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Il leader e la televisione: il caso de Gaulle (1958-1965)

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Academic year: 2021

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ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA’ DI BOLOGNA

DOTTORATO DI RICERCA IN

STORIA DELL’ETA’ CONTEMPORANEA NEI SEC. XIX-XX

XIX CICLO – “F. Chabod”

ANNO 2007

M-STO/04 STORIA CONTEMPORANEA

TITOLO DELLA TESI DI RICERCA:

Il leader e la televisione: il caso de Gaulle (1958-1965)

CANDIDATO:

Brizzi Riccardo

TUTOR COORDINATORE

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Introduzione

Il 19 agosto 1944 Parigi si solleva contro l’occupante nazista.

In serata un’operazione condotta da alcune squadre della Resistenza nelle teche di Radio-Paris permette di impadronirsi di un centinaio di dischi. L’indomani Jean Guignebert, ministro dell’Informazione ad interim in seguito all’arresto di Pierre-Henri Teitgen, solo nel proprio ufficio clandestino, isolato dagli altri membri del governo provvisorio, riflette sull’opportunità di iniziare le trasmissioni dagli studi di prova di Radio-Paris, occupati in gran segreto dai suoi uomini qualche giorno prima.

La posta in gioco era delicata: era il caso di trasmettere, per la prima volta dal suolo della capitale, la voce della Francia Libera o era meglio attendere che la situazione evolvesse in senso favorevole? Il desiderio di partecipare alla battaglia in corso, la necessità di incoraggiare la Resistenza dandole la parola, nel momento in cui i suoi uomini stavano affrontando per le strade di Parigi le pattuglie tedesche, ebbe la meglio. Alle 22 e 31 della sera del 20 agosto 1944, dopo il lapidario annuncio «Qui radio nazionale francese», la Marsigliese veniva trasmessa via radio. Due giorni dopo, alle 16 del 22 agosto, era la volta del primo notiziario, aperto dalla chiamata alle armi fatta dallo Stato maggiore delle Forces Françaises de l’Intérieur. La radio, dopo quattro anni di asservimento all’occupante nazista, cominciava ad orchestrare l’insurrezione: dal pomeriggio inoltrato sino al mattino seguente la chiamata alle armi venne trasmessa ogni quarto d’ora, intervallata da musiche militari e sinfoniche, tra cui quelle di compositori messi al bando come Milhaud o Braïlowski. Il giorno successivo sarebbe stato mandato in onda il primo reportage, con la trasmissione di un’intervista al presidente del Consiglio nazionale della Resistenza, Georges Bidault, realizzata in un piccolo café nei pressi di Place de la République. Per altri tre giorni, dalla sede collocata in rue de l’Université, mentre nelle strade si combatteva furiosamente, la radio libera riuscì ad informare il pubblico e a far conoscere al mondo, ritrasmessa dalla BBC e dalla radio americana in Europa, le notizie provenienti da Parigi1. Il 25 agosto la capitale francese era liberata e l’inevitabile resa dei conti sempre più vicina. De Gaulle, dopo aver percorso gli Champs-Elysées tra due ali di folla festante ed essersi reinstallato nel suo ufficio al ministero della Guerra (abbandonato nel giugno 1940), per sottolineare la sua natura di «vettore» della continuità dello Stato francese, raggiunse l’Hôtel de Ville. Lì, nel luogo che aveva storicamente ospitato le proclamazioni rivoluzionarie e l’annuncio dei cambiamenti di

1 C. Brochand, Histoire générale de la radio et de la télévision en France, II, 1944-1974, Paris, La documentation

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regime, de Gaulle rifiutò di ripetere il rito: non era infatti necessario, come gli aveva suggerito Bidault, dichiarare decaduto il regime di Vichy perché esso non era mai esistito. Si trattava infatti di un sistema privo di legittimità, che non aveva interrotto la legalità repubblicana, incarnata dallo stesso de Gaulle a partire dall’appello del 18 giugno. Non per questo si potevano però chiudere gli occhi sulle complicità sulle quali Vichy aveva potuto contare e così il Generale, incontrando nel cortile antistante al municipio il neo-prefetto della Seine Marcel Flouret, gli espresse in modo chiaro il proprio stato d’animo: «Come siamo messi con l’epurazione?...Bisogna…che si venga a capo di questo problema in poche settimane»2.

Se esisteva un consenso generale per punire tutti coloro che avevano collaborato col sistema propagandistico di Vichy3, si comprendeva anche come la rottura con il passato sarebbe dovuta

passare attraverso una rifondazione dell’intero sistema informativo.

Il bilancio sarebbe stato, tuttavia, piuttosto ambiguo.

Nei quindici anni successivi il panorama mediatico sarebbe stato caratterizzato da alti e bassi nel settore della stampa (con la crisi dei quotidiani parigini e la progressiva affermazione dei titoli di provincia e dei settimanali), dall’affermazione della radio (alla quale contribuirono in buona parte le vivaci stazioni periferiche) e, infine, dal progressivo sviluppo di un mezzo destinato ad un grande futuro: la televisione. Al di là dello sviluppo di ogni singolo settore occorre tuttavia osservare come sul finire degli anni Cinquanta fosse rimasto ben poco dei propositi proclamati dalla Resistenza. Gli ideali che avevano accompagnato la Liberazione - la riaffermazione del ruolo dello Stato come garante del pluralismo, l’esclusione dei potentati economici, il ritrovato engagement intellettuale - si sarebbero ben presto dovuti scontrare con una realtà ben diversa. Da un lato le difficoltà finanziarie avrebbero reso necessario il ritorno dei capitali privati, dall’altro si assistette al riemergere di una tradizione di controllo ed ingerenza statale sui mezzi di comunicazione che in Francia risaliva sino ai tempi del telegrafo ottico di Chappe4, ma che nella congiuntura in questione fu estremamente esacerbata dall’emergenza politica prodotta delle guerre di decolonizzazione5.

L’epurazione degli organi di informazione compromessi con l’occupante nazista e con il regime di Vichy rappresentava una priorità politica della Resistenza. Le accuse più gravi erano rivolte

2 «Où en est l’épuration?...Il faut…qu’on règle cette question en quelques semaines…». Cfr. R. Aron, Histoire de la libération de la France, Paris, Fayard, 1959, p. 441.

3 Per un quadro della stampa francese nel periodo dell’occupazione vedi: P-M. Dioudonnat, L’Argent nazi à la conquête de la presse française 1940-1944, Paris, Jean Picollec, 1981; M. Cotta, La collaboration, 1940-1944,

Paris, Armand Colin, 1964; O. Wieviorka, Une certaine idée de la Résistance. Défense de la France, 1940-1949, Paris, Editions du Seuil, 1995.

4 P. Rosanvallon, L’état en France, Paris, Editions du Seuil, 1990, pp. 106-107.

5 F. d’Almeida – C. Delporte, Histoire des médias en France. De la Grande Guerre à nos jours, Paris, Flammarion,

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alla stampa6, che aveva tradito nel 1940 ma che già da tempo addietro aveva conosciuto un profondo declino etico ed inaccettabili compromessi morali, conseguenze inevitabili di un malsano rapporto di promiscuità con i potentati economici.

L’editoriale di apertura del primo numero di Combat, pubblicato il 21 agosto 1944, era piuttosto chiaro a tale riguardo:

«Non è più sufficiente riconquistare l’apparente libertà di cui si accontentava la Francia nel 1939. Avremmo compiuto un pessimo lavoro se la Repubblica francese di domani si trovasse, come avveniva durante la Terza Repubblica, sotto la stretta dipendenza del Capitale. […] Il Capitale non ha mai esercitato tante pressioni nefaste sul nostro popolo come a partire dal luglio 1940 e cioè dal momento in cui, favorendo l’ascesa al potere dei traditori, ha deciso, al fine di conservare ed incrementare i propri privilegi, di unire deliberatamente i propri interessi a quelli di Hitler»7.

Lo stesso Camus, sulle pagine del suo giornale, avrebbe precisato qualche giorno più tardi come le premesse del disastro del 1940 fossero in realtà già state poste dalla crisi morale che lo aveva preceduto:

«La fame di denaro e l’indifferenza verso la grandeur avevano agito congiuntamente per dare alla Francia una stampa che, esclusa qualche rara eccezione, non aveva altro scopo che accrescere il potere di qualcuno e altro effetto che abbassare la moralità di tutti. Non è stato dunque difficile, per questa stampa, diventare ciò che è stata tra il 1940 e il 1944, e cioè la vergogna del nostro paese»8.

