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La sfida della governance nelle città metropolitane

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La sfida della governance nelle città metropolitane

Ilaria Delponte

Università degli Studi di Genova

DICCA - Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica e Ambientale Email: ilaria.delponte@unige.it

Tel: 010.353.2088

Abstract

L’occasione delle elezioni, svoltesi o imminenti in buona parte delle grandi città italiane, e la contemporanea attuazione della recente riforma in materia di enti locali, tuttora in divenire, rendono il dibattito circa i “modi” del governare ancora appassionante.

Certo, la questione della “scala” è una costante nei fenomeni urbani e territoriali, e qualsiasi articolazione geometrica non potrà prescindere, poi, dalla verifica dell’efficacia della sua proposizione e della sua effettiva attuazione. Infatti, la sperimentazione di governance in atto è solo una delle componenti in ballo all’interno di una più ampia ed ambiziosa ipotesi di risposta al problema della competitività dei territori, della crisi economica, del recupero della credibilità dell’azione amministrativa.

Il quadro attuale attribuisce alle città metropolitane molto del futuro competitivo su scala transnazionale. Per questo, ci piacerebbero sindaci metropolitani che sapessero identificare questa sfida: la disponibilità ad essere contemporanea-mente a servizio della città “di tutti i giorni”, ma anche di uno dei motori guida del paese: la consapevolezza dei fattori strategici che sono in gioco e quella dei valori che la propria comunità quotidianamente afferma. È curioso notare come nel soddisfacimento di bisogni a noi così prossimi siano ricomprese anche questioni che a volte ci possono apparire così grandi. Questo È già un esercizio di democrazia.

Parole chiave: governance, multilivello, sussidiarietà.

1 | Introduzione

L’interrogativo a riguardo di quale “scala” sia adeguata all’agire pianificatori è una costante nei fenomeni urbani e territoriali: in base a quale perimetro andare a definire studi e statistiche, influenzare rapporti e interazioni, applicare regolamenti e salvaguardie, supportare relazioni ed investimenti?

Non è certamente facile nel quadro magmatico di oggi.

L’occasione delle elezioni, svoltesi o imminenti in buona parte delle grandi città italiane, e la contemporanea attuazione della recente riforma in materia di enti locali, tuttora in divenire, rendono il dibattito circa i “modi” del governare ancora appassionante.

Infatti, dietro alla contingente introduzione delle città metropolitane, è l’instancabile necessità di governare i fenomeni, identificando per essi una scala adeguata, a muovere ancora una volta i suoi passi, alla ricerca di una prassi più consona agli odierni cambiamenti. Solo capendo questo, possiamo comprendere come l’or-dinamento appena introdotto abbia cercato di interpretare le sfide attuali che riguardano la città e il suo intorno e di dare così una risposta storica ad esse, nel solco di quei tentativi che da sempre hanno accom-pagnato l’attività di governo del territorio.

È proprio l’occorrenza di fatti nuovi che risveglia in noi l’interesse a riprendere in mano coraggiosamente i vecchi capisaldi e i recenti interrogativi che si agitano insieme nel nostro modo di pensare e pianificare. Eppure anche stabilire una unità spaziale secondo la quale affrontare i problemi non è per nulla una attività neutra. Essa è senza dubbio il risultato del riconoscimento di processi socio-economici e concrete interre-lazioni già in atto, ma è anche il livello a cui si associano le analisi relative a queste reinterre-lazioni e dove si concentrano i conseguenti sforzi strutturali nel tentativo di svilupparle. La determinazione della scala è stato spesso un atto politico o il tentativo di rappresentare essa stessa una strategia politica.

Certo, qualsiasi articolazione geometrica non potrà prescindere, poi, dalla verifica dell’efficacia della sua proposizione e della sua effettiva attuazione. Infatti, la sperimentazione di governance in atto è solo una delle componenti in ballo all’interno di una più ampia ed ambiziosa ipotesi di risposta al problema della competitività dei territori, della crisi economica, del recupero della credibilità dell’azione amministrativa. Le grandi città nel mondo giocano oggi un ruolo fondamentale nella costruzione di uno scenario di compe-tizione globale, in cui ciascuna di esse può far valere le sue potenzialità. In esse si concentrano competenze e investimenti, capacità e creatività, ma tuttavia debbono poter dimostrare di portare il loro contributo ad

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uno sviluppo più complessivo, facendo leva sulle proprie prerogative (oneri ed onori) e agendo in collabo-razione con altri, laddove esse non arrivano. Basterebbe chiarire questo per togliere dal tavolo la polvere delle tentate polemiche sul conflitto fra regioni, città metropolitane, comuni ecc. Ognuno ha la sua parte in questo quadro dinamico, in cui l’unico colpevole è chi non ha il giusto realismo per capire che sono i cam-biamenti stessi che ci chiedono di rimettersi in gioco e rivedere i propri compiti e non i “finti nemici” delle amministrazioni accanto. Si consideri che la Commissione Europea, assodato il fatto che più del 70% della popolazione vive nelle grandi-medie città e nel loro hinterland, ha ideato per questo settennio una iniziativa di finanziamento indirizzata ad hoc alle metropoli europee e alle unioni di comuni (UIA-Urban Innovative Actions, la cui prima call si è già conclusa).

