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Scrollytelling per la narrazione 3D sul web. Il Menhir Staurotomea di Carpignano Salentino

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

Corso di Laurea Magistrale

In Informatica Umanistica

TESI DI LAUREA

Scrollytelling per la narrazione 3D sul web.

Il Menhir Staurotomea di Carpignano Salentino

RELATORE

Dott. Dellepiane Matteo

CORRELATORE

Dott. Callieri Marco

CONTRORELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Salvatori Enrica

CANDIDATO

Mariateresa Moretti

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Sommario

INTRODUZIONE ... 5

I. IL LAVORO SVOLTO ... 7

II. ORGANIZZAZIONE DELLA TESI ... 8

1. STORIA ... 10

1.1. INQUADRAMENTO STORICO ... 10

1.2. ARCHITETTURA MEGALITICA ... 16

1.3. FENOMENO MEGALITICO IN PUGLIA ... 20

1.4. MENHIR... 22

1.4.1. MENHIR STAUROTOMEA ... 25

1.5. DOLMEN ... 27

1.5.1. DOLMEN LA CHIANCA ... 31

2. RICOSTRUZIONE 3D ... 33

2.1. TECNOLOGIA ED ARCHEOLOGIA: DA MONDI LONTANI A CONDIVISIONE DI SAPERI. 33 2.2. NASCITA DEL 3D ... 35

2.3. ACQUISIZIONE 3D: LE TECNOLOGIE ... 38

2.3.1. 3DSCANNING ... 38

2.3.2. 3D DA IMMAGINI ... 39

2.4. DALL’OGGETTO REALE ALL’OGGETTO 3D ... 42

3. SCROLLYTELLING ... 48

3.1. RACCONTARE IN ARCHEOLOGIA ... 48

3.2. DIGITAL STORYTELLING ... 49

3.3. DALLO STORYTELLING ALLO SCROLLYTELLING ... 50

3.4. SCROLLYTELLING: LO STATO DELL’ARTE ... 52

3.4.1. SNOW FALL (2012) ... 52

3.4.2. WHY PINNELLAS COUNTY IS THE WORST PLACE IN FLORIDA TO BE BLACK AND GO TO PUBLIC SCHOOL (2015) ... 53

3.4.3. WHY MEASLES MAY JUST BE GETTING STARTED (2015)... 55

3.4.4. BOSCH.A STORY IN PICTURES. ... 56

3.5. IMPLEMENTARE LO SCROLLYTELLING ... 57

3.6. NARRARE OGGI ... 58

4. PROGETTO ... 59

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4.1.1. STUDIO DELLE FONTI ... 61

4.1.2. PROGETTAZIONE STORYBOARD ... 63 INTRODUZIONE... 64 SCENA 1... 65 SCENA 2... 66 SCENA 3... 67 SCENA 4... 68 CONCLUSIONE ... 69

4.1.3. PROGETTAZIONE PAGINA WEB... 70

4.1.4. PROGETTAZIONE ED IMPLEMENTAZIONE SCROLLYTELLING CON SCROLLMAGIC 71 4.2. SCROLLMAGIC E 3DHOP ... 78

4.3. PROBLEMI RISCONTRATI ... 80

CONCLUSIONI E SVILUPPI ... 82

ALLEGATO 1- STORYBOARD DEFINITIVO DEL MENHIR ... 86

ALLEGATO 2- PRIMO SCROLLYTELLING ... 89

ALLEGATO 3 - SCROLLYTELLING DEFINITIVO ... 90

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Introduzione

La narrazione, intesa come strumento necessario per la restituzione di contributi complessi, è la manifestazione di un profondo cambiamento nella concezione del patrimonio culturale; tale cambiamento può rappresentare il passaggio dalla documentazione e salvaguardia del patrimonio alla sua considerazione come fonte di creazione di nuove competenze ed esperienze di fruizione. (Osti, 2016)

Questa nuova considerazione che si ha del Bene Culturale costituisce una possibilità di valorizzazione e fruizione da parte di utenze differenti e con differenti esigenze. È importante portare l‟utente a godere il “bello” in maniera tale da farlo sentire parte di una storia, per fargli comprendere che quello che sta ammirando non è solo un cumolo di pietre o un pezzo di argilla che da un passato lontano è arrivato fino ai suoi occhi ed ora è contenuto nelle teche asettiche di un museo o in un contesto archeologico, ma è parte integrante del suo passato, della sua storia e di quella di tutta l‟umanità.

Definire, ad esempio, un monumento megalitico solo come un insieme di pietre calcaree giunte fino ai nostri giorni un po‟ rovinato e scalfito dal tempo, senza raccontare l‟impatto e l‟importanza che quel monumento aveva per chi lo ha costruito in un dato periodo, significa sminuire la storia del monumento stesso ed anche il valore che vi attribuivano i suoi edificatori.

È emersa la necessità di progettare modelli di fruizione che cavalcassero l‟onda della rivoluzione in atto, una rivoluzione non solo tecnologica ma cognitiva, che facciano vivere delle nuove esperienze di fruizione del bene; si instaura una reciprocità continua tra bene e comunicazione del bene e la sua comprensione è legata anche alla modalità di rappresentazione. Attraverso la narrazione si possono sfruttare diverse modalità di rappresentazione per scoprire il bello. La dimensione narrativa infatti non implica solo il racconto orale e il trapasso di informazioni, ma anche l‟esplorazione visiva e la geolocalizzazione nello spazio.

Una volta organizzate le informazioni e stabilito che un oggetto deve essere narrato per poter far comprendere tutto l‟impatto emotivo che può suscitare, bisogna soprattutto trovare un mezzo per veicolare le informazioni.

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Grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, negli ultimi anni si è sempre più diffuso un connubio tra mondo digitale e mondo dei Beni Culturali. Questa unione è stata favorita anche dallo sviluppo delle tecnologie che permettono la realizzazione di manufatti tridimensionali che riproducono il bene, la loro diffusione e l‟utilizzo che si fa di questi nuovi oggetti digitali. Ottenuta una copia digitale di un bene è necessario porre l‟accento sulla sua divulgazione, di cui il web si conferma strumento privilegiato.

Al giorno d‟oggi sul web è possibile trovare un gran numero di informazioni e contenuti digitali, sia per interesse personale che per attività legate allo studio o alla ricerca accademica.

Questo modo di effettuare gli studi sta diventando una realtà sempre più radicata anche nel mondo dei Beni Culturali. Molte applicazioni legate a questo mondo richiedono grandi disponibilità di dati visivi, strumenti per elaborare tali dati e per ottenere informazioni che spesso, però, sono comprensibili solo al pubblico di esperti o appassionati del settore.

Mantenere su due piani separati la narrazione del bene e la sua digitalizzazione non apporta nulla di nuovo, ed è a partire da questo che nasce l‟idea sviluppata nel presente progetto di tesi. Coniugare la narrazione del bene, l‟importanza che esso aveva all‟epoca della sua realizzazione e che ha tutt‟oggi, con la sua resa virtuale, per poter diffondere, attraverso la rete, una conoscenza preziosa in grado di incuriosire e, perché no, emozionare.

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I.

Il lavoro svolto

Il lavoro presentato in questa tesi parte proprio dal principio appena espresso: narrare il bene, non solo a parole, ma sfruttando tutte le innovazioni apportate dalle nuove tecnologie.

Un‟altra sfida è quella di far approdare all‟era moderna dei monumenti propri di un periodo storico a volte dimenticato, pur rappresentando la base dell‟evoluzione dell‟essere umano: il neolitico.

Sul web è già presente un catalogo dei monumenti megalitici presenti soprattutto in Puglia, creato dall‟associazione Puglia Megalitica1

, che ha come scopo quello di valorizzare tutti i megaliti del territorio. Questo catalogo, però, non comprende oggetti tridimensionali né prevede una narrazione diversa dalla semplice descrizione didascalica.

L‟idea è quella di realizzare, a partire dalla catalogazione esistente, un nuovo tipo di narrazione che consenta di divulgare le informazioni e permetta agli utenti di assimilarle e conoscerle.

Il progetto di tesi si avvale di due caratteristiche principali: la prima è l‟implementazione di uno storytelling – costruito attorno al Menhir Staurotomea presente sul territorio di Carpignano Salentino, in provincia di Lecce – all‟interno di una pagina web, la seconda la possibilità di sfruttare tutte le peculiarità della visualizzazione on-line: sfruttare differenti media, anche tridimensionali, e diversi espedienti tecnici. Per garantire una narrazione lineare e guidata è stato implementato lo scrollytelling che permette il fluire delle informazioni in corrispondenza dello scroll delle pagine.

