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L'analisi competitiva: il caso di alcune aziende del settore del latte.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di laurea: Strategia, Management e Controllo.

Tesi: “L’analisi competitiva: il caso di alcune aziende del settore

del latte”

Candidato: Giacomo Benetello Relatore: Prof. Giulio Greco

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Sommario

Introduzione ... 3

1. Il mercato del latte nel 2015 ... 4

1.1 La produzione di latte e la dinamica del prezzo del latte alla stalla. ... 4

1.2 Il bilancio di autoapprovvigionamento e il decreto ministeriale 9 dicembre 2016. 7 1.3 Le industrie di trasformazione e le produzioni. ... 9

1.4 I consumi ... 14

2. L’analisi di bilancio come strumento per l’analisi competitiva. ... 23

2.1 Presentazione aziende lattiere ... 29

2.1.1 Sterilgarda ... 29

2.1.2 Centrale del Latte di Torino ... 30

2.1.2 Centrale del Latte di Roma ... 32

2.1.4 Padania Alimenti ... 34

2.2 Lo Stato Patrimoniale riclassificato secondo il criterio finanziario ... 35

2.3 Lo Stato Patrimoniale di Pertinenza Gestionale. ... 41

2.4 L’andamento dei fatturati. ... 47

2.4.1 Sterilgarda ... 48

2.4.2 Centrale del Latte di Torino ... 52

2.4.3 Centrale del Latte di Roma ... 57

2.4.4 Padania Alimenti ... 61

2.4.5 Considerazioni riepilogative sui fatturati. ... 64

2.5 Il Conto Economico Percentualizzato ... 66

2.6 Analisi 1° Margine ... 72

2.7 La dinamica dell’EBITDA e EBITDA/Fatturato ... 75

2.8 La dinamica dell’EBIT Caratteristico, L’EBIT Aziendale e il ROS. ... 81

2.9 La dinamica dell’Utile netto e il ROE (Return on Equity) ... 85

2.10 Il ROA (Return on Assets) e il ROI (Return on Investments) Caratteristico. ... 90

3. Conclusioni ... 97

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Introduzione

Nell’anno 2015 l’industria lattiero-casearia ha fatturato 14,9 miliardi di €, pari a circa l’11,3% del totale del fatturato dell’industria alimentare rappresentando per il nostro Paese uno dei comparti alimentari più importanti per valore, assieme a quello vitivinicolo e a quello dolciario. Il dato relativo al fatturato è il risultato dell’operato di 1966 aziende che impiegano in complesso circa 30 mila addetti.

Negli ultimi anni queste aziende hanno dovuto affrontare nuove sfide nel settore in cui operano tra cui il cambio dei modelli di consumo dei consumatori, che ha portato ad una flessione degli acquisti dei prodotti lattiero-caseari a favore di altri tipi di prodotti come le bevande vegetali, spesso per motivi riguardanti la sfera della salute, non sempre del tutto fondati, associati all’assunzione di prodotti di origine animale. Questo ha avuto una ripercussione negativa sui fatturati di tali aziende, dovuta anche alla flessione dei prezzi dei prodotti in linea con i prezzi della materia prima, in discesa a seguito della fine del regime delle quote latte che ha portato ad un aumento in Europa della produzione di latte vaccino.

In questo elaborato nel primo capitolo sarà oggetto di studio brevemente la composizione del mercato del latte mettendo in evidenza come si è evoluta la produzione di latte vaccino in Italia e in Europa e la dinamica del prezzo del latte alla stalla, il bilancio di autoapprovvigionamento, il decreto ministeriale 9 dicembre 2016, la struttura delle aziende operanti nella trasformazione e le produzioni ottenute e infine le tendenze degli acquisti di prodotti lattiero-caseari da parte dei consumatori. il secondo capitolo sarà dedicato all’analisi competitiva di quattro aziende di trasformazione: Sterilgarda S.p.A, Centrale del Latte di Torino S.p.A, Centrale del Latte di Roma S.p.A, Padania Alimenti S.r.l. Lo strumento utilizzato sarà quello dell’analisi di bilancio applicato agli esercizi 2013-2014-2015 che permetterà di dare un giudizio sulla composizione patrimoniale delle aziende e sui risultati reddituali conseguiti, nonché tramite la lettura congiunta di nota integrativa e relazione sulla gestione di capire quali siano i fattori chiave che influenzano la redditività di impresa, le differenze gestionali, e le strategie adottate in termini di prodotti e mercati.

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1. Il mercato del latte nel 2015

Il primo capitolo sarà dedicato alla presentazione delle principali componenti che hanno caratterizzato il mercato del latte nel 2015.

1.1 La produzione di latte e la dinamica del prezzo del latte alla

stalla.

In questo paragrafo andremo ad analizzare la produzione di latte vaccino in Italia e in Europa (in particolare nei 28 paesi membri) prendendo come riferimento le consegne di latte alle latterie.

La produzione di latte in Europa è stata caratterizzata fino al 1 aprile 2015 dalla presenza del regime delle quote latte, un sistema di contingentamento della produzione finalizzato ad un controllo della stessa per garantire un equilibrio tra consumi e produzione, e conseguentemente corrispondere ai produttori un prezzo del latte alla stalla congruo per consentire a questi di mantenere una redditività delle aziende produttrici soddisfacente. Dal 1 aprile 2015 il sistema delle “quote latte” è terminato, e si è tornati per la produzione di latte, ad una situazione di libero mercato.

Nella tabella 1 che segue viene riportata nel decennio 2010-2015 la produzione di latte in Italia e in EU-28. Consegne di Latte in .000 t 2010 2011 2012 2013 2014 2015 Italia 10.604 10.822 10.876 10.701 11.037 11.161 Var% 2,06% 0,50% -1,61% 3,14% 1,12% CAGR 1,03% EU-28 136.337 139.484 140.625 141.743 148.471 152.277 Var% 2,31% 0,82% 0,80% 4,75% 2,56% CAGR 2,24%

Tabella 1: Consegne di latte in Italia e in EU-28. Fonte: CLAL

La produzione di latte in Europa e in Italia ha avuto un andamento tendenzialmente positivo, tra i paesi membri la crescita media annua nel quinquennio è stata del 2,24% con picchi di crescita nel 2014 (+4,75% sul 2013) e nel 2015 (+2,56% sull’anno

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precedente), mentre più bassa è stata la crescita in Italia dove si registra un CAGR pari al 1,03%, che vede le consegne di latte in aumento nel 2014 e nel 2015 dopo una leggera flessione nel 2013. Questo aumento considerevole nel biennio 2014-2015 è dovuto sia all’allentamento del vincolo delle quote, sia alla maggiore produttività dei nuovi paesi. Tra le nazioni dell’UE quelle che contribuiscono maggiormente alla produzione europea di latte sono la Germania (20,9%), la Francia (16,7%), il Regno Unito (10%), L’Olanda (8,7%) e l’Italia con il 7,3%.

Tale aumento della produzione ha portato ad una flessione del prezzo del latte alla stalla che rappresenta una variabile critica sia per la redditività delle aziende produttrici sia di quelle di trasformazione.

Prezzo medio del latte alla stalla € 100/ Kg

2011 2012 2013 2014 2015 2016

Italia- Lombardia 38,43 € 37,31 € 39,61 € 40,66 € 35,08 € 33,58 € Germania 34,40 € 31,45 € 37,07 € 37,03 € 28,81 € 26,28 € Media EU-28 33,99 € 32,67 € 36,51 € 37,26 € 30,84 € 28,42 €

Figura 1: Andamento prezzo medio del latte alla stalla. Fonte: CLAL

Dalla figura 1, frutto di una rielaborazione sui dati del CLAL, emerge che il prezzo del latte alla stalla ha toccato In Italia il suo massimo nel 2014 con un prezzo medio di 40,66 100/kg per poi ridursi drasticamente nel 2015 di più di 5€/100kg e continuando la sua corsa verso il basso nel 2016 (33,58 €/100kg). Questa flessione è legata principalmente alla fine del regime delle quote latte e l’annesso aumento della produzione. Nella tabella si è preso a

€25,00 €27,00 €29,00 €31,00 €33,00 €35,00 €37,00 €39,00 €41,00 €43,00 2 0 1 1 2 0 1 2 2 0 1 3 2 0 1 4 2 0 1 5 2 0 1 6

Prezzo del latte alla stalla €/100 Kg

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riferimento i valori medi della Lombardia in quanto, poiché produttore del più del 40% del latte nel nostro Paese, è punto di riferimento per la fissazione dei prezzi in tutta Italia. I prezzi medi del latte alla stalla in Germania, significativi in quanto maggiore produttore di latte in Europa, sono risultati più bassi e più volatili rispetto che in Italia, facendo registrare come prezzo medio massimo nel 2013 37,07 €/100 Kg e come prezzo medio minimo 26,28 €/100 Kg nel 2016.