2 | La legge Delrio e prime considerazioni

La legge Delrio, che istituisce le città metropolitane in Italia, è di recente approvazione: nessun può sapere come questa iniziativa, che ha già visto azioni simili in altri Paesi, sarà declinata in Italia e quali frutti positivi potrà dare. Differentemente dai nostri vicini francesi, non abbiamo grandi esperienze istituzionali di gover-nance multi-livello o di intercomunalità, sebbene molti esempi di “geometria variabile”, partiti dall’osserva-zione pratica e progettuale dei bisogni, sia invece stata fiorente (basti pensare alla stagione dei “programmi complessi” di recupero e riqualificazione urbana degli Anni Novanta). Proprio perché le indeterminatezze sono tante, il processo di “formazione” del ruolo precipuo della città metropolitana “di fatto” (pur già san-cito “ex lege”) non può che partire con grande umiltà, come con addosso la disponibilità a fare piccoli passi nel percorso, fino al delinearsi di una figura istituzionale più matura ed autorevole. Difficile fare grandi proclami quando ancora l’ente risulta pressoché sconosciuto ai più e le stesse materie di competenza non sono del tutto chiare, sebbene esso sia stato disegnato con grande ambizione. Non si può pensare che detta riforma sia la panacea di tutti i problemi emergenti, né un’assicurazione di risultato: può essere, questo sì, uno spazio di visione e di relazione. In tal senso, un modo corretto di avviare le prime sperimentazioni sul campo è quello di rinforzare il networking fra le città coinvolte, in modo che le problematiche in avvio e le diverse esperienze, qualora condivise, possano far progredire il processo di fioritura non solo delle città metropolitane, ma anche di un arcipelago di relazioni fra esse (un esempio già esistente in merito è la ReCs-Rete delle Città Strategiche di Anci).

Punto chiave del futuro della città metropolitana è il sistema delle deleghe e soprattutto la sua imminente implementazione pratica. Le deleghe sono state già idealmente definite nella legge nazionale, nelle leggi regionali e poi negli statuti. Tuttavia, per poter osservare cosa stia dietro all’elenco delle attribuzioni, tutti sappiamo che saranno questi gli anni cruciali in cui, passo dopo passo, potremo raddrizzare il tiro qualora necessario.

Le pressioni sono tante, ma non sono solo queste ultime a determinare la nostra risposta: la partita circa la bontà di questa operazione si decide soprattutto nel non voler desumere le modalità del governare solo da dati astratti (di legge) ma, anzi, partire dall’osservazione dei fenomeni reali. Una lettura realistica del terri-torio suggerirebbe di consolidare il ruolo dell’ente (e quindi anche la sua intrinseca identità e legittimità) su alcuni dati fondamentali: quali sono i fenomeni più chiaramente associabili e quindi meglio affrontabili ad una dimensione territoriale così definita (alle quali si aggiungono poi le potenziate competenze in ambito di sviluppo economico competitivo del territorio)?

In accordo alle dinamiche odierne, sostanzialmente due. Possono essercene anche altri, ma questi due sono senz’altro i più evidenti.

- La costruzione della piattaforma di servizi che la città metropolitana va a costituire per tutte le popola-zioni dell’intorno, articolandosi in funpopola-zioni-chiave del capoluogo e di rango minore per i centri locali. Un sistema eterogeneo che tenga conto delle dinamiche dei cosiddetti city-users che godono della città capoluogo di giorno, ma risiedono in realtà in un altro comune della cintura: con la perimetrazione odierna si può sanare il conflitto relativo ai servizi attivi nel capoluogo a beneficio anche dei non resi-denti, inficiato dalla non-contribuzione da parte dei comuni limitrofi.

- Il coordinamento delle azioni indirizzate al bacino di pendolarismo (o bacini): nessuna cosa come il trasporto ha bisogno, evidentemente, di essere pensato “in collegamento con”. La città metropolitana mette insieme cittadini appunto “metropolitani” che fanno riferimento ad uno o più poli urbani attrat-tori, ma che spesso si trovano ad interfacciarsi con molteplici gestori/esecutori del servizio non in rac-cordo fra loro. Nonostante le inerzie iniziali, esperimenti di aggregazioni di servizio, pensati in maniera unitaria fin dal loro ridisegno, potrebbero aumentare risparmi e efficienze, pur assumendo, come si di-ceva in precedenza, che le prime attuazioni potrebbero essere non del tutto facili in avvio. Ciò senza entrare in conflitto con altri enti competenti (es. quello regionale), ma soltanto offrendo un punto di

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vista privilegiato che è dovuto esclusivamente ad una maggiore “vicinanza” della città metropolitana ai fenomeni stessi. Tutto ciò in un’ottica di sussidiarietà, le cui pratiche sono sempre in continua evolu-zione.

