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2 LA PROPULSIONE ELETTRICA 2.1

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LA PROPULSIONE ELETTRICA

2.1 Introduzione

Nell’ambito della propulsione spaziale rivestono un ruolo di primo piano i motori chimici, grazie alla solida esperienza acquisita nel tempo con la sperimentazione e l’impiego in missioni operative.

Propulsori di questo tipo hanno però dei limiti intrinseci, legati essenzialmente alla natura della reazione chimica, che ne limitano la quantità d’energia per unità di massa di propellente che può essere rilasciata durante la combustione.

Prima diretta conseguenza di questa limitazione è una velocità di scarico piuttosto bassa, con la necessità, quindi, di un elevato consumo di combustibile per ottenere un dato livello di spinta.

L’esigenza di poter ridurre la massa dell’apparato propulsivo e del propellente da esso utilizzato ha indirizzato verso lo studio di sistemi propulsivi alternativi ai tradizionali motori chimici.

I propulsori elettrici, aventi velocità di scarico da 2 a 100 volte maggiori di quelle dei più evoluti motori chimici, possono ritenersi promettenti candidati per il raggiungimento dei suddetti obiettivi.

L’utilizzo della propulsione chimica è tuttavia ancora dominante poiché la maggior parte dei motori elettrici studiati si trova tuttora in una fase di sperimentazione e sviluppo ed esistono ancora notevoli problematiche di natura fisica e tecnologica che devono essere analizzate con maggiore attenzione.

Alcuni esempi di problemi da affrontare sono la capacità di sviluppare impianti di generazione di potenza di dimensioni più contenute, la comprensione dei fenomeni fisici alla base dell’usura di componenti

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critici, la comprensione di fenomeni di instabilità che limitano l’ambito di regimi operativi ottenibili.

Nonostante ciò la propulsione elettrica può fornire soluzioni che appaiono decisamente promettenti per lo svolgimento di particolari missioni come ad esempio quelle interplanetarie e l’esecuzione di specifiche operazioni quali il controllo orbitale e di assetto di satelliti.

2.2 Generalità sulla Propulsione Spaziale

La spinta propulsiva fornita da un motore viene ottenuta dall’espulsione ad alta velocità di un fluido di lavoro nella direzione opposta alla spinta stessa.

Se il fluido di lavoro e la fonte energetica utilizzati sono inclusi nel veicolo, il motore è detto endoreattore.

Il moto di un veicolo spaziale spinto da un endoreattore, nell’ipotesi che l’unica forza agente sia la forza propulsiva del motore, può essere descritto dall’equazione di equilibrio

e

u

m

v

m

=

(2.1)

dove

m

massa totale del veicolo

v

vettore accelerazione

m

derivata temporale della massa del veicolo

e

u

velocità equivalente del propellente espulso Nella (2.1) il termine a secondo membro viene comunemente denominato come spinta del sistema propulsivo

e

u

m

T

=

(2.2)

Appare evidente da questa definizione la modalità con cui viene generata la spinta in un propulsore spaziale, ovvero tramite l’espulsione nella direzione opposta al moto di un certo quantitativo di propellente (derivata della massa rispetto al tempo) opportunamente accelerato ad una certa velocità (ue).

(3)

11 L’integrale della spinta, calcolato dall’istante di accensione all’istante di spegnimento del motore, è detto impulso totale

=

b t t

Tdt

I

0 (2.3) Dovendo compiere una missione che richiede un impulso elevato risulta conveniente cercare di aumentare la velocità di scarico ue piuttosto che ricorrere all’impiego di un grosso quantitativo di propellente che comporterebbe limitazioni alla massa del carico utile da poter imbarcare sul sistema spaziale.

Molto importante nella propulsione è l’impulso totale per unità di propellente consumato, detto impulso specifico:

= f f t t t t sp dt m g Tdt I 0 0 0 (2.4)

L’impulso specifico consente di uniformare le informazioni sui vari tipi di propulsore.