Circa il valore medio della EU-28, questo risulta essere nettamente inferiore ai valori registrati in Lombardia.

Per quanto riguarda i rapporti tra fornitori di latte crudo e industrie di trasformazione, da molti anni non vengono stipulati accordi interprofessionali a carattere nazionale, ma si è assistito, per la regione Lombardia, un susseguirsi di accordi a carattere aziendale. In particolare sono da riferimento per la fissazione dei prezzi del latte alla stalla tra allevatori e industria di trasformazione gli accordi avvenuti tra Italatte S.p.A , filiale in Italia di Lactalis S.p.A leader nel mercato europeo dei prodotti lattiero caseari, che da sola raccoglie circa il 9% di tutta la produzione nazionale. Nel 2013/2014 l’accordo tra Italatte e le organizzazioni professionali agricole lombarde come CIA Lombardia, Confagricoltura Lombardia e Coldiretti Lombardia, fissavano per il periodo Febbraio-Giugno 2014 un prezzo pari a 44,5 €/100L iva esclusa per un periodo inferiore alla campagna di commercializzazione. Successivamente Italatte nel marzo del 2015 propone ai suoi fornitori un contratto che lega il prezzo pagato ai produttori al prezzo medio tedesco rettificato da un fattore di correzione, che rende il prezzo corrisposto agli allevatori variabile dai 30 €/100L ai 43 €/100L. Con questa nuova formula per la fissazione del prezzo, di fatto è stato corrisposto agli allevatori un prezzo inferiore a quello del 2014, in quanto il prezzo medio del latte tedesco è storicamente inferiore a quello corrisposto in Italia. Nel 2016 invece nel nuovo contratto proposto il prezzo pagato agli allevatori viene legato a quello medio europeo anche questo risultante molto più variabile di quello del mercato nazionale. Infine nel dicembre 2016 è stato siglato un accordo tra Coldiretti e Italatte circa la fissazione del prezzo del latte alla stalla stabilendo come prezzo minimo 37 €/100 L a Gennaio per poi salire a 38 €/100 L a Febbraio fino ai 39 €/100 L in Marzo e Aprile, cambiando di fatto la corsa verso il basso del prezzo del latte alla stalla cominciata nel Luglio 2014.

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1.2 Il bilancio di autoapprovvigionamento e il decreto ministeriale

9 dicembre 2016.

Bilancio di autoapprovvigionamento di latte e derivati e consumi apparenti (.000t)

Anno 2012 2013 2014 2015

Produzione 11.503 11.307 11.633 11.788

Import 9.448 9.341 9.363 9.696

Export 4.005 4.300 4.405 4.787

Consumi apparenti 16.947 16.348 16.590 16.697

% Consumi prodotto italiano 44,2% 42,9% 43,6% 41,9%

% Consumi prodotto estero 55,8% 57,1% 56,4% 58,1%

Tasso di autoapprovvigionamento 67,90% 69,20% 70,10% 70,60%

Tabella 2: Bilancio di autoapprovvigionamento di latte e derivati. Fonte: Rielaborazione su dati ISMEA Mercati.

Nella tabella 2 vengono riportati i dati relativi al bilancio di autoapprovvigionamento di latte e derivati del nostro Paese. Nel bilancio di autoapprovvigionamento vengono riportati i valori relativi alla produzione, import e export dei prodotti lattiero caseari evidenziando i consumi apparenti, approssimazione dei consumi della nazione, aggregato calcolato come somma della produzione nazionale con la quantità importata a cui va sottratta la quantità esportata evidentemente non consumata all’interno del Paese. Il tasso di autoapprovvigionamento viene calcolato come percentuale tra la produzione e i consumi apparenti, e indicherebbe in quale parte la produzione nazionale soddisferebbe i consumi interni. Possiamo vedere dalle percentuali dei consumi come in Italia nel quadriennio 2012-2015 più del 55% dei prodotti lattiero caseari consumati viene importato dall’estero spesso a prezzi più concorrenziali andando a discapito di tutta la filiera nazionale con ripercussioni sia sulla redditività degli allevatori sia su quella dei trasformatori. A tal proposito, il decreto ministeriale 9 dicembre 2016 “Indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattieri caseari1

firmato dal ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e dal ministero dello sviluppo economico, entrato in vigore il 20 aprile 2017, sancisce una rivoluzione per le informazioni da riportare in etichetta nei prodotti lattiero caseari. Con tale decreto, per garantire una maggiore trasparenza nei rapporti tra produttori e consumatori, nelle

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etichette dovranno essere riportate, in modo da essere visibili e facilmente leggibili le indicazioni riguardanti:

• “Paese di mungitura”: il nome del Paese nel quale è stato munto il latte • “Paese di condizionamento o di trasformazione”: il nome del Paese nel

quale il latte è stato condizionato o trasformato.

Qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari, sia stato munto, condizionato o trasformato, nello stesso Paese, l'indicazione di origine può essere assolta con l'utilizzo della seguente dicitura: “origine del latte”: nome del Paese. Qualora le operazioni di cui sopra siano state effettuate in più Paesi dell’Unione Europea nell’etichetta dovrà essere riportato: «latte di Paesi UE» per l'operazione di mungitura, «latte condizionato o trasformato in Paesi UE» per l'operazione di condizionamento o di trasformazione. Se invece tali operazioni venissero effettuate fuori dai paesi dell’UE devono essere utilizzate le seguenti diciture: «latte di Paesi non UE» per l'operazione di mungitura, «latte condizionato o trasformato in Paesi non UE» per l'operazione di condizionamento o di trasformazione.

Inoltre il decreto specifica che i prodotti immessi sul mercato o etichettati antecedentemente all’entrata in vigore del decreto possono essere commercializzati fino ad esaurimento scorte e non oltre 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto.

Questo decreto rappresenta un passo storico per la tutela del “made in Italy”, per la tutela dei consumatori e per la trasparenza. Secondo Moncalvo, presidente della Coldiretti, “tre cartoni su quattro di latte UHT venduti in Italia provengono dall’estero così come la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, senza che questo sia stato obbligatorio fino ad ora riportarlo in etichetta2”. Con le nuove

informazioni obbligatorie da riportare in etichetta, anche la concorrenza del “made in Italy” con i prodotti esteri sarà diversa e probabilmente i consumatori, più consapevoli di ciò che portano in tavola, prediligeranno il primo riconoscendo a tali prodotti un “premium price”, tale da aumentare il valore di tutta la filiera nazionale con ripercussioni positive sia sui trasformatori che sui produttori.

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1.3 Le industrie di trasformazione e le produzioni.

Nell’anno 2015 viene stimato che l’industria alimentare in Italia abbia fatturato 132 miliardi di euro di cui il valore prodotto dall’industria lattiero casearia si attesta sui 14,9 miliardi di euro. L’industria lattiero lattiero-casearia è assieme al comparto vitivinicolo e a quello dolciario è il comparto che fattura più di 10 miliardi di euro e per questo molto rilevante nell’economia del nostro paese.

L’obiettivo di questo paragrafo è quello di dare una visione di insieme delle unità operanti nella trasformazione dei prodotti lattiero caseari in Italia e della produzione ottenuta.

Numero di unità produttive operanti nel settore lattiero caseario

Anni Caseifici e centrali del latte

Stabilimenti di aziende agricole Stabilimenti di enti cooperativi agricoli Centri di raccolta Totale

Valore % Valore % Valore % Valore % Valore

2015 1.321 67,2% 82 4,2% 449 22,8% 114 5,8% 1.966

2014 1.383 67,8% 93 4,6% 449 22,0% 116 5,7% 2.041

2013 1.410 68,4% 80 3,9% 489 23,7% 81 3,9% 2.060

2012 1.393 67,1% 81 3,9% 521 25,1% 81 3,9% 2.076

2002 1.304 57,4% 81 3,6% 785 34,6% 101 4,4% 2.271

Tabella 3:Numero di unità produttive operanti nel settore lattiero-caseario per tipo. Fonte: rielaborazione su dati ISTAT.