Il risultato finale della tesi è una pagina web che, allo scorrere della pagina, permette di visualizzare il modello 3D del megalite e di conoscere le informazioni relative alla sua storia ed alle leggende che vi gravitano attorno.

L‟utente entra a contatto con il bene non solo perché lo vede nelle immagini ma perché ne legge la storia, la conformazione ed il valore ad esso legato, e può farlo

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seguendo i suoi tempi. Lo scroll, infatti, permette di far fluire la narrazione rispettando i tempi di lettura ed acquisizione delle nozioni dell‟utente, che può ritornare sui contenuti ed interagire con essi a seconda delle sue competenze e del suo interesse.

II.

Organizzazione della tesi

L‟elaborato si articola in cinque capitoli che contengono tutti gli elementi che hanno poi permesso di realizzare il progetto.

Il primo capitolo presenta l‟inquadramento storico. Menhir e Dolmen sono elementi architettonici studiati nei primi anni di scolarizzazione, quando ci si avvicina allo studio della storia dell‟umanità, in seguito vengono quasi completamente dimenticati. Nel capitolo sono presenti delle informazioni circa il periodo storico in cui i monumenti megalitici venivano eretti ed il loro utilizzo.

Poiché il lavoro è incentrato sulla valorizzazione dei megaliti presenti sul territorio pugliese, nel capitolo vi è una breve descrizione della diffusione del fenomeno nel tacco della penisola italiana. All‟interno del capitolo sono descritti in dettaglio i due oggetti sui quali si è concentrato lo studio delle fonti.

Il secondo capitolo si apre al mondo delle ricostruzioni tridimensionali. Con lo sviluppo delle nuove tecnologie si diffonde un nuovo modo di fare archeologia e di avvicinare ad essa un pubblico ampio e variegato. Vengono dunque presentate alcune tra le tecnologie ad oggi sviluppate per la riproduzione in digitale delle opere d‟arte ponendo l‟accento, in particolare, sulla tecnica del 3D da immagini, la stessa che è stata adoperata per la realizzare il modello digitale utilizzato nella tesi.

Dal momento che lo scopo principale della tesi è narrare i Beni Culturali, nel terzo capitolo spiega quali possono essere i vantaggi apportati dalla narrazione legata al mondo dei Beni Culturali. In questo capitolo viene presentato il principio dello storytelling, ovvero l‟arte di narrare una storia, al quale ben si lega il più recente digital storytelling come sua moderna espressione.

Accanto a queste due modalità di narrazione viene descritto lo scrollytelling, ovvero l‟arte di narrare una storia su web sfruttando lo scrolling interno della pagina.

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Vengono presentati alcuni esempi di scrollytelling e le librerie esistenti che ne implementano il funzionamento.

Il quarto capitolo è quello che spiega il progetto di tesi vero e proprio, che è articolato in diversi passaggi per poi confluire nella realizzazione di una pagina web contenente la narrazione. Il progetto ha previsto una fase di studio delle fonti per definire lo storyboard iniziale ed una di progettazione delle varie parti, dalla pagina web allo scrollytelling, per avere una base ben definita prima di avere a che fare direttamente con il codice. Nel capitolo viene presentato il mondo in cui ScrollMagic, la libreria utilizzata per la realizzazione dello scrollytelling, garantisce il corretto funzionamento della pagina ed il mondo in cui interagisce con 3DHOP, il tool utilizzato per la visualizzazione online dei modelli 3D.

L‟ultima parte dell‟elaborato contiene delle considerazioni finali ed uno sguardo a quelli che potrebbero essere gli sviluppi futuri di questo progetto.

La realizzazione del lavoro, inserita nel solco dell‟innovazione per i Beni Culturali, permette di sperimentare la cooperazione tra diverse discipline e di scoprire come queste, se ben calibrate ed amalgamate, possano dare una svolta al modo di concepire la fruizione del bene, risvegliando una curiosità sopita e magari la voglia conoscere ed approfondire di più.

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1. Storia

1.1. Inquadramento storico

Il Neolitico, dal greco νέος (nèos, "nuovo") e λίθος (lithos, "pietra"), è il periodo più recente dell‟Età della Pietra, ed è conosciuto come il periodo in cui si passa dall‟uso di strumenti più antichi di tradizione paleolitica all‟uso di strumenti in pietra levigata e perfezionati.

In questo periodo storico cambia anche lo status dell‟uomo, che da cacciatore-raccoglitore che vive di un‟economia parassitaria passa ad un‟economia basata sulla produzione del cibo, sull‟allevamento del bestiame e sull‟agricoltura. (Neolitico) Le prime aree geografiche in cui l‟uomo passò da essere nomade ad essere sedentario sono l‟America Centrale ed il Medio Oriente; ciò nonostante, le tappe della

neolitizzazione, intesa come processo di evoluzione della cultura, tecnologia ed

economia, sono note nel dettaglio solo per le regioni mediorientali ed europee. L‟epicentro europeo della prima fase di neolitizzazione fu la Grecia, seguita poi, a metà del VIII millennio, dai Balcani meridionali. In un periodo che va da 6800 a 6400 anni fa, l‟evoluzione neolitica raggiunse le coste del Mediterraneo centrale ed occidentale, per poi espandersi alla grande pianura centroeuropea.

Per quanto riguarda la scansione storica del Neolitico, si possono distinguere quattro grandi età, suddivise, a loro volta, in ulteriori fasi: Neolitico Antico (7000 - 5500 a.C.), Neolitico Medio (5500 - 4700 a.C.), Neolitico Pieno (4700 - 4200 a.C.) e Neolitico Recente (4200 – 3500 a.C.).

La fase in cui sono più evidenti le rotture rispetto a ciò che le precede è quella del Neolitico Pieno, soprattutto nel bacino del Mediterraneo centro-occidentale dove risultano più significative le innovazioni che già fungono da preludio all‟Eneolitico2

ed ai periodi successivi.

All‟età neolitica, o della pietra levigata, è stato dato questo nome per distinguerla nettamente dall‟età del Paleolitico, o della pietra scheggiata, anche se tale

2 Età del Rame: tappa di transizione tra le industrie litiche del Neolitico e la nascente metallurgia

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denominazione non assume valore assoluto, in quanto l‟impiego di armi e strumenti di selce scheggiata non cessa ma continua anche nelle fasi successive. La levigazione della pietra, quindi, costituisce una nota essenziale della nuova civiltà ma non basta a caratterizzarla in modo compiuto.

La neolitizzazione dell‟Europa ha una durata complessiva di 4000 anni, nel corso dei quali si verificano diversi cambiamenti; il primo, e sicuramente più importante, è l‟introduzione di utensili realizzati in pietre levigate a cui si aggiungono le prime fabbricazioni di vasi di terracotta, con il conseguente affermarsi della prima industria della ceramica, la nascita delle prime industrie tessili con l‟utilizzo di fibre vegetali e le pelli degli animali allevati, l‟introduzione dell‟allevamento di bestiame e della coltivazione dei campi che, unitamente alla caccia ed alla pesca, diventano la principale fonte di sostentamento delle popolazioni neolitiche, l‟introduzione ed uso di abitazioni fisse (capanne straminee3 o palafitte), ed il culto del morti ben fissato

con il rito dell‟inumazione e con l‟accompagnamento del corredo funebre. (Antonielli).

I materiali per lo studio di questa civiltà sono forniti dai fondi di capanne4, le grotte naturali e artificiali, le officine5, le palafitte e, soprattutto, i monumenti megalitici, ovvero delle costruzioni erette con blocchi di pietra di grandi dimensioni, grossolanamente tagliati, che servivano inizialmente come monumenti per l‟inumazione dei defunti; le testimonianze più antiche di questi monumenti risalgono, appunto, al Neolitico fino a giungere all‟Età del bronzo.

Il fenomeno megalitico è scaturito dal benessere economico in cui versavano le società preistoriche; nel IV millennio, si godeva di condizioni climatiche favorevoli con temperature più elevate e condizioni ambientali che consentirono lo sviluppo dell‟agricoltura con conseguenti buoni raccolti e diffusione dell‟allevamento, garantendo, così, maggiore sicurezza per le fonti alimentari e per la sopravvivenza. Questo fiorire di fonti di sostentamento determinò uno sviluppo demografico che rese necessaria la riorganizzazione della società in settori e gerarchie che portarono

3 Capanne costruite con il tetto di paglia.

4 La parte dell‟abitazione incavata nel suolo dove si è raccolto del materiale abbandonato dall‟uomo.

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alla costruzione di nuove soluzioni abitative ed alla realizzazione delle strutture per inumare i defunti anche secondo la loro posizione nella scala gerarchica.