Se consideriamo una spinta e una portata costanti, l’impulso specifico si riduce a: 0 0 g u g m T I e sp = = (2.5)

Nel caso in cui la spinta sia l’unica forza agente sul veicolo, ipotizzando una velocità ue costante, l’integrazione dell’equazione del moto (2.1) fornisce la nota equazione di Tsiolkovsky:

= ∆ f e M M u v ln 0 (2.6)

in cui v rappresenta la variazione di velocità del veicolo essendo espulsa una quantità di propellente pari a (M0–Mf).

(4)

Essa può essere opportunamente invertita per ricavare la frazione di massa di propellente mp (=m0-mf) necessaria per eseguire un determinato incremento di velocità

v

=

−∆ue v p

e

m

m

1

0 (2.7)

Dalla (2.7) si può notare che, per limitare l’uso di grossi quantitativi di propellente, è preferibile che il valore della velocità di scarico equivalente ue sia dello stesso ordine di grandezza del

v che si vuole ottenere. Ogni tipologia di missione spaziale è caratterizzata da un certo

v ideale che riassume tutto il reale consumo energetico necessario per portare a termine tale missione.

In tabella 2.1 sono riportati alcuni esempi di missioni con indicato il rispettivo valore del

v.

Tipo di missione v manovre (m/s)

Terra – L.E.O.(270 km di altezza) 7600 L.E.O.– G.E.O.(3600 km di altezza) 4200

L.E.O.– Fuga dalla Terra 3200

L.E.O.– Orbita lunare (7 giorni) 3900

L.E.O.– Orbita polare 300

L.E.O.– Marte (0.7 anni) 5700

L.E.O.– Nettuno (29,9 anni) 13400

L.E.O.– Fuga dal sistema solare 87000

L.E.O.– Alpha Centauri (50 anni) 30·106

NSSK 50/anno

EWSK 2÷3/anno

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13

2.3 Classificazione dei propulsori

I sistemi propulsivi utilizzati dai veicoli spaziali, possono essere classificati in base al:

Processo accelerativo usato

Tipo di energia che viene trasformata in spinta I vari processi accelerativi si distinguono in :

- gasdinamico: il propellente, contenuto ad alta pressione e

temperatura in una camera di reazione, viene accelerato tramite un’espansione in un ugello opportunamente sagomato;

- elettrostatico: gli ioni formatisi dalla ionizzazione del gas

propellente, vengono accelerati tramite un campo elettrico;

- elettromagnetico: il propellente allo stato di plasma viene

accelerato da forze elettromagnetiche derivanti dall’interazione di una corrente ed un campo magnetico a questa perpendicolare (Forza di Lorentz).

I tipi di energia utilizzati sono:

- energia chimica: energia liberata in seguito a qualsiasi reazione

chimica esotermica;

- energia nucleare: energia liberata in seguito a fissione o fusione

nucleare

- energia elettrica: energia che viene utilizzata per creare campi

elettrici e magnetici in grado di ionizzare e accelerare il gas.

La Tab 2.2 riporta i propulsori più utilizzati in campo spaziale suddivisi in base al processo accelerativo e all’energia utilizzata.

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Sono evidenziati i valori di Is e, dove significativo, la potenza per

unità di spinta richiesta (Potenza specifica).

Energia utilizzata Processo

Accelerativo

impiegato Chimica Nucleare Elettrica

Prop. liquidi

Is=300÷400 s Is=250÷400 s Resistogetti P’=5 kW/N Gasdinamica Prop. solidi Is=180÷250 s A fissione Is=800÷1500 s Arcogetti Is=400÷1000 s P’=10÷15 kW/N Motori a bombardamento elettronico Is=3000÷5000 s P’=30 kW/N Elettrostatico FEEP Is=6000 s P’=50÷55 kW/N MPD Is=2000÷5000 s P’=30÷40 kW/N Elettromagnetico

Motori a effetto Hall Is=2000÷3500 s

Tab. 2.2 Propulsori utilizzati in campo spaziale

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15

2.4 I Propulsori Chimici

I propulsori spaziali che hanno trovato finora il più largo impiego sono i propulsori chimici che si dividono, a loro volta, a seconda dello stato di aggregazione dei propellenti in:

- propulsori a propellente solido;

- propulsori a propellente liquido.

A seconda del propellente si ottengono impulsi specifici differenti come si può notare nella Tab 2.3.

