeide oleanolica può essere ossidata ad aldeide oleanonica, che a sua volta può essere ulteriormente ossidata ad acido oleanonico. L’aldeide oleanolica può anche essere ossidata ad acido oleanolico, che può essere ulteriormente ossidato ad acido oleanonico (Figura 13.a). Dammaradienolo, dammaradienone, idrossidammarenone, e 20,24-epossi-25-idrossi-dammaren-3-one possono essere collocati su una linea ipotetica di ossidazione, dove il dammaradienolo ha il grado di ossidazione più basso e il 20,24-epossi 25-idrossi-dammaren-3-one è il più altamente ossidato. L’acido dammarenolico si genera dall'ossidazione dell’ idrossidammarenon e può, in fase di ulteriore ossidazione, dar luogo ad acido shoreico (Figura 13. b).

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33 Figura 13.36 Alcuni composti presenti nella resina dammar,suddivisi per famiglie di appartenenza: oleani (a) e dammarani (b), a diversi livelli di ossidazione. Le frecce indicano il passaggio da un composto ad un minor livello di ossidazione ad uno maggiormente ossidato.

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34 Mediante il confronto dell’effetto degli inquinanti atmosferici O3, NO2 e acido

acetico attraverso i dati ottenuti mediante GC-MS, è stato osservato che l'inquinante che provoca la formazione di una maggiore quantità di 20,24-epossi-25-idrossi-dammaren-3-one risulta l’acido acetico, sia ad alti che bassi valori di umidità relativa. L'acido acetico è anche responsabile della maggiore quantità di acido shoreico prodotto nei campioni esposti al 20% di RH (Figura 14).

Figura 14. Confronto dell’effetto ossidante dell’acido acetico con gli inquinanti atmosferici inorganici NO2 e O3 al 20% e 80% di umidità relativa (RH), mediante GC-MS. 36

Una dose di circa 25 ppm al giorno di acido acetico presenta un effetto di degradazione sulle resine naturali, che sono paragonabili a quelli di circa 130 ppm al giorno di O3 e 599 ppm al giorno di NO2. Confrontando invece O3, NO2 e acido

acetico, sulla base della quantità di tritepenoidi liberi, risulta evidente che NO2 è

l’inquinante che causa una maggiore diminuzione36.

L’invecchiamento artificiale, effettuato in presenza di vapori di acido acetico glaciale ad alte dosi, risulta avere un forte potere ossidante, infatti quando i vapori di acido acetico glaciale sono stati utilizzati per sei settimane e tre mesi, è stata osservata una chiara diminuzione delle quantità relative di dammaradienone, dammaradienolo e idrossidammaradienone e un aumento delle quantità di 20,24-epossi-25-idrossdammaren-3-one e 20,24-epossi-25-idrossi-dammaren-3-olo (Figura 15). Dopo tre mesi di esposizione,

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20,24-epossi-25-idrossi-dammaren-3-35 olo è diminuito rispetto al periodo di esposizione di sei settimane, ed è stato ossidato molto probabilmente a 20,24-epossi-25- idrossi-dammaren-3-one. Lo stesso vale per gli acidi dammarenolico e shoreico, dove il precursore diminuisce sotto l'esposizione ai vapori di acido acetico glaciale, in quanto è stato ossidato ad acido shoreico, come indicato dall’aumento della quantità relativa di quest’ultimo36.

Figura 15. Tr% di dammaradienolo, dammaradienone, idrossidammarenone, 20,24-epossi-25-idrossi-dammaren-3-olo e 20,24-epossi-25-idrossi-dammaren-3-one, acido dammarenolico e acido shoreico in funzione della dose di acido acetico glaciale a cui è stata esposta la resina dammar. 36

Figura

Figura  2.  Ingiallimento  delle  vernici.  Madonna  del  Cardellno,  Raffaello  –  Cortesia  del  Dr
Figura  6.  Formule  di  struttura  di  alcuni  terpeni,  formalmente  derivanti  dall’unità  isoprenica  (al  centro):  monoterpeni  (in  alto  a  sinistra),  sesquiterpeni  (in  alto  a  destra),  diterpeni  (in  basso  a  sinistra) e triterpeni (in bass
Figura  12. 65   Spettro  di  massa  EI-DT-MS  della  resina  dammar:  (a)  fresca,  (b)  invecchiata  600  h  sotto luce fluorescente (c) invecchiata 100 h sotto luce UV
Tabella 1. Elenco dei campioni di resina naturale dammar analizzati: luogo di preparazione, luogo  e tipologia di invecchiamento
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