Dal punto di vista geografico, la diffusione dei monumenti megalitici è molto vasta: dalle coste atlantiche dell‟Europa alla Scandinavia passando dall‟Africa settentrionale e dal Mediterraneo fino ad arrivare in Europa orientale, al Caucaso ed in Asia, India, Corea e altre regioni dell‟Estremo Oriente.

L‟inizio della tradizione megalitica si attesta attorno al IV millennio e si protrae, almeno in Europa, fino al 1300-1200 a.C.

Va tenuto conto, però, che già nel medio Paleolitico, il periodo compreso tra i 200 000 e i 40 000 anni fa, l‟uomo di Neanderthal inumava i defunti in fosse, che poi ricopriva con una lastra litica molto pesante riconducibile alle costruzioni megalitiche; verso il decimo millennio, inoltre, i defunti venivano circondati da lastre calcaree, fissate al suolo, che sostenevano due lastre orizzontali (i microdolmen). L‟utilizzo di queste strutture come opere funerarie non è, quindi, unicamente di invenzione neolitica ma è in questa epoca storica che raggiunge la sua massima diffusione in tutto il mondo.

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Pur nella loro estrema varietà, i megaliti possono essere raggruppati in tipi fondamentali:

dolmen, le tombe costruite con lastre di copertura, generalmente ricoperte da tumuli di terra o pietrame;

Figura 1 Dolmen Li Scusi (foto personale) menhir, lunghe pietre piantate nel suolo;

Figura 2 Menhir San Paolo

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14  cromlech, circoli di grosse pietre il cui esempio più famoso è Stonehenge;

Figura 3

Stonehenge

(fonte: google.it)

alignements, costituiti da allineamenti di grosse pietre infisse nel suolo;

Figura 4 Alignements de Carnac

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15  triliti, costituiti da due lastre verticali sostenenti un architrave (sono esemplari di dolmen precedenti alla costruzione più complessa del dolmen vero e proprio).

Figura 5

Trilite Chianca Santo Stefano

(fonte: pugliamegalitica.it)

Probabilmente ognuna di queste costruzioni fu ispirata ad un‟idea religiosa successivamente rielaborata dai diversi popoli in relazione alla loro evoluzione cultuali nell‟arco di migliaia di anni.

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1.2. Architettura Megalitica

Il significato semantico e strutturale dei monumenti megalitici risulta ancora oggi avvolto nel mistero. Per iniziare a comprenderlo si deve pensare ad essi come alle prime costruzioni, alle prime manifestazioni architettoniche dell‟uomo, e questo già di per sé è un fatto di importanza rilevante. (Malagrinò, 1978, p. 8)

I monumenti megalitici hanno incominciato a diventare importanti per gli studiosi di preistoria verso la fine del sec. XVIII. Sin dall‟inizio gli orientamenti di studio furono diversi e diverse furono, anche, le interpretazioni date ai vari monumenti man mano che questi venivano scoperti.

In Francia, lo storico Théophile-Malo de La Tour d'Auvergne-Corret riteneva che le strutture megalitiche fossero altari druidici o altari di culto eretti dai Celti per celebrare i loro riti cruenti, dando così vita a quella che venne denominata teoria celtomane. Per comprendere il pensiero dello storico francese bisogna tener conto del fatto che alla fine del „700 le popolazioni antiche erano sconosciute e che si attribuiva ai Galli tutto ciò che era anteriore alla conquista romana. Ben presto, però, si iniziò a guardare all‟Egitto antico per cercare l‟origine del megalitismo, in nome di una spiccata consuetudine a far derivare dall‟evoluta civiltà egiziana tutte le culture ma senza riferimenti reali su cui basare questa ipotesi.

Quando si rinvennero dolmen e menhir anche al di fuori dai confini della Gallia e della Bretagna, si iniziò a pensare di riferire la costruzione dei megaliti ad un periodo storico ancora poco conosciuto: il neolitico. Ovunque cominciarono campagne di scavo che portarono a nuovi ritrovamenti di matrice megalitica e che diffusero un interesse sempre crescente per questi oggetti, facendo fiorire studi sul mondo megalitico del quale si cerca di comprendere, ancora oggi, aspetti sociali, economici, tecnici e religiosi.

L‟archeologo australiano Vere Gordon Childe, dopo aver esaminato alcune tombe megalitiche spagnole, avanzò l‟ipotesi che esse fossero collegate alle tombe circolari dell‟isola di Creta del 2500 a.C. che, a loro volta, risultarono di poco posteriori a quelle francesi ed inglesi. Successivamente a questi studi, l‟attenzione si spostò, dunque, dall‟Egitto all‟Egeo.

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Con l‟avvento di nuove tecniche di numerazione dei resti rinvenuti nei siti archeologici, si giunse a definire nuove datazioni per le spagnole vennero che datate intorno al 2900-3000 a.C. e quelle di Malta dal 2200 a.C.; le tombe della Bretagna vennero attribuite ad età anteriori al 4000 a.C. e quindi risultarono essere le più antiche in assoluto.

Alla luce di questi dati, tra Europa e Medio-Oriente si creò una faglia cronologica che non permise più di collegare tra loro i processi culturali avvenuti da una parte all‟altra del globo; partendo da queste datazioni l‟Europa si affermò come la culla della civiltà megalitica indipendente da influenze medio-orientali, rifiutando così l‟idea di un unico centro a partire dal quale si fosse diffuso il megalitismo.

Con l‟aggettivo megalitico si vuole indicare un certo tipo di monumento ed architettura caratterizzato generalmente da pietre piatte di grandi dimensioni; il termine megalite, che vuol dire letteralmente grande pietra, è da riferirsi più che al monumento in sé alle pietre che formano le costruzioni. Le dimensioni dei monumenti possono essere molto notevoli ed il senso della grandezza è dato dalla giustapposizione tra loro di pochi ma grossi elementi litici.

I megaliti hanno sempre esercitato un fascino particolare, perennemente avvolto nel mistero che continua ancora oggi. Il reale utilizzo di queste strutture, però, non è attualmente chiaro.

L‟ipotesi più accreditata in ambito archeologico è quella che vede da un lato i menhir come rudimentali osservatori astronomici, considerando la struttura come un gigantesco gnomone6 per misurare i movimenti, i tempi e le fasi astrali da cui derivare i cicli propizi e nefasti per le attività umane e le coltivazioni; dall‟altro i dolmen, al cui interno sono stati rinvenuti degli scheletri, il che fa pensare che fungessero da sepolcri.

Ben presto, però, ai megaliti sono stati attribuiti diversi significati; è stato notato che i dolmen si presentano orientati nello spazio secondo una direzione specifica e, nella maggior parte dei casi, lungo l‟asse Est-Ovest con l‟apertura rivolta ad Est: per questo motivo è stata attribuita loro la duplice funzione sepolcrale e culturale.

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Ai menhir, invece, è stato attribuito un valore sacro e fortemente legato ai culti pagani, in un primo momento, di idolatria per la pietra viste come ossa della Madre Terra in seguito, poi, come oggetti riferiti ad una divinità in particolare; nella maggior parte dei casi i menhir sono orientati in modo da avere le due facce più larghe che guardano rispettivamente verso Est e verso Ovest e si trovano ad essere sulla traiettoria dei raggi del Sole durante gli equinozi o i solstizi. Proprio in virtù di tale orientamento, i menhir sono stati ricondotti al culto del dio Sole.

Scomparso il culto delle pietre, sorsero intorno alle strutture delle leggende e delle superstizioni tramandate per secoli e giunte fino a noi, che possono essere intuite già dai nomi affidati alle costruzioni megalitiche e che tutt‟oggi si tramandano; tra i nomi più diffusi ci sono quelli legati al mondo fiabesco delle fate, al mondo dei cicli cavallereschi o ai mori nelle zone occupate dai saraceni. Questa diversità e particolarità di nomi mostra come, nel tempo, i monumenti megalitici abbiano fortemente colpito l‟immaginazione e la fantasia degli uomini.