6 L’epurazione colpì anche la radio, seppur in maniera minore e meno eclatante. Liste di collaborazionisti furono

stilate sotto la supervisione del Comitato di liberazione della radiodiffusione francese ed interessarono sia membri della radio pubblica che del piccolo mondo delle radio private. Cfr. R. Duval, Histoire de la radio en France, Paris, Editions Alain Moreau, 1979, pp. 359-360.

7 «Ce ne serait pas assez de reconquérir les apparences de liberté dont la France de 1939 devait se contenter. Et nous

n’aurions accompli qu’une infime partie de notre tâche si la République française de demain se trouvait comme la Troisième République sous la dépendance étroite de l’Argent. [...] Jamais l’Argent n’a plus lourdement pesé sur notre peuple que depuis juillet 1940, c’est-à-dire depuis l’époque où, hissant les traîtres au pouvoir, il a, pour conserver et accroître ses privilèges, délibérément lié ses intérêts à ceux de Hitler». Cfr. Le combat continue, «Combat», 21-8-1944, p. 1.

8 «L’appétit de l’argent et l’indifférence aux choses de la grandeur avaient opéré en même temps pour donner à la

France une presse qui, à des rares exceptions près, n’avait d’autre but que de grandir la puissance de quelques-uns et d’autre effet que d’avilir la moralité de tous. Il n’a donc pas été difficile à cette presse de devenir ce qu’elle a été de 1940 à 1944, c’est-à-dire la honte du pays». Cfr. A. Camus, Critique de la nouvelle Presse, «Combat», 31-8-1944, p. 1.

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Sempre nell’agosto 1944 Georges Duhamel, autorevole membro dell’Académie française, in un editoriale intitolato emblematicamente «Refaire un monde», esprimeva il totale rifiuto di ogni forma di propaganda, indicando la strada maestra che di lì in avanti la stampa avrebbe dovuto seguire per non cadere negli errori del passato: «Se la propaganda, per esistere ed operare, deve fondarsi necessariamente sulla menzogna e l’ipocrisia, allora la mia opinione è che si debba rinunciare alla propaganda! Ci si deve accontentare di dire la verità, di fare appello al buon senso e di dare l’esempio»9. Dare l’esempio: la stampa alla Liberazione era investita di una profonda missione morale, specie se si considera che, come aveva ricordato Camus: «spesso un paese vale quanto la propria stampa»10.

La volontà e l’esigenza di rompere con il passato erano in realtà emerse con forza ancor prima della Liberazione della capitale, con l’ordinanza del 6 maggio 1944 che aveva vietato la pubblicazione di tutti i titoli che si erano «venduti all’occupante»: la riaffermazione della libertà di stampa non sarebbe stata accompagnata dalla semplice punizione delle «personalità»11 che avevano collaborato con l’occupante. Si trattava di cancellare le pratiche del passato, di rompere completamente con il vecchio ambiente della carta stampata e di ricostruirne uno nuovo del tutto salubre12.

Il primo editoriale di Le Parisien Libéré, che aveva ripreso le pubblicazioni il 22 agosto 1944, intitolato Une presse neuve dans une France Libre, precisava:

«Per più di quattro anni, abbiamo dovuto subire l’umiliazione della Francia […]. Ogni giorno giornali venduti al nemico hanno tentato di avvelenare l’anima della Patria, di distrarre il popolo francese dai suoi doveri, nel tentativo di spingerlo sulla via del tradimento. La voce profonda della Francia ha risposto. E la stampa patriottica clandestina non ha mai smesso di proclamare il proprio orgoglio, denunciando la menzogna. Per i vigliacchi che facevano proprie le parole d’ordine dei raduni nazisti è finita. La volontà francese si è affermata unanime. Essa ora pretende la vittoria»13.

9 «Si la propagande, pour exister et faire son oeuvre, doit nécessairement être fondée sur le mensonge et

l’hypocrisie, alors je reponds: qu’on rénonce à la propagande! Qu’on se contente de dire la vérité, d’en appeler au bon sens et de donner l’exemple». Cfr. G. Duhamel, Refaire un monde, «Le Parisien Libéré», 26-8-1944, p. 1

10 «Un pays vaut souvent ce que vaut sa presse». Cfr. A. Camus, Critique de la nouvelle Presse, «Combat»,

31-8-1944, p. 1.

11 L’epurazione dei giornalisti sarà molto più blanda rispetto alle sanzioni rivolte alle imprese economiche. Per

quello che riguarda i giornalisti della carta stampata se in alcuni casi (celebre quello di Brasillach) si arriverà sino all’esecuzione, la norma per i colpevoli sarà una sospensione temporanea. Su 9000 dossiers analizzati si conteranno circa 700 sospensioni temporanee, il 90% delle quali per un tempo inferiore ai due anni. Stesso discorso valse per i giornalisti radiofonici: la commissione incaricata dell’epurazione, presieduta dal ministro dell’Informazione adottò la mano leggera: su 600 dossier presi in considerazione, appena il 6% venne giudicato meritevole di sanzione.

12 J-C. Bellanger et al. (a cura di), Histoire générale de la presse française, IV, De 1940 à 1958, Paris, Puf, 1975,

pp. 186-189.

13 «Pendant plus de quatre ans nous avons dû subir l’humiliation de la France [...]. Chaque jour des journaux vendus

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La stampa collaborazionista aveva tentato di intossicare l’anima del paese: alla nuova stampa democratica spettava ora il compito di risollevare l’onore nazionale.

L’ordinanza del 30 settembre 1944 definiva i criteri che avrebbero sancito la soppressione dei giornali compromessi:

«É, e resta vietata la pubblicazione:

1. Di tutti i giornali che hanno iniziato a comparire dopo il 25 giugno 1940

2. Di tutti i quotidiani e periodici che, già in vita prima del 25 giugno 1940, hanno continuato ad apparire più di quindici giorni dopo l’armistizio nei territori che

costituivano durante l’occupazione nemica la zona Nord, e più di quindici giorni dopo l’11 novembre 1942 nei territori che costituivano la zona Sud»14.

Il panorama della stampa nazionale ne uscì completamente rivoluzionato, con la quasi totalità dei titoli cancellata. Un rigore che, al di là della punizione dei singoli giornalisti compromessi con il regime di Vichy15, fece della Francia un caso assolutamente singolare nel panorama dell’Europa occidentale.

Altro dato degno di nota dell’ordinanza erano le disposizioni riguardanti la zona Sud. Ne emergeva da un lato la tacita ammissione che Vichy, sino al novembre 1942, fosse ancora «Francia», dall’altro la concessione di quindici giorni ulteriori rispetto alle date indicate dall’ordinanza non era casuale: permetteva infatti di salvare Le Figaro, mentre condannava Le Temps, al quale il Generale de Gaulle non aveva perdonato il sostegno a Pétain16.

Nel 1945 il paese pareva in preda ad un’euforia informativa: a Parigi la popolazione ritrovò i quotidiani vietati o auto-sospesi al momento dell’armistizio: L’Humanité, Le Populaire, L’Aube e cominciò a familiarizzare con i nuovi titoli: Le Monde, Combat, France-Soir, Le Parisien-Libéré. Il 6 settembre 1944 aveva ripreso le pubblicazioni anche il settimanale satirico Le

l’entraîner sur les chemins de la trahison. La voix de la France a répondu. Et la presse patriote clandestine n’a cessé de clamer sa fierté résolue en denonçant le mensonge. C’en est fini pour les faussaires qui prenaient leurs mots d’ordre dans les officines nazies. Unanime la volonté française s’est affirmée. Elle exige sa victoire». Cfr. Une

presse neuve dans une France libre, «Le Parisien Libéré», 22-8-1944, p. 1.

14 «Est et demeure interdite la publication: 1. De tous les journaux périodiques qui ont commencé à paraître après le

25 juin 1940; 2. De tous les journaux et périodiques qui, en existant antérieurement au 25 juin 1940, ont continué à paraître plus de quinze jours après l’armistice dans les territoires qui constituaient pendant l’occupation ennemie la zone Nord, et plus de quinze jours après le 11 novembre 1942 dans les territoires constituant la zone Sud». Cfr. F. d’Almeida – C. Delporte, Histoire des médias en France, op. cit., p. 140.

15 Cfr. C. Delporte, “La trahison du clerc ordinaire”: l’épuration professionnelle des journalistes (1944-1948), in

«Revue Historique», 292, 1994, pp. 347-375.

