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Valutazione della vulnerabilità delle arginature, del fiume Serchio

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(1)

U

NIVERSITA’ DI

P

ISA

Scuola di Ingegneria

Corso di Laurea in Ingegneria Idraulica, dei trasporti e del Territorio.

“Valutazione della vulnerabilità delle arginature del fiume

Serchio in provincia di Pisa”

RELATORI CANDIDATO Prof.Ing. Diego Lo Presti Mirko Consoloni Dot.Ing. Nunziante Squeglia

Dot.ing Stefano Stacul

9 Maggio 2018 Anno Accademico 2017/2018

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Indice

1. Introduzione

1.1. Inquadramento e caratteristiche del bacino 1.2. La rottura degli argini del 2009

1.3. Introduzione alle indagini geotecniche 1.4. La campagna indagini 2. Gli argini 2.1. Generalità 2.2. Realizzazione di un argine 2.3. Meccanismi di rottura 3. Concetto di rischio 4. Moti di filtrazione

4.1. Caratteristiche delle acque sotterranee e porosità 5. Prove in sito

5.1. Generalità 5.2. Le prove CPT 5.3. Le prove CPTu 5.4. I campionatori

5.5. L’interpretazione delle prove CPTu 5.6. Le prove geoelettrice

5.7. Resistività elettrica nelle rocce 5.8. Dispositivi per la misurazione 5.9. Analisi ed interpretazione 6. Prove triassiali

7. Stabilità dei pendii 7.1. Generalità

7.2. Metodo di analisi 7.2.1. Metodo Bishop

8. Come cambiano c’ e ϕ’ col contenuto di acqua 9. Analisi idrologica

9.1. Metodo Thiessen 10. Analisi

10.1. Analisi delle prove triassiali 10.2. Analisi delle prove CPTu

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10.2.1. Elaborazione dei dati grezzi

10.2.2. Metodo di correzione delle prove CPTu Come varia ϕ’ se viene applicato il metodo di correzione

10.2.3. Rappresentazione di insieme di tutte le prove dove è stato applicato in metodo di correzione

10.2.4. La variazione delle tensioni dove è stato applicato il metodo di correzione

10.2.5. ϕ’e c’ dopo aver applicato il metodo di correzione 10.3. Le analisi di stabilità

10.3.1. Generalità

10.3.2. Il programma utilizzato

10.3.3. Le analisi di stabilità utilizzando i valori ottenuti dalle prove triassiali

10.3.4. Le analisi di stabilità utilizzando i valori ottenuti dalle CPTu 10.3.5. Le analisi di stabilità in funzione di c’

11. Conclusioni

11.1. Generali

11.2. Correzione dei valori delle CPTu ottenuti nella zona semisatura 11.3. Utilizzo dei dati CPTu corretti nelle analisi di stabilità

11.4. Riduzione di FS causata dall’infiltrazione delle acque piovane 12. Bibliografia

13. Allegati

13.1. Analisi CPTu , confronto stratigrafico e variazione di ϕ’ dopo la correzione

13.2. Verifiche di stabilità con l’impiego dei valori ottenuti dalle prove triassiali

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1-Introduzione

1.1-Inquadramento geografico e caratteristiche del bacino.

Con la sua estensione di 1460km2, il bacino idrografico del fiume Serchio comprende la quasi totalità della Provincia di Lucca. Tale bacino viene tradizionalmente suddiviso in tre zone, caratterizzate a seconda delle differenti proprietà morfologiche del territorio e dal susseguirsi di eventi storici che ne hanno definito la distinzione: la Garfagnana, la Mediavalle e la Piana di Lucca. In aggiunta è possibile definire una quarta zona, rappresentata dalla fascia costiera, nella quale è situato il Lago di Massaciuccoli, e che comprende aree apparentemente distinte e indipendenti dalla corrente configurazione del bacino idrografico, le quali, nel corso della storia, hanno rappresentato zone di impaludamento ed esondazione naturale del fiume.

Gli affluenti del Serchio si possono suddividere in due gruppi, a seconda della provenienza geografica. Gli affluenti cosiddetti di destra hanno origine dal massiccio delle Alpi Apuane, e, generalmente, sono molto ricchi di acque. Gli affluenti di sinistra, invece, fatta eccezione per la Lima, non sono molto ricchi di acque perenni.

Il bacino idrografico del Serchio, inoltre, comprende diversi bacini artificiali per la produzione di energia idroelettrica, come Vicaglia, Gramolazzo, Vagli, Pontecosi, situati prevalentemente in Garfagnana e nella Mediavalle.

Il fiume ha origine in Alta Garfagnana, ed assume la propria denominazione a partire dall’abitato di Piazza al Serchio, alla confluenza dei due maggiori affluenti, il Serchio di Soraggio, di origine appenninica, proveniente dal Monte Prado, e del

Serchio di Gramolazzo, di provenienza apuana.

Lungo il suo tracciato, all’altezza dell’abitato di Ponte a Moriano, il Serchio si riversa nella pianura lucchese, per proseguire il suo percorso verso ovest attraverso le “strette” di Filettole, in prossimità delle quali fa il suo ingresso nella provincia di Pisa, nei comuni di San Giuliano Terme e Vecchiano, per gettarsi infine nel mar Ligure, pochi km a nord di Pisa, all’interno del Parco Naturale di S. Rossore.

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A partire dal VII secolo, il sistema fluviale del Serchio e dei suoi rami minori è stato ripetutamente sottoposto a regimentazione, mediante l’esecuzione di numerosi interventi idraulici protrattisi fino al XVI secolo, per raggiungere la situazione attuale, situazione che vede lo scorrimento del corso d’acqua all’interno di un alveo arginato e pensile, fino alla foce, situata in località Migliarino, dopo aver percorso una distanza complessiva di circa 100 km.

Interventi di arginatura e rettifica eseguiti nel tratto in cui il fiume scorre all’interno della pianura pisano-versiliese hanno determinato la corrispondenza del bacino del Serchio con la fascia golenale.

La portata media del fiume, misurata a valle di Borgo a Mozzano, è di 46 m3/s, e non scende mai sotto i 6,5 m3/s, grazie alla particolare abbondanza di precipitazioni piovose e nevose che interessano il bacino idrografico, precipitazioni tra le più elevate di tutta Italia, attestate intorno a 1800 mm/anno.

Dato il regime a carattere prevalentemente torrentizio del Serchio, il fiume ha da sempre determinato problemi per l’attività umana all’interno del proprio bacino, a causa delle relativamente frequenti piene ed alluvioni che hanno ripetutamente interessato la Piana e la città di Lucca.

A partire dal 1800, le autorità locali hanno cercato di contenere tali eventi alluvionali tramite la realizzazione di arginature, oggetto del presente elaborato.

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Figura 1 inquadramento del fiume serchio

Caratteristiche del bacino idrografico del fiume Serchio

SUPERFICIE TOTALE BACINO 1.565 km2

SUPERFICIE DEL BACINO

IMBRIFERO 1.408 km

2

ALTEZZA MEDIA ANNUA DI

PIOGGIA 1.946 mm

COEFFICIENTE MEDIO ANNUO DI

DEFLUSSO 0,70

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PORTATA MASSIMA DEL FIUME 2200 m

3/s

(Lucca, 9 Novembre 1982)

PORTATA MEDIA 46 m3/s

PORTATA MINIMA 6,5 m3/s

PORTATA MINIMA STORICA 4 m3/s

COMUNI RICADENTI NEL

BACINO 36

POPOLAZIONE 270.000

(Censimento ISTAT 1991)

POPOLAZIONE (unità) SUPERFICIE (km3)

Garfagnana 30.059 530

Mediavalle 30.574 372

Alta Val di Lima 8.000 160

Piana di Lucca 98.862 273

Litorale 102.505 230

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1.2-La rottura degli argini del 2009

Alle ore 6.15 del giorno 25 dicembre 2009 si è verificata la rottura degli argini del Serchio presso Santa Maria a Colle.

La rottura dell’argine, caratterizzata dall’apertura in destra idraulica di due brecce, ha causato la fuoriuscita di circa 1.000.000 m3 d’acqua ed il conseguente allagamento dell’abitato di Santa Maria a Colle e delle zone limitrofe.