In tempi relativamente più recenti, ai monumenti megalitici sono state attribuite proprietà curative; sono stati identificati come fulcri energetici fungendo da catalizzatori e diffusori di energia per favorire l‟acquisizione di potenza durante i riti di evocazioni magiche. Altri monumenti potevano addirittura garantire longevità e ricchezza: si credeva, infatti, che molti dolmen e menhir nascondessero dei tesori e ciò ha portato alla distruzione, totale o parziale, delle costruzioni megalitiche.

Le difficoltà di erezione dei monumenti megalitici furono, oltre che di natura concettuale, anche tecniche, soprattutto in relazione alle fasi di erezione e trasporto delle grandi pietre.

Per costruire tali opere si fece certamente ricorso a tutte le competenze tecniche conosciute nel neolitico quali leve, piani inclinati, rulli, ma il maggior artefice dei monumenti fu il dispendio di materiale umano: in alcuni casi si calcola che siano stati necessari circa 3000 uomini, un numero non indifferente per quel periodo storico e che fa presupporre l‟unione di persone appartenenti a più villaggi, tale da ipotizzare che le costruzioni dei monumenti megalitici siano stati momenti socialmente importanti vissuti anche nel proponimento di rinsaldare amicizie tra popolazioni e crearne di nuove.

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19 Figura 6

Menhir Locmariaquer.

Ora spezzato, raggiungeva i 20mt di altezza. Risale all'incirca al 4500 a.C. (fonte: Wikipedia Commons)

A favorire la diffusione dei megaliti sono stati il commercio e la navigazione; nonostante l‟immagine che si ha del neolitico, cioè di una società sedentaria e con scarsi mezzi di mobilità, il commercio e la navigazione erano attivamente praticati ed hanno consentito di diffondere anche usi e costumi. Altro elemento a favore della diffusione e mantenimento del megalitismo è stato il suo facile inserimento ed integrazione con le altre culture nelle quali tali strutture sono stati inglobati senza essere soffocati o distrutti, ma conservando la propria individualità e le proprie caratteristiche.

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1.3. Fenomeno megalitico in Puglia

In Puglia si è sviluppata una vera e propria civiltà della pietra; è prassi dire che “le pietre parlano”, a sottolineare il fatto che l‟evoluzione culturale della regione sia andata di pari passo con lo sviluppo dell‟arte litica. I primi studi sui monumenti megalitici pugliesi risalgono alla fine del 1800 e riguardano in particolare il Salento: il dolmen li Scusi, situato presso Minervino di Lecce, è stato il primo dolmen ad essere ritrovato in Italia nel 1867 ad opera di L. Maggiulli, constatazione riportata e avvalorata da De Giorgi nel suo censimento di strutture megalitiche pugliesi.

Da questo ritrovamento in poi furono scoperte altre strutture megalitiche; il numero di elementi scoperti raggiunse il suo culmine tra la fine dell‟ „800 e i primi del „900 quando furono ritrovati e censiti la maggior parte dei monumenti oggi noti.

Figura 7

Distribuzione dei dolmen e menhir in Puglia Fonte: (Malagrinò, 1978, p. 29)

La distribuzione dei monumenti megalitici è eterogenea anche se si può constatare una concentrazione più significativa nel sud della regione: si passa, infatti, dal menhir isolato presso Canne della Battaglia situato a nord, ai dolmen di Bisceglie e

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del barese, fino ad arrivare a quelli del tarantino e soprattutto all‟alta concentrazione di dolmen e menhir della penisola salentina dove:

“dodici (dolmen) sorgono in lunga fila, quasi da Nord a Sud, alla vista e poco lontani dalle coste del mare Adriatico e due soltanto sulle coste dello Ionio. I primi si estendono dalle campagne di Vaste fino a quella di Melendugno, per quasi 20 chilometri in linea retta”. (M.Maggiulli, 1910)

Figura 8

Localizzazione dei centri del Salento dove si trovano i megaliti (Fonte: http://www.salentonline.it/salento/cartine.php)

L‟architettura megalitica pugliese conta complessivamente un centinaio di monumenti tra dolmen e menhir, tenendo conto non solo dei monumenti giunti fino all‟epoca moderna ma anche di quelli di cui sono rimasti unicamente dei frammenti: in totale si contano circa 102 monumenti megalitici di cui 23 dolmen e 79 menhir, un patrimonio ristretto rispetto a quello mondiale ma non ininfluente, che fa della Puglia quel ponte di continuità tra il megalitismo orientale e quello europeo ed in particolare spagnolo, francese ed inglese.

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1.4. Menhir

Con il termine menhir, che proviene dal dialetto bretone men= pietra e hir=lunga e che letteralmente significa pietra lunga, si indicano le stele monolitiche più o meno lavorate a forma di parallelepipedo infisse verticalmente nel terreno e facenti parte di un più ampio fenomeno che ha interessato molte regioni europee ed in particolare Spagna, Francia, Inghilterra ed Italia.

Nella penisola italiana, se si esclude la Sardegna, l‟unica regione fortemente interessata dal fenomeno del megalitismo è la Puglia; la provincia di Lecce presenta una maggior densità di questi monumenti soprattutto nella zona a Sud-Est e lungo la costa Adriatica. (Panico, 2004, p. 13)

Nell‟analisi delle strutture salentine, lo studioso De Giorgi constatò che l‟unica differenza sostanziale tra le palafitte pugliesi e quelle inglesi si può trovare nel rapporto tra le facce adiacenti: nei menhir d‟oltremanica era di 1:3,7 mentre nei nostri si riduceva a 1:2.

I menhir pugliesi sono prevalentemente costruiti in calcare argillo-magnesi-fero, noto anche come pietra leccese7

, da cui venivano ricavati i monoliti anche grazie alla sua facile estrazione e lavorazione: la lavorazione avanzata, la squadratura perfetta delle facce, gli spigoli ben profilati e nessun tipo di rastrematura8 alla base del vertice sono tutte caratteristiche dei menhir della Puglia e riproducibili grazie al tipo di materiale utilizzato per l‟edificazione. Il tipo di struttura lascia presupporre che per la lavorazione di queste pietre fossero utilizzati utensili in ferro e che, quindi, la messa in opera di tali monumenti fosse avvenuta in un periodo avanzato della civiltà preistorica.

La posizione geografica dei menhir rinvenuti sul territorio salentino vede gli stessi sparsi, senza un ordine preciso, tanto da non potervi intravedere allineamenti o cromlech, come, invece, riscontrato in altre località europee.

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La pietra leccese (in dialetto salentino leccisu) è una roccia calcarea appartenente al gruppo delle calcareniti marnose e risalente al periodo miocenico. È un litotipo tipico della regione salentina, noto soprattutto per la sua facilità di lavorazione.

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La maggior parte dei menhir pugliesi presentano le facce più strette orientate secondo la direttrice Nord-Sud: questa posizione non è casuale perché, osservando la buca contenente la base, questa era scavata nella roccia in modo da permettere il perfetto orientamento del monolite parallelamente al meridiano geografico.

In Puglia sono state anche ritrovate delle statue-menhir, recanti incisioni di varia natura, che sono da considerarsi una manifestazione tardiva della tipologia dei menhir. Ciò che è rappresentato varia da segni lineari e semplici, che apparentemente non hanno alcun significato preciso, a rappresentazioni più complesse che arrivano fino alla raffigurazione umana e si ritiene che possano rappresentare gli dei. Questi megaliti si trovano isolati o, spesso, raggruppati tra loro in maniera da disegnare altre figure; ancor più spesso sorgono vicino ai dolmen o dentro lo stesso dolmen.

L‟uso e la destinazione dei menhir non sono ancora chiari. Dalla comparazione con le popolazioni che usavano erigere tali monumenti sembra che essi assumano diversi significati: si ritiene che i menhir segnassero confini dei villaggi, oppure erano luoghi importanti in quanto teatro di incontro-scontro tra popolazioni appartenenti a villaggi diversi; si pensa che servissero per indicare le sepolture, anche se questa ipotesi non ha avuto riscontri positivi in seguito agli scavi effettuati nelle zone circostanti; si ipotizza, inoltre, che servissero come “segnali stradali” perché, seguendo una linea immaginaria, questi monoliti sembrano allineati in modo da indicare un percorso ben preciso che spesso porta ad un dolmen.