Nell’anno 2015 le unità produttive che operano nel lattiero-caseario sono 1.966 di cui composti in gran parte da caseifici e centrali del latte (67,2%) con 1.321 unità produttive, la seconda categoria per numerosità è composta dagli stabilimenti di enti cooperativi agricoli presenti sul territorio nazionale con 449 unità (22,8%), che rispetto al 2002 hanno subito una vistosa decrescita (-336 unità). Meno rilevanti per peso percentuale sul totale sono i centri di raccolta adibiti alla raccolta di latte crudo ma non alla lavorazione dello stesso con 114 unità (5,8%) e gli stabilimenti annessi alle aziende agricole con 82 unità (4,2%). Per quanto riguarda esclusivamente il latte vaccino ed esclusi i centri di raccolta, nella tabella che segue vengono riportati la consistenza degli operatori coinvolti nella raccolta del latte e la successiva trasformazione, e i volumi di latte raccolti. Nella tabella, inoltre viene fatta una distinzione tra piccole unità e le grandi unità in base al volume di latte raccolto che per le piccole unità è riferito a un volume minore di 10.000 tonnellate

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di latte mentre per le grandi ad un volume maggiore di 10.000 tonnellate. Possiamo vedere in tabella 4, che nel 2015 le piccole unità coinvolte nella raccolta di latte vaccino siano 1.107 numero di gran lunga superiore alle 183 unità medio grandi, ma che queste ultime raccolgano un volume latte circa il triplo del volume raccolto dalle piccole unità. Negli ultimi anni il totale del latte raccolto è in leggera crescita dovuto ad una maggiore raccolta delle medio/grandi unità mentre le piccole unità vedono la raccolta di latte in flessione complice anche la riduzione del numero delle stesse.

Numero di unità operanti nella raccolta di latte vaccino

Anni Piccole unita Medio/Grandi unità Totale

n. Latte raccolto (.000 t) n. Latte raccolto (.000 t) n. Latte raccolto (.000 t) 2015 1.107 2.197 183 6.410 1.290 8.607 2014 1.128 2.234 181 6.191 1.309 8.425 2013 1.138 2.372 175 5.753 1.313 8.125 2012 1.202 2.439 187 5.790 1.389 8.229 2002 1.528 3.007 206 6.383 1.734 9.390

Tabella 4: Numero di unità produttive operanti nella raccolta del latte vaccino per classi di ampiezza (esclusi i centri di raccolta). Fonte: rielaborazione su dati ISTAT.

In particolare nel 2015 tra le 1.107 unità di piccole dimensione operanti nella raccolta del latte vaccino 573 raccoglie fino a 1.000 t di latte, 387 tra 1.001-5.000 t., 147 comprese nella fascia 5.001-10.000 t mentre tra le 183 classificate come medio grandi 89 unità raccolgono latte tra le 10.001-20.000 t, 38 tra le 20.001-30.000 t, 27 tra le 30.001-50.000 t, mentre le rimanenti 29 raccolgono oltre le 50.001 t.

Per quanto riguarda la fase della trasformazione nelle tabelle che seguono possiamo vedere l’andamento della produzione, sempre con la suddivisione tra piccole e medio/grandi unità, di latte alimentare e altri latticini freschi, di burro e formaggi. Per “latte alimentare e altri latticini freschi” si intende la produzione complessiva di latte alimentare, latticello, crema o panna da consumo, latte fermentato, latte gelificato, dessert e bevande a base di latte, il discriminante per la suddivisione tra piccole unità e medio/grandi unità è la produzione di 10.000 t tra latte alimentare e/o lattiero-caseari freschi.

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Produzione di latte e altri latticini freschi ripartiti tra piccole e medio/grandi untità

Anni Piccole unita Medio/Grandi unità Totale

n. Produzione (.000 t) n. Produzione (.000 t) n. Produzione (.000 t) 2015 158 153 48 2.892 206 3.045 2014 151 155 50 2.932 201 3.087 2013 158 154 48 2.908 206 3.062 2012 167 181 49 2.947 216 3.128 2002 181 264 63 3.131 244 3.396

Tabella 5: Produzione di latte alimentare e altri latticini freschi ripartita tra piccole e medio/grandi unità per classi di ampiezza. Fonte: rielaborazione su dati ISTAT.

Dalla tabella 5 possiamo vedere come la produzione di latte alimentare e altri latticini freschi sia nel 2015 diminuita rispetto al 2014 di circa 42.000 t, e rispetto al 2002 di circa 351.000 t. Se consideriamo il numero di operatori operanti nella produzione vediamo che queste siano diminuite rispetto al 2002 di 38 unità in diminuzione sia tra le piccole e le medio grandi/unità, che nel 2015 contano rispettivamente 158 e 48 unità per un totale di 206 unità.

Per quanto riguarda la produzione di burro il discriminante scelto è quello delle 100 t di produzione che divide le unità tra piccole e medio/grandi.

Produzione di burro ripartita tra piccole e medio/grandi unità

Anni Piccole unita Medio/Grandi unità Totale

n. Produzione (.000 t) n. Produzione (.000 t) n. Produzione (.000 t) 2015 372 8 72 88 444 96 2014 397 9 70 92 467 101 2013 423 9 84 89 507 98 2012 422 10 82 91 504 101 2002 916 21 110 103 1.026 124

Tabella 6: Produzione di burro ripartita tra piccole e medio/grandi unità. Fonte: rielaborazione su dati Istat.

Dalla tabella 6 emerge che la produzione di burro in Italia è stata piuttosto altalenante, nel 2015 sono stati prodotti 96.000 tonnellate di burro in flessione rispetto al 2014 di 5.000 t, anno in cui si era registrato un aumento rispetto al 2013 di circa 3.000 t. Nel quadriennio 2012-2015 la produzione di burro rispetto all’anno 2002 risulta in decisa

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flessione, se consideriamo che in media nel periodo 2012-2015 sono state prodotte circa 99.000 t di burro rispetto al 2002 si è perso una produzione pari a 25.000 t. Inoltre dalla tabella emerge come si siano ridotte consistentemente le unità produttrici di burro che nel 2015 annoverano 444 unità contro le 1.026 del 2002. In particolare, le piccole unità hanno visto la flessione maggiore passando dalle 916 unità del 2002 alle 372 unità del 2015, e anche tra le unità medio/grandi, i burrifici si sono ridotti dal 2002 di 38 unità. Riguardo la produzione di formaggio viene riproposta la suddivisione della produzione tra piccole e medio/grandi unità dove il discriminante è la soglia di 1.000 t di produzione

Produzione di formaggi ripartita tra piccole e medio/grandi unità

Anni Piccole unita Medio/Grandi unità Totale

n. Produzione (.000 t) n. Produzione (.000 t) n. Produzione (.000 t) 2015 1.407 274 250 933 1.657 1.207 2014 1.465 286 230 890 1.695 1.176 2013 1.544 301 233 857 1.777 1.158 2012 1.570 303 238 901 1.808 1.204 2002 1.763 340 214 733 1.977 1.073

Tabella 7:Produzione di formaggi ripartita tra piccole e medio/grandi unità. Fonte: rielaborazione su dati Istat.

Nel 2015 la produzione di formaggi in Italia si attesta sulle 1.207.000 t in aumento rispetto al 2014 di 31.000 t e in netta crescita rispetto alla produzione del 2002. Quello che emerge dalla tabella è la controtendenza del dato sulle numerosità delle unità operanti nella produzione di formaggi: nel 2015 le piccole unità sono 1.407 in decrescita in tutto il periodo di analisi, che ha visto dal 2002 una contrazione di 356 unità mentre al contrario le medio/grandi risultano in crescita con 250 unità, 20 in più rispetto al 2014 e più 36 rispetto al 2002. Per quanto riguarda la produzione nel 2015 circa il 77,3% della produzione è relativa alle unità medio/grandi mentre il restante 22,7% viene prodotto dalle piccole unità.

Circa la localizzazione geografica degli impianti, ancora risultano dislocati in maggior parte al Nord (46%) e al Sud (45,6%) con il Centro con valori minori pari al’8,4%. Negli anni possiamo notare come al Nord vi sia stata una perdita ingente di impianti che passano dalle 1.292 unità del 2002 alle 904 unità del 2015 con perdite registrate di anno

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in anno. In controtendenza i valori al Sud che rispetto al 2002 sono passate da 813 a 897 (valore del 2015), tuttavia sembra che negli ultimi anni 2014-2015 questi hanno visto un leggere calo rispetto alle 928 unità del 2013. Il centro invece registra solo 165 unità in calo rispetto al triennio precedente. Alla luce di quanto mostrato, il percorso evolutivo è stato diverso nelle tre aree del paese a causa delle differenti condizioni iniziali e della domanda complessiva che in alcune aree rimane in crescita e superiore alla capacità produttive aziendali. Le diminuzioni del numero degli impianti inoltre potrebbe trovare come causa i processi in atto di concentrazione delle produzioni o le più ristrettive norme sanitarie e di controllo/sicurezza degli alimenti, mentre gli aumenti di impianti potrebbe essere legato semplicemente ad un più generale processo di frazionamento del tessuto produttivo in atto nel Mezzogiorno3.