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Canard enchaîné17 il cui motto, coniato dal fondatore della testata, Maurice Maréchal, era davvero emblematico: «una risata devastatrice, per rendere ridicolo ciò che è cattivo».

Le vendite raggiunsero e superarono rapidamente gli standard del periodo precedente la guerra ma il dato più significativo fu la ristrutturazione del panorama editoriale: a guidare il rilancio fu infatti in primo luogo la stampa regionale (Ouest- France, La Voix du Nord, Le Provençal, L’Est Républicain, ecc.) che si impose in modo netto su quella parigina-nazionale. I 26 quotidiani parigini nel corso del 1945 si mantennero ai livelli del 1938, con una diffusione complessiva di 4.606.000 copie giornaliere, contro i 7.532.000 copie dei 153 quotidiani locali, cresciuti di oltre il 65% rispetto all’anteguerra.

17 Per una ricostruzione della storia del settimanale vedi: L. Martin, Le Canard enchaîné ou les Fortunes de la vertu. Histoire d’un journal satyrique: 1914-2000, Paris, Flammarion, 2001; M. Laurent, Le Canard enchaîné. Histoire d'un journal satirique 1915-2005, Paris, Nouveau Monde, 2005.

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Tab. 1 - Quotidiani di informazione generale e politica (tiratura in migliaia di esemplari)

Fonte: J-M. Charon, La presse en France de 1945 à nos jours, Paris, Editions du Seuil, 1991, p. 94.

ANNO QUOTIDIANI NAZIONALI QUOTIDIANI LOCALI TOTALE

Numero titoli Tiratura totale Numero titoli

Tiratura totale Tiratura totale 1945 26 4606 153 7532 12138 1946 28 5959 175 9165 15124 1947 19 4702 161 8165 12867 1948 18 4450 142 7859 12309 1949 16 3792 139 7417 11209 1950 16 3678 126 7256 10934 1951 15 3607 122 6634 10241 1952 14 3412 117 6188 9600 1953 12 3514 116 6458 9972 1954 12 3618 116 6559 10177 1955 13 3779 116 6823 10602 1956 14 4441 111 6958 11399 1957 13 4226 110 7254 11480 1958 13 4373 110 7294 11667 1959 13 3980 103 6930 10910 1960 13 4185 98 7170 11355 1961 13 4239 96 7087 11326 1962 13 4207 96 7198 11405 1963 14 4121 94 7434 11555 1964 14 4107 93 7617 11724 1965 13 4211 92 7857 12068

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Tab. 2 - Principali tirature dei quotidiani (in migliaia - Dic 1944)

PARIGI PROVINCIA

Quotidiano Tiratura

totale

Quotidiano Tiratura totale

L’Humanité 326 Ouest-France 300

Ce Soir 288 La Voix du Nord 300

France-Soir 264 Les Allobroges 227

Le Populaire 235 Nord-Matin 185

Le Parisien libéré 222 Sud-Ouest 180

Libération 196 La Nouvelle République du CO 180

Combat 185 La Marseillaise 180

Franc-Tireur 182 Le Provençal 180

Front national 172 L’Est républicain 150

Résistance 160 Le Progrès de Lyon 136

Le Monde 150 L’Union 120

L’Aube 148 Les Dernières Nouvelles

d’Alsace

110

Fonte: F. d’Almeida – C. Delporte, Histoire des médias en France. De la Grande Guerre à nos jours, Paris, Flammarion, 2003, p. 147.

Il recupero della stampa regionale su quella nazionale era in realtà iniziato al termine della prima guerra mondiale, con le due cifre che erano andate convergendo progressivamente sino all’equilibrio raggiunto sul finire degli anni Trenta. L’evoluzione registrata all’indomani del secondo conflitto mondiale rappresentava così per la Francia un vero e proprio cambio di paradigma sancendo, quantomeno a livello di diffusione, il predominio della stampa locale. Storicamente, a livello internazionale, si individuano infatti due modelli di riferimento: quello statunitense, con una stampa tradizionalmente radicata a livello locale e collegata alle grandi metropoli (New York, Washington, Los Angeles) e quello giapponese, caratterizzato dalla presenza di solidissime testate nazionali (lo Yomiuri Shimbun e lo Asahi Shimbun, i due quotidiani più venduti al mondo, tra edizione del mattino e serale, superano oggi rispettivamente i 14 e i 12 milioni di copie18) diffuse su un territorio molto vasto ed eterogeneo. In Europa, sino alla Seconda guerra mondiale, coabitavano due tipologie differenti rappresentate da un lato c’erano Gran Bretagna e Francia, caratterizzate dalla centralità della stampa nazionale, dall’altro

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si collocavano invece i paesi federali o quelli attraversati da divisioni linguistiche, come la Germania, il Belgio o la Svizzera che privilegiavano una stampa essenzialmente regionale e centrata su alcune delle principali realtà dei rispettivi paesi (Francoforte, Amburgo, Bruxelles, Ginevra, Losanna)19. A partire dal secondo dopoguerra la Francia è slittata dal primo al secondo gruppo raggiungendo, per tirature e vendite (ma non per prestigio e qualità, ancora appannaggio dei principali quotidiani parigini), i paesi caratterizzati da una stampa regionale forte. Un percorso quasi opposto a quello affrontato dall’Italia che, a partire dagli anni Settanta e dallo spazio rilevante conquistato da un quotidiano «nazionale» come La Repubblica, ha conosciuto una prima evoluzione di un sistema altrimenti centrato sui maggiori poli culturali, politici ed economici del paese (Milano, Torino, Roma).

Se la centralità della stampa regionale si sarebbe rivelata una costante di lungo periodo, ancora valida ad oggi, un altro tratto distintivo della stampa francese sarebbe stato costituito dall’ingerenza di uno Stato poco disposto a confinare la propria missione al ruolo di arbitro. L’esempio più significativo e precoce di questo interventismo è costituito dalla nascita del quotidiano Le Monde20, nel novembre 1944, per volontà stessa del Generale de Gaulle. Il capo del governo provvisorio affidò il compito ad una personalità di primo piano come Hubert Beuve-Méry, ma si cautelò facendo introdurre alcuni suoi fedelissimi nei posti chiave. Christian Funck-Brentano, futuro membro del Consiglio nazionale dell’Unione gollista per la IV Repubblica (fondata nel 1946, ed embrione del Rassemblement du peuple français) fu nominato nella direzione stessa del giornale. Della redazione facevano parte altri gollisti di vecchia data, come Maurice Ferro e Edouard Sablier, ufficiali della Francia Libera, e Rémy Roure, gollista ante litteram, che aveva conosciuto l’allora capitano Charles de Gaulle già nel 1917, durante la prigionia nel forte IX di Ingolstadt, in Baviera21, prima di seguirlo nella fase della Resistenza a partire dal giugno 1940.

Più in generale, comunque, gli ambiti sui quali si dispiegò l’attivismo governativo furono molteplici.

Il primo fu quello del controllo dell’informazione che, sino al 15 giugno 1945, venne regolata da una censura preventiva giustificata dal proseguire delle ostilità. Il secondo riguardò una normazione particolarmente rigida, che fissava il quadro di una rigida eguaglianza tra le testate, relativa al prezzo di vendita, alla quantità di carta a disposizione, al formato e alla periodicità di ciascun titolo. Un ulteriore ambito di intervento riguardò le strutture «connesse» al sistema:

19 J-M. Charon, La presse en France de 1945 à nos jours, Paris, Editions du Seuil, 1991, pp. 137-138.

20 Per una ricostruzione della genesi del quotidiano rinvio a: J-N. Jeanneney – J. Julliard, «Le Monde» de Beuve-Méry ou le métier d’Alceste, Paris, Le Seuil 1979 e P. Evéno, «Le Monde» 1944-1995. Histoire d’une entreprise de presse, Paris, Le Monde Editions, 1996.

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messaggerie, agenzie di informazione, aziende pubblicitarie, imprese che assicuravano il rifornimento di carta. Tutte queste strutture quando non direttamente statalizzate, furono vincolate ad un rigido controllo ed intervento pubblico.

La statalizzazione delle fonti di informazione fu decretata dalla creazione dell’Agence France Presse, istituto pubblico a carattere industriale e commerciale, finanziato dallo Stato e gestito da un direttore generale posto sotto l’autorità del ministro dell’Informazione.