Oggi l‟opinione più accreditata è quella secondo la quale i monumenti assumano un carattere religioso, che siano consacrati al culto betilico9 per l‟adorazione del sole, tesi supportata dall‟orientamento delle facce larghe dei monoliti che guardano il sole dall‟alba al tramonto; oppure vengono considerati monumenti destinati ai riti della fecondazione della terra “Dea Madre”, intravedendo in queste stele una simbologia fallica, ipotesi sorretta dalla morfologia dei monoliti. (Panico, 2004, p. 14)

Il fatto che i menhir fossero monumenti religiosi dedicati a riti pagani lo dimostrano gli editti e i decreti cristiani emanati nel corso dei secoli che stabilivano l‟abbattimento dei megaliti.

9 Il betilo è una pietra a cui si attribuisce una funzione sacra in quanto dimora di una divinità o perché

identificata con la divinità stessa. Il termine "betilo" (latino "Baetylus", greco "Baitylos") deriva infatti dall'ebraico Beith-El che significa "Casa di Dio". L'adorazione del betilo viene detta "Litolatria".

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Tali culti erano così radicati e profondi che la Chiesa non trascurò alcuno sforzo per sopprimerli. In particolare l‟editto di Arles del 452 d.C. imponeva agli “adoratori di pietre” di rinnegare e distruggere i megaliti, pena la colpa del sacrilegio.

Il forte legame con i culti pagani metteva a serio repentaglio il dominio cattolico e ciò ha portato alla cristianizzazione delle pietrafitte mediante l‟apposizione di croci in pietra o in ferro sulla loro sommità o incidendo sulle facce, a colpi di accetta, il simbolo della cristianità.

Terminata l‟opera di cristianizzazione, i menhir presero il nome di Osanna, nella forma dialettale sannà o culonne. In virtù di questa nuova funzione, su queste antichissime pietre venivano infissi ramoscelli di ulivo nei giorni delle Palme come ricordo e ricorrenza cristiana.

Il cambio d‟uso e di destinazione religiosa ha protetto i menhir, consentendo loro di arrivare numerosi e, in gran parte, integri fino ai tempi moderni.

Nonostante i tentativi di tutelarli, molti menhir sono stati comunque distrutti per diverse ragioni: numerosi furono abbattuti in virtù delle leggende popolari secondo cui questi enormi blocchi di pietra altro non erano se non dei guardiani di tesori,

acchiature nel dialetto locale; altri furono distrutti verso la fine del XVIII secolo,

quando si procedette ad aumentare lo spazio coltivabile con la spietratura dei terreni; alcuni vennero frantumati in epoche successive per allargare le strade o per collocare sul posto edifici religiosi o perché il terreno su cui sorgevano era diventato edificabile; alcuni sono stati rimossi dal loro sito originario e sono stati ricollocati in altri luoghi perdendo la loro funzione originale. Altri menhir ancora, nel corso degli anni, sono stati notevolmente trasformati per effetto delle successive riparazioni dovute ai continui abbattimenti e questo ha portato ad una evidente modifica della morfologia del megalite stesso, che non presenta più i tratti e la maestosità originaria.

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1.4.1. Menhir Staurotomea

Tra i menhir che sono stati trasformati in seguito ai continui abbattimenti rientra sicuramente il menhir Staurotomea, che tradotto dal grico10 significa Croce Grande, presente a Carpignano Salentino.

Secondo il diario del ritrovamento del professor Cosimo De Giorgi nel 1880 esso si trovava “nel mezzo di una piazzetta, un chilometro ad Est di Carpignano, in un

quadrivio di vicinali che portano alla contrada Fasulo, ai laghi Alimini, a Serrano e a Carpignano” (De Giorgi, 1916), era alto 4.10 metri e presentava delle croci grafite sulla faccia rivolta ad Ovest.

Numerose sono le leggende nate attorno a questo menhir, una riportata sempre da De Giorgi narra:

“Due sorelle, una nubile e l’altra maritata verranno un giorno a riposare a piè di questa colonna; questa cadrà e ne accopperà una, la maritata; e l’altra troverà sotto la pietrafitta il tesoro nascosto” (De Giorgi, 1916).

Più volte abbattuto a causa di queste leggende, oggi il monolite è profondamente cambiato rispetto a quella che era la sua conformazione originaria: dell‟alto e maestoso monolite è rimasto solo un troncone di appena 1.47 metri profondamente segnato dal tempo.

La parte del menhir giunta fino ad oggi è la parte superiore, infatti all‟estremità è presente una profonda fessura che serviva come alloggio della croce aggiunta al monolite in seguito alle grandi opere di cristianizzazione.

Anche l‟inclinazione del menhir è legata ad un‟altra leggenda, questa volta riportata da Giuseppe Palumbo che racconta:

“Il menhir nasconde un tesoro in monete d’oro e d’argento, difeso dagli spiriti maligni, e per impadronirsene due bambini, nel cuore della notte, devono sedersi ai piedi del menhir, uno da una parte ed uno dall’altra; il menhir cadrà e ne schiaccerà uno, il superstite troverà così il tesoro”. (Palumbo, V, 1952).

10 La lingua definita "grico", scritta in caratteri latini, presenta punti in comune con il neogreco e

vocaboli che sono frutto di evidenti influenze leccesi o comunque neolatine ed è il dialetto della grecìa salentina

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Secondo la credenza popolare l‟inclinazione della stele era dovuta al fatto che tempo fa due bambini avevano provato a trovare il tesoro ma il bambino verso il quale il menhir stava per cadere scappò via facendo perdere il tesoro al compagno e fermando la caduta della colonna che ha, quindi, mantenuto una lieve pendenza a Nord-Ovest.

Figura 9

Particolare fessura presente sulla sommità del menhir (foto personale)

Figura 10

Quel che resta del menhir Staurotomea o Croce Grande

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1.5. Dolmen

Un‟altra struttura megalitica molto diffusa in Europa ed in particolare nel Sud Italia è il dolmen. Con il termine dolmen, dal bretone dol = tavolo e men=pietra, si indicano strutture megalitiche con una lastra litica orizzontale, sorretta da due o più pietre infisse verticalmente nel terreno come pilastri, tecnicamente chiamati ortostati. I dolmen possono assumere forme più o meno semplici: quella più semplice composta da solo tre pietre, due verticali ed una orizzontale, prende il nome di trilite; la forma più complessa è formata invece da un numero maggiore di ortostati che possono essere sia dei blocchi unici sia più pietre sovrapposte.

Nei monumenti nord europei la lastra di copertura può raggiungere dimensioni e pesi considerevoli, come nel caso del dolmen Kilteirnan di Dublino, la cui lastra di copertura ha un peso stimato intorno alle 40 tonnellate. Sicuramente più piccoli sono i dolmen del bacino mediterraneo dove, nonostante il fenomeno sia conosciuto con il termine piccolo megalitismo, le lastre di copertura arrivano a pesare tra le 10 e le 12 tonnellate.

A causa della loro forma e della loro grandezza, i dolmen furono identificati come, dai primi studiosi del XVI secolo, altari sacrificali, eretti dalle popolazioni celtiche per officiare i loro riti. Successivamente, però, il ritrovamento di strutture simili in altre località europee non interessate dalla cultura celtica ed in altre nazioni come in India e nel Nord Africa, hanno permesso di stabilire la loro destinazione prettamente funeraria e di sepoltura destinate ad ospitare le spoglie di persone che detenevano un ruolo importante all‟interno del villaggio o della tribù. (Panico, 2004, p. 17)

In Italia il fenomeno dolmenico interessa la Sicilia, la Sardegna (civiltà Nuragica) e la Puglia (civiltà del Bronzo). I dolmen pugliesi possono essere divisi in due gruppi: il più antico è quello che interessa il Sud di Lecce e la zona di Otranto dove, i dolmen, sono costituiti da camere funerarie piccole; meno antichi sono i dolmen della zona a nord della regione che, pur appartenendo al fenomeno del piccolo

megalitismo, presentano dimensioni maggiori.

I dolmen venivano eretti utilizzando gli strati superiori dei banchi rocciosi divenuti duri per effetto del fenomeno di stalagmitizzazione che, a causa della tensione che si

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crea e per la differenza di temperatura fra lo strato superficiale e quello sottostante, tendono a staccarsi in grandi lastre che prendono il nome di chianche nei dialetti locali. A partire da questi enormi frammenti venivano erette le strutture megalitiche: le lastre piantate verticalmente nel terreno costituiscono gli ortostati della struttura, mentre la lastra di maggiori dimensioni veniva utilizzata per la copertura della cella. I dolmen salentini sono quasi tutti costituiti di calcare sabbioso tufaceo, meglio conosciuto come tufo, o da carparo11, o dalla già citata pietra leccese o dal

mazzaro12. La presenza dei monumenti è maggiore nelle zone dove questo materiale è affiorante, risulta però, in qualche caso, l‟utilizzo di materiale proveniente da località diverse.