Seguendo il percorso del fiume da monte verso valle, la prima breccia, caratterizzata da una lunghezza di circa 30 m, si è aperta in prossimità del ponte della bretella Lucca-Viareggio dell’autostrada A11.

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Figura 3 Ponte S.Pietro

La seconda breccia, caratterizzata da una lunghezza di circa 70 m, si è invece aperta circa 300 m più a valle rispetto alla precedente, nel tratto precedente all’immissione del torrente Contesora nel Serchio.

Durante la stessa giornata, intorno alle ore 9.00 si è verificata un’ulteriore rottura dell’argine del fiume tra le località di Nodica e Migliarino, all’interno del comune di Vecchiano (PI). In particolare, la nuova breccia si è venuta a creare lungo l’argine destro, circa un chilometro a monte del cavalcavia dell’autostrada A12 Genova-Rosignano, ed ha provocato una falla di circa 160 m di lunghezza, comportando il parziale allagamento dell’autostrada A11 Firenze-Mare e della SS1 Aurelia, nonché l’allagamento ed il cedimento di un tratto di circa 500 m dell’autostrada A12

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Genova-Rosignano.

Figura 4 Breccia a monte della bretella autostradale

Figura 5 Breccia formatasi

La causa di tale evento alluvionale è da ricercarsi nelle particolari condizioni metereologiche venute a crearsi a partire dalla settimana precedente l’evento stesso.

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I giorni 18 e 19 dicembre sono stati caratterizzati da temperature molto rigide e da conseguenti estese e molto abbondanti nevicate che si sono verificate su tutto il bacino idrografico del fiume Serchio, seguite nei giorni successivi da un repentino innalzamento delle temperature, che ha comportato l’improvvisa fusione della neve accumulata in precedenza.

Analizzando i dati pluviometrici cumulativi, raccolti nel periodo 21-25 dicembre 2009 dalle stazioni della rete di monitoraggio idro-pluviometrica in tempo reale della zona, si può dedurre che le aree interessate in modo prevalente da precipitazioni siano state quelle appartenenti ai settori settentrionali delle province di Massa-Carrara, Lucca, Pistoia, Prato e, in modo più marginale, di Firenze. Complessivamente, i valori massimi sono stati rilevati dalle stazioni ricadenti nell’area di allerta A3 del Bacino del Fiume Serchio, in particolare dai rilevatori di Orto di Donna (LU) – 665 mm, Campagrina (LU) – 623 mm, Boscolungo (PT) – 583 mm e Pian di Novello (PT) – 550 mm.

I giorni successivi agli eventi nevosi (21, 22 e 23 dicembre) sono stati caratterizzati dall’arrivo di correnti umide meridionali, che hanno dato origine a precipitazioni molto abbondanti ed estese su tutto il bacino idrografico del Serchio, per poi proseguire, dopo una breve pausa, con una perturbazione ulteriore particolarmente intensa, che ha interessato la zona fino alla mattina del 25 dicembre. Dall’analisi dei dati risulta che i giorni più piovosi siano stati il 22, con il massimo valore pluviometrico di 241,2 mm rilevato dalla stazione di Campagrina (LU), ed il 24, con i 175,4 mm di pioggia rilevati dal misuratore di Boscolungo (PT).

L’entità delle piogge che ha caratterizzato quei giorni è riassumibile nel grafico seguente, che racchiude il report pluviometrico del periodo 21-31 dicembre 2009, e che permette quindi l’analisi dei dati relativi all’entità delle piogge medie. Come riportato dal grafico, all’interno del suddetto periodo è possibile individuare due distinti eventi meteorici, i quali hanno contribuito in modo significativo al verificarsi degli eventi alluvionali sopra descritti, tramite due onde consecutive e persistenti, di portata considerevole.

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Figura 6 Andamento della cumulta di pioggia

Figura 7 Piogge medie orarie

L’analisi dei dati idrometrici registrati nel periodo 21-26 dicembre dalle stazioni di monitoraggio in tempo reale porta a rilevare uno scenario di criticità elevata all’interno del bacino del Serchio, scenario caratterizzato dal transito di una piena eccezionale durante la giornata del 25 dicembre. L’aumento improvviso delle temperature, passate da circa

-7/-12°C a circa +5/+10°C, con una differenza media di +14/+17°C, ed il conseguente scioglimento dell’abbondante manto nevoso depositato durante le

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precipitazioni dei giorni precedenti, unito alla piovosità particolarmente abbondante sono state infatti le cause del consistente aumento dei livelli idrometrici.

Figura 8 Andamento dei livelli registrati presso le stazioni idrometriche

Altro fattore rivelatosi concorrente alla formazione della piena e dei conseguenti eventi alluvionali è da ricercarsi nei fenomeni ventosi che hanno caratterizzato il periodo, fenomeni che hanno contribuito attraverso il conseguente aumento del moto ondoso sulla costa settentrionale toscana, come registrato dal sistema di boe ondametriche regionali posizionato al largo dell’isola della Gorgona e dalla stazione sita in prossimità della foce del Serchio, impedendo parzialmente il naturale deflusso a mare del corso d’acqua.

Il quadro generale nel quale si è inserito l’evento di piena del 25 dicembre, in corrispondenza del quale si sono verificate le rotture arginali menzionate, è stato dunque caratterizzato dalla concomitanza di due fattori principali, ovvero la probabile saturazione dei terreni, imbibiti ormai dal prolungarsi degli eventi atmosferici durante i giorni precedenti, e la difficoltà di naturale deflusso a mare causata dai forti venti e dal moto ondoso conseguente. Da notare il fatto che la piena immediatamente successiva agli eventi del 24-25 dicembre ha fatto rilevare livelli idrometrici e relative portate che, nel caso in cui non si fossero verificate le rotture arginali nei comuni di Lucca e Vecchiano, sarebbero naturalmente defluite all’interno dell’alveo, senza conseguenze ulteriori.

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Le misure adottate nel periodo immediatamente successivo agli eventi sono state orientate alla messa in sicurezza dei tratti arginali danneggiati, e, sulla base delle informazioni fornite dalla Provincia di Lucca, l’intervento di somma urgenza per il ripristino arginale ha previsto quanto riportato di seguito:

• Posa in opera di uno strato di base di massi ciclopici intasati con misto di cava;

• Posa in opera di un nucleo centrale a sezione trapezia in geoblocchi di calcestruzzo, intasati con calcestruzzo e strutturati con rete

elettrosaldata;

• Ricoprimento in terra;

• Realizzazione di un taglione in CLS, al piede dell’argine lato fiume, di circa 4 cm di profondità ed esteso nell’argine integro a monte ed a valle della breccia;

• Realizzazione di un ulteriore confinamento delle brecce con un diaframma in palancole metalliche infisse nel terreno per circa 7 metri.

La massima quota raggiunta dalle acque esondate, come da rilievi effettuati il giorno 26 dicembre e successivi è stata quantificata in 14,70 m.s.l.m. A tale livello corrispondono:

• Volume esondato: 1,06 Mm3

• Superficie allagata: 1,02 km3

• Battente idrico medio: 1,06 m • Battente idrico massimo: 3,07 m

L’area interessata dall’esondazione, piuttosto vasta, è da considerarsi confinata tra gli argini degli affluenti Cerchia e Contesora.

Per quanto riguarda la breccia localizzata tra le località di Nodica e Migliarino, il riversamento dell’acqua effluita da tale rottura ha generato un vasto invaso localizzato nei territori depressi compresi tra il Serchio ed il lago di Massaciuccoli,

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in particolare delimitato a Nord dagli argini dello stesso Lago di Massaciuccoli, ad Est dagli argini del canale Barra e ad Ovest dalla duna costiera.

Analizzando i dati forniti dal Consorzio di Bonifica Versilia Massaciuccoli, si può indicare la quota massima raggiunta dalle acque nelle aree interessate dall’esondazione, quantificata in +0,77 m.s.l.m. A tale livello corrispondono:

• Volume esondato: 27,6 Mm3 • Superficie allagata: 13,5 km3

• Battente idrico medio: 2,06 m • Battente idrico massimo: 4,95 m

Si deve inoltre far menzione delle zone locate all’interno della zona posta immediatamente dietro l’argine, coinvolte soltanto dal flusso della corrente in transito, stimabili in 5-7 km2.