Per le imprese della carta stampata, insomma, il ricorso al settore privato era considerato come una sorta di «male necessario», come l’unica soluzione, benchè imperfetta e dunque da sorvegliare, capace di garantire il pluralismo all’interno di un sistema democratico.

Le riserve nei confronti delle distorsioni prodotte dall’economia di mercato e dei potentati economici dell’anteguerra portarono a definire e a delimitare in modo ancora più minuzioso l’attività delle imprese private della carta stampata. Questo fu fatto attraverso tre ulteriori vincoli normativi: l’obbligo della trasparenza (obbligo per i giornali di informare periodicamente il lettore circa la proprietà del giornale, il suo bilancio, la sua diffusione, ecc.), i limiti alla concentrazione (tanto orizzontale, con il divieto per i proprietari di guidare più di una testata, quanto verticale, con il divieto per il proprietario di un quotidiano di gestirne l’intero processo produttivo) e l’indipendenza verso attività straniere o estranee al settore editoriale (divieto di legami con partner stranieri o con imprese commerciali o industriali francesi di qualsiasi altro settore)22.

Gli innumerevoli progetti di legge proposti nei primi anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale, che avevano per obiettivo la definizione di uno statuto giuridico delle imprese editoriali, fallirono l’uno dopo l’altro. Il carattere istituzionale della questione rese infatti particolarmente difficile l’emergere di un consenso e di una maggioranza su questi progetti, mentre il panorama politico era attraversato da fratture sempre più profonde che avevano accompagnato l’uscita di scena di de Gaulle e la progressiva estromissione del Partito comunista dalla maggioranza di governo.

In assenza di un quadro normativo chiaro il cortocircuito economico che rendeva strutturalmente insostenibile l’equilibrio finanziario delle testate obbligò, in una prima fase, lo Stato a compensare le storture attraverso un sistema di aiuti pubblici diretti ed indiretti.

Alla dipendenza nei confronti dei grandi gruppi economici si sostituì così, progressivamente, quella nei confronti dello Stato: il confronto con il caso tedesco è, da questo punto di vista illuminante23. In entrambe le realtà era necessario rompere con il passato: collaborazione per la Francia, sostegno al regime nazista per la Germania. Le scelte operate alla fine della Seconda

22 J-M. Charon, La presse en France de 1945 à nos jours, op. cit., pp. 54-55. 23 Ivi, pp. 69-71.

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guerra mondiale dalle autorità di occupazione nella Repubblica federale tedesca e quelle messe in atto dal governo provvisorio francese furono però di segno opposto: nel caso tedesco, infatti, la struttura privata del sistema non venne messa in discussione, cosa che invece fu fatta al di là del Reno. Le autorità di occupazione considerarono cioè che il ritorno (ovviamente monitorato24) dei capitali privati nella stampa avrebbe conferito al settore quella prosperità che avrebbe rappresentato l’argine migliore contro il pericolo di un ritorno dell’ingerenza dello Stato tramite aiuti finanziari o società miste. Il solo limite all’iniziativa privata riguardava i fenomeni di eccessiva concentrazione, per vigilare sui quali venne istituita una commissione anti-trust sul modello statunitense. In Francia, al contrario, la fiducia nell’economia di mercato nell’ambito della stampa era piuttosto ridotta. L’immagine dello Stato era uscita tutto sommato intatta dal periodo dell’occupazione e dal regime di Vichy (considerata come un potere illegittimo e un semplice prolungamento del regime d’occupazione) e fu così possibile per il nuovo esecutivo nato dalla Resistenza tornare ad occupare il posto che la tradizione francese gli riservava storicamente: quello di garante delle libertà e del pluralismo, di fronte ad attori privati considerati con sospetto. Le letture e le scelte differenti operate alla Liberazione avrebbero dato vita a due sistemi costruiti su basi completamente differenti: da un lato un patronato mosso da una grande vitalità imprenditoriale avrebbe guidato e fatto prosperare testate fondate su base, essenzialmente, regionale. In Francia, invece, si affermò una «sociologia particolare» del milieu della stampa e dei suoi dirigenti, il cui rapporto con la logica industriale e commerciale sarebbe stato estremamente problematico25.

Ma, ancor più che nella stampa, sarebbe stato nella radio che l’intervento statale si sarebbe fatto sempre più incisivo.

Nel corso del 1943, in piena occupazione nazista, era stato stampato a Parigi il cosiddetto cahier bleu, documento redatto congiuntamente dalla Federazione nazionale della stampa clandestina e dal Comitato francese di liberazione e che preannunciava le principali disposizioni da realizzare alla Liberazione in materia di informazione relativamente a stampa, radio e cinema. Nel documento si leggeva:

«[...] È necessario dare alla radio, sul piano dell’organizzazione e della realizzazione di trasmissioni, un primato assoluto. Tale esigenza risponde ovviamente a preoccupazioni pratiche,

24 Tra i primi cui venne consentito di pubblicare quotidiani fu proprio Axel Springer, capostipite di una delle

maggiori case editrici a livello mondiale (pubblica, solo tra i quotidiani Die Welt e Bild) in virtù dell’opposizione al nazismo del padre, a sua volta editore.

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ma anche a ragioni di natura politica. Pratiche perché la radio, ancora più che in tempi normali, sarà il mezzo di comunicazione più potente in un periodo nel quale la distribuzione se non addirittura la stampa dei quotidiani sarà impossibile. Politiche perché occorre evitare che la nostra impreparazione in questo ambito possa costituire il pretesto agli uomini d’affari che arriveranno al seguito degli eserciti di liberazione per impadronirsi della nostra radio. Sarebbe per loro, come per i loro omologhi francesi, l’occasione per far trionfare in Francia idee che abbiamo condannato. D’altro canto se saremo capaci di gestire le trasmissioni ed il personale radiofonico non solo eviteremo di sottometterci agli ordini dei liberatori, ma anche di essere influenzati dalle loro idee»26.

Si ritrovavano già, in questo documento embrionale, tutti i tratti fondamentali che avrebbero caratterizzato l’atteggiamento verso i media di massa della futura «Repubblica pura e dura» della Liberazione: riaffermazione del monopolio statale come unico sistema capace di garantire la libertà e l’indipendenza del sistema mediatico, difesa del carattere nazionale dell’informazione, tentativo di impedire l’ingresso, sotto qualsiasi forma, dei capitali privati nel settore.

L’instaurazione del monopolio sulla radiodiffusione, posta sotto l’autorità diretta del ministro dell’Informazione con l’ordinanza del 26 marzo 1945 che ritirava tutte le autorizzazioni accordate prima della guerra alle radio private, parve così l’unica garanzia per la nascita di una informazione di servizio pubblico, obiettiva, imparziale, nazionale. A garantire ulteriormente il nuovo sistema intervenne poi una serie di nomine di giornalisti appartenenti alle grandi formazioni politiche che stavano partecipando in prima persona alla ricostruzione del paese e alla guida del governo: socialisti, comunisti, democristiani (MRP).

Unico modo per garantire un’autentica democraticità dell’informazione nell’immediato dopoguerra fu dunque assicurarsi che la direzione del radio-giornale, in seguito all’ordinanza del 20 settembre 1945, dipendesse direttamente dal ministero dell’Informazione. Per tutti era evidente che si sarebbe trattato di una soluzione di compromesso, in attesa che la fase di emergenza venisse superata. Ed, infatti, la questione dello statuto della radio venne affrontata già in sede costituente, quando sia i comunisti, attraverso il deputato Fernand Grenier, sia i socialisti con Jean Biondi, informarono l’Assemblea che i rispettivi gruppi avevano elaborato un progetto

26 «Il conviendra de donner à la radio, sur le plan de l’organisation et des réalisations, une primauté absolue. Cette

exigence répond à des préoccupations pratiques, certes, mais aussi politiques. Pratiques, parce que la radio, plus encore qu’en temps normal, en une période où la diffusion sinon l’impression des journaux sera sans doute impossible, sera le mode d’expression le plus large et le plus puissant. Politiques, parce qu’il faut éviter que notre carence dans ce domaine puisse servir de prétexte aux hommes d’affaires qui arriveront dans les fourgons des armées de libération pour mettre la main sur notre radio. Ce serait pour eux comme pour leurs correspondants en France, l’occasion de faire triompher dans ce domaine des doctrines que nous avons condamnées. D’autre part, nous serons moins inexorablement soumis non seulement aux consignes, mais encore aux inspirations des libérateurs si ce n’est pas à eux que nous devons nos émetteurs et leur personnel». Cfr. R. Duval, Histoire de la radio en France, op.