3 | Le condizioni al contorno e il background storico

L’organizzazione funzionale e spaziale dei nostri territori è venuta modificandosi con forti accelerazioni negli ultimi trenta anni, sotto la spinta di ciò che, universalmente, viene definito come processo di globaliz-zazione dei fenomeni economici. L’evoluzione di tali processi è avvenuta anche in altre epoche e come sempre, essa ha portato con se anche un cambiamento di scenario dal punto di vista dell’assetto del territo-rio.

In Italia, il Progetto ’80 fu uno dei tentativi di lettura di quegli spazi che stavano cambiando, ma, in generale un po’ in tutta Europa, si hanno avuto studi e ricerche, pubblicazioni e correnti, leggi e riforme, che hanno variato la cultura e la prassi amministrativa di larghe porzioni del mosaico territoriale europeo, proprio in conseguenza della nascita della UE.

Come già affermato, i processi di downscaling ed upscaling non sono affatto neutri e spesso rischiano di essere fatti a tavolino, astraendo dalle potenzialità e delle vocazioni esistenti, oppure di rimanere sulla carta, perché, una volta pensati, la concettualizzazione diventa di difficile implementazione. Da tale osservazione prende le mosse anche il recente neoregionalismo: storicamente declinatosi poi in diverse forme più attinenti all’ecologia da un lato, e al federalismo dall’altro, esso nasce in origine per riaffermare le peculiarità del territorio, indipendentemente da visioni top-down.

Nel merito dell’esperienza italiana, le tendenze regionali per lo più si sono sviluppate con l’intento di atte-nuare gli squilibri tra spazi in via di sviluppo e luoghi più arretrati; l’esaltazione delle caratteristiche peculiari locali e l’abbandono delle “impersonali” politiche nazionali ha spesso portato però anche ad una mancanza di cooperazione ed alla contrapposizione di localismi contro interessi collettivi.

I cambiamenti a livello globale comunque avvengono, e costringono anche noi a mettere in campo una risposta istituzionale e civile. La relazione fra spazio fisico e scelte economiche si sviluppa nel nuovo con-testo della città contemporanea, sulla cui governance è necessario interrogarsi.

Nell’esplicitare le modalità con cui essa possa essere governata, emerge la complessità della società contem-poranea e i ritardi culturali e operativi con cui la politica stenta ad intercettare il problema e a coglierne tutte le implicazioni. Alcuni avanzano l’ipotesi che sia la resistenza dei governi centrali ad ostacolare il processo di ridefinizione delle democrazie locali, altri che sia proprio un centralismo redivivo a produrre enti forti (le città metropolitane appunto), a discapito dell’architettura regionale messa in piedi dall’era post-Maastricht. Uno degli assunti concettuali fondamentali della Unione Europea è proprio che è attraverso il territorio che si fa la coesione economica e sociale, cercando di ridurre il divario fra le “regioni” (politiche place-based). Da qui nasce anche il tentativo di pianificazione spaziale europea.

Inoltre, proprio Maastricht (1992) ha qualificato la sussidiarietà come principio cardine del processo di eu-ropeizzazione: essa può essere definita, come noto, come quel principio dirimente secondo il quale, se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l'ente superiore non deve intervenire, ma può even-tualmente sostenerne l’azione. Tale assunto stenta tuttavia a trovare attuazione nelle prassi amministrative. In linea generale, vale quanto osservato da molti studiosi: all’europeizzazione delle politiche avrebbe dovuto fare seguito una europeizzazione dei singoli sistemi di governo, proprio per raccordare il percorso della pianificazione fin qui condivisa con le specifiche locali. Allo stesso tempo, l’aver lasciato spazio all’autode-terminazione degli ordinamenti (per certi versi legittimamente) ha contemporaneamente sospeso il dibattito circa i fondamenti del governo (non di intervento) del territorio della Unione e dei suoi strumenti. Questo passaggio incompiuto si svela ora nella incerta definizione delle città metropolitane un po’ in tutta Europa. Il regionalismo e l’europeizzazione cui i nostri stati federali sono andati incontro hanno certamente molti tratti in comune, ma si differenziano anche in virtù delle diverse vicende storiche dei Paesi membri. Storie politiche e istituzionali diverse hanno portato a varianti e sfaccettature conseguenti il background storico di ciascuno: fasi progressive quali quelli della decentralizzazione e del riordino dei poteri, oppure dell’interco-munalità, della formazione consorzi, della devoluzione fiscale e della razionalizzazione delle finanze e fisca-lità locali, rappresentano step fondamentali di consapevolezza dei processi della modernità in continua evo-luzione. Proprio questi, appaiono, laddove presenti, lacunosi sotto alcuni aspetti: infatti, sebbene molte ri-forme, in alcuni casi, siano state compiute, esse non hanno portato a nuovi processi di riappropriazione territoriale e poche volte, se non in caso di sperimentazioni illuminate, ad un esercizio “consapevolmente protagonista” di governance multilivello e di sussidiarietà. Ovvero, non basta istituire o riformare livelli di