Tipo di motore Propellente Is (s) Liquido O2 − H2 O2 − RP-1 N2O2 − MMH F − H2 F2 − N2H4 450 350 300÷340 410 425 Solido Nitrato di ammonio − Resine

Perclorato di ammonio − Resine Perclorato di ammonio − Alluminio

192 262 266

Tab 2.3: Valori dell’impulso specifico per i propellenti chimici

Il meccanismo di base consiste nella produzione di energia per via chimica e su un processo accelerativo di tipo gasdinamico.

La spinta viene in questo caso ottenuta facendo espandere per via gasdinamica i prodotti di combustione di una reazione chimica esotermica che interessa il fluido di lavoro utilizzato.

Le limitazioni al valore dell'impulso specifico nei propulsori chimici sono dovute essenzialmente a tre fattori:

- La massima energia fornita dalle reazioni chimiche esotermiche

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- Le aliquote di energia che restano congelate nei moti delle particelle del

getto in uscita (frozen flow losses) e le perdite radiative del getto

- I problemi tecnologici di realizzazione, relativi agli elevati carichi

termici ed alla corrosione della parte calda del propulsore.

Fig. 2.1 Schema di un propulsore chimico convenzionale

Per queste limitazioni non è possibile superare con questi propulsori determinati valori di impulso specifico, quindi i propulsori chimici non sono adatti a missioni dove sono richiesti elevati valori di v

2.5 I Propulsori Nucleari

Anche nei propulsori nucleari il processo accelerativo è di tipo gasdinamico, ma in questo caso l’energia necessaria a scaldare il gas viene ottenuta tramite una reazione di fissione nucleare tra isotopi di uranio.

Con questa tecnologia si possono raggiungere impulsi specifici di 800÷1000 s usando idrogeno come propellente.

Le limitazioni nell’utilizzo di questi propulsori sono dovute a problemi di sicurezza (specialmente al momento del lancio del veicolo dalla Terra, nel caso il lancio fallisse); in particolare per missioni con equipaggio si deve progettare una schermatura adeguata in modo che questo non risulti esposto a radiazioni, creando ulteriori complicazioni e aumentando il peso della struttura del veicolo.

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17 Per questi motivi lo sviluppo di questa tecnologia è a tutt’oggi lento e difficoltoso.

2.6 Propulsori Elettrici

Nel presente paragrafo verranno descritti gli schemi di funzionamento delle principali tipologie di motori elettrici in relazione al particolare processo accelerativo utilizzato sul fluido di lavoro.

I propulsori elettrici sfruttano l’energia elettrica fornita da un generatore di potenza sia per scaldare il propellente e farlo espandere in un ugello, sia per accelerare il gas ionizzato attraverso forze elettriche e/o magnetiche.

I sistemi appartenenti alla famiglia dei propulsori elettrici vengono solitamente divisi in tre classi, in base ai diversi processi accelerativi coinvolti:

Propulsori elettrotermici: sfruttano l’energia elettrica per

scaldare ad alte temperature il fluido di lavoro che viene poi accelerato in un ugello. La velocità di scarico è proporzionale alla quantità Tc/

µ

.

Propulsori elettrostatici impiegano l’energia elettrica per

creare un campo elettrico col quale si accelerano le particelle di propellente ionizzate. La velocità di scarico ha un andamento del tipo 2Ve/

µ

dove V è la differenza di potenziale

attraverso la camera di accelerazione.

Propulsori elettromagnetici un propellente portato allo stato di

plasma dalla scarica elettrica scoccata tra due elettrodi, è accelerato dalla forza di Lorentz generata dall’interazione della corrente con il campo magnetico autoindotto dalla corrente stessa o applicato dall’esterno

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2.6.1 Propulsori Elettrotermici

In questi propulsori il fluido di lavoro vede il suo contenuto entalpico aumentato grazie ad un opportuno processo di scambio di calore che avviene tramite un’adeguata immissione di energia elettrica. Il fluido, così riscaldato, viene poi fatto espandere in un ugello.

La spinta che si ottiene è quindi frutto di un processo accelerativo di tipo gasdinamico.