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di statuto. Iniziava qui l’annosa vicenda dello statuto della radio, che le improvvise fratture politiche che divisero il paese, come era avvenuto per la stampa, fecero rinviare ad un futuro indeterminato. La IV Repubblica vide succedersi ben 16 progetti di legge, senza che nessuno ottenesse l’approvazione di un Parlamento legato ben presto a sempre più instabili maggioranze. Nel frattempo, mentre lo Stato estendeva il proprio controllo sul settore radiofonico recuperando attraverso la Società francese di radiodiffusione (Sofira, poi Sofirad) le quote di Vichy sulle emittenti periferiche Radio Monte-Carlo e Radio-Andorra (rispettivamente l’80% e il 97%), la programmazione riprendeva regolarmente. Il territorio nazionale era coperto da due canali: quello nazionale, a vocazione prevalentemente culturale, che trasmetteva pressoché ininterrottamente dalle 6h30 del mattino a mezzanotte e quello parigino, a vocazione prevalentemente popolare, che trasmetteva a tre intervalli: 6h30-8h45; 12h – 14h; 18h30-23h. Nel febbraio 1946 la creazione de La Tribune de Paris e, soprattutto, de La Tribune des journalistes parlementaires, trasmissione settimanale di dibattito tra giornalisti della carta stampata rappresentativi di differenti correnti politiche, parve il segnale di una prima apertura al pluralismo politico.

Ben presto, però, con l’uscita di scena di de Gaulle, il 20 gennaio 1946, e la fine delle larghe intese politiche, governi sempre più insicuri cercarono di istituzionalizzare il proprio controllo sull’informazione. Il 15 marzo 1946 Wladimir Porché veniva nominato nuovo direttore generale27. Lo stesso giorno, il segretario di Stato all’Informazione, Gaston Defferre, nominò tramite ordinanza il nuovo «direttore politico del radiogiornale», Henri Noguères, caporedattore del quotidiano socialista Populaire. Se già la creazione di questo ruolo rappresentava un implicito riconoscimento di un’ingerenza politica sul sistema informativo, la nomina di Noguères rappresentava un’esplicita violazione della lettera e dei principi proclamati nel citato cahier bleu della Resistenza. Vi si leggeva infatti testualmente che:

«Né il caporedattore né il direttore di un giornale della carta stampata potranno in alcun caso essere posti al vertice della redazione del radiogiornale. Si eviterà in questo modo, e attraverso tutte le altre misure che le circostanze renderanno necessarie, l’assoggettamento della carta stampata alla radio»28.

27 Nonostante la grande instabilità governativa che caratterizzerà i governi della IV Repubblica, Wladimir Porché

resterà al proprio incarico per ben dieci anni.

28 «Le rédacteur en chef ni le directeur d’un journal imprimé ne seront en aucun cas placés à la tête de l’équipe

rédactionnelle du journal parlé. On evitera de la sorte, et par toutes mésures qu’imposeront les circonstances, la mainmise de la presse imprimée sur la presse parlée». Cfr. R. Duval, Histoire de la radio en France, op. cit., pp. 363-364.

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La svolta era stata ormai intrapresa: priva di uno statuto e assoggettata ai voleri dell’esecutivo la radio francese non sarebbe più stata un monopolio statale ma governativo, condannata a diventare, secondo la celebre espressione del leader moderato Paul Reynaud, «la radio più disciplinata d’Europa»29.

E il peccato originale avrebbe continuato a macchiare anche i nuovi nati: se nel corso degli anni Sessanta l’attenzione del potere avrebbe preso le distanze dalla radio per concentrarsi prevalentemente sul piccolo schermo, la Francia si sarebbe ben presto trovata a vivere in una «telecrazia»30, mentre anche all’estero si riconosceva, come fece il Sunday Telegraph che «la Francia è diventata il primo paese occidentale a disporre di un organismo di informazione di Stato il cui potenziale propagandistico supera quello delle dittature del passato e si avvicina a quello del comunismo odierno»31.

29 J. Montaldo, Dossier O.R.T.F. 1944-1974. Tous coupables, Paris, Albin Michel, 1974, p. 74. 30 La France vit-elle en “télécratie”?, in «Preuves», novembre 1963, p. 13.

31 Citato in A. Morice, Où en est l’information en France?, in «Revue politique des idées et des institutions», janvier

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I mass media in Francia tra il 1944 e il 1958

La realtà dei fatti mostrava sul finire degli anni Quaranta come tanto la stampa quanto la radio (la televisione, sino alla metà degli anni Cinquanta, in virtù della sua scarsa diffusione, fu assolutamente ignorata dal potere politico) fossero ampiamente uscite dalla strada maestra tracciata alla Liberazione: la natura monopolistica del settore radiofonico, associata all’assenza di un qualsiasi statuto, consentiva al potere politico un’ingerenza potenzialmente assoluta. A decretare un’evoluzione significativa delle pratiche governative sarebbe stato un episodio che ebbe per protagonisti, nel marzo 1947, il presidente del Consiglio Ramadier e lo stesso Generale de Gaulle.

Abbandonata la guida del governo il 20 gennaio 1946, de Gaulle era entrato nel vivo del dibattito politico già dall’estate dello stesso anno, prima con il celebre discorso di Bayeux (16 giugno 1946), poi con quello di Épinal (29 settembre 1946), nei quali aveva fatto conoscere apertamente il proprio rifiuto delle istituzioni proposte ai francesi e la propria concezione della carta costituzionale. Paul Ramadier32, che tra il 1944 e il 1945 era stato ministro incaricato

dell’Approvigionamento nel governo provvisorio guidato da de Gaulle (guadagnandosi i soprannomi di «Ramadan» e «Ramadiète») aveva allora reagito in un articolo pubblicato sul quotidiano del proprio dipartimento, L’Aveyron libre con queste parole:

«Nella storia francese il Presidente che governa direttamente ed è irresponsabile nei confronti del Parlamento ha un nome: è Luigi Napoleone Bonaparte. Il generale de Gaulle ha mostrato, a gennaio, il suo rispetto della responsabilità parlamentare. Il suo abbandono del potere non ha altra ragione che non il suo disaccordo con la maggioranza. Davvero non riesco a capire il suo comportamento!»33.

Se lo spettro del regime personale, reso più vivo dal parallelo con figure storiche che quel sistema avevano incarnato, sarebbe stata da allora in avanti una costante delle pratiche di

32 Per una ricostruzione della biografia di Paul Ramdier rinvio agli atti del grande convegno del dicembre 1989

raccolti nel volume: S. Berstein (a cura di), Paul Ramadier, la République et le socialisme, Bruxelles, Complexe, 1990 e al libro di A. Fonvieille-Vojtovic, Paul Ramadier (1868-1961), élu local et homme d'État, Paris, Publications de la Sorbonne, 1993.

33 «Le Président irresponsable devant le Parlement et gouvernant directement, il a un nom dans l’histoire de France:

c’est Louis-Napoléon Bonaparte. Le général de Gaulle a montré, en janvier, son respect de la responsabilité parlementaire. Sa retraite n’a pas d’autre cause que son désaccord avec la majorité. Alors, je ne comprends pas!». Citato in P. Foro, Paul Ramadier et le gaullisme (1947-1958), in «Annales du Midi. Revue de la France méridionale», n°230, Avril-Juin 2000, p. 203.

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delegittimazione gollista sia durante la IV che nel corso della V Repubblica, la risposta socialista ai primi proclami di de Gaulle fu, tutto sommato, contenuta. La volontà di preservare dalle critiche la persona del generale de Gaulle era in linea con la posizione sostenuta da Guy Mollet davanti al direttivo della SFIO nel settembre 1946: «Quello che condanniamo è il comportamento, l’intrusione ingiustificata, non la persona di de Gaulle»34.

Ma il Generale aveva ormai deciso di rientrare sulla scena alla guida di una nuova formazione che avrebbe dovuto riunire tutti i francesi al di là delle singole fedi politiche: la creazione del Rassemblement du Peuple Français, dalla cui sigla era stato accuratamente escluso ogni riferimento al sostantivo «partito», sarebbe avvenuta il 7 aprile 1947 a Strasburgo35.