Successivamente al verificarsi degli eventi, è stata indetta un’indagine da parte della Protezione Civile, volta ad approfondire lo stato degli argini del fiume Serchio nelle province di Lucca e Pisa. Le indagini sono state eseguite per mezzo di analisi geotecniche e prove di laboratorio, in modo da poter raccogliere dati sufficienti per una valutazione ragionata dello stato di salute del sistema di argini compreso tra la frazione di S. Anna, a Lucca, fino a Migliarino, in provincia di Pisa, località in cui si trova la foce del fiume.

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1.3 Introduzione alle indagini Geotecniche

Come da consuetudine metodologica, in genere, la risoluzione di un problema geotecnico può essere scomposto e risolto attraverso una serie di fasi logiche, riassumibili come segue:

1. Prove sul terreno (in sito ed in laboratorio) per ottenerne la caratterizzazione;

2. Scelta del modello di comportamento e del metodo di analisi più appropriato;

3. Definizione del profilo geotecnico di progetto e dei relativi parametri; 4. Analisi di compatibilità e delle condizioni al contorno, fermo rispettando le condizioni di equilibrio.

Durante l’applicazione del suddetto metodo per fasi successive, si possono individuare tre distinti livelli di analisi:

1. Livello di microelemento, o di unità base, nel quale si analizzano le relazioni interparticellari per formulare una descrizione del comportamento;

2. Livello di macroelemento, nel quale si analizza il comportamento di un volume di terreno paragonabile a quello di un campione utilizzato nelle normali prove di laboratorio. Tale campione viene considerato omogeneo ed integro, e, salvo particolari eccezioni, non è interessato da discontinuità strutturali, dato da considerare importante in quanto le leggi costitutive, che trattano il terreno come mezzo continuo, sono elaborate sulla base del comportamento del materiale a questo livello;

3. Livello di megaelemento, nel quale si analizza il comportamento del terreno su grande scala, in altre parole, ad un livello utilizzabile per trarre deduzioni su un’opera reale. A questo livello, lo scopo è quello di individuare l’influenza dei caratteri strutturali del deposito, e, tramite il monitoraggio di opere in scala reale, risulta possibile determinare il valore dei parametri geotecnici, oppure verificare l’affidabilità di un certo modello comportamentale per una data combinazione di parametri.

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Per poter effettuare la caratterizzazione geotecnica di un progetto sono necessarie una serie di informazioni, per poter definire i criteri di progetto e le modalità di esecuzione.

In particolare, la caratterizzazione geotecnica di un deposito include:

• Definizione delle analisi stratigrafiche di dettaglio, con individuazione delle caratteristiche macro e microstrutturali;

• Determinazione delle condizioni di falda;

• Individuazione della storia tensionale, nonché dello stato tensionale attuale; • Determinazione delle caratteristiche di permeabilità;

• Determinazione delle caratteristiche meccaniche.

Le informazioni devono essere estrapolate da prove di laboratorio su campioni indisturbati, e da indagini in sito.

Le prove di laboratorio presentano alcuni vantaggi rispetto alle prove in sito:

• Determinatezza delle condizioni al contorno;

• Possibilità di controllo sulle condizioni di drenaggio;

• Possibilità di imporre un preciso e predeterminato percorso di

sollecitazione, grazie alla possibilità di ottenere uno stato di sollecitazione e deformazione relativamente uniforme;

• Possibilità di identificazione esatta della natura del materiale sottoposto a prova.

Contemporaneamente, le prove di laboratorio presentano però anche delle limitazioni, riassunte nei punti seguenti:

• Rischio di non corrispondenza tra il comportamento del materiale di prova e del materiale in sito, a causa del ridotto volume del campione esaminato, in particolar modo nei casi in cui il materiale in esame presenti pronunciati caratteri macrostrutturali;

• Effetti di disturbo che affliggono anche campioni di elevata qualità, che compromettono la buona ed affidabile estrapolazione dei parametri di

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deformabilità, problema che si presenta maggiormente in caso di terreni sovraconsolidati;

• Maggior costo e maggiori tempi di attesa per l’esecuzione delle prove e l’ottenimento dei risultati.

Per quanto riguarda invece i vantaggi delle prove in sito rispetto alle prove di laboratorio, si può far riferimento allo schema seguente:

• Minor costo e tempo necessario per l’esecuzione delle prove e per l’ottenimento dei risultati;

• Descrizione maggiormente continua delle caratteristiche geotecniche in relazione alla variazione di profondità;

• Possibilità di investigazione su un volume maggiore di terreno;

• Maggiore attendibilità dei parametri di deformabilità, permeabilità e stato tensionale iniziale.

Esistono poi casi nei quali non risulta possibile raccogliere campioni indisturbati, pertanto l’analisi in loco resta l’unica via percorribile al fine di raggiungere un’accurata caratterizzazione del deposito.

Individuare le condizioni al contorno relative ad una prova in sito può rivelarsi però complesso: infatti le condizioni di drenaggio risultano solitamente incerte e gli effetti di disturbo risultano fortemente pronunciati, così come i gradienti di tensione e deformazione indotti nel terreno circostante. Tali complessità sfociano in una non semplice interpretazione dei risultati, nonché nella necessità di ricorrere a correlazioni empiriche, per le quali si rivelerà necessario assumere come parametri di riferimento i risultati di prove condotte in laboratorio, oppure i dati relativi ad analisi retrospettive.

Non esiste quindi una categoria di prove intrinsecamente superiore all’altra, esistono invece situazioni specifiche nelle quali un tipo di prove risulti preferibile rispetto all’altro per quanto riguarda la semplicità di ottenimento di dati affidabili. In definitiva, entrambi i tipi di prove risultano complementari, piuttosto che mutuamente esclusive, e, utilizzate contemporaneamente, possono portare ad un maggior livello di conoscenza del comportamento dei terreni in esame.

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1.4-La campagna indagine

Il programma di indagine per la valutazione dello stato di fatto può essere diviso in due gruppi principali: le indagini in sito e quelle svolte in laboratorio.

In conseguenza degli episodi di rotture arginali descritte, è stata avviata una prima campagna di indagine nei tratti di argine situati in provincia di Lucca, in prossimità o in zone limitrofe alle rotte per un tratto di 3 km in sponda destra.

Gli obiettivi dell’indagine si possono riassumere come segue:

1. Descrizione dello stato degli argini in corrispondenza delle zone in cui si sono verificate le rotte;

2. Individuazione delle cause che hanno determinato la rottura;

3. Definizione di massima di soluzioni progettuali adeguate per la costruzione della nuova sezione arginale.

In seguito agli eventi di rottura è stata programmata una campagna di indagini per stilare una caratterizzazione geotecnica dei materiali costituenti il corpo arginale ed il relativo terreno di fondazione per un totale di circa 30 km complessivi situati nelle province di Lucca e Pisa.

Tale campagna di indagini ha previsto in breve lo svolgimento delle seguenti tipologie di prove:

• Sondaggi a carotaggio continuo a secco, con prelievo di campioni indisturbati tipo Osterberg, installazione di piezometri tipo Casagrande a due diverse profondità, per il rilievo della quota piezometrica.

• Prove CPTU per mezzo di piezocono attrezzato per la misura u2 in aggiunta alla resistenza alla punta, attrito laterale e controllo di verticalità;

• Sondaggi Elettrici Verticali (S.E.V.);

• Prove di laboratorio sui campioni indisturbati prelevati nei fori di sondaggio.

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Nello specifico, sono stati eseguite prove come segue:

• Classificazione (granulometrie e limiti di Atterberg); • Prove triassiali tipo CIU in cella convenzionale;

• Prove di rilievo e controllo delle misure piezometriche nei piezometri Casagrande mediante sonda galvanometrica e monitoraggio in continuo mediante trasduttore di pressione di un singolo piezometro;

• Tomografia geoelettrica 2D, da realizzarsi su sezioni trasversali al corpo arginale.