Si distinguono due tipi di propulsori a seconda del modo con il quale viene scaldato il gas:

Resistogetti (Fig.2.2)

Il riscaldamento è ottenuto tramite l’utilizzo di un elemento resistivo, che funge da riscaldatore, posto in contatto diretto o indiretto con il gas da espandere e portato ad alta temperatura per effetto Joule

Il resistogetto è caratterizzato da impulsi specifici dell’ordine di 200 - 800 secondi e ha il vantaggio di poter utilizzare praticamente ogni genere di fluido di lavoro, le potenze sono dell’ordine dei 10 kW/N, ma con

rendimenti propulsivi bassi di circa 0.3 .

L’elemento riscaldante può essere posto o meno a diretto contatto col fluido.

Nel primo caso lo scambio di calore avviene direttamente tra il fluido e la resistenza, con una migliore efficienza termica ma con un peggioramento delle condizioni operative dell’elemento resistivo e una conseguente diminuzione della sua vita operativa.

Nel secondo caso resistenza e fluido sono tenuti separati per mezzo di un terzo elemento (tipicamente il fluido viene fatto scorrere all’interno di un tubo controavvolto con la serpentina resistiva), con un peggioramento dell’efficienza di scambio termico ma un miglioramento per quanto riguarda usura e corrosione dei componenti.

Un aspetto critico di questo tipo di propulsore sono le alte temperature raggiunte da alcuni componenti del motore che possono risultare un parametro di progetto da considerare con molta attenzione.

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19 Arcogetti (Fig. 2.3)

Il propellente viene scaldato direttamente da una scarica elettrica che scocca tra un catodo centrale e un anodo ad esso coassiale con pareti sagomate in modo da fungere da ugello.

Il fluido di lavoro scambia calore con l’arco elettrico generato dal catodo e che, tramite un opportuno canale di stabilizzazione chiamato costrittore, si attacca sulla superficie dell’anodo.

Il profilo della temperatura presenta una zona centrale con valori molto elevati mentre avvicinandosi alla parete dell’anodo diminuisce abbastanza rapidamente consentendo quindi l’ottenimento di un più efficace riscaldamento del propellente rispetto al resistogetto senza raggiungere temperature critiche per i componenti del motore.

Con gli arcogetti si ottengono impulsi specifici massimi di circa 1500 secondi, i rendimenti propulsivi sono decisamente più elevati circa 0.9 mentre le potenze specifiche sono tipicamente intorno ai 4 ÷ 6 kW/N.

Sia nel resistogetto che nell’arcogetto permangono comunque le limitazioni di tipo gasdinamico viste nel caso dei propulsori chimici; infatti la natura del processo accelerativo richiede, per l’ottenimento di velocità di scarico più elevate, l’innalzamento della temperatura del fluido di lavoro con conseguenti problematiche legate al surriscaldamento di parti del motore.

In figura 2.2 e 2.3 si riportano gli schemi costruttivi rispettivamente di un resistogetto e di un arcogetto.

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Fig 2.2 Schema di un Resistogetto

Fig 2.3 Schema di un Arcogetto

Sorgente di energia elettrica Scambiatore di calore

Fluido di lavoro Getto del motore Schermatura termica Elemento resistivo (riscaldatore) Iniezione

propellente Arco elettrico

Costrittore

Anodo

(13)

21

2.6.2 Propulsori Elettrostatici

Questa classe di propulsori, realizza il superamento delle limitazioni di natura termica cui sono soggetti i motori elettrotermici, legate al

riscaldamento ed alla successiva espansione del gas propellente.

Un propulsore elettrostatico sfrutta l’energia di un campo elettrico per accelerare un fascio di ioni. Schematicamente un simile propulsore è formato da:

- un emettitore di ioni (un dispositivo che prende in ingresso il fluido di

lavoro e ne tramuta le molecole in ioni);

- un acceleratore, opportunamente posto ad un potenziale inferiore

all’emettitore per accelerare gli ioni;

- un neutralizzatore, per restituire al fascio ionico accelerato gli elettroni

precedentemente tolti e ristabilire così la neutralità di carica.