Nei dolmen delle Terre d‟Otranto la camera funeraria è piccola e capace di contenere un solo cadavere, che veniva deposto sulla roccia affiorante appena ricoperta da uno strato di terra rossa. La camera funeraria, in alcuni casi, veniva preceduta da un

dromos, un corridoio che conduce alla cella, costeggiato a sua volta da piete

conficcate nel terreno. La lastra di copertura, spesso, si presenta inclinata di qualche grado sull‟orizzonte e sulla parte superiore risultano scavati fori e profondi solchi che ne percorrono il perimetro. È possibile che la maggior parte dei dolmen del Salento fosse originariamente ricoperta da cumuli di pietrame e terra per proteggere l‟inumato dagli animali selvatici.

La differenza sostanziale tra i dolmen salentini e quelli situati a nord della Puglia si trova nelle dimensioni: mentre i dolmen della terra di Bari sono imponenti e composti, tipicamente, da tre lastre per le mura ed un lastrone come copertura e raggiungono l‟altezza di quasi 2 metri, quelli salentini sono più piccoli e i lastroni di copertura invece di essere sorretti da altre tre lastre, sono poggiati su un numero più elevato di piccole lastre o addirittura su numerosi cumuli di pietre non lavorate. Caratteristiche comuni di questi dolmen sono il foro praticato al centro del lastrone di copertura, forse per versare bevande al morto o per permettere ai raggi del sole durante il solstizio di giungere al defunto, e i canaletti lungo i bordi del lastrone che

11 Il carparo è una pietra calcarenitica, derivante dalla cementazione di sedimenti di roccia calcarea,

generalmente in ambiente marino.

12 Nome dato in Puglia ad un tufo biancastro calcareo-arenaceo, fossilifero, per lo più del periodo

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permettevano di far stillare i liquidi ed il sangue derivanti dai sacrifici che si compivano sulle coperture. (Allen, 1969, p. 36)

Figura 11

Copertura dolmen, nella parte bassa è visibile il foro. (foto personale)

Mentre gli altri monumenti megalitici si sono mantenuti inalterati, i dolmen hanno subito una certa evoluzione e trasformazione nel tempo. Partendo dalla grotta naturale destinata all‟uso sepolcrale ci sono state due forme di riproduzione artificiale: la costruzione dei dolmen e quella delle tombe sotterranee ed è possibile che questi due modi di realizzare una stessa idea si siano incrociati ed influenzati a vicenda. La scelta di una soluzione o dell‟altra è stata determinata dal terreno e dalla sua natura litica del territorio: un terreno duro e roccioso come quello calcareo ha favorito la costruzione dei dolmen mentre in presenza un terreno più facile da lavorare e scavare è stata favorita l‟escavazione di tombe sotterranee.

La costruzione del dolmen sarebbe, quindi, partita inizialmente da una cella elementare a cui successivamente è stato aggiunto un ingresso allungato che forma il dolmen a galleria. Quest‟ultimo sarebbe poi stato ampliato fino a raggiungere la stessa larghezza della cella arrivando così al tipo francese detto allée couverte, dove corridoio d‟accesso e camera di deposizione non hanno interruzione.

In queste ultime tombe i vari ambienti sono generalmente separati tra loro mediante lastre litiche poste trasversalmente all‟asse di costruzione. Questa tipologia di tombe è quella che è stata rinvenuta maggiormente e si pensa che sia quella più pratica e più adatta ad assumere la sua funzione: quando uno spazio era pieno e non poteva più

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contenere cadaveri venivano aggiunte altre pietre allungando così la costruzione e creando lo spazio necessario per le nuove esigenze. (Malagrinò, 1978, p. 26)

L‟evoluzione dolmenica può essersi sviluppata, anche, in senso contrario, ovvero andando dalla tipologia più complessa a quella più semplice come suggerisce l‟osservazione di dolmen costruiti in età tarda che fanno pensare più ad una tradizione megalitica sopravvissuta, con caratteri ridotti all‟essenziale ed approssimativi.

In percentuale alla crescita della popolazione dovuta alle condizioni di vita favorevoli rispetto al periodo strettamente precedente al neolitico, i dolmen in qualità di struttura funeraria hanno restituito pochi scheletri. Se la loro funzione era quella di essere sepolcro per la popolazione, probabilmente non erano destinati a tutti ma forse solo ai capi che avevano il merito di trovarsi ad essere tali durante un periodo particolarmente florido, o agli stregoni, ormai diventati i sacerdoti del culto del sole, che era particolarmente diffuso nel neolitico e che giustifica all‟orientamento ad Est dei dolmen.

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31 1.5.1. Dolmen La Chianca

Tra i più imponenti d‟Europa per dimensioni, il dolmen La Chianca è uno dei pochi che si presenta in buon stato di conservazione.

Le comunità neolitiche biscegliesi, verso la fine del III Millennio a.C., iniziarono a dissodare le grandi lastre di pietra dal peso di diverse tonnellate, che richiesero non solo l‟impegno di diverse ore di lavoro, ma anche diversa manodopera e qualche anno per la realizzazione vera e propria del dolmen.

Il dolmen costruito viene poi collocato poi in contrada “Chianca”, un luogo presumibilmente ricco di ricoveri naturali e grotte che offrivano alle comunità dell‟Età del Bronzo la possibilità di continuare le loro pratiche culturali.

L‟architettura del dolmen rientra nella tipologia di monumenti a galleria edificato in una grande e monumentale specchia13, realizzata a forma di montagnola alta 3 metri che oggi non esiste più ma lascia a vista la struttura litica.

Il dolmen è composto da una cella sepolcrale ed un corridoio di accesso. La cella è alta 1.80 metri ed è formata da tre grandi lastre verticali su cui poggia il lastrone di copertura che misura 2.40 x 3.80 metri. Le lastre sono di pietra calcarea che, stratificata ed estraibile, costituisce il substrato litologico della zona del nord barese. Il corridoio è lungo 7.50 metri ed è delimitato da pietre piatte infisse verticalmente nel terreno. I due lastroni laterali in pietra calcarea presentano delle piccole aperture, praticate per lasciar stillare il sangue delle vittime sacrificate all‟interno o, secondo un‟altra interpretazione, per permettere all‟anima dei defunti di volare verso il cielo. Complessivamente il dolmen misura 10 metri ed ha l‟apertura rivolta ad Est, come quasi tutti i dolmen della Puglia.

Gli scavi effettuati nella cella e nella zona limitrofa hanno permesso di definire con certezza la destinazione d‟uso della struttura megalitica: il dolmen veniva usato come luogo di sepoltura.

Il dolmen la Chianca è l‟unico che ha restituito come tomba collettiva più scheletri, 11 in totale: al suo interno sono state rinvenute, infatti, ossa di animali in parte

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Manufatti realizzati con la sovrapposizione a secco di lastre calcaree provenienti dallo spietramento dei suoli murgiani.

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bruciate che si ritiene siano resti di banchetti funebri ma, soprattutto, frammenti di ceramica di un corredo funerario; sono state trovate, inoltre, ossa umane anch‟esse in parte bruciate che fanno pensare a fenomeni di cremazione parziale non estranei ai culti dolmenici, pendagli di collana, una fusaiola14, frammenti di lama di ossidiana15 e selce, una falera16 in bronzo e le ceneri di un focolare acceso.

Scoperto nel 1909 dal professor Angelo Mossi, l‟abate-archeologo Francesco Samarelli e il professor Michele Gervasio, ad oggi il dolmen di Bisceglie rappresenta per l‟umanità intera un patrimonio unicum, sia per i reperti archeologici rinvenuti solamente in esso sia perché portatore di pace. La sua costruzione, nel luogo dove è stato eretto, è un atto celebrativo ai vivi e per i morti, in quanto sorge in nell‟area sacra delle coppelle17 per la raccolta delle acque lustrali dove le popolazioni del

neolitico praticavano riti per il culto dell‟acqua. (Catino, 2009)

L‟influenza del dolmen sulla cittadinanza biscegliese che lo accoglie non si è limitata all‟età preistorica: nel 2007 le Poste Italiane hanno emesso un francobollo raffigurate il dolmen e nel maggio del 2010 il dolmen è stato riconosciuto patrimonio dell‟U.N.E.S.C.O. come Patrimonio testimone di una cultura di pace per l’umanità.