Localizzazione geografica delle imprese

Anni Nord Centro Sud Tot.

n. % n. % n. % n. 2015 904 46,0% 165 8,4% 897 45,6% 1.966 2014 947 46,4% 175 8,6% 919 45,0% 2.041 2013 955 46,4% 177 8,6% 928 45,0% 2.060 2012 970 46,7% 181 8,7% 925 44,6% 2.076 2002 1.292 56,9% 166 7,3% 813 35,8% 2.271

Tabella 8: Ripartizione delle unità produttive per area geografica

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1.4 I consumi

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Negli ultimi anni si stanno modificando in modo repentino i modelli di consumo delle famiglie italiane per due ragioni di motivi: il primo dovuto alla recessione economica che ha portato ad una flessione della spesa in particolar modo quella destinata ai prodotti alimentari, il secondo motivo è invece legato al cambiamento nel comportamento dei consumatori che sempre più domandano prodotti con caratteristiche che vanno oltre all’adeguatezza nutrizionale e il rapporto qualità-prezzo. In particolare la crisi dal lato della domanda che sta attraversando il settore lattiero-caseario, risponde al cambiamento dei modelli alimentari in cui vengono esclusi, in parte o totalmente, i prodotti di origine animale, i cibi ad alto contenuto di zuccheri, grassi e calorie e che osservano con particolare attenzione alle tematiche legate alla sostenibilità e alla biodiversità.

Nonostante il reddito disponibile di gran parte delle famiglie italiane sia andato diminuendo durante gli anni della crisi, con il conseguente aumento degli acquisti di alimenti presso gli Hard Discount, aumenta sempre di più l’attenzione da parte dei consumatori verso i prodotti di qualità, ad alto contenuto funzionale con packaging e formati studiati per contrastare gli sprechi. A questo si aggiunge da parte dei consumatori la crescente attenzione verso la tutela della salute che sta sempre più diventando un criterio di scelta critico da parte di tutti i consumatori e non solo di nicchia. In particolare

le scelte di acquisto dei consumatori si stanno orientando verso prodotti “free-form” (alimenti senza glutine, grano, proteine del latte, lattosio, uova ecc..) che vengono

percepiti in maniera generalizzata come più salutari anche da parte di quei consumatori che non hanno esigenze specifiche. Così negli anni l’industria lattiero-casearia e anche marchi della distribuzione hanno lanciato sul mercato più prodotti privi di lattosio, per intercettare al meglio questo cambiamento nei modelli di consumo.

Oltre all’intolleranza al lattosio, il calo dei consumi dei prodotti lattiero-caseari dipende dalla riduzione degli sprechi e dal lancio sul mercato di prodotti sostitutivi quali le bevande vegetali a base di soia, riso e mandorla considerati più digeribili e salutari che nel 2015 hanno visto incrementare le proprie vendite del 27% sull’anno precedente.

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A questo si aggiunge inoltre, la presenza delle campagne che mettono in dubbio l’importanza nutrizionale del latte e delle teorie anti prodotti di origine animale che, anche se non sempre scientificamente fondati, sono andati a influenzare le scelte dei consumatori portando ad un inevitabile calo dei consumi di lattiero-caseari.

Il consumatore di oggi, sciente del legame tra la scelta dei cibi e la possibilità di ridurre il rischio di disfunzioni o patologie, domanda prodotti che possono incidere sullo stato di salute quindi orientando l’acquisto verso alimenti freschi, naturali che abbiano un elevato grado di servizio finalizzato all’ottimizzazione del tempo, prezzi contenuti e differenziazione nel gusto.

Nel 2015 in Italia è stata registrata una crescita del PIL pari a +0,8% che ha portato ad una crescita della spesa delle famiglie per i consumi.

Spesa delle famiglie

in milioni di euro 2010 2012 2013 2014 2015 Var.% 15/14 Var.% 14/13 Consumi famiglie 983.044 1.001.015 989.236 995.025 1.010.505 1,6% 0,6% Alimentari 131.340 131.825 131.829 131.450 133.240 1,4% -0,3%

Latte, formaggi, uova 18.657 19.148 19.191 19.188 19.418 1,2% 0,0%

Tabella 9: Spesa delle famiglie per beni alimentari a prezzi correnti, periodo 2010-2015. Fonte: ISTAT.

La tabella 9 mostra come i consumi delle famiglie a prezzi correnti siano stati nel 2015 in crescita rispetto al 2014 del 1,6% con un valore pari a 1.010.505 milioni di euro, consumi che anche nel 2014 erano in aumento rispetto al 2013 dello 0,6%. Sul totale dei consumi la spesa per la categoria “Alimentari” che non ricomprende la spesa per bevande, si attesta nel 2015 sui livelli del 13,2% così come per l’anno 2014, e risulta in aumento rispetto al 2014 del 1,4% mentre aveva fatto registrare in quest’ultimo una leggera flessione del -0,3% sul 2013. Tra le categorie ricomprese nella dicitura “Alimenti” vi è la voce di spesa “Latte, formaggi e uova” che nel 2015 sul trend positivo di crescita della spesa per beni alimentari risulta in aumento del 1,2%, mentre nel 2014 aveva visto sostanzialmente una crescita pari a zero.

Per quanto riguarda la spesa pro capite nel triennio 2013-2015 la spesa per “latte, formaggi e uova” è stata rispettivamente di 322€ nel 2013, in flessione nel 2014 con 316€ a persona e con una leggera ripresa nel 2015 con 319€.

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Nella tabella 10, vengono riportati nello specifico il valore degli acquisti domestici sia in volume che in valore del prodotto principale dell’industria lattiero-casearia ovvero il latte, al fine di constatare come si siano evoluti gli acquisti domestici di tali prodotti.

Acquisti totali in volume (.000 litri)

2013 2014 2015 Var% 15/14 Var% 14/13 Latte di cui: 2.241.494 2.098.838 2.001.372 -4,6% -6,4% Latte fresco 736.710 655.052 606.383 -7,4% -11,1% Latte UHT 1.454.483 1.396.448 1.344.945 -3,7% -4,0% Latte arricchito/aromatizzato 50.301 47.338 50.045 5,7% -5,9%

Acquisti totali in valore (.000 euro)

2013 2014 2015 Var% 15/14 Var% 14/13 Latte di cui: 2.477.587 2.337.896 2.195.907 -6,1% -5,6% Latte fresco 968.672 871.077 799.817 -8,2% -10,1% Latte UHT 1.271.988 1.247.977 1.171.319 -6,1% -1,9% Latte arricchito/aromatizzato 236.926 218.842 224.771 2,7% -7,6%

Tabella 10: Acquisti in volume e in valore di latte in Italia. Fonte: Elaborazioni OMPZ su dati ISMEA-Nielsen Panel Consumer Service.

Nel nostro paese gli acquisti di latte alimentare sono stati nel 2015 circa 2,2 miliardi di € con una variazione negativa del -6,1% rispetto al 2014, dove si era registrato comunque una decrescita del -5,6% sull’anno precedente. Se consideriamo invece gli acquisti totali in volume, la flessione degli acquisti di latte alimentare nel 2015 è stata meno mercata con un valore pari al -4,6%. Tra le tipologie di prodotto, quella che ha subito una variazione negativa più grande nel 2015 è stata quella del latte fresco, -7,4% in volume e -8,2% in valore rispetto al 2014, segue il latte UHT con una flessione di -3,7% in volume e -6,1% in valore sul 2014 mentre in controtendenza risulta il segmento del latte arricchito/aromatizzato che nel 2015 è cresciuto sul 2014 del 5,7% in volume e del 2,7% in valore. Il latte arricchito/aromatizzato comprende quelle tipologie di latte che presentano elementi addizionali come aromi, sali minerali, vitamine, fibre vegetali e fermenti lattici e rappresenta sul totale degli acquisti di latte, in valore circa il 10,2%; alla luce della variazione positiva negli acquisti di tale prodotto, questo potrebbe rappresentare un interessante segmento per la crescita dei fatturati delle imprese lattiero-casearie. Il segmento del latte fresco è quello che risulta in maggiore flessione sia

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per volume che per valore e rappresenta circa il 30% in volume e il 36% in valore del totale degli acquisti in latte. Nella tabella 11 vengono riportati gli acquisti di latte fresco per tipologia di prodotto.