Lo schema di funzionamento di un propulsore elettrostatico è riportato in figura 2.4

Fig 2.4 Schema di funzionamento di un motore elettrostatico

Sorgente ionica Griglia acceleratrice Neutralizzatore elettroni ioni

(14)

Gli ioni emessi dalla superficie della sorgente vengono accelerati in direzione di una griglia sotto l’azione di un campo elettrico generato dalla differenza di potenziale esistente tra emettitore e elettrodo acceleratore.

Una volta superata la griglia, gli ioni si ricombinano con elettroni opportunamente generati da un neutralizzatore in modo da mantenere la neutralità globale del dispositivo ed evitare movimenti di carica indesiderati. Gli impulsi specifici ottenibili con propulsori di questo tipo sono dell’ordine di 3000÷6000 secondi con rendimenti di spinta molto elevati

(η≅0.8).

I principali tipi di propulsori elettrostatici sono:

Propulsori ad effetto di campo (Feep) (Fig 2.5)

Il propellente liquido, solitamente Cesio, viene portato per capillarità in una zona dove un intenso campo elettrico, generato dalla differenza di potenziale instaurata tra due elettrodi, crea dei coni, detti coni di Taylor, dalla cui sommità si staccano ioni che vengono accelerati verso l’esterno.

Una volta che gli elettroni sono stati liberati è lo stesso campo elettrico che provvede ad accelerarli consentendo quindi l’ottenimento di una forza propulsiva.

I propulsori FEEP sono caratterizzati da spinte molto basse (dell’ordine dei N), ma hanno alti rendimenti di spinta, dell’ordine di 0.9, con impulsi specifici che arrivano fino a 9000 secondi.

(15)

23

Fig. 2.5 Schema di un motore FEEP

Propulsori a Bombardamento elettronico (Fig 2.6)

Il propellente, generalmente Xeno, viene ionizzato tramite il bombardamento di elettroni emessi per effetto termoionico da catodi incandescenti.

Con riferimento alla figura 2.6, gli elettroni vengono emessi da un catodo per effetto termoelettrico.

Tali elettroni vengono attratti verso l’anodo cilindrico, posto ad un potenziale più alto rispetto al catodo, ma sono impediti dal raggiungerlo dal campo magnetico generato da una serie di magneti anulari, che li costringe ad un moto a spirale fino alla collisione con un atomo di propellente.

Una frazione di queste collisioni darà vita a una coppia di elettrone-ione che a loro volta parteciperanno al meccanismo di colliselettrone-ione.

In stazionario, nella camera, si troveranno atomi neutri, insieme ad ioni ed elettroni.

Gli ioni così prodotti sono poi collimati sui fori della griglia acceleratrice tramite uno schermo, posto immediatamente a monte, impostato ad un potenziale maggiore rispetto all’elettrodo acceleratore.

(16)

Fig 2.6 Schema di un motore a bombardamento elettronico 2.6.3 Propulsori Elettromagnetici

Nella propulsione elettromagnetica il processo accelerativo è una conseguenza dell’interazione di un plasma con un campo elettrico e un campo magnetico.

Il fluido di lavoro viene ionizzato dallo scoccare di una scarica elettrica tra due elettrodi posti ad una elevata differenza di potenziale.

L’accelerazione avviene per l’interazione della corrente prodotta nella scarica con il campo magnetico autoindotto dal processo stesso oppure con un campo magnetico applicato esternamente.

Esempi di propulsori elettromagnetici sono riportati in figura 2.7 2.8 e 2.9

Aliment. Anodo

Aliment.

Schermo Aliment.

Griglia Aliment. Neutraliz

. Getto ionico Magneti ad anello Catodo cavo Neutralizzatore Griglia acceleratrice

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25 Propulsori magnetoplasmadinamici (Fig 2.7-2.8)

I Propulsori MPD si suddividono, a loro volta, a seconda di come è il campo magnetico in :

Propulsori a Campo Magnetico Autoindotto (Fig 2.7) quando

il campo magnetico è prodotto dal motore stesso. In questo propulsore la spinta viene generata per effetto della forza di Lorentz che nasce dall’interazione tra la componente radiale della corrente di scarica e la componente azimutale del campo magnetico autoindotto.