Figura 12 Dolmen La Chianca (Foto Personale)

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Piccoli dischi di vario diametro e di varia materia, ma tipicamente in terracotta.

15 Vetro vulcanico la cui formazione è dovuta al rapido raffreddamento della lava

16 Disco laterale dell‟elmo cui si fissavano gli allacci. Probabilmente di epoca romana e quindi

posteriore rispetto al periodo di edificazione ed uso del dolmen come sepolcro. 17

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2. Ricostruzione 3D

2.1. Tecnologia ed archeologia: da mondi lontani a

condivisione di saperi.

Con la nascita di una nuova corrente archeologica, conosciuta come la New

Archaeology (New Archaeology), la rivalutazione delle tecnologie applicate in abiti

archeologici, avviatasi negli anni ‟60, diede vita alle prime applicazioni informatiche pensate per i Beni Culturali (Chapman, 2006).

Il successo di queste applicazioni in ambito archeologico si diffuse realmente nel corso degli anni ‟70 e rese il settore umanistico più favorevole all‟uso del computer sebbene il lavoro vero e proprio di implementazione ed uso degli strumenti digitali fosse delegato agli informatici e l‟archeologo venisse relegato all‟interpretazione dei risultati selezionati a discapito delle motivazioni storiche e culturali della ricerca. La corsa alla tecnologia, comunque, si era già avviata; il computer veniva utilizzato sia per l‟interpretazione dei dati sia per compiti di natura gestionale attraverso nuovi programmi e database creati per la raccolta e sia per la conservazione di informazioni riguardanti i siti archeologici e il loro rapporto con il territorio. (Cowgill, 2001) Dagli anni ‟80 in poi cresce la voglia e la necessità di arrivare in un modo più immediato alla comunità scientifica ed al pubblico; questa necessità ha portato gli studiosi a condividere maggiormente le informazioni in modo da essere al passo con i tempi.

In quegli anni l‟ambiente informatico era in fermento ma, nonostante ciò, in archeologia non era facile portare innovazioni tenendo conto del fatto che questa disciplina non fosse ancora pienamente affermata; se da un lato le tecnologie infrangevano le barriere e permettevano di sperimentare nuovi modi di divulgazione, dall‟altro il ruolo dell‟archeologo specializzato sembrava rimanere immutato rispetto agli anni precedenti.

La svolta apportata dall‟utilizzo della tecnologia in ambito archeologico venne registrata nella più autorevole rivista in materia: Archeologia e Calcolatori, pubblicata nel 1990 su iniziativa dell‟Istituto per l‟Archeologia Etrusco-Italica (ora Istituto di Studi del Mediterraneo Antico) del Consiglio Nazionale di Ricerca

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dell‟Università di Siena18

. L‟idea della nuova rivista nasce dall‟analisi di questo campo di studi in Italia: mentre il crescente interesse per le diverse applicazioni permettevano il riconoscimento dell‟introduzione del computer in ambito archeologico, emerse, tuttavia, la necessità di creare un punto di riferimento stabile per raccogliere i progetti e diffondere i risultati della ricerca italiana.

Con gli anni „90 arrivano anche le nuove applicazioni multimediali e la computer

graphic19; grazie a questa metodologia di implementazione grafica nasceva un nuovo modo di interpretare i dati archeologici che miravano inizialmente al restauro digitale, da non intendersi come mera ricostruzione ideale dei manufatti ma come strumento per la verifica e la sintesi dei dati pertinenti alla ricerca archeologica senza dimenticare di favorire l‟aspetto scientifico. In questo contesto rientrano sia la realtà virtuale che il 3D diventando, in poco tempo, strumenti privilegiati di studio e diagnosi dei beni in quanto consentono all‟archeologo di avere, finalmente, un ruolo attivo nel nuovo processo di indagine e reinterpretazione dei contesti.

La catalogazione formale e standardizzata del patrimonio culturale basata su dati testuali, fotografie e, ancor prima, su disegni di stampo artistico, fece un salto in avanti integrando e superando il concetto di elemento grafico confinato al solo scopo illustrativo. Con l‟accettazione dei nuovi metodi grafici, il ruolo che ricopre il 3D in archeologia è quello di rendere i dati e risultati di studi archeologici più dinamici, consentire una migliore e rinnovata lettura non solo del reperto ma anche del processo archeologico per intero.

Le nuove tecnologie avevano già raccolto un grande consenso in diversi ambiti: architettura, ingegneria e design dove l‟utilizzo dei contesti 3D sin dal primo momento è stato ampiamente adottato; per questo motivo non è stato necessario aspettare molto perché le nuove modalità di lavoro si affermassero anche in ambito archeologico.

Negli ultimi anni è aumentata la sensibilità nei confronti della comunicazione digitale con un‟attenzione in particolare ai sistemi di divulgazione e promozione del patrimonio culturale dei territori. L‟utilizzo della tecnologia per la digitalizzazione

18 Per informazioni www.archcalc.cnr.it

19 Adottare il disegno informatico coincide con la sintesi delle necessità della ricerca archeologica:

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del patrimonio, consente di creare progetti che coniughino storia, cultura e tradizione rendendo disponibili al pubblico dei materiali che altrimenti non sarebbero accessibili e conosciuti.

Con l‟affermarsi e lo specializzarsi delle tecnologie, numerosi archeologi si sono misurati direttamente con le diverse applicazioni diventando utenti esperti, in grado di gestire e coordinare il lavoro degli informatici in modo più diretto e proficuo. Al giorno d‟oggi emergere una nuova cultura in cui le due discipline sono l‟una il prosieguo dell‟altra con una continua sovrapposizione di competenze. Con l‟apertura dell‟archeologia tradizionale alla tecnologia si sono sviluppate ed affermate diverse branche: archeologia virtuale, archeologia informatica, archeologia computazionale e archeometria; tutte permettono di migliorare la leggibilità dell‟opera senza ricorrere ad interventi irreversibili sull‟originale e senza dover necessariamente combattere con il suo stato di conservazione. (Maldonado, 2007)

2.2. Nascita del 3D

Il 3D nasce già nel terzo decennio dell‟Ottocento: tecnica fondamentale per la fotografia ed il cinema tridimensionale attuale, si basa sul principio della

binocularità della visione umana grazie alla quale si osserva la realtà nel suo aspetto

volumetrico mediante la sintesi delle due immagini percepite da ciascun occhio. (Stereoscopia)

Lo scienziato inglese Wheatstone tra il 1832 ed il 1838 effettuò delle ricerche che lo portarono a presentare il primo modello di stereoscopio a specchi, per mezzo del quale era possibile osservare in rilievo coppie di disegni geometrici dello stesso oggetto ottenuti da due punti distanziati quanto gli occhi umani. Questo stereoscopio rimane ai nostri giorni il fondamento del rilievo fotogrammetrico. (Stereoscopio a specchi)

Pur suscitando grande interesse, il prototipo di Wheatstone20 non riuscì ad affermarsi fino a quando lo scienziato scozzese Brewster21 presentò lo stereoscopio a lenti, un

20

Sir Charles Wheatstone (Gloucester, 6 febbraio 1802 – Parigi, 19 ottobre 1875) è stato un fisico e inventore britannico. Ideò lo stereoscopio, uno strumento ottico per visualizzare immagini tridimensionali; ricoprì un ruolo fondamentale nello sviluppo della telegrafia; perfezionò in maniera decisiva il Ponte di Wheatstone.

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modello molto più pratico di quello del suo predecessore che permetteva di utilizzare le immagini fotografiche invece dei disegni in modo da trarre un beneficio dalla stereoscopia. Dopo il 1870, l‟interesse per la stereoscopia si affievolì a causa dell‟enorme curiosità suscitata dalla fotografia per poi ritornare in auge i primi decenni del Novecento quando vennero pubblicati numerosi cataloghi in rilievo oggi consultabili nella sezione Stereocard Collection22 del sito web dell‟University of Washington.

Grazie al rapido sviluppo tecnologico, al giorno d‟oggi vengono proposte soluzioni di visualizzazione in 3D sempre più performanti ma anche più accessibili nei diversi ambiti scientifici ed al pubblico che sta riscoprendo il fascino dell‟immagine in rilievo. Nello specifico la tridimensionalità degli oggetti è garantita dalla loro rappresentazione grazie alle proiezioni, l‟illuminazione e l‟ombreggiatura che, all‟interno della scena virtuale, vanno poi ad abbinarsi alle caratteristiche delle tre dimensioni (larghezza, altezza e profondità).