2-Gli argini

2.1-Generalità

L’argine è un’opera di difesa del territorio atta ad impedire lo straripamento delle acque, generalmente costituito da un rilevato in terra simile ad una diga che in alcuni casi può raggiungere anche altezze considerevoli. Gli argini possono essere disposti a diretto contatto con l’acqua oppure a distanza, separati dal corso d’acqua dallo spazio golenale. In genere la disposizione a contatto con fiume è dettata da problemi di spazio fisico oppure da motivazioni di carattere economico dove è preferibile avere minore ingombro e quindi maggior superficie sfruttabile per altri scopi. La disposizione in froldo (cioè a diretto contatto col flusso fluviale) sottopone il manufatto ad azioni erosive più spiccate e la mancanza di spazio golenale non permette l’espansione di volumi di piena con conseguenti svantaggi sui livelli idrometrici e velocità della corrente.

I rilevati arginali vengono realizzati al fine di ridurre il rischio idraulico e far fronte ad inondazioni che possano compromettere le normali attività svolte. Gli argini “moderni” sono elementi artificiali, generalmente impermeabili, realizzati in terra o in cemento.

Nella sezione tipo di un corso d’acqua arginato si distinguono due zone di deflusso idrico:

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• Una zona detta “alveo di magra”, circondata da piccoli argini detti golenali, capace di contenere la portata ordinaria.

• Una zona golenale, delimitata da grossi argini detti “Maestri”, che contiene il livello di massima piena.

L’insieme delle due zone prende il nome di alveo di piena.

Figura 9 Sezione tipo

2.2-Realizzazione di un argine

Gli argini, sviluppandosi per decine di chilometri, possono essere costruiti su qualsiasi tipo di terreno. Per tale motivo è preferibile costruirli in materiale sciolto, in quanto più idonei alle diverse tipologie di fondazioni sia dal punto di vista tecnico che economico.

Ovviamente la scelta di ricorrere a materiali sciolti comporta una maggiore vulnerabilità nei confronti dell’erosione, del dilavamento in caso di tracimazione e perdita di prestazioni meccaniche dovute a piene estese nel tempo.

Per la messa in sicurezza dai fenomeni tracimativi viene di norma fissata una quota di coronamento pari alla quota di pelo libero riferita alla piena duecentennale con una riserva di sicurezza il franco assunto pari al 10-15% dell’altezza di progetto, tenendo conto anche del costipamento che coinvolge l’opera dalla realizzazione. L’altezza degli argini è dimensionata in base all’entità degli eventi di piena previsti in un arco di tempo pluriennale, definito tempo di ritorno (tempo medio in cui un valore di intensità assegnata viene eguagliato o superato almeno una volta),

mentre per assicurare l’opera rispetto al sifonamento, va attentamente progettata la geometria della sezione trasversale. La presenza di terreni coesivi teneri e saturi può dar luogo a rilevanti incrementi di pressione neutra accompagnati da instabilità. La realizzazione di nuove opere prevede la posa di strati successivi di spessore 30cm. e costipati strato per strato con numero minimo di 6 passate con rullo esercitante pressione > 25Kg/cm^2.

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Per la scelta dei materiali, bisogna tenere conto di molteplici aspetti che sono elementi di giudizio per l’individuazione della migliore soluzione:

• Distribuzione granulometrica; • Plasticità

• Contenuto organico

• Resistenza all’aggressione chimica e al degrado ambientale; • Solubilità;

• Tendenza al rigonfiamento; • resistenza alla frantumazione; • predisposizione alla costipazione; • permeabilità;

• effetti del trasporto e della posa in opera;

La posa in opera deve essere effettuata in modo da garantire la stabilità del corpo del rilevato arginale adottando procedure di compattazione scelte in base alla natura del materiale, al contenuto d’acqua e alle sue possibili variazioni, allo spessore degli strati, alla natura del terreno di fondazione e finalizzate al raggiungimento dell’uniformità della compattazione.

In particolare, i materiali dei rilevati arginali sono costituiti da terra omogenea limosa ed argillosa compresa tra tipi con minimo contenuto di sabbia, pari a circa il 15% e tipi con contenuto di sabbia anche oltre il 50%. Questa particolare combinazione unisce da un lato la resistenza allo scivolamento della sabbia e dall’altro la capacità di ridurre la filtrazione dell’argilla.

Pertanto le caratteristiche ideali richieste ad un materiale terroso al fine della realizzazione di un argine sono:

• Permeabilità modesta, per limitare i moti di filtrazione • Peso specifico elevato, per la stabilità allo scivolamento

2.3-Meccanismi di rottura

Durante il corso del tempo possono verificarsi numerosi meccanismi di rottura dei rilevati arginali Essi possono avvenire singolarmente o, come più spesso accade, in concomitanza con altri. Gli argini possono fallire a causa di un danno intrinseco, o se viene meno la fondazione su cui è costruito.

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Le possibili criticità:

1. Cause dovute al comportamento idraulico

a. Moto di filtrazione: se il materiale costituente la fondazione ha elevata permeabilità, l’acqua può muoversi velocemente

b. Rottura per sollevamento: avviene quando le spinte dell’acqua sotterranea in condizioni non drenate, in presenza di materiali poco permeabili, portano alla condizione di equilibrio tra il peso del rilevato e la spinta di Archimede.

c. Rottura per sifonamento: Il fenomeno del sifonamento è legato alla perdita di resistenza al taglio di un terreno granulare.

d. Rottura per erosione interna: si ha quando la filtrazione nel corpo del rilevato o nella sua fondazione ha la capacità di trasportare le particelle di solito il problema della filtrazione porta a gravi conseguenze perché più materiale viene rimosso più aumenta la velocità di filtrazione, e di conseguenza, la dimensione delle particelle rimosse).

e. Erosione esterna per tracimazione: è una delle situazioni più pericolose, se l’acqua scavalca il rilevato la sua azione tangenziale sul paramento esterno porta ad una rapida erosione e formazione di una breccia. Le cause scatenanti possono essere molteplici: si può verificare una piena eccezionale oppure dei cedimenti verticali da assestamento non previsti o non monitorati. Le attività degli animali di fiume concorrono altresì all’apertura di possibili brecce senza segnali di preavviso.

f. Erosione esterna per scavernamento: il contatto con le acque del fiume porta ad un’erosione del piede del rilevato.

g. Liquefazione: avviene principalmente in depositi sabbiosi a granulometria uniforme, normalmente consolidati e saturi. Durante le fasi di carico (fenomeno generalmente legato ad effetti sismici), l’aumento delle pressioni interstiziali è tale da ridurre per il periodo della sollecitazione le tensioni efficaci. Con la riduzione o annullamento della resistenza a taglio si assiste alla fluidificazione. Le pressioni interstiziali accumulate nel terreno dalla sollecitazione

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sismica tendono a sfogarsi verso la superficie generando la così dette fontane di sabbia.

2. Cause strutturali (in questa lista l’elemento principale è rappresentato dalle caratteristiche meccaniche delle terre)

a. Evento accidentale esterno: un evento che porta all’indebolimento o parziale distruzione

b. Cedimento della fondazione: può avvenire in modo uniforme e portare solo alla perdita del franco dell’arginatura, sia in modo differenziale creando possibili meccanismi di rottura del rilevato arginale.

c. Scorrimento: si verifica quando la forza di attrito tra corpo e fondazione non è in grado di resistere alle spinte orizzontali.

3-Concetto di rischio

Nella comunità scientifica, il concetto di Rischio è definito come la probabilità che in evento si verifichi per il danno che può provocare.

In particolare il rischio legato ad un evento naturale specifico introduce altri fattori: R=H*V*E=Rs*E

• Rischio totale R: si intende il grado di perdite attese in termine di vite umane, feriti, danni alla proprietà ed alla infrastrutture, danni diretti ed indiretti all’economia a causa di una determinata pericolosità geologica • Pericolosità o hazard H: probabilità che un evento nocivo di una certa

intensità si riscontri in un dato periodo di tempo in una data area.

• Elementi a rischio E: popolazione, proprietà, attività economiche a rischio in una data area

• Vulnerabilità V: dato di perdita atteso su un dato elemento o gruppi di elementi a rischio derivante da un potenziale fenomeno distruttivo di una certa intensità. La vulnerabilità viene espressa in scala da 0 ad 1 dove zero significa nessuna perdita mentre 1 perdita totale.

• Rischio specifico Rs: grado di perdita atteso a causa di un determinato fenomeno naturale di data intensità.