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governo perché essi comincino a recitare il ruolo loro assegnato, cogliendo appieno le proprie potenzialità e tracciando con fatica le modalità attraverso cui esperirle.

Le vicende italiane riguardanti l’istituzione delle città metropolitane mostrano la difficoltà di agire al di là di alcuni retorici conflitti (fra comune, provincia e regione), ma evidenziano anche alcuni fattori strutturali che agiscono come fattori di attrito sui cambiamenti istituzionali (mancato coordinamento, lacuna nelle compe-tenze e delle risorse, inadempienze legislative, …). Doppia sfera di cambiamenti, appunto, con cui il rescaling si deve confrontare: istituzionale di governo (scala gerarchica degli enti e modelli di governance) e di imple-mentazione nelle pratiche (dimensione urbana, identità, comunità degli attori, rappresentatività, sussidia-rietà).

La sfida della governance odierna è proprio questa: integrare i modelli istituzionali a livello locale con una più ampia mobilitazione di attori diversi e di un soggetto pubblico “enabler” capace di renderne sinergiche le iniziative. Ognuno deve fare la propria parte.

4 | Sussidiarietà e governance multilivello

Molti passi interessanti sono stati svolti da alcune città italiane (Torino, Bologna, Milano, Genova e Firenze in primis), ancora prima della legge DelRio, a riguardo della loro rimodulazione territoriale e strategica. Ciò che è più immediatamente osservabile e che fa riflettere è che si avvertono due forze diametralmente oppo-ste. Esse muovono, da un lato, verso una geometria variabile e gradi/campi di governo molto flessibili; dall’altro, verso una proliferazione di competenze condivise che però non chiariscono le responsabilità degli enti e, conseguentemente, nemmeno quale sia l’interlocutore adeguato da parte dei cittadini. A commento del recente tentativo di riforma costituzionale, che appare molto collegata alla sopracitata legge, molti hanno letto una titubanza della popolazione italiana a venir meno, attraverso un moderno meccanismo a più ampia scala, all’assodato principio di collegialità di decisione fra gli enti, che non voleva in alcun modo essere messo in discussione. É tuttavia da considerare il caso che si possa trattare, invece, di un mancato livello di moder-nizzazione, ovvero di evoluzione del nostro ordinamento e delle relative esperienze di governance moderna. Si potrebbe affermare che ciò che pur è avvenuto “cronologicamente” (regionalizzazione, europeizzazione, globalizzazione) non diviene automaticamente un presupposto e un riferimento concreto nel cambiamento delle istituzioni.

Alcune esperienze sono state condotte sul piano della governance multilivello, che potremmo definire come una sorta di dimostrazione di “solidarietà” tra enti concorrenti nella realizzazione di piani/programmi/pro-getti/dotazioni/opere. Tuttavia, ancora manca la concretezza di associare alla collegialità di enti concor-renti, una sana applicazione del principio di sussidiarietà verticale (per poi essere volano a quella orizzontale), che sancisca più precisamente deleghe e responsabilità agli adeguati livelli di scala. Anche l’attuazione pratica delle competenze attribuite o attribuibili alle città metropolitane diverrebbero a quel punto più semplici e supportate.

Trasporti, servizi, messa in sicurezza del territorio…le deleghe attribuite alle città metropolitane di concerto con altri livelli di governance, sono tutti aspetti in cui ci sentiamo implicati e che ci riguardano da vicino. Allo stesso tempo, il quadro attuale attribuisce alle città metropolitane molto del futuro competitivo su scala transnazionale: esercizio di sussidiarietà e governance multilivello insieme, appunto.

Ci piacerebbero sindaci metropolitani che sapessero identificare questa sfida: la disponibilità ad essere con-temporaneamente a servizio della città “di tutti i giorni”, ma anche di uno dei motori guida del paese; la consapevolezza dei fattori strategici che sono in gioco ed, allo stesso tempo, dei valori che la propria comu-nità quotidianamente afferma. È curioso notare come nel soddisfacimento di bisogni a noi così prossimi siano in ballo questioni che a volte ci possono apparire così grandi. Questo È già un esercizio di democrazia.

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