La settimana precedente de Gaulle, commemorando a Bruneval un’azione di un commando britannico contro una postazione tedesca avvenuta cinque anni prima aveva però, di fatto, già annunciato le proprie intenzioni:

«I tempi sono troppo difficili, la vita è troppo incerta, il mondo è troppo duro per potere vegetare nelle tenebre ancora a lungo senza correre un pericolo mortale. Il nostro popolo è ferito gravemente, ma basta ascoltare il battito del suo cuore sventurato per capire che vuole vivere, guarire, risorgere. Sta per venire il giorno in cui, rifiutando sterili giochi e riformando la cornice [costituzionale] nella quale la nazione si sta smarrendo e lo Stato perdendo dignità, l’immensa massa dei Francesi si radunerà attorno alla Francia»36.

Lo stesso giorno il presidente del Consiglio, Paul Ramadier, colto di sorpresa dal discorso di de Gaulle mentre si trovava a Capdenac, nel suo dipartimento dell’Aveyron, replicò:

«Tutte le forze francesi si riuniscono vittoriosamente perché sono nate da un’idea e non dal valore effimero di un uomo. Vi ripeterò questa frase: “Non c’è bisogno di salvatori supremi, di

34 «Ce que nous condamnons, c’est le geste, l’intrusion et non la personne de de Gaulle». Cfr. Ibidem.

35 Il periodo 1947-1955, quello del RPF per l’appunto, è il periodo meno conosciuto della storia gollista. Oltre alle

opere generali dedicate al «gollismo di opposizione» da Jean Charlot, Le gaullisme d’opposition 1946-58, Paris, Fayard, 1983, C. Purtschet, Le Rassemblement du Peuple Français, Paris, Cujas, 1955 e L. Terrenoire, De Gaulle

1947-1954. Pourquoi l’échec? Du RPF à la Traversée du désert, Paris, Plon, 1981, rinvio ai più recenti atti del

colloquio tenuto a Bordeaux nel novembre 1997 raccolti nel volume De Gaulle et le Rassemblement du peuple

français (1947-1955), Paris, Armand Colin, 1998.

36 «Mais les temps sont trop difficiles, la vie est trop incertaine, le monde est trop dur, pour que l’on puisse

longtemps, sans courir un péril mortel, végéter dans les ténèbres. Notre peuple porte de graves blessures, mais il suffit d’écouter battre son coeur malheureux pour connaître qu’il entend vivre, guérir, grandir. Le jour va venir où, rejetant les jeux stériles et réformant le cadre mal bâti où s’égare la nation et se disqualifie l’État, la masse immense des Français se rassemblera sur la France» Cfr. C. de Gaulle, Discours et messages, II, op. cit., pp. 45-46.

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un Cesare o di un tribuno […]. Al di fuori della Repubblica, della Democrazia, non può esistere che la discordia e chiunque si ponga contro di loro, si pone contro la Francia”»37.

La condanna delle tesi golliste era chiara quanto lo erano le diverse concezioni della République difese dal presidente del Consiglio e dall’uomo del 18 giugno. Sulle pagine de Le Populaire Henri Noguères, caporedattore del quotidiano socialista (e direttore politico del radiogiornale ndr), commentò: «I francesi che hanno potuto misurare, non molto tempo fa, il pericoloso fascino del potere personale, hanno già scelto»38.

Nonostante l’inasprirsi dei toni ad essere criticate erano ancora le posizioni politiche del Generale e non la sua persona, che non rappresentava una sfida per le solide istituzioni repubblicane. L’attendismo socialista in questa fase risalta soprattutto se confrontato alla immediata reazione comunista che, pur riconoscendo di non avere «precisi dettagli» sulla manifestazione di Strasburgo del 7 aprile, annunciò con qualche giorno d’anticipo cosa ci sarebbe stato da aspettarsi: «Basta ricordarsi delle adunate delle Croix de Feu prima della guerra e aggiornare qualche dettaglio. Lo sfondo della scena resta lo stesso. L’unica differenza è che non si griderà più “La Rocque al potere”, ma “De Gaulle al potere”»39.

Nel tentativo estremo di prevenire le intenzioni espresse dal Generale Ramadier si recò in gran segreto a trovarlo nella sua tenuta di campagna a Colombey-les-Deux-Eglises, per annunciargli che un eventuale rientro nella politica attiva gli sarebbe costato la cancellazione di tutti gli elementi del protocollo che accompagnavano i suoi discorsi, nonchè la mancata diffusione degli stessi sulle frequenze radiofoniche. Il Generale rispose in modo seccato: «Ogni volta che faccio un discorso, è un discorso politico. Faccia quello che vuole»40. Ramadier, lo avvertì per l’ultma

volta: «Stia attento a non diventare un elemento di divisione»41. Ma de Gaulle mostrò di non

avere alcuna intenzione di modificare i propri progetti: «Non terrò conto dei suoi consigli» e, accompagnando Ramadier alla porta, con tono ironico, alludendo all’ennesima crisi ministeriale

37 «Toutes les forces françaises se rassemblent victorieusement parce qu’elles sont nées par une idée et non par la

grandeur éphemère d’un homme. Je vous répéterai cette phrase: “Il n’est point de sauveur suprême, ni César, ni tribun [...] En dehors de la République, de la Démocratie, il ne peut y avoir que des discordes et tous ceux qui s’élèvent contre elles s’élèvent contre la France». Cfr. P. Foro, Paul Ramadier et le gaullisme (1947-1958), cit., p. 201.

38 «Les Français, qui ont pu apprécier, il n’y a pas si longtemps, les charmes du pouvoir personnel, ont déjà choisi».

Cfr. H. Noguères, Réponse populaire, «Le Populaire», 1-4-1947, p. 1.

39 «Il suffit de se reporter aux ressemblements Croix de Feu d’avant-guerre et de rajeunir légèrement quelques

détails. Le fond du décor reste le même. Seulement, on ne criera plus: “La Rocque au pouvoir”, on criera “De Gaulle au pouvoir”». Cfr. «L’Humanité», 5-4-1947, p. 1.

40 « Chaque fois que je fais un discours, c’est un discours politique. Faites donc ce que vous voudrez». Cfr. V.

Auriol, Journal du septennat 1947-1954, I, 1947, Paris, Armand Colin, 1970, p. 178.

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in corso: «I miei più sinceri complimenti per il suo governo»42.

Dopo aver riferito dell’incontro al presidente della Repubblica Vincent Auriol il 2 aprile, in occasione del Consiglio dei Ministri, Ramadier annunciò che in occasione del discorso del Generale a Strasburgo, previsto per il lunedì successivo, non ci sarebbero state né autorità, né truppe, né musica militare, eccezion fatta davanti al monumento ai caduti. Precisò inoltre che la radio avrebbe menzionato i discorsi del Generale senza riproduzione integrale né registrazione diretta43. Da allora in avanti gli elementi del protocollo sarebbero stati concessi soltanto in

occasione dei discorsi «non politici» tenuti dal Generale.

Se la perplessità di alcuni ministri e del presidente della Repubblica riguardò la possibilità di distinguere i discorsi del capo della Resistenza da quelli dell’uomo politico in guerra contro le istituzioni della IV Repubblica, nessuna voce si oppose all’ostracismo radiofonico proposto dal presidente del Consiglio e giudicato «saggio» dallo stesso capo dello Stato44. Non era forse lecito

che lo Stato vietasse le proprie onde a chi definiva i partiti «questi feudatari […] che tengono prigioniera la Repubblica»45, a chi a Strasburgo aveva dichiarato espressamente di essere

favorevole a una «riforma profonda dello Stato» da realizzarsi «al di sopra delle differenze di opinione»46?

Su Le Populaire, Léon Blum aveva qualche giorno prima ricordato che «la democrazia politica è, essenzialmente, un regime di opinione»47: cosa rappresentava, dunque, qualche distorsione

informativa rispetto al rischio dell’affermazione del regime personale? A chiudere la polemica intervenne lo stesso leader socialista Guy Mollet, con un editoriale intitolato: «Non c’è bisogno di un salvatore supremo48.

Il governo notificò così al direttore generale della radio, Wladimir Porché, una misura eccezionale e temporanea: il divieto di trasmettere per una settimana qualsiasi discorso o parte di esso, pronunciato in occasione di manifestazioni politiche o para-politiche, sia in diretta che in

42 «Je ne relèverai pas votre interpellation […]. Tous mes compliments pour votre gouvernement». Cfr. ibidem. 43 Ivi, p. 179.