L‟arte di trasformare immagini in modelli 3D si basa principalmente sul concetto di

reality-based ovvero non si tratta unicamente di ottenere delle immagini ma è

necessario ricavarne dati metrici per la riproduzione di un manufatto il più fedele possibile all‟originale.

Le moderne tecnologie permettono di ottenere modelli tridimensionali a partire da programmi di grafica non eccessivamente complessi ed utilizzando immagini realizzate con macchine fotografiche compatte, o addirittura lo smartphone, mediante il quale realizzare i rilievi digitali23 ovvero le operazioni di misurazione necessarie alla rappresentazione ed alla restituzione di un Bene Culturale.

Parte del merito è sicuramente da assegnare ad una qualità sempre migliore delle nuove fotocamere digitali ma, soprattutto, bisogna rendere merito all‟estrema sofisticazione degli algoritmi del riconoscimento dell‟immagine.

21

Sir David Brewster (Jedburgh, 11 dicembre 1781 – Allerly, 10 febbraio 1868) è stato un fisico e inventore scozzese. Tra il pubblico non scientifico, la sua fama si sviluppa con più efficacia attraverso la sua riscoperta nel 1815 del caleidoscopio, che riscuote un notevole successo sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti. Uno strumento di ancora maggiore interesse, lo stereoscopio, che, anche se molto più tardi (nel 1849-1950) e insieme al caleidoscopio.

22

È possibile osservare le immagini stereoscopiche al seguente link: http://content.lib.washington.edu/stereoweb/index.html

23

In archeologia il rilievo è un‟azione di documentazione propedeutica a qualsiasi intervento e rappresenta anche l‟azione conoscitiva preliminare allo studio di un qualsiasi manufatto.

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L‟introduzione delle nuove tecnologie in ambito dei Beni Culturali ed archeologico è stata spesso accolta con numerose difficoltà dovute, probabilmente, alla scarsa apertura nei confronti delle innovazioni e la difficoltà che si riscontra nel rinnovare le procedure di studio ed analisi consolidate nel tempo con nuove modalità basate, principalmente, su innovazioni sia hardware che software.

Il grande passo sta nel sostituire un approccio prettamente bidimensionale al bene con la possibilità di manipolarlo ed osservarlo nella sua tridimensionalità integrando, in tal mondo, elementi di diagnostica del bene con la documentazione fotografica. Nell‟ambito del restauro, l‟utilizzo delle tecnologie digitali e strumenti per generare ambienti tridimensionali ha garantito lo sviluppo, affermazione e diffusione dell‟Archeologia Virtuale. Questa disciplina nasce con uno scopo didattico-divulgativo garantito dalla ricostruzione di monumenti, città e territori con lo scopo di comunicare il patrimonio antico in modo efficace, rapido e accessibile a tutti. L‟Archeologia Virtuale ha un forte impatto comunicativo e di apprendimento sia per l‟alta qualità dal punto di vista scientifico sia per l‟accoglienza entusiasta che le è stata riservata negli ambiti culturali sia per i canali di comunicazione scelti.

La possibilità di utilizzare strumenti adeguati alla ricostruzione dei Beni e di una buona visualizzazione che ne permetta anche l‟interazione, ha favorito la diffusione della tecnologia in diversi ambiti come la progettazione architettonica, simulazione grafica e la visualizzazione scientifica.

Vincente, nell‟implementazione di tecnologie digitali, si è rivelato l‟utilizzo di tool di visualizzazione che consentono una facile manipolazione e “navigazione” dell‟oggetto 3D; questa facilitazione di approccio al modello è stato ben visto dal grande pubblico perché buona parte di esso, si pensi all‟utenza di un museo, ha scarsa familiarità con il tipo di visualizzazione.

Ad ogni modo, la visualizzazione per il pubblico all‟interno di ambienti museali è solo una delle finalità per cui può essere realizzato un modello 3D; è possibile utilizzare queste applicazioni per permettere agli studiosi dei Beni Culturali di effettuare studi e ricerche o di comprendere lo stato di conservazione ed eventualmente pianificare operazioni di restauro sull‟oggetto stesso.

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La digitalizzazione di un bene culturale ha, come scopo ulteriore, la sua valorizzazione intesa come facilità di accesso, per il grande pubblico, alle caratteristiche dell‟artefatto senza sminuirne il suo valore dal punto di vista storico-artistico.

2.3. Acquisizione 3D: le tecnologie

Negli ultimi anni lavorare con oggetti tridimensionali è diventata un‟attività di routine in molti settori e sta prendendo piede anche nell‟ambito dei Beni Culturali: mentre, da un lato, i costi della scansione 3D sono sensibilmente diminuiti grazie anche alla diminuzione dei costi degli hardware, dall‟altro aumentano sempre di più le proposte low-cost.

Oggigiorno, per ottenere un modello tridimensionale a partire da uno reale, è possibile scegliere la tecnologia da utilizzare in base a diverse caratteristiche di tempo, budget e qualità dell‟oggetto virtuale; allo stesso modo il proliferare di software open-source permette a tutti di sperimentare liberamente ed imparare qualsiasi tecnica.

2.3.1. 3D Scanning

Il 3D Scanning è considerata, attualmente, la modalità di acquisizione più avanzata; con il passare del tempo i perfezionamenti in termini di hardware e software hanno portato ad un suo significativo miglioramento che permette, perfino, la scansione di oggetti molto grandi e complessi anche integrando diversi soluzioni.

Il 3D Scanning non è da considerarsi una sola tecnologia ma un insieme di tecnologie che, lavorando in sinergia tra loro, permette di ottenere modelli digitali che mantengono le informazioni geometriche e metriche dell‟oggetto originale. Quando si parla di 3D Scanning è possibile definire diversi tipi di scansione e la suddivisione principale è da identificare nella scansione a contatto e nella scansione

a distanza.

Un esempio di acquisizione per contatto può essere il braccio articolato dove con un sensore a pennino si percorre tutto l‟oggetto che si vuole acquisire ed è possibile, quindi, conoscere in modo preciso la posizione nello spazio.

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39

La scansione a distanza è ulteriormente suddivisa in due macro categorie: acquisizione non ottica e acquisizione ottica.

Le tecnologie non ottiche sono basate su radiazioni ad alta energia, che garantiscono anche l‟acquisizione di dati interni all‟oggetto; ad esempio se si utilizzano strumentazione mediche e industriali come raggi X, TAC, PET, o risonanza magnetica, il segnale ad alta energia viene fatto passare da una parte all‟altra dell‟oggetto e, una volta uscito, viene analizzato come è stato cambiato dall'interazione con l'oggetto.

L'acquisizione ottica, invece, si basa sull‟utilizzo di radiazioni a bassa energia (luce visibile o vicino-al-visibile): in questo caso, l'osservazione dell‟oggetto può essere differenziata, a sua volta, in passiva o attiva.

Si parla di acquisizione ottica attiva quando sull‟oggetto in esame viene proiettato un segnale (luce, infrarossi, laser) che interagisce con la geometria dell‟oggetto e permette di ottenerne le informazioni relative. Si possono distinguere, anche in questo caso, diverse tecnologie come la Triangolazione in cui una luce è proiettata sulla superficie da cui viene riflessa e rimandata al sensore che ne legge le informazioni rilevate e usando il calcolo trigonometrico stabilisce la posizione tridimensionale dei punti illuminati o la tecnica Time-of-Flight, dove si utilizza il tempo di ritorno di un segnale di luce che viene proiettato sull'oggetto.

Tutte le modalità di acquisizione mediante la tecnica di scansione 3D implicano l‟uso di strumentazioni adeguate e sofisticate spesso molto costose e di non immediato utilizzo.

2.3.2. 3D da immagini

Si parla di acquisizione ottica passiva quando si ottiene l‟informazione geometrica dell‟oggetto solo basandosi su quello che si osserva. Ne è un esempio l‟acquisizione

Shape from Stereo che si basa sullo stesso principio della visione umana: due sensori

percepiscono lo stesso oggetto da posizioni leggermente differenti e permettono di ottenere la profondità dei punti che lo compongono.

Questa è una tecnica di acquisizione ha come principio fondante quello della visione umana: le due immagini catturate dagli occhi si fondono in una sola immagine grazie

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