Risulta dai dati della tabella 11 come sia il “fresco normale” che il “fresco alta qualità” che l’ESL (Extended Shelf Life) hanno subito una contrazione generale degli acquisti sia in volume che in valore, sia nel 2014 che nel 2015; in controtendenza invece il latte fresco ad alta digeribilità che nel 2015 ha visto incrementare gli acquisti del 43% in volume e del 48,7% in valore che conferma il tendenziale spostamento dei gusti dei consumatori verso prodotti salutistici.

Per quanto riguarda gli acquisti del latte UHT rivestono in valore circa il 53,3% del totale mentre se guardiamo ai risultati in volumi circa il 67,2%. Anche il latte UHT tuttavia vede gli acquisti in netto calo anche se in maniera minore rispetto al latte fresco. In particolare

Acquisti in volumi (.000 litri)

2013 2014 2015 Var.%

15/14

Var%. 14/13

Latte fresco di cui: 737.452 654.837 606.416 -7,4% -11,2%

Fresco normale 425.884 386.186 354.243 -8,3% -9,3%

Fresco alta qualità 217.425 176.302 162.111 -8,0% -18,9%

ESL 78.452 75.558 66.045 -12,6% -3,7%

Fresco alta digeribilità 15.690 16.791 24.016 43,0% 7,0%

Latte UHT di cui: 1.454.730 1.395.727 1.344.922 -3,6% -4,1%

UHT normale 1.295.584 1.236.216 1.166.800 -5,6% -4,6%

UHT alta digeribilità 132.248 136.424 158.108 15,9% 3,2%

UHT funzionali 26.898 23.087 20.014 -13,3% -14,2%

Acquisti in valori (.000 euro)

2013 2014 2015 Var.%

15/14

Var%. 14/13

Latte fresco di cui: 968.737 872.035 799.310 -8,3% -10,0%

Fresco normale 535.159 488.620 443.573 -9,2% -8,7%

Fresco alta qualità 302.266 252.493 221.787 -12,2% -16,5%

ESL 106.536 102.867 92.228 -10,3% -3,4%

Fresco alta digeribilità 24.776 28.055 41.722 48,7% 13,2%

Latte UHT di cui: 1.271.002 1.248.436 1.170.418 -6,2% -1,8%

UHT normale 1.057.930 1.040.364 937.652 -9,9% -1,7%

UHT alta digeribilità 178.386 180.018 206.415 14,7% 0,9%

UHT funzionali 34.686 28.055 26.351 -6,1% -19,1%

Tabella 11: Acquisti domestici in volume e in valore di latte in Italia per tipologia di prodotto. Fonte: Rielaborazione su dati ISMEA-Nielsen Panel Consumer Service.

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come si evince dalla tabella hanno subito delle contrazioni degli acquisti nel 2015 rispetto al 2014 il segmento dell’”UHT normale” con -5,6% in volumi e -9,9% in valori e quello degli ”UHT funzionali” con una flessione pari al -13,3% in volumi e -6,1% in valori. Così come tra i segmenti del latte fresco l’unico in controtendenza era quello relativo al “fresco alta digeribilità”, anche tra il latte UHT il segmento “UHT alta digeribilità” mostra interessanti tassi di crescita, in particolar modo il 2015 ha registrato sul 2014 un aumento del +15,9% in volumi e +14,7% in valori. Questo dato letto congiuntamente a quello relativo al latte fresco mostra evidentemente come il latte delattosato risponda a quelle esigenze dei consumatori che non solo presentano intolleranze o allergie, ma anche a quelli che cercano dei prodotti in grado di apportare dei benefici dal punto di vista salutistico, motivi per il quale si è assistito negli ultimi anni anche al boom delle bevande sostitutive di origine vegetale quali le bevande a base di soia o di riso.

Inoltre, per capire quali siano i canali di acquisto privilegiati dai consumatori e la loro dinamica nel triennio di riferimento, in tabella 12 vengono riportati le quote percentuali della distribuzione per canale e la variazione in volume e in valore del singolo canale rispetto all’anno 2014. I canali d’acquisti considerati sono gli Ipermercati strutture con una superfice di vendita maggiore di 2.500 m2, i Supermercati con superfice tra 400 m2 e

2500 m2, Libero sevizio con superfice compresa tra 100 m2 e 400 m2, gli Hard Discount

strutture di media superfice la cui strategia è focalizzata su un limitato assortimento e ad una gestione orientata al contenimento dei prezzi e infine nella categoria altro sono ricompresi dettaglio tradizionale, cash&carry, grossisti, spacci aziendali, ambulanti e altri canali minori.

Nella tabella 12 emerge che per il latte fresco i canali di acquisto prediletti dai consumatori siano gli Ipermercati e i Supermercati che rivestono nel 2015 rispettivamente il 24,6% e il 50,2% degli acquisti totali di latte fresco in volume, anche se rispetto al 2014 gli acquisti sono calati sia in volume che in valore mediamente più del -5%. Risulta in aumento la quota degli acquisti di latte fresco presso Discount (7% sul totale) che tuttavia, come per gli altri canali, hanno subito variazioni negative delle vendite, anche se in maniera meno marcata (-1,3% in volume e -1,4% in valore). Decisamente peggiori i dati tendenziali per il Libero servizio e altro.

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Quota % acquisti in volume Var % 15/14

2013 2014 2015 Volume Valore Latte fresco Ipermercati 22,9% 23,8% 24,6% -4,4% -5,3% Supermercati 46,2% 49,3% 50,2% -5,7% -6,2% Hard discount 6,8% 6,5% 7,0% -1,3% -1,4% Libero servizio 17,0% 14,6% 12,7% -19,2% -18,2% Altro 7,1% 5,8% 5,5% -11,4% -15,3% Latte UHT Ipermercati 27,7% 27,1% 26,9% -4,6% -6,4% Supermercati 43,0% 43,5% 42,8% -5,3% -6,5% Hard discount 16,4% 16,9% 18,6% 6,3% -1,2% Libero servizio 9,8% 9,5% 9,0% -8,6% -8,0% Altro 3,1% 3,0% 2,7% -13,2% -12,2%

Tabella 12: Acquisti in volume di latte fresco e UHT per canale di acquisto. Fonte: Elaborazioni OMPZ su dati ISMEA-Nielsen Panel Consumer Service.

Per il prodotto “latte UHT” invece, emerge una situazione differente in quanto la categoria Hard Discount è quella che ha visto incrementare la propria quota dei volumi venduti sul totale (18,6%) a discapito dalle altre categorie, dove comunque gli Ipermercati e i Supermercati rimangono i canali favoriti e più rilevanti. Per quanto riguarda gli acquisti in volume, l’unica categoria che vede incrementare gli acquisti rispetto al 2014 sono proprio gli Hard Discount con un +6,3% sul 2014, mentre registrano tutte variazioni negative le altre categorie. Questo dato mette in risalto il crescente interesse dei consumatori verso il servizio dell’Hard Discount e dei suoi prodotti.

Per quanto riguarda gli acquisti di yogurt da parte delle famiglie italiane riportati in tabella 13, questi risultano in controtendenza rispetto agli acquisti di latte, in quanto mostrano dei tassi dei tassi di crescita piuttosto interessanti. Come possiamo vedere in tabella gli acquisti di yogurt sono aumentati nel nostro Paese di circa l’1% sia in volume che in valore, riportando il volume acquistato sui livelli del 2013. Tra i vari segmenti sicuramente i più interessanti, per tassi di crescita mostrati, sono i segmenti “yogurt da bere” e “yogurt bicomparto”. Il primo è cresciuto nel 2015 sul 2014 in volume del 12% e in valore del 10,1% proseguendo il suo trend positivo, poiché anche nel 2014 avevo visto sul 2013 una crescita a doppia cifra pari al 22,7%, in volume e del 21,3% in valore. L’altro segmento caratterizzato da una interessante crescita nel volume e nel valore degli acquisti è quello dello “yogurt bicomparto”, ovvero quello yogurt il cui packaging combina allo yogurt stesso altri alimenti quali frutta, biscotti, praline o dolciumi vari.

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In particolare tale segmento ha visto incrementare gli acquisti nel 2014 sul 2013 del 2,4% in volume e del 5,3% in valore, e nel 2015 ha registrato sul 2014 un +8,5% in volume e +5,5% in valore.