(18)

Propulsori a campo magnetico Applicato Per lavorare con

potenze al di sotto dei 100kW è necessario applicare un campo magnetico esternoono tramite un solenoide, avvolto all’esterno dell’anodo, che si occupa di fornire il campo magnetico desiderato. Il forte campo magnetico assiale ostacola il flusso di elettroni verso l’anodo, forzandoli a seguire traiettorie che si protraggono ben a valle della sezione di uscita. Nelle zone dove le linee di corrente curvano assumendo una componente radiale più marcata, la forza di Lorentz presenta una componente azimutale, che aiuta il sostentamento del moto spiraleggiante degli elettroni. La corrente generata da questo moto, provocata dall’interazione fra campo elettrico e campo magnetico e quindi definibile come corrente di Hall, interagisce con il campo magnetico dando vita, nelle regioni dove il campo diverge, ad una componente assiale di spinta. In questo tipo di propulsori si può quindi differenziare la spinta in due componenti essenziali, una dovuta all’interazione lorentziana (sulla quale si basa il modello a campo autoindotto) e una dovuta all’effetto Hall generato dal campo magnetico esterno.

Fig 2.8 MPD a campo magnetico applicato

Linee di corrente solenoide Anodo Linee di campo magnetico

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27 Propulsori ad effetto Hall (Fig 2.9)

In questi propulsori il campo magnetico in realtà non è utilizzato direttamente per accelerare gli ioni tramite la forza di Lorentz, ma piuttosto per conferire agli elettroni un moto prevalentemente azimutale.

Il campo magnetico radiale è prodotto da una bobina esterna al propulsore, mentre il campo elettrico longitudinale è inizialmente generato tra il catodo esterno e l’anodo interno.

Gli elettroni emessi dal catodo, sotto l’azione combinata del campo elettrico e del campo magnetico, iniziano a spiraleggiare, muovendosi azimutalmente intorno al corpo centrale del motore creando così, per effetto Hall, una corrente elettronica circonferenziale che ionizza il propellente.

Questo moto spiraleggiante degli elettroni rallenta il loro cammino verso l’anodo, aumentando la resistenza del plasma proprio all’imbocco della camera di ionizzazione e creando un campo elettrico perfettamente assiale che accelera gli ioni senza che questi risentano del campo magnetico. Il processo accelerativo, quindi, è ancora di tipo elettrostatico.

(20)

Fig. 2.9 Motore ad effetto Hall

2.7

Parametri principali dei propulsori elettrici

In un sistema propulsivo elettrico la sorgente di energia ed il propellente sono distinti, con la conseguenza di dover individuare un preciso sottosistema, un generatore, che fornisca l’energia elettrica necessaria.

Definita una missione ed un tempo t per il suo compimento, in condizioni di spinta e di portata di propellente costanti, si può calcolare la quantità di propellente necessaria:

0 g I t T u t T t m m S e ∆ = ∆ ⋅ = ∆ = ∆ (2.8)

Dall’equazione (2.8) risulta che maggiore è l’impulso specifico e minore è la massa di propellente consumata.

Ipotizzando che la massa del generatore di potenza sia proporzionale alla potenza erogata, si può scrivere:

Anodo Camera di ionizzazione anulare Circuito Magnetico

(21)

29 η α η α α 2 2 0 s e p TI g Tu P m = = = (2.9)

dove è il rendimento di spinta espresso come rapporto tra la potenza di spinta e la potenza in ingresso nel propulsore:

P TI g P u m P Tu s e e 2 2 2 1 0 2 = = = η (2.10)

Dalle ultime relazioni risulta che un propulsore elettrico con un elevato impulso specifico richiede una maggiore potenza, e quindi un generatore di dimensioni maggiori.

Si riscontra che all’aumentare dell’impulso specifico si ha una diminuzione della massa di propellente necessario, ma allo stesso tempo, un aumento della massa del generatore.

Per questo è necessario trovare un impulso specifico ottimale che renda minima la somma della massa di propellente e della massa del generatore di energia in modo da avere una maggiore frazione della massa totale del veicolo destinata al carico utile.

Nel grafico di Fig. 2.10 è riportato l’andamento di tale somma in funzione dell’impulso specifico.