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4-Moti di Filtrazione

Il comportamento meccanico di un terreno dipende dal valore della tensione efficace σ’ definita attraverso il principio delle tensioni efficaci di Terzaghi: σ’=σ-u

Il problema che si presenta è quello di determinare lo strato tensionale del fluido all’interno del terreno. In ogni situazione occorre valutare le pressioni neutre in sito, le quali dipendono dalla falda.

In condizioni idrostatiche, la misura delle pressioni è possibile ricorrendo all’utilizzo di piezometri, che se inseriti nella falda in un determinato punto, forniscono il valore della “quota piezometrica” locale.

In condizioni idrodinamiche il moto è garantito da una differenza di quota piezometrica e quindi il valore di h non risulta costante ma diminuisce nella

direzione del moto; la perdita di quota piezometrica, che può essere vista come perdita di energia, è quella che deve essere spesa per poter vincere le resistenze che si oppongono al moto. La legge che descrive come avviene il moto di filtrazione all’interno di un mezzo poroso è la “Legge di Darcy” ovvero una legge lineare che relaziona la velocità alla dissipazione di energia tramite una costante “k” detta

“coefficiente di permeabilità”

(dimensionalmente è una velocità):

v=-k*i con:

• i: gradiente idraulico (i=ΔH/L) • k: coefficiente di permeabilità

Il coefficiente di permeabilità k, può assumere diversi valori in funzione delle caratteristiche geotecniche del terreno:

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Tabella 1 Valori tipici del coefficiente k

La geotecnica riconosce tutti i materiali come permeabili ed effettua una distinzione in base a quanto questa caratteristica risulti marcata.

Primo fattore fra tutti ad incidere su k è la dimensione dei pori. Si annoverano poi:

• Indice dei vuoti e: l’indice dei vuoti va considerato per tipo di terreno, infatti a parità di materiale, un materiale più denso ha permeabilità minore, tuttavia tra materiali con diversa granulometria il valore dell’indice dei vuoti deve essere utilizzato con la dimensione media dei vuoti per valutare la sua partecipazione alla permeabilità k;

• grado di saturazione S, all’aumentare del grado di saturazione nei terreni non saturi diminuisce la permeabilità in quanto questa è ostacolata dai gas presenti;

• direzione, il mezzo non è isotropo rispetto alla permeabilità, ad esempio un terreno argilloso a causa dell’applicazione dei carichi induce le particelle di argilla, che hanno una forma allungata, a disporsi in direzione perpendicolare a quella del carico; in questo modo nasce una direzione preferenziale per un eventuale moto di filtrazione.

Nei casi oggetto di studio è stata esaminata la condizione cautelativa di moto di filtrazione non confinato in condizione stazionaria.

4.1-Caratteristiche delle acque sotterranee e porosità

Le terre sono un sistema polifasico composto da tre parti: particelle solide, acqua ed aria. La parte solida o scheletro solido è composto da minerali che possono essere molto variabili sia in termini di composizione chimica che di dimensione dei grani mentre gli spazi vuoti o meati tra le particelle offrono il volume necessario ad accogliere l’acqua e/o l’aria.

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L’acqua presente nel sistema si trova in tre diverse condizioni dipendenti principalmente dalla granulometria e composizione dello scheletro:

− Acqua di ritenzione (o acqua di imbibizione) la quale circonda i granuli di terreno con un velo molto sottile che aderisce alle superficie solida del granulo per effetto delle forze forti di natura elettrostatica che agiscono a livello molecolare; il volume di tale acqua è tanto maggiore quanto più piccole sono le dimensioni dei granuli e quanto più irregolare è la loro superficie. Tale acqua aderisce tenacemente ai granuli dell’acquifero con forze superiori a quelle di gravità, pertanto non riesce a circolare liberamente nei meati dell’ammasso filtrante. L’acqua di ritenzione viene in genere distinta in acqua igroscopica ed in acqua pellicolare. La prima avente in genere uno spessore di 0.1 micron circonda completamente i granelli e risulta inamovibile in condizioni di pressione e temperature ordinarie (la quantità totale di tale acqua rispetto al volume totale dell’ammasso può variare dal 40-50% delle argille al 15-18% per le sabbie fini fino a quasi zero per le sabbie grossolane), l’acqua pellicolare circonda a sua volta il granello saturo di sabbia igroscopica ed ha spessori di circa 1-2 micron; anch’essa, come l’acqua igroscopica, non può essere trasferita per l’effetto della sola gravità.

− Acqua capillare: risale verticalmente nei pori dell’ammasso per effetto combinato della tensione superficiale, della adesione e della coesione; tale acqua presenta pressione più bassa di quella atmosferica, può risalire anche per diversi metri in funzione delle dimensioni dei pori e della natura chimico fisica del terreno.

− Acqua libera: costituisce l’acqua che si muove per il solo effetto della gravità e rappresenta quindi la sola frazione dell’acqua di falda che circola e si muove all’interno degli aggregati; tale acqua superiormente è delimitata dalla superficie di falda che si trova alla pressione atmosferica.

La precedente distinzione permette di chiarire quanto introdotto in merito all’indice dei vuoti, infatti ad un elevato numero di vuoti non corrisponde necessariamente un elevato indice di permeabilità. Le formazioni argillose possiedono una percentuale di vuoti molto alta, superiore a quella delle sabbie e delle ghiaie. In esse il volume dei pori può raggiungere il 50-60% del volume delle particelle solide, le quali, avendo piccoli diametri si imbevono di acqua (in gran parte di ritenzione), che

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rimane intrappolata. Indicativamente per risalire alla porosità (n) dei terreni si può far riferimento alla seguente tabella.

Tabella 2 Valori tipo porosità

I fattori che hanno diretta influenza sulla porosità sono molteplici. Per un ammasso di natura sciolta si deve considerare la granulometria dei granelli, la loro forma e struttura ed il loro addensamento, la distribuzione, le irregolarità dei vuoti.

5-Prove in sito

5.1-Generalità

Lo scopo delle indagini in sito è quello di poter comprendere in modo speditivo le caratteristiche stratigrafiche e meccaniche del terreno. Esse possono essere eseguite su un terreno di fondazione, e quindi precedere la fase progettuale, oppure per valutare lo stato dei manufatti in terra.

Le moderne attrezzature permettono di ricreare un profilo stratigrafico pressoché continuo del sito e, poiché più rapide ed economiche delle prove di laboratorio, forniscono dati anche a profondità notevoli in poco tempo. Tali caratteristiche le rendono le prove in sito uno strumento d’indagine insostituibile, capace di dare in modo agevole informazioni anche sui terreni incoerenti, per i quali risulta difficile ottenere dal sito campioni indisturbati da analizzare in altra sede in modo economicamente vantaggioso. Di contro, esse operano con condizioni al contorno variabili ed incognite, e per molte tipologie di prova i dati vengono ottenuti mediante misurazioni indirette (le formule dei legami tra grandezze sono di natura empirica e spesso non hanno significato fisico). Parallelamente, il grande impiego su scala globale delle prove in sito “classiche” (cioè di quelle usate da anni) ha

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permesso di avere legami tra misurazioni e parametri richiesti ben collaudati ed affidabili.

Fanno parte delle indagini in sito classiche: le trincee, sondaggi stratigrafici e le prove penetrometriche. Più recentemente hanno fatto la loro comparsa anche altri tipi di indagini indirette: come le tomografie, georadar e prove sismiche.

5.2-Le prove cpt

La prova penetrometrica statica C.P.T (Cone Penetration Test) molto diffusa in Italia è realizzata ricorrendo all’utilizzo di uno strumento meccanico costituito da una punta conica metallica di dimensione standardizzata, di sezione trasversale 10cm2 ed angolo di 60°, seguita da un manicotto coassiale anch’esso di dimensioni

standardizzate. Le due parti sono collegate alla superficie mediante batterie di aste le quali permettono il movimento indipendente delle due.

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Le misure fornite sono la resistenza alla punta (qc) e la resistenza all’attrito laterale (fs) , esse sono prese ad intervalli di 20cm mediante avanzamenti alternati di punta

e manicotto.

Il campo di applicazione delle prove in esame va dalle argille alle sabbie grosse, con la possibilità di spingersi fino a profondità di 40m. Tuttavia il ricorso a tali tipologie di prove presenta la problematica intrinseca di ottenere misure a partire dai valori di forza misurati in superficie, Come facilmente intuibile queste condizioni portano ad errori imputabili al peso e deformabilità delle aste e attriti tra le varie parti dell’attrezzatura. Se la lunghezza di indagine è elevata si può facilmente verificare una deviazione anche importante dello strumento che fornirà dati a profondità errate.

La naturale evoluzione di questo strumento meccanico, sebbene esso venga tuttora ampiamente utilizzato, è il penetrometro elettrico, composto da una punta dotata di trasduttori, i quali misurano localmente la resistenza alla punta, l’attrito laterale sul manicotto e, grazie ad un inclinometro, l’inclinazione dell’asta. La prova non si svolge più per passi di 20cm, ma in modo continuo (si misura ogni 2-5cm simultaneamente la resistenza alla punta e la resistenza laterale al manicotto) ed inoltre le grandezze misurate sono direttamente esportabili e pronte per essere interpretate anche in modo automatizzato. Il principale limite di questo strumento è costituito dalla sensibilità delle parti elettriche alle variazioni di temperatura, che rendono necessari frequenti interventi di taratura e calibrazione.

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5.3-Prove C.P.T.U

Le prove CPTu costituiscono un’ulteriore evoluzione agli strumenti finora descritti, si tratta sostanzialmente di un penetrometro elettrico (piezocono) dotato di un sensore di pressione in grado di rilevare anche informazioni sulle pressioni interstiziali u. A separare il terreno dal sensore di pressione provvede un filtro posizionato generalmente nella punta o in posizione immediatamente posteriore (questo aspetto non è ancora stato standardizzato). È richiesta una fase preparatoria nella quale viene saturato il filtro per consentire la corretta misurazione pelle pressioni, mentre l’impiego è del tutto simile a quello del penetrometro elettrico. La definizione della stratigrafia risulta ben dettagliata, tuttavia una errata lettura della stessa può portare ad errori anche grossolani nell’individuazione del materiale nella zona semisatura, errata lettura può riguardare sia la resistenza alla punta che la misura delle u2. In aggiunta è possibile anche eseguire misurazioni di variazione di pressione interstiziale attraverso prove di dissipazione ad una data profondità, fermando l’avanzamento per il tempo necessario. Questo impiego permette di valutare il coefficiente di filtrazione k del terreno che può essere utile negli studi sull’evoluzione nel tempo dei cedimenti.

L’utilizzo del piezocono risulta economicamente vantaggioso, poiché da un lato le prove risultano essere molto speditive, e dall’altro l’apparato di superficie compatto è in grado di raggiungere anche siti di indagine non spaziosi o pianeggianti

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Figura 13Piezocono

5.4-Campionatori

Il prelievo di terreno (campionamento) si rende necessario sia per definire in modo diretto la stratigrafia che per ottenere campioni da inviare in laboratorio.

Esistono diverse tecnologie per l’operazione di prelievo riassumibili in tre categorie:

• A percussione • A rotazione • A pressione

I campionatori a percussione trovano impiego in terreni a grana grossa con presenza di ciottoli. Essi hanno lo svantaggio di non fornire campioni indisturbati e l’alterazione rende anche impossibile l’identificazione di strati molto sottili

I campionatori a rotazione si distinguono ulteriormente in: Carotaggio continuo che riesce a prelevare un campione cilindrico sul quale sono eseguibili anche prove di laboratorio. E carotaggio a distruzione, il quale fornisce indicazioni sulla tipologia di terreno attraversato ma l’impiego principale è quello di raggiungere una determinata profondità per eseguire altri tipi di prova.

I campionatori a pressione trovano invece impiego nei terreni a grana fine e forniscono ottimi provini indisturbati per le analisi di laboratorio( tra questi i più utilizzati sono quelli di tipo aperto come il campionatore Shelby e quelli a pistone). Nelle prove oggetto di questa tesi è stato appunto utilizzato un campionatore a pistone di tipo Osterberg, costituito da un pistone mobile, solidale al tubo di prelievo detto fustella, la quale scorrendo su guide interne, avanza raccogliendo il campione. La parte mobile è movimentata grazie ad acqua in pressione e sono

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Figura 15 Campionatore Osterberg

Figura 14 Carote

presenti valvole a chiusura automatica per non alterare lo stato tensionale del provino. L’avanzamento deve essere rapido ed uniforme per ottenere minor disturbo possibile.

Figura 16 schema Campionatore Osterberg

5.5-L’interpretazione delle prove CPTu

Come già anticipato le correlazioni sono spesso di natura empirica ed in base alle condizioni vanno adoperate formule diverse, spesso ricavate su base di esperienze locali necessitano di correzioni specifiche da zona a zona.

Le esperienze di Robertson sono ad oggi le più utilizzate per interpretare le prove CPTu, ad oggi ancora in continua evoluzione (sono circa 40 anni che va avanti la sperimentazione), le prove sono quasi sempre riferite alla carta SBTn normalizzata.

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Essa restituisce il comportamento meccanico (quindi anche la natura del terreno, salvo casi particolari che verranno in seguito analizzati) per fare ciò si basa su due parametri principali che sono la resistenza alla punta normalizzata (Qt) e il rapporto di attrito normalizzato (Fr).

Figura 17 Carta normalizzata di Robertson

Tabella 3 Valori di Ic

In casi particolari, come in presenza di terreno semisaturo e terre fini l’interpretazione di Robertson può condurre a letture errate. Pertanto, per indagini finalizzate alla realizzazione di grandi opere, è preferibile affiancare dette prove ad altri tipi di sondaggi, mentre esse costituiscono la prassi per le opere minori. Individuazione della stratigrafia

Il principale impiego delle CPTu è la definizione stratigrafica: lo stesso Robertson (1990) definisce il parametro Ic (Indice di comportamento del terreno) e fornisce le indicazioni per il calcolo come segue:

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• Qt=(qt- σv0)/ σ’v0 (resistenza alla punta normalizzata adimensionale)

• Fr=(fs/(qt- σv0))*100% (rapporto di attrito normalizzato adimensionale)

Va aggiunto che esistono diverse formule alternative proposte negli anni da altri e dallo stesso Robertson.

5.6-Prove geoelettriche

Generalità

Fra le prove in sito si stanno affermando le prospezioni geoelettriche. Esse producono misure della resistività elettrica e della sua variazione all’interno del terreno. L’indagine viene condotta mediante due coppie di elettrodi che rispettivamente immettono e ricevono corrente elettrica dal suolo. L’andamento di tale misura mette in luce differenze di continuità litologiche.

5.7-La resistività nelle rocce

La resistività elettrica, anche detta resistenza specifica, è la capacità di un materiale di opporsi al passaggio della corrente per unità di lunghezza. Nel caso specifico dei terreni esssa è funzione di:

• Porosità • Permeabilità • Contenuto d’acqua

La legge di Ohm definisce la resistenza come: R=ΔV/I

Estendendola ad un materiale conduttivo dobbiamo introdurre parametri geometrici:

R=(ρ*L)/S Dove:

R= resistenza elettrica

ΔV= differenza di potenziale o caduta di tensione I= intensità di corrente

ρ = resistività

L= lunghezza del materiale S= sezione del materiale

La resistività ρ è il parametro dipendente dalla natura e dalle condizioni dell’elemento. Nel caso dei terreni permeabili essa può variare in modo significativo col contenuto d’acqua al punto che la composizione della parte solida diventa trascurabile, segue questa relazione:

ρ=F* ρw

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F= fattore elettrico della formazione ρw = resistività della soluzione

generalmente per i terreni viene adottata questa relazione: ρ=(α*ϕ-m*S-k)* ρ

w

con

α,m,k = fattori numerici

S = grado di saturazione della roccia ϕ = potosità

Il parametro a parità di contenuto d’acqua è specifico per ogni materiale.

Figura 18 Andamento della corrente ne terreno

5.8-Dispositivi per la misurazione

I metodi di prospezione geofisica permettono sulla base dei parametri fisici del terreno di ricostruirne la stratigrafia.

L’indagine si può fare con sondaggio orizzontale: viene mantenuta fissa la geometria disposizione degli elettrodi e traslati di volta in volta, questo permetta la misura a profondità costante per una fascia di terreno.

Alternativamente si può eseguire un sondaggio elettrico verticale (S.E.V): viene mantenuto fisso il punto di immissione ed allontanati di volta in volta gli elettrodi, questo permette l’analisi a profondità crescenti lungo una verticale.

La strumentazione

La strumentazione per le prove geoelettriche è così schematizzabile: • Sezione energizzante

• Sezione ricevente

La sezione energizzante immette corrente nel terreno attraverso gli elettrodi A e B.

Le parti essenziali che la compongono sono:

• Il generatore, un pacco batteria di voltaggio variabile tra 1,5 e oltre 100V in base alle necessità

• L’amperometro, che misura la corrente

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• Elettrodi, paletti in acciaio inox appuntiti per permetterne l’inserzione nel terreno ad una profondità di circa 0,4m.

La sezione ricevente misura la differenza di potenziale agli elettrodi M ed N. Questi elettrodi devono eseguire misure di potenziale molto basso, ed è necessario evitare che si polarizzino rovinando le misurazioni. Sono particolari sonde impolarizzabili rivestite in ceramica isolante nelle quali il contatto elettrico in rame è protetto da una soluzione di solfato di rame che funge anche da collegamento elettrico col terreno.

Figura 19 Schema di funzionamento indagini geoelettriche

5.9-Analisi ed interpretazione

I S.E.V. sono molto efficaci per individuare discontinuità anche piccole nel terreno misurando senza disturbare la litologia con lo strumento come accede in altri tipi di prova.

L’esecuzione di varie s.e.v. affiancate permette la costruzione di un modello 2D dell’andamento spaziale delle strutture presenti nel sottosuolo.

Ogni corpo roccioso presenta un ampio campo di variabilità. Si riporta in seguito una tabella con valori tipo di resistività.

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Figura 20Valori tipo rella resistività

I dati di resistività sulle verticali vengono quindi elaborati con appositi software che permettono la visualizzazione dell’andamento sia bidimensionale che tridimensionale degli strati, dopo aver apportato le correzioni del materiale.

Vantaggi:

• Le apparecchiature hanno basso costo • Possibilità di indagine a grande profondità

• Applicabilità alta (“e tutti i pesci vennero a galla”) • Elevato dettaglio

Svantaggi:

• Forte sensibilità alle condizioni di resistività al contorno • Necessità di spazio per indagare in profondità

Con l’analisi dei dati acquisiti è possibile ottenere la ricostruzione della variazione litologica. I diagrammi ottenuti mostrano l’andamento della resistività e possono essere interpretati spazialmente per ottenere delle mappe di resistività dette tomografie.

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Figura 21Esempio di tomografia

Si riscontra tuttavia una scarsa efficacia di individuazione della singola formazione litologica, la quale può presentare ampie variazioni di resistività da sezione a sezione.

La tomografia risulta pertanto un valido strumento solo per l’individuazione dell’andamento della distribuzione dei materiali all’interno della sezione trasversale, e richiede di essere calibrata volta per volta con le altre prove eseguite sulla verticale per poter associare la giusta resistività ai materiali.

6-Prova Triassiale

Le prove triassiali sono normalmente eseguite su provini indisturbati di terreni a grana fine. Lo scopo della prova è quello di ottenere parametri di deformabilità e resistenza in condizioni drenate e/o non drenate. L’ apparecchiatura della prova permette di controllare lo sforzo in direzione verticale e radiale.

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Figura 22 schema apparecchio triassiale

L’apparecchio triassiale lavora con provini cilindrici che hanno diametro circa la metà dell’altezza. Il provino è posto in una guaina impermeabile e flessibile fissata alle estremità con delle guarnizioni, che lo separa idraulicamente dalla cella. La possibilità di mettere in pressione la cella, permette di caricare il provino con pressioni isotrope che agiscono in tutte le direzioni. Questa pressione isotropa è normalmente chiamata pressione di confinamento della cella. Nella macchina triassiale convenzionale la variazione di sforzo verticale Δσz in aggiunta alla pressione di cella viene fornita da un pistone idraulico controllato elettronicamente, che permette di controllare la forza da imprimere alla parte superiore del provino dotata di uno spessore in metallo detto capitello. L’avanzamento controllato è possibile grazie all’impiego di motori stepper.

Lo sforzo applicato è costantemente misurato da una cella estensimetrica posta esternamente alla cella. Il controllo della pressione dell’acqua interstiziale del provino è possibile mediante un collegamento idraulico con l’esterno. Il campione ed il circuito idraulico sono separati da una pietra porosa che permette il passaggio dell’acqua e fornisce supporto meccanico per gli sforzi di compressione sullo scheletro solido, mentre tra provino e pietra porosa viene interposto un dischetto di carta filtro. Il circuito idraulico uscente, detto drenaggio, ha la possibilità di essere lasciato chiuso oppure aperto.

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La prova triassiale può essere preceduta da una fase di consolidazione che richiede i drenaggi aperti, oppure eseguita direttamente. Per quantificare la consolidazione, questa può essere fatta avvenire in modo isotropo o anisotropo. Un esempio di consolidazione anisotropa è quella eseguita a deformazione laterale impedita. Durante la preparazione del provino, prima della consolidazione, viene applicata un’aliquota della pressione totale finale di cella ed una contropressione interstiziale, lo scopo è quello di eliminare le bolle d’aria dal circuito, in quanto essendo fluido comprimibile porterebbe a letture errate di pressione e deformazione associata. L’aumento progressivo della contropressione interstiziale porta al discioglimento in acqua dell’aria presente.

Durante la fase di consolidazione si misurano le tensioni totali, la pressione neutra, la deformazione assiale e la variazione di volume del campione.

Più precisamente:

− Pressione di cella e neutra con trasduttori di pressione

− Forza assiale in aggiunta alla pressione neutra con una cella di carico esterna − Deformazione assiale misurata registrando gli avanzamenti del pistone

idraulico

− Variazione di volume calcolata misurando i volumi di acqua che entrano od escono dal provino.

Dopo le fasi precedenti la prova prosegue con la fase che porta alla rottura, seguendo un percorso di carico dove la σ assiale e radiale possono avere andamenti distinti.

Nella pratica si pone attenzione ai seguenti percorsi di carico: − Compressione per carico: σr costante , σz aumenta − Compressione per scarico: σr diminuisce, σz costante − Estensione per carico: σr aumenta, σz costante − Estensione per scarico: σr costante, σz diminuisce

In cella convenzionale l’unica condizione che è possibile ricreare è la compressione per carico, la quale può essere ricreata sia in condizioni drenate che non.

Il percorso di carico prescelto viene portato avanti fino ad un valore deformativo pari almeno al 10%, in modo da è di raggiungere e superare la resistenza di picco e valutare anche la residua. La sollecitazione viene applicata in condizioni di deformazione controllata oppure in condizioni di carico controllato. Al massimo

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valore dello sforzo deviatorico q= σz- σr corrisponde la resistenza di picco. Durante il percorso di carico verso la rottura si eseguono misurazioni riguardo la variazione della pressione interstiziale in condizioni di rottura non drenata, le deformazioni assiali, le tensioni totali e le variazioni di volume.

Per determinare i parametri di resistenza il percorso di carico viene diagrammato. Per la rappresentazione degli stress path nel piano t-s, solitamente viene sottratta la pressione dell’acqua al valore s rendendo più semplice la rappresentazione e più agevole l’individuazione dei parametri a ed α.

Le prove eseguibili:

− CID Prova Consolidata in modo Isotropo e Drenata. Il punto di partenza dello stress path giace sull’asse delle ascisse grazie alla consolidazione, in queste condizioni gli sforzi di taglio sono nulli (carico isotropo o sferico). In una prova drenata l’incremento di carico viene eseguito a drenaggi aperti, facendo attenzione che la velocità di avanzamento sia sufficientemente bassa da garantire il liberarsi delle sovrappressioni dai drenaggi. L’andamento tipico del percorso di carico è una retta inclinata di 45 gradi. − CK0D Prova Consolidata in modo Edometrico drenata. Durante lo

svolgimento della prova vengono impedite le deformazioni laterali.

− CIU e CK0U Prove consolidate in modo Edometrico, non Drenate. Si

differenziano dalle precedenti perché portate a rottura a drenaggi chiusi. Ciò determina che durante l’applicazione del carico si abbia un incremento delle pressioni interstiziali.