I dati relativi allo yogurt da bere e allo yogurt bicomparto mostrano come i gusti dei consumatori siano orientati sempre più verso prodotti innovativi e differenziati, e questo deve essere tenuto conto da quelle aziende che vogliono far crescere il proprio fatturato. Circa i canali di acquisto, dalla tabella 14 emerge che, come per il latte, i canali di acquisto privilegiati siano gli Ipermercati e Supermercati con il 30,5% e il 44,8% di percentuale sul totale degli acquisti in volume, segue la categoria Hard discount con il 15,3% mentre meno rilevanti sono il “Libero servizio” e altro. Tuttavia il dato interessante è quello relativo alla variazione del volume acquistato presso questi i canali, dove gli Hard discount sono in netta crescita registrando sul 2014 un +4,6% in volume e un +10,9% in valore, dati decisamente migliori rispetto a quello relativo a Ipermercati e Supermercati. Questo ribadisce ancora come i consumatori stiano sempre più privilegiando questo tipo di canale distributivo. Acquisti in volume (.000 Kg) 2013 2014 2015 15/14 Var% 14/13 Var% Yogurt di cui: 387.332 383.438 387.343 1,0% -1,0% Yogurt normale 289.652 290.879 292.314 0,5% 0,4% Yogurt probiotico 61.798 53.564 52.245 -2,5% -13,3% Yogurt da bere 11.080 13.600 15.235 12,0% 22,7% Yogurt bicomparto 24.800 25.395 27.549 8,5% 2,4%

Acquisti in valore (.000 euro)

2013 2014 2015 Var% 15/14 Var% 14/13 Yogurt di cui: 1.297.712 1.305.846 1.317.151 0,9% 0,6% Yogurt normale 889.186 917.135 926.424 1,0% 3,1% Yogurt probiotico 250.777 216.867 207.464 -4,3% -13,5% Yogurt da bere 35.567 43.154 47.515 10,1% 21,3% Yogurt bicomparto 122.182 128.690 135.748 5,5% 5,3%

Tabella 13: Acquisti domestici in volume e in valore di yogurt in Italia. Fonte: Elaborazione OMPZ su dat ISMEA-Nielsen Panel Consumer Service.

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Quota% acquisti in volume Var % 15/14

2013 2014 2015 Volume Valore Yogurt Ipermercati 30,5% 30,6% 30,5% 1,0% -0,2% Supermercati 43,4% 44,6% 44,8% 1,6% 1,7% Hard discount 15,4% 14,8% 15,3% 4,6% 10,9% Libero servizio 8,6% 8,1% 7,8% -1,8% -2,9% Altro 2,1% 1,9% 1,6% -19,1% -16,4%

Tabella 14: Acquisti in volume di Yogurt per canale di acquisto. Fonte: Elaborazioni OMPZ su dati ISMEA-Nielsen Panel Consumer Service.

Dati decisamente peggiori a quelli relativi agli acquisti di yogurt sono quelli relativi a panna, burro e formaggi che nel 2015 hanno subito tutti variazioni negative sia in valore che in volume, come riportato in tabella 15

Acquisti in volume (.000 Kg) 2013 2014 2015 Var% 15/14 Var% 14/13 Panna 43.581 44.676 42.354 -5,2% 2,5% Formaggi e latticini 759.814 749.157 739.336 -1,3% -1,4% Burro 47.647 46.953 45.692 -2,7% -1,5%

Acquisti in valore (.000 euro)

2013 2014 2015 Var% 15/14 Var% 14/13 Panna 203.687 211.387 201.958 -4,5% 3,8% Formaggi e latticini 6.651.484 6.576.221 6.394.920 -2,8% -1,1% Burro 335.376 340.937 313.590 -8,0% 1,7%

Tabella 15:Acquisti domestici in volume e in valore di panna, formaggi e latticini, burro in Italia. Fonte: Elaborazioni OMPZ su dati ISMEA-Nielsen Panel Consumer.

Nel dettaglio il segmento “panna” che nel 2014 era cresciuta sul 2013 del 2,5% in volume e del 3,8% in valore, nel 2015 ha decisamente invertito la tendenza su valori inferiori a quelli del 2013, registrando sull’anno precedente una variazione negativa pari al -5,2% in volume al -4,5% in volume.

Prosegue invece nel suo trend negativo sia in volume che in valore il segmento “formaggi e latticini” che registra nel 2015 una variazione pari al -1,3% in volume e al -2,8% in valore rispetto al 2014.

Per quanto riguarda il segmento “burro”, questo vede proseguire il suo trend negativo di decrescita per quanto riguarda i volumi acquistati (-2,7% nel 2015 sul 2014 e -1,5% nel

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2014 sul 2013), mentre circa i risultati in valore se nel 2014 aveva mostrato una crescita del 1,7%, nel 2015 registra una forte variazione negativa pari al -8,0% che in valore assoluto risulta inferiore di circa 22 milioni di € rispetto agli acquisti effettuati nel 2013. Circa i canali di acquisto, per il prodotto panna non emergono grosse divergenze rispetto all’anno 2014 circa la percentuale di acquisto per canale, possiamo tuttavia notare come dal 2013 al 2014 gli acquisti di panna presso gli Hard discount siano passati dal 17,3% al 19,1% sul totale. Tuttavia complessivamente emerge un calo generale degli acquisti di panna in tutti i canali senza esclusione alcuna. Per il burro vale la stessa considerazione fatta per la panna sugli Hard discount. Il dato maggiormente interessante è quello relativo ai “formaggi e latticini”: nel 2015 gli acquisti si sono ridotti sia in volume che in valore per ogni tipologia di canale distributivo, eccezion fatta per gli Hard Discount dove gli acquisti di “formaggi e latticini” sono incrementati significativamente del 5% in volume e del 3,7% in valore, tanto che la percentuale degli acquisti sul totale è passata dal 11% del 2014 al 12,6% del 2015.

Quota% acquisti in volume Var % 15/14

2013 2014 2015 Volume Valore Panna Ipermercati 28,5% 28,0% 28,8% -2,6% -2,5% Supermercati 43,2% 42,0% 41,2% -6,9% -5,7% Hard discount 17,3% 19,1% 19,0% -5,7% -6,9% Libero servizio 8,9% 8,8% 8,9% -3,8% -0,6% Altro 2,1% 2,1% 2,1% -7,4% -4,9% Burro Ipermercati 30,1% 28,9% 29,5% -0,8% 4,3% Supermercati 45,0% 44,9% 43,5% -5,7% -10,3% Hard discount 14,0% 15,6% 15,9% -1,0% -12,1% Libero servizio 8,7% 8,6% 9,0% 2,5% -5,1% Altro 2,2% 2,0% 2,1% 1,1% 0,1% Formaggi e latticini Ipermercati 12,9% 12,5% 13,2% -0,4% -2,3% Supermercati 33,1% 33,0% 31,7% -1,2% -2,7% Hard discount 11,0% 11,0% 12,6% 5,0% 3,7% Libero servizio 15,9% 15,2% 16,7% -6,2% -5,2% Altro 27,1% 28,3% 25,8% -9,9% -9,3%

Tabella 16: Acquisti in volume di Panna, Burri, Formaggi e latticini per canale di acquisto. Fonte: Elaborazioni OMPZ su dati ISMEA-Nielsen Panel Consumer Service.

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2. L’analisi di bilancio come strumento per l’analisi

competitiva.

Il bilancio d’esercizio è il documento contabile il cui scopo è quello di rendere una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico d’esercizio, tuttavia la lettura dei prospetti civilistici non permette all’analista interno o esterno di apprezzare la quantità di preziose informazioni che il bilancio civilistico contiene. A questo scopo lo strumento a disposizione dell’analista è quello dell’analisi di bilancio, uno strumento che attraverso una riclassificazione dei prospetti contabili consente all’analista di trarre dai prospetti civilistici delle informazioni intermedie che permettono di dare un giudizio circa la salute dell’azienda. Il primo step da fare per sviluppare un’analisi di bilancio è quello del reperimento dei bilanci da analizzare e la successiva riclassificazione dei prospetti; per lo stato patrimoniale le riclassificazioni possibili sono quella secondo il “criterio finanziario” e quella secondo il criterio di “pertinenza gestionale”: nella prima il discriminante per l’aggregazione delle voci dell’attivo e del passivo è un criterio meramente temporale: entro i 12 mesi o oltre i 12 mesi. Avremo uno spostamento in verticale delle voci dell’attivo per giungere ai due aggregati significativi, ovvero l’attivo immobilizzato composto da immobilizzazioni immateriali, materiali e finanziarie che tornerà liquido in maniera diretta o indiretta oltre l’esercizio successivo e l’attivo corrente composto da rimanenze, liquidità differite e liquidità immediate che invece si stima si tradurranno in liquidità entro l’esercizio (ad esclusione delle liquidità immediate che per definizione sono già liquide). Tra le fonti invece si distinguono tre aggregati: i mezzi propri che non hanno scadenza, il passivo consolidato costituito da debiti e altre passività oltre l’esercizio e il passivo corrente composto da quelle poste del passivo esigibili entro l’esercizio. Lo scopo di questa riclassificazione è quello di indagare tramite indici e margini la capacità dell’azienda di assolvere alle proprie obbligazioni nel breve e nel medio/lungo periodo e la composizione patrimoniale dell’azienda. Per il primo scopo gli indici maggiormente significativi sono quelli di correlazione ovvero quegli indici che rapportano le grandezze dell’attivo a quelle del passivo o viceversa, tra cui il quoziente di tesoreria secondario e l’indice di