44 Il presidente Auriol mostrò qualche perplessità relativa alla possibilità di distinguere tra i discorsi pubblici tenuti

dal Generale de Gaulle, quelli politici e quelli che politici non erano. Nel testo del suo «Journal du septennat» pur giudicando «saggia» la proposta di Ramadier, manifesta il proprio «dispiacere per il fatto che il governo non sia stato invitato» a Strasburgo, alla cerimonia commemorativa. In una nota si riporta però una frase redatta e poi cancellata dallo stesso Auriol, che mostra la sua perplessità: «Questa distinzione non sarà sempre facile da fare. Le manifestazioni organizzate a Strasburgo per commemorare la liberazione della città ne costituiscono un esempio». Cfr. V. Auriol, Journal du septennat 1947-1954, op. cit., p. 755.

45 «Ces féodaux [...] qui tiennent la République prisonnière». Cfr. C. de Gaulle, Discours et messages, II, op.cit., p.

148.

46 «Réforme profonde de l’État» da realizzarsi «par-dessus les différences des opinions». Cfr. Ivi, p. 136.

47 «La démocratie politique est essentiellement un régime d’opinion». Cfr. L. Blum, L’opinion et la République, «Le

Populaire», 18-3-1947, p. 1.

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differita, qualsiasi ne fosse l’autore. La misura, ufficialmente, non era dunque ad personam, anche se la singolare coincidenza di date destava qualche sospetto. Il divieto riguardava la trasmissione della voce di qualsiasi persona intenta a pronunciare un discorso politico, eccezion fatta per il presidente della Repubblica e per il presidente del Consiglio. Il 3 aprile, venuto a conoscenza della decisione, il direttore dell’Informazione, Vital Gayman, espose la propria contrarietà, ma invano. Il divieto fu rispettato scrupolosamente49.

De Gaulle rappresentava per il governo una minaccia sempre meno virtuale e la conferma si ebbe alle elezioni amministrative di ottobre, quando il RPF ottenne un inaspettato 35% dei suffragi su scala nazionale, guadagnando il governo di tredici tra le venticinque principali città francesi: Parigi, Marsiglia, Bordeaux, Lille, Algeri, Strasburgo, Bordeaux, Nancy, Le Mans, Grenoble, Saint-Étienne, Reims, Angers, Caen. L’indomani un titolo a tutta pagina occupava la prima di Le Monde: «40% di voti al RPF»50. Martedì 21 ottobre un autorevole opinionista commentava su Le

Monde:

«La consultazione del 19 ottobre è stata, in un certo senso, una sorta di plebiscito. Maurice Barrès a suo tempo ha parlato di “appello al soldato”. Il senso profondo del voto di ieri è l’appello ad una guida e ad un capo […]. La vittoria del Rassemblement du peuple français sconvolge […] il panorama politico […]. Il suo capo dovrà dar prova di grande fermezza, di grande autocontrollo per non essere trascinato dal fiume di passioni, avidità, ambizioni, ottusi conservatorismi e, forse, desideri di rivincita e avventura […]. Il RPF deve anzitutto definire se stesso. Se è solo un blocco che si propone di contrastarne un altro, se le formazioni politiche francesi diventeranno lo specchio dei blocchi internazionali, lo scontro sarà inevitabile»51.

49 H. Eck, La Radiodiffusion et l’opposition RPF (1947-1951), in De Gaulle et le RPF, 1947-55, Paris, Armand

Colin, 1998, pp. 716-717.

50 La cifra era relativa alla percentuale raccolta dal RPF considerando soltanto le maggiori città francesi (nelle quali

il numero di voti raccolto dal Rpf equivaleva in realtà al 41,7%).

51 «Cette consultation du 19 octobre a été, dans un certain sens, une sorte de plébiscite. Jadis Maurice Barrès a pu

parler de “l’appel au soldat”. C’est l’appel à un guide et à un chef qui est le sens profond du scrutin d’hier [...]. L’entrée victorieuse au forum du Rassemblement du peuple français bouleverse [...] les données politiques [...]. Il faudra à son chef beaucoup de volonté, beaucoup de maîtrise de soi pour ne pas être emporté par le torrent des passions, des avidités, des ambitions, des conservatismes bornés, peut-être des désirs de revanche et d’aventure [...]. Le RPF doit d’abord se définir lui-même. S’il n’est qu’un bloc contre un autre bloc, si les formations politiques françaises sont à l’image des formations internationales, le heurt deviendra inéluctable». Cfr. R. Roure, Raz de

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Lo spettro del bonapartismo tornava ad aleggiare sulla Francia e nessuno osservò che mentre cento anni prima erano state le campagne a garantire il trionfo di Luigi Napoleone, il successo del RPF era ora ascrivibile soprattutto ai consensi guadagnati nelle maggiori città.

A turbare ulteriormente un panorama politico già profondamente scosso intervenne poi lo stesso Generale che, il 27 ottobre, traendo le proprie conclusioni dall’esito del voto, dichiarò:

«I partiti propriamente detti sono sempre più in crisi […]. In questa situazione non c’è altra possibilità, né altra via d’uscita democratica che non il ricorso al paese. È dalla fonte legittima, ossia dal voto popolare, che è necessario attingere con urgenza l’autorità indispensabile ai poteri della Repubblica. Il Parlamento attuale deve essere sciolto al più presto, non prima però che abbia istituito un sistema elettorale direttamente maggioritario in modo da fornire al futuro Parlamento una maggioranza coerente […]. In ogni caso il Rassemblement du Peule Français proseguirà il suo dovere nazionale. Aperto a tutti coloro che vogliono badare al solo interesse della Francia, il Rassemblement du Peule Français si allargherà e si organizzerà per garantire, qualunque cosa accada, la salvezza della nazione»52.

Il successo elettorale del RPF si sarebbe difficilmente potuto tradurre immediatamente in una prospettiva di governo del paese ma nonostante questo il dato politico restava significativo ed accresceva l’instabilità del sistema. A rispondere alla fuga in avanti del Generale fu lo stesso presidente del Consiglio Ramadier, che il 28 ottobre si rivolse ai deputati citando una grande figura della storia repubblicana. Dopo aver fatto comprendere chi era l’obiettivo polemico del suo intervento affermando «ora esiste un nuovo partito in Francia […]. Sappiamo che ha un capo. A Giovanna d’Arco non venne mai in mente di trasformarsi in un capo di partito53,

Ramadier ricordò l’esempio dell’ideatore e capo del governo di «difesa repubblicana»54

52 «Les partis proprement dits voient se précipiter leur chute [...]. Dans cette situation, il n’y a pas d’autre devoir, ni

d’autre issue démocratique, que de recourir au pays. C’est à la source légitime, c’est-à-dire dans le vote du peuple, qu’il faut puiser d’urgence l’autorité indispensable aux pouvoirs de la République. L’Assemblée nationale actuelle doit être dissoute au plus tôt, non sans qu’elle ait institué un régime électoral directement majoritaire pour fournir au Parlement futur une majorité cohérente [...]. En tout cas le Rassemblement du Peule Français poursuivra sa tâche nationale. Ouvert à tous ceux qui veulent jouer le seul jeu de la France, il va s’étendre et s’organiser pour assurer, quoi qu’il arrive, le salut de la nation». Cfr. C. de Gaulle, Discours et messages, II, op. cit., p. 136.

53 «Maintenant existe un nouveau parti en France. [...] Nous savons qu’il a un chef. Il ne vint pas à l’idée de Jeanne

d’Arc de se faire un chef de parti». Cfr. «Journal Officiel de la République Française», Débats Parlementaires, Assemblée nationale, Séance du mardi 28 Octobre 1947, p. 4914.

54 Se in un primo tempo il governo di «difesa repubblicana» di Waldeck-Rousseau era stato accolto in modo

piuttosto freddo dalle stesse forze della sinistra, avrebbe ben presto ricoperto il ruolo, all’interno dell’immaginario collettivo radical-repubblicano, della soluzione miracolosa, capace di risolvere tutte le crisi politiche suscettibili di

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Waldeck-Rousseau. Di fronte ai deputati, ricordando il discorso che quest’ultimo aveva tenuto in Parlamento il 25 maggio 1900, Ramadier disse:

«Waldeck-Rousseau metteva in guardia il paese mostrandogli come il passato stesse tornando all’assalto con forme e modalità nuove. […] Oggi temiamo che nasca e si diffonda, attraverso la Francia, un movimento che vada a cercare le proprie parole d’ordine tra i resti del boulangismo e del nazionalismo […]. Revisione, dissoluzione è quello che si diceva già nel 1887 o nel 1888 e che si ripeteva nel 1899 e nel 1900: sono le parole d’ordine dietro le quali da sempre in Francia, a partire dalla nascita della Repubblica, hanno tentato di nascondersi i nemici della Repubblica e gli avversari della libertà politica»55.