− UU Prova non Consolidata non Drenata. I drenaggi sono mantenuti chiusi sempre, pertanto i provini non sono consolidati e non hanno avuto modo di smaltire le sovrappressioni neutre a rottura. Ne consegue che l’inviluppo di rottura rappresenterà una condizione non drenata e anche se in ogni prova viene cambiata la tensione totale, essa va ad influire sulle pressioni interstiziali. Per questo motivo la condizione dei vari provini è rappresentata da cerchi di Mohr con pressioni totali diverse, ma pressioni efficaci coincidenti.

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7-Stabilità dei pendii

7.1-Generalità

I pendii naturali e artificiali possono essere soggetti a fenomeni di instabilità e quindi con il termine frana si intendono i movimenti di masse di terreno. La classificazione è effettuata in base alla tipologia di movimento e alle tipologie di materiali coinvolti.

Tabella 4Tipologie di rottura

− Crolli: avvengono in versanti scoscesi dove il distacco porta ad un rapido movimento verso il basso della massa, che avanza per rotolamento o balzi. − Scorrimenti: Movimenti aventi origine per superamento della resistenza a

taglio, si individuano una o più superfici di scorrimento. La porzione instabile scorre lungo questa superficie che costituisce la frontiera tra la parete stabile e quella instabile. La forma della sezione della superficie di scorrimento può essere rettilinea o curvata ed è dipendente dal tipo di spostamento.

− Colamenti: in questo caso si ha una deformazione continua di materiali sciolti o lapidei, non si individua una superficie di scorrimento. Il movimento è continuo e differenziale e si estende anche all’interno del corpo del pendio. Tale tipologia coinvolge principalmente i materiali sciolti, e l’aspetto esterno di uno di questi movimenti mostra il comportamento tipico di un fluido.

Gli argini oggetto di indagine sono pendii artificiali maggiormente interessati dal fenomeno di scivolamento, con movimento traslativo rotazionale. Come già

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spiegato la resistenza dipende dalle tensioni efficaci, siccome gli argini normalmente non sono saturi possono beneficiare di un contributo aggiuntivo derivante dagli effetti della capillarità, questo produce una pressione dell’acqua negativa in tutta la zona al di sopra della falda. Quando a seguito delle piogge si perde questo contributo aumenta il rischio di collasso. Facile quindi intuire l’importanza degli eventi atmosferici sui movimenti franosi per scivolamento. I terreni maggiormente vulnerabili sono quelli argillosi limosi, e particolarmente gravosa risulta la situazione di violento acquazzone su un terreno già saturato da piogge prolungate del tempo, anche se di modesta intensità. È auspicabile che la condizione di terreno saturo sia la principale responsabile del distacco, e che i fattori scatenanti siano da ricercare negli eventi piovosi. Nel caso delle arginature fluviali si deve aggiungere anche l’aliquota della infiltrazione mossa dal carico idraulico del fiume. Risulta quindi importante prevenire quelle condizioni che potrebbero portare a saturazione il terreno.

Quando la riduzione di coesione è tale che il terreno non sia più in grado sopportare lo stato sollecitativo, si forma la superficie di scorrimento, quasi sempre curvilinea e schematizzabile con un arco di circonferenza che racchiude la parte in movimento. Lo scivolamento può essere profondo ed esteso, oppure si può verificare in più punti con movimenti minori, quest’ultimo caso indice di caratteristiche geologiche simili ed estese. Perdendo energia verso valle, lo scivolamento tende a trasformarsi in colata, con una deformazione differenziale della porzione instabile.

Il fenomeno ha un’evoluzione assai rapida, generalmente preceduta dalla formazione di segni premonitori come fessurazione o abbassamento della sommità arginale. La fessurazione costituisce anche la formazione di una via preferenziale per l’infiltrazione dell’acqua, accelerando il processo.

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7.2-Metodi di analisi

I metodi di analisi più diffusi sono quelli dell’equilibrio limite, i quali affermano che la rottura avviene lungo una superficie quando la resistenza al taglio è superata dalle forze sollecitanti. Secondo Mohr-Coulomb la resistenza a taglio è così definita:

τ=c’ + (σ-u)*tanϕ’=c’+σ’*ϕ’

Nei terreni parzialmente saturi le tensioni efficaci σ’ vedono un incremento, questo si evince interpretando le prove cptu col metodo precedentemente descritto, detto ciò osservando l’equazione di M-C si nota l’incremento della resistenza al taglio.

Sotto le ipotesi di terreno perfettamente rigido, si considera il terreno indeformabile fino al distacco, e che, a distacco avvenuto, la resistenza al taglio rimanga costante lungo la superficie di scorrimento.

Le ipotesi riducono molto la complessità del problema con la conseguenza che: − La massa in movimento non si deforma descrivendo una rototraslazione

verso il basso,

− Le deformazioni precedenti alla rottura non sono calcolabili − La superficie di rottura è ben definita e continua

− La resistenza sviluppata sulla superficie limite è costante ed indipendente dall’entità di spostamento della porzione coinvolta nello scivolamento. La corretta valutazione dell’effettivo grado di stabilità sotto queste condizioni, ed in aggiunta al fatto dell’interpretazione bidimensionale, quale porta a trascurare tutte le possibili condizioni al contorno del problema spaziale, può comunque essere correttamente valutata, a patto di creare una corretta schematizzazione. L’affidabilità dei risultati, essendo il modello molto distante dalla realtà fisica del problema, richiede attenzione e consapevolezza.

Nei pendii naturali la variabilità degli strati superficiali e profondi è complessa, come complessa può essere la morfologia. Per le analisi di stabilità si può ricorrere all’equilibrio limite coi metodi detti “delle strisce”.

Il metodo delle strisce consiste nell’individuare una sezione trasversale che si ritiene critica, basandosi sulla valutazione della pendenza oppure della discontinuità od altro e nell’individuare una possibile superficie cilindrica di rottura e suddividere la porzione instabile in n conci mediante n-1 tagli verticali ideali, facendo

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attenzione che l’arco di cerchio delimitato da due tagli sia riferito ad un solo materiale, al fine di ben valutare la resistenza a taglio. Se si fossero verificati precedenti movimenti ad evidenziare superfici di scorrimento non cilindriche, allora sarebbero quelle le superfici da prendere in esame; ignorare questo aspetto porterebbe ad una sovrastima del coefficiente di sicurezza.

Il concio ha larghezza Δxi, e peso Wi. La corda dell’arco di cerchio alla base è

inclinata di un angolo αi sull’orizzontale, E’i e Xi sono le componenti normale e tangenziale della forza mutua tra i conci, zi è la quota di applicazione di Ei rispetto alla superficie di scorrimento. Ul-r è la risultante delle pressioni interstiziali sulla superficie di scorrimento tra conci. Ni e Ti sono le componenti normale e tangenziale della reazione di appoggio del concio sulla superficie di scorrimento, mentre ai è la distanza di applicazione Ni dallo spigolo inferiore del concio. Ui è la risultante delle pressioni interstiziali sul concio.

Le ipotesi comuni ai principali metodi delle strisce sono:

− Arco della superficie di rottura approssimabile con la sua corda nella parte inferiore del concio

− Comportamento del terreno rigido perfettamente plastico e criterio di rottura alla Mohr-Coulomb

− Stato deformativo piano, trascurabilità della tridimensionalità del problema. − Coefficiente di sicurezza FS uguale per la componente attritiva e coesiva

mediato tra tutti i conci.

Ti=Tfi/FS=(1/FS)*(c’i*Δli+N’i*tanϕ’i)

Con Δli= Δx/cosα.

Osservando le forze agenti sul concio, si deduce che il numero di incognite è superiore a quello delle equazioni risolventi disponibili. La risoluzione del problema necessità quindi dell’introduzione di alcune ipotesi per rendere determinato il problema.

I vari modelli delle strisce differiscono tra loro per le ipotesi iniziali che permettono la risoluzione del problema. I due metodi più diffusi sono il metodo Fellenius ed il metodo Bishop semplificato, un’ipotesi comune in entrambi è la circolarità della superficie della rottura, che risulta ben verificata se non si riscontrano particolarità nella conformazione e nella distribuzione delle terre coinvolte nell’analisi. Ritenuta valida questa condizione, il fattore di sicurezza FS si riduce al rapporto tra momento stabilizzante e ribaltante rispetto al centro della circonferenza.

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