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disponibilità. Il primo rapporta le disponibilità immediate sommate alle differite alle passività correnti mentre il secondo considera a numeratore anche le rimanenze; affinché l’azienda non abbia problemi di solvibilità nel breve periodo è auspicabile che il primo sia di poco inferiore ad 1 mentre il secondo sia maggiore di 1. Gli altri quozienti di composizione sono il quoziente di struttura primario e secondario che indagano la solidità dell’azienda dal punto di vista finanziario/patrimoniale. Il primo indice rapporta i mezzi propri all’attivo immobilizzato, indicativamente dei valori prossimi all’unità o superiori indicano un’ottima capitalizzazione dell’azienda in quanto l’attivo immobilizzato è in gran parte o completamente finanziato dai mezzi propri e conseguentemente una struttura finanziaria solida, il secondo invece aggiunge al numeratore le passività consolidate ed in una situazione ottimale deve assumere necessariamente valori superiori all’unità in modo tale che vi sia coerenza tra l’attivo immobilizzato e il le fonti con cui è stato finanziato (mezzi propri e passività consolidate). Per analizzare la composizione patrimoniale delle fonti e degli impieghi è sufficiente ricorrere alla percentualizzazione dello stato patrimoniale che di fatto restituisce all’analista tutta una seria di indici di composizione in cui si calcolano i valori percentuali di ogni singolo aggregato o più, sul totale attivo. Tra gli indici di composizione è possibile calcolare l’indice di rigidità e di elasticità degli impieghi (attivo corrente su totale attivo e attivo immobilizzato su totale attivo), l’indice di liquidità immediata che rapporta le liquidità immediate al totale attivo e l’indice di liquidità totale che rapporta le liquidità immediate e differite al totale attivo. Dal lato fonti invece i più significativi sono l’indice di autonomia finanziaria che esprime il peso percentuale dei mezzi propri sul totale passivo e l’indice di indebitamento che a completamente del primo indica il peso delle passività sul totale passivo, inoltre molto importante è l’indice di coesistenza quoziente di indebitamento, che rapporta le passività al totale dei mezzi propri.

L’altra riclassificazione dello stato patrimoniale è quella di pertinenza gestionale che invece di riclassificare le voci di bilancio secondo un criterio temporale utilizza un criterio “per destinazione” distinguendo due aree: quella caratteristica e quella extra-caratteristica. Lo spostamento delle voci non avverrà solo verticalmente ma anche orizzontalmente in quanto certe voci andranno a deduzione di certi aggregati. La distinzione che opera questa riclassificazione è innanzitutto sulle fonti di finanziamento

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in quanto quelle onerose andranno a comporre la posizione finanziaria netta mentre quelle non esplicitamente onorese, ovvero quelle spontanee che si sono formate per effetto delle dilazioni ottenute, andranno in deduzione degli aggregati dell’attivo. Il primo aggregato che emerge da questo tipo di riclassificazione è il capitale circolante netto operativo risultante dalla differenza tra le voci dell’attivo corrente operativo e le passività operative correnti, questo aggregato deve essere monitorato attentamente in quanto rappresenta, se positivo, un fabbisogno finanziario cui l’azienda deve far fronte. E’ inoltre possibile individuare un sotto aggregato del capitale circolante netto operativo ovvero il capitale circolante netto commerciale composto dalla differenza tra la somma dei crediti operativi (verso clienti) e le rimanenze di magazzino cui va dedotta l’entità dei debiti operativi (verso fornitori). Sono direttamente collegati a questo aggregato, in quanto ne influenzano l’entità, gli indici di durata quali il tempo medio di riscossione dei crediti operativi, di pagamento dei debiti operativi e dei tempi di giacenza del magazzino. Sommando al capitale circolante netto operativo il saldo tra le immobilizzazioni materiali e immateriali caratteristiche e le passività consolidate operative, risulta l’entità del capitale investito netto caratteristico. Infine l’ultimo aggregato risultante dalla riclassificazione è il capitale investito netto aziendale che somma al capitale investito netto caratteristico gli investimenti nell’area extra-caratteristica composta essenzialmente da investimenti in partecipazioni e in immobili non adibiti al core-business aziendale. Dal lato delle coperture finanziarie i due aggregati rilevanti sono i mezzi propri e la posizione finanziaria netta che viene calcolata come differenza tra debiti finanziari e le poste dell’attivo quali crediti finanziari, liquidità immediate e investimenti in titoli obbligazionari. Tale aggregato se positivo mostra quanta ricchezza dovrà essere prodotta dalla gestione operativa per far fronte ai debiti finanziari contratti dall’azienda. Le riclassificazioni del conto economico possono essere a costi e ricavi del venduto e a valore della produzione e valore aggiunto. La prima concentra l’attenzione sul momento della vendita in quanto contrappone ai ricavi di vendita il costo del venduto mentre la seconda mette in evidenza la produzione ottenuta nell’esercizio. Nella seguente analisi lo schema di conto economico riclassificato preso in considerazione è quello “a valore della produzione e valore aggiunto” in quanto consente tramite dei margini intermedi di capire al meglio come si è formato il reddito operativo caratteristico. Dei margini intermedi

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ricordiamo il “valore aggiunto” indice di quanto valore è stato ottenuto tramite l’organizzazione dei fattori interni propri dell’azienda, il “margine operativo lordo” significativo in quanto approssima il flusso di cassa e non risente delle politiche di bilancio e il risultato operativo caratteristico. La parte finale del conto economico è la medesima per entrambi gli schemi ed è composta dal saldo dell’area accessoria-patrimoniale, dei proventi finanziari e dell’area straordinaria che sommate al risultato operativo caratteristico determinano il risultato operativo aziendale, cui vanno sottratti gli oneri finanziari e le imposte per giungere al reddito netto finale. Il conto economico a valore della produzione e valore aggiunto può essere indagato anche tramite la sua percentualizzazione portando a 100 la produzione ottenuta, così da prestarsi ad un’analisi del peso che hanno le singole voci di costo o aggregate sul valore della produzione e ad un confronto spaziale e temporale con gli altri bilanci dei competitors e dell’azienda stessa.

Detto questo, le potenzialità dell’analisi di bilancio possono essere sfruttate a pieno se l’analisi avviene tramite un confronto temporale con gli stessi bilanci dell’azienda, per prospettare i risultati futuri dell’azienda facendo delle ipotesi circa l’andamento di alcuni fattori esterni dell’ambiente, e tramite un confronto spaziale con i bilanci degli altri competitors diretti o delle aziende operanti nello stesso settore che non sono direttamente in competizione con l’azienda, come momento per valutare la situazione patrimoniale finanziaria e economica dell’azienda comparativamente con le altre e per ripensare eventualmente le proprie strategie. Per fare ciò occorre che l’analista proceda ad un calcolo di indici ovvero di margini e quozienti per rendere comparabili i risultati dei vari bilanci al fine di dare un giudizio circa:

• La solidità dell’azienda intesa come la capacità di mantenere un equilibrio finanziario nel medio-lungo periodo, calcolabile tramite i quozienti di struttura primario e secondario e le scelte di finanziamento attutate tramite l’indice di autonomia finanziaria e il quoziente di indebitamento che impatta anche di fatto sul rischio aziendale in particolare su quello di insolvenza, nonché sulla posizione finanziaria netta indice dell’indebitamento finanziario netto dell’impresa.

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• La liquidità dell’azienda intesa come la capacità per l’azienda di assolvere alle proprie obbligazioni nel breve periodo indagabile tramite gli indici di disponibilità o l’indice di tesoreria secondario.

• Gli investimenti in capitale circolante netto operativo segnaletico del fabbisogno finanziario a breve dell’impresa e dei relativi indici a esso connessi quali il tempo medio di incasso dei crediti, il tempo medio di pagamento dei debiti segnaletici del potere negoziale dell’impresa verso clienti e fornitori, e il tempo medio di giacenza del magazzino sintomo dell’efficienza dell’azienda.