Ormai la condanna non riguardava soltanto le idee, ma la persona stessa del Generale, presentato come un nemico della Repubblica e un erede della tradizione boulangista e antidreyfusarda56. In

vista di un rimpasto governativo il presidente della Repubblica Auriol, convocato Ramadier, gli confidò la propria lettura della situazione:

«In questo momento ci sono due opposizioni frontali: quella del Partito comunista, che rompe con le posizioni assunte nel recente passato, spinto dal tentativo della Russia di sabotare il piano Marshall e costringere la Francia a rinunciare alla sua politica di collaborazione con gli Stati Uniti […]. La seconda è quella […] dei gollisti. Vogliono che de Gaulle torni al potere. E lui vuole modificare la Costituzione secondo i propri interessi, per sottrarre la sovranità al popolo e

minacciare le istituzioni. A tale proposito vedi: S. Berstein, Histoire du Parti radical, Paris, Presses de la Fondation Nationale des sciences politiques, 1982.

55

«Waldeck-Rousseau mettait en garde le pays et montrait l’assaut du passé qui revenait sous les formes et

les formules nouvelles. [...] Aujourd’hui, nous pouvons redouter que ne se déroule, à travers la France, une

agitation qui irait chercher ses mots d’ordre dans les vieilles défroques du boulangisme et du nationalisme

[...]. Révision, dissolution, c’est ce que, déjà, on disait en 1887 ou en 1888 et que l’on répetait en 1899 et en

1900; c’est ce qui a toujours été en France, pendant toute la durée de la République, les mots d’ordre sous

lesquels ont tenté de se glisser les ennemis de la République et les adversaires de la liberté politique». Cfr.

«Journal Officiel de la République Française», Débats Parlementaires, Assemblée nationale, Séance du mardi

28 Octobre 1947, p. 4914.

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instaurare un regime personale. Nessuna di queste opposizioni è conforme alle regole della democrazia»57.

La necessità di fronteggiare una doppia opposizione, particolarmente minacciosa perchè intimamente antidemocratica, richiedeva per Auriol un’estrema attenzione, specialmente in alcuni settori: «ci sono alcuni ministeri essenziali: quello incaricato dell’approvigionamento e quello dell’Informazione»58. L’approvigionamento energetico e di beni di consumo doveva

essere garantito ad ogni costo nonostante le crescenti agitazioni operaie alimentate dall’inflazione59, mentre l’informazione doveva prevedere un rinnovato attivismo da parte

governativa. Complimentandosi con Ramadier per il discorso di replica a de Gaulle tenuto in Parlamento, Auriol gli consigliò di farlo stampare ed affiggerne «qualche centinaio di migliaia di copie» in tutto il paese. Il mezzo utilizzato era certo ancora piuttosto primitivo, ma se Ramadier non era intenzionato ad utilizzare direttamente armi più moderne, era consapevole dell’importanza che queste non cadessero nelle mani del nemico. Da quel giorno la misura inizialmente presentata come congiunturale sarebbe stata «istituzionalizzata»: de Gaulle non avrebbe più potuto usufruire delle onde nazionali, sino al suo ritorno al potere nel 1958, eccezion fatta per qualche minuto in occasione della campagna per le legislative del 1951.

Quanto alla tenuta della maggioranza, Auriol riconobbe a Ramadier che «è debole […] però le maggioranze deboli sono quelle che durano più a lungo»60. Appena tre settimane dopo la

profezia di Auriol il governo Ramadier sarebbe caduto, aprendo una delle innumerevoli transizioni di una IV Repubblica caratterizzata da un’instabilità politica elevatissima. Negli undici anni successivi si sarebbero succeduti ventuno governi guidati da tredici uomini in rappresentanza delle più diverse famiglie politiche61: nessuno avrebbe però rimesso in

discussione la sentenza pronunciata da Ramadier nei confronti del Generale de Gaulle.

57 «À l’heure présente il y a deux oppositions bien nettes: la position du Parti communiste, qui rompt avec son passé

récent devant l’attitude de la Russie pour saboter dans le présent le plan Marshall et obliger la France à renoncer à sa politique d’accord avec les Etats-Unis [...] La seconde est celle [...] des gaullistes. Ils veulent le pouvoir pour le général de Gaulle. Celui-ci veut modifier la Constitution afin de créer à son profit le pouvoir personnel et d’enlever la souveraineté du peuple. Ni l’une ni l’autre de ces oppositions n’est conforme aux règles de la démocratie». Cfr. V. Auriol, Journal du septennat 1947-1954, op. cit., p. 495.

58 «Il y a des postes essentiels: celui du Ravitaillement, celui de l’Information». Cfr. ibidem.

59 Per una breve ma efficace ricostruzione della crisi sociale dell’autunno 1947 rinvio a: M. Agulhon - A. Nouschi -

R. Schor, La France de 1940 à nos jours, Paris, Nathan, 2002, pp. 145-149.

60 «Elle est faible [...] toutefois les majorités faibles sont celles qui durent plus longtemps». Cfr. V. Auriol, Journal du septennat 1947-1954, op. cit., p. 506.

61 Per una ricostruzione di questa delicata congiuntura rinvio alla monumentale storia della IV Repubblica in tre

volumi redatta da Georgette Elgey: La République des illusions, I, 1945-1951, Paris, Fayard, 1993; La République

des contradictions,II, 1951-54, Paris, Fayard, 1993; La République des tourmentes, III, 1954-1959, Paris, Fayard,

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23 La censura alla radio

Il progressivo abbandono della prospettiva dello statuto aveva senza dubbio favorito la discrezionalità governativa nei confronti della radio.

Nel luglio 1949 François Mitterrand, segretario di Stato alla presidenza del Consiglio, espresse chiaramente nel corso di un dibattito alla Camera dei deputati, la concezione che il potere politico aveva del mezzo radiofonico: «Si dice che l’istituzione di uno statuto della radio garantirebbe la libertà d’espressione. Non è esatto. Tra coloro che possono parlare alla nazione e al mondo, non hanno forse un diritto di precedenza coloro che rappresentano le nostre istituzioni democratiche?»62. Il governo aveva dunque diritto ad un accesso privilegiato al mezzo

radiofonico, che doveva invece essere sottratto agli avversari delle istituzioni democratiche. Il Generale de Gaulle, cui era vietato ogni utilizzo del mezzo, fu oggetto di attacchi diretti sin dall’ottobre 1947. Il 20 ottobre, all’indomani delle elezioni amministrative caratterizzate dal grande successo del RPF, il primo appuntamento della trasmissione radiofonica La Tribune des Temps modernes, condotta da Jean-Paul Sartre e dalla redazione dell’omonima rivista, imposta dal governo nonostante le perplessità del direttore generale Wladimir Porché, si scagliò direttamente contro il vincitore della tornata elettorale. Non furono criticati solo il programma del Rpf ed i cttadini che gli avevano dato fiducia, ma la trasmissione si caratterizzò per una serie di parallelismi tra il movimento gollista ed i movimenti collaborazionisti e tra il Generale e lo stesso Adolf Hitler. Se la virulenza delle critiche fu stigmatizzata dalla stampa e da parte dell’intellettualità – la trasmissione sarebbe stata anche una delle ragioni della rottura tra Jean-Paul Sartre e Raymond Aron63 – nondimeno era indicativa della concezione governativa dei

mezzi di comunicazione.

Una volta all’opposizione nessuno poteva più avanzare pretese: l’ostracismo mediatico decretato nei confronti del Generale, sarebbe stato così ben presto esteso anche a Maurice Thorez e ai suoi compagni di partito.

Al pari di de Gaulle anche i comunisti non sarebbero stati soltanto privati del microfono, ma si sarebbero visti attaccare direttamente da apposite trasmissioni prodotte dall’organizzazione «Paix et liberté», una delle quali, intitolata «La vie en rouge», aveva come obiettivo dichiarato quello di proclamare illegale il PCF. Ad essere degna di nota non era soltanto l’impostazione

62 «L’institution d’un statut de la radio garantirait, dit-on, la liberté d’expression. Ce n’est pas exact. Parmi ceux qui

ont autorité pour parler au pays et au monde, les premiers ne sont-ils pas normalement ceux qui représentent nos institutions démocratiques?». Cfr. J. Montaldo, Dossier O.R.T.F. 1944-1974, op. cit., p. 40.

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