Il minimo sul grafico individua l’impulso specifico ottimale che può essere espresso anche analiticamente come:

α

η

t g ISott = 1 2 ∆ 0 (2.11)

(22)

Fig. 2.10: Impulso specifico ottimale

Se l’impulso specifico supera il valore di ottimo il contributo alla massa totale dovuto al generatore diventa sempre più gravoso.

L’espressione dell’impulso specifico ottimo evidenzia come la situazione per i propulsori ad alto impulso specifico diventi tanto più vantaggiosa quanto più è basso il valore della massa specifica del generatore e quanto più elevato è il rendimento di spinta.

E’ chiaro, quindi, che l’utilizzo futuro di elevati impulsi specifici è vincolato alla capacità tecnologica di poter rendere disponibili generatori che forniscano elevata potenza per unità di massa.

E’ altresì opportuno sottolineare come un generatore di energia elettrica possa essere utilizzato anche per far funzionare impianti di bordo, ascrivendo così parte della sua massa a carico utile.

2.8

Impieghi della propulsione elettrica

L’elevato impulso specifico, caratteristico dei propulsori elettrici, ne rende vantaggioso l’impiego rispetto ai propulsori chimici convenzionali, soprattutto per le missioni più impegnative, consentendo un minor consumo di propellente e pertanto una maggior porzione di massa da destinare al

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31 carico utile; ma presentano l’inconveniente di non essere facilmente scalabili, cioè le prestazioni che si possono ottenere con ognuno di essi non sono facilmente ottenibili da altri, semplicemente variando le dimensioni e la potenza in ingresso.

Nelle Fig. 2.11 e 2.12 vengono presentate le prestazioni che si aspira raggiungere con i propulsori elettrici.

(24)

Fig. 2.12: Efficienza in funzione dell’impulso specifico

Gli arcogetti e i propulsori elettrostatici, grazie alla estrema facilità di accensione e spegnimento, alla possibilità di regolare con precisione il livello di spinta e al consumo ridotto di propellente, si pongono come valida soluzione di impiego in applicazioni quali il controllo di assetto o il mantenimento di stazione di satelliti artificiali.

Gli arcogetti presentano elevati livelli di efficienza a bassi impulsi specifici (IS <1000 s) e una potenza specifica dell’ordine di 10 kW/N. I propulsori a ioni raggiungono valori di efficienza propulsiva dell’ordine dell’80÷90% con impulsi specifici variabili tra 3000 s e 6000 s e una potenza specifica di 25÷30 kW/N.

Questi elevati valori di efficienza, insieme al conseguimento di un sufficiente grado di affidabilità, hanno fatto sì che arcogetti e propulsori a ioni siano stati tra i primi ad essere impiegati in applicazioni quali il controllo di assetto o il mantenimento di stazione.

I propulsori MPD presentano valori sperimentali dell’impulso specifico compresi tra 2000 s e 5000 s, con densità di spinta superiori a 1000 N/m2, ma bassi valori di rendimento (circa il 40%) che non ne consentono un’applicazione a breve scadenza.

(25)

33 Un altro limite del propulsore MPD è la necessità di potenze per il funzionamento in continuo dell’ordine dei kW, per i propulsori a campo magnetico applicato, e dei MW, per quelli a campo magnetico autoindotto.

Queste potenze sono ottenibili da generatori costituiti da reattori nucleari che sono però, come già accennato, di non facile realizzazione.

Alla necessità di potenze così elevate si può ovviare, in sede sperimentale, con un uso dei propulsori MPD in regime pulsato quasi stazionario (PQS) sfruttando la tecnologia dei condensatori per disporre di MW di potenza per brevi durate di funzionamento (millisecondi).

RIFERIMENTI

[1] Serena Chiricò, “Progetto di un propulsore MPD a campo applicato

di bassa potenza”, Tesi di laurea in ingegneria aerospaziale, 2004-2005.

[2] Jahn, R.G., “Physics of Electric Propulsion” , McGraw-Hill

(26)

Figura

Tab. 2.2 Propulsori utilizzati in campo spaziale
Fig. 2.1      Schema di un propulsore chimico convenzionale
Fig 2.3 Schema di un Arcogetto
Fig 2.4 Schema di funzionamento di un motore elettrostatico
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Riferimenti

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