• La redditività dell’impresa tramite l’andamento del fatturato e il calcolo del CAGR (Compounded Annual Growth Rate) la costruzione di margini intermedi quali il valore aggiunto che permette di dare un giudizio circa l’integrazione verticale dell’azienda, il margine operativo lordo e il reddito operativo, e la costruzione di quozienti quali il ROE, il ROA, il ROI e il ROS che permettono di confrontare nel tempo e nello spazio i risultati reddituali conseguiti dall’azienda, nonché l’andamento del reddito netto.

• La struttura dei costi aziendali tramite la percentualizzazione del conto economico.

• La produttività del lavoro tramite quozienti quali i ricavi pro-capite o il valore aggiunto pro-capite.

Dopo aver calcolato un cruscotto di indicatori maggiormente significativi, l’analista interno deve procedere ad un’analisi comparativa dei risultati della propria azienda con quelli dei competitors al fine di indagare tramite le divergenze tra gli indicatori se sussistono delle differenze tra il proprio modello di business e quello degli altri e se questo comporta delle differenze dal punto di vista della redditività d’impresa. La sola analisi di bilancio integrata dalle informazioni presenti in nota integrativa e nella relazione sulla gestione, può essere un momento per mettere in discussione le proprie strategie competitive in particolar modo riguardante il portafoglio prodotti da offrire ai propri clienti, le fonti di approvvigionamento delle materie prime, il grado di integrazione verticale dell’azienda, la struttura dei costi fissi e l’elasticità degli impieghi, il grado di internazionalizzazione, la produttività della forza lavoro presente in azienda.

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Tuttavia per un’analista esterno questo tipo di analisi sicuramente presenta alcuni limiti in quanto non potendo accedere alla contabilità analitica dell’impresa ma solo alle risultanze della contabilità generale, l’analista esterno non è in grado, ad esempio, di calcolare la redditività di ogni singola area strategica d’affari (ASA) sul totale dei business in quanto non gli è possibile dal solo bilancio civilistico, ripartire il capitale investito su più ASA né di ripartire le singole voci di costo su più prodotti per individuare margini intermedi più precisi.

All’analisi di bilancio, per completezza, devono essere affiancate delle considerazioni di tipo qualitativo quali ad esempio:

• L’andamento della quota di mercato detenuta dall’impresa.

• I mercati in cui opera sia dal punto di vista geografico che da quello dei prodotti. • Il tasso di crescita del mercato.

• Il mercato della materia prima.

• Il mutamento dei gusti e degli stili di vita dei consumatori. • La ciclicità del settore in cui opera.

• Le nuove normative.

• L’arena competitiva composta dalle 5 forze individuate dal Porter quali: il livello di concorrenza tra gli attuali attori del settore, la minaccia di potenziali entranti, la minaccia dei prodotti sostitutivi, il potere contrattuale dei fornitori e dei clienti.

Questo tipo di considerazioni permetterà all’analista di trovare delle spiegazioni ai risultati reddituali conseguiti dall’azienda, e di prospettare i risultati ottenibili in futuro con eventuale ripensamento dell’impostazione strategia attuale.

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2.1 Presentazione aziende lattiere

In questo paragrafo verranno presentate le aziende di trasformazione operanti nel settore del latte oggetto dell’analisi competitiva, evidenziando in particolar modo dove sono situate, la composizione della proprietà, parte della storia dell’azienda e le principali tipologie di prodotte commercializzate. Si procederà poi al commento dei vari prospetti riclassificati e dei risultati reddituali conseguiti dalle aziende.

2.1.1 Sterilgarda

la mission aziendale recita così:

PASSIONE E TRADIZIONE CHE CREANO BONTÀ

“La passione per la tradizione è il rispetto della bontà e del gusto originario dei prodotti. Un obiettivo dove innovazione, tecnologia e ricerca diventano strumenti importanti per migliorare e salvaguardare la qualità e la fruibilità. Un traguardo che si misura con i canoni della moderna nutrizione e dei nuovi stili di vita”.5

Sterilgarda S.p.A, con sede a Castiglione delle Stiviere in provincia di Mantova, è una delle più importanti aziende del settore lattiero caseario in Italia. Conta di uno stabilimento produttivo sviluppato su 400.000 mq di cui 60.000 mq coperti, disponendo di una capacità produttiva di circa 1.200 tonnellate giornaliere di prodotto sfruttando i 13 impianti e le 31 linee di confezionamento propri dell’azienda.

Nel luglio 2016 l’azionista di maggioranza è il signor. Primo Ferrari6, storico presidente

dell’azienda nonché socio fondatore, che detiene azioni pari al 50,6% del capitale; altri azionisti di riferimento sono i signori Riccardo Luigi Ghisini e Fernando Sarzi che ricoprono anche il ruolo di consiglieri nel consiglio di amministrazione7. Sterilgarda S.p.A non fa

parte di alcun gruppo, tuttavia detiene una partecipazione pari al 8,26% in Padania

5 Fonte sito aziendale www.sterilgarda.it/azienda. 6 Primo Ferrari è venuto a mancare il 22 marzo 2017.

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alimenti S.r.l dove Ferrari ricopriva, fino al giorno in cui è venuto a mancare, la carica di presidente.

L’azienda nasce nel 1969 e per un primo decennio si afferma e cresce sul mercato grazie alla produzione di panna, latte e mascarpone. Dagli anni ’80 inizia un processo di diversificazione del portafoglio prodotti e gradualmente l’azienda inizia la produzione di succhi di frutta, succo di pomodoro, i vari derivati del latte con l’aggiunta negli ultimi anni delle bevande vegetali a base di soia, considerati prodotti sostitutivi del latte. Ad oggi l’azienda offre un vasto portafoglio prodotti composto da latte, budino, crema, panna da cucina, panna da montare, besciamella, yogurt, mascarpone, ricotta, stracchino, succhi di frutta e spremute il tutto offerto in diversi gusti e confezioni per meglio incontrare le esigenze dei consumatori e dei distributori, contrassegnati dal proprio marchio “Sterilgarda”.

2.1.2 Centrale del Latte di Torino

La centrale del latte di Torino & C. S.p.A (da ora CLT) è una società per azioni quotata nella Borsa Italiana nel segmento STAR (Segmento Titoli ad Alti Requisiti), costituita e domiciliata in Italia con sede in Torino. La sua

attività è legata alla lavorazione, trasformazione e commercializzazione di: latte e suoi derivati, prodotti confezionati del segmento fresco/freschissimo e verdura di IV gamma8.

La proprietà è composta da Finanziaria centrale del latte di Torino S.p.A che detiene il 51,78% delle azioni, Lavia S.S che detiene il 5,59% mentre il restante 42,63% lo detengono piccoli azionisti che non sforano la soglia del 5%.

La CLT ha negli anni implementato una strategia di crescita sia per linee interne sia per linee esterne tramite acquisizioni e fusioni. Oggi il gruppo centrale del latte di Torino ha una dimensione interregionale e diversificata; per il settore latte sono tre le realtà che fanno parte del gruppo: la CLT, la Centrale del latte di Rapallo che nel 2013 tramite fusione per incorporazione è stata annessa alla CLT, e la centrale del latte di Vicenza S.p.A

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controllata al 100%; per il settore della verdura di IV gamma nel 2007 viene controllata la Salads & Fruits, con sede in Casteggio provincia di Pavia, poi incorporata nel 2009; Infine il gruppo è composto anche da Odilla Chocolat Torino partecipata al 50% e da GPP S.r.l partecipata al 45%.9

Il gruppo si caratterizza per un forte radicamento territoriale e realizza quasi la totalità del proprio giro di affari nelle regioni Piemonte, Liguria e Veneto con posizione di leadership nel latte fresco e nel latte a lunga conservazione, potendo contare su 4 stabilimenti produttivi all’avanguardia situati in Torino, Rapallo (Ge) e Vicenza per la produzione di latte e derivati e Casteggio (Pv) per la produzione di verdure di IV gamma. La mission della Centrale del latte di Torino e del suo gruppo è “Produrre e

commercializzare prodotti di alta qualità nei segmenti del latte fresco, a lunga durata (ESL) e a lunga conservazione (UHT), del IV Gamma (insalata), degli yogurt e latte fermentato, della panna fresca, a lunga durata (ESL) e a lunga conservazione (UHT) e sviluppare e rafforzare il proprio ruolo di polo interregionale collocato tra i grandi gruppi di riferimento ed il gran numero di operatori di piccole dimensioni.”10

Il marchio che caratterizza i prodotti della Centrale del Latte di Torino è “Tapporosso” riportato a inizio paragrafo.

9 Questo il gruppo in data 31.12.2015, nel 2016 il gruppo si è allargato tramite la fusione con la Centrale

del latte di Firenze S.p.A che ha portato anche al cambio di denominazione sociale della CLT in Centrale del latte d’Italia S